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RIVISTA CONTEMPORANEA
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VOLUME VIGESIMOQUARTO
ANNO OTTAVO

TORINO
DALL'UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE

1861

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CORRISPONDENZA DA NAPOLI
Al signor Direttore della RIVISTA CONTEMPORANEA
Napoli, 21 gennaio 1861.

La luogotenenza di Carlo Farini è caduta; il Dicastero detto della emigrazione con esso. Oggi, che io scrivo è luogotenente generale Eugenio di Savoia principe di Carignano; Ministro il sig. commendatore Costantino Nigra. Questo fatto che migliora alquanto le condizioni politiche, ed appaga in certo modo le ambizioni popolari, ha bisogno di spiegazione.

Napoli, ebbe in questi ultimi giorni il nome di pietra dello scandalo. Io stesso che vi scrivo ebbi d'ogni parte rimproveri per aver fatto onesta opposizione ai consiglieri dicasteriali, lasciando sempre da banda il Farini, il quale, di Napoli, delle sue aspirazioni, dell'indole popolaresca non ha mai nulla saputo, ed ha stimato che Napoli fosse già tanto unificata col resto d'Italia, che la si potesse reggere come le Marche e l'Umbria. Per essere informato delle aspirazioni del paese, de’ desiderii, dei bisogni, egli volle associarsi a tutti i giornali, per leggerli e prestar orecchio a' pubblici voti. Questa disposizione fu buona; egli seppe almeno una parte del vero, e seppe che l'ascendere degl'emigrati napolitani al potere, appena formata la Luogotenenza, era tenuta come immorale, mostrando solo la smania di carpire un bel posto. Non parlo qui con le mie parole; parlo con le parole del pubblico. La missione degli emigrati napolitani era quella di indirizzare i voti del popolo, di consolidar l'opinione con la dimostrazione de’ fatti, di rendersi interpreti dei bisogni del paese, di agevolarne o farne agevolare i mezzi, e di aiutare la vera opera patriottica, cioè la direzione de’ poteri col consiglio (non officiale) e con gli scritti. Invece di far questo, la schiera degli emigrati, Piria, Pisanelli, Scialoia, De Vincenzi, Bonghi si elevarono al dicastero, e soffersero da consiglieri che erano, di aver un consiglio o una consulta intorno. Lode al Farini che mettendo fuori la nomina di questa Consulta, mostrò, se non altro, che non disprezzava l'opera e il concorso di altre intelligenze, e non avea soperchia fiducia di sé. Non si vuol qui negare che la posizione delle cose napolitane fosse soprammodo difficile. Garibaldi Dittatore vi avea lasciato un po' di licenza, i ministri del suo tempo vi si erano sfogati ora in conati di vendetta, ora in conati d'imprudenza; ma in mezzo a quel loro operare rapido e precipitato, l'elemento Borbonico era stato preso di mira e molti incompatibili impiegati erano stati sbalzati dal loro posto. Il cardinal Riario di Napoli era stato accompagnato fuori i confini, non volendo riconoscere il novello ordine di cose, e Silvio Spaventa era stato pregato di lasciar Napoli, volendo troppo mostrarsi ligio ad un motto d'ordine, ovvero alle istruzioni del gran Ministro che onora l'Italia. Napoli si dee governare, per cosi dire, sul luogo; ed un abile Luogotenente fra noi si troverà talvolta nel caso d'imitar Napoleone Bonaparte, quando facea di meno delle insinuazioni del Direttorio, e vinceva le battaglie.


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Forse se le sventure di famiglia non avessero travagliato il Farini, egli avrebbe più sottilmente guardate le cose, e sviluppandosi dal consueto cerchio degli emigrati, ed ascoltando la opinione di uomini riservati e non ambiziosi, non avrebbe visto la sua Luogotenenza far sì miserevole fine.

Alla caduta de’ Consiglieri contribuì non poco, 1° il tuono dei giornali ministeriali 2° La smania de’ Consiglieri di far rapporti senza mostrare al pubblico un sol fatto utile o almeno positivo; 3° L'aver preso per determinazione di tener chiuse le porte de’ Dicasteri, sol perché il numero de’ petizionari e de’ reclamanti era grande.

