Eleaml


I martiri per l'indipendenza d'Italia:
storia degli sconvolgimenti - Volume 3

Di A. Mugnaini
FIRENZE
PRESSO LORENZO DUCCI EDITORE

1862
(se vuoi, puoi scaricare l'articolo in formato ODT o PDF)

Pag. 314


I soldati del re Vittorio avanzavano sempre battendo l'inimico; e l'inimico indietreggiò infino al ponte di Mola. E questa posizione situata in mezzo di un' albereta a fitto fogliame; talché di colà non più scorsero i Piemontesi la squadra; ed ecco allora si dové far alquanta sosta, onde non danneggiare né uccidere i compagni. I messaggi però corrono, e indi a non molto ecco la squadra novellamente allo scaglio. Si bene allora l'artiglieria di mare lavorò, che le posizioni degli avversarii vennero immantinente distrutte. Grande e generale si fece allora lo scompiglio nel campo di re Francesco; e vedendo non esservi altro scampo fuorché rinchiudersi in Gaeta, i Napoletani fuggendo a gran corsa ivi riparano; e siccome una sola'via non parve loro sufficiente, molti gettaronsi a nuoto per giungere più presto in quella piazza.

In quel dì era il Le Barbier de Tinan colla sua francese squadra in tal pareggi: ed avea sette legni da guerra e cinquecento pezzi d'artiglieria. Certo che quell'ammiraglio teneva ordine di proteggere il Borbone, poiché volle che la squadra italiana rimanesse in distanza dai borbonici fuggenti. Che se avesse il Persane agito coni'era suo desiderio, tutti i militi di re Francesco, tronca la ritirata, sarebbero in quel giorno caduti nelle mani dei vincitori.

Né tutte le schiere del re di Napoli poterono entrare in Gaeta; ma tostamente inseguì i fuggitivi il De Sonnaz, ed attaccatili tra Liri e Fondi tolse di viva forza due fortini in un colle loro artiglierie.

Ottenute queste vittorie, Capua fu costretta a capitolare: e gli undici mila combattenti che vi erano dovettero esser prigionieri di guerra. Oltre di che vennero in mano dei regii di re Vittorio dugento novanta cannoni, ventimila fucili, cento e sessanta affusti, cinquecento cavalli, munizioni da guerra e da bocca, e magazzini di vestiario. Macilenti erano i soldati del forte, poiché ridotti a mezza fazione.

Ora, nelle giornate da Isernia a Capua. i riscontri ufficiali portarono la cifra dei prigionieri borbonici a circa sedici mila; laonde coi quindici mila Napoletani fuggiti verso gli stati della S. Sede, l'ammontare delle perdite in uomini fu per re Francesco di circa trentadue mila. Epperò dentro Gaeta riparò soltanto un venti battaglioni di militi.

Mentre fatti strepitosi si operavano dall'esercito garibaldino al Volturno, e da quello del re al Garigliano il generalissimo dei volontarii rese omaggio al gran soldato d'Italia, Vittorio Emanuele. Laonde il prode Cialdini al mattino del 26 ottobre recossi a Caserta da Garibaldi. Ma egli, come colui che volea comparire con divisa di generale del re d'Italia, disse, voler prima andare a Napoli onde vestirsi coll'uniforme dell’armata settentrionale. Al che Cialdini:

— Il re ama vedervi nella vostra caratteristica e omai storica divisa. — Garibaldi udito ciò non fé più motto. Chiamati a se Sirtori ed altri ufficiali di stato maggiore più confidenti, trottò con Cialdini al quartier generale del re. E Vittorio veduta da lungi la comitiva dei cavalieri tutto festoso le mosse incontro. Garibaldi allora toltosi il cappello, ed alzandolo e salutando esclamò:

— Salute a voi o re d'Italia. E sua maestà rispose:

— Salute a voi, mio migliore amico. —

Cortesi e cordialissimi furono i complimenti tra re Vittorio e il Dittatore. E uno scoppio fragoroso d'applausi udissi allora da tutto l'esercito che si commosse fino alle lacrime a quella vista. E il re in quella Decorrenza parlò franche parole. Disse:

Trovarsi egli nel suo proprio e vero elemento: soldato amare di vedersi in mezzo a' suoi soldati: annoiarlo le formule e i raggiri della diplomazia, e le sofisticherie degli avvocati: preferire i cannoni ai protocolli, ed essere persuaso avrebbe il cannone e non le note terminata e sciolta la questione italiana.

Nel di susseguente si fece il re all’accampamento dei garibaldini a S. Angelo; ed allora le acclamazioni si ripeterono, che furono frenetiche. Viva il re d'Italia era il grido d'entusiasmo che usciva dalla bocca di tutti con espansione d'anima.

Passato alquanto il primo entusiasmo, mentre il re di ventidue milioni d'Italiani passava in rivista le schiere coll'eroe di Caprera disse a lui:

— Ebbene, generale, come vanno le vostre truppe?

— Sire, sono stanche per le fatiche: battonsi per fare la Italia da cinque mesi a questa parto.

— Ben lo credo o generale. Si sono stanche; ma questi giovani guerrieri sono ammirabili, imperocché si sono sempre battuti da eroi. —

Poscia il re parti, e una salva d'applausi fece nuovamente intronar l'aria.










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