Eleaml


CRONACA
DELLA
GUERRA D'ITALIA

1861-1862
PARTE QUINTA


RIETI
TIPOGRAFIA TRINCHI

1863

Mentre nelle provincie napoletane infiamma  la guerra partigiana, nel palazzo si delinea la scelta funesta di anteporre l'unità fittizia e formale del neonato stato alla soluzione dei problemi reali ed è già evidente la frattura nord-sud (siamo a fine 1861) che si trascinerà insoluta fino ai giorni nostri.

I più acerrimi nemici di una linea meno accentratrice e più aperta ai bisogni degli ex-stati e soprattuto di quelli dell'ex-Regno delle Due Sicilie furono i collaborazionisti meridionali. Leggete gli interventi di Massari e ve ne renderete conto.

Alla proposta di Ricciardi di tenere la seduta di apertura del Parlamewnto a Napoli, evita di rispondere facendo della filosofia sui rapporti del nuovo stato con la Francia.

Zenone di Elea – Luglio 2009 - https://www.eleaml.org

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II.

Parecchi giorni passarono dopo questa seduta senta che la camera s’occupasse dell’esame di questi documenti. Il 2 Dicembre finalmente l’ordine del giorno portò le interpellanze sulle questioni di Roma e di Napoli. Noi proveremo di riportare esattamente, secondo che abbiamo fatto per le sessioni antecedenti, i dettagli di queste importanti discussioni, nelle quali i agitava non solamente l’interesse d’Italia, ma quello altresì del mondo cattolico.

Pres. TECCHIO, V. P.

La seduta è aperta a un’ora e 20 minuti.

Tutte le tribune, quelle del Senato, del corpo diplomatico delle signore, le tribune pubbliche, sono letteralmente teppe di spettatori.

Ferrari Non ha molto vi compiaceste di porgermi ascolto: io vi chiedo di prestarmi la stessa attenzione di cui mi fu benigno Cavour, quando gli faceva opposizione.

Questo grand’uomo amava la polemica e quando io gli diceva ch’io non credeva possibile, come egli pretendeva, di far di Roma la capitale dell’Italia non cessò di ascoltarmi con benevolenza.

Il conte di Cavour esercitava allora una grande influenza; era il Mosè dell’Italia. Adesso non vivo più che nel tempio della Gloria.

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 Noi che viviamo nella realtà dobbiamo chiedervi ragione di ciò che avete fatto per giungere al grande risultato che il conte di Cavour vi ha lasciato il dovere di compiere.

Che avete voi fatto per questo? avete scritto tre lettere, in una delle quali voi dite che Roma vi converrebbe assai come capitale per molto ragioni. Qual conto il governo francese poteva esso fare della vostra missiva? Io posso benissimo dire quale poté essere il pensiero dell’Imperatore ricevendo la vostra lettera. In Francia, la libertà dei culti esiste piena ed intiera; ora quale sarà stato il vero intendimento del discendente di Carlo Magno intorno al documento diplomatico del presidente del Consiglio? Invero debbo confessare che deve averlo trovato assai debole. Io voglio essere calmo nella discussione, e discuterò col sig. Ricasoli come farei con un monaco di Monte Cassino. (Si ride)

Roma appartiene a S. Pietro, a S. Damiano e a parecchi altri santi; ora perché il nostro presidente del Consiglio vuol egli usurpare la patria dei santi?

Nel vostro memorandum non dovevate attaccare le dottrine della Chiesa, ma dovevate parlare della sicurezza pubblica compromessa, della pace civile turbata. Nella sua argomentazione il ministro enunziò la famosa idea: «la Chiesa libera nello Stato libero;» ora noi non abbiamo né libertà della Chiesa, né libertà nello Stato. Lo Stato libero non ha né imposte, né carichi, né impedimenti di culti. La Chiesa non è più libera dello Stato, essa nol fu che a Roma nel medio evo; perciò, lo ripeto non dobbiamo parlare di queste due libertà.

Nel 1109, il papa Pasquale II e l’imperatore Enrico dopo cinquant’anni di guerra, fecero una pace la cui condizione principale fu la rinunzia, da parte del papa, a tutte le donazioni di Pipino e Carlomagno; egli si spogliava in una parola del dominio temporale, ma tenvra a nominare i vescovi. Era un tradimento; esso fu disvelato e l’Imperatore fece imprigionare il pontefice. In fatti colla nomina dei vescovi egli aveva per sé il regno delle anime e con questa potenza, avrebbe bentosto trionfato dell'Imperatore.


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L'equilibrio del Piemonte fu distrutto dal momento che Cavour ebbe dichiarato Roma capitale dell’Italia. Fu un vero sconvolgimento geografico che ha mutato tutto. Ma con Roma voi stabiliste anche il sillogismo della nostra dipendenza. Voi diceste: senza Roma non v’è Italia; ora Roma, dipende dall’Imperatore de’   Francesi; dunque io non conchiudo (sensazione).

Dopo Novara, il Piemonte torné nella lotta con una nuova guerra avendo a fianco la Francia. Noi siamo già 22 milioni, ma non abbiamo finito di guerreggiare e noi dobbiamo coll'aiuto delle leggi e coll’aiuto del governo sforzarci a diventare così felici che gli altri Italiani siano desiderosi di appartenere al nostro Stato (approvazioni).

In vece noi vediamo una città di 500 mila anime ridotta a condizione assai misera. Voi mandaste colà uomini che avevano certamente ottime intenzioni, ma che non so ne intendevano. Voi distruggeste l’equilibrio; voi faceste nascere il brigantaggio. Certo io ho fede nella Francia; credo che il glorioso cammino il quale ci condusse a Montebello, a Magenta, a Solferino sia sempre aperto, ma non bisogna chiudere quello non meno glorioso che ci condusse a Palermo e a Marsala, (bravo)

L’oratore si riposa per cinque minuti.

Ferrari, ripigliando la parola, comincia a dipingere con colori assai vivi il brigantaggio e le sue devastazioni nelle provincie napoletane; egli crede che si dovrebbe lasciare che il principio della libertà termini l’opera sua, questo principio che ha guadagnato quelle provincie alla causa italiana saprebbe conservagliele; è questa la forza che debbo agire. Il brigante è sempre spregevole; nessuno gli può fare buon viso ma quale mostrasi nelle napoletane, esso è abbastanza potente perché sia più che difficile. quasi impossibile alla truppa regolare di venirne a capo, alla truppa regolare che non è appoggiata dalla polizia.

L’oratore continua citando parecchi fatti di brigantaggio per meglio dipingere la situazione.


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Io era a Napoli, aggiunge il sig. Ferrari, e non si sapeva ancora nulla di esatto sulla catastrofe di Ponte Landolfo che aveva avuto luogo da dieci giorni.

L’oratore racconta le uccisioni e gl’incendi commessi dai briganti in quel villaggio che egli stesso ha visitato. Egli rammenta che aveva domandato ad un’altra epoca, di non precipitare l’annessione, egli aggiunge che ha diritto di chiedere conto del sangue dei nostri soldati. Quando egli visitò le città di Napoli, di Palermo e di Siracusa, dappertutto lo hanno condotto sui luoghi ed in mezzo alle rovine che portavano le tracce della lotta e della vittoria contro la tirannia borbonica. In tal modo, dice egli, quelle popolazioni mi attestarono la loro devozione alla patria ed alla libertà. (Approvazione)

L'oratore termina il suo discorso esortando i ministri a governare con giustizia, ma appoggiandosi sempre sulla libertà. (Applausi sui banchi della sinistra.)

Alfieri non crede che il presidente del Consiglio abbia seguito la via che il conte Cavour aveva consigliato agl'Italiani di percorrere per giungere al risultato dell’unità Italiana. Gli pare che il sig. Ricasoli abbia rovesciato tutto il sistema; perocchè il conte di Cavour voleva che Roma appartenesse all’Italia, come coronamento del grande editi/io nazionale, mentre Ricasoli vorrebbe dapprima ottenere la città eterna per giungere in seguito, mediante il suo possesso, a terminare l’opera dell’unificazione. In seguito l’oratore si applica a dimostrare che egli non crede che Roma sia necessaria per fare l’Italia; che Roma contiene, al contrario, degli elementi oppostissimi a questo risultamento.

La debole voce dell’oratore impedisce di ben intendere. Egli sostiene che non bisogna offendere il principio del cattolicismo, e si sforza di dimostrarne l’alta influenza; egli crede che i vantaggi che si otterrebbero coll’andare a Roma non compenserebbero i pericoli che potrebbero risultarne.

Sembra che Alfieri rimproveri al governo di non aver pensato anzitutto a ristabilire l’ordine e la pace all’interno, il che gli avrebbe cattivato la fiducia dell’Europa, prima di pretendere al possedimento pacifico della città eterna.


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L’oratore dopo di essersi riposato per alcuni momenti, annunzia che si occuperà del ministero dell’interno. Egli crede che, d’accordo col ministro dei culti, il ministro dell’interno penserà a riparare gli errori commessi a detrimento delle corporazioni religiose, corporazioni che hanno reso in altri tempi cosi grandi servigj alla civiltà.

L’oratore finisce tuttavia con dichiarare che egli riconosce negli uomini componenti il gabinetto molto patriottismo ed alte capacità, e spera che le spiegazioni che essi forniranno sui loro atti saranno tali che egli potrà dar loro un voto di fiducia.

Massari Il Sig. Ferrari aveva ragione dicendo che il conte di Cavour ascoltava con molta pazienza i ragionamenti de’   suoi avversarii, per parte mia, domando la medesima benevolenza a’ miei avversarii.

Quanto alla questione di Roma, io credo nel punto del diritto, noi non abbiamo più a discutere; in una delle sedute della prima parte di questa sessione la Camera si è pronunciata Mi questo punto.

Il governo ha agito come doveva per ottenere il risultato che ci eravamo proposti?

Quanto a mo io rispondo affermativamente. La longanimità di colui che sostiene una causa giusta torna a suo vantaggio e non nuoce, che a’ suoi avversarii. La questione romana non è di natura tale da essere risoluta colla forza; essa è religiosa, ma politica.

Osservate chi sono coloro i quali in Europa sostengono il dominio temporale del Papa, e vi persuaderete che la questione è tutta politica. Se la Francia continua a mantenere le valenti sue truppe a Roma, è per proteggervi Pio IX, non per proteggervi gli altri. Non bisogna ammettere la funesta formula: O tutto, o niente. Guai a noi se vogliamo agire secondo questo principio.

Ciò che ci abbisogna è una buona amministrazione interna. io comincerò per dichiarare che non esiste una questione napoletana, ma che esiste una questione d’amministrazione interna italiana e non altro. Molti de’   nostri colleghi prima di far ritorno a sedere su questi banchi, poterono intrattenersi co’   loro elettori, e sentire i loro richiami.


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Io non negherò che non esista del malcontento a Napoli. Qual ne è la causa? Primieramente la funesta eredità lasciata dal governo scaduto: la reazione, le vendette erano quasi inevitabili. Anche il modo con cui s’è operato il cambiamento di governo a Napoli ha contribuito a questo malcontento.

Il governo del Re si è trovato a Napoli dal principio innanzi a molte difficoltà, quelle provenienti dall’antico governo e queste suscitate dalla rivoluzione.

Non gli si potrebbe troppo fargli un rimprovero se in certi momenti si lasciò pressochè fuorviare.

Il brigantaggio dal mese di maggio, è diminuito (rumori; denegazioni sui banchi della sinistra).

Massari Noi tutti abbiamo i nostri ragguagli, io ho i miei, e posso affermare che il brigantaggio va diminuendo… (Interruzione dalla parte sinistra).

Il Presidente, volgendosi verso la sinistra; elleno negheranno quando avranno la parola per rispondere.

Continui l’on. Massari.

Massari dice che il brigantaggio è un’importazione dall’estero, e che le nostre valorose truppe ebbero il vantaggio in qualunque scontro.

Alcune voci E Chiavone?

Massari. Chiavone è italiano; ma i Borges, i Langlois ed altri nol sono. Quanto alle finanze si è detto che Napoli mandava in tutto il suo denaro al Piemonte; ora, io ho ricevuto questa mattina un rapporto del segretario generale delle finanze a Napoli che prova precisamente il contrario; vale a dire che è di qua che si mandano forti somme a Napoli.

L’oratore cita la cifra di 2,600,000 fr. rimessi a Napoli per colmare il deficit del bilancio 1861.

Ma lasciamo le cose, e parliamo delle persone. Io comincerò col dire alcune parole d'una certa consorteria. (Risa, interruzioni).

Massari. Io comprendo l’ilarità che ora ho sollevata; bisogna che io entri in quest’argomento, perché si è attribuita ogni sorta di cattive influenze a questa consorteria.

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E pertanto gli uomini che sono stati designati per farne parte sono quelli che nulla ricevettero dal governo, o che, se avevano impieghi, gli hanno rassegnati. Si potrà dire che in quistione io parlo come Cicerone, pro domo sua (si ride; nuovamente interruzione).

Uno de’   miei rispettabili amici, l’onor. Minghetti, (si ride) non è più popolare a Napoli di quello ch’io nol sia, (risa, nuove interruzioni), ed è poco amato nelle provincie meridionali perché viene accusato d’essere il più terribile dei centralizzatori (diniego sui banchi della sinistra).

Lazzaro. Domanda la parola per un fatto personale.

Il Presidente. Ella l’avrà più tardi.

Massari aggiunge che voterà in favore del governo, poiché egli crede che gli errori commessi gli ha commessi di buona fede. (lunga interruzione). Conchiude dicendo che bisogna seguire questo principio: Nulla per se, tutto perla patria!

Lazzaro, che ha la parola per un fatto personale, dice esser vero che aveva promesso a’ suoi elettori di combattere Marco Minghetti, e dichiara esser venuto alla Camera con intenzione di mantener la promessa (risa interruzione); è questa la mia idea. L’on. Minghetti, durante la sua amministrazione nelle provincie napoletane, agi contrariamente a quanto aveva stabilito il Plebiscito (dinieghi).

Musolino comincia col dichiarare che sarà diffuso: dice versi sapere non esservi gran fiducia nell'alleanza francese; il governo poter continuare a negoziare, ma dovere star pronto ad agire, poiché una nazione di 24 milioni deve sapere ciò che vuole, e può essere in istato di raggiungere lo scopo.

Non bisogna che l’Italia vada sempre mendicando il soccorso di questa o di quella potenza; bisogna che essa cominci a camminar da sé. Molto tempo si è perduto vagheggiando vane speranze; è l’ora di tenere una condotta più degna e più ferma. È, secondo l’oratore, uno sconcio imperdonabile dello spirito italiano d’esser sempre appassionato ammiratore dello straniero e specialmente della Francia. Sono vecchi amori, e pertanto quando io parlo della Francia intendo del governo, fu egli mai favorevole all’Italia?


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Musolino cita le date in cui la Francia fu funesta all’Italia; tra queste date ricorda il 1860 e il 1861. (Bisbigli e denegazioni).

Musolino Lasciatemi dire, previdi tutte le difficoltà, vi darò delle spiegazioni molto dettagliate.

L’oratore fa la storia del l’influenza francese sugli avvenimenti Italiani nel 1790, 1804-31-48 e 49 e tende a provare che la Francia ha un vivo interesse acchè l’Italia non sia unita né forte.

Mauro Macchi. Domando la parola.

Musolino dice che l’Italia si è sempre sacrificata per la Francia; essa ha combattuto in tutte le battaglie dell’Impero, e allorquando la stella di Napoleone I impallidì, solo gl’italiani gli restarono fedeli. L’Italia diverrà grande alla sua volta, colla saviezza delle sue istituzioni, colla sua industria e colla sua forza; allora essa darà alla Francia la sua libertà (Segni di stupore).

Dal 1859 data un'era nuova nella condotta della Francia a nostro riguardo.

L’oratore sostiene che le grandi potenze favoriscono l’unità italiana, e che avvenimento di questa unità è il fatto che meglio corona le intenzioni del trattato del 1815 (bisbigli). La Francia aiutò l’Italia nel 1859 per aver Nizza o la Savoja: allorché la Francia vide che gli Italiani si spingevano innanzi si fermò tosto a Villafranca.

In seguito la Francia non ha più ajutato né favorito l’Italia. Se l’Italia continuò a progredire, solo fu spinta innanzi dalla sua volontà e tenacità; la Francia sempre disapprovò i suoi disegni; sempre rispose col famoso non possumus di Pio IX. (bisbigli)

Musolino continua a passare in rivista l’azione della Francia a riguardo dell’Italia; a Gaeta protesse Francesco II colla sua flotta, all’epoca delle spedizioni delle marche e dell’Umbria ritirò il suo ambasciatore da Torino, ritardò quanto poté di riconoscere il nostro regno, finalmente gli Italiani vogliono andare a Roma e la Francia vi si oppone ancora, sempre.


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Quali sono le intenzioni del governo francese? Nessuno lo sa. Vuole che gli italiani trattino, ma come? Su quali basi?

L’oratore rimprovera al ministero la sua longanimità; dice che il suo modo di agire non è né degno di una grande nazione ne indipendente.

Presidente. Posto mente all’ora già tarda, propongo alla Camera di inviare il seguito della discussione all’indomani.


Seduta del 5 novembre — Pres. Tecchio, V. P.


Le tribune sono sempre affollate.


La seduta è aperta alle ore 1 25 colla lettura del verbale della precedente seduta che viene approvato.

Segue l’ordine del giorno

Musolino, prima di continuare il suo discorso interrotto ieri per l’ora tarda, osserva mancare il sig. ministro degli affari esteri. Il presidente gli risponde che essendo presente il sig. ministro dei favori pubblici, può progredire nella esposizione delle sue idee. Quindi l’oratore continua, proponendosi di dimostrare la poca amicizia della Francia verso di noi e la imperizia del nostro gabinetto.

Non sa capacitarsi come in pieno secolo XIX si possa imbrogliare una questione, che per se stessa è semplicissima e risolata vale a dire la questione romana.

Passa in rassegna le condizioni della chiesa dai tempi primitivi sino ai nostri per concludere quanto dannoso allo spirituale sia il dominio temporale. Dice che nei paesi ove non si riconosce il dominio temporale la religione cattolica è prosperosa.

Discende quindi ad analizzare gli articoli del capitolato sottoposto alla disamina della Camera ed osserva anzitutto che stando al primo tra essi, tante sono le latitudini che si accordano al papa, che verrebbe degratata la immensa individualità del capo del potere esecutivo, e ci farebbe precisamente diventare la favola del mondo, e ridurrebbe l'Italia ad un seminario di studenti in cui gli stranieri, che verrebbero a ficcare il naso nelle nostre faccende potrebbero trattarci a bacchetta. »


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Questo è un documento, continua, che basterebbe per se solo a mettere in accusa il ministero (rumori) perché è una violazione manifesta dei diritti, delle prerogative della Corona, e scommetto novantanove contro uno, che se fosse andato a Roma, il papa lo avrebbe accettato. (Ilarità prolungata).

L'imperatore dei francesi non volle presentarlo, perché era certo che il pontefice lo avrebbe accettato, ed allora sarebbe cessata la sua influenza sull'Italia e scemata quindi la probabilità di portarsi via un altro bricciolo di terra.

Crede che l’abolizione del dominio temporale susciterebbe in Francia leggiero rumore, tutto al più tra qualche dama del quartiere di S. Germano, perché il clero francese fa opposizione al governo per indurlo a conservare il territorio pontificio, ma perché esso, il clero, si compone di legittimisti ed orleanisti, i quali lavorano o per il conte Chambord o per quello di Parigi, par di osteggiare i Napoleonidi. Ricorda le teoria gallicane in manifesta opposizione colla chiesa romana.

Esamina le condizioni dei varii stati d’Europa ed è d’avviso che nessuno può interessarsi della libertà ed indipendenza del sommo pontefice. Le sole che potrebbero, sarebbero la Spagna e l’Austria «Ma la prima, egli dice, lasciamola con suor Patrocinio che già ci da pochi imbarazzi; coll'Austria poi abbiamo da saldare i conti. »

Insomma, tutto analizzato, crede che noi non andiamo a Roma perché la Francia non vuole.

«Che se, egli dice, il governo nostro ci predica che dobbiamo andar a Roma d’accordo colla Francia, o la è una bonomia antidiluviana od è segno manifesto che siamo dipendenti dalla Francia (applausi dalle tribune il presidente le richiama all’ordine).

La Francia ha proclamato che ove sventola il suo vessillo, ivi ha causa giusta da difendere. Domando io: la bandiera francese che sventola in Roma non difende forse la più infame delle


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cause, quella cioè del brigantaggio? la causa degli stupri, degli incendii, delle rapine? Vi dirò cosa che parravvi una bestemmia, eppure la è cosi. Né il Papa, né Francese II hanno un interesse che si alimenti il brigantaggio, ma invece è un interesse speciale della Francia per gli occulti suoi fini. Il brigantaggio è alimentato in Marsiglia, e nella stessa Nizza (Rumori; qualcuno domanda la parola)

Pres. La prego di rispettare un governo che ci è assolutamente amico.

Musolino Io discuto la convenienza di un’alleanza, quiudi credo mi sia permesso di esternare la mia opinione. Ad ogni modo, giacchè non lo mi si permette, troncherò un discorso che avrebbe durato almeno dieci ore (ma prolungate) e passerò alla conclusione.

Io non voglio guerra colla Francia, ma voglio esser padrone in casa mia: il governo non può liberarsi da tale dipendenza altro che armandosi; l’armamento è il solo rimedio che ci faccia uscire da tanto imbarazzo. E il governo che cosa fece per questo? Nulla, assolutamente nulla; anzi fu inerto nell’opporsi ai refrattari ed alle diserzioni nello provincie modenesi, nelle Marche e di Umbria. Anche il brigantaggio nelle provincie meridionali deve attribuirsi a colpa del ministero, perché a quest’ora non esisterebbe se avesse dato retta ai provvedimenti proposti dall'illustre generale Cialdini

Esaminando spassionatamente la condizione delle cose, il Parlamento non può fare a meno di non emettere un voto di biasimo contro il gabinetto.

Brofferio. (Segni di attenzione.) Io invio un saluto di fraternità e di benevolenza alla Francia, a quella Francia che nei tempi della rivoluzione ci infuse la libertà ed il progresso, o fu il preludio dei movimenti di Europa. Aveva bisogno di dire questo, non perché si possa credere che io tema che le parole del mio amico Musolino sieno male interpretate ma perché si conosca che noi siamo riconoscenti.

Ciò detto, mi sia permesso di rivolgere la parole all'on. barone Ricasoli, i cui generosi e nobili accenti mi risuonano ancora all’orecchio,


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quando diceva che in Italia non bavvi terra da godere bensì da ricuperare. E se le parole avessero corrisposto ai fatti, io avrei ad esso dato un appoggio sincero.

Il signor barone Ricasoli, fedele alla politica del conte Cavour doveva per andare a Roma od essere certo dell’assenso del papa, o di quello dell’imperatore, o di entrambi, od almeno che avesse in serbo uno di quegli eroici mezzi, di cui le nazioni si servono per giungere a sublime meta, ed avesse compreso il grande oracolo di Garibaldi, cioè la necessità che l'Italia abbia un mezzo milione di armati. Ma pur troppo l’oracolo rimase incompreso.

