Eleaml


Fonte:
https://www.rifondazione.it/

VI CONGRESSO PRC
Venezia, 3-4-5-6 marzo 2005
Il Mezzogiorno nelle mozioni presentate al Congresso
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Quando nelle mozioni non era presente un riferimento esplicito al Sud o alla "questione meridionale" abbiamo riportato - vedi il caso della mozione Bertinotti - una parte inerente la trasformaszione della società. Ovviamente la nostra scelta è arbitraria e personale, non pretende di interpretare la filosofia di rinnovamento del Partito della Rifondazione Comunista.

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MOZIONE 1

(primo firmatario: Fausto Bertinotti)
L’ALTERNATIVA DI SOCIETÀ
15 TESI PER IL CONGRESSO

13 Il programma dell’alternativa di società non è riducibile ad un programma di governo, neppure al più avanzato. Esso deve essere pensato come ad un programma di fase, deve poggiarsi su un discorso sul capitalismo italiano all’interno di quello europeo: il discorso su un declino e su una classe dirigente dimissionaria rispetto alla progettazione di futuro, che ricorre alle diverse lezioni del neoliberismo come galleggiamenti sulle crisi ed estremo adattamento ad esse. Il programma di fase è la messa a fuoco delle visioni dell’altra Europa e, in esso, dell’altra Italia, una visione di come la prefiguriamo tra 10-15 anni all’interno di quell’altro mondo possibile che il movimento di cambiamento ha intravisto. Il programma in questo senso generale di costruzione di alternativa di società non risiede solo (eppure sappiamo quanto è già difficile) nelle fissazioni di discriminanti programmatiche per una alternativa di governo alle destre, esso richiede l’elaborazione di un progetto politico e la costruzione di un processo per la trasformazione in cui il rapporto con lo sviluppo dei movimenti è la leva principale seppure non sufficiente. Questa è la ricerca che abbiamo intrapreso. Quello che proponiamo fin d’ora è l’orizzonte di questo cammino. Il suo punto di avvio può essere l’orizzonte del programma di fase delle forze del cambiamento per l’Europa intera e per ciascuno dei suoi Paesi, che deve assumere, in questa fase dello sviluppo capitalistico, un’ambizione alta, quella dell’uguaglianza. Esso si deve concretizzare in un’immediata rottura e inversione rispetto alla tendenza, caratteristica di questo nuovo ciclo capitalistico, all’aumento delle disuguaglianze per configurare una tappa impegnativa di avvicinamento all’uguaglianza tra le persone e di mutamento di fondo del rapporto tra le classi. Due obiettivi strategici debbono dar corpo a questa prospettiva: la conquista della piena occupazione e la conquista di una cittadinanza universale per tutte e tutti, sia nativi che migranti. Quest’ultima deve poggiare sulla messa in opera di un quadro di diritti sociali, civili e culturali esigibili e di altrettanto esigibili accessi garantiti per ognuno ai beni comuni: un nuovo stato sociale sopranazionale. Il lavoro salariato, in tutte le forme in cui oggi si presenta sia storiche che inedite, dovrebbe poter guadagnare in esso, e all’interno di una tendenza alla mondializzazione dei conflitti di classe, un nuovo statuto di democrazia, di potere e di libertà. Le lavoratrici e i lavoratori dovrebbero poter guadagnare, contro la tendenza degli ultimi due decenni, una nuova tappa nel processo di liberazione, attraverso la valorizzazione delle componenti cognitive e creative, dirette e indirette oggi contenute nel lavoro e la generalizzazione, seppur in diversi gradi, di quelle dirette. È necessario perseguire la conquista di elementi d’autogoverno sulle prestazioni lavorative e sul rapporto tra tempo di lavoro e tempo di vita. È necessario conquistare, contro la flessibilità, elementi di “rigidità” per la soddisfazione dei propri bisogni individuali e collettivi da cui far scaturire nuove forme di controllo sociale e di democrazia diretta e partecipata. Questa ricerca sul campo delle lotte come quella del soggetto della trasformazione, il nuovo movimento operaio, sono le possibili levatrici della sinistra di alternativa in Italia e in Europa.


