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RIVISTA CONTEMPORANEA
POLITICA — FILOSOFIA — SCIENZE STORIA
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VOLUME VIGESIMOQUINTO
ANNO OTTAVO

TORINO
DALL'UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE

1861

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CORRISPONDENZA DA NAPOLI


15 maggio 1861.


Ogni qualvolta è quistione di toccare le condizioni del Bel Paese napolitano, chiunque imprende a scrivere, esita fra l'incertezza e '1 timore d'offendere il proprio paese, ovvero di vituperare cni volendo favorirlo lo disfavorisce.

Napoli non è certo in preda a quegli eccessi che in Sicilia fanno abborrir talvolta anche il troppo vivo e rapido sentire, ma non si potrebbe dire che Napoli sia lieto. Le corse di cavalli, gli svariati saloni a ritrovi aperti a sera splendidamente, e i caffè gremiti di gente, cui non è impedito il libero uso della parola, la circolazione di ogni specie di opuscolo o di giornale, gli amori non contrastati, le simpatie seguite senza dar conto ad un indagator commessario di polizia, il potersi addare a qualsiasi branca di commercio senza andar pitoccando certificati, protezioni, grazie sovrane, questo diverso vivere infine mostra, anzi prova che noi non siamo più sotto il paterno reggimento dell'oppressione; ma tutto questo non è ancor quanto basta e quanto è indispensabile a rassicurare i cittadini onesti e le famiglia.

I Napolitani che per abito fanno sciupo de’  cinque sensi, han d'uopo di provare con tutt' i cinque sensi i miglioramenti della patria loro, e questi nuovi beni debbono (mi sia lecita la espressione) essere visibili, toccabili, ascoltatoli, gustatoli, e diciamo anche odorami, che non sarà una parola vuota di significato. Dobbiamo dire ad onore del vero che le cose visibili che accennino a miglioramento son qui scarse, poiché sono le gustabili, le palpabili rare. . . A dir corto, l'evidenza de’  miglioramenti recati nelle condizioni sociali, è assai nascosta. Pur tuttavia la presenza del Carignano rasserena molte fronti crespe e corrugate, e sebbené il partito dell'avversione vada mormorando che quel Principe egregio e cortese costi ben 40 mila ducati mensili; pur tuttavia non mancano di quelli che ricordano le sue sovvenzioni, qualche' conforto dato agli artisti ora languenti, e il concorso già chiuso e premiato del Gruppo rappresentante l'unità a" Italia, che ha tenuto in movimento tutti gli artisti scultori, meno i vecchi. Riporterà, speriamo, la palma dell'opinione pubblica il Liberti, giustamente prescelto dalla commissione, se al concetto corrisponderà del tutto l'opera compiuta con coscienza di lavoro.


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Anche dobbiamo notare un bel dono fatto da Eugenio di Savoja al nostro Museo, mentre i maligni mormoravano che volesse togliervi, anziché aggiungervi. Questo dono è formato dalla intera collezione degli scavi ed oggetti di arte antica e di pezzi archeologici raccolti dal defunto conte di Siracusa. Essi furono acquistati dal Luogotenente e donati al Museo Nazionale, quasiché volesse dirsi con questo bell'atto: « Non si dee strappare il fiore dalla sua terra natia, né i tesori di arte custoditi gelosamente dalla terra involar si debbono alla propria madre. Lode dunque a chi raccolse sì bei tesori, lode a chi serbolli e non gli sperse. Egli è utile, santa e giusta cosa il rispettare il culto delle arti, e noi che siamo ricchi di beni spesso abbandonati, andiamo in furia se per poco si minacci di strapparli a chi di diritto ne è possessore. Difatto, un giorno le famose porte di Castelnuovo, cioè dell'Arco di Alfonso da tanti scrittori di arte levate a cielo, non pure per la fusione fattane in tempi gloriosi, ma perché sono in esse porte raffigurate le guerre dei baroni centro Ferrante d'Aragona a Troja, a Melfi, ad Andria, e il costume armigero di quei tempi vi si trova egregiamente scolpito; un giorno, ripeto, si seppe per la città nostra che queste famose porte venivan tolte dai gangheri per recarsi a Torino. Cotal nuova agitò e scommosse nobili e plebei, tutte le classi preparavano già il loro ricorso, poiché l'Arco di Alfonso Aragonese e le sue porte sono un monumento che non s'incontra dapertutto; ma dopo molto andare e venire si seppe che si volevan meglio assicurare. E così avvenne di un famoso mortaio dello spedale della Trinità, dal quale si caveranno le forme per la Francia che le desidera; e certo non son cose da rifiutarsi, sebbene Ferdinando II avesse tutto ed a tutti sempre rifiutato. Queste sono state le agitazioni artistiche del paese, ma le agitazioni politiche non sono state in minor numero.