Qualche cosa si fece nella milizia stanziale, ma languidamente ma adagio: l’elemento volontario si lasciò in disparte; gli ufficiali dell’esercito meridionale lasciati illanguidire in remoti paesi.

Volgo attorno lo sguardo e veggo lo stesso sistema, le stesse persone, come se Roma non esistesse, e non ci minacciasse il pericolo: e non vi sono forse in Italia altri uomini che hanno e grandezza e gloria e speranza ed avvenire? (applausi delle tribune) Perché il baron Ricasoli ha nominati individui che non sono in concetto d'italianità, come fece di recente con nomi che sgomentarono la pubblica opinione? (bene, a sinistra) A Bologna e nelle Romagne gli impiegati superiori sono i fedelissimi servitori del card. Antonelli, e nelle Calabrie ed in Sicilia quelli che si ricordano il dominio dei Borboni.

E quando in Napoli un illustre soldato stendeva la mano ad altri uomini, fu osteggiato, fu richiamato. La maggior parte dei disordini che succedono in Italia devono attribuirsi al non essersi organizzata la polizia. Oh! Bologna che nel 48 col solo petto dei tuoi cittadini hai saputo schiacciare gli austriaci, che cosa sei mai divenuta? perché i ladri, gli assassini ti signoreggiano? Perché il governo ti ha abbandonato, (segni di approvatone a sinistra) Intanto si perseguitano quelli che non la pensano come i capi del governo, si relega in Sardegna un giovine studente pel solo delitto di aver recitato un discorso sulla tomba di un amico.


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Il Piemonte formicola di emissarii per arruolamenti stranieri, per diserzioni: è un fatto notorio, la sola polizia non lo sa. Un solo processo venne fatto contro uno di questi reclutatori e sapete chi è il reo? È il padre Isidoro dell'ordine dei cappuccini.

La polizia è composta di uomini che patteggiano coi ladri, cogli assassini, e si son veduti di recente fatti scandalosi svelati nelle sacre aule della giustizia.

E sino a quando durerà questa Babele che disordina le menti? Una delle ragioni per cui le cose di Napoli volgono alla peggio, si è che le popolazioni non hanno alcuna fiducia nei tribunali, perché io essi siedono quelli stessi che hanno condannato altra volta parecchi dei nostri amici. E lì si accarezzano, nel mentre onesti patrioti languiscono per le vie.

Accenna al terrorismo incusso dai malfattori nelle Romagne per cui non ci sono né querelanti né testimonii, né giudici, mentre le pugnalate, fioccano per davanti o per di dietro.

Accenna al processo del duca di Cajanello il quale stette in carcere sei mesi e poi fu rimandato. Questo vuol dire che mancano i buoni magistrati, perché le buono leggi nelle provincie napoletane non mancano.

Per qual ragione, egli dice, l’onorev. ministro guardasigilli tiene incora sotto la sua pietra la legge relativa all’ordinamento della magistratura?

Io non voglio parlare della istruzione pubblica, però anche il signor ministro incaricato di questo dicastero non può lasciarsi senza reclami. Egli ci aveva promesso di abbruciare tutti i regolamenti del suo predecessore, eppure esistono tuttavia o se potessero caricarsi sulla groppa di tanti camelli, affé! che sarebbero stanchi. Altro non fece insomma che incaricare i diversi teologi dello Stato ad occuparsi un tantino della discussione accademica del dominio temporale. (Risa) Crescono i malumori tra gli studenti per le tasse scolastiche, eppure il sig. ministro vede tranquinamonte passare i suoi camelli. (Ilarità prolungata)

Son troppo buon patriota per tacere delle finanze, le quali, bisogna pur confessarlo, non sono in uno stato tanto florido.

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Però mi permetta il sig. ministro di dirgli: perché non ha preso un qualche provvedimento sui grassi beni ecclesiastici, i quali servono ad impinguar» il Denaro di San Pietro?

Ora passerò alla questione estera. Che cosa fece il signor ministro per andar a Roma? Ha trovato dei liberali che con linguaggio di sacristia parlano di andarvi; ma ciò non basta. Io non posso lodare né un calvinista che parla da frate, né un frate che parla da calvinista, come disse ieri un onorevole oratore della destra. (Bene a sinistra e dalle tribune)

I documenti depositati che cosa mai sono? Noi credevamo che se almeno non ci annunciassero una vittoria, almeno ci palesassero gli sforzi fatti dal ministro.

(Accenna alla mancanza di una risposta del nostro ambasciatore in Parigi.)

La nota diretta al Papa, che rassomiglia ad una dissertazione del padre Tosti (risa) quale effetto produsse?

Discende a parlare del capitolato ed osserva che esso sarebbe dannoso all’Italia.

Voi volete andare a Roma per crearvi un antagonista cosi forte, che accotterebbe tal patti per rovesciarvi quandochè fosse?

Non so comprendere come il ministro guardasigilli abbia potuto permettere che l’Italia rinunci alla nomina dei vescovi, ai diritti di patronato? Per verità non mi aspettavo un abbandono di tali prerogative per parte del sig. cav. Miglietii!

E per questo contratto bilaterale, quale ne è il corrispettivo? Non avete nemmeno avuto il coraggio di parlare francamente a coloro da cui aspettate delle concessioni; non avete detto che cosa desiderate pel vostro sacrificio.

L’onorevole difensore del ministero disse ieri che egli perdonava gli errori commessi da esso, perché li aveva commessi in buona fede. A dir vero, io auguro al gabinetto avvocati migliori. (Ilarità prolungata)

Per me, venga al ministero persona che segga alla destra od alla sinistra, per me è indifferente, purché siano uomini che facciano appello alla concordia, che armino,


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e nel mentre riconoscono la necessità delle alleanze, non si facciano servili di chicchessia, ed allora dirò veramente che l’Italia si fa. (Applausi)

Pisanelli. Il principio della politica estera esser dove un principio di aspettativa paziento ma forte e dignitosa. L'onorevole preopinante, che mi precedette, parlò d’armi e d’armati, e raccomandò gli armamenti: io mi associo interamente ad esso.

Parla poi delle condizioni di Napoli. Dice che lo stato di quelle provincie e l’animo de’ suoi abitanti devono essere oggetto di molti studii. A Napoli regna il malcontento, ma non vi sono borbonici. Descrive lo stato delle provincie quando vi giunse Garibaldi. Il mutamento degli ordini politici in quel paese sconvolse molti interessi.

Parla contro l’accusa di piemontesismo che si dava per lo passato al sistema del governo centrale.

«Io ne fui altamente indignato, egli dice, perché Piemonte allora voleva dire Italia.

Giustifica su questo argomento l’operato del governo, e chiede se era possibile pubblicare nello provincie meridionali una legge sulla stampa, sulla guardia nazionale, una legge comunale diversa da quelle che esistevano nelle antiche provincie.

Queste furono le premesse del primissimo periodo dell’amministrazione piemontese, e credo che non avrebbe potuto fare altrimenti.

Il principal errore del governo si fu quello di non essersi fatto intendere dalle popolazioni meridionali. Io non mi farò a discutere quale esser dovesse l’indirizzo politico ma affermo un fatto che non potrà essere da alcuno contestato. Quando un governo si mostra dubbio e vacillante, anche le popolazioni dubitano e vacillano. Non vale mutar impiegati: taluni vi diranno che avete mutato troppo, tali altri poco: bisogna, o signori, che la macchina governativa non ondeggi, ma stia ben ferma o decisa. Io credo che si debba contare sui partiti politici; credo che sia desiderabile che tutti i cittadini prendano una posizione politica, che tutta la cittadinanza si divida in partiti politici.


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Fra gli errori son d’avviso si deve annoverare anche lo scioglimento dell’esercito meridionale. Noi non dobbiamo disconoscere i segnalati servizi da esso resi, come non possiamo disconoscere la influenza di taluni partiti politici.

Non bisogna disconoscere che nelle Due Sicilie l’iniziativa fu presa dal partito rivoluzionario, al quale erasi accostato il governo, che ne assunse il programma. E dopo ciò sciogliere l’esercito meridionale era lo stesso che costringerlo alla ribellione. E quell'esercito si sciolse in Napoli per cui in quella popolosa città si viddero meglio che 201m. soldati, i quali conoscendosi osteggiati dal governo, si credevano in diritto di osteggiarlo con grave nocumento dello spirito pubblico.

So il governo del Re non si sfasciò anche nelle provincie meridionali non è pei meriti di coloro che ne stanno a capo, bensì del patriottismo delle popolazioni, dello slancio della guardia nazionale, della difesa prolungata di Gaeta che raggruppava tutti i partiti e consigliava la concordia [Bene)

Signori, se i borbonici osarono, di tanto ardimento è causa la debolezza del governo e la lentezza dell’azione governativa.

(Enumera parecchi fatti di questa lentezza.)

La stella polare dei nuovi reggitori doveva essere l’unità d'Italia ed ora non v'ha forza umana che possa annebbiarla: ad essa s’inchina persino il genio eminente dell’illustre Ferrari. Ma potevano adottare diversi sistemi: o conservare tutto quello che vi era d’antico, o distruggere tutto ciò che esisteva nelle nuove provincie, o tenere una via di mezzo.

Con quali vantaggi si è mutata la condizione della scuola militare di Napoli? Con qual beneficio si ordinò che dal collegio di marina uscissero parecchi allievi, chiamando in appoggio non so quali regolamenti? Sia lode all’illustre generale Lamarmora che ne fece riparazione.

(Breve interruzione)

Le lodi che tributai al gen. Lamarmora le estendo eziandio al generale Cialdini che iniziò quella riparazione.

Vengo ad un altro errore. Vi avrà forse chi mi accuserà di vecchi amori municipali. Ho detto che Napoli si sentiva umiliata ed e questa la ragione precipua del malcontento dei napoletani.


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Si poteva credere che Napoli, la quale vanta tante tradizioni di ottimi ingegni e di costante martirio per la causa politica, mancasse ai suoi principii? lo vi parlo delle legittime aspirazioni, dei legittimi orgogli. I napoletani credono che di essi non si sia tenuto certo conto. Non entrerò a dire quale sia la suscettibilità dei napoletani ed in qual conto si dovessero tenere. Ma è certo che se costituiscono un terzo d’Italia, è necessario che entrino in proporzione negli impieghi. Ognuno sente il desiderio di spendere la sua mente, la sua cooperazione per la pubblica amministrazione. E' un nobile orgoglio che non bisogna offendere.

(Passa in rassegna parecchie caste di impiegati che ebbero a soffrire per ciò, come la marina, il corpo sanitario ed altri.)

Anche voi al ministero della giustizia non avete persone che sieno in grado di avvertire l’onorev. ministero di tradizioni di costumi speciali delle provincie napoletane.

Io potrei rinforzare quest’argomento con fatti gravissimi, ma stimo meglio applicarmi al silenzio; però qualora vi venissi forzato potrei denunciare qual danno ne sia risultato dal non essersi il ministro circondato di persone appartenenti a quelle provincie.

Signori, noi siamo qui raccolti tutti dalle diverse parti d'Italia, uniti in un sol pensiero, ma non potremmo volere che il governo privilegi una provincia piuttosto che l’altra. Noi combatteremo sempre codesto governo, come quello che sarebbe di gravissimo danno alla cosa comune. (Bene, bravo) Tutti i sacrifici che furono fatti, il sangue che venne sparso, lo fu solo per riunire in una sola famiglia tutta l’Italia dopo tanti secoli di divisione, e mi si permetta di rivolgere all’antico Piemonte un pensiero di riconoscenza (Bene).

I mali che affliggono il mezzogiorno derivano dagli errori che ho più sopra annunciati. Havvi un partito, il quale crede che unico rimedio di questi mali sia la rivoluzione. La rivoluzione ormai già fu fatta: e l’Italia diede lo spettacolo all’attonita Europa di una di nuovo genere capitanata da un magnanimo e valoroso principe, assecondata dal governo e da tutti i cittadini. Ora v'ha d’uopo soltanto di ordinamento.


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Discende a discorrere del brigantaggio e crede che in un paese sconvolto da una rivoluzione, in cui sia stata sciolta un’armata, il brigantaggio deve necessariamente pullulare.

Dice che i briganti hanno per capo un Chiavone, un Crocco, un Donatelli, e per gregarii gli evasi dalle galere, ed alcuni stranieri avvezzi alle stragi ed alle rapine; accenna al patriottismo delle popolazioni, che danno ad essi la caccia.

«Quando veggo, egli dice, l’amor patrio di quelle provincie, i sacrificii da esse incontrati, non posso comprendere come vi possa essere taluno così spudorato da asserire che vogliano, che desiderino smembrarsi dal resto d’Italia. (Bene bravo) II giorno in cui Francesco II muoverà da Roma in cui Roma sarà capitale nostra, il brigantaggio sarà domato. »

Passa a suggerire i rimedii e tra questi principale credo l’armamento.

Se noi faremo vedere che siamo risoluti a qualunque sacrificio, che vogliamo ad ogni costo il trionfo della causa nostra, vedremo quanto prima sventolare la bandiera in Campidoglio e risorgere l’avita Venezia, fra gli applausi di tutta l’Italia. (Bene bravo, applausi.)


Seduta del 4 novembre — Pres. Tecchio, V. P.


È all’ordine del giorno il seguito della discussione sull’interpellanza circa alla questione romana ed alla condizione delle provincie napoletane.

Anche le tribune sono ingombrate.

Si apre la seduta alle ore 1 25 pom. colla lettura del verbale della precedente tornata che viene approvato.

Si annunzia l’ordine del giorno:

Ricciardi (segni di attenzione}. Premetto una osservazione. Alcuni dei miei avversarii dicono che i miei discorsi piacciono all’Armonia. E la ragione è facile, o signori, perché anche l’Armonia siede sui banchi dell’opposizione, come siedo io stesso; con questo però che l’Armonia fa una opposizione parricida, mentre io mi oppongo al ministero perché lo credo su di una falsa strada.


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Ciò premesso, mi è forza, o signori, di domandare una piena libertà di parola: è tempo ormai di lasciare da parte ogni reticenza, è tempo ormai di abbandonare un sistema di ipocrisia

(rumori).

(Il presidente gli fa qualche osservazione dicendogli che nessuno qui parla con ipocrisia e che a ciascuno è concessa piena libertà di parola).

Ricciardi. Il giuramento che ho prestato mi ricorda quali sieno i miei doveri; credo quindi che il signor presidente non abbia il diritto di richiamarmi all’ordine!

Discende quindi a parlare della questione estera; è i!’avviso che i documenti presentati dal ministero sieno scritti con uno stile degno del Passaglia o dei Livinini: manifesta le sue simpatie per la Francia «in cui nacquero le sue figlie» (ma), per la Francia che sparse il suo sangue per noi a Magenta ed a Solferino; crede però che Napoleone III non sia nostro amico e lo deduce dal tollerare che fa egli quanto avviene in Roma all’ombra della bandiera francese, dalle scene di Vitulio, dall’aver rifiutata egli la proposta dei cittadini romani. Consiglia di protestare continuamente contro l’occupazione francese e di armarsi per rafforzare la protesta.

Quanto all’armamento «pur troppo, egli dice, non abbiamo che 145,000 uomini, eppure nel bilancio della guerra sonovi iscritti per 300 milioni di lire. Io credo che non avremo un esercito compatto, sino a che non avremo presi in un solo tutti gli elementi militari italiani. »

Dice che molti ufficiali dell’ex esercito borbonico si lagnano, che a loro riguardo sia stata violata la capitolazione di Gaeta: raccomanda al ministro della guerra di richiamare tutta quella gioventù già appartenente al disciolto esercito stesso, siccome quella che altro non domanda «se non di servire la bandiera italiana e di combattere per essa.» Raccomanda allo stesso ministro le sorti delle gloriose reliquie del 21.

Sull’argomento delle finanze, dice che i 500 milioni dell’ultimo imprestito «furono consumati prima di essere incassati:


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protesta contro il sistema delle spese maggiori, che non devono essere incontrate altro che nei casi di assoluta necessità: rimprovera il ministero di pagare grasse pensioni ai nemici della causi italiana, mentre si rifiutano a chi ad esse avrebbe tutto il dritto: protesta contro tutte le spese straordinarie che si fanno nei ministeri «come se Torino dovesse rimanere eternamente la capitale d’Italia.» Su questo proposito dice che i singoli ministri decretano spese a favore dei loro dicasteri, senza consultare previamente l’on. ministro delle finanze.

«Parmi, osserva l’oratore, che l’onor. Bastogi potrebbe mostrare i denti ai suoi colleghi. (Ilarità prolungata)»

Parla contro le spese di rappresentanza «nulla importando all’Italia in questo momento che i suoi prefetti diano pranzi e balli:» esige la presentazione dei bilanci non solo del 1862, ma anche dell’anno in corso.

Passa all’ordinamento interno.

Qui mi è forza elevare la voce contro una strana malattia del ministero, la decretomania. Infatti da un anno a questa parte abbiamo veduto un diluvio di decreti nel Giornale Ufficiale, la maggior parte dei quali sono incostituzionali, perché concernono temi di sola attribuzione del Parlamento, come quelli relativi alle circoscrizioni territoriali, all’abolizione di alcuni corpi religiosi ed al mantenimento di alcuni altri ecc.

Si occupa dell’abolizione della luogotenenza napoletana, che fu una delle precipue cagioni del malcontento delle provincie del mezzodì.

«Io sono unitario per principio, egli dice, io combattevo per l’unità italiana quando da molti dei miei colleghi era ritenuta un sogno, ma credo che la unificazione debba essere opera del tempo. Da molto tempo a questa parte vi ha una generale reazione contro l’egemonia piemontese.

A questo punto fa un elogio delle provincie subalpine, dicendo che la sua simpatia per esse la nutrì sin dai primi anni, perché il primo libro che ebbe tra le mani furono le tragedie d’Alfieri, (ilarità prolungata)


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Ma ciò non toglie, continua, che il Piemonte si rassegni ad essere provincia italiana. (Lo è, lo è) Tutto quello che viene da questo paese non è ricevuto a Napoli con quella accoglienza che si farebbe se venisse da Roma. »

Dice che il governo doveva appoggiarsi sui perseguitati dal governo borbonico: consiglia un’inchiesta finanziaria a Napoli, perché non è possibile che una gran somma da Torino sia stata mandata colà, se le finanze napolitane erano fiorenti, inquantochè la rendita loro andava fino a 118. Accusa il governo di aver violato il plebiscito, perché le provincie meridionali hanno preteso di annettersi all’Italia e non al Piemonte, e col proclamare l’Italia una ed indivisibile, non hanno voluto rinunciare alle loro leggi.

«Esse vi rinuncieranno, quando il Parlamento italiano siederà a Roma.» (Rumori prolungati)

Pres. La prego di osservare che il Parlamento italiano segga a Torino, a Roma, od altrove, non cessa però di essere Parlamento italiano. (Benissimo, bravo, applausi dagli scanni dei deputati e delle tribune)

Ricciardi. Io credo di essere libero di esternare la mia opinione: altri la combattano.

Non so comprendere per qual ragione nel mentre si aboli la luogotenenza di Napoli, si volle mantenere quella di Sicilia, e la si abolì quando appunto il gen. Cialdini era amato colà o stava per vincere interamente il brigantaggio.

Ed eccomi al brigantaggio.

Qui nega che il brigantaggio sia scemato, come sostenne l’on. Massari, e legge una lettera in appoggio del suo asserto, dicendo di darla all’on Massari, perché si compiaccia di sottoporla al sig. presidente del Consiglio. (Massari domanda la parola). Non crede che lo si possa spegnere coi soldati, ma con rimedii morali, cioè rialzando lo spirito pubblico, rialzando la parte liberale: accusa il ministero di aver attivato una specie di stato d’assedio senza previo consenso del Parlamento; disapprova la condotta di quel capitano dei bersaglieri di cui vi fu processo l'altr'ieri, dichiarando però di non voler tornare sulla cosa giudicata.


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Dipinge le condizioni di Napoli travagliata dallo spettro della reazione e della rivoluzione, e domanda libertà di parola perché deve suggerire un rimedio eccentrico, come è eccentrico lui che è ritenuto tale da tutta l’Italia. (Ilarità prolungata).

«Il mio rimedio farà crollare l’edificio, in cui siamo chiusi (ilarità), ma pur è forza suggerirlo. Consiste in due semplici parole da inserirsi nella Gazzetta Uffiziale del regno d’Italia (risa) e sono: (segni di attenzione). La sezione parlamentare del 1862 sarà aperta in Napoli (ilarità prolungata tutti fanno cenno al dep. Ricciardi che le volte non sono cadute) Dacchè avete ascoltato con benignità la mia proposizione, permettetemi che la svolga.»

Dice che il governo stando sopra luogo potrebbe vedere da vicino la piaga e porci pronta medicina, dice che la popolazione napoletana è tranquilla, amante dell’ordine e dell’unione, checchè ne dica taluno; che d’altronde Napoli vidde altre volte nel suo seno i Parlamenti (nel 21 e nel 48) eppure furono rispettati. Se il corpo legislativo siede in Parigi, che passa per la città più irrequieta d’Europa, perché non potrà sedere il Parlamento in Napoli? «La parte ammalata d’Italia è Napoli, il medico bisogna che si rechi vicino all’ammalato»

Massari, per un fatto personale. Dalla premura colla quale consegnai la lettera all’on. presidente del consiglio, potrà convincersi l’onorevole Ricciardi della mia accondiscendenza dì fare perfino il portalettere.

Sostiene quindi di nuovo che il brigantaggio è scemato ed è ridotto alle due provincie di Basilicata e Terra di Lavoro.

Rattazzi (segni d’attenzione). La questione che si agita da due giorni in questa assemblea sia sulla questione romana, sia sulle condizioni delle provincie napoletane può riassumersi sotto questi due aspetti: un lato si riferisce al passato, l’altro al presente ed all’avvenire. Si riferisce al passato se si voglia esaminare la questione di Roma non sia peranco risolta per colpa dei ministri; contempla il presente e l’avvenire se è diretta ad indagare quali siano i rimedii che si possono porro in opera per ottenere uno scioglimento.


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Io non intendo intrattenermi sul passato. Un esame retrospettivo non può condurre ad alcun utile risultamento pel paese: lungi dal favorire quella concordia clic ci è indispensabile, altro non potrebbe fare che suscitare delle difficoltà.

Il passato appartiene alla storia. Io non intendo neppure indirettamente gittare il biasimo sugli uomini onorandi che dalla confidenza del Re e della nazione vennero chiamati a reggerne i destini; riconosce che se non ancora furono le questioni definite, certo ad essi non può attribuirsene la colpa.

Quanto a Roma, qualunque fosso stato al potere si potrebbe dire forse che la questione sarebbe ora sciolta?

Io non voglio dire se il mezzo adoperato dal ministero potesse lasciare grandi speranze di riuscita. Certo non lo credeva neppure il ministero, perché nel porlo ad esecuzione si avvide che qualche ostacolo affacciava!

Non oserò affermare che le proposte condizioni potessero in un avvenire più o meno lontano compromettere la sovranità del Re d’Italia.