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MOZIONE 2
(primo firmatario: Claudio Grassi)
ESSERE COMUNISTI

TESI 16 LA “QUESTIONE MERIDIONALE” OGGI E IL RILANCIO DEL MEZZOGIORNO

Il tema del Mezzogiorno possiede un rilievo specifico nel quadro degli obiettivi qualificanti l’azione di un nuovo governo di centrosinistra. Qualunque confronto programmatico e culturale sul presente e sul futuro dell’Italia non può quindi che trovare uno dei suoi temi qualificanti nella questione meridionale, intesa come grande questione nazionale. La questione meridionale è stata derubricata negli ultimi anni dall’agenda della politica a causa dei cedimenti delle forze democratiche e dell’aggressività del blocco conservatore che, seppur differenziato al suo interno sul piano degli interessi sociali e territoriali, tende a ricompattarsi sotto la spinta antimeridionale della Lega. Tale rimozione coincide – paradossalmente – con il continuo inasprirsi (nel corso dell’ultimo decennio) di quel divario economico e sociale tra il nord e il sud del Paese che, se di per sé costituisce un carattere originario dello sviluppo capitalistico italiano, oggi si carica di connotati ancor più dirompenti. Da un lato, infatti, pur di raggiungere i loro obiettivi, le forze di governo si mostrano disponibili a percorrere persino la strada della divisione del Paese; dall’altro, avendo acriticamente sposato la tesi della presunta fine dello Stato nazionale, gran parte della sinistra sembra sottovalutare la gravità dei pericoli che ne discendono. La strategia di tali forze – espressione di un nuovo blocco di segno fortemente liberista e classista – affida al sud il ruolo di un’area di “modernità squilibrata”, di flessibilità, di precarietà, di alti tassi di disoccupazione e di illegalità diffusa. A riprova di ciò, l’attuale governo e le forze economiche dominanti pensano al sud come un territorio in cui applicare la politica speculativa delle grandi opere, di cui è esemplare testimonianza il faraonico progetto del ponte sullo Stretto. In questo modello di governo, un ruolo chiave – di controllo del territorio e di sostegno militare ai locali gruppi politici dominanti – è affidato alle mafie e alla criminalità organizzata. Contro di esse occorre sviluppare una battaglia che dev’essere assunta come questione nazionale, poiché nelle regioni meridionali la sconfitta della mafia siciliana, della camorra, della ‘ndrangheta e della sacra corona unita è essenziale per disarticolare il blocco di potere dominante e per affermare la democrazia e lo sviluppo. Sempre più decisivo diviene infine, in questo quadro, il ruolo dell’Europa che, con le sue politiche ispirate al “Patto di Stabilità”, penalizza le aree più deboli dell’intero continente (a cominciare dai lavoratori agricoli del nostro Mezzogiorno). Contro il blocco conservatore e le sue scelte, che rischiano di emarginare definitivamente le regioni meridionali dai processi di sviluppo del Paese, è compito dei comunisti oggi indagare le nuove specificità del Mezzogiorno: non solo rilevarne i ritardi e metterne in evidenza la nuova funzione di laboratorio di sperimentazione del più feroce neoliberismo, ma anche porne in risalto i bisogni e le potenzialità. Nell’ambito della questione meridionale occorre rilanciare la “questione sarda” attraverso il riconoscimento dell’identità di un popolo e delle sue istanze di autogoverno. Occorre valorizzare le risorse esistenti (il turismo, la cultura, l’ambiente), ma c’è soprattutto bisogno di massicci investimenti per lo sviluppo del Mezzogiorno, nella lotta contro la disoccupazione strutturale di massa e nei campi delle politiche industriali, dell’agricoltura (potenziando le colture biologiche), delle infrastrutture, della ricerca e dell’innovazione tecnologica, del credito, dell’istruzione e della formazione culturale. L’intervento dello Stato – che deve tornare ad essere centrale senza però ripetere le storture della Cassa per il Mezzogiorno – va indirizzato verso il superamento di arretratezze e ritardi che rischiano di divenire ancor più drammatici tra qualche anno, quando il Mediterraneo diventerà un’area di libero scambio. Il Sud ha bisogno di opere pubbliche capaci di disancorarlo dalla sua dipendenza; basti pensare allo stato arretrato delle autostrade, alle condizioni infelici delle linee ferroviarie, alle carenze di approvvigionamento idrico delle grandi città, alle quali non sono estranei precisi interessi politico-mafiosi. Per la rinascita del Mezzogiorno è necessario creare un vasto schieramento di forze politiche e sociali e di movimenti che, a partire dalle mobilitazioni operaie e popolari di Termini Imerese, Melfi, Scanzano, Rapolla e Acerra (espressioni tra loro molto diverse, ma segni, tutte, di una nuova consapevolezza degli interessi e dei diritti del Mezzogiorno), si ponga l’obiettivo di una profonda trasformazione della società meridionale.


