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RIVISTA CONTEMPORANEA
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VOLUME VIGESIMOQUARTO
ANNO OTTAVO

TORINO
DALL'UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE

1861

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CORRISPONDENZA DA NAPOLI
Al signor Direttore della RIVISTA CONTEMPORANEA
Napoli, 22 febbraio 1861.

-parabola, partendo dai fatti più certi. Quando si tratta di ricostituire un paese per metterlo all'unisono con gli altri, 'v'ha d'uopo di positivi lavori, non di fantasie e di vane promesse. Qualche cosa si è fatta per la magistratura, . qualche cosa perla polizia o questura, tenuta ancora dal signor Spaventa, ad onta o forse a dispetto di quanti noi vogliono tollerare in quel posto.

Il mese di febbraio è stato portatore nel suo ingresso di parecchi avvenimenti, e basterebbe per tutti la fine della lotta di Gaeta e la resa che ha fatto cessare la immensa spesa dello assedio, la morte di tanti italiani, l'eccitamento alle reazioni e il palpito continuo di una difficile impresa. Contribuì a questa resa non solo il valor militare degli assedianti, che vi lasciarono le più belle e care vite, ma le casuali sciagure che turbarono il centro della resistente fortezza. Una polveriera era già scoppiata nel campo italiano, portando la morte di circa un centinaio di persone e degli ufficiali Savio e Mesan, quando un'altra polveriera scoppiò dentro Gaeta; né fu sola, perché la seguirono altri scoppii e la caduta di mezzo bastione ed oltre a dieci case Questa caduta menò seco l'eccidio di validissimi artiglieri e del generale Traversa, che fu tratto morto dalle rovine. Cialdini al manifestarsi di un parlamentario della fortezza, acconsentì ad un armistizio per seppellire i morti ed inviò soccorsi d'ogni guisa dentro la fortezza medesima. Fu chiesto un prolungamento di armistizio di ore dodici, e venne accordato: ma i Napolitani non se ne servirono solamente per rimettere gli uomini travolti nel guasto, ma per rimettere le lacerazioni e la larga fenditura del bastione, dove poteva con poco battersi la breccia. Il valoroso Cialdini tenne questo coperto procedere come infrazione de’ patti, e riprese l'offensiva. I regii di dentro non cessarono dal trarre, ma più lentamente, essendo parte occupati alle artiglierie d'in su le mura, parte occupati a riparare i guasti. — Segui qualche giorno ancora, quando le artiglierie di fuori trassero ad una conserva di munizioni che scoppiando produsse altre morti, altre rovine, e fu cagione di spedire parlamentari per le trattative della resa. Veramente lo stato interno di Gaeta era orribile. Il tifo vi mieteva continue vite, ed eran morti per esso i generali Santovito e Sangro; i crollamenti si succedevano; le famiglie rimaste dentro erano imbucate in sotterranei, non curando neppure il cibarsi, molti i feriti, pochi i mezzi a curarli: l'onor militare era salvo in quanto che l'apertura prodottasi alle mura era tale, che si poteva entrare alla baionetta, e sarebbe scorso altro sangue italiano con vituperio di chi comandava. Fu quindi fermata la capitolazione. Il dì 14 partiva Francesco II co’ suoi, ed il generale Ritucci veniva incaricato di assistere alla rassegna dell'esercito prigioniero di guerra sotto gli occhi del generale Cialdini.

I soldati furono mandati a stanziare nelle isole, sino alla consegna de’  forti di Messina e di Civitella del Tronto: i generali Casella, Ritucci, Tabano e Sigris mandati a Napoli, col permesso di rivedere le proprie famiglie.

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Quest'ultimo generale che, anche dopo l'uscita degli Svizzeri da Napoli, aveva voluto restare con Francesco II, nello sbarcare e mettersi in carrozza venne beffato e aggredito, e a stento si salvò da qualche popolano. Il colonnello Migy pure svizzero, che non aveva voluto a nessun costo abbandonare Francesco II, era già stato ucciso da una fucilata.

La resa di Gaeta non è un fatto di lieve importanza, e sebbene questo assedio sia stato più breve di altri che la storia assiduamente sulle sue pagine ci ricorda, pur tuttavia è stato si concentrato ed attivo, massimamente negli ultimi giorni, che dovea dar presto una fine. Era il combattimento di una dinastia secolare, di un principio non men secolare, di un temporale Papato pericolante, di un'Austria minacciata. Gran mercé che sia finito... Il nostro corriere ci chiama altrove.

Napoli nel tempo di questo assedio ha pensato a fornir di Uomini il Parlamento italiano, e comunque molti partiti secreti avessero divisi gli animi, pur tuttavia le elezioni furono di rappresentanti in gran parte Moderati, e se non tutti chiari, tutti al certo valenti. Il fatto mostrerà quali essi sieno, se risponderanno ai loro elettori, alla pubblica aspettazione, al desiderio italiano, e se recheranno al loro paese il vero, il positivo bene di migliorarne le condizioni, e di non farlo scemar di gloria e d'influenza al cospetto dell'Europa, per la quale una città come Napoli non è città comune. Se era difficile conseguir lo scopo di una lodevole rappresentanza nazionale, è ancor più difficile lo scopo di raccoglierne presto gli efficaci provvedimenti.

Napoli alla notizia della resa di Gaeta è stata per tre giorni in festa, solennizzando con pubbliche luminarie e con dimostrazioni di gioia un sì fausto avvenimento.

Il teatro S. Carlo che dovrebbe essere centro di civiltà, fu non ha guari centro di una intemperanza colpevole da parte del pubblico nel carnevale, per un inevitabile cangiamento di spettacolo di giorno, del quale lo stesso pubblico era stato avvisato. Fu proposto di restituire, e subito, a tutti gli spettatori il danaro sborsato, ma fu invano: si voleva far nascere un disordine dalla vecchia e prostituita impresa borbonica, e si colse questa occasione per gridare, imprecare, minacciare, invadere quasi il palco scenico, e spezzare per rabbia i banchi della platea. Né Cessò qui il rumore. Sebbene fosse annunziato un altro spettacolo di sera, il pubblico non volle muoversi dal teatro, si fece arbitro della sala ed impedì a quanti vennero di entrare. Infine il pubblico abusò stranamente e poco dignitosamente agi, trattandosi di una mancanza di direzione nello spettacolo, della quale si poteva in altro tempo ed in altro modo rivalersi.

E poiché siamo a notizie teatrali, abbiamo a narrare un incendio inaspettato, avvenuto la notte del 19 nel Teatro Nuovo, incendio del quale si ignora ancora l'origine, e da taluno vuoisi appiccato per dispetto del nuovo decreto risguardante i monasteri, i beni e la cassa ecclesiastica, e più dell'essersi permesso in quaresima il ballo, cosa che scandalizza i clericali e i picchiapetto.


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Certo l'incendio parve più appiccato che casuale. Vi accorse tosto la Guardia Nazionale, il Corpo di Pompieri, al quale non restò da far altro che isolare il fuoco, essendo il teatro circondato di case, e nel mezzo della notte fu questo fuoco spaventoso, in quanto che il Teatro Nuovo avea molta parte di legno, ed è il teatro del più liberai quartiere di Napoli o almeno del più pronunziato, qual è Montecalvario. 0 L'attività spiegata da ciascuno fu somma, pur tuttavia del teatro non rimangono che le mura. Lo scenario, l'attrezzeria, il guardarobe, e quel ch'è più, un grandioso archivio di spartiti, de’ quali parecchi celebrati e brillanti, opera di maestri nazionali, andò in fiamme. Ecco dunque un teatro di meno, quando se ne desiderava uno di più, ecco molta gente a cui manca l'opera e il pane.

Un incendio memorabile e più dispiacevole è stato quello della Cattedrale di Noia. Questa città è celebre pel ricordo dell'antica Campania, per la menzione che ne fanno gli antichi scrittori, pel. santo Protettore, al quale si vuoi riportare l'uso delle campane che magnificano il Signore, e in altri tempi chiamavano il popolo all'armi e alle assemblee del Comune. Antica è la città, antico era il duomo, con una campana celebrata per tradizione, ed un pulpito ad intagli faticosi e rattorti, formato da un albero e tutto di un pezzo, talché grandemente se ne pregiavano i Nolani, sostenendo che alla ricchezza di quel pergamo nessun' altra chiesa potesse opporre il simigliante. Ma anche il Duomo di Noia rivedrà la luce, poiché se ne è già disposta la ricostruzione, la qual cosa dee mostrare a. chi ci calunnia che noi non stimiamo di far di manco delle chiese né di abbattere gli altari.

Un atroce assassinio è avvenuto giorni addietro sopra un lato della via di ferro. Un gentiluomo è stato colà aggredito da più armati, e dopo una breve lotta, nella quale gli assalitori lo tanno ferito nel volto, l'infelice è caduto, e gli si è tolto quanto aveva addosso. Un ufficiale Veneto al servizio del Piemonte, caracollando a cavallo, incontra innanzi a' suoi piedi il trafitto, smonta in un attimo, lo palpa, è ancor caldo, cerca prestarsi in suo soccorso, ma gli mancano i mezzi: allora rimonta-a cavallo e torna indietro per chiamar gente. Quando si viene a soccorrerlo, lo si trova messo a traverso della ferrovia e schiacciato dal vagone che vi è su passato. Allora sorgono due pensieri istantanei, ambidue tristi: il primo che gli assalitori appiattati forse non lungi, al partire dell'ufficiale, sieno usciti fuori del nascondiglio, ed abbiano cacciato il cadavere sulla ferrovia per farlo stritolare, e quasi far sparire la traccia; il secondo pensiero è quello che il trafitto siasi riavuto pian piano e per natural movimento abbia voluto abbandonare il punto dell'assassinio passando oltre. Ma nel traversare la ferrovia, debole, sfinito, sia inciampato e caduto mentre il rapido convoglio correva. Questa seconda lezione sembra più accettabile in quanto che la dichiarazione del conduttore della locomotiva spiega di aver veduto costui in piedi, di averlo avvertito con tre fischi successivi, secondo è prescritto, e di essergli forse giunto sopra col convoglio irreparabilmente.

Qualunque sia il fatto i Pontonieri della via ferrata che han per obbligo principale l'oculatezza e la vigilanza sono colpevoli d'inerzia, e la Questura se n'è già impadronita.

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Altro assassinio non meno atroce è avvenuto in via Toledo presso il Largo del Mercatello nella persona di una giovane sposa (Panico-Panni) di ottimi costumi e di piacente aspetto — La poverina passeggiava con una sua amica e parente e il marito di lei. Tutto ad un punto un uomo che le andava dietro, le trae un colpo a bruciapelo sì fiero che la infelice trapassata nel cuore grida alla compagna: Virginia mi hanno uccisa, e non si rialza più. L'uccisore sparisce, il popolo si affolla intorno al bel cadavere, e tutto rimane un mistero. E la favola e la malignità che si fa maestra di tutto, crea le ragioni; intende scandagliarle in un modo o in un. altro, mentre una pura esistenza finisce, e s'apre un tempio per offrire al pubblico le funebri pompe che le tributa il consorte.

Venendo ora a cose che riguardano il paese diciamo che molto si lavora per riformare l'accademia di Belle Arti, per mutarne l'andamento, prescegliere nuovi Professori e preparare più splendido avvenire ai giovani pittori che sono assai svegliati fra noi, ed in generale alla gioventù artistica che sarebbe ansiosa oltremodo di lavorare assiduamente. — A questo proposito debbo dire essere venuto in luce due pubblicazioni artistiche, la prima: Intorno allo insegnamento pubblico delle Arti del Disegno, la seconda sull'Ultima mostra di Belle Arti in Napoli. Tra' nuovi giornali vanno annoverati La Discussione, Il Monitore e la Gazzetta di Napoli, la Parola Cattolica, il Casacciello (giornale umoristico con caricature). La vendita de’  giornali è in generale diminuita e lo spaccio di essi rimane invariabile pe' più accreditati, il Pungolo, l'Arlecchino, il Nomade, il Nazionale.

Al Teatro de’  Fiorentini sono state rappresentate due nuove produzioni: Il Balilla di Ricciardi, con discreto successo — Secondo e terzo piano con molto ridere— La Medori, Coletti e Negrini sostengono le scene di S. Carlo nella musica, nel ballo la Boschetti che è applaudita fuor di modo in quello intitolato Folgore. Le musiche in favore sono: Poliuto di Donizzetti, Ione di Petrella, il Giuramento di Mercadante; ma anche le scene van perdendo parte de’ loro prestigli, quando la musica di Verdi tace, e sull'orizzonte dell'arte teatrale, sia nella prosa, sia nella musica, non comparisce verun astro e neppure una stella.

Una sciagura dell'arte ci pesa ancora sull'animo ed è la follia improvvisa che scompose e turbò le facoltà intellettuali del chiarissimo maestro di musica Giuseppe Lillo. Autore della Rosmunda, della Caterina Howard, del Conte di Chalais, dell'Osteria di Andujar, della Delfina, egli era unico nella coscienza dell'insegnamento musicale, e sedeva a quell'onorevole posto nel quale aveva seduto Donizzetti e Ricci, ambidue finiti per malattie cerebrali. Giuseppe Lillo in mezzo a tanti egregii maestri che Napoli vanta era un luminare, e la sua mancanza porterà danno massime ne' suonatori di piano— Pur tuttavia speriamo che nel Manicomio di Aversa, dove oggi si trova, possa man mano riprendere quella chiarezza d'intelletto che gli fu guida nella sua vita, scrivendo, insegnando e praticando nella onesta società.

Molto aspettiamo, per ciò che si connette a storia, dalla nuova ordinazione degli archivii. Sono tesori tali ne' nostri archivii, che non debbono rimanere quasi retaggio di un solo o privilegio di pochi — Fa d'uopo spigolare in questo campo e trame fuori la luce del vero,

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tanto necessaria in tutti i luoghi ed in tutti i tempi — Si bramerebbe che il Governo provvedesse efficacemente, dando i mezzi e i compensi, a riordinare le male opere e le arti leonine e volpine di Principi che la storia ha già giudicati. I nuovi ordinatori degli archivii facciano e non lascino passare giorni preziosi alla gloria d'Italia, per imprendere utili opere letterarie e non meritare il rimprovero di far oggi quello che si faceva ieri.

Noi desideriamo che si proceda materialmente e moralmente, con la penna e con la spada, col passo di carica e con la mente. Il tempo perduto non ritorna. Già vagheggiamo la gran capitale, Roma, senza la quale nulla è compiuto, è nulla persuade.

Partono ogni giorno legni a vapore inglesi e italiani che recano i curiosi a vedere le rovine di Gaeta, la cui fortezza diverrà un giorno fortezza di valore profondamente italiano. E poiché non sembrami inutile di finire come ho cominciato, dirò che degno di esser letto è l'ultimo ordine del giorno del general Cialdini, il quale nell'encomiare i suoi soldati, da a ciascuno quella parte di valore che spetta ed apprezza la resistenza di Gaeta per la parte militare. Noi ci auguriamo che mai più simili lotte possano funestar la civiltà presente.

Le corrispondenze sono oggi più libere ma non riaperte del tutto verso Roma, e si possono ancor visitare e il campo e gli accampamenti, e vedere le gloriose batterie dell'esercito italiano. In quanto ai servizii postali essi trovansi ancora mal diretti e male eseguiti, ma sono già sul tappeto novelli appalti (scandalosi per la cifra delle spese) ma senza dubbio utili, perché porranno maggior legame fra le nostre provincie e le italiane in generale.

Giorni indietro o avvenuto un tristissimo caso sulla via ferrata di S. Maria. Un convoglio si è rovesciato quasi a metà uscendo dalle rotaie e precipitando nel fosso laterale. Il conduttore è morto, quattordici in quindici persone han cessato di esistere, ed altre fino al numero di circa quaranta sono state malconce e fratturate nelle gambe e nelle braccia.

A questa trista notizia ne accoppio una lieta. Si è dischiuso il tronco di strada ferrata da Sarno a Sanseverino, aprendo un novello sbocco utile a que' siti e a noi. Alla inaugurazione intervenne S. A. il Luogotenente Eugenio di Savoia, l'egregio Nigra, le Autorità, le Corporazioni, ed anche con invito i giornalisti. Benedetto il cielo e quelli che conoscono l'arte rara della civiltà! — I giornalisti e i direttori de’ giornali sono qualche cosa, se non altro perché potrebbero spendere il loro danaro in più lieto uso, e se da una parto danno amarezza, dall'altra ne ricevono;

Qui cesso dall'annoiarvi, ma ho calda speranza che nella ventura corrispondenza non abbia a parlarvi più delle relazioni fra Napoli e Gaeta, fra Napoli e Messina, ma fra Napoli e Roma, in perfetto accordo di ragioni e di dritti:

Quod est demostrandum.

G...








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