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TESI 14 La frontiera del
Mezzogiorno
Nel Mezzogiorno si concentrano – come in una miniera – un
insieme di potenzialità inespresse che debbono potersi liberare
dalle costrizioni che le trattengono.
Dopo anni che hanno segnato una fase di crescita e hanno affrancato il
Mezzogiorno da antiche strozzature e fragilità – di
cui è significativa espressione il diffondersi di una vasta rete
di nuove imprese, molte ad alto tasso di innovazione e di
internazionalizzazione, nonché la nascita di alcuni poli
tecnologici e di sapere di eccellenza – oggi, per una
specifica responsabilità del centrodestra, si riaffaccia il
rischio di una regressione ad un’economia fondata su una spesa
pubblica improduttiva e assistenziale, di una ulteriore rarefazione
della coesione sociale, tanto più a fronte di alti tassi
di disoccupazione.
Si rischia così di compromettere quel patrimonio di lavoro,
sapere, impresa, che aveva consentito al Mezzogiorno, nella seconda
metà degli anni novanta, grazie alle politiche del
centrosinistra, di contrastare e ridurre la forbice del suo sviluppo
rispetto al resto del Paese. Né si può dimenticare che
accanto al Mezzogiorno dei nuovi dinamismi, e in una geografia che
spesso non è nettamente separata, coesiste anche un altro
Mezzogiorno, più debole, più bisognoso di diritti sociali
e di cittadinanza, dall’istruzione alla sanità,
dall’assistenza sociale all’offerta di cultura, dalle
condizioni del lavoro e della sua qualità alla sicurezza dei
cittadini. E in molte aree del Sud continua a essere
drammaticamente critica la pervasiva azione di vecchie e nuove mafie e
di molteplici forme di criminalità che inibiscono sviluppo,
distorcono il mercato, soffocano la convivenza.
La nascita nel 2010 dell’area euromediterranea di libero scambio
costituisce per il Mezzogiorno l’occasione per trasformare la sua
centralità geografica in una nuova centralità strategica.
Il Mezzogiorno non ha bisogno oggi di politiche “speciali”,
né rappresenta un irresolubile problema. Caso mai, il definitivo
avvio di un suo più consistente e autonomo sviluppo può
rappresentare la “soluzione” dei complessivi problemi di
equilibrio e di crescita dell’intera compagine nazionale.
Occorrono quindi provvedimenti che esaltino il Mezzogiorno come leva
strategica:
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3. Politiche sociali, economiche e
fiscali che redistribuiscano il reddito. Il Mezzogiorno, cuore di un
altro sviluppo.
Il peso della crisi sta gravando sempre di più sui salari e
sugli stipendi fissi, sui pensionati, sui giovani. Le classi medie si
impoveriscono, mentre è stata sfrenatamente incoraggiata
l’evasione fiscale e contributiva. E’ in atto una riduzione
delle prestazioni sociali e dei sevizi pubblici, in particolare
attraverso il sempre più pesante definanziamento del welfare
locale e una controriforma delle pensioni definita anche da Cgil, Cisl
e Uil dannosa, iniqua e fondata su evidenti falsità.
Le drammatizzazioni dei problemi
del nostro sistema di protezione sociale e previdenziale (tra i meno
finanziati d’Europa) che si vogliono far pagare ai cittadini
nascono dalla necessità di coprire le incapacità
dell’attuale governo.
La scarsa natalità e
l’invecchiamento della popolazione così come i nuovi
bisogni che sorgono in una società moderna e multiculturale
vanno affrontati con una politica generale di welfare più
inclusivo, contrastando fino in fondo la crociata della destra sulle
tasse che destruttura la solidarietà e il principio stesso di
cittadinanza. La tassazione deve essere adeguata all’esercizio di
politiche pubbliche volte a rispettare, secondo criteri di efficienza i
diritti universalistici.
Occorre riprendere con vigore la
lotta all’evasione fiscale, prevedendo anche un più
significativo prelievo sulle rendite finanziarie e sui patrimoni.