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MOZIONE 3
(primo firmatario: Marco Ferrando)
PER UN PROGETTO COMUNISTA

Cacciare Berlusconi dal versante dei lavoratori e non dei padroni Rompere col centrosinistra confindustriale per un polo anticapitalistico autonomo e unitario Costruire il Prc come partito dell’opposizione di classe



2) PER UN’ALTERNATIVA DI SOCIETÀ E DI POTERE. L’ALTERNATIVA È ANTICAPITALISTICA O NON È

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Questo programma generale di vera alternativa è vitale, in particolare, per il riscatto del Mezzogiorno. La crisi capitalistica e l’integrazione capitalistica dell’Europa hanno comportato un’autentica precipitazione delle condizioni di vita delle masse meridionali (disoccupazione, precariato dilagante, emarginazione femminile, nuovo sviluppo di una criminalità organizzata che si nutre sia della liberalizzazione capitalista, sia della miseria e ricattabilità sociale). Tutte le promesse del meridionalismo borghese di centrodestra e di centrosinistra hanno fallito. Non c’è riscatto possibile delle masse meridionali senza misure radicali che cancellino le leggi della precarizzazione, sanciscano la punibilità penale dei padroni che sfruttano lavoro nero, impongano la trasformazione dei rapporti di lavoro di tipo precario in rapporti a tempo indeterminato, determinino un massiccio sviluppo della spesa sociale nel sud sotto controllo popolare. Non c’è riscatto del Sud senza misure radicali che colpiscano potere e proprietà delle grandi banche, vere organizzatrici della rapina del meridione, e delle grandi imprese a partire dalla Fiat (le cui leve di potere nel sud spaziano dal supersfruttamento operaio alla gestione affaristica ed antiambientale dello smaltimento dei rifiuti, v. Acerra) È vero: questo programma di alternativa non è conciliabile col quadro di compatibilità del capitalismo italiano e della UE. Ma questo dimostra una volta di più la necessità di superare l’illusione neoriformista di un’Europa sociale in ambito capitalistico. L’alternativa è anticapitalistica o non è, su scala sia italiana che europea. E chiama la prospettiva di un’alternativa di potere. Se le classi dirigenti d’Italia e d’Europa hanno fallito, incapaci di prospettare qualsiasi prospettiva di progresso, spetta ai lavoratori, ai giovani, al blocco sociale alternativo emerso nelle mobilitazioni di questi anni rifondare su basi socialiste la società italiana ed europea. La lotta per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia – unica vera alternativa – avrebbe un’enorme ricaduta su scala europea ed internazionale. E solo una lotta per un governo dei lavoratori, che congiunga gli obiettivi immediati alla prospettiva anticapitalistica può difendere vecchie conquiste e strappare nuovi risultati. Viceversa la rinuncia alla prospettiva di un’alternativa di potere, quindi l’accettazione del potere esistente, condanna le classi subalterne all’arretramento delle proprie condizioni e al vicolo cieco della sconfitta.