Le reazioni non ancor cessate han turbato cospicue provincie, non esclusi taluni siti della Basilicata, la quale si è tanto distinta per sentimenti italiani. Or sebbene l'onorevole e caro Bixio abbia in Parlamento detto che ne' tempi della Dittatura v'erano anche di così fatti disordini intorno e si esageravano grandemente, io senza esser Deputa. to risponderei al valoroso Bixio che quelle reazioni erano assai minori e di minor Importanza al confronto delle presenti. E il perché ne è chiaro. Allora gli sbandati e respinti militi, non andavan mendicando la vita; allora i veicoli di eccitamento non erano ancora aperti ed organati in ampia forma; allora le reazioni stesse non parean tanto necessario a' retrivi, perché si combatteva tuttavia con speranza di successo; ma oggi non più nelle armi, ma nelle agitazioni è riposta la fidanza del ritorno. Oggi che si scannano i sindaci, i capitani della Guardia Nazionale, per colpo di mano improvviso, e si brucian case come capanne, è ben altra la scena.


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I signori Sergio proprietarii in S. Anastasia ebber bruciata una bella cascina di ogni comodità fornita, e i ladri uniti agli incendiarii portavan via in una notte fin le tazze da caffè: l'incendio non fu mica casuale. A Portici altra casa fu data in fiamme per vendetta di alcuni sbandati contro un mereiaio: ma la Guardia Nazionale e la forza piemontese, e direi italiana, se non fosse in massima parte di piemontesi composta, non avesse spiegato tutto il suo zelo e la sua oculatezza per impedire che la feccia del popolo col pretesto di soccorrere non si fosse cacciata tra le fiamme a saccheggiare. Parecchi monelli che si lasciavan arder le mobiglie sulle proprie spalle per involarle tra fumo e faville, furon presi e tratti in mezzo di un circuito ove tutta la roba venia depositata. Il merciaio ricuperò non pure un suo cassetto con entro il frutto de’  suoi risparmii, ma ebbe a rivedere in piazza guardato da una fazione la sua mezza botte che avea sotto una panca, piena di monete di rame. Evidentissima pruova che lè stesse fiamme non sono cosi crudeli agli uomini, quando gli uomini accorrono a salvare i loro fratelli e non a profittare delle loro sciagure. Però, come dissi altravolta, e mi compiaccio di ripetere, le armi piemontesi a Napoli sono per condotta esemplari, non così le intelligenze politiche scarse e tapine. In parecchi mesi non cL è riuscito ancora d'incontrare anche presso le bettole e presso i venditori di spiriti e liquori un sol piemontese ubbriaco, quando eravamo avvezzi a vederne svizzeri, bavaresi e napoletani. Confessiamo realmente questa preminenza di truppa a truppa, ma Dio ne guardi dal dover confessare che gli uomini mandati a noi di fresco ad alti uffizii non dovessero venir giudicati assai da meno de’  nostri mediocrissimi. I tempi sono gravi e difficili. Gli sdegni antichi e nuovi, gli spiriti di parte suscitati dal bianco e dal rosso dan luogo tutto giorno a calunnie, ma v' ha molto del non saper fare e del gettar via danaro senza spiegarne nette le ragioni, e senza dar conto. E per soprassello si mutan gli uomini d'ora in ora, e chi siede oggi ad alto posto, va via domani, lasciando cose iniziate o mal cominciate; e chi viene dissoda di bel nuovo il terreno e sparge altri semi. Oggi è il signor Nigra che lascia Napoli: egli successe al Farini che vi lasciò pallido nome. Che cosa ha fatto di positivo il signor Nigra? Ecco la consueta dimanda del popolo; e forse al sig. Ponza di S. Martino si farà trovare questa medesima dimanda scritta sulle porte di Napoli prima che egli vi ponga il piede. È una smania di voler molto e presto, e veder con gli occhi e toccar con le mani. Ma diciamola fra noi, al voler molto e presto qui si corrisponde col far poco e tardi. Quando ne' trascorsi anni i napoletani, almeno in parte, eran quieti, ardeva perennemente il Vesuvio, oggi il Vesuvio non da più fiamme e i napoletani bruciano. Oggi è Silvio Spaventa l'uomo che molti vogliono fuori d'uffizio.


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Il suo palazzo è aggredito, dispersi e gittati i suoi abiti, minacciati i suoi giorni fino alle porte del Dicastero, o de’  Dicasteri, perché egli ne ha due; ma Silvio Spaventa non è l'uomo che abbia operato meno degli altri, né che siasene stato colle mani alla cintola, e la Questura di Napoli non può affidarsi se non ad uomini che abbiano energia somma, coraggio civile ed occhio vigile. Auguriamoci sempre migliori cose, e più esperti, sinceri ed intelligenti uomini per l'avvenire, e guardiamoci singolarmente dal credere che possa molto gradire lo spettacolo di falangi d'impiegati piemontesi che venga qui a raffermare con questo meschino espediente la solidarietà dell'Italia Una. Che la Guardia Nazionale faccia di questi scambi, è utile provvedimento, ma che la cosa pubblica venga oggi affidata ad uno, domani ad un altro, è lo stesso che aggregare gli uomini e sciogliere le cose; e ci lusinghiamo che la somma direzione oggi residente a Torino, non ponga mano su taluni cespiti e rendite e diramazioni del credito pubblico, perocché non solo il disordine succederebbe alle singole gestioni, ma la riputazione, e forse la onestà di nuovi amministratori vi farebbe naufragio. Chiudo con una bella notizia. L'altro jerì anniversario dello sbarco di Garibaldi, la città è lieta di manifestare la sua gioia all'Eroe di Marsala, e tutti i popolani ed i giovani di buone famiglie corrono a far brindisi col marsala alla mano ne' ristoratori fin a tarda ora della notte. Anche una dimostrazione a bandiera spiegata è sempre la prova che l'annegazione e il disinteresse di Garibaldi trovano ancora un eco nel cuore de’  napoletani, i quali desiderano il bene, ma non a duro prezzo di finanze.

P. S. Ieri sera fu dato al teatro S. Carlo uno splendidissimo banchetto dalla Guardia Nazionale di Napoli a tutta l'Ufficialità Piemontese. Bello era il vedere nel teatro illuminato a festa e ingombro di gran numero di tavole lussosamente imbandite, sedere e ufficiali dell'esercito e militi e ufficiali dell'armata cittadina frammisti l'un coll'altro e conversare col sorriso sulle labbra. Era un addio al quinto ed il benvenuto al sesto corpo d'armata Italiana, un addio nel quale vieppiù ravvicinandosi tutto si potesse scorgere, a scorno ed a totale disfatta della reazione, 1' amore che la non. interrotta cordialità che stringe queste due onorande divise. V'intervennero il commendatore Nigra, il generale Tupputi, tutti i Segretarii Generali de’ Dicasteri; vi furono belli brindisi e liete danze.








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