Ma a qual pro discutere se le condizioni dovessero o no accettarsi, se l’autorità ecclesiastica non venne interrogata?

Lasciamo adunque in disparte tale questione.

Non credo sia opportuno il dire ad ogni tratto che il tempo di andare a Roma sia prossimo, e quasi si voglia precipitarne il tempo.

Queste voci creano illusioni e speranze, che venendo a mancare lasciano il malcontento. Io non voglio dar colpa al ministero se queste voci si sparsero senza che esso volesse si divulgassero. Dicasi altrettanto quanto ali" interno. Riconosco che non si fece forse quanto l’interesse del paese richiedeva.

Ma vorremmo forse attribuirne la colpa al ministero? Ieri l'onorevole deputato Pisanelli indicò due fatti, cioè lo scioglimento dell’esercito dei volontarii e quello dell’esercito borbonico.

Questi fatti furono gravissimi senza dubbio; ma vorreste attribuirne la colpa al ministero attuale?


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Siamo giusti, o signori. Intesi al grande rivolgimento, quando si tratta di costituire un nuovo regno e di organizzare quelle provincie rette da legislazioni tanto disparate, ora impossibile che quegli uomini che erano a capo del governo potessero non ordinare quello che è stato ordinato?

È facile giudicare dopo l’evento, ma e difficile ordinare quando chi lo deve si vede circondato da pericoli esterni ed interni! Ma lasciamo il passato, e nella disamina del presente e del futuro comincierò dalla questione romana.

La questione romana non è che una quistione essenzialmente civile. Roma appartiene all’Italia, è capitale d’Italia. Ciò fu proclamato dal Parlamento, e già ben prima era deciso dalla coscienza d’ogni italiano. La quistione è di tempo e di consiglio. Roma è capitale d’Italia; naturalmente è capitale d’Italia. ma sgraziatamente è tutelata dalla bandiera francese. Roma non potrà appartenere all'Italia, finché non sia libera dalle truppe francesi. A nessuno di noi certo viene in mente di farla libera e sgombra dalle truppe francesi per la ragione che non possiamo rompere i vincoli di riconoscenza che ci stringono a quella nazione.

Ma dovrà esser eterna l’occupazione? Ma la Francia intende perpetuamente mantenere il conflitto di una nazione che intende risorgere colla forza materiale che glielo impedisce?

Ho l'interno convincimento, o signori, che il governo francese possa volere certamente la liberazione di Roma; che intenzione di quel governo sia che questo giorno non ritardi.

L'occupazione francese solleva il malcontento nel grande partito liberale francese, il quale soffro di malanimo che la sua bandiera impedisca all’Italia la sua ricostituzione; nel partito retrivo, perché non è pago egli di questa temporanea protezione, e vorrebbe che le truppe restituissero alla santa sede le provincie perdute: non soddisfa al santo padre perché accetta diffidente la protezione della Francia, anzi vedrebbe più volentieri che uscisse dai suoi territorii.

Ma v’ha un’altra ragione che mi persuade. Il governo francese ha interesse che cessi questo stato di cose. È evidente che non può essere costituita solidamente la nazione italiana senza Roma.


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Checchè ne dica l’onorevole Musolino, è vivissimo desiderio della Francia, che questa nazione possa solidamente unirsi, ed entro un breve termine costituirsi. Ciò lo desumo da due fatti.

Dopo la pace di Villafranca, il governo francese pareva volesse la confederazione; credeva che la confederazione fosse mezzo pronto per costituire l’Italia forte; ma dal momento che il governo francese senti che la confederazione aveva la disapprovazione degl’Italiani e s’accorse che il voto era per l’unità, non era certo il governo francese, saggio ed illuminato, che volesse frapporsi, perché non avrebbe fatto che accrescere le difficoltà e rendere più difficile il consolidamento e la forza degli Italiani.

Dopo di avere accarezzata la confederazione che facesse buon viso all’unità, lo prova in primo luogo la proclamazione del non intervento, e quindi il riconoscimento del regno d’Italia. E palese che se dopo la pace di Villafranca il governo francese avesse volato opporsi alla unità nostra, poteva lasciare che l’Austria e le potenze che ci avversavano venissero ad impedircela. Avrebbe potuto fare come fecero tutti i governi che lo precedettero, e che pur si dissero liberali; o si univano essi a chi voleva soffocare le nostre aspirazioni, od almeno rimanevano indifferenti, e tolleravano che venissero a soffocarci gli altri. L’imperatore invece ha non solo proclamato il non intervento, ma lo ha sostenuto e fatto rispettare. Se avesse avversato l’unità italiana, né avesse voluto che l’Italia fosse divisa e dipendente, che cosa lo costringeva a riconoscere il regno d’Italia? La ricognizione ebbe luogo dopo che il Parlamento aveva proclamato che Roma apparteneva all’Italia, e che essa doveva esser la sua capitale. (Bravo)

Del resto sono due le politiche che la Francia poteva seguire.

La tradizionale, cioè quella di fare che l’Italia fosse serva e divisa onde esercitare su di essa la sua influenza, o di farla forte e solida per averla alleata quando le circostanze potessero far si che la nostra alleanza le fosse utile.


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Abbiamo la prima? ma non avrebbe mandate le sue truppe a combattere a Magenta e Solferino. Dunque si appigliò ad averci alleati, od è giusto, perché quest’alleanza ha solida radice negl’interessi comuni e nella solidarietà dei vincoli che congiungono queste due nazioni.

Volete un’altra prova o signori che il governo francese non solo non avversò l’unità, ma vuole restituir Roma all’Italia ed anzi desidera che questo giorno sia prossimo? Esaminate quali sono coloro che avversano la causa italiana. Sono non solo i clericali, o quelli che credono il potere temporale necessario allo spirituale, no non sono i cattolici, ma i protestanti, i seguaci di Voltaire, i nemici più acerrimi del governo francese, quelli che avversano la causa italiana, perché quando si oppongono a questa credono direttamente ferire il governo francese, (bravo) E noi favorendoli indirettamente serviamo la causa dei nostri nemici. (bene, opplausi)

Io ho raccolto nel mio viaggio i discorsi di coloro che sostengono il governo e mi limino potuto sempre più convincere che essi lungi dal desiderare la prolungazione dell’occupazione francese fanno voti perché possa giungere il giorno in cui sia libera Roma. E qui passando a parlare del mio viaggio, sento il bisogno di dare alcune spiegazioni intorno allo voci che si lasciarono correre, ispirate senza dubbio dalla malignità.

In queste, quella che mi ha maggiormente colpito si fu quando si disse che io intrapresi quel viaggio per prendere un portafoglio dal governo francese.

Io credeva che i miei precedenti e la mia vita politica mi potessero mettere al sicuro da tali accuse. Conto 14 anni di vita politica; in questi fui chiamato quattro volte a far parte della pubblica amministrazione ed accettai perché credeva mi chiamasse la voce del Parlamento, ed uscii quando credetti che la mia presenza fosse d’imbarazzo al buon andamento della pubblica cosa.

Non credo possa cader su di me il sospetto che io possa mendicare un portafoglio da un governo o da un principe o da un ministro straniero (Bene)


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Il potere emana dalla fiducia del Parlamento soltanto. Io sono devoto all’alleanza francese perché sono convinto dell’utilità sua: questa convinzione data dal principio della mia vita politica e l’ho costantemente mantenuta. Ma però non confondo l’alleanza colla dipendenza; e soprattutto l’indipendenza del mio paese mi stava a cuore, o signori. (Bravo) Io non, posso credere d’altronde che un governo che ci è amico ed alleato voglia far pesare la sua alleanza. Chi ci ama deve rispettarci, ed il primo rispetto è quello di lasciarci indipendenti nella scelta dei nostri ministri.

Qual era dunque la vostra missione? mi si può domandare. E potrei rispondere francamente che ho viaggiato a mie spese. Ma pur dirò che questa missione me la proposi io stesso, perché per quella pratica che poteva avere nella cosa pubblica, considerava fosse ragionevole studiare quale fosse lo spirito pubblico francese ed accertarsi delle simpatie degli uomini politici colà, ed in pari tempo far sapere quali Cossero i bisogni di questa povera Italia.

Credo di aver dunque agito da onesto cittadino, con quella lealtà, alla quale non credo aver mancato. Se qualcuno mi ritiene spinto da miserabili interessi o mosso da ambizione, non trovo di rispondere che col disprezzo del silenzio (Bene. Vi ha un po’ di pausai.)

Ho detto, attualmente Roma è occupata dalla bandiera francese. Ora egli è innegabile che se il governo francese richiamasse le sue truppe, il pontefice potrebbe partire da Roma ed il poter temporale sarebbe allora distrutto; ma in Francia sonovi molti in buona fede i quali credono che il poter temporale debba esser necessario all’indipendenza dello spirituale. È necessario si distrugga questa credenza, è necessario che si riconosca che la cessazione del dominio temporale anzi renderà maggiormente indipendente lo spirituale; è necessario che la pubblica opinione si illumini e che gli uomini di buona fede riconoscano la verità. Ed in questo abbiamo fatto grandi passi.

Quando non vi sarà più pericolo da questo lato, la Francia non avrà alcuna difficoltà di richiamare lo sue truppe.


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Ma questa pubblica opinione non formasi entro un brevissimo tempo, per quanto grandi siano i progressi che siensi fatti. Ma dovremo noi rimanere nello stato attuale? Dovremo occuparci esclusivamente del possesso di Roma, oppure occuparci delle cose interne, ordinare internamente lo Stato, le finanze, l’esercito? Nel mentre dobbiamo aver gli occhi fissi sempre su Roma, dobbiamo però solennemente rivolgere nostre cure alla nostra amministrazione, all’armamento nazionale. Quando avremo compiuta l’opera del nostro ordinamento, avremo fatto un grandissimo passo, non solo verso Roma, ma anche verso lo scioglimento di quelle questioni che tuttora rimangono insolute.

Ma l’opera dell’ordinamento interno è opera grande, difficile. Se noi rivolgiamo il pensiero alla grande rivoluzione che si è compiuta nel giro di pochi mesi, se pensiamo che si tratta di organizzare un regno sorto da una rivoluzione, che in un breve giro di mesi distrusse varii governi, ed unì popoli che erano naturalmente membri di una stessa famiglia, ma da secoli divisi; e che contrassero diverse abitudini; ognuno comprenderà L’ardua impresa, e più ardua ancora perché dobbiamo ordinarci quando non siamo tutti peranco composti ed abbiamo nemici in potentissime relazioni con tutto il mondo cattolico da combattere.

Quando considero le difficoltà ed esamino le condizioni presenti delle varie parti, quasi quasi mi meraviglio che le difficoltà non sieno più grandi. Le antiche provincie sono regolarmente amministrate, e non danno serii imbarazzi. È facile comprenderlo. Queste furono rette da una dinastia che per secoli aveva immedesimati i suoi interessi con quelli delle popolazioni, che avevano una amministrazione saggia e regolare.

Lo provincie lombarde un tempo si dicevano ingovernabili, e quando l'Austria fu costretta a cederle pel trattato di Zurigo, disse che cedeva volentieri una piaga. In pochi mesi sopportano gli aggravii e dello imposte e della leva con mirabile abnegazione, con mirabile sacrificio perché sanno che ciò è indispensabile alla causa comune ed ora sono contente e regolarmente amministrate.


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Anche le provincie che formavano parte del territorio pontificio non si può dire che sieno in condizioni gravi o disperate perché sono comprese oltreché da patriottismo anche da un ricordo tristissimo della dominazione pontificia.

E inutile dissimulare gli ostacoli gravi per la leva che si incontrano nelle Marche e nell’Umbria.

Ciò nasce dacchè in quei luoghi la leva non era attiva. Quelle popolazioni non la considerano come un dovere, ma come un servizio odioso a cui sia lecito ad ognuno sottrarsi. Ma ciò non la rende impossibile, tanto al più la renderà difficile. La grande causa di questa opposizione stà nel clero, che cerca tutti i mezzi per allontanare quegli onesti abbitanti dal loro dovere, e mentre li spinge a farsi refrattari o disertori fornisce loro i mezzi. E necessario che questi ostacoli cessino, che si tolga questo mal esempio perché potrebbe essere fatale anche alle altre provincie.

Quando il governo voglia valersi delle leggi generali che esistono, può giungere ad ottenere l’intento, sorvegliando il clero e colpendo i rei. Se non bastano, che presenti un progetto di legge, che gli dia il permesso di procedere a misure straordinarie.

Quanto a Bologna non voglio esagerare i mali che si riferiscono. È certo però che gli assassinii vi sono spesse volte ripetuti, e che rimasero impuniti. Una città cosi benemerita alla causa nazionale, che sostenne una lotta cosi accanita contro le armi straniere ed il potere temporale, come può tollerarsi che venga funestata da tanti accidenti?

Se il ministero volesse far applicare con zelo ed energia da’ suoi dipendenti le leggi che abbiamo, la legge sulla pubblica sicurezza potrà ottenere quanto si richiede. Ma se le leggi facessero difetto, richiegga egli leggi straordinarie ed il Parlamento gliele accorderà con plauso di tutta Italia. So che è assolutamente impossibile prevenire, né io faccio colpa al ministero, ma d’altra parte conviene ammettere che il governo abbia il potere d'impedire che in un anno si ripetano fatti cosi tristi senza che i colpevoli possano venire scoperti.

Dopo aver parlato dell’Italia settentrionale verrò alle provincie toscane.


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Anche in Toscana l’amministrazione procede senza gravi imbarazzi. Quantunque sia tolto il governo centrale, tuttavia le cose procedono regolarmente. Ciò è dovuto al patriottismo di quelle provincie ed all'affetto verso l'unità nazionale che le spinse a dar prime l’esempio di rinunciare alla loro autonomia. Ora vengo alle provincie meridionali. (Attenzione) La Sicilia si disse, è ingovernabile: tutti pensavano che dovesse essere separata dall’Italia, come lo è dal continente. Eppur le cose procedono regolarmente, le leggi rispettate, nessun partito avverso al governo.

Rimane a parlare delle provincie napoletane. Qui l’amministrazione incontra ostacoli gravissimi.

Diremo noi che questa opposizione sia tale da dare serie inquietudini, da far temere per l’unità? lo ho pienissima fede sul sentimento generoso di quelle popolazioni: ho piena convinzione che esse siano sinceramente devote al principio di unità. Di questa convinzione mi è garante il fatto stesso dell’annessione. Crederei che se il sentimento nazionale non fossesi profondamente radicato in esse, non avrebbe potuto in sì breve tempo compiersi il meraviglioso fatto che si è compiuto; credete che l’eroe guerriero avrebbe potuto quasi da sé solo distruggere l’esercito borbonico e da solo presentarsi o Napoli, se non avesse avuta la bandiera colla divisa d’Italia e di Vittorio Emanuele? (Bene)

I0 non posso credere che nel breve giro di pochi mesi quel sentimento siasi distrutto. Anzi ho pienissima fede che sono più che mai affezionate all’unità, e mi è grato averne una prova nell’abnegazione, colla quale si è votato il decimo di guerra. Ma egli è facile spiegarsi come quand’anche tale sia il sentimento l’amministrazione trovi imbarazzi, Una dinastia secolare per quanto sia invisa alle popolazioni, non cade senza che lasci qualche proselito; se non altro gli uomini dei quali si serviva per opprimere le resteranno fedeli.

Il brigantaggio per sua natura e per gli uomini che lo dirigono dimostra a mio avviso che l’unione non è compromessa. Q


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uando un partito per manifestarsi è costretto a vestirsi delle sembianze del brigante, quando un principe è caduto così in basso ed è costretto a spingere briganti nelle provincie che vuol ricuperare, domando io se questo principi? è possibile? Un tempo il brigantaggio era scala al trono; ma quel tempo è ora passato. (Bene)

Dei generali che seguirono il re nel suo esiglio havvene uno alla testa dei briganti? È costretto ricorrere ad un Chiavone, ad un Donatillo, ignoranti e crudeli, o ad un Borjes spagnuolo, ma non havvene un solo che meriti la stima de’   suoi concittadini o l’abbia meritata.

E certamente dovere del governo il farlo cessare, non solo per quelle popolazioni, ma anche per rispetto all’Italia perché non è costituita se non proviamo all’Europa di essere capaci di assicurare tutte le provincie. Ora io credo vi siano due mezzi. Anzitutto si potrebbe ricorrere all’azione diplomatica. Dal momento che è dimostrato il centro esser Roma, credo che il ministero sia in diritto di altamente reclamare. Non può un governo vicino permettere che nel suo territorio si ordiscano congiure per assassinare gli abitanti dello Stato vicino. Ed ho fede che ogni reclamo al governo francese sarà ascoltato. L’imperatore sente il dovere di umanità, e deve comprendere che la sua bandiera non può permettere si commettano fatti si scandalosi e si crudeli sotto l’egida sua. Oltre l’azione diplomatica vi potrebbe essere l’azione interna. Deve valersi il governo della guardia nazionale e dei cittadini, i quali tutti sono interessati per far si che scompaia, perché trattasi della loro vita e delle loro sostanze. Se là appello ad essi e si serve del loro lavoro potrà ottenere quanto è richiesto.

Ho fiducia nello zelo dell’onorevole generale Lamarmora, il quale condurrà a compimento un’opera cosi bene iniziata dal generale Cialdini. Ma un uomo solo non basta, conviene gli si diano tutti i mezzi. Il governo ha l’obbligo di soccorrerlo in tutto ciò che può essere necessario. Se noi non giungiamo a far scomparire quella pianta, il giudizio d’Europa sarà severo.

Dobbiamo pur provvedere a tutte le provincie dello Stato.


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Io credo che quando lasciamo in disparte l’esame speciale delle varie provincie, il primo bisogno sia quello dell’amministrazione interna. È indispensabile che il governo vi accudisca con ogni sollecitudine.

Finché leggi esistono, deve esigerne l’esecuzione ed impedire che sieno violate. Se le finanze nostre non sono ordinate è difficile provvedere a questo ordinamento. Il nostro bilancio non è in sostanza che il complesso dei varii bilanci dei singoli Stati. Ora, è innegabile che questi erano quasi tutti in pareggio tra l’attivo ed il passivo. Il Piemonte stesso dovette sottostare a tanti sacrificii e far fronte a tante passività; mediante un aumento delle imposte poté quasi pareggiare il suo.

Come può esser che vi sia questo enorme disavanzo? È vero che in alcune località si sono ridotte le imposte, ma quand’anche si tenga conto di ciò, non è spiegato l'immenso disavanzo del complessivo bilancio.

Ciò mi fa temere che vi sia un qualche vizio nell'amministrazione. Per togliere gl’inconvenienti, il ministero deve presentare prontamente il bilancio, perché si potrà allora conoscere, spiegare questo fenomeno.

Invito quindi il ministero a farlo perché il Parlamento tolga gli abusi che non vi possono a meno di esistere.

Venendo a parlare dell’ordinamento dell’esercito, rendo omaggio al valore dell’esercito nostro e disciplina sua, e se i giorni della prova dovessero presentarsi, guidato dal magnanimo e valoroso nostro principe saprà far conoscere com’egli sia quel che vinse a Palestre, S. Martino e Castelfidardo. Non posso ammettere quanto asserì l’onorevole Ricciardi cioè che vi sieno 140 mila uomini. Credo sia il numero maggiore.

Ma è incontestato che l’esercito italiano non raggiunge ancora oggidi quel numero e quello sviluppo che corrisponde alle popolazioni del regno italiano. Dacchè si è disfatto l’esercito borbonico, tutta quella parte giovane che rimane, può immediatamente concorrere a formare l’esercito. È manifesto che il ministero deve non disprezzare tutte le altre vie che gli si presentano innanzi.


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Deve valersi dei volontarii, della guardia nazionale o della guardia mobilizzata, il cui progetto già approvato dal Parlamento non so per qual ragione non sia stato eseguito.

Io non intendo che si debba valersi di quegli uomini che avversano l’unita italiana, od avversano la monarchia e la Casa Savoia; ma mentre io credo che di questi non debba valersi, credo si abbiano indistintamente da accettare tutti coloro che sinceramente accettano la bandiera dell’unità, della monarchia. Quando il paese è costituito, allora sta bene che si lascino in disparte coloro che sostengono un’opinione che non sia la nostra. Ma quando ci rimane a compiere l'unità, differenza grave non è differenza di opinione, ma tutti coloro che vogliono l'unità e la monarchia di Casa Savoja devono prestare l'opera loro. (Bravo)

La concordia è indispensabili; perché si organizzi il paese; senza di essa non si superano le difficoltà. Faccio appello a questa; mentre in questa tornata si sono sollevate questioni tali che altro risultato non possono avere che suscitare clamori.

Ricciardi chiede la parola. (Ilarità)

Signori, l’Europa ci contempla: essa comprende che lo stabilimento della nostra unità dipende da noi; ora nulla dobbiamo temere; non invasione; l’Austria può fremere, ma lasciarci tranquilli; qualche avventuriere forse che scenda sulle coste italiane? Ma mio Dio!

Quest’assurdo non si può invocare, perché è insufficiente per opporsi al nostro volere di ordinarci. Forse il sogno di qualcuno che speri nella restaurazione delle cadute dinastie? Neppure. Siamo padroni dei nostri destini, che sono affidati al senno ed alla concordia nostra. Spero che la storia non possa dire che quest’opera fu ritardata o compromessa per colpa nostra. (Applausi dagli scanni dei deputati e dalle tribune)

Pisanelli (per un fatto personale) spiega in qual senso accennò ai mali delle provincia napoletane. Egli volle solo indicarli senza voler sindacare qual colpa vi abbiano le amministrazioni passate o presenti.



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Ricciardi (per un fatto personale) dice che Rattazzi non ha diritto di dubitare de’  suoi sentimenti altamente italiani, non vuol promuovere dissidii e confida di essere bastantemente conosciuto dalla maggioranza de’   suoi colleghi.

Rattazzi Soggiunge qualche parola per (spiegare che non volle porre in dubbio i sentimenti personali dell’onorevole Ricciardi.

La seduta è levata alle ore 5.


Seduta del 3 Deccmbre


La seduta è aperta ad un’ora e 25 min.

Greco desidera sapere dal ministro degli esteri se è vero che vi sia stato accordo tra il nostro governo e il governo francese per combattere il brigantaggio, e se i francesi devono limitarsi ad impedire i briganti di invadere il territorio napoletano e se debbano unirsi alle nostre truppe por inseguirli.

Il presidente del Consiglio chiede permissione di non rispondere che quando prenderà la parola nella discussione che si agita.

Zuppetta ha la parola per proporre la questione pregiudiziale. L'oratore dice che si sono intesi di già alcuni discorsi sulla questione che fu da lui promossa relativamente al flagello che affligge le provincie napoletane, ma gli sembra che la discussione si sia allontanata dal suo vero terreno, e questo perché non gli si è ancora permesso di sviluppare le interpellanze che aveva annunziate. Chiede dunque secondo il regolamento che gli sia accordato di parlare prima degli altri oratori inscritti.

Il Presidente consulta la Camera sulla domanda del sig. Zuppetta.

Zuppetta. Farò un’altra osservazione. Mi sono fatto inscrivere per parlare sulla questione romana, non lo feci per la questione napolitana perché sarebbe stato curioso per un deputato che devo sviluppare le proprie interpellanze.