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MOZIONE 4

(primo firmatario: Gigi Malabarba)
UN’ALTRA RIFONDAZIONE È POSSIBILE

2. LA RESISTENZA DEI MOVIMENTI

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2.2. Vecchio e nuovo movimento Dopo questo primo ciclo si è affacciato più nettamente il conflitto operaio e sociale che, anche sull’onda dei Forum sociali, ha recuperato un nuovo protagonismo. Le lotte contro la riforma sociale e della scuola in Francia; quelle contro l’”Agenda sociale” di Schroeder; gli scioperi generali in Spagna e Grecia; il subbuglio nel movimento sindacale inglese; le lotte dell’America latina e del sud est asiatico o persino negli Stati Uniti; e, infine, un nuovo ciclo di lotte in Italia di cui la vertenza Melfi esprime il simbolo. L’intero pianeta è stato attraversato da un risveglio proveniente dal mondo del lavoro sia nella sua classica espressione operaia sia nelle forme inedite della moderna composizione di classe (valga per tutti l’esempio dei piqueteros argentini), quasi tutte con un’alta percentuale di giovani. Il movimento globale ha favorito questa dinamica ma non ha ancora garantito, e del resto non poteva, il collegamento diretto tra le lotte, su scala nazionale e internazionale; la saldatura tra vecchio e nuovo movimento operaio; il rinnovamento dei gruppi dirigenti. Lo stato della lotta di classe e quello del movimento “no global” hanno finora disegnato un quadro desincronizzato in cui l’unico elemento di connessione è rappresentato dal senso politico comune: il movimento “no global” ha contribuito, forte anche del suo spiccato carattere etico, a far cambiare giudizi e opinioni sul carattere del liberismo e della guerra, senza però arrivare nelle viscere della odierna condizione di classe. Il nuovo movimento operaio è ancora da costruire.

2.3. Melfi e la necessità di vittorie Quello che può contribuire a collegare le lotte, a saldare il gap generazionale, a rinnovare i gruppi dirigenti (il grosso del movimento operaio è appannaggio di direzioni riformiste), sono alcune vittorie, anche parziali. Il caso di Melfi è esemplare per questo: lì, in presenza di una vittoria tutti gli elementi di crisi si sono presentati in una prospettiva più avanzata, compreso il nodo del rinnovamento delle avanguardie. L’ottenimento di vittorie, il segno di una controtendenza possibile rappresenta oggi la priorità dei movimenti, la priorità della nostra agenda. Ottenere vittorie, però, non è facile se non si risponde, per lo meno, all’attuale fase di frammentazione dello scontro sociale, non risolta nemmeno dalla spinta ricompositiva operata dai Forum sociali. Nonostante il successo di appuntamenti importanti come Porto Alegre, Firenze, Mumbai, Londra, il collegamento tra lotte analoghe è ancora fragile; non esistono campagne comuni, né a livello locale, né sul piano internazionale. Si pensi alle vertenze del lavoro in Italia, a quelle di difesa ambientale come Scanzano o Acerra, o all’attacco concentrico contro lo stato sociale in Europa. Esiste la necessità di elaborare un’offensiva, anche sul piano programmatico, per ottenere avanzamenti reali della lotta di classe, strappare conquiste significative, realizzare un nuovo clima di fiducia e di slancio delle lotte stesse.


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MOZIONE 5

(primo firmatario: Claudio Bellotti)
ROMPERE CON PRODI PREPARARE L’ALTERNATIVA OPERAIA

IL RISVEGLIO OPERAIO IN EUROPA E IN ITALIA

Seppure in condizioni e con ritmi molto diversi, assistiamo anche a un vero e proprio risveglio del movimento operaio europeo. Italia, Francia, Spagna, Grecia, Germania, Olanda, Austria, Gran Bretagna… in un paese dopo l’altro abbiamo assistito al ritorno dei lavoratori sulla scena con gigantesche manifestazioni, scioperi, scioperi generali. Queste mobilitazioni ci dicono che è in campo una nuova generazione, che comincia a lasciarsi alle spalle gli anni delle sconfitte e della concertazione. Il processo è particolarmente chiaro in Italia. Accanto alle gigantesche mobilitazioni per l’articolo 18 prima e contro la guerra poi, abbiamo visto anche una serie di vertenze locali estremamente sintomatiche. Le mobilitazioni che si sono seguite, partendo dalla lotta della Fiat nel 2002, in particolare a Termini Imerese, proseguendo con i momenti più avanzati della lotta dei metalmeccanici per il contratto e lotte degli autoferrotranvieri, dei siderurgici di Terni e Genova, e da ultimo (per ora) la lotta di Melfi sono significative non solo per i risultati raggiunti, che sono stati diversificati, ma perché indicano le caratteristiche della nuova fase, e precisamente:

1) La disponibilità ad utilizzare metodi di lotta radicali, sfidando le varie leggi antisciopero, le ordinanze prefettizie, le multe, la repressione poliziesca e rompendo le “regole del gioco” dettate non solo dai padroni e dal governo, ma anche dalla politica concertativa seguita per tanti anni dai vertici sindacali.

2) L’estesa solidarietà che hanno trovato nella popolazione, fra i lavoratori ma non solo, in forte contrasto con lotte anche lunghe e condotte con coraggio negli anni scorsi, che però facevano fatica a trovare un appoggio attivo al di fuori dei cancelli.

3) Il ruolo di punto di riferimento che hanno svolto, per cui l’idea che “bisogna fare come i tranvieri” oppure “bisogna fare come a Melfi” diventava il modo più chiaro e popolare anche in settori non direttamente coinvolti dalla mobilitazione per esprimere l’esigenza di una lotta intransigente e decisa a strappare il risultato.

4) Il riflesso anche su mobilitazioni non direttamente operaie, che hanno interagito con queste lotte di fabbrica: Scanzano, Acerra, la lotta in difesa della scuola pubblica, e via di seguito. È indiscutibile che senza il risveglio operaio che si è manifestato in questi anni non si sarebbero date neppure le condizioni per questo genere di mobilitazioni sul territorio. Di particolare importanza a questo riguardo sono le lotte degli immigrati, sia attorno alle loro specifiche rivendicazioni, sia con la loro partecipazione sempre più numerosa alle mobilitazioni generali del sindacato, del movimento contro la guerra, ecc. Tali esperienze di lotta avanzate hanno finora riguardato settori specifici della classe e non ancora il movimento operaio nel suo insieme. Si pone pertanto la domanda se tali mobilitazioni siano solo fenomeni isolati, oppure il preannuncio di un movimento più ampio. Domanda alla quale facilmente si può rispondere con un’altra domanda: quante Melfi, quante Atm di Milano, quante Termini Imerese esistono potenzialmente oggi in Italia? Quante Scanzano e quante Acerra possono esplodere, considerata la situazione economica, salariale, occupazionale e sociale in generale? Ci pare che la domanda si risponda da sola. Queste lotte rispondono una volta per tutte a tutte quelle posizioni che proclamavano la fine della lotta di classe, che teorizzavano come la precarizzazione avrebbe impedito la lotta collettiva dei lavoratori, che dichiaravano che a Melfi la Fiat era riuscita a mettere in piedi la “fabbrica integrata e aconflittuale” e tante altre dannose idiozie con le quali l’intellettualità di sinistra, anche “radicale”, tentava di giustificare la propria impotenza politica e il proprio opportunismo. Se la politica di lacrime e sangue degli anni ’90 è stata deleteria per tutto il proletariato italiano, per quello meridionale è stata devastante. Il 75% delle famiglie povere si concentra al sud, la disoccupazione è al 18% contro la media nazionale del 9% e tocca il 49% per i giovani sotto i 24 anni, mentre 450mila famiglie meridionali non vedono nemmeno un occupato tra le proprie fila. L’idea che l’Italia abbia ereditato un sud irrimediabilmente arretrato è falsa. La borghesia italiana per 150 anni ha fatto del sud la propria colonia e questo, sia pure in forme parzialmente nuove, continua ad essere vero oggi. Il mezzogiorno continua ad essere riserva di manodopera a basso costo sia attraverso una forte ripresa dell’emigrazione al nord durante gli anni ’90 (con punte di 90mila unità all’anno), sia attraverso lo sviluppo di poli industriali come Melfi, sulla base dei bassi salari e delle massicce sovvenzioni statali. A fianco a questo sfruttamento della forza lavoro meridionale vediamo altre forme di sfruttamento: il territorio saccheggiato dai grandi specultaori o usato come discarica (Scanzano), la salute dei cittadini e dei territori messa a disposizione dell’eco-business (Acerra), le nuove servitù militari (Maddalena). Oggi però vediamo finalmente il rovescio della medaglia: finisce l’epoca della rassegnazione e si manifesta una ribellione diffusa e una grande disponibilità dei lavoratori e del popolo meridionale a rendersi protagonista di mobilitazioni che si pongono all’avanguardia nel panorama nazionale. Oggi il sud è alla testa delle mobilitazioni operaie e popolari (Termini Imerese, Melfi, Polti sud, Scanzano, Acerra) e avrà un ruolo decisivo in futuro, da qui il bisogno che il Prc impegni risorse ed energie per costruire e radicare il partito tra le massi meridionali.

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Fonte: https://www.rifondazione.it/

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