Occorre una politica fiscale e tariffaria di sostegno ai redditi
più bassi, falcidiati dall’inflazione, dal fiscal drag,
dalla minore offerta di servizi pubblici, che i singoli e le famiglie
devono sempre più acquistare sul mercato.
Senza una forte politica
redistributiva e un forte Stato sociale (della cittadinanza, delle
opportunità, della persona), basato sui cicli di vita e capace
di assumere e dare risposte alle libertà femminili, non ci
sarà ripresa del mercato interno, né prospettiva di una
solida ripresa economica di qualità.
Alla giusta abolizione della
trattenuta ex Gescal sulle buste paga dei lavoratori dipendenti attuata
dal Governo di centrosinistra non ha fatto seguito una politica di
rilancio della realizzazione di alloggi ad affitto contenuto. Pertanto
proponiamo un piano decennale per la costruzione di 100.000 alloggi
all’anno di edilizia economica e convenzionale da realizzare in
tutti i centri ove si manifesta una vera e propria crisi degli affitti.
Il piano dovrà intervenire anche sulle norme urbanistiche allo
scopo di calmierare i costi delle aree.
La coalizione democratica deve
essere orientata a creare possibilità nuove di sviluppo umano.
Il cuore fondamentale di questo progetto è per noi il
Mezzogiorno. Esso rappresenta la principale risorsa per il Paese. I
grandi squilibri economici e sociali di oggi possono essere superati
solo collocando al centro dell’agenda politica un’altra
idea di sviluppo, fondata sulla sostenibilità e, ancor
più, su una riconversione ecologica e qualitativa
dell’economia.
Da un lato dobbiamo impedire che,
con l’allargamento dell’Unione Europea, le strategie
europee si concentrino esclusivamente lungo l’asse est-ovest
rilanciano la dimensione mediterranea dell’Unione;
dall’altro prepararci, con l’approssimarsi del 2010, alle
radicali trasformazioni che la zona di libero scambio
produrrà in tutta l’area geo-politica del Mediterraneo.
Diventa allora fondamentale , anche per lo sviluppo del
Mezzogiorno, che il Mediterraneo divenga un grande mare di pace.
Nell’ultima fase nel
Mezzogiorno – da Scanzano a Melfi – si è manifestato
un importante protagonismo popolare e giovanile che la politica deve
saper interpretare con scelte chiare. Un protagonismo che è
vissuto e vive anche in un’altra battaglia, un paradigma per il
nuovo Mezzogiorno: quella sul ponte di Messina contro la cui
costruzione anche noi siamo schierati.
Le scelte, quindi.
Primo, il lavoro: innanzitutto
l’occupazione femminile e giovanile. E’ necessario uno
sforzo per un piano straordinario per il lavoro che liberi le giovani
generazioni meridionali dalla condanna alla precarietà.
Secondo, la questione ambientale
e quella urbana, investendo in un progetto di salvaguardia e di
ripristino del territorio.
Terzo, la questione produttiva:
il Meridione ha bisogno di concentrare le risorse
sull’innovazione, sull’agricoltura di qualità, sul
capitale umano e su quello sociale, su interventi infrastrutturali
sostenibili.
Quarto, la questione della
legalità e della democrazia: il Mezzogiorno subisce un virulento
attacco da parte della criminalità organizzata. Tornano ad
emergere, aspetti inquietanti sui collegamenti tra affari, politica e
mafia che coinvolgono esponenti di rilievo del centrodestra. Ma
c’è stato un calo di tensione nella lotta alle mafie
che rischia di coinvolgere anche il centrosinistra.
Questo silenzio pone le basi, da
un lato per la riorganizzazione del “braccio militare”
della mafia, che agisce spesso indisturbato, dall’altro, per una
nuova e massiccia infiltrazione della criminalità organizzata
nei settori vitali della società e della politica. E tutto
ciò chiama in causa il deficit di funzionamento delle
istituzioni locali e la difficoltà ad affermare i diritti di
cittadinanza. Il federalismo iniquo e squilibrato proposto dal
Governo accentuerà ulteriormente tale divario.
Va rialzata, anche nel
centrosinistra e nei Ds, una barriera insormontabile al fine di isolare
la mafia e di contrastare le pratiche politiche che la favoriscano.
Occorre promuovere la buona politica, e questo rimanda alla nuova
questione morale.
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La sinistra deve saper
interpretare la volontà di riscatto della società
meridionale. Come è già avvenuto in altri momenti della
storia in Italia, il Sud potrà essere in grado di
esprimere un rapido cambio di rotta, una ventata democratica
capace di incidere profondamente sugli orientamenti della
società meridionale.
I segnali ci sono: da Melfi
a Scanzano, da Rapolla alla marcia di Gravina e Altamura per la
pace e contro i presidi militari, da Acerra alla manifestazione
di Eboli contro il condono degli abusi edilizi.
Per dare prospettiva a questo
risveglio incipiente della società, la sinistra deve
aprire una "nuova questione meridionale", come grande questione
democratica che affermi il ruolo complessivo del Mezzogiorno
nella soluzione delle grandi contraddizioni del tempo
presente.
La nuova classe operaia
meridionale, le nuove generazioni, figlie della scolarizzazione
di massa, strette tra la disoccupazione o una nuova emigrazione,
le donne, consapevoli della contraddizione tra la loro
libertà e le condizioni materiali del vivere civile fondate
su 28 vecchi stili e gerarchie, possono e devono essere
protagonisti di questa grande battaglia.
Il Mezzogiorno vive oggi una
condizione drammatica. L’economia meridionale cede in
settori portanti. Gli indicatori volgono in basso, e i timidi
segni di un’accelerazione rispetto alle aree più forti che
si erano manifestati con il governo di centrosinistra sono ormai
un ricordo. Disoccupazione, sottoccupazione, precariato, lavoro
nero, povertà si concentrano in larga misura nel
mezzogiorno. La condizione delle fasce deboli – sempre
difficile – nel Sud è spesso disperata. Aumentano le
tensioni sociali, peggiorano le condizioni della sicurezza
individuale e collettiva.
La qualità dei servizi
– già più bassa che nel resto del paese
– cala ancora. Riprende l’emigrazione verso il Nord.
Ma, a differenza che in passato, si tratta di
un’emigrazione in larga parte altamente scolarizzata e
qualificata. Che costa dunque al Sud per la sua formazione, e lo
impoverisce doppiamente con l’abbandono.
Tutto questo non accade per caso.
Proprio sul Mezzogiorno ricade il maggior peso delle sciagurate
politiche del centrodestra. Sono state messe da parte le leggi di
sostegno all’imprenditoria e all’occupazione adottate
dal centrosinistra, che pur avevano dato alcuni risultati
incoraggianti.
È stato posto termine a
interventi contro l’emergenza sociale, come il salario
sociale minimo, avviato in via sperimentale dal
centrosinistra. Ma è solo punta dell’iceberg.
Perché anche gli indirizzi politici e programmatici di
fondo di Berlusconi e del suo governo colpiscono il Mezzogiorno.
Della devolution si è detto ormai tutto, e non è
necessario approfondire. Ma c’è ben altro.
È chiaro, ad esempio,
che lo spostamento della pressione fiscale dal centro verso la
periferia, costantemente praticato negli anni del centrodestra,
può solo aumentare la distanza tra il paese forte e il
paese debole a danno di 29 quest’ultimo. Lo stesso
effetto si avrebbe se la politica generalizzata e indiscriminata
di sgravi fiscali tanto cara a Berlusconi uscisse dal mondo delle
fantasie per diventare realtà.
Da un lato, si ridurrebbero
le risorse disponibili al livello nazionale per la solidarietà e
la perequazione. Dall’altro, il carico fiscale ricondotto
in periferia cadrebbe su una base imponibile più
ristretta, producendo comparativamente minori entrate. Si attiverebbe
un circuito perverso e distruttivo. Può il paese
permettersi un ulteriore declino del Mezzogiorno? Le analisi
più attente ci dicono che nel Nord sostanzialmente è
piena occupazione, e mancano territori sacrificabili per
ulteriore sviluppo.
Nel sud, invece, il territorio
non è saturo, e vi è un’ampia
disponibilità di forza lavoro, anche qualificata. Se tutto
questo è vero, allora uno scatto in avanti del paese si
può avere solo scommettendo sul Sud. E se il Sud rimane
fermo, nemmeno il paese può mettersi a correre .
Può il centrosinistra permettersi di non avere una proposta
politica vincente per il Sud? La risposta è semplice.
Senza il Sud il centrosinistra ha perso nel 2001, e può
perdere ancora nel 2006. Allora, bisogna fare un salto di
qualità anche rispetto alle politiche del centrosinistra
al governo.
Può la sinistra non avere
una iniziativa forte per il Sud? Qui la risposta è ovvia.
Deve averla, perché nel Sud si manifestano tutti i
problemi che sono la ragione d’essere storica e ad un tempo
moderna di una sinistra che non sia solo un’etichetta
vuota.
Che fare? Bisogna riportare
la questione del Mezzogiorno in Europa, guardando senza falsa
retorica e senza ipocrisie al problema che viene
dall’allargamento a venticinque. Oggi, il Sud è troppo
debole perché parta davvero uno sviluppo autopropulsivo
capace di ridurre in tempi ragionevolmente brevi, politicamente
significativi ed utili il divario 30 con il Centro-Nord. Al
tempo stesso, il Sud si trova in un paese nel suo complesso
troppo forte per continuare ad avere lo stesso livello di
sostegno europeo che ha avuto fino all’allargamento, e cede
al maggior titolo che hanno i nuovi arrivati sulle risorse
europee.
È un rischio reale
che l’allargamento sia una scommessa vincente solo per le
aree forti del paese. Non basta affermare apoditticamente che
sarà una grande occasione, senza fornire alcuna
dimostrazione sul punto. E non dobbiamo commettere l’errore
di lasciare questa bandiera nelle mani della destra.
L’eccessivo divario tra
Nord e Sud penalizza dunque il Sud due volte. All’interno,
per la propria grave debolezza; e in Europa, per la grande forza
del Centro-Nord. Bisogna dire, con forza, che superare questa
condizione conviene a tutti: al Sud, certamente; ma anche al
Centro- Nord.
Poniamoci quattro
obiettivi.
Il primo: creare condizioni
effettive per cui ogni delocalizzazione si faccia non verso altri
paesi, ma verso il Mezzogiorno. Definiamo con precisione le
condizioni normative e fiscali di vantaggio che rendano questo
obiettivo realizzabile, e poniamo in sede europea il problema con
la forza necessaria.
Il secondo: creiamo condizioni
effettive per cui il lavoratore del Sud abbia nei fatti, e non in
teoria, gli stessi diritti, le stesse garanzie, le stesse
retribuzioni del lavoratore del Nord . Combattiamo anche, a tal
fine, con decisione il lavoro nero, ponendo le condizioni per
l’emersione da un lato, e per i controlli e le sanzioni
necessarie dall’altro.
Il terzo: creiamo le condizioni
effettive per utilizzare al meglio le risorse proprie del
Mezzogiorno, con forti politiche nazionali selettive e mirate
sulle questioni che non possono essere lasciate allo 31
spontaneismo regionale e locale: politiche industriali, per le
risorse storiche e paesaggistiche, per la risorsa mare, per la
riqualificazione dei centri urbani, per il recupero ambientale,
per i trasporti e le infrastrutture, per l’innovazione
tecnologica, per la sicurezza.
Il quarto: diciamo alle donne e
agli uomini del Sud che il centrosinistra non guarda solo alle
politiche per lo sviluppo e non parla solo alle imprese, ma anche
a loro come persone, alla loro qualità della vita rispetto
a chi vive nel Centro e nel Nord del paese.
Scriviamo come esplicito punto di programma la pari opportunità per i giovani e le donne del Sud nella scuola, nel tempo libero, nello sport, nel lavoro. Impegniamoci per un pari livello di assistenza per gli anziani, e per ridurre il numero delle famiglie del Sud in condizioni di povertà, tanto da riportarlo nella media nazionale. Promettiamo a ogni bambino del Sud la stessa qualità di servizio scolastico, e una pari disponibilità di spazi per il gioco.
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2. Il destino del Mezzogiorno è
nelle sue risorse
In questi anni la destra, vera erede storica del vecchio “partito
della spesa pubblica”, ha riproposto nel Mezzogiorno la cultura
dell’assistenza, della protezione e della conservazione come
sistema di governo. Mentre è apparso sempre più chiaro
che la sua testa, il suo cuore e anche il suo portafoglio sono
saldamente collocati nel nord del paese. L’ultima Finanziaria ne
è la prova lampante.
Occorre nuovamente affrancare il
Sud da una condizione di dipendenza, riportandolo in Italia, in Europa
e nel Mediterraneo. Occorre ricostruire un quadro di ragionevole
ottimismo, di una “profezia credibile” che spinga i
giovani a investire sulla propria formazione, le imprese a investire
sulla qualità, le istituzioni pubbliche a investire
sull’efficienza. Che spinga a piantare “nuovi
alberi”, senza farli sradicare dalle ruspe della
criminalità mafiosa, degli interessi corporativi, dei gruppi di
pressione clientelari.
Vanno sostenuti i cittadini, le
organizzazioni e tutte le forze dello Stato in prima linea nella lotta
alle mafie e alla grande criminalità. Quando è modesta la
garanzia della sicurezza e della legalità, quando sul territorio
spadroneggiano le cosche, viene colpita al cuore qualsiasi
capacità e possibilità di sviluppo.
Al centro della politica
meridionalistica poniamo la questione della qualità della spesa.
Non ci stancheremo mai di insistere su questo tasto.
In passato massicce risorse pubbliche sono state usate per compensare le imprese degli svantaggi di un ambiente più sfavorevole. Questa strada si è rivelata un tunnel senza uscita, che ha perpetuato gli svantaggi. Vanno invece destinate risorse nazionali addizionali per ridurre questi svantaggi
Per costruire scuole migliori,
per rafforzare la rete dei trasporti pubblici, per rinnovare le reti
idriche, per costruire un sistema efficiente di riuso, riciclo e
recupero dei rifiuti, per interventi di manutenzione urbana e del
territorio, come pure per realizzare aree attrezzate per
insediamenti produttivi: per investimenti pubblici, insomma,
volti a creare vantaggi collettivi e diffusi.
La posizione geografica, il suo
capitale umano, le sue risorse naturali e culturali, infrastrutture
moderne, possono rendere il Mezzogiorno un’area strategica
dell’economia europea e mediterranea: soprattutto nella
prospettiva della costituzione, alla fine del decennio, della zona di
libero scambio euromediterranea.
Per vincere questa scommessa non
servono regole e istituzioni speciali.
Servono classi dirigenti, amministrazioni e politiche di sviluppo
locale che orientino e gestiscano correttamente i finanziamenti della
collettività nazionale. Non basta costruire un acquedotto, se
poi non si porta l’acqua nelle case.
A chi chiede se il futuro del
Mezzogiorno è l’agricoltura, il turismo o
l’industria, va risposto che il problema non è di quali
settori, ma di infrastrutture e servizi di qualità. E che il
problema non è solo di cosa produrre, ma di come lo si fa. E il
Mezzogiorno può farlo bene, perché ha un grande
potenziale da sfruttare e valorizzare: agricoltura di qualità e
agroindustria, parchi naturali, siti archeologici, coste e montagne,
culture artigiane, imprese che funzionano e università, le
città, il mondo dei servizi a più alto valore aggiunto.
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