De Blasis. Poichè il sig. Zuppetta ha lasciato parlare molti altri oratori, potrebbe aspettare ancora un poco prima di prendere la parola. (Alcune voci no, no)


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Zuppetta insiste, dice che non può esservi prescrizione a questo riguardo. Se le due questioni, la romana e la napolitana, furono amalgamate non è per sua causa.

Il Pres. del Consiglio. Aveva intenzione di parlare in questa seduta dopo il deputato Boncompagni; prego la Camera di accordare la parola al sig. Zuppetta, dopo l’onorevole deputato che ora nominai. In questo modo mi sarà permesso rispondere alle interpellanze, come pure ai nuovi argomenti che il sig.  Zuppetta potrà produrre

La Camera approva la proposta del Presidente del Consiglio dei ministri.

Boncompagni comincia col dichiarare che seguirà il sistema adottato ieri dall’onorevole Rattazzi e non parlerà più del passato al fine di mantenere quella concordia che è prima necessità. Aggiunge che il suo scopo è quello di esaminare semplicemente la condotta del governo e vedere se sia stato all’altezza delle circostanze.

L’oratore risale all’epoca in cui il signor Pellegrino Rossi era ambasciatore del re dei Francesi a Roma e ricorda più volte le parole di quell’uomo di Stato; dice che in quanto a lui non ebbe mai a lagnarsi del clero, e quantunque non abbia mai tenuta nascosta la sua avversione per il potere temporale, ciononostante egli non ha che a lodarsi della benevolenza di un buon numero di ecclesiastici.

Il sig. Boncompagni cita il nome di molti abati e monaci che resero grandi servigi all’umanità e all’incivilimento senza obbliare il padre Passaglia e rilevando a proposito di quest'ultimo! allusione del sig. Brofferio.

Dopo la decisione presa dal Parlamento d’aver Roma per capitale, l’Italia subi la perdita crudele del conte Cavour. La Corona chiamò allora al potere gli uomini che avevano fatto prova in più circostanze, di patriottismo e di capacità. Il governo francese si affrettò a riconoscere il regno italiano e rifiutò di assumere impegni coi governi di Austria e di Spagna per guarentir Roma al Papa. Ciò dimostra, che la Francia era favorevole all'Italia e approvava la scelta degli uomini che compongono il nostro ministero.


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L’oratore entrando ad analizzare gli atti del ministero, parla della circolare di Ricasoli relativamente al brigantaggio e ne fa spiccare la opportunità. Il sig. Boncompagni attacca il governo pontificio a motivo dell’aiuto che dà al brigantaggio, aggiunge che, secondo lui, il governo non si è fatta alcuna illusione sulle risoluzioni del papa a nostro riguardo, e se ha mandato i documenti che si conoscono, non ha certo creduto di giungere così a convincere il pontefice e persuaderlo di rinunziare il potere temporale.

No, quelle lettere non furono scritte per il Papa, ma per la pubblica opinione. Egli crede che la Chiesa dovrà un giorno finire per cedere dinanzi alla influenza della opinione pubblica e abbandonerà la sua posizione privilegiata per mettersi sotto la tutela della libertà nazionale.

Allora esclama l’oratore, tenderò la mano 'anch’io a/la gerarchia ecclesiastica. (Bravo).

Boncompagni aggiunge che i documenti prodotti dal Presidente del Consiglio erano redatti in modo da ottenere quel risultamento che il ministero si era proposto, ed egli crede che l’effetto prodotto da essi, sia stato eccellente. L’oratore finisce col dire che egli ha la fiducia che il tempo, messo a profitto dalla capacità e dal patriottismo dei ministri, trionferà di tutte le difficoltà (Bravo)


(La seduta è sospesa per 10 minuti.)


Boncompagni, ripigliando, dice che la via seguita dal governo nella quistione di Roma, è quella, che gli era stata prescritta dal voto del Parlamento; egli dice che non poteva pensare un istante ad impiegare la violenza, e che è ben di accordo col governo francese che esso deve dare Roma per capitale all’Italia; ma finché la nostra nazione avrà nel suo seno lo straniero, finché Venezia sarà in balia dell’Austria, l’Italia sarà sempre in guerra. L’oratore conchiude su questo punto col dire che non si potrebbe acquistar Roma senz’aver prima Venezia. Cacciato una volta e del tutto lo straniero dalla penisola, si giungerà facilmente ad intendersi col Pontefice.


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E l'Italia andrà a Venezia quando essa sarà forte, quando essa avrà un’armata almeno di 300,000 uomini.

L’oratore arriva a parlare della condotta della Francia a nostro riguardo, e si sforza di provare che essa è benevolissima. Egli crede che l'Imperatore dei Francesi, di cui fa elogio vorrà aiutare gl’Italiani nel compimento di questa grand’opera dell’unificazione, che questo monarca è troppo saggio per non comprendere quanto sarebbe utile alla pace dell’Europa.

L’Oratore rivolge al ministero il medesimo consiglio che ha già rivolto in altra epoca al conte di Cavour: armate diss’egli; armate; e poi armate ancora.

Non. mi lascerò trascinare a lunghi sviluppi sulla questione napoletana, aggiunge il sig. Boncompagni; ma non vedo perché noi formoleremmo un voto di biasimo contro il ministero, riguardo all’amministrazione di quelle provincie, poiché sarebbe cosi difficile di surrogare gli uomini che siedono attualmente al potere; poiché i personaggi mandati successivamente a Napoli, e che, certamente, non mancavano né d’ingegno, né di abilità, non vi sono riusciti.

Terminerò, dice l’oratore, colle parole del deputato Ferrari: Mini. itri governate colla libertà. Vi sono ancora molte difficoltà io non ne accuso il ministero; ma bisogna convenire che abbiamo perduto molto tempo nella prima parte della sessione in discorsi inutili, e che a quest’ora bisogna che, tutti riuniti in un medesimo pensiero, noi terminiamo l’opera dell’unificazione italiana. (Bravo)

Zuppetta esordisce rammentando che Solone voleva che gli uomini del potere dicessero tutta la verità. Ho la debolezza, egli aggiunge, di pensare come Solone.

L’oratore prende ad occuparsi delle provincie napolitane che, appena liberate dalla tirannide borbonica, sono cadute in una serie di calamità; quando esse avrebbero dovuto godere della pace e della prosperità.

Il 20 novembre ho proposto, aggiunge il deputato Zuppetta, di rimediare a questo stato di cose, e la mia proposta fu accolta con sarcasmo, con indifferenza.

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Il presidente del consiglio mi ha risposto che il male delle provincie napoletane non poteva essere guarito da alcun medico, gli è come se avesse detto che Napoli era già un cadavere, (Oh! Oh!)

L’oratore pretende che la questione della Penisola non si agiti né a Roma, né a Venezia, ma a Napoli. Mandate là Garibaldi e vedrete questo preteso cadavere rialzarsi, prender le armi e battersi eroicamente per la patria. (Bravo dalle tribune) La discussione dunque, sulla situazione di Napoli, non è soltanto utile, ma necessaria. Si dice che l’Europa ci guarda e ci ascolta. Or bene! che essa ci guardi anche coi cento occhi d’Argo (Oh! Oh', mormorii), l’Europa riconoscerà che gl’Italiani dovrebbero dettare leggi al mondo intiero (Oh!oh!), l’Europa riconoscerà… (Mormorii — interruzioni).

Presidente. Prego la Camera di far silenzio e di ascoltar l’oratore.

Zuppetta. Prego il sig. Presidente di far rispettare il regolamento e di dire ai miei avversarii che s'ei vogliono sconcertarmi non hanno che ad applaudirmi.

L’oratore continua dicendo che, d’accordo colle parole del Presidente, egli abbrevierà il suo discorso d’una metà; che si è nominata una Commissione (il 9 novembre) a Napoli la patria di Vico e di Filangieri, composta di mistificatori, nella quale non potevasi avere alcuna confidenza. Il 1. decembre, il sig. Pisanelli ha decretato una legge sulla stampa che era tirannica. L’oratore biasima pure che siasi messa in vigore a Napoli la legge elettorale piemontese, il che, dic’egli, facea ripetere a Napoli che si avrebbe con essa un Parlamento fittizio (oh! oh! interruzione)

II Presidente fa osservare che non può permettere all’oratore di biasimare una legge, in virtù della quale la Camera è eletta e siede (applausi)

Zuppetta. Io ripeto quello che si diceva a Napoli; non biasimo la legge, ma aggiungo che un governo abile non deve annettere né centralizzare tutt’ad un tratto. Le masse non sono composte di filosofi.

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Ora, il governo centrale ha mostrato una specie d’ingratitudine verso il liberatore: esso mandava a Napoli, o a caso o ad arte, tutti i nemici del generale. Si è pur fatto malamente di allontanare tutti gli uomini della rivoluzione ch'era però modestissima, e che avea per capo un alto personaggio che io non posso nominare in questo recinto.

Tutti questi uomini sono stati allontanati. E nondimeno essi si erano benissimo comportati. Il 29 marzo, quando il sig. Nigra era a Napoli, si temettero alcuni torbidi; si rivolse a questi uomini, e tutto restò tranquillo. Ogniqualvolta si trattava il allontanare una tempesta, indirizzavasi ad essi; passata la tempesta, si rimandavano come gente da nulla, (Si ride, mormoni) La cosa fu al punto che dei malevoli hanno sperato suscitar querele fra quest’uomini e gli ufficiali dell’armata regolare; se non vi sono riusciti lo si deve attribuire alla saggezza, al patriottismo di questi cattivi mobili. (Mormoni)

Evvi di più: eravi una moltitudine di posti vacanti; piuttosto che darli agli uomini della rivoluzione, si sono prese le mani ancora insanguinate di borbonici, e si sono installati in quei posti i nemici della rivoluzione… (Mormoni, interruzioni.)

L’oratore rimprovera ai ministri ciò che fu fatto per l’organamento giudiziario. Egli dice che i magistrati sono male scelti e che per conseguenza il lavoro non si fa, o non si fa come dovrebbe esser fatto. Per mostrare alla Camera quali fossero gli antichi magistrati di Napoli, egli cita la circostanza che si è portato come presente alla camera di Napoli, e sulle barricate, al tempo del famoso processo del 15 maggio 1848, il deputato Massari che allora trovavasi a Roma.

Massari A Milano

Zuppetta A Milano. Finalmente, voi non eravate né alla Camera, né sulle barricate di Napoli. L'oratore rimprovera ancora al governo di non aver date armi sufficienti alla guardia nazionale. A Bari, v’ebbero 23,000 inscritti, e appena sono armati 3,000. Ciò sembra incredibile dice esso; se vi fossero state più armi, il brigantaggio sarebbe stato ben tosto vinto.


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Biasima egualmente lo scioglimento dei corpi che rendevano utili servizi. Se tutte le cause di malcontento fossero state ben esaminate dal governo, se avesse avvisato ai mezzi di recarvi rimedio non avrebbe incorso i rimproveri che ora gli si muovono da ogni parte.

Zuppetta annunzia che parlerà dei rimedj da applicarsi al male. Signori ministri, fate tutto l’opposto di ciò che è stato fatto dai vostri predecessori e dai loro successori. Disse Plutarco che quegli che fece il male è più d’ogni altro atto a ripararlo; ma Tacito dice il contrario e assicura che quelli che ne sono gli autori, non possono recarvi rimedio. Io vi lascio la scelta.

Farini (Per un fatto personale) Fui rimproverato di aver decretato la legge sulla stampa e sulla legge elettorale. Io era incaricato di procedere alla unificazione delle leggi al più presto possibile; e quanto alla legge elettorale, io stupisco che un giureconsulto mi rimproveri di avere applicato la sola che potesse mandare dei deputati napoletani in questa assemblea, gli altri membri della quale erano eletti da questa medesima legge. Stupisco ancora che egli abbia parlato con dispregio di una consulta in cui sedevano uomini benemeriti per tanti titoli, dieciotto de’   quali siedono su questi banchi, a destra, al centro, a sinistra. Parmi che si sostenga male la causa del proprio parere maledicendo ad alcuni de’   suoi concittadini più rispettabili. Bravo.

Zuppetta dice che risponderà dichiarando che non vuole rispondere.

De Blasiis. Dirò poche cose. Attribuisco tutti i mali alla rapida successione di parecchi governi e d’uomini diversi; ciò che ingenerò la confusione e il disordine. Non v’ebbe né malversazione né altra cosa. Ciò basta. Importa dare a Napoli un governo stabile e definitivo. Ecco il vero rimedio. Certamente dobbiamo chiamare l’attenzione del governo sui mali che travagliano le nostre provincie; ma io credo che il dovere d’un deputato sia di spiegare gli atti del governo al paese, di farsi il suo interprete e con questo noi saremo utili alle nostre provincie e illumineremo gli ignoranti, (bisbigli)


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Certamente vi sono degli ignoranti, poiché è il dispotismo, che ha per tanto tempo separato queste provincie dalle provincia più incivilite dell’Italia. (Interruzione a sinistra). Il nostro dovere, si signori, è quello di spiegare a queste popolazioni…

(Finiamola! dai banchi dell’opposizione), di spiegar loro, dico io, ciò che esse debbano alla lor volta agli uomini che li governano e allora si vedranno andar d’accordo i governanti coi governati (bisbigli).

Mandoj legge un discorso con cui rimprovera al governo molti errori, fra cui lo scioglimento dell’armata meridionale e dell’armata borbonica, di cui si adoprarono pochi uffiziali, comunque molti meritevoli; la quantità dei decreti che si promulgarono malo a proposito. Ferini, secondo lui, si è messo in contraddizione con quanto scrisse cosi bene nella sua Storia sulla Sicilia. L’oratore prega il presidente a volergli ottenere l’attenzione della Camera.

Presidente. Ma ho già raccomandato il silenzio.

Mando) continua la sua lettura e passa in rassegna le amministrazioni di Nigra, di S. Martino etc. (Non rimangono più nella sala che una ventina di Deputati che se la passeggiano.)

Conchiude pregando il governo a spedire a Napoli un commissario straordinario con pieni poteri e spera che la Camera non si rimarrà dal conferirne l’autorizzazione necessaria.

La seduta è levata alle ore 5 1!2.


Seduta del 6 dicembre


Continua la discussione sull’interpellanza relativa alla questione romana ed alle condizioni delle provincie napolitane.

Solito concorso nelle tribune.

Si annuncia l’ordine del giorno.

Pres. Il presidente del consiglio ha la parola.

Ricasoli. (Segni d’attenzione) Durante quattro giorni, o signori, avrete riscontrato come tutto il ministero

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 abbia prestata religiosa attenzione alle questioni che si sono agitate relativamente alla questione romana ed alle condizioni delle provincie meridionali.

L’attenzione era suggerita dalla diffidenza che il ministero aveva di se medesimo; era però tranquillizzato dall’idea di avere agito con coscienza e dal desiderio di conoscere esattamente i vari mali che affliggono il novello nostro regno.

Il governo poi resta confortato nel conoscere che questi mali non sono nulla più, nulla meno che quelli che, durante sei mesi di governo, ebbe lungamente meditato o dei quali aveva dato resoconto a se medesimo.

L’attenzione poi era eccitata dal desiderio di conoscere i rimedii, ed il ministero si è confortato nel vedere che i rimedii consigliati furono quelli già adottati da esso conformemente ai bisogni, e che ebbero un qualche buon frutto.

Oggi nel prendere la parola sono lieto di poter annunciare, che attenendomi ai fatti, perché coll’astrazione non si governa, trovo in essi veraci argomenti di consolazione.

Mi permetta la Camera che riassuma alcune osservazioni, che nei passati giorni sono state fatte al governo e le quali, lungi dall’essere serie, tornano ad esso di vantaggio.

L’on. Musolino tenne un lungo discorso per dimostrare una cosa veramente nuova, che cioè l’Italia non ha altri nemici che la Francia. Io non mi piglio vezzo di sostenere cose non naturali, però credo che basta rivolgere lo sguardo a questi due ultimi anni della storia nostra, dai quali si vede come la Francia sparse il suo sangue generoso sui campi di battaglia ed affermò quel fatto che assicura all’Italia il compimento della sua volontà, fatto che è la garanzia del procedimento della sua opera nazionale, il fatto cioè del non intervento, che lo sguardo vigile e formidabile dell’Imperatore conobbe propizio alla causa nostra.

Ma questo fatto, o signori, conviene che sia garantito dalla virtù della prudenza, della perseveranza e della annegazione, ed ecco la parte, nella quale mi accordo coll’on. Musolino, che cioè l’Italia deve fare da sè, senza aiuto di potenze straniere. (Bene.)


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L’on. Musolino ha chiamato l’esercizio della politica concentrata nelle mie mani, una politica servile. A dir vero questa accusa mi sorprese, perché ero abituato a sentirmi condannare come troppo tenace e troppo altero e seguace di una politica gagliarda e senza pericolo.

Abbia il Parlamento la compiacenza di ascoltare la mia difesa. Io amo una politica non millantatrice: io rappresento una nazione distinta, assennata e di modi civili, e desidero che il mio animo ed il carattere mio corrispondano ad essa. (Bene)

L’on. deputato Alfieri parve volesse accusare il ministero di essere contrario al principio proclamato altamente dal compianto conte di Cavour, che cioè essa voglia porre in cima di ogni altra cosa, a capo del suo programma, la volontà di andare a Roma, dimenticando gli altri interessi della nazione. Trovò quindi, che il ministero accortosi di non riuscire nella via di Roma, non pensi più ad essa, ma non si occupi nemmeno dell’interno.

Ciò a vero dire è del tutto contrario al mio modo di pensare. Credo al contrario che la vita di una nazione non sia dissimile alla vita dell’individuo e che non sia opportuno di non mantenerne la vitalità in ogni sua parte. Quindi ho l’onore di dichiarare come crederei grande sventura che la parola sosta potesse penetrare nella amministrazione nostra. Quando trattasi del compimento della nazione non vi vuol sosta, o signori. (Bene)

Il governo presente si occupò di continuare l’opera del con te di Cavour ed io interpetrai il voto del Parlamento e prestai ogni interesse all’ordinamento interno, perché credei che quanto un individuo sarà più robusto e più prospero, egli più potrà contribuire alla propria difesa.

Il governo, o signori, si occupò dell’ordinamento interno, ma in pari tempo occupossi della questione romana.

Il programma suo lo avete già inteso nella tornata del 1. luglio in occasione della discussione sull’imprestito.

Ognuno dei miei colleghi darà separatamente risposta alle obbiezioni che vennero fatte alle singole loro amministrazioni.


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Il ministro della marina e della guerra, ed il ministro della giustizia vi diranno quanto abbiano fatto in questi rami importanti dell'amministrazione. Noi tutti insomma abbiamo l'intimo convincimento di aver fatto il nostro dovere.

Per quello poi che mi riguarda, discenderò, o signori, a parlarvi prima dell’amministrazione del regno in generale e quindi particolarmente delle provincie napoletane. (Attenzione)

Le condizioni del regno, non bisogna esagerarle né in bene né in male, sono quali debbono essere in un regno che si trova in continua rivoluzione.

Quello che importa di sapere si è se lo spirito pubblico d’Italia voglia o non voglia il suo ordinamento.

L’Italia è il paese più ordinato che esista e quand’anche non avessi per essa quest’affetto che nutro perché mia patria, vorrei avere l’onore di appartenerle per la sua temperanza, la sua moderazione e la sua assennatezza. (Bene, bravo)

In fin dei conti, o signori, l’uomo non è di cera né di terracotta; ed è fuor di dubbio che deve ancor egli avere i suoi momenti smodati, perché libertà non si fonda senza tempo.

Vi saranno dei mali di grado superiore a quelli che esistono in altri paesi; io parlo in generale. Si è certo che delitti ve ne sono dappertutto, è naturale però che ne abbia anche un paese il quale esce da un dispotismo terribile che impediva il bene come il male e che incuteva il terrorismo persino nel pensiero, da un dispotismo che nulla aveva creato e che non aveva formato il cuore.

Si dice che la pubblica sicurezza sia difettosa; e lo deve essere, o signori. Durante questi due anni, che cosa si è fatto? Si attese più alla politica che agli affari. La forza pubblica potea forse in due anni crearsi improvvisamente? Quella forza che sotto ai caduti governi serviva alla pubblica sicurezza era guasta, e non poteva convenire alle condizioni del paese; anzi gli individui che la componevano sono quelli appunto che fomentano tra noi il disordine.

Conveniva creare nuova milizia di polizia, conveniva dare ai carabinieri una forza particolare. Il governo lo fece?


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Sì, ha la coscienza di averlo fatto, perché il corpo dei carabinieri fu oggetto speciale della sua attenzione. Nel corso di 6 mesi crebbe di oltre tre mila teste, colle quali non tocca che le 15 mila dei 19 mila a cui condurranno lo leve che si stanno facendo.

Il governo provvide costantemente a migliorare le guardie di pubblica sicurezza, nonché gli agenti destinati all’ordine pubblico ed altri funzionarii. Esso esigeva nelle persone scelte la probità, la capacità ed il pensiero politico conforme a quello di tutti noi, ed ora dichiara altamente, solennemente (con calore) che non transigerà mai con chi fu per lo passato satellite del despotismo (bene) e nel cui cuore non havvi il programma che noi tutti abbiamo (bene) ed ha la coscienza di aver sempre ciò mantenuto o manterrà sempre. (Bene)

Se mi dimenticassi di rispondere a qualche obbiezione, prego gli onorevoli deputati a richiamarmelo alla memoria.

Passiamo ora alle provincie napoletane.

Fu detto da qualche oratore che il governo non ha verso di esse quella amorevolezza e quell’affetto che deve avere. Questa accusa mi ha gravemente accuorato, o signori. Al contrario devo dire che appunto perché quelle provincie richiedono particolare sollecitudine, devono in particolare ottenere più cure.

È noto come due dei miei colleghi siensi recati colà sfidando i pericoli che pur vi erano, per riscontrare personalmente l’andamento delle pubbliche bisogna, l’amministrazione della giustizia e l’andamento dei pubblici lavori.

L’On. mio collega il ministro Peruzzi attraversò tutte lo provincie, si è confuso con quelle popolazioni e ne riscontrò i bisogni ed ebbe prima di me il convincimento che la sua gita fu efficace, come quella che ai lavori già attivati diede grandissimo impulso. Per provvedere a tanti bisogni è necessario aprir nuove comunicazioni onde attivare elementi di prosperità nazionale. Ed io sono indotto a credere che l’on. ministro dei lavori pubblici ha attivamente contribuito a cementare la nostra unità.


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Quale è lo stato attuale di quelle provincie? Il governo è in diretta comunicazione con tutte quelle autorità o quindi in caso di portarvi un esatto giudizio. Napoli non può servire alla popolazione di sette milioni. Io ho fiducia in Napoli forse più di coloro che parlano sovente di. Napoli, e l’esperienza di questi mesi conferma pienamente quanto su ciò appunto espressi nella circolare che ho diretta ai nostri agenti diplomatici e mostra quanto fosse giusto ciò che in essa ho asserito. La prova del patriottismo di quella città ci viene fornita dal brigantaggio stesso quando si considera che guardie nazionali, inesperte al maneggio delle armi, disabituate alla fatica condussero una vita piena di pericoli e di difficoltà; se si considera che il brigantaggio

fu compresso dal valore delle truppe regolari associato a quello delle guardie nazionali ed ora è limitato a ristretti confini; quando si considera tutto questo, si è indotti a ritenere che quelle provincie racchiudono in sé elementi per un prossimo risorgimento.

