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RIVISTA CONTEMPORANEA
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VOLUME VIGESIMOQUINTO
ANNO OTTAVO

TORINO
DALL'UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE

1861

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CORRISPONDENZA DA NAPOLI

Napoli 27 marzo 1861.

Ormai le nostre còse prender dovrebbero un assètto definitivo. Le fortezze di Messina e di Civitella del Trento han Cessato di avversare la causa italiana. Le Guardie Nazionali si sono scambiati i loro abbracciamenti quasi da un capo all'altro d'Italia nostra. Tra giorni partiranno per Firenze altri militi nazionali. Molte cariche di forma onorevole van giù, e lo stesso servizio di Postò, Telegrafi e Vie Ferrate non avran più un direttore. Si sta compiendo l'opera incominciata* quella di parificare anche Napoli alle altre provincie del regno. Noi che non siamo avvezzi a giudicare dai preliminari o dalle apparenze, giudicheremo dai fatti. Quello che più d'ogni presente affare tien le menti sospese, è Roma, Roma la gran capitale, Roma la indispensabile madre italiana, senza la quale nessun'amalgama è possibile, e nessuna perdita di autonomia portasi in pace. La quistione dì Roma è oggi più importante di qualunque altra. Ad una capitale si antica e gloriosa il napolitano si sobbarca volentieri e con animo pago e convinto: a nessun'altra soluzione piega. volentieri, e chi crede assicurar l'avvenire senza il compimento di questo fatto solenne, e senza la pronta attuazione di una ferrovia, pon sue speranze nei giorni non già negli anni.

A proposito di Roma, sento il debito di manifestare che l'opuscolo di Massimo d'Azeglio sulla Capitale d'Italia ha recato scandalo più che altro e cattive impressioni, le quali (sia detto per vero) han di molto scemato la simpatia che i napolitani concepirono per questo scrittore, sin dal momento ch'egli risuscitò una gloria italiana nella JMsfida di Barletta.


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Non è spirito di municipalismo, non disprezzo della Toscana, ma Firenze capitale d'Italia, sarebbe transazione inaccettabile, e più d'uno scrittore di vaglia imprende a far crollare nella mente di ogni italiano questa inaccettabile transazione. Alla corte, ne' gabinetti privati, nelle case e ne' caffè non si parla che di codesto.

La permanenza di Francesco II a Roma non lascia di tener speranzosi i suoi, quasi che le sorti d'Italia potessero vacillare da un giorno all'altro, e sulle generali parlando, debbo dire che l'oscillazione e la fiacchezza del governo nel chiuder gli occhi su molte cose, forse per benignità, genera la diffidenza. Oggi spiace sentir accettato nelle file dell'esercito napolitano il generale Pianelli, come fu già accettato il Nunziante. Il malumore esiste non solo tra gli accaniti borbonici, ma tra quegli ancora che ne disertarono la causa, sia per italianità di pensare, sia per isperanza di più vantaggiose condizioni. Vi ha uomini che si pronunziarono quando la lotta non era cessata, e costoro in quel bivio compromisero se stessi, e son rifiutati. Tra questi malumori crescenti passano i giorni per molti spensierati, mancando opere, commessioni, novità che tengano mossi gli spiriti, le braccia utilmente. Il caro de’  viveri è straordinario in un paese come il nostro, onde il popolo è scontento: né ciò basta: vi si aggiugne altresì un furto sistematico eseguito con baldanza e temerità inaudite. Le case de’  cittadini sono per cosi dire sorprese da uomini armati e svaligiate, legandosene gli abitatori, e la Questura che provvede ora alla ricomposizione del personale, guarda forse il procedere di quelli che caccia? Tutti si permettono di venirvi a rubare, sicuri che non saranno arrestati se non in flagranti.

Questa legalità scolastica e timida non mena allo scopo in tempi eccezionali, e i furti si accrescono di giorno in giorno per manco di vigilanza.

I dicasteri poco han fatto, ma quello del quale è stata men fredda ragione, è il dicastero della pubblica istruzione. Almeno vedemmo schiudersi le porte del novello liceo Vittorio Emanuele; vedemmo altre scuole andarsi propagando; rimettersi in vigore la instituzione degli Asili Infantili, alla direzione de’  quali, buoni e culti cittadini prendono parte. Anche il nostro convitto musicale, per così dire di rinomanza europea, diede bellissime accademie, e ne mostrò uguale alle tradizioni della città della Sirena. Come avveniva altra volta, la Quaresima riuscì più lieta del Carnevale, il quale ambi di continuare la memoria de’  Carnevali borbonici!

Anche le prediche hanno offerto qualche varietà alla nostra vita abituale, per essersi concesso maggior larghezza di argomento e di parole. E sul pergamo più che altri si è distinto il Padre Giuseppe da Forio, il quale si è fatto capo altresì di un'associazione unitaria


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di giovani, volenterosi di godere onestamente i frutti della libera discussione.

Tornando ai discasteri, la dimissione data dal signor Liborio Romano è soggetto di varii pareri. Molti fanno al Romano una colpa di aver portato la politica in piazza, e molti invece lo giustificano e difendono a spada tratta. Quanto a me io non mi sento di avventurare un giudizio che forse il domani dichiarerà nettamente.

Il dicastero de’  lavori pubblici che avea quasi concesso a persona di sua intimità un lucrosissimo appalto di servizio, annuendo. alle disinteressate proposte del direttore de’  Telegrafi e Vie ferrate, come sotto i Borboni e peggio, fu costretto ad aprir le subaste per violenti richiami di gente, che capricciosamente era stata esclusa dal concorrere. Facciamo lode per giusta parte al signor Nigra, che seppe a tempo provvedere a questo sconcio, sebbene fosse stato già indotto dalle consorterie a rendere invisibile la sua persona. Anche in questi ultimi giorni ebbe pensiero di far qualche cosa in prò delle arti, trovandosi i giovani artisti mancanti di commissioni e di qualsiasi lavoro. Oggi che i fotografi van crescendo come le arene del mare, i ritratti ad olio, ad acquerello, ovvero a matita, che formavan l'alimento di più generazioni di artisti, han quasi perduto voga e favore; i quadri di voti e solennità religiose sono tenuti da parte dal movimento guerriero che minaccia o distrae l'Italia, e gli artisti languono, meno gli antichi intriganti e speculatori borbonici, ai quali (vano è il negarlo) si danno commissioni e lucrose, in marmo ed in tela: e chi scolpiva i ritratti di Ferdinando e Francesco, scolpirà quelli di Vittorio Emanuele, mentre potrebbero farlo mani più abili e più pure.

Fu improvvisata una mostra di Belle Arti per dare qualche sollievo alla classe de’  giovani artisti. Si riunirono in due giorni circa 300 quadri, tutti qual più qual meno degni di adornar sale e gabinetti. Esposero i signori Tedesco Battoli, Ponticelli, La Volpe, Arciprete, Isi, Lanza, Solari, Dalbono, Bellisario, ed altri molti. Il signor Nigra scelse a favorire l'ultimo, riserbandosi a dare altri incoraggiamenti da parte del luogotenente generale.

Si spera molto nella riforma dello Istituto di Belle Arti; ma se non togliesi ricisamente il fradicio e non si abbatte il vecchio, i giovani non avranno ristoro dalla penosa loro vita artistica, e l'arte che ha prodotto egregie cose in questo nostro paese, ad onta che gli stranieri faccian plauso solo a se stessi, l'arte scapiterà, e gli artisti mutéranno via.

L'Accademia e lavoratone di pietre dure è stata abolita. Avvicinandosi il tempo nel quale Roma avrà stretti legami con Napoli e corrispondenze quotidiane non interrotte,


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si è pensato che i giovani, i quali si dedicano al lavorio delle gemme, potessero meglio studiare a Roma, dove i professori in questo genere hanno maggior grido.

Ora toccando un altro lato delle novità che risguardano Napoli, vi debbo dire che parecchie festività si son succedute. Già, senza che io ve lo dica, la caduta di Messina ha portato di conseguenza le sue luminarie, cosi la proclamazione del Regno d'Italia e il nome dì Garibaldi.

La festività e l'allegrezza maggiore è stata per l'ultima ricorrenza. La stessa processione di S. Giuseppe era preceduta da dugento e più monelli che spiccavano cavriole a suon dell'inno Garibaldiano, spettacolo nuovo per chi non conosce il nostro paese. Il giorno consacrato a Garibaldi si parlava di manifestazioni spinte, che avrebbero dato appicco a' malvolenti o retrivi, sovvertitori d'uomini e di cose; ma la stampa si pronunziò tutta anticipatamente pregando i cittadini di evitare ogni troppo clamorosa dimostrazione dove, simulando se stessi e le loro mire potessero introdursi i reazionarii. Anche Il Popolo d'Italia, giornale repubblicano, anticipò le medesime proteste e persuasioni.

Ma quello che fu evitato nel giorno di' Garibaldi, fu in parte solo evitato nel dì 22, ricorrendo la processione della detta Scala santa. In quel giorno il popolo assisteva alla processione fittissimo. La seguivano uffiziali ed anche le Guardie Nazionali con la sola spada. Una compagnia di ogni battaglione scortava lateralmente la processione.

È noto che la gente, massime le donne e i fanciulli, s'affollan tanto in queste ricorrenze, che ogni piccolo inconveniente o eventualità dispiacevole si fan subito gigantesche. Dove era più pigiata la plebe, fu scaricato un colpo di pistola. Gli animi alquanto prevenuti di scompiglio, fuggendo da un pericolo immaginario, propagarono in un attimo il movimento, nel quale vennero avviluppati tutti quelli che si trovavano nel mezzo, non escluse le Guardie Nazionali, e qualche soldato piemontese. Si cadeva l'uno sull'altro; si gridava per ispavento. Due altri colpi seguirono al primo, ma l'inno di Garibaldi suonando improvvisamente fece quasi per magico incanto riacquistar lena ai tementi. La parte di militi sbandata momentaneamente riprese la sua attitudine, e in un. atti mo tutto fu ricomposto senza altro danno che la perdita di qualche cappello o fazzoletto, qualche smaniglio di donna, qualche sciallo, e fu buona presa de’  ladri reazionarii, da' quali era partito il colpo agitatore.

Si temeva ancora qualche vendetta, per essersi disposto che il famoso Stàbat Mater di Rossini venisse cantato in S. Carlo sul proscenio a beneficio degli Asili Inferitili.


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Si temeva, bucinandosi per la capitale che non si dovesse mescere il sacro col profano, sebbene lo scopo del canto fosse di dar alimento ad opere di carità. Pur tuttavia la rappresentazione ebbe luogo senza orgasmi ed inconvenienti di sorta. Le signorine più distinte cantarono ne' cori bianco vestite. La signora Stefanoni, la signora Paganini, e la signorina Valenza si fecero sentir con plauso negli a soli: così Negrini, Coletti, Guercia. La serata riusci brillante e vi crebbe merito armonico una sinfonia del maestro Mercadante (Omaggio a Bellini) ordinata sui più splendidi motivi del repertorio Belliniano. Questo pezzo di musica grandioso e sublime, eseguito dall'Orchestra di 8. Carlo, come possono e sanno quei professori, ebbe l'onore della replica, e fruttò lungo batter di mani al Mercadante, che sedea alla direzione di tutti.

Vorrei con questa lieta novità chiudere il mio Corriere, ma invece converrà che io lo chiuda con una nuova assai trista, nella quale pare che ora non sia più lecito dubitare. il signor Vicesvinci, antico impiegato borbonico, è interessato da capo e regolatore nella navigazione di due legni a vapore vecchi fino al fradiciume. Tutta la marina sa che questi legni non possono più reggere all'onde, e nessuna podestà interviene. a proibire che il signor Vicesvinci ]f faccia navigare. Si chiamano oggi l'Èrcole e la Calabria. Or è avvenuto che l'Èrcole tornando da Palermo, mentre era stato segnalato, al dir di alcuni, non si è più visto ed invano si è ricercato. A bordo vi era la contessa Teleki, il Corriere della Posta e parecchi passeggieri.

Questa perdita ha sparso la costernazione da una parte, ed ha fatto dall'altra esecrare e maledire coloro che han permesso tanta rovina, sapendo che l'Èrcole non era più atto al mare.

Sia almeno codesta una utile lezione.

B.

 

P. S. Al momento di chiudere la presente, non posso a meno di denunziafvì un fatto, che ha avuto luogo nella strada Toledo, anche per evitare che qualche maligno potesse esagerarlo. Esiste tuttavia in Napoli, forse per debolezza governativa, un avanzo delle cosi dette Camicie rosse. Non son di. coloro che hanno seguito Garibaldi a Palermo o a Capua, ma degli sciagurati ed oziosi, i quali vogliono abusare dell'abito che indegnamente indossano ad arte, soltanto per metter disordine. Da più giorni stanno essi estorquendo danaro dal governo e da' privati, 'dicendosi senza alcun mezzo di sussistenza, e intanto rifuggono da ogni lavoro che loro si offra:


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oggi non avendo potuto ottenere niente dal consiglier delle Finanze, sono scesi nella strada armati di mazze, gridando: Morte a' Piemontesi. Abbasso il Ministero, e scagliando pietre contro le invetriate de’ dicasteri. È accorsa la forza e li ha dissipati, ferendone tre che mostravansi più ricalcitranti.

Di questo fatto sono addoloratissimi i veri Garibaldini i quali, mi si assicura, andranno a metter subito fuori una protesta per non andar confusi con siffatto gentame indegno di portare l'abito e il nome dei valorosi di Calatafimi. Voglio augurarmi che anche dal canto suo il governo sia per emettere prontamente ordini efficaci contro questi mestatori della pace e dell'ordine pubblico.





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