Eleaml


Roberto Sgarzi
L’Italia e le Tre Italie
Sulle differenze fra gli italiani
Brevi cenni sulle differenziazioni, culturali, sociali e politiche nelle storie
dell'Italia settentrionale, centrale e meridionale dall'antichità al 1955

Edizioni Pendragon, 2001
www.pendragon.it
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Pag.  141


I "lager" degli italo-piemontesi destinati ai soldati meridionali

Ma perché mai i difensori di Civitella non si arresero alle fraterne truppe italo-piemontesi del generale Ferdinando Pinelli, poi insignito della medaglia d'oro al valor militare? Qual era cioè il trattamento che si riservava a quei prigionieri? Il trattamento era durissimo, ma era spietato soprattutto per coloro che avessero troppo a lungo ritardato la loro resa ai regolari (come nel caso di Civitella del Tronto), o che continuassero a mantenere fede al giuramento e al patto d'onore che ancora sentivano vincolante nelle loro coscienze per il loro re, il loro stato, la loro cultura e la loro collettività.

Per quelli, i "regolari" non avevano pietà.

Logico quindi che i soldati napoletani fuggissero da quelli che erano sicuramente concepiti come aguzzini, per via delle torture e delle fucilazioni in massa che, ormai si era venuto a risapere, avevano gravato sulle popolazioni della zona. Logico che essi si unissero con i locali, nei classici vestiti dei contadini locali (ciocie e cappelloni), logico che si facessero aiutare da quei locali, padroni dei monti e degli anfratti più nascosti, che soli potevano insieme a loro trovare cibo, acqua e salvezza.

Già... salvezza perché per un soldato napoletano in fuga (insomma quelli del... "tutti a casa!") la cattura da parte degli italo-piemontesi poteva significare o la fucilazione immediata, oppure la spaventosa lunghissima prigionia in uno dei campi, i terribili "lager" numerosi e di varia natura che riprendo dall'interessante già citato libro di Izzo e anche dal pure interessante, ma meno credibile, I Savoia e il Massacro del sud di Antonio Ciano.

Il sistema di deportazione dei soldati napoletani

L'esercito napoletano, al momento del suo collasso, constava in circa 97.000 uomini. Di questi circa 27.000 furono catturati e trasportati in campi al nord.

Si cercò di convincere i 72.000 rimanenti a presentarsi con un bando che univa blandizie a minacce, ma si ottenne la presentazione di soli 20.000 uomini.

Furono ben 50.000 quindi i soldati che sfuggirono alla cattura e che andarono errabondi alla macchia in tutto il sud, inseguiti da un esercito duro, crudele e risoluto.

I prigionieri venivano variamente concentrati, specie nelle isole del Tirreno, da lì caricati su navi italiane e condotti principalmente nei porti di Genova, Ancona e Rimini. Varie sono le descrizioni di cronisti dell'epoca circa le condizioni, che paiono veramente disumane, nelle quali avvenivano questi trasferimenti e che ricordano i più recenti carri bestiame verso Auschwitz.

Particolarmente descrittive sono le pagine riportate da «Civiltà cattolica», che allora si dilungarono sull'argomento.

«Italia, o meglio negli stati sardi, esiste proprio la tratta dei Napoletani. Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in gran quantità, si stipano ne' bastimenti peggio che non si farebbe degli animali e poi si mandano a Genova. Trovandomi testé in quella città ho dovuto assistere ad uno di que' spettacoli che lacerano l'anima. Ho visto giungere bastimenti di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti: e sbarcati vennero distesi sulla pubblica via come cosa da mercato.

Spettacolo doloroso che si rinnova ogni giorno in Via Assarotti dove vi è un deposito di questi sventurati.

Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri di Fenestrelle: un ottomila di questi antichi soldati Napoletani vennero concentrati nel campo di San Maurizio".

Nel giornale «L'Armonia» del 3-9-1861 è scritto: "A Rimini il mal umore dei soldati giunge fino alla disperazione di darsi la morte. Parecchi si sono annegati nel mare volontariamente. Sicché dovettero le autorità porre delle guardie in piccole barchette per impedire simili eccessi".

Altri episodi sono descritti nella stampa dell'epoca e riportati nel libro di Fulvio Izzo: “Sabato erano tradotti nella cittadella di Alessandria una quantità di soldati napoletani stretti a due a due da una lunga catena, perché rei di essersi ammutinati e di aspirazioni al loro sovrano".

Non tutti i prigionieri subivano lo stesso trattamento, la qualità del quale, pare di capire, era determinata da vari parametri: la disponibilità del soggetto alla "rieducazione", l'età, l'appartenenza a truppe che avevano opposto resistenza, grado, arma, fedeltà dichiarata al re di Napoli ecc.

I "campi di prigionia" erano molti e tutti in territorio sicuro, cioè Alessandria, Bologna Casaralta, Milano e altri come Torino San Maurizio.

Quest'ultimo, comandato da un "duro", il generale Decavero, era veramente gigantesco, destinato ad accogliere migliaia e migliaia di prigionieri.

Ma se per tutti i prigionieri la vita era durissima, per gli irriducibili e i disertori era un vero dramma.

Quando e se venivano catturati questi ultimi erano esposti al ludibrio della folla nei vari centri emiliani, lombardi, liguri o piemontesi e le angherie allora erano molte e ben documentate.

Nelle Romagne il passaggio di ex prigionieri napoletani disertori dall'esercito italiano, oppure componenti l'esercito pontificio, determinava grande turbamento, per disprezzo per i primi e per l'odio colà esistente per le divise dei secondi.

I tentativi di linciaggio erano frequenti. Sempre «Civiltà cattolica» lamenta che "anche la colta Bologna non fu immune da questo turpe comportamento".

Per i disertori sfortunati, che non riuscissero a giungere in territorio austriaco (pare che 4000 napoletani siano riusciti a guadagnare il suolo Veneto, allora ancora austriaco), o francese e per i refrattari al reindottrinamento... c'era l'inferno in Terra, un luogo paragonabile alla Siberia, un posto dal quale uscire vivi era fatto difficile: il forte prigione di Fenestrelle.

Si trattava di un'enorme fortezza sulle Alpi ove le condizioni di vita erano impossibili, ove fame e malattie mietevano vittime, ma soprattutto ove il freddo glaciale, a fronte delle povere giubbe in tela assegnate ai prigionieri, era già una tortura.

Toccante una lettera, riportata da Fulvio Izzo, di un pastore valdese che impietosito dalle orribili condizioni in cui versavano i prigionieri che, incatenati e in colonna si avviavano a quella fortezza, riuscì a scambiare alcune parole con un ufficiale papalino. Questi gli disse: "Penso che un traditore sia sempre da considerare un uomo spregevole; io avevo giurato di difendere la bandiera del papa e l'ho fatto fino alla fine".

Quindi ancora una volta erano i migliori, i più dignitosi ad essere perseguitati e i voltagabbana ad essere invece premiati con la vita, una divisa pulita e asciutta e un pasto caldo! Sembra di capire che dopo un periodo di "rieducazione" e anche diciamo pure di riaddestramento a nuove divise, nuove armi, gradi, lingua e cultura, la maggior parte dei sopravvissuti a condizioni disumane veniva accorpata a reparti dell'esercito regolare già in essere, in numero talmente diluito da potere sempre controllarne l'operato.







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