A dimostrare poi le sollecitudini del governo per gli abitanti di quelle provincie, approfitto di questa occasione per dire che esso ne’ varii dicasteri trova solidissimo appoggio in essi. Così l'on. ministro delle finanze si è circondato di eletti ingegni alle stesse provincie appartenenti e vi presenterà dei progetti di legge che son frutto degli studi loro. Così dicasi del ministero dello interno.

Veniamo ora ai prefetti,

I prefetti vennero tolti da tutte le parti d’Italia: così pure i consiglieri di prefettura. Tra essi sonovi parecchi napoletani o questa non è che una parte del lavoro, perché l’ordinamento si sta facendo. Spero quindi sarà tolta ogni ombra di dubbio che il governo non accetti e non si circondi degli ingegni di quel paese.

Facendo parola del brigantaggio, io non verrò tracciandovene la storia, perché d’altronde fu estesamente fatta in questa stessa discussione. Solo oggi vi dirò che esso, frenato in gran parte dall’operoso zelo e dalla capacità dell’ultimo luogotenente, pareva prendesse vigore nella Basilicata ed in Terra di Lavoro.


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Il ministero aveva rapporti come in Roma si facevano continui arruolamenti, che venivano spinti in quelle provincie, e che mercé la cooperazione della guardia nazionale si ridussero a niente.

Furono presi opportuni provvedimenti per parte del governo francese, che mai ha voluto smentirò le sue simpatie per la causa italiana ed ora le autorità militari francesi si accordarono colle autorità militari italiane per attivare misure che impediscano ta introduzione del brigantaggio nel nostro regno. È certo che simili misure produrranno ottimi effetti.

Al completo ordinamento pensò accuratamente il governo. Quanto ai delitti ordinarii credo che la voce pubblica sia più esagerata del vero giudizio reale.

Di ciò porterò in prova un fatto che stamattina stessa riferivami l’on. ministro dei lavori pubblici. Le messaggerie incaricate del trasporto delle lettere o dei viaggiatori nelle provincie meridionali, sommano a circa 86 al giorno. Questo numero moltiplicato dal primo aprile sino al 20 novembre, ascendo a 13,140 viaggi. Eppure non si ebbero che 42 aggressioni soltanto.

Questo ripeto autorizza a credere che la pubblica voce sia stata esagerata.

Il governo con ciò non intende di fidare in se medesimo, ma è contento perché è fuor di dubbio che il male non può spaventarlo o trova incoraggiamento nella prova che l’opera sua non è mancata.

Alla quiete pubblica si è del pari provveduto perché colà sono vi 50|m. soldati di truppa regolare, i quali hanno l'incarico di combattere il brigantaggio. Ciò vi sia d’arra che il governo fu alacre nei provvedimenti…

Quanto agli intendimenti del ministero rispetto agli ordinamenti interni vi dirò dio il principio in esso predominante è il principio di unificazione.

Si o signori, colgo quest’occasione per dirvi, che io sono d’avviso non esservi altra salute che l’unificazione immediata per ordinare l’amministrazione e la legislazione: E per giungervi più presto credo sia opportuno tralasciare l’ottimo accontentandoci del buono.


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Ricercheremo l’ottimo quando l’esperienza ci avrà ammaestrati.

Basato su questo principio il governo del Re non ha tardato di abolire la luogotenenza napoletana e non tarderà di abolire anche quella di Sicilia. (D'Ondes domanda la parola) Io credo, o signori, che il governatore locale sia una barriera, un velo, un sipario per cui i paesi non conoscono l’animo del governo né il governo quello dei paesi. (Bene)

Confesso che anch’io un tempo inclinavo pel sistema regionale ma portata su quel sistema una meditazione più sagace o più profonda e resomi conto della fisiologia degli affari, mi parve completamento inutile.

Io non ho esitato di abbandonarlo.

Del pari credo conveniente che quanto agli interessi locali vengano questi affidati all’intelligenza interna.

Ecco perché le leggi comunali e provinciali saranno il compimento di questo principio, ecco perché credo che ogni provincia debba avere il suo amministratore.

Partito da questi due principii presenterò fra pochi giorni la legge comunale e la provinciale attualmente in applicazione nella gran parte del regno, perché la Camera si degni permettere che venga applicata al rimanente Del pari la legge sulle opere pie, e sulla pubblica sicurezza.

Ora, o signori completerò il pensiero che ha il governo relativamente alla questione italiana. (Segni d’attenzione)

La questione romana non è unicamente una questione politica. È la questione più grave dei tempi nostri. Da un lato tiene all’Italia, dall’altro alle credenze di tutto il mondo cattolico. L’Italia vi è direttamente interessata, ma la Francia come grande potenza che sta a capo di ogni progresso umano, ama l’Italia, potenza cattolica, e tiene proposito di aiutarla.

Se adunque la questione non è soltanto politica ma eziandio religiosa, parmi logica conseguenza, che non debbasi sciogliere con mezzi violenti, i quali sarebbero fuori di luogo: ma quando anche riuscissero, la questione potrebbe dirsi risoluta? Dubiterei assai. Io credo che possa sciogliersi, allorchè si maturi colla discussione.


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Quello che un tempo si faceva nei concilii oggi si agita innanzi alla pubblica opinione, il più grande dei concilii. (Bene)

Siamo schietti, o signori; l’opinione pubblica in questi ultimi tempi ha molto progredito. Nei tempi andati si sosteneva che il dominio temporale fosse necessario all’esercizio dello spirituale, ed ora invece si crede che lo spirituale possa essere senza di quello più indipendente; per lo passato si sosteneva che la religione perderebbe qualora perdesse lo splendore di un regno terrestre, ora si ritiene il contrario.

V'ha un dubbio in qualcuno, di sapere cioè come conciliare la libertà del pontefice spogliato di ogni sovranità, e fu allora che il Parlamento italiano credette che scioglimento di questo dubbio potesse essere il principio di libera chiesa in libero stato.

Questa formola rimase senza attuazione. Il ministero attuali; credette suo dovere di esaminare se si fosse potuto raccoglierla in una pratica applicazione, ed ho creduto che ciò potesse stare nelle basi dei documenti che ho avuto l’onore di sottoporre al vostro giudizio. Allora non tardai di procurare l’effettuazione di quel progetto, sicuro com’era che una volta che l’opinione pubblica lo avesse accettato non incontrerebbe alcuna difficoltà.

Il governo credette necessario che l'Italia mostrasse al mondo cattolico che nel volere la sua capitale voleva conservare lo splendore, la gloria e l’unità della chiesa. Ecco quale fu il fine del governo.

Molte obbiezioni si sono fatte a questo manifesto. Fu detto che la via presa è lunga ed è sterile di risultato. A dir vero io non lo credo, ma non metterò in campo la mia peculiare opinione. Possiamo discutere sulla lunghezza della via quando siamo tutti d’accordo non esservene una di breve? In una questione d’altronde cosi grave cosi importante, che da tanti secoli si agita, possiamo noi enumerare i giorni?

Si è pur detto che lo Stato accordando cosi largamente ri annoierebbe alle sue prerogative. Io non credo fondata l’accusa.


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Credo che nel progresso dei tempi lo Stato e la Chiesa entreranno nella loro sfera d’azione: nel progetto rassegnato non ravviso né una parte che perde, né una parte che guadagni; vi scorgo un modo di stabilire armonia fra il potere civile e spirituale.

Mi si accusa di aver adoperato termini umilianti e sommessi. Ma, o signori, io, ministro di un Re cattolico, che è a capo di una nazione cattolica, doveva dirigermi al Pontefice con un linguaggio da nemico? No senza dubbio. Io tenni un linguaggio, quale doveva essere operato da chi parlava in nome di una nazione credente. Io credo invece essendomi cosi umiliato innanzi al Capo della Chiesa di non aver umiliata la nazione. Il Parlamento mi giudicherà.

Riassumendo dirò che la questione romana deve sciogliersi moralmente dall’Italia d’accordo colla Francia, guadagnata l’opinione dei cattolici. Procedendo in questi modi non poteva rivolgermi direttamente al pontefice, bensì all’Imperatore dei francesi.

Il quale ha pronunciato giudizio favorevole al progetto dichiarando però che il tempo non pare volga opportuno, perché le disposizioni dell’animo del pontefice non lo permettevano. Devesi aggiungere inoltre che la Francia in quel momento non aveva in Roma il suo rappresentante. Del resto il mio progetto fu presentato al governo francese dall’illustre personaggio che così degnamente rappresenta presso la Francia il governo italiano.

Credo che ogni interpretazione su questo proposito possa essere rimossa.

Il governo, o signori, che ha l’intimo convincimento di aver camminato e di progredire per una via diritta e conforme agI’interessi d’Italia, ha il diritto di chiedere il vostro incoraggiamento. Qualunque però sia la vostra deliberazione, egli ha la coscienza di aver sempre operato nell’interesse della patria. (Bene applausi)

Miglietti. Incomincia dal rispondere alle accuse del deputato Brofferio, il quale rimproverò il governo di aver rinunziato a quelle prerogative che sempre stettero a cuore al Piemonte.


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L’esercizio di questi diritti regali, era una necessità allorquando il governo si serviva della religione come mezzo di governare. Allora il governo che si valeva della religione, doveva tutelarsi contro di essa. Ed io manterrò quei diritti finché la libertà di culto e di coscienza saranno un desiderio — Cita la sua recente circolare ai vescovi.

Ma se si attuerà il principio libera chiesa in libero stato, vorrà il deputato Brofferio, difensore nato di tutte le libertà, che s’inceppi la libertà della chiesa?

Vengo agli appunti a me specialmente rivolti.

Fu detto che non si era provvisto sufficientemente all’amministrazione della giustizia. Che cosa il governo poteva operare di più? Nell’Emilia, nelle Marche, nell’Umbria, a Bologna io dichiaro che leggi sono sufficienti ed applicate con zelo ed attività dai magistrati. Se le leggi non sempre colpiscono il colpevole, ciò dipende dalla renitenza dei testimoni. Ma le leggi sono sufficienti e non abbiamo bisogno di mezzi straordinari e non li chiederemo. Ai difetti della leggo rimedierà l’istituzione dei giurati che educa il cittadino e ne rileva la dignità.

Venni rimproverato di non attuare con prontezza lo leggi organiche state proclamate durante la luogotenenza del principe di Carignano. La legge delle corporazioni religiose durante la luogotenenza che succedette a quella del principe di Carignano non era desiderabile che si attuasse e mi si scriveva che era improvvido porla in esecuzione.

Riguardo alla composizione delle Corti io doveva occuparmi di correggere l’istituzione. Coloro che oggi mi rimproverano di non aver attuato con sollecitudine l’organamento giudiziario, si opposero sempre ed ancor adesso si oppongono alla sua immediata attuazione.

Si disse che io non ho fatto una parte sufficiente ai napolitani nell’amministrazione della giustizia. Quando entrai al ministero feci un nuovo ordinamento, contemplai la venuta degli impiegati napolitani e lasciai vacanti varii posti e lo sa l’onorevole Pisanelli. Io mi recai a Napoli anche per ricercare quegli impiegati ma né con lettere, né con parole ottenni che venissero.


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Tutti mi risposero «datemi un posto qualunque, anche inferiore, ma in Napoli». Mi rivolsi al deputato Pisanelli affinché servisse d’intermediario presso quegli impiegati e perciò non si può imputare a me se dessi non vennero. Quei posti li ho ancora vacanti; io aspetto gl’impiegati, ma non darò mai un ordine per farli venire perché preferisco due impiegati che vengano volonterosi ad un numero maggiore che venga per forza. (Segni numerosi d’approvazione).

Brofferio (per un fatto personale). Rispondendo al ministro di grazia e giustizia, dice che ora più che mai ardono le passioni religiose, e che ora più che mai bisogna opporsi all’usurpazione clericale, e perciò non conviene abbandonare i diritti dello Stato.

Soggiunge alcune parole in risposta all’onorevole Boncompagni. Egli disse che i democratici quando giunsero al potere furono sempre incapaci. Ciò è falso, e cita Guizot, Tbiers e Casimir Perier che uscirono dalla sinistra (Mormorio, Martinez della Rosa, (interruzione scampanellate) e Urbano Rattazzi, (segni l’approvazione su alcuni banchi).

Rispondo pure all’onorevole Massari che lo accusò di pretendere miracoli dai ministri.

Della Rovere. Le osservazioni fattemi versarono sull’esercito borbonico, sul meridionale e sul nazionale regolare.

L’esercito borbonico non fu sciolto, ma si sciolse da per sé o in seguito ai combattimenti o in seguito alle capitolazioni. Però abbiamo nell’esercito italiano 40,000 uomini appartenenti all’antico esercito borbonico.

Non abbiamo neppure sciolto l’esercito dei volontari. Anch’esso si sciolse da per sè, perché quando cessa il pericolo immediato di guerra, non può sussistere un esercito stanziale di volontari.

Dice che ne esistono i quadri, ed al momento del pericolo si riempiranno sicuramente se il generale Garibaldi vorrà prenderne il comando (Applausi).


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Ora abbiamo 272,000 uomini e ne avremo 300,000 a febbraio non tutti buoni soldati perché non s’improvvisano, ma se scoppiasse una guerra, l'entusiasmo supplirebbe all’abilità. (Applausi) Fra un anno però avremo un esercito pari sotto ogni rispetto a quello che nelle guerre passate operò tanti prodigi.

Promette di occuparsi d’accordo col ministero dell'interno della guardia nazionale mobile. Siano in grado di vestirla ed armarla oggi stesso se occorre. (Vivi applausi.)

Peruzzi. Nella mia recente escursione nelle provincie napolitano, ebbi anche lo scopo d’interrogare le autorità e tutti coloro coi quali mi intratteneva intorno ai bisogni di quelle popolazioni.

Si parlò dei grandi dolori dalle medesime sofferti. Questi mali e questi dolori sono antichi e perciò bisogna andare alla radice del male, e se vi anderemo, la malattia non sarà incurabile.

I rimedii fin qui proposti dagli onorevoli oppositori, lasciando in disparte quello dell’onorevole Ricciardi, sono troppo generici e perciò poco efficaci. Essi d'altronde si riferiscono quasi tutti più alla città di Napoli che al resto delle provincie.

L'Italia ha un gran debito verso Napoli che fece per lei un grande sacrificio, e lo deve pagare. Napoli aveva ricevuto uno sviluppo artificiale dal governo che tutto in essa aveva centralizzato. Tutto era a Napoli apparenza e fantasmagoria.

Espone lo stato di Napoli e lo paragona a quello delle provincie dimostrando che tutto si era sacrificato alla capitale.

Parla dell'opportunità del provvedimento da cui fu soppressa la luogotenenza.

Alla città di Napoli bisogna pagare il nostro debito promuovendone i veri interessi ed il governo presenterà un progetto di un grandioso porto adatto all’importanza di quella città.

Descrive lo stato miserando delle provincie. Io le percorsi, ei dice, ma non avevo nemmeno quello innocente revolver che aveva l’onorevole Ferrari (ilarità prolungata).


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Dovunque fui bene accolto. Il male più grande si è la sfiducia che si ha pel governo in generale, qualunque e’ sia, perché il governo è sempre considerato come l’oppressione d’una classe sulle altre. Ciò verrà tolto promuovendo l’educazione e migliorando specialmente le condizioni dei coloni. Colla libertà soltanto si potrà educare quel popolo (applausi).

Rende omaggio agli atti dei consigli provinciali dello provincie napolitane che dimostrano civile sapienza.

A queste provincie però fa eccezione quella di Terra di Bari che si trova in ottime condizioni morali e materiali. Io sono convinto che se l’esempio dei cittadini di queste provincie sarà seguito, finiranno dappertutto i mali che si lamentano.

Parla delle strade ferrate. Smentisce la voce corsa che la società romana vi impiegasse agenti borbonici.

Ora poi si disse perfino che i lavoranti delle strade ferrate sono piemontesi. A me invece risulta che su 81m. operai impiegati 200 soli appartengono a provincie non napoletane.

Per soddisfare ai bisogni di quelle popolazioni e svilupparne la ricchezza è necessario condurre a termine i lavori pubblici.

Quanto alle strade ferrate i favori sono in gran parte iniziati. Ho la fiducia che nel corso dall’anno venturo Napoli non sarà divisa per la via di terra da Torino che da 40 ore di viaggio.

Passa in rassegna i tronchi di ferrovie che in epoca prossima saranno attivati, manifesta alla Camera quanto intorno ai lavori pubblici si-è fatto e si intende di fare nelle provincie meridionali.

Confida che a migliorare lo stato di quelle provincie concorreranno l’azione del governo e quella dei cittadini.

Ma ciò che occorre si è di rialzare l’autorità del governo sconosciuta nei tempi addietro a quelle popolazioni. Se il Parlamento ha fiducia nell'attuale ministero glielo dichiari in modo esplicito (Applausi)

Menabrea. Difende varii dei suoi atti ed in particolare quelli che si riferiscono alla scuola di marina di Napoli.


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Essa si fondava su un sistema di privilegi incompatibile col regime costituzionale.

Entra poi a discorrere degli eccitamenti che vennero fatti al ministero in ordine all’amministrazione del regno e dice che fra questi vi è quello di armare. Dà perciò relazione dello stato della marina militare italiana.

Noi avremo nella primavera ventura 999 — forza di cannoni, e 14,400 — forza di cavalli. (Applausi).

Petruccelli. Io sperava, che dopo il discorso dell’onorevole Ricasoli la discussione potesse chiudersi, ma il suo discorso non contiene né un programma né una giustificazione. Non farò appunti sulla politica interna, non toccherò neppure la parte canonica della politica estera del ministero, ma non posso serbare il silenzio su Roma.

Il signor ministro non ci ha data alcuna speranza di modificare il sistema da lui seguito La nostra politica estera si ricapitola nella quistione romana. Ebbene, io credo che la quistione romana non esista (rumori) o almeno la quistione romana che ora si discute non sia la vera.

La questione romana era una necessità, una maschera per la Francia, ma non interessa per nulla l’Italia.

Una volta questa questione messa innanzi, il conto di Cavour l’aveva accettata o pose il principio libera chiesa in libero stato.

L’opposizione ebbe un bel gridare che ciò era impossibile, ma fu schernita. Gli avvenimenti dimostrano che l’opposizione non si è ingannata ed ora ciò che rimane da fare di più nobile si è di stare colle braccia incrociate. (Interruzione)

L’opposizione ebbe un bel gridare che ciò era impossibile, ma fu schernita. Gli avvenimenti dimostrano che l'opposizione non si è ingannata, ed ora ciò che ci rimane da fare di più nobile si è di stare colle braccia incrociate. (Interruzioni) Discende ad esaminare il principio di libera Chiesa in libero Stato, e crede che ammesse le libertà della Chiesa non può concepirsi la libertà dello Stato. «E voi rappresentanti liberali. potrete accordare questa cristallizzazione del diritto?» (Ilarità)


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Crede che a Roma non si possa andare colla Francia; bensi cambiando politica interna. Il ministero sconobbe la sua origine, la rivoluzione; egli ha fatto una politica di cloroformio.

Noi dobbiamo seguire la politica di Manin: «Agitatevi ed agitate» e la nostra agitazione non turberà le coscienze cattoliche.

Quanto alle provincie meridionali domando che venga posto lo stato d’assedio in quelle provincie dove esiste il brigantaggio, perché talvolta la libertà uccide.

Vi sono briganti di città, egli dice, e briganti di montagna. Questi si sanno domare, ma per quelli non v’ha altro rimedio che lo stato d’assedio.

(Questo discorso è applaudito).


Presidenza Tecchio vice-presidente.


Seduta del 7 dicembre.


Gallerie affollate.

Continua la discussione sulla questiono romana e sulle condizioni delle provincie napoletane.

Ricasoli. (Segni d’attenzione) Un rimprovero mi vien diretto, perché ieri non parlai delle condizioni di Bologna. Ciò non avvenne né per oblio, né per difetto di sollecitudine; ma credetti che non fosse il caso perché le condizioni di quella città sono eccellenti.

Il governo ha preso energici provvedimenti sempre sulla scala di provvedimenti amministrativi. Si aumentò di 200 il numero dei carabinieri colà destinati; si aumentarono le guardie di pubblica sicurezza, gli agenti della polizia civile, ed in parte furono mutati gli impiegati della pubblica sicurezza.

I migliori agenti di essa sono consacrati a quel servizio. Il ministero, d’accordo col municipio, prese gli opportuni provvedimenti per la pubblica quiete.

Quando avvenne l’uccisione dei due ispettori, invitai l’on. Minghetti ad aiutarmi coi suoi consigli ed egli apparecchiò un progetto di legge sulla pubblica sicurezza sul sistema inglese.

I delitti avvenuti in quest’anno in quella città, sono in numero inferiore a quelli che successero l’anno scorso.


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Mellana (in ordine alla discussione). Ieri abbiamo avuto un diluvio di discorsi ministeriali. Ciò non può avere luogo perché è stabilito dal regolamento che si ascoltino alternativamente discorsi in pro, in merito e contro il ministero.

Pres. L’art. 66 dello statuto accorda la parola ai ministri ogniqualvolta lo richieggono. Se però l’onorevole Mellana desidera che i discorsi della opposizione si alternino con quelli dei ministri, la Camera non ha che a deliberare.

Minghetti. Domando quali sieno stati gli antecedenti del Parlamento.

Pres. Non si è mai presentato un simile caso.

Miglietti guardasigilli) osserva che ammettendo l'osservazione del deputato Mellana si protrarrebbe troppo a lungo la discussione. Inoltre verrebbe tolta alla maggioranza la libertà di discussione.

Mellana insiste nelle sue osservazioni e risponde all’on. Minghetti, che fu sempre sistema che i ministri si interpellassero alla opposizione.

Lanza G. In tutte le altre sessioni si è sempre lasciata facoltà ai ministri di parlare quando meglio lo richiedevano e nessuno si è mai pensato di farvi ostacolo.

D'altronde se i ministri parlano, non fanno che un solo discorso, perché tutti si occupano della propria amministrazione, dacchè un solo deputato ha il diritto di fare quell’appunto che crede ad ogni singolo ministro.

Pres. Io non posso mettere in deliberazione lo statuto. Qui si tratta semplicemente di una questione di regolamento.

Mellana. Ora devesi sentire un deputato a parlare contro, dopo che hanno parlato cinque ministri.

Pres. Dopo i ministri ha parlato l’on. Petruccelli contro il ministero.

Mellana. Il sig. Petruccclli era iscritto a parlar sopra. (Ilarità prolungata) Del resto ritiro la mia proposta, semprechè prima di chiudere la discussione si ascolti ancora qualche discorso dell’opposizione (Si si, ilarità)


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Ricciardi dice che nessuna risposta venne data ai rimproveri che vennero mossi sul fatto del giovane Pederzolli e sul processo del duca di Caianello. Domanda ora risposta all’appunto da lui fatto sui patti che vennero rotti circa all’esercito borbonico stipulati sulle capitolazioni di Gaeta.

Chiede al ministro delle finanze l’esposizione da esso promessa dello stato delle finanze, perché vede che le finanze italiane volgono alla bancarotta. (Rumori prolungati)

D'Ondes  parla sull’abolizione della luogotenenza di Sicilia, e domanda la parola per occuparsi prima che si chiuda la discussione di questo argomento, che senza nessuna ragione fu messo in mezzo alla presento discussione.

Alfieri (per un fatto personale) si occupa delle osservazioni del presidente del consiglio sul discorso da esso fatto; ma, come al solito, non abbiamo intesa una parola, stante l’eseguità della voce dell’oratore.

Bastogi (ministro delle finanze). Nella prossima settimana spero di essere in grado di sciogliere la promessa che feci alla Camera.

Intanto mi sembra opportuno di rettificare alcuni fatti citati da un onorevole deputato, la cui parola è autorevolissima. Egli asseriva come i bilanci delle singole parti d’Italia al momento delle annessioni fossero in pieno conguaglio tra loro, e che il bilancio generale presentava un disavanzo sensibilissimo. Conchiudeva da ciò che vi doveva essere un vizio nell’amministrazione.

Il bilancio del Piemonte presentava una spesa ordinaria dì 8,460,000, più spese per l’imprestito di 3,800,000; in tutto un deficit di 12 milioni.

La Lombardia presentava un avanzo di 30 milioni. Conviene non dimenticare che occorse di dare all’Austria 123 milioni, 60 alla Francia, 100 milioni dovemmo contrarre d’imprestito per lo spese di quella guerra.

Se oggi si tengono a calcolo le spese del ministero della guerra e della marina, si vedrà che il bilancio della Lombardia presente è un aggravio od almeno un pareggio.

In tutto abbiamo un disavanzo di 26 milioni tra il Piemonte e la Lombardia.


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Il bilancio dell’Emilia presentava un aumento di 40 milioni. Dai quali bisogna sottrarre 13 milioni per l’imprestito, ed altri per altre spese. Il disavanzo potè ridarsi a 16 milioni.

Il bilancio della Toscana presentava un disavanzo di 16 milioni.

Quanto a Napoli il governo borbonico prevedeva un disavanzo di 25 milioni, nel giugno 1860 di 7 milioni di ducati, quindi un deficit di 20 milioni di franchi.

In tal guisa il nostro disavanzo ascende ad 87 milioni. Quindi abbiamo abolito il 33 p. 0|0 che porta una differenza di 6 a 7 milioni; abbiamo nella città di Napoli ribassato il prezzo del sale; fu abolito in Sicilia il dazio sul macinato. Sommata la diminuzione ed abolizione di queste imposte esisteva un disavanzo di 120 milioni nei varii bilanci. Dico questo perché credo che torni a conforto del Parlamento.

I passati governi non avevano bisogno di armate formidabili per difendersi. Noi invece vogliamo una forte armata per difendere e rivendicare i nostri diritti. Voi avete sentito dal ministro della guerra e della marina o da quello dei lavori pubblici le spese, alle quali si dovette andar incontro.

Io poi vi dimostrerò come il ministro delle finanze miri sempre al risparmio delle spese.

Parmi d’avervi dimostrato come gli estremi offertivi dall’on. Rattazzi non sieno stati esattissimi.

Quando mi accingerò ad esporre cosa fece il governo, darò le più minute notizie intorno all’amministrazione delle finanze. Oggi mi sono limitato a questo perché l’autorevole voce dell’on. Rattazzi non porti il benché menomo danno al credito dell’Italia, inquantochè voi sapete che il credito di una nazione è la leva più potente della sua prosperità.

Caruttti dopo un breve esordio in cui riepiloga il voto dal Parlamento emesso nell’ultima sessione che fu preso quasi ad intera unanimità, continua:

Il ministero, nel deporre i documenti, spiegò per qual ragiono non sieno giunti al loro indirizzo. Io non esaminerò questi documenti né quanto alla forma loro, né quanto alla loro sostanza.


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Dirò bensì senza esitanza che quei capitoli contengono esattamente i principii che attueranno un giorno la teoria della libera Chiesa in libero Stato.

Mal s’appongono coloro, che credono essersi il ministero fermato alla prima difficoltà che trovò nel sentiero.

Ciò non fu e non poteva essere, perché il governo sapeva essere follia sperare di vincere i pregiudizii della Santa Sede in pochi mesi, ma sperava poi di acquetare le coscienze dei cattolici colla persuasione e colla moderazione.

Il mezzo migliore per vincere questa battaglia è la pubblicità. Il ministero non inteso di fare un atto diplomatico, bensì un atto politico e vi è riuscito.

L’opposizione dice: non siete riusciti, dunque il vizio sta nel sistema, nell’indirizzo politico. Questa agli occhi miei è la sola obbiezione importante.

Dobbiamo rinunciare a Roma, andarvi contro o malgrado la Francia? Ciò costituirebbe un cambiamento di indirizzo; esaminiamolo pacatamente.

Rinunciare alla questione di Roma è più facile dirsi, che realizzarsi. Io non so chi sosterebbe un’amministrazione che ciò asserisse. Io no certo perché paventerei lo discordie municipali che offrirebbero un miserando spettacolo. L’on. Ricciardi proponeva di trasportare la sede del governo altrove. Ma questa è tale proposizione che si confuta da per so stessa.

Innanzi a Roma tutti si piegano: Roma capitale if Italia ci darà ricovero per l’avvenire e sin d’ora ci assicura la pace.

La questiono romana comprende l’accordo della Chiesa collo Stato. Ed io non crederò pacificato il regno, sinché questo accordo non sia avvenuto.

Il deputato Petruccelli diceva che sotto quest'aspetto la questione romana non esiste. Ed io converrei con lui, qualora mi assicurasse che il cattolicismo non esiste.

Dobbiamo noi andarvi malgrado l’alleanza francese?

Io risponderò colle parole del grande ministro, il cui nome devo ricordare in quest’aula, del conte Cavour: «Sarebbe follia di andare a Roma malgrado la Francia;


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ma quando lo dovessimo non lo si potrebbe so ciò avesse a portare grave nocumento ai nostri alleati.»

Credo che non occorrano altre osservazioni. Se non che si presenta la questione sulla convenienza di questa alleanza. Il dep. Musolino, che è cosi felice da conoscere i varii segreti dei diversi gabinetti, disse quanto ci sia dannosa l’amicizia francese, con una schiettezza veramente invidiabile. L'on. Rattazzi invece la difese con calde parole, quindi non mi occuperò di questo argomento.

Solo non posso astenermi dal muovere un rimprovero al dep. Musolino, quando affermò che la Francia vuole cangiar l’alleanza in signoria, con accondiscendenza del governo italiano.

Questo dubbio è un oltraggio alla nazione italiana ed alla Casa di Savoja, che non piegò mai a pretese straniere; si ruppe ma non si piegò mai, o signori.

Passo alla questione delle provincie napoletane.

Il gabinetto ci parlò dei provvedimenti dati, riducendo alle giuste proporzioni i mali che affliggono quella parte d’Italia.

Il governo doveva chiedere alla Francia che il territorio protetto dalle sue armi non attentasse alla quiete. del nostro regno.

Questa domanda era giusta anche sotto l’aspetto del diritto internazionale.

La Francia, come disse l’on. presidente del Consiglio riconobbe la giustizia della domanda, per cui il consiglio dell'onorevole Rattazzi fu prevenuto.

La quistione di Napoli è una grande quistione, ma non è tutto. Il regno ha bisogno di essere rassodato col programma che la maggioranza crederà stabilire.

Le difficoltà sono gravi. Dobbiamo affrontarle colle idee esposteci dal ministero e con un altro programma, cioè quello della opposizione?

Qual è il programma dell’opposizione? Ho ammirato la vivacità dell’eloquenza, lo splendore delle immagini venuteci dall'altro lato della Camera. Ma che cosa ci ha presentato? Lo confesso francamente che nei discorsi dell'opposizione io non ho trovato mai un programma politico,


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all’infuori del discorso che chiuse la tornata di ieri cioè quello dell’on. Petruccelli.

Egli ci disse anzitutto che bisogna disertare la via sino ad ora battuta, perché la nostra è una politica di consunzione di tisi.

Egli ci disse: «Bando ai mezzi termini, alle mezze misure, non rinunciamo alla nostre origine, noi siamo rivoluzionarii, spieghiamo dappertutto la bandiera della rivoluzione, ad ogni cittadino diamo un moschetto, ad ogni traditore un patibolo. Imitiamo l’esempio della Francia del 93.» (Rumori)

Questo programma non è nuovo. Il programma della Francia del 93 qual risultato diede mai? Tutto il paese nel sangue, da cui nacque la reazione, il brumale, l’invasione straniera, per due volte ripetutasi. (Rumori)

È inutile illudersi, o signori. Intorno a noi vedemmo talvolta un sentimento di sconforto. E necessario infondere la fiducia e la stabilità della politica, che sola può mantenere la libertà. È necessario che la maggioranza ed il governo tengano alta la bandiera: noi dobbiamo essere conciliativi, ma non deboli, dobbiamo transigere, ma quando il Parlamento ha pronunciato il suo verdetto, fellone chi se ne allontana.

Consolidiamo il regno con questi mezzi. Spetta a nei formare le leggi che devono rendere L’unità. Dobbiamo stimolare il governo a presentarli;. Allora non si dirà più quella parola che a Torino si voglia piemontizzare. È tempo che quest’accusa cessi, essa è divenuta l’arma dei nostri nemici (voce; nessuno l’ha detto: scampanellate) e noi dobbiamo usarne. Il Piemonte, non vuol conservare che tre sole cose: la monarchia, lo Statuto e l’esercito e le vuol conservare, perché se cadessero cadrebbe l’edificio dell'unità italiana.

L’on. Boncompagni disse che l’unità italiana deve costituirsi colla libertà. Si, o signori; io sono persuaso che se una sventura ci cogliesse, il retaggio dello nostre aspirazioni sarebbe raccolto da qualche altro. Io confido sull’Italia. Si, o Signori il sasso è vicino alla vetta della montagna. Un altro sferzo, e noi abbiamo raggiunto la meta, ma abbiamo bisogno di concordia.


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Colla concordia renderemo libera Roma e libera Venezia, (applausi)

Bertani dice, che sebbene siasi detto da niuno, non essere conveniente ed utile riandare il passato, pure lo si dee fare, stantechè l’attuale gabinetto e poco fa l’on. Carutti hanno dichiarato che il sistema da seguirsi per L’avvenire dev’essere quello che si seguì nei tempi andati.

Parla del trattamento all’esercito garibaldino, delle misuro prese contro quei veneti che pur hanno combattuto lo patrie battaglie, e che pur furono internati in Sardegna ed in Aosta; ricorda l’opposizione alla protesta contro l’occupazione romana, la proibizione che diede a tal uopo il luogotenente di Sicilia (Della Rovere), ricorda il fatto che un ministro italiano faceva aprire le lettere e con predilezione le sue, di fronte all’Austria, che innanzi al suo Parlamento sanci il rispetto dovuto al segreto delle corrispondenze: ricorda l’opposizione che si fece pel richiamo di Giuseppe Mazzini, opposizione indegna d’Italia (Rumori): Voce a sinistra, (Si, si): dice che con questo sistema sono trascurate le milizie cittadine, mentre il governo sa dire ai suoi organi officiosi di avere 300,000 fucili, senza trovare 200,000 cittadini che vogliano armarsene.

Critica alcuni atti dell’amministrazione in Napoli del deputato Pisanelli, durante la dittatura del Generale Garibaldi, e dice poi che avrebbe reso grande servizio all’Italia se avesse alzata la sua voce contro l’immediata annessione delle provincie meridionali; dice che bisogna fidare nella rivoluzione; che il popolo nulla fece nel 59 e molto nel 48 o 49.

Consiglia il governo di porgere ascolto ai giusti reclami, di armare i popolani per la sicurezza del paese. Accenna al fatto che non appena Nicotera aperse l’arruolamento, a migliaja accorsero ad iscriversi i volontari.

«Non è dunque, continua l’oratore, che manchino i difensori della patria, me gli è che manca la fiducia nel governo.

È d’avviso che armando i cittadini, cessi immediatamente il brigantaggio; perché l’esercito si stanca.


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«L’esercito esso dice, è una scuola ed i nostri bravi soldati nulla hanno da im parare dai ladri e dal l’assassino. »

Consiglia il governo di mandar Garibaldi a Napoli, il quale farà presto di quelle popolazioni una sola volontà: si oppone ad uno stato d’assedio, perché si deve governare colla libertà.

Dopo una breve pausa discende a parlare della questione romana.

L’oratore crede che se Napoleone da dodici anni non fosse in Roma, il dominio temporale avrebbe già cessato per forza delle cose.

Napoleone non volle combattere per l’unità italiana, ma per umiliare l’Austria ed abbattere la rivoluzione. Fu costretto a riconoscere questa unita dagli eventi. L’on. Rattazzi dice che la Francia è impaziente di abbandonare Roma; ma se ciò è vero dobbiamo insistere con ogni mezzo rivoluzionario per aver Roma.

I rapporti di riconoscenza verso la Francia non devono far cessare i diritti che ha l" Italia di aver la sua capitale.

Gl’italiani sono tanto lontani dal muover guerra alla Francia, quanto è lontana la Francia dal resistere al popolo italiano qualora volesse rivendicare Roma.

Combatte il concetto di libera chiesa in libero stato e vuole invece la libertà di coscienza in libero stato.

Credo che il mezzo più facile per ottener Roma sia la protesta del popolo italiano.

È d’avviso che sino a che l’imperatore non vede che noi siamo armati, non ritirerà le sue truppe da Roma, per lo stesso motivo che l’Inghilterra non ritira la sua squadra da Napoli.

Conchiude dicendo che le popolazioni non hanno alcuna fiducia nel sistema dell’attuale gabinetto.

Minghetti. Io non mi trovavo presente al principio del discorso dell’on. Bertani, ma rientrato, venni avvisato dai miei colleghi che esso mi accusò di aver violato il segreto delle lettere quando era ministro dell’interno.

Quanto alla insinuazione sulla violazione del segreto dello lettere, se questa fosse a me diretta, la rispingo assolutamente, recisamente,


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perché io non feci mai cosa contraria alle leggi ed al mio dovere. (Bravo)

Disse inoltre l’on. Bertani che il brigantaggio era nato durante la mia amministrazione. Prego su questo proposito l’on. Bertani a ricordarsi che non appena il gen. Garibaldi entrò a Napoli dovette mandare un generale per combattere i briganti. La Camera inoltre si ricorderà che sul principio della sessione del 1860 dovette occuparsi dei fatti d’Isernia. Da ciò si vede che anche prima della mia amministrazione vi aveva il brigantaggio.

Pisanelli rispondo qualche parola per un fatto personale per ribattere le accuso che gli vennero mosse dal dep. Bertani. Dà spiegazioni della sua condotta rispetto alla dittatura, dice che non è vero che ponesse impedimento all'esecuzione degli ordini della medesima.

L’on. Bertani disse che se io avessi speso la mia debole voce per impedire il plebiscito avrei giovato all’Italia. Io sono lietissimo, o Signori, di aver alzata allora la mia voce. (Bene)

Combatte l’asserzione del dep. Bertani che si possa ordinare lo stato colla rivoluzione «Sistema, egli disse, che non ha la simpatia della maggioranza degli Italiani. »

Il mio voto era conosciuto dai miei avversarii stessi: cui sapevano aver io detto che non avrei dato un voto di sfiducia al ministero. Solo ho voluto accennare i difetti e suggerire i rimedii.

Bertani (per un fatto personale) rispondo al deputato Pisanelli.

Quanto all’on. Minghetti risponderò che i fatti da esso accennati erano fatti di vera reazione e non di brigantaggio (Ilarità) D’altronde io non ho detto che sia nato sotto la sua amministrazione, bensì sotto il sistema da esso appoggiato.

Quanto alle lettere, la camera conoscerà che quando ho asserito un fatto devo averne la certezza, ma conoscerà d’altronde la convenienza che devo avere di tacerne la fonte. (No, no. Deve parlare, deve dir tutto).

Gallenga. Il dep. Bertani deve parlare, perché non sono permesso queste reticenze.


326

Pres. Un momento: ha la parola il ministro dei lavori pubblici.

Peruzzi (ministro dei lavori pubblici). Come ministro dei lavori pubblici non posso mai accettare le reticenze del dep. Bertani.

Io non ho saputo mai nulla di questo e posso assicurare che non ho mai permesso che si violasse il segreto delle lettere e perché l’azione la riteneva indegna di un governo retto da libero istituzioni.

Crispi dice di sperare di non venire costretto a discendere a particolari relativamente alla dittatura di Napoli della quale faceva parte l’on. Pisanelli, per amore della concordia.

Pisanelli  soggiunge qualche altra parola.

Jacini (per un fatto personale). Dal 1860 al febbraio del 1861, cioè durante la mia amministrazione, non avvenne mai nessun fatto, di cui muove lagnanze il dep. Bertani.

San Donato propone l’ordine del giorno puro e semplice. (Ilarità prolungata)

Pres. Quando si tratta di fatti personali io non posso chiudere la bocca a chicchessia.

Conforti (per un fatto personale) giustifica ach’egli gli atti durante la sua amministrazione, al tempo della dittatura del gen. Garibaldi.

Il presidente legge due ordini del giorno, uno presentato dal deputato Conforti in unione ad altri, ed il secondo del deputato Boncompagni ed altri, nonché un emendamento del dep. Mancini.

Peruzzi domanda assolutamente che sia terminato l’incidente delle lettere, in modo che al ministero sia dato adito di punire i colpevoli, dal giustificare l’amministrazione pubblica.

Crispi (in ordine alla discussione) domanda se la presentazione degli ordini del giorno esige la chiusura della discussione. (No, no)

Quanto all’incidente delle lettere, ach'egli crede che non debba lasciarsi senza schiarimento. Ma trattandosi di nomi e di fatti che da un un lato o dall’altro si possono affermare e negare, la Camera non può uscire senza un verdetto esatto.


327

Chiedo che sia ordinata un’inchiesta. (Rumori, scampanellate)

Peruzzi. Confesso ingenuamente che sono meno tenero dell’onorevole Crispi. Io non porto alcun rispetto, non ho alcun dovere che sieno pronunciati i nomi. Non è un’inchiesta, non una commissione che possa far giustizia; ma il pubblico ministero a cui si debbono denunciare immediatamente i fatti. (Bene)

Gallenga. Quando un deputato asserisce dei fatti, dee aver delle prove in mano, specialmente trattandosi di un discorso scritto. O una ritrattazione o la pubblicazione dei nomi.

Bertani. Io non ritratto e sono disposto a dir tutto al Sig. Minghetti. (No, no) Io non ho prove in pronto; e quello che posso dire all’onorevole Minghetti, non posso dire in faccia alla Camera.

Crispi. Se i fatti offendessero il ministro dei lavori pubblici capisco il risentimento dell’on. Peruzzi. Ma essi risguardano altro dicastero, quello dell’istruzione pubblica; cioè trattasi di impiegati di un dicastero che denunciarono il fatto e quindi sarebbero immediatamente destituiti. (Rumori prolungati) Signori oppositori, avranno il diritto di rispondermi, ma non di interrompermi.

Ricasoli. Non potrei abbandonare il desiderio che questo incidente sia completato, perché qualunque fatto disonesto che sia attribuito ad un governo, quel governo perde immediatamente la fiducia delle popolazioni. Siccome il dep. Crispi estende l’accusa così il fatto si aggrava e chiedo ach'io la luce sia fatta (Bravo)

Brofferio. Io non conosco né i fatti, ne i documenti in appoggio di essi che può avere il dep. Bertani, ma è certo che si devono avere dei riguardi per impiegati che forse avranno potuto avere avuto confidenza da un amico.

Accenna un caso consimile avvenuto in Inghilterra, quando fa scagliata un’accusa al ministero di avere aperte le lettere a Giuseppe Mazzini.

Io conosco il dep. Bertani, è mio amico ed è incapace di mentire. Voi della maggioranza non dovete mettere alle stretto un uomo come lui di mancare alla sua delicatezza.


328

Se voi voleste giudicare su questo incidente, senza che il dep. Bertani possa esser in caso di presentare le sue prove, non avendole in pronto, fareste prova di esser giudici parziali, il che non vorreste senza dubbio (Bene dalle tribune: il presidente le ammonisce)

Lanza. Siamo tutti d’accordo che l’incidente deve essere appurato: trattasi di vedere quale sia il modo più decoroso anche per il dep. Bertani.

Propone la nomina di una commissione a cui verranno consegnati i documenti e le prove. (Bertani dichiara di accettare)

Gallenga. Come è possibile che il Parlamento possa dare un voto di fiducia al ministero se non conosce questo fatto?

Peruzzi. Accetto la proposta Lanza purché mi sia riservato il diritto di poter procedere a termini di leggo contro i colpevoli:

Minghetti dichiara di accettare qualunque proposizione.

Crispi accetta la proposta pur egli, colla condizione che alla commissione vengano accordati pieni poteri.

Miglietti. (guardasigilli) chiede che sia fissato un termine.

Crispi. La procedura ordinaria non fissa alcun termine; e quindi non lo deve aver neppur la commissione.

Miglietti. Io domando che si presentino subito i documenti e vengano nominati i testimonii immediatamente. Questi nomi e queste prove saranno consegnate alla commissione.

Bixio. Questa è una questione di partito (No no: si, si).

Peruzzi. Allontano la supposizione dell’onorevole Bixio. La violazione del segreto delle lettere non è quistione di partito, ma di moralità.

Ara. Attualmente si tratta di dare un voto di fiducia al ministero e noi non possiamo accettare la nomina della commissione.

Cordova (d’agricoltura e commercio). Il ministero non ha mai creduto che la questione si complichi col voto di fiducia, tanto più che l’accusa venne lanciata all’amministrazione precedente.

Anch’esso accetta la proposta Lanza.


329

Lanza. Non so come si possa immaginare che la sia una questione di partito. Si tratta di pubblica moralità, siamo tutti interessati allo scoprimento del vero.

Aggiunge alla sua proposta che la commissione venga nominata dal presidente della Camera, in numero di cinque membri, che per la sua carica deve essere imparziale, la qual commissione venga incaricata d’informare la Camera del risultato per le suo deliberazioni.

Cordova domanda qualche schiarimento sulla proposta Lanza;


(La chiusura).

Pepali G. appoggia la chiusura.

Sella domanda che si aggiunga il tempo e propone il giorno di domani. (Rumori a sinistra)

Lo stesso deputato Bertani deve averne interesso pel suo decoro, pel decoro dei suoi colleghi.

Cordova Pregherei che la Camera rispettando se medesima nella persona del deputato Bertani non voglia alcun tempo. Basta fissare il tempo in cui la commissione deve fare il rapporto.

La chiusura è adottata.

La proposta Lanza è accettata all’unanimità.

Pres. Ora trattasi di stabilire il tempo. (No, no).

Chiaves parla nel senso del ministro Cordova.

L'on. Bertani saprà provvedere da so stesso al suo onore (Bene, bravo)

Propone l’ordine del giorno sulla questione del tempo.

Sella ritira la sua proposta.

Valerio propone che la Commissione debba riferire nella seduta di martedì.

Lanza lascia alla discrezione del deputato Bertani il provvedere al suo decoro.

L’ordine del giorno puro e semplice sulla questione del tempo è adottato.

La Commissione è composta dei membri seguenti

Lanza, Mullana, Restelli, Depretis, Zanolini, incaricato quest’ultimo di far da presidente.


330

La tornata è sciolta alle 6.


Seduta dell’8 dicembre


Solito concorso nello gallerie.

La seduta è aperta alle ore 1 1|2 pomeridiane colla lettura del verbale che viene approvato.


Si annuncia l'ordine del giorno

Spaventa (per un fatto personale). Comincia a difendere gli atti della sua amministrazione in Napoli, ma siccome pare che si allontani dall’argomento, per cui gli venne accordata la parola, così parecchi deputati della sinistra lo interrompono, invocando l’esatta osservanza del regolamento.

Taccia il sig. Bertani d’aver voluto cambiare il sistema governativo in Napoli.

Crispi domanda la parola per un richiamo al regolamento. (Scampanellate). I. oratore parlerà al suo turno: il regolamento lo vuole. (Rumori prolungati)

Pres. L’oratore ha chiesto la parola per un fatto personale. Sinora questi fatti personali sono interpretati largamente; ma siccome la Camera ha tollerato questa larga interpretazione, così non credo di richiamare all’ordine l’oratore, bensì gli raccomando di attenervisi più nettamente.

Spaventa giustifica le misure da esso prese relativamente al dicastero di pubblica sicurezza, di cui era a capo, e le pone a confronto con il sistema che voleva inaugurato il deputato Bertani.

Per criticare quest’ultimo sistema dice che appunto in base ad esso dall'urna elettorale uscirono i nomi di Saffi, Avezzana, Bertani, De Boni ed altri di quel partito. (A questo momento si suscita un grande rumore; il presidente scampanella. Qualcuno della sinistra chiama Calunniatore l'oratore. Saffi domanda la parola e dice che qui non vi sono partiti. Il presidente colla sua voce giunge a superare i rumori e scongiura alla moderazione, altrimenti sarebbe costretto di coprirsi. Dopo cinque minuti la calma è ristabilita)

Spaventa dopo poche altro parole termina il suo discorso.

Gallenga domanda la parola per una mozione d’ordine.


331

Presid. I fatti personali hanno la preferenza.

Crispi (con forza) Bisognava pensarci prima. (Rumori)

Gallenga. Io credo che l’on. Spaventa abbia avuto torto di svegliare tali questioni che non fanno che male al paese. I. Italia domanda leggi: scongiuro questi signori a voler sorpassare tali cose per amor della concordia. (Bene, applausi. Voci dalla sinistra: Si, sì)

Avezzana. Se si vuole accettare la proposizione del Sig. Mariotti... (Gallenga. Io non mi chiamo Mariotti domando che il Sig. Spaventa ritiri la sua accusa contro di me. Io non ho adottato il programma d’Italia e Vittorio Emanuele, ed ho diritto di essere rispettato dopo tanti anni di sacrificii, di una vita condotta tra i servaggi, vita che mi dà il dovere di sedere alla sinistra.

Conchiude raccomandando fratellanza e concordia.

Bertani. Io dichiaro che potrei ad uno ud uno smentire i fatti asseriti dal Sig. Spaventa; ad ogni modo mi limiterò a dire essere falso che sotto la mia amministrazione si sieno lasciati fuggire o per mala fede o per incapacità i prigionieri dalle carceri di Napoli.

Ciò detto per amor di concordia accetto la proposizione del deputato Gallenga.

(Altri deputati rinunciano alla parola)

Conforti. Durante la dittatura Napoli rimase tranquilla e basti la circostanza che sotto quella amministrazione fu compiuto l’atto solenne del plebiscito. (benissimo)

Saffi Accetto la proposta del deputato Gallenga ma non posso passare l’insinuazione a carico di alcuni patrioti delle provincie meridionali. Io rappresento un collegio della Basilicata, infestata dal brigantaggio, le cui popolazioni furono le prime ad accorrere sotto le armi per reprimerlo.

Nicotera. Qui siamo riuniti per dire al paese: noi vogliamo salvare il paese e non per seminare la discordia. Se io volessi parlare dell’amministrazione del signor Spaventa, potrei dire cose che lo farebbero arrossire, se pur è capace di arrossire. (Rumori prolungati). Del resto dirò che i galeotti volevano scappare, e che io I'ho impedito; se fuggirono quindi, il signor Spaventa deve saperlo.


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332

L'incidente non ha altro esito.

Continua la discussione sulle interpellanze. Si domanda la chiusura.

Rorà parla in favore della stessa, stantechè la discussione dura da sette giorni e si hanno altri lavori a cui attendere.

Mellana. Non so comprendere come si possa chiedere la chiusura, dopo gl’incidenti che si sono sollevati. Ohi è vecchia la tradizione di questo Parlamento che quando si tratta di discussioni importanti, si facciano sorgere dolorosi e scandalosi incidenti. (Rumori prolungati)

Presid. Avverte il sig. deputato Mellana che altro è che nascano, altro che si facciano nascere.

Mellana Io sono d’accordo coll’onorevole presidente, ma richiamo alla memoria l’incidente avvenuto nella passata sessione col generale Garibaldi.

Continua ad opporsi alla chiusura.

Lanza parla in favore della stessa. Dice che si sono ormai pronunciati dodici discorsi contro il ministero: (no no) se non saranno dodici, poco ci manca. (Ilarità)

Fa vedere quante leggi aspettano la discussione del Parlamento.

Crede che non vi sia alcun oratore che abbia l’intima coscienza di dir cose nuove, dopo tutto quello che è stato detto.

«Non avendo più nulla a dire sul!’argomento principale, si cade facilmente sugli accessorii che sono pericolosi. (benissimo)

«Tutt’al più, egli osserva, la Camera potrebbe udire due altri discorsi.»

Platino fa appello alla concordia e raccomanda al presidente del consiglio di allontanare da sé «tutti quei serpenti a campanelli che lo circondano. (Rumori prolungati)

Tutti i patrioti devono chinarsi riverenti ai piedi della Croce di Savoja, perché la discordia sarà quella che ci rovinerà. Raccomanda allo stesso di dare la mano a tutti i liberali d’Italia per fortificare il gabinetto.


333

Ricciardi si oppone alla chiusura. Dice che nella Basilicata le popolazioni fanno da sè; si costituiscono in governi provvisorii con sommo pericolo del paese. Sta bene che si sviluppi ancora l’argomento.

Pres. legge un emendamento del deputato Lanza, col quale propone che si accordi la parola a due oratori, uno che parli in favore e l’altro contro.

Depretis parla contro la chiusura perché la importanza della discussione implica la felicità della patria nostra.

Rorà. Io domandai la chiusura non come membro della maggioranza, ma in nome mio.

Gli incidenti poi che avvennero, parmi la consiglino maggiormente.

Del resto mi unisco alla proposta dell’onorevole Lanza.

Castellano combatte tale proposta porchè non crede che dopo che si saranno intesi due discorsi si possa stabilire esaurita la questione.

Castelli dice che dacchè l’onor. Rorà ha ritirato la proposta, e si unì a quella del deputato Lanza, si devono ascoltare i due discorsi, quindi si discuterà sulla chiusura.

Susanni propone l’ordine del giorno puro e semplice.

È adottato.

Pres. la parola spetta al dep. Mancini.

Mancini dopo un breve esordio continua:

Credo che il voto del 27 marzo sia stato accettato nella sua parte essenziale da tutte le parti della Camera, cioè che Roma si deve ottenere colle armi della ragione, col sussidio della pubblica opinione.

Le concessioni accordate dal presidente del consiglio alla santa sede sono grandi e liberali.

Fu detto da taluno che vennero quelle proposizioni presentate colla certezza poi di non riuscire. Io respingo questa interpretazione e su tale argomento mi associo completamente a quanto espose l’onorevole presidente del consiglio.


334

L’annuncio di quelle larghe proposizioni offerte dal regno d'Italia al Sommo Pontefice esercitò una grande impressione sui credenti di buona fede ed un benefico influsso sulla pubblica opinione. Si meraviglia come l'ingegno del dep. Petruccclli non possa comprendere la formola della libera chiesa in libero stato, in cui si comprende l’emancipazione della coscienza; dice che questa formola è di già applicata in Inghilterra ed America.

Parla della necessità che cessi il dominio temporale, siccome incompatibile coll’esercizio dello spirituale.

Occorre, egli dice, riuscire a ciò, che il popolo romano manifesti la sua volontà. Ma a ciò si oppone un ostacolo, una forza armata.

E qui ribatte le ragioni addotte dall’on. Musolino «che colla sua straordinaria facilità di parola intrattenne più ore l’assemblea per dimostrare che la Francia è ostile all’unità italiana.»

Crede opportuno, per sciogliere la questione romana, il mezzo di una guarnigione mista di italiani e francesi.

Dice che non si può credere in buona fede che l’opinione pubblica sia tanto rischiarata in Francia e cita un passo del recente libbro di M. Guizot.

È d’avviso che un’agitazione rivoluzionaria nello stato romano sarebbe il mezzo sicuro per trattenere l’esercito francese in Roma.

Venendo a parlare della questione interna, dice che nelle provincia napolitano esiste un grave malessere «E di chi e la colpa?(egli continua) Degli errori di tutti e delle condizioni speciali nelle quali vennero lasciate dal cessato dispotismo. »

A coloro che asseriscono che una delle precipue ragioni di malcontento sia la perdita della capitale risponde che, se ciò fosse, sarebbe un motivo di debolezza perpetuo. Ma così non è, perché il carattere della rivoluzione napolitana si fu l’unità italiana sotto la monarchia di Vittorio Emanuele; perché il carattere distintivo di quelle provincie si è la concordia, la moderazione, l'estirpazione delle discordie municipali

Accenna parecchi fatti di patriottismo di Napoli.


335

Le cause dei mali, egli dice, si possono così riassumere sinteticamente: nelle provincie meridionali si crede che troppo energicamente sia stata intrapresa l’opera della unificazione tanto amministrativa che legislativa.

Su questo argomento giustifica gli atti della sua amministrazione quand’era a capo del dicastero della giustizia e dei culti.

Raccomanda al governo di aver la maggior cura possibile degli interessi particolari nell’opera di unificazione.

Dopo una breve pausa, l’oratore continua nello accennare le cause del malcontento.

V'ha l’opinione, generalmente diffusa, che il governo italiano non accetti del pari il concorso di tutte le frazioni del partito liberale.

Egli è per questo che raccomanda al governo, il quale per se stesso è al disopra di tutti i partiti, di stendere la mano a tutto il partito liberale, a qualunque fraziona appartenga.

Si crede inoltre in Napoli che il governo italiano sia inflessibile e non ritorni mai sopra i suoi atti. Per cui, ammettendo par egli che degli errori sieno stati commessi, raccomanda al gabinetto di rivedere tutti gli atti emanati dal 7 settembre 1860 sino ad oggi.

Spero che il ministero potrà convincersi che la mia proposta è ben lungi dall’essere una proposta d'inchiesta, perché un inchiesta, può aver luogo su una serie di atti di una amministrazione, ma non su tutti.

Io credo che i consigli che ho dati al governo sieno una conferma della fiducia che ho in esso...

Propone il seguente ordine del giorno in via di emendamento:

La Camera, confermando il suo voto del 27 marzo, ed apprezzando gli sforzi del governo acciò l’Italia abbia la sua capitale in Roma, e vengano migliorate le condizioni delle provincie napoletane, confida che esso proseguirà ad intendere a questo doppio scopo co’   più efficaci mezzi, compiendo operosamente l’armamento nazionale e la restaurazione della sicurezza e dell’amministrazione pubblica,


336

 conciliando l’unificazione politica e legislativa col minor sacrifizio degl’interessi, accettando il concorso leale di tutte le oneste frazioni della parte liberale ed imprendendo una imparziale revisione de’   principali atti governativi riguardanti le provincia napoletano del 7 settembre 1860, e passa all’ordine del giorno.»

Dichiarasi pronto ad accostarsi a qualunque altro ordine del giorno che potesse venire proposto, qualora racchiudesse gli estremi da esso indicati.

Raccomanda di nuovo al governo di stendere la mano a tutte le oneste frazioni della parte liberale poichè, bisogna esser giusti, senza Garibaldi e i suoi mille non si sarebbe compiuto il gran fatto.

E dacchè ha nominato il generalo Garibaldi, dice che esso desidera tanto la concordia che, sebbene in Torino, non presentossi a questa discussione, per timore che la sua presenza, ora che trattasi di dare un voto di fiducia al gabinetto, potesse essere sinistramente interpretata.

Conchiude col fare un appello alla concordia.

Panattoni comincia il suo discorso colla quistione di Roma.

Dice che il dominio temporale, quantunque moralmente cessato, può darsi che non lo sia, se non lo addiviene di fatto.

Conviene pur egli che tal quistione sia puramente politica.

(La sala va a poco a poco spopolandosi).

Crede che lo sviluppo della riforma economica, l’armamento dell’esercito ci faciliteranno la via per condurci alla meta.

Quanto alle provincie napoletane si chiama incompetente a portarvi un giudizio. Si conforta non esservi divisione fra maggioranza e minoranza perché entrambe ambiscono che quelle provincie sieno organizzate e rese sicure.

Del fatto del brigantagigo trae un buon augurio per l’Italia, inquantochè fu cagione che venisse messo a prova il patriottismo delle popolazioni che ne erano flagellate.

La seduta è levata alle 5 1|2.



337

Seduta del 9 Decembre


La tornata si apre alle ore 1 40 pom.

Ricasoli (Attenzione) Il ministero sarebbe pronto a replicare ai particolari appunti clic gli vennero mossi, qualora la Camera lo credesse opportuno.

Minervini dice di aver fatto un programma ai suoi elettori che fu fatto pubblico per le stampe. Domanda che sia letto, messo nel resoconto e comunicato eziandio al governo.

Lo depone sul tavolo della presidenza.

Pres. Risponde che avrà il solito corso. Domanda in seguito al Presidente del consiglio se intende di parlare immediatamente.

Ricasoli Mi sono messo a disposizione della Camera. (Parli, Parli)

Sandonato. Chiede che si lasci parlare ancora qualche altro oratore perché sino ad ora non si ha nulla di concreto sulle interpellanze,

Macchi Proporrei alla Camera ad acconsentire la parola al ministro, il quale non deve essere l’ultimo a parlare.

Sandonato dice di aver fatta la sua proposta per evitare che più a lungo si protragga la discussione.

Pres. dice d’interpellare la Camera.

Viora. È inutile interpellarla, perché il ministero ha sempre il diritto di avere la parola quando lo crede più opportuno.

Pres. È lo stesso Presidente del consiglio che si è rimesso alla decisione della Camera.

Chiaves si unisce alle osservazioni di Macchi.

La Camera accorda la parola al presidente del consiglio.

Ricasoli (Attenzione) Come presidente del consiglio ho annunciato che il ministero era pronto di rispondere ai particolari appunti.

Parlerò pel primo come ministro dell’interno.

Quanto all’allontanamento dello studente Veneto da Pavia, dirò che la risoluzione fu presa dal direttor generale di pubblica sicurezza, ed essendo stato fatto colle forme regolari, ne assumo la responsabilità io stesso.

Fu  previamente e ripetutamente quel giovane ammonito a comportarsi da buon italiano.


338

È un giovane degno di considerazione, ma era troppo ardente di ritornare al più presto possibile nella sua patria liberata; desiderio che abbiamo noi tutti, è vero, ma che bisogna però moderarlo colla prudenza.

Il governo è decisissimo su questo di non lasciarsi prendere la mano da chicchessia.

Colgo questa occasione per dire qualche cosa sugli emigrati. Noi ne abbiamo un vistoso numero perché ascendono a quasi 12|m., parte veneti e parte romani.

Di questi, 5|m. sono sussidiati. La spesa per questi sussidii è di 2 milioni. Il governo interessandosi della loro condizione dolorosa, ha procurato che questa somma sia erogata equamente. Anzi lodo che sia stato formato in Torino un comitato composto di generosi e patriottici cittadini, che esercitano una cura veramente paterna.

Risponderò ora all’on. Ricciardi quando asseriva che nella Basilicata la difesa contro i briganti era fatta dai soli cittadini, e che si erano eretti parecchi governi provvisori.

l. ‘asserzione non ha fondamento: i rapporti che ho ricevuti non me ne danno alcun sentore. Concorsero lo guardie nazionali, è vero, ma unitamente alle altre forze legali, e vedemmo e vediamo una gara tra le autorità governative, le guardie di pubblica sicurezza, le guardie nazionali e la truppa.

Oggi stesso ho ricevuto dal gen. Lamarmora eccellenti notizie per cui spero che fra poco il brigantaggio avrà dato l'ultima sua prova.

Della Rovere (ministro della guerra) premette che il suo discorso sarà alquanto lungo.

Fui accusato dal sig. Bertani di aver proibita la sottoscrizione della protesta contro l’occupazione romane e di aver destituiti due impiegati, uno dei quali siede in questa Camera. Comincerò dal primo appunto.

La protesta a me parve un pretesto per agitare. In quel momento in Sicilia non occorreva agitazione. Lo sviluppo era vasto e si erano fatto alcune dimostrazioni politiche, per cui anzi dovetti emanare un invito per farle cessare, che fu ben accolto dal pubblico e venne ristabilita la calma e si diminuirono i delitti.


339

Con questa quiete si andò sino al giugno, nel qual mese ricominciò l’agitazione. In quel tempo corse la voce che alcuni deputati erano stati accolti a Napoli con dimostrazioni ostili: si diceva che altri lo erano stati con dimostrazioni favorevoli o si aggiungeva che lo stesso volevasi fare anche in Palermo.

Chiamai allora il segretario generale di pubblica sicurezza ed il questore per avvisare sul da farsi. Loro dissi che le dimostrazioni favorevoli le avrei permesse; ma le sfavorevoli io non poteva tollerarle, siccome contrarie alla dignità del Parlamento, e che le avrei represse.

Volevo emanare un’ordinanza, ma quei due personaggi mi sconsigliarono assicurandomi che nulla sarebbe avvenuto.

Per fare una dimostrazione politica si approfittò persino delle processioni notturne che si fanno in Palei mo. Si andò cosi avanti sino al 7 settembre. Poco prima di quel giorno mi si disse che doveva avvenire una dimostrazione in Catania.

Avanti il 7 mi fu portata innanzi una carta alta come me e larga altrettanto (ilarità), nella quale era scritto, che si dovesse fare una festa per festeggiare la memoria di Garibaldi. Ma invece racchiudeva un invito che si faceva ai siciliani di firmare la protesta contro l’occupazione romana.

Allora dissi che non si permettesse l’affissione di quel cartello. Ma siccome era stampato, scrissi io stesso un proclama ai siciliani, nel quale li consigliava a non firmare quella protesta che partiva dal partito d’azione che tende ad agitar sempre, perché credeva che da ciò ne avverrebbe un danno politico.

Due giorni dopo dai giornali fu pubblicata una protesta contro il governo, firmata da una società d’operai.

Se fosso stata firmata da operai, non ci avrei badato, ma siccome lo era da molti, tra cui due impiegati del governo, e in essa si chiamava servile il governo, credetti di prendere una qualche deliberazione, perché gl’impiegati che servono il governo lo devono rispettare, e perché i miei impiegati devono fare quello che ordino io. (Rumori a sinistra.)

Feci chiedere ad essi, se fossero stati eglino a firmare, e saputo che si, li destituii immediatamente.


340

Quanto ai soldati dell’esercito borbonico del 21, sin d'allora destituiti, rispondo al deputato Ricciardi, che vennero messi in riposo col grado che avevano al momento della destituzione, aumentando però di un grado ogni dodici anni.

Circa al collegio della Nunziatella osservo, che quel collegio aveva la stessa organizzazione dell’antica accademia di Torino. Questa organizzazione fu riconosciuta da noi come imperfetta, perché per le armi speciali vi doveva essere almeno 9 anni di educazione. Essendo difettosa l’istruzione, doveva essere modificata. Noi qui in Torino avevamo un collegio militare che poteva accogliere 250 giovani.

In Francia ed Austria non esiste che un solo collegio. Ora domando io se non fosse opportuno di tenere quello che vi era già formato e di modificare l’altro, tanto più che vi sono parecchi collegi sussidiarii?

Con ciò non si danneggiò Napoli, che dapprima aveva nel suo collegio 150 allievi ed ora ne conta 180. Il collegio ha acquistato quindi maggiore importanza numerica.

Mi si appuntò che degli ufficiali già appartenenti al disciolto esercito borbonico, dopo la capitolazione di Gaeta, abbiano mosso dei reclami perché la liquidazione delle pensioni loro soffre ritardo, contrariamente ai patti della capitolazione, mentre quelle degli ufficiali svizzeri lo furono di già.

Questo è erroneo. Il ritardo sta tanto per loro quanto per gli svizzeri.

Anzi stamattina stessa spedii una noia al presidente del consiglio, come ministro degli affari esteri, colla quale gli faccio vedere le difficoltà che incontro nel liquidare la pensione a questi ultimi, perché possa rimuoverle.

Quanto a coloro tra i primi che mostrarono desiderio di entrare nell’esercito, furono già ammessi.

Circa alla leva nelle provincie meridionali e nelle Marche e nell’Umbria mi si oppone, parmi dall’on. deputato Alfieri, che soffra dei ritardi e che incontri somme difficoltà.

Io veramente quando assunsi il portafoglio della guerra, trovai che le operazioni della leva in Napoli erano ritardate.


341

Diedi tosto disposizioni opportune, ma il generalo Cialdini creda di non adottarle stante l’infierire del brigantaggio.

Allorché il generale Lamarmora accettò la missione che gli venne affidata, lo invitai ad operare immediatamente.

Dalle prime informazioni, che mi ebbi da lui, a vero dire, non ero abbastanza confortato.

Quelle invece che ricevo oggidi sono soddisfacentissime e spero che la leva si compierà cosi regolarmente come si compiva sotto il regime borbonico.

Dal ministro della marina si è già disposto che pei 15 del corrente i battelli a vapore sieno a disposizione del generalo Lamarmora.

Circa alla Sicilia la leva procede con maggiore difficoltà. In essa vi ha un’agitazione prodotta dal partito borbonico e da quel partito che vuole estirpare il borbonico violentemente. Spero che quanto prima cessi, onde dare un esempio all’Europa che ad onta dell’agitazione che si mantiene dai nostri nemici in quelle provincie, abbiamo potuto compiere un atto cosi importante.

Quanto alle Marche ed all’Umbria si ebbero molti renitenti. Di questi il numero va diminuendo, ed ogni giorno se ne presentano parecchi spontaneamente.

Quello che fa sperare si è, che la leva dei nati nel 1842 ra procedendo molto bene.

Non so se offra risposta debba dare; se ho mancato a qualche cosa, prego di richiamarmelo alla memoria (Applausi)

Ricciardi. Le notizie sulla Basilicata le ebbi da lettera e dalla testimonianza di un nostro collega, l’onorevole deputato Lovitto qui presente.

Dirò poi che quella provincia si lagna della inettezza del governatore, che non agisce con energia.

Lovitto (per un fatto personale) dice che nel giorno 5 novembre, un’orda di briganti invase un paese della Basilicata, lo saccheggiò ed uccise 5 galantuomini.

Accenna altri fatti di brigantaggio, che già si sanno pei giornali.


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342

Mi riservo poi di formulare alcuni capi di accusa contro quel governatore, decorato di fresco non so di che cosa, e per dire che lo decorazioni si danno in ragione diretta dei fiaschi. (Rumori prolungati)

Friscia protesta contro la teoria esposta dal ministro della guerra sugli impiegati, siccome indegna di questo Parlamento italiano. (Rumori prolungati)

Presidente. La prego di attenersi al fatto personale.

Friscia. Le informazioni d’altronde che aveva il luogotenente erano false.

La società unitaria, che io aveva l’onore di presiedere, aveva determinato di festeggiare l’anniversario del giorno in cui i Borboni avevano per sempre cessato di regnare.

Dice che d’altronde in Genova si firmava pubblicamente la protesta contro l’occupazione di Roma.

Dice che il proclama del luogotenente promosse una grande agitazione nel paese, e che si deve alla società unitaria se non avvenne un qualche fatto doloroso; aggiunge che questo proclama incusse timore, tanto è vero, che molti si cancellarono dalla protesta, (Rumori a sinistra) come si può vedere dalla protesta stessa che fu deposta presso il comitato di provvedimento in Genova.

Ricasoli. Non posso lasciare sotto silenzio le insinuazioni che furono mosse dall’onorevole deputato Lovitto contro il prefetto di Potenza. Il prefetto di Potenza è il Sig. de Rolland, che molti di quest’assemblea conoscono. Non ho tema di affermare che la distinzione di onore che io gli feci avere è una di quelle mozioni che maggiormente mi compiaccio di aver fatto. Non dico ciò soltanto perché ne senta il debito verso il sig. De Rolland, ma per rialzare i pubblici funzionai-i dei quali abbiamo tanto bisogno. (Bene)

Bastogi (Ministro delle finanze) risponde pur esso ad alcuni. appunti che gli vennero mossi circa alla rendita napoletana.

Dice che dal 1 gennaio vennero spediti al tesoro di Napoli 46 milioni o che sino ad ora è debitore verso il tesoro centrale.


343

Mellana. Incomincia dal rispondere a duo osservazioni dei ministri dell'interno e della guerra. Il primo, riguardo al Pcderzoli, rispondeva come un ministro del governo assoluto. Il Pederzoli non ha violato la legge comune dei cittadini, ed a tutti gli emigrati dovreste avere il coraggio di dare per legge la cittadinanza. (Applausi dalle tribune. Il presidente le ammonisce.)

Risponde pure al ministro della guerra riguardo al collegio della Nunziatella.

Rivolgendosi quindi all’onorevole Camiti, dice che il programma della sinistra è l’unità italiana con Venezia e Roma, come quello della destra. La differenza sta nella scelta dei mezzi. Noi non entriamo nelle questioni di dettaglio perché non siamo al potere, ma il giorno che noi potessimo venire al potere, avremmo un programma chiaro e pratico.

Voi che parlate delle nostre divisioni, siete voi uniti? I vostri discorsi sono tali che colla scorta di essi non potete dare al gabinetto quel voto franco ed esplicito che desso vi chiede.

Parlando poi del programma esposto dall’onorevole Petruccelli, dice che questi non preso la parola a nome della sinistra, ma a nome proprio, come sempre: (Risa)

Scende quindi a spiegare alcune idee svolte dall’on. Petruccclii riguardo alla quistione di Roma. Dice che questo idee del suo collega furono male interpretato dalla destra.

Il mio amico Carutti affermò che il Piemonte vuole due cose; la monarchia e l’esercito. Perché dire il Piemonte? Tutta l’Italia vuole egualmente queste cose.

Combatte l’accusa di piemontesismo alla quale da molti si ricorre nelle provincie napoletane. Nei paesi costituzionali non vi può essere supremazia d’una provincia sulle altre: tutte sono egualmente rappresentate in Parlamento. Quindi gli uomini di tutte le provincie possono venire al potere. Ora, per esempio, perché una provincia del centro conta tanti rappresentanti nel ministero, nessuno tira in campo il toscanismo! (Ilarità) Io combatto il ministero perché lo credo poco atto al governo e non perché composto in buona parte di toscani.


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Spiega la sua opposizione al gabinetto.

Io rispetto gli uomini illustri che lo compongono e vorrei salvarli. Essi non corrispondono ai bisogni dello stato perché si trovano in una falsa posizione. Essi stanno per essere divorati dalla rivoluzione, bisogna impedire che ciò succeda, perché di uomini illustri da porre a capo dei gabinetti ha sempre bisogno il paese; gettate adunque nelle fauci della rivoluzione altri uomini, altrimenti rimarrà divorata la nazione. (Ilarità prolungata)

Entra ad esaminare gli ultimi atti del conte di Cavour. Dice che il medesimo proclamò il principio «libera chiesa in libero stato» solo per guadagnar tempo. Voi lo avete preso sul serio (Ilarità.) Ma il conte di Cavour sapeva uscire da qualunque più difficile situazione, e voi non avete 'il suo genio.

Dopo una breve pausa, dice che esso non combatte il gabinetto perché abbia voluto seguire la politica del conte di Cavour, bensì perché ha voluto precisamente seguirla quando il Conte di Cavour l’avrebbe cangiata.

Lo combatto, egli dice, perché non lo credo capace a sostenere il peso della pubblica cosa e perché non credo fornito il barone Ricasoli delle qualità necessarie.

Ricorda la circolare da esso fatta, quando era dittatore in Toscana, colla quale diceva ai toscani che esso loro non avrebbe chiesto né un soldo, né un soldato, per conchiudere che questa politica o una politica esiziale.

Io ho tutta la fede nel carattere dell’onorevole presidente del consiglio, ma non posso fidarmi del suo programma; perché non conosce gli uomini dello stato, quando vedo le nomine che si fanno ai pubblici impieghi e specialmente nelle provincie meridionali, in cui la maggior parte appartiene al partito retrivo.

Accenna la recente nomina dei due senatori e dice che poteva prima interpellare la pubblica opinione e consultare lo stesso suo collega che altra volta li ha combattuti (Menabrca.)

Parla dell'aspettativa in cui vennero messi parecchi illustri generali ed ammiragli.


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Dice che quando Napoleone il Grande governava la Francia, i partigiani dei Borboni stettero tranquilli e si mostrarono aderire all'ordine nuovo delle cose, per cui parecchi di essi ottenere impieghi.

Ma dopo la funesta giornata di Waterloo, alzarono la testa e si vantarono di aver ingannato il vincitore d’Europa coll'ottenere l’ingresso nelle pubbliche funzioni. Fa augurii che ciò non possa avvenire tra noi.

Critica le nomine dei prefetti e rimprovera il governo per non aver trovato un posto ad un onorando uomo che tutta Messina conosce pel suo patriottismo: si riserva di combattere ad oltranza la legge amministrativa che si stara per presentare.

Rivolgendosi all’onorevole ministro della marina lo rimprovera di essersi occupato soltanto di un collegio, di un regolamento.

Ma sa. egli continua, cosa vuole l'Italia? Vuole una flotta; perché sull’Adriatico possa rispondere a qualunque impegno contro l" Austria.

Invece di pensare tanto alla Spezia, lo doveva piuttosto a Brindisi, perché, ripeto, è sull'Adriatico, che per ora dobbiamo fare le nostre prove e bisogna presupporre oltrecchè un esito infelice, anche un infortunio di mare, ed Ancona non basta a ripararlo.

Ha detto l’onorevole Menabrea quanti uomini ha ogni cannone, come lo avrebbe dovuto, invece d’occuparsi dei cannoni e del numero dei legni?

Parlando poi all’onor. ministro della guerra, gli fa osservare che il Parlamento domanda quanti soldati si possono mettere in linea di battaglia e non quanti ve no sieno.

Lo rimprovera per non avere eseguita la legge del Parlamento sull’armamento della guardia mobile; pel trattamento usato verso gli ufficiali dell’esercito dei volontari.

Dice che i volontari, questi nobili avanzi che tanto illustrarono il nome italiano, bisogna ammaestrarli in appositi campi d’istruzione, come era preciso desiderio del conte di Cavour.


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Al ministro dei lavori pubblici da il rimprovero di eccitare troppo le speranze dei napolitani, lusingandoli coll’idea di prossimi lavori. Crede che questa condotta degradi il sentimento di quelle popolazioni. Si potrà pensare ai lavori quando le finanze nostre saranno consolidate.

Rimprovera il suo amico Miglietti (Ilarità) di essersi occupato di dettagli in una quistione cosi importante. (Allude all’incidente col deputato Pisanelli). Lo rimprovera perché la magistratura non è a quell’altezza in cui dovrebbe essere effettivamente nello provincie napoletane, perché vi sono al posto tuttora i magistrati. che servivano con più zelo l’esecrato governo borbonico.

Vorrebbe che il ministro delle finanze avesse più influenza di quello che ha attualmente negli altri dicasteri. Ricorda che il generale Lamarmora, quand’era all’amministrazione della guerra, faceva tali e tante economie da essere, per cosi dire, odiato dai suoi commilitoni. Desidererebbe che anche i presenti ministri seguissero il di lui esempio: cita il conte di Cavour, il quale quando aveva il portafoglio delle finanze influiva sugli altri suoi colleghi.

Entra a parlare sulla questione napoletana:

L’onorevole Ricasoli, esso dice, vi espose che lo scioglimento di tale questione si deve lasciare al tempo; e volete voi lasciare alla testa degli affari un uomo di tal fatta? Quando un medico dice che per guarire un infermo ci vuole il tempo, tanto fa chiamare un cerretano, che adoperi mezzi energici, ma presti. (Ilarità)

Parla del brigantaggio e loda l’onorevole Polcinelli «che con 70 anni sulle spalle, in luogo di essere qui come legislatore, col suo fucile sulle spalle alla testa dei suoi contadini dà la caccia ai briganti nel suo paese. » (Bene)

Se L’onorevole ministro dei lavori pubblici fosse caduto in qualcuno di quegli agguati che ora colà fanno piangere tante famiglie, è certo che il governo prenderebbe serie misure. (Risa prolungate)


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In questo momento ho ricevuta una notizia che non ho il coraggio di annunciare, ma che mando al signor presidente del consiglio perché dica se esista o no. (Consegna un foglio ad un usciere che lo reca al presidente del consiglio).

Ricasoli (attenzione) legge un passo in francese che dice come il generalo Lamarmora abbia diretto un rapporto al governo, nel quale espone che se non cambia sistema, sarà costretto a seguire l’esempio del generale Cialdini.

Letta questa notizia, soggiunge con calore: Non esiste, o signori, nessun rapporto che ciò asserisca.

Io dichiaro solennemente che nei miei rapporti diplomatici coll'estero, quello che ha reso la mia parola meno efficace, fu appunto questo creare ad ogni momento notizie allarmanti. (Benissimo, applausi).

Le condizioni d'Italia non sono in quello stato in cui da taluno vengono dipinte.

L’Italia per senno e per la civiltà dei suoi cittadini è forse il paese il meglio ordinato dell’Europa. Io me no appello alla coscienza di tutti.

Se dopo una rivoluzione così profonda la quale distrugge governi che avevano spento ogni principio di moralità, l'Italia procede ordinatamente, io chieggo se vi sia un paese in condizioni relativamente migliori.

Si, lo ripeto, o signori, le condizioni politiche sono eccellenti; dappertutto le popolazioni fanno annuenza a quello stato di cose, che scelsero volontariamente.

Non ci sono che delitti comuni, e se avessi con me la statistica ufficiale potrei assicurarvi che nel nostro paese non vi sono maggiori delitti che in Francia (Sempre con ardore)

Faccio invocazione al sentimento patriottico di tutti perché sia dato bando una volta a questa pittura così dolorosa.

Cosa si deve dire in Europa di codesta pittura che facciamo noi stessi in quest’aula stessa? (Applausi)

Qual forza può avere il vostro ministero degli affari esteri? Siamo onesti, o signori, non chieggo altro (Applausi prolungatissimi e ripetuti: v’ha qualche rumore a sinistra, soffocato dagli applausi)


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Brofferio. La lettera l'ho consegnata io stesso al deputato Mellana e domando di dare qualche schiarimento (No, no, rumori) Miglietti. La carta che ora io ho in mano, è in abbozzo, che pare non abbia vista puranco la luce; lo indica la forma stessa. Faccio appello a quell’amicizia che oggi ha invocato l’on. Mellana. un perché questa notizia non si pubblichi.

Brofferio. So la camera vuole una spiegazione, la darò (No, no da parecchie parti)

Il presidente interpella la Camera se si debba accordare la parola all’on. Brofferio.

È accordata.

Brofferio. Il signor presidente del consiglio ha detto di non aver ricevuto alcuna notizia di ciò dall’onor. Lamarmora. Ed io gli credo, perché credo all’onestà del suo carattere.

Vi ha un giornale però della capitale che ha ricevuto la notizia che ho data. È benissimo una prova di stampa, e verrà pubblicata. Però credo all’on. presidente del consiglio. Ad ogni modo è meglio che siasi intesa la dichiarazione dell’onorevole barone Ricasoli,

Posso assicurare però che la notizia vennemi portata da una persona stimatissima, che fece questo per appurare la verità.

Mellana. Credo che parte degli applausi fatti all’on. presidente del consiglio, sieno a me diretti. (Ilarità prolungata)

Soggiunge che il ministro gli diresse rimproveri che esso non merita.

Conchiude accennando alla quistione di Roma. L’unico mezzo per finirla o l’organamento interno. Invece di discussioni teologiche siate nell’interno forti e fortemente armati. Io voto contro il ministero perché la sua politica è cattiva e servile; vi faccio considerare che davanti alla patria gli individui scompariscono. Parlerei contro me stesso se mi stimassi dannoso.

Pres. La parola è al deputato De Cesare. (Si domanda la chiusura).

D’Ondes Reggio parla contro la chiusura.


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S. Donato, parla anch’esso nel medesimo senso perché nulla si è detto dello scontento delle popolazioni napolitane. (Rumori) Ve lo dico colle lagrime agli occhi (Ilarità prolungata) I napolitani sono umiliati non perché abbiano perduto la capitale come disse un eccentrico mio amico (ilarità). Ricciardi domanda la parola per un fatto personale), ma io ho molte cose da dire, molti fatti da rilevare e perciò mi oppongo alla chiusura.

Crispi. Si oppone alla chiusura. Qualora venisse ammessa, egli dice, io sarei costretto a chiedere al governo la fissazione di una giornata, perché dovrei interpellarlo sulle condizioni di Sicilia.

Nicotera si oppone alla chiusura perché non sono paranco messe in chiaro le condizioni delle provincie napolitane.

Bisogna far sentire i dolori del paese, perché il paese non crede nell’attuale gabinetto.»

Nomina il deputato Sella e ricorda come quando fu in Napoli trovò cattive le condizioni di quelle provincie ed aderiva alla proposta di un’inchiesta.

Sella dice che egli trovava accettabile un’inchiesta, perché avrebbe posto in chiaro, che in quelle provincie esiste continuamente una agitazione politica e perché avrebbe fatta la proposizione di abolire la luogotenenza, misura di cui egli non può che lodare la saggezza.

Massari in vista delle osservazioni dei deputati D'Ondes e Crispi circa la Sicilia, propone che sia chiusa la discussione sugli affari di Napoli, riservata la parola ai deputati anzidetti.

San Donato. Non credo che per avere la parola, si abbia ad essere siciliano come pretende l’on. Massari. (Oh! Oh! rumori) Domanda permesso alla Camera di parlare.

Pres. Metterò ai voti la proposta del deputato San Donato.

Sella. La discussione non è stata pcranco chiusa, panni quindi che la proposta non debba essere accettata.

Del resto parla egli pure contro la chiusura perché fra le altre, più avanti che va la discussione e più giova al ministero. (Ilarità)

Alfieri parla in favore della chiusura, perché fatti se ne son detti tanti e d’altronde la condotta del ministero


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si deve giudicare non da un fatto speciale, bensì dal complesso di molti fatti.

Mazza P. propone di chiudere la discussione e di accordare la parola ai deputati San Donato e Crispi.

Allievi non trova di accettare la proposta del dep. Mazza, perché altri deputati potrebbero trovare argomenti da opporre a quelli di San Donato e Crispi; propone l’ordine del giorno puro e semplice sulla demanda della chiusura.

Voci. Ai voti, ai voti.

È adottato l’ordine del giorno puro e semplice. Il presidente legge due ordini del giorno, uno firmato dal dep. Depretis ed altri, ed il secondo dal dep. Macchi ed altri, più un emendamento del dep. Mosca all’ordine del giorno già presentato dal dep. Conforti in una delle sedute antecedenti.

Ci riserbiamo di dare questi ordini del giorno, mano mano che verranno discussi.


Seduta del 10 Decembre


Ricciardi dice che il Papa altro non fa che emettere cedole d’imprestito; domanda al ministro dello finanze se intende di nulla fare in proposito, perché non dobbiamo un giorno riconoscere tutto il debito pubblico della Santa Sede, quando andremo a Roma, che venne proclamata capitale del Regno d'Italia.

Massari legge il progetto di legge presentato dal deputato Mancini che accorda una rendita annua vitalizia di 1,000 franchi a ciascheduno dei Mille, nonchè altre relative alla prorogazione del termino per le iscrizioni ipotecarie in Toscana, presentato dal dep. Nelli.

Nelli domanda di svolgere il suo progetto nel giorno immediatamente successivo a quello in cui sarà definita la presente discussione.

Ricciardi chiede che nel processo verbale venga fatto cenno che il ministero non volle rispondere alla sua importantissima domanda.

Si legge altro progetto di legge presentato dal deputato Minervini; il quale si rimette per lo svolgimento alla deliberazione della presidenza.


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Si accorda un congedo ai deputati Nicolucci e Oddone.

Annunciasi l’ordine del giorno.

De Cesare comincia dalla questione romana, e discendendo ad esaminare i documenti presentati dal presidente del consiglio, parla in loro favore.

Dimostra come il re di Roma sia nell’assoluta impossibilità di mantenere il suo territorio; per poter continuare nel suo dominio è costretto ad accettare i patti proposti dal governo italiano. A sostegno della sua tesi accenna, con dati numerici, le spese che il sommo pontefice deve incontrare per far fronte alle sue esigenze come principe temporale: parla dei sacrificii da esso incontrati, della vendita del Museo Campana e di altri capi d'opera.

Dice clic nella pubblica opinione l’abolizione del poter temporale fece gran passi.

Discendendo a parlare delle condizioni delle provincie meridionali, confida, che il baron Ricasoli, la cui probità e lealtà è proverbiale, saprà fare in modo per renderle contente.

D’Ondes Reggio dice che il principio di libera chiesa in libero stato significa la tutela delle persone e dei beni, il libero esercizio di ogni culto e di ogni religione; significa che lo stato non tiene per se alcuna religione, che ciascuno astretto da voti possa sciogliersene quando meglio gli piaccia, significa che le associazioni religiose e la cattolica in primo luogo devono essere al paro delle altre associazioni.

Sostiene che il capitolato presentato dal presidente del consiglio non accorda abbastanza ed è inferiore alle prerogative accordate al vicario apostolico in Sicilia. Che se si volesse accettare il principio di libera chiesa in libero stato, i cattolici di Sicilia non tollererebbero di recarsi a Roma perché rinuncerebbero a privilegi ancora più larghi.

È d’avviso che se si andasse a Roma colla forza, non vi resteremmo lungo tempo, perché si ridurrebbe ad una seconda Babele, si confonderebbero le lingue e si disperderebbe la chiesa. (Ilarità)

Discende a parlare di politica interna e dice che per unificare l’Italia non occorre una sola ed identica legge elettorale,


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non occorrono identiche leggi altro che per quello che è necessario. In necessariis unitas.

Sostiene la necessità della luogotenenza di Palermo, perché la Sicilia quando rinunciò alla propria indipendenza politica, non intese di rinunciare eziandio all’amministrativa. Rimprovera il governo per aver cangiato il nome di governatori in quello di Prefetti, e lo rimprovera eziandio d’aver mandato in Francia un burocratico per istudiare burocrazia, perché non bisognava tarpare le ali al genio italiano, che fu sempre inventivo e non imitativo. (Bene a sinistra)

Dichiara di astenersi dal votare un qualunque ordine del giorno, perché non vuole coartare la propria coscienza.

Cordova (ministro del commercio). Si occupa a ribattere le eccezioni del dep. D’Ondes o prima quelle che si riferiscono ai privilegi della chiesa siciliana.

Dice che quelle prerogative non correranno alcun pericolo pel principio ormai proclamato di libera chiesa in libero stato.

Accenna a dati storici e concordati stipulati colla Santa Sede i quali appoggiano i suoi argomenti e non urtano minimamente il principio anzidetto, ma si riferiscono alle chiese provinciali, senza nulla togliere all’unità della chiesa, la quale si oppose sempre a qualunque usurpazione.

Cosi essendo, non mi farò a ragionare dei privilegi della chiesa Siciliana, che mano mano che crebbero le sorgenti di civiltà hanno perduto della loro importanza.

Ciò che preclude ogni disputa è questo che i privilegi della legazia siciliana sono compresi precisamente nel capitolato presentato dal barone Ricasoli.

Riguardo alla luogotenenza di Palermo, l’onor. ministro cosi ribatte l’osservazione del dep. D’Ondes che il potere esecutivo non aveva il diritto di abolire la luogotenenza di Napoli.

Il potere esecutivo non è un usciere ed un apparitore che segue la legge, ma è particolarmente distinto dal legislativo; per cui può ordinare ogni disposizione qualora non pregiudichi gl’interessi dei cittadini.


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Anche sotto il regno di Luigi Filippo fu ordinata la ricomposizione dell’Algeria per decreto reale.

Non vi è nessun corpo morale nelle provincie napolitane unite che abbia diritto ad una amministrazione speciale. Bensì v’ha un corpo morale in ciascheduna delle provincie separate. (Bene)

La luogotenenza napoletana era un provvedimento transitorio senza disposizione alcuna. Il governo quando credette che i bisogni per cui venne istituita fossero cessati, ritirò i poteri attribuiti alla stessa.

La importante discussione a cui assistiamo da tanto tempo mi ha appreso che si è data molta importanza alle persone.

Non abbiamo inteso il dep. Bertani dire alla Camera che sotto la dittatura non si era manifestato il brigantaggio? Non abbiamo d'altro canto inteso l’on. Minghetti sostenere che il brigantaggio avvenne sotto un’amministrazione diversa dalla sua?

Questo darebbe da sospettare che ai briganti si abbia voluto dare una importanza politica per far soltanto opposizione al gabinetto.

Non si deve incolpare del brigantaggio nessuno, