Eleaml


Fonte:
https://www.dsonline.it/

III CONGRESSO DS
Roma, 4-5-6 febbraio 2005
Il Mezzogiorno nelle mozioni presentate al Congresso
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PER VINCERE. LA SINISTRA CHE UNISCE.
Mozione proposta da Piero Fassino
per il III Congresso Nazionale
dei Democratici di Sinistra


TESI 14   La frontiera del Mezzogiorno

Nel Mezzogiorno si concentrano – come in una miniera – un insieme di potenzialità inespresse che debbono potersi liberare dalle costrizioni che le trattengono.

Dopo anni che hanno segnato una fase di crescita e hanno affrancato il Mezzogiorno da antiche strozzature e fragilità – di  cui è significativa espressione il diffondersi di una vasta rete di nuove imprese, molte ad  alto tasso di innovazione e di internazionalizzazione, nonché la nascita di alcuni poli tecnologici e di sapere di eccellenza – oggi,  per una specifica responsabilità del centrodestra, si riaffaccia il rischio di una regressione ad un’economia fondata su una spesa pubblica improduttiva e assistenziale, di una ulteriore rarefazione della coesione sociale, tanto più a fronte di  alti tassi di disoccupazione.

Si rischia così di compromettere quel patrimonio di lavoro, sapere, impresa, che aveva consentito al Mezzogiorno, nella seconda metà degli anni novanta, grazie alle politiche del centrosinistra, di contrastare e ridurre la forbice del suo sviluppo rispetto al resto del Paese. Né si può dimenticare che accanto al Mezzogiorno dei nuovi dinamismi, e in una geografia che spesso non è nettamente separata,  coesiste anche un altro Mezzogiorno, più debole, più bisognoso di diritti sociali e di cittadinanza, dall’istruzione alla sanità, dall’assistenza sociale all’offerta di cultura, dalle condizioni del lavoro e della sua qualità alla sicurezza dei cittadini. E in molte aree del Sud continua a essere  drammaticamente critica la pervasiva azione di vecchie e nuove mafie e di molteplici forme di criminalità che inibiscono sviluppo, distorcono il mercato, soffocano la convivenza.

La nascita nel 2010 dell’area euromediterranea di libero scambio costituisce per il Mezzogiorno l’occasione per trasformare la sua centralità geografica in una nuova centralità strategica.

Il Mezzogiorno non ha bisogno oggi di politiche “speciali”, né rappresenta un irresolubile problema. Caso mai, il definitivo avvio di un suo più consistente e autonomo sviluppo può rappresentare la “soluzione” dei complessivi problemi di equilibrio e di crescita dell’intera compagine nazionale.

Occorrono quindi provvedimenti che esaltino il Mezzogiorno come leva strategica:

  • allocare nel Sud risorse e incentivi per la lotta alla disoccupazione e per il sostegno del lavoro, con priorità per l’occupazione femminile e i giovani inoccupati, per i quali occorre un piano pluriennale straordinario;
  • favorire una maggiore localizzazione in quell’area degli investimenti di sistema per la qualità della scuola, per la formazione, per la ricerca;
  • concentrare una massa critica di investimenti per l’adeguamento delle reti delle infrastrutture materiali e immateriali;
  • finalizzare i fondi comunitari disponibili per le aree/obiettivo alla realizzazione di grandi e qualificati progetti di eccellenza, anche interregionali;
  • favorire più efficaci politiche finanziarie e di credito e la mobilitazione di risorse private;
  • promuovere l’emersione di attività sommerse e la lotta alle forme di illegalità economica;
  • intervenire con politiche di sostegno al reddito e di lotta all’indigenza;
  • adottare meccanismi automatici di finanziamento pubblico – quali crediti di imposta –  sottraendo le imprese ai rischi di condizionanti intermediazioni burocratiche;
  • rimuovere gli ostacoli alla realizzazione dei patti territoriali, dei contratti di aree e delle forme di programmazione negoziata.

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Una sinistra forte
Una grande alleanza democratica
15 tesi per il Congresso


3. Politiche sociali, economiche e fiscali che redistribuiscano il reddito. Il Mezzogiorno, cuore di un altro sviluppo.

Il peso della crisi sta gravando sempre di più sui salari e sugli stipendi fissi, sui pensionati, sui giovani. Le classi medie si impoveriscono, mentre è stata sfrenatamente incoraggiata l’evasione fiscale e contributiva. E’ in atto una riduzione delle prestazioni sociali e dei sevizi pubblici, in particolare attraverso il sempre più pesante definanziamento del welfare locale e una controriforma delle pensioni definita anche da Cgil, Cisl e Uil dannosa, iniqua e fondata su evidenti falsità.