Non si vuol negare che fra' rapporti de’ consiglieri Pisanelli, Scialoia, Spaventa non ve ne sieno di buoni; ma lento e tardo fu sempre l'effetto. Dare, per esempio, il libero scambio, e non provvedere alla mancanza del grano pel momento; dare gratuitamente le medele agl'infetti della lue sifilitica, e non pensare alla custodia immediata delle donne corrompitrici e guaste, sol per non urtare la plebe; voler dare al classico teatro di San Carlo il pristino splendore, e non disciogliere e spezzare in un sol colpo una società di sordida speculazione, che ne fece la rovina, società formata di usurai, turcimanni, spiantati, imbroglioni, retrogradi, significa non ottenere l'intento, non riconoscere che un governo nuovo ha diritto di non tener mano a vecchi intriganti. Il Governo per rompere queste fila tese da tanti anni da gente sordida ed ignara del lustro teatrale, sarà costretto a tener S. Carlo, almeno per un anno, a conto proprio. Il consigliere Piria ha dato il primo impulso a questo riordinamento, ma Paolo Emilio Imbriani, ora consigliere per la pubblica istruzione provvederà, speriamo, perché S. Carlo si renda degno dell'Italia e di Napoli. Certo, questo teatro ha d'uopo di molte cure. Fra tutti quelli che danno mano agli spettacoli, operai, artigiani, comparse, aiutanti, v'ha gente da forca, la quale servendo all'espressione del bello in arte, non è che la rappresentazione del brutto in natura. Il duca di S. Donato nominato sopraintendente de’ Teatri, ebbe a sperimentare il vero di queste parole; perché trovando indispensabile di chiudere il teatro per frangere le catene degli intrighi, venne proditoriamente assalito e ferito tra le costole, ed a caro prezzo ebbe salva la vita. Il consigliere pel dicastero della Polizia, sig. Silvio Spaventa, che avea fatto arrestare il sig. Libertini per sospetto di aver promosso una dimostrazione di simpatia all'Inno di Garibaldi nel teatro di S. Carlo, esitò, anzi non arrestò il sospetto feritore del duca di S. Donato, facendone uno scrupolo di coscienza ed una violazione dei poteri costituzionali. Con questi scrupoli e per questi scrupoli è avvenuto che ad Acerra, Aversa, Teano, Sona, Santeramo, Penna, siensi mostrate ardite le reazioni a tal punto che le forze Piemontesi, e possiamo dire italiane, andate negli Abruzzi, nel dividersi in colonne mobili, ebbero fieri scontri in più luoghi nel muovere contro le orde brigantesche. Alla fine il Governo si è persuaso che in casi eccezionali è uopo farsi ubbidire eccezionalmente per tutelare la quiete cittadina, ed ha disposto che la forza militare reprimesse le sanguinarie reazioni col fuoco.


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Gran faccenda è stata ed è quella delle elezioni dei deputati. Come può ben supporsi, tutte le influenze de’ Comitati soddisfatti e non soddisfatti, han voluto giuocare la loro carta. Il partito di azione messo da banda, ha voluto produrre i suoi: i seguaci dell'alto Ministro e quelli che mangiano un pane segreto, han voluto produrre il loro.

Leopardi ha riunito le sue radunanze elettorali nella gran sala di Monte Oliveto; ed in altra gran sala nel Collegio di Nobili a Vico Nilo,  i repubblicani o parecchi di essi, si sono annessi ai fondatori del circolo, non repubblicani. Senza intrattenerci più su questo subietto, ne vedremo i risultamenti, e ci basta il ripetere a tutti che qualsiasi il colore e le passioni degli uomini, il più santo dovere è di fare l'Italia, e non badare a privati interessi ed a particolari aspirazioni. Solo è a dolere che in certe liste s'abbiano a trovar sempre i medesimi nomi, i Baldacchini, i Capecelatro, i Volpicella, i De Monte, i Persico, i Manna, e tanti altri de’ quali non si potrebbe sempre giustificare la scelta, per ambiguità, inoperosità, o almeno poca energia. Ma di questi ed altri uomini vedremo i fatti. Il Baldacchini (Saverio). Vice Presidente della Pubblica Istruzione, si è dismesso un po' tardi, per aver forse contribuito al poco che fece, o poté fare l'illustre Piria, consigliere nel Dicastero di Pubblica Istruzione. Anche il Direttore delle finanze Carlo De Cesare è caduto, sebbene per essere stato più a lungo degli altri in quel posto, avesse acquistato pratica delle cose e degli affari finanzieri. Non vogliamo già con queste parole far eco al giornale L'Unità, che poco decorosamente tesseva le lodi de’ promotori delle sue pubblicazioni, e ricorderemo sempre che è ben misera lode quella che si fa ad un Ministro o Consigliere, quando si encomia per aver apparecchiato le somme onde pagare l'esercito, e soddisfare alle scadenze delle rendite.

Miseri noi se non si potesse pagare lo esercito... Ma Napoli come non fu da gran tempo paese indebitato, così fu sempre terra ubertosa. Basti il dire che pieno oggi a ribocco d'italiani e di forestieri, e a dir breve di gente nuova, non manca di viveri, di produzioni del suolo che satollano ricchi e poveri; e se un grido si eleva intorno capziosamente gridando miseria, vi si aggiunga quello d'inerzia o scioperatezza; perocché v'ha oggi tra noi molta gente vagabonda e sediziosa formicolante per le vie, donde deriva qualche furto sia in case private, sia in pubblica via. La Guardia Nazionale operosissima ed alacre oltremodo non ismentisce se stessa e la sua instituzione, coadiuvata militarmente dalle sorelle guardie nazionali di Toscana, Bologna, Pisa, Torino, le quali sono state già destinate a guardar punti importanti, non esclusa la famosa fortezza di Capua. E sia detto a plauso delle Guardie Nazionali dell'Italia meridionale e dell'Italia superiore, il loro giungere e il loro prender servizio fu si rapido, che non ebbero tempo neppure di godere i fraterni banchetti apprestati dai napolitani.

In quanto ai giornali che esser dovrebbero la espressione del pubblico desiderio, ve n'ha taluno non degno di veder la luce in città colta e civile; e se noi ci sentiamo spinti a biasimare anche il rigore che si appoggia alla legge, biasimiamo altamente la tolleranza di alcuni giornaletti o giornalastri pieni di personalità e d'insulti, quali sono la Pietra Infernale e i Tuoni.


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Certo il Popolo d'Italia, dove scrivono Saffi e De Boni, avversano a tutta possa il Governo, ma essi hanno forme meno indecenti e non parole da trivio. Per dettar giornalacci sorgono ora certuni, che non hanno mai precedentemente dettato o pubblicato due righe. Essi non son buoni che ad offendere o calunniare. Ma... debbono forse seguire un'imperiosa necessità, derivante quasi dal centro del loro corpo... Dunque sia. Molte fiate s'apre una piaga per guarirne un'altra; e noi, se cosi è scritto, saremo ancora per tollerare questi giornali fonticoli o emissarii, com'è detto in medicina. Questa specie di fogli, non solo caustici, ma inverecondi e maligni, danno argomento ai giornali francesi di nero colore, ed a quelli che sperano nel passato. Profittano anche di siffatti articoli i murattisti, pochi e decaduti d'ogni prestigio, per mancanza di capi che avessero popolarità e meriti di azione. Però due proclami esercitarono ne' trascorsi giorni le penne de’ collaboratori e campioni della stampa periodica; un proclama di Francesco li, che volea dar taccia di stranieri ai Piemontesi, e prometteva ampie libertà, ed uno di L. Murat, che deplorava lo stato di Napoli per lo scontento ch'ei sentiva narrarne, ed intendeva di sollevare un popolo supposto simpatico alla sua casa. Tardi e fuori tempo giungevano, ed ambulico venivano respinti dalla pubblica opinione, come ospiti pericolosi.

Il primo era l'espressione di un uomo che avea fatto il male, il secondo era l'espressione di un uomo che non avea saputo far nulla. Fra i giornali erane sorto con grande impudenza uno nominato La Croce Rossa. Orribile a dirsi, la Croce avea non so se fregiato o sfregiato il petto de’ masnadieri del tristamente famigerato cardinal Ruffo, il mostruoso porporato brigante del 1799. Ebbene, questo giornale raccoglieva tutti gli articoli contrarii al governo, e vi aggiungeva del sangue proprio, cioè del rosso della sua Croce, per contrapporla alla Croce bianca di Savoja. Finì come meritava. Beffato, cacciato e disperso ne' suoi componenti non letterati. Oggi comparisce l'Equatore!! altro inverecondo parto della rabbia di alcuni sedicenti ministri del tempio, e questo giornale loda... che cosa? il proclama di Murat!

Non altri sono i malumori che agitano Napoli, e aggiugni qualche stolida pronunziazione ne' dintorni, per la quale si chiama in tale o in tal altro paesello piccola Vandea. Ma la Vandea napolitano non può aver durata, e quando il danaro degli agitatori sarà cessato, ciascuno prenderà la sua riva. Il disordine esiste ne' dicasteri per mancanza ancora di uomini pratici, educati agli uffizii e veracemente liberali; ma si è fatto già molto per allogarli, e molto si farà, ne siam certi. D'altra parte i miglioramenti non si possono ottenere d'un fiato, e quelli che mostrano imperizia, inerzia in conseguenza nel tenere un carico, saranno considerati come false stecche o palle che tornino indietro. Tanto esige la giustizia e la sagacità di un governo nuovo, riparatore de’ mali dell'antico, e costituzionale. I nuovi ministri o consiglieri, Romano, Imbriani, Avossa, ecc. non daranno la pena al Parlamento di occuparsi o sciupar tempo a giudicare e classificare uomini, se non cattivi, nulli.


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L'Accademia Pontaniana si è raccolta ieri per festeggiare Re Vittorio Emanuele. Hanno preso parte alla straordinaria tornata tra le donne la egregia Milli e Laura Beatrice Mancini; Volpicella, Bolognese, Guanciali, De Ferrariis, Arabia ed altre. Belli i componimenti, han meritato larghi encomii, e la Giannina Milli è stata costretta a dire un secondo componimento. Siamo dolenti che un corriere non possa o non sappia far da stenografo.

Mentre l'Accademia Pontaniana celebra i grandi avvenimenti che condussero fra noi Re Vittorio Emanuele, un avvenimento decisivo incomincia a descrivere la sua parabola nello spazio della storia. Questo è l'attacco di Gaeta. La flotta francese si è ritirata; la flotta italiana timoneggia per quelle acque. Vi è l'ardito disegno di cacciarsi a qualunque costo nel porto gaetano, e scaricar tutto ad un punto le artiglierie contro la formidabile fortezza. Così da terra si pensa di stringere il bombardamento in poche ore. Attendiamo gli eventi; e perché si profitta di questi difficili momenti per agitare e corrompere le masse, muovendole ad inutili dimostrazioni, il Governo ha fatto già porre a' muri un'ordinanza, per la quale qualsiasi assembramento o dimostrazione dee sciogliersi alla terza intimazione; il che non avvenendo, le forze legittime procederanno ai debiti arresti. Son certo che non sarà necessario adottar siffatte misure; ma per tener a freno gli animi turbolenti e sediziosi che sognano il passato, e si mascherano da repubblicani o da Garibaldini, era indispensabile protestare che il Governo non è disposto a transigere con le reazioni.

A tal proposito non debbo obbliare in questa mia corrispondenza un eccitamento di reazione predicato dal pulpito, presente il cardinale di Napoli. — La chiesa del Gesù, formicolaio una volta de’ Gesuiti, delle Gesuitesse e del Gesuitismo, era stata affidata al padre Gavazzi: ma perché il padre Gavazzi risuscitava idee talvolta non puramente cattoliche, e si temea di quella sua parola troppo libera ed ardente, fu chiusa: indi il padre Ferrigni consigliere per gli affari ecclesiastici, uomo non chiaro al cospetto del pubblico, fece riaprire la chiesa, e ne affidò la cura a' Gesuiti spogliati ed a Gesuitanti. Primo frutto di questa riapertura fu la introduzione di una Novena per l'Epifania, la quale non era stata mai in uso. Ma questa volta il subietto predominante dovea essere il ritorno, l'adorazione di un piccolo re inesperto ed innocente, ed altre simiglianti allusioni che, preparar doveano gli animi alle più ordinate dimostrazioni. Il tenore della predica scandalizzò qualcuno. Si corse alla Guardia Nazionale, poi alla Questura, per far cessare quella provocazione al ritorno, fatta nel tempio di Dio. Ma la Guardia Nazionale e la Questura si tennero in riserbo; e sol quando il prete si trovò fuori, venne trattenuto per causa di pubblica sicurezza e per impedire il turbamento dell'ordine. Il sacerdote autore di si belle apostrofi ed allusioni ha nome di Padre maestro Ciarlone, e avrebbe potuto ciarlar meno!

Ora stimo chiudere questa mia corrispondenza segnandovi i nomi di parecchi egregi cittadini, che hanno occupato posti e cariche in questi tempi.


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 Sono stati creati ispettori del Museo Nazionale i signori Fiorelli archeologo e De Napoli pittore; direttore del Museo e degli Scavi il principe Spinelli; architetti degli Scavi medesimi Ruggiero, Settembre ed altri; Lauria amministratore dei reali teatri. Tali decreti sono stati firmati dal signor Farini. Il signor Costantino Nigra, del quale fu sì favorevole la prevenzione, si guarderà di certo dagli errori, ne' quali involontariamente cadde il Farini; correggerà le cose mal fatte, perché l'emenda non arriva mai tarda; sniderà dal modesto asilo gli uomini che non vogliono mostrarsi, e si guarderà da quelli che troppo si mostrano; leggerà que' giornali che meritano d'esser letti, perché la stampa è qualche cosa nel mondo presente, e non piglierà di fronte quegli uomini d'ingegno, che anche non seguendo una sola esclusiva aspirazione, sono pure italiani, italianissimi, e vogliono la redenzione d'Italia e la cacciata dello straniero.

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