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Soldati napolitani sbandati e prigionieri politici
nei primi anni di vita unitaria

La coltre di silenzio calata sulla guerra civile combattuta del decennio 1860-1870 fra Nord e Sud della neonata Italia,  riguardò in particolar modo il problema dei prigionieri - fino alla proclamazione del Regno d'Italia a Fnestrelle ad esempio si trova sulle schede di decesso dei soldati in nostro possesso " Soldat prisonnier de guerre napolitain". Che la dice lunga sulla cosiddetta liberazione del mezzogiorno da parte delle truppe piemontesi.

Quanti furono? Dove vennero tenuti? Come vennero trattati? Furono decine di migliaia i prigionieri e decine di migliaia probabilmente anche i morti.

Se si escludono alcuni articoli della Civiltà cattolica che ne parlarono, la pubblicistica patriottarda troppo impegnata a cantare le gesta garibaldesche e l'abbattimento del "tiranno" borbonico non se ne curò affatto.

L'unico testo che in centocinquantanni ha cercato di gettare un po' di luce su questa pagina buia di storia patria è stato I LAGER DEI SAVOIA di Fulvio Izzo, Editore Controcorrente 1998.

Nei testi dell'epoca solo vaghi cenni, anche negli articoli della Civiltà Cattolica dove se ne parla non si trovano numeri - a parte una indicazione relativa a 20000 prigionieri gettati nelle carceri in Sicilia - e l'unica opera in cui abbiamo trovato delle indicazioni numeriche abbastanza credibili è Cronaca della guerra d'Italia - parte quinta.

Il calvario dei prigionieri napolitani - classificati come sbandati dalla burocrazia piemontese che affidò ad una commissione insediata a Genova il loro destino - forse non sarà mai chiarito del tutto. Molti documenti o non furono redatti o furono successivamente distrutti (lo stesso Izzo cita il caso di una busta vuota con la dicitura Campo di San Maurizio nell'archivio dell'AUSSME) per motivi di "alta polizia" se vogliamo parafrasare il Durelli di Colpo d'occhio su le condizioni del reame delle due Sicilie nel corso dell’anno 1862, un testo da leggere, recentemente fatto ristampare su iniziativa di Vincenzo D'Amico.

Ci apprestiamo a festeggiare il 150 della unificazione, si sono tirate fuori dagli armadi verità scomode riguardanti le ex-colonie, la resistenza, ma quando si parla di risorgimento i cattedratici - soprattutto quelli di origine meridionale! - fanno quadrato, si rinchiudono in fortilizi di falsità e di menzogne e non vogliono sentir pronunciare la parola "revisionismo" Al punto che per evitare i loro strali altri studiosi si tengono lontani da convegni in cui si osi discutere delle vicende risorgimentale in maniera critica.

Tutto questo rappresenta l'ultima trincea della menzogne risorgimentaliste, le verità dilagano sulla rete - a volte con eccessi che non ci aiutano, ma ciò è dovuto a quegli accademici che invece di collaborare e riportare a galla verità se ne lavano le mani, ipocritamente, non si sa se più per convinzione o per bieche convenienze.

Zenone di Elea - 5 aprile 2010










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