Le drammatizzazioni dei problemi del nostro sistema di protezione sociale e previdenziale (tra i meno finanziati d’Europa) che si vogliono far pagare ai cittadini nascono dalla necessità di coprire le incapacità dell’attuale governo.

La scarsa natalità e l’invecchiamento della popolazione così come i nuovi bisogni che sorgono in una società moderna e multiculturale vanno affrontati con una politica generale di welfare più inclusivo, contrastando fino in fondo la crociata della destra sulle tasse che destruttura la solidarietà e il principio stesso di cittadinanza. La tassazione deve essere adeguata all’esercizio di politiche pubbliche volte a rispettare, secondo criteri di efficienza i diritti universalistici.

Occorre riprendere con vigore la lotta all’evasione fiscale, prevedendo anche un più significativo prelievo sulle rendite finanziarie e sui patrimoni. Occorre una politica fiscale e tariffaria di sostegno ai redditi più bassi, falcidiati dall’inflazione, dal fiscal drag, dalla minore offerta di servizi pubblici, che i singoli e le famiglie devono sempre più acquistare sul mercato.

Senza una forte politica redistributiva e un forte Stato sociale (della cittadinanza, delle opportunità, della persona), basato sui cicli di vita e capace di assumere e dare risposte alle libertà femminili, non ci sarà ripresa del mercato interno, né prospettiva di una solida ripresa economica di qualità.

Alla giusta abolizione della trattenuta ex Gescal sulle buste paga dei lavoratori dipendenti attuata dal Governo di centrosinistra non ha fatto seguito una politica di rilancio della realizzazione di alloggi ad affitto contenuto. Pertanto proponiamo un piano decennale per la costruzione di 100.000 alloggi all’anno di edilizia economica e convenzionale da realizzare in tutti i centri ove si manifesta una vera e propria crisi degli affitti. Il piano dovrà intervenire anche sulle norme urbanistiche allo scopo di calmierare i costi delle aree.

La coalizione democratica deve essere orientata a creare possibilità nuove di sviluppo umano. Il cuore fondamentale di questo progetto è per noi il Mezzogiorno. Esso rappresenta la principale risorsa per il Paese. I grandi squilibri economici e sociali di oggi possono essere superati solo collocando al centro dell’agenda politica un’altra idea di sviluppo, fondata sulla sostenibilità e, ancor più, su una riconversione ecologica e qualitativa dell’economia.

Da un lato dobbiamo impedire che, con l’allargamento dell’Unione Europea, le strategie europee si concentrino esclusivamente lungo l’asse est-ovest rilanciano la dimensione mediterranea dell’Unione; dall’altro prepararci, con l’approssimarsi del 2010, alle radicali trasformazioni che la  zona di libero scambio produrrà in tutta l’area geo-politica del Mediterraneo. Diventa allora fondamentale , anche  per lo sviluppo del Mezzogiorno, che il Mediterraneo divenga un grande mare di pace.

Nell’ultima fase nel Mezzogiorno – da Scanzano a Melfi – si è manifestato un importante protagonismo popolare e giovanile che la politica deve saper interpretare con scelte chiare. Un protagonismo che è vissuto e vive anche in un’altra battaglia, un paradigma per il nuovo Mezzogiorno: quella sul ponte di Messina contro la cui costruzione anche noi siamo schierati.

Le scelte, quindi.

Primo, il lavoro: innanzitutto l’occupazione femminile e giovanile. E’ necessario uno sforzo per un piano straordinario per il lavoro che liberi le giovani generazioni meridionali dalla condanna alla precarietà.

Secondo, la questione ambientale e quella urbana, investendo in un progetto di salvaguardia e di ripristino del territorio.

Terzo, la questione produttiva: il Meridione ha bisogno di concentrare le risorse sull’innovazione, sull’agricoltura di qualità, sul capitale umano e su quello sociale, su interventi infrastrutturali sostenibili.

Quarto, la questione della legalità e della democrazia: il Mezzogiorno subisce un virulento attacco da parte della criminalità organizzata. Tornano ad emergere, aspetti inquietanti sui collegamenti tra affari, politica e mafia che coinvolgono esponenti di rilievo del centrodestra. Ma c’è stato un calo di tensione nella lotta alle mafie  che rischia di coinvolgere anche il centrosinistra.

Questo silenzio pone le basi, da un lato per la riorganizzazione del “braccio militare” della mafia, che agisce spesso indisturbato, dall’altro, per una nuova e massiccia infiltrazione della criminalità organizzata nei settori vitali della società e della politica. E tutto ciò chiama in causa il deficit di funzionamento delle istituzioni locali e la difficoltà ad affermare i diritti di cittadinanza. Il federalismo iniquo e squilibrato proposto dal  Governo accentuerà ulteriormente tale divario.

Va rialzata, anche nel centrosinistra e nei Ds, una barriera insormontabile al fine di isolare la mafia e di contrastare le pratiche politiche che la favoriscano. Occorre promuovere la buona politica, e questo rimanda alla nuova questione morale.

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III CONGRESSO DS
Roma, 4-5-6 febbraio 2005
MOZIONE A SINISTRA PER IL SOCIALISMO
https:///www.sinistrads.it

5. Riunire un paese diviso. Nuova speranza per il Mezzogiorno,
scommessa vincente per l’Italia

La sinistra deve saper interpretare la volontà di riscatto della società  meridionale. Come è già avvenuto in altri momenti della storia in  Italia, il Sud potrà essere in grado di esprimere un rapido cambio di  rotta, una ventata democratica capace di incidere profondamente sugli  orientamenti della società meridionale.

I segnali ci sono: da Melfi a  Scanzano, da Rapolla alla marcia di Gravina e Altamura per la pace e  contro i presidi militari, da Acerra alla manifestazione di Eboli contro  il condono degli abusi edilizi. 

Per dare prospettiva a questo risveglio incipiente della società, la  sinistra deve aprire una "nuova questione meridionale", come grande  questione democratica che affermi il ruolo complessivo del  Mezzogiorno nella soluzione delle grandi contraddizioni del tempo  presente. 

La nuova classe operaia meridionale, le nuove generazioni, figlie  della scolarizzazione di massa, strette tra la disoccupazione o una  nuova emigrazione, le donne, consapevoli della contraddizione tra la  loro libertà e le condizioni materiali del vivere civile fondate su  28  vecchi stili e gerarchie, possono e devono essere protagonisti di  questa grande battaglia. 

Il Mezzogiorno vive oggi una condizione drammatica. L’economia  meridionale cede in settori portanti. Gli indicatori volgono in basso, e  i timidi segni di un’accelerazione rispetto alle aree più forti che si  erano manifestati con il governo di centrosinistra sono ormai un  ricordo. Disoccupazione, sottoccupazione, precariato, lavoro nero,  povertà si concentrano in larga misura nel mezzogiorno. La  condizione delle fasce deboli – sempre difficile – nel Sud è spesso  disperata. Aumentano le tensioni sociali, peggiorano le condizioni  della sicurezza individuale e collettiva.

La qualità dei servizi – già più  bassa che nel resto del paese – cala ancora. Riprende l’emigrazione  verso il Nord. Ma, a differenza che in passato, si tratta di  un’emigrazione in larga parte altamente scolarizzata e qualificata.  Che costa dunque al Sud per la sua formazione, e lo impoverisce  doppiamente con l’abbandono. 

Tutto questo non accade per caso. Proprio sul Mezzogiorno ricade il  maggior peso delle sciagurate politiche del centrodestra. Sono state  messe da parte le leggi di sostegno all’imprenditoria e  all’occupazione adottate dal centrosinistra, che pur avevano dato  alcuni risultati incoraggianti.

È stato posto termine a interventi contro  l’emergenza sociale, come il salario sociale minimo, avviato in via  sperimentale dal centrosinistra.  Ma è solo punta dell’iceberg. Perché anche gli indirizzi politici e  programmatici di fondo di Berlusconi e del suo governo colpiscono il  Mezzogiorno. Della devolution si è detto ormai tutto, e non è  necessario approfondire. Ma c’è ben altro.

È chiaro, ad esempio, che  lo spostamento della pressione fiscale dal centro verso la periferia,  costantemente praticato negli anni del centrodestra, può solo  aumentare la distanza tra il paese forte e il paese debole a danno di  29  quest’ultimo. Lo stesso effetto si avrebbe se la politica generalizzata e  indiscriminata di sgravi fiscali tanto cara a Berlusconi uscisse dal  mondo delle fantasie per diventare realtà.

Da un lato, si ridurrebbero  le risorse disponibili al livello nazionale per la solidarietà e la  perequazione. Dall’altro, il carico fiscale ricondotto in periferia  cadrebbe su una base imponibile più ristretta, producendo comparativamente minori entrate. Si attiverebbe un circuito perverso  e distruttivo.  Può il paese permettersi un ulteriore declino del Mezzogiorno? Le  analisi più attente ci dicono che nel Nord sostanzialmente è piena  occupazione, e mancano territori sacrificabili per ulteriore sviluppo. 

Nel sud, invece, il territorio non è saturo, e vi è un’ampia  disponibilità di forza lavoro, anche qualificata. Se tutto questo è vero,  allora uno scatto in avanti del paese si può avere solo scommettendo  sul Sud. E se il Sud rimane fermo, nemmeno il paese può mettersi a  correre .  Può il centrosinistra permettersi di non avere una proposta politica  vincente per il Sud? La risposta è semplice. Senza il Sud il  centrosinistra ha perso nel 2001, e può perdere ancora nel 2006.  Allora, bisogna fare un salto di qualità anche rispetto alle politiche  del centrosinistra al governo. 

Può la sinistra non avere una iniziativa forte per il Sud? Qui la  risposta è ovvia. Deve averla, perché nel Sud si manifestano tutti i  problemi che sono la ragione d’essere storica e ad un tempo moderna  di una sinistra che non sia solo un’etichetta vuota.

Che fare?  Bisogna riportare la questione del Mezzogiorno in Europa, guardando  senza falsa retorica e senza ipocrisie al problema che viene  dall’allargamento a venticinque. Oggi, il Sud è troppo debole perché  parta davvero uno sviluppo autopropulsivo capace di ridurre in tempi  ragionevolmente brevi, politicamente significativi ed utili il divario  30  con il Centro-Nord. Al tempo stesso, il Sud si trova in un paese nel  suo complesso troppo forte per continuare ad avere lo stesso livello di  sostegno europeo che ha avuto fino all’allargamento, e cede al  maggior titolo che hanno i nuovi arrivati sulle risorse europee.

È un  rischio reale che l’allargamento sia una scommessa vincente solo per  le aree forti del paese. Non basta affermare apoditticamente che sarà  una grande occasione, senza fornire alcuna dimostrazione sul punto.  E non dobbiamo commettere l’errore di lasciare questa bandiera nelle  mani della destra. 

L’eccessivo divario tra Nord e Sud penalizza dunque il Sud due volte.  All’interno, per la propria grave debolezza; e in Europa, per la grande  forza del Centro-Nord. Bisogna dire, con forza, che superare questa  condizione conviene a tutti: al Sud, certamente; ma anche al Centro-  Nord. 

Poniamoci quattro obiettivi. 

Il primo: creare condizioni effettive per cui ogni delocalizzazione si  faccia non verso altri paesi, ma verso il Mezzogiorno. Definiamo con  precisione le condizioni normative e fiscali di vantaggio che rendano  questo obiettivo realizzabile, e poniamo in sede europea il problema  con la forza necessaria. 

Il secondo: creiamo condizioni effettive per cui il lavoratore del Sud  abbia nei fatti, e non in teoria, gli stessi diritti, le stesse garanzie, le  stesse retribuzioni del lavoratore del Nord . Combattiamo anche, a tal  fine, con decisione il lavoro nero, ponendo le condizioni per  l’emersione da un lato, e per i controlli e le sanzioni necessarie  dall’altro. 

Il terzo: creiamo le condizioni effettive per utilizzare al meglio le  risorse proprie del Mezzogiorno, con forti politiche nazionali selettive  e mirate sulle questioni che non possono essere lasciate allo  31  spontaneismo regionale e locale: politiche industriali, per le risorse  storiche e paesaggistiche, per la risorsa mare, per la riqualificazione  dei centri urbani, per il recupero ambientale, per i trasporti e le  infrastrutture, per l’innovazione tecnologica, per la sicurezza. 

Il quarto: diciamo alle donne e agli uomini del Sud che il  centrosinistra non guarda solo alle politiche per lo sviluppo e non  parla solo alle imprese, ma anche a loro come persone, alla loro  qualità della vita rispetto a chi vive nel Centro e nel Nord del paese. 

Scriviamo come esplicito punto di programma la pari opportunità per  i giovani e le donne del Sud nella scuola, nel tempo libero, nello  sport, nel lavoro. Impegniamoci per un pari livello di assistenza per  gli anziani, e per ridurre il numero delle famiglie del Sud in  condizioni di povertà, tanto da riportarlo nella media nazionale.  Promettiamo a ogni bambino del Sud la stessa qualità di servizio  scolastico, e una pari disponibilità di spazi per il gioco.    

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DEMOCRATICI DI SINISTRA
L’ECOLOGIA FA BENE ALLA SINISTRA E ALL’ITALIA

Mozione proposta dagli ecologisti Ds
per il III Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra


2. Il destino del Mezzogiorno è nelle sue risorse

In questi anni la destra, vera erede storica del vecchio “partito della spesa pubblica”, ha riproposto nel Mezzogiorno la cultura dell’assistenza, della protezione e della conservazione come sistema di governo. Mentre è apparso sempre più chiaro che la sua testa, il suo cuore e anche il suo portafoglio sono saldamente collocati nel nord del paese. L’ultima Finanziaria ne è la prova lampante.

Occorre nuovamente affrancare il Sud da una condizione di dipendenza, riportandolo in Italia, in Europa e nel Mediterraneo. Occorre ricostruire un quadro di ragionevole ottimismo, di una  “profezia credibile” che spinga i giovani a investire sulla propria formazione, le imprese a investire sulla qualità, le istituzioni pubbliche a investire sull’efficienza. Che spinga a piantare “nuovi alberi”, senza farli sradicare dalle ruspe della criminalità mafiosa, degli interessi corporativi, dei gruppi di pressione clientelari.

Vanno sostenuti i cittadini, le organizzazioni e tutte le forze dello Stato in prima linea nella lotta alle mafie e alla grande criminalità. Quando è modesta la garanzia della sicurezza e della legalità, quando sul territorio spadroneggiano le cosche, viene colpita al cuore qualsiasi  capacità e possibilità di sviluppo.

Al centro della politica meridionalistica poniamo la questione della qualità della spesa. Non ci stancheremo mai di insistere su questo tasto.

In passato massicce risorse pubbliche sono state usate per compensare le imprese degli svantaggi di un ambiente più sfavorevole. Questa strada si è rivelata un tunnel senza uscita, che ha perpetuato gli svantaggi. Vanno invece destinate risorse nazionali addizionali per ridurre questi svantaggi

Per costruire scuole migliori, per rafforzare la rete dei trasporti pubblici, per rinnovare le reti idriche, per costruire un sistema efficiente di riuso, riciclo e recupero dei rifiuti, per interventi di manutenzione urbana e del territorio, come pure per realizzare aree attrezzate per insediamenti  produttivi: per investimenti pubblici, insomma, volti a creare vantaggi collettivi e diffusi.

La posizione geografica, il suo capitale umano, le sue risorse naturali e culturali, infrastrutture moderne, possono rendere il Mezzogiorno un’area strategica dell’economia europea e mediterranea: soprattutto nella prospettiva della costituzione, alla fine del decennio, della zona di libero scambio euromediterranea.

Per vincere questa scommessa non servono regole e istituzioni speciali.
Servono classi dirigenti, amministrazioni e politiche di sviluppo locale che orientino e gestiscano correttamente i finanziamenti della collettività nazionale. Non basta costruire un acquedotto, se poi non si porta l’acqua nelle case.

A chi chiede se il futuro del Mezzogiorno è l’agricoltura, il turismo o l’industria, va risposto che il problema non è di quali settori, ma di infrastrutture e servizi di qualità. E che il problema non è solo di cosa produrre, ma di come lo si fa. E il Mezzogiorno può farlo bene, perché ha un grande potenziale da sfruttare e valorizzare: agricoltura di qualità e agroindustria, parchi naturali, siti archeologici, coste e montagne, culture artigiane, imprese che funzionano e università, le città, il mondo dei servizi a più alto valore aggiunto.
  

Fonte: https://www.dsonline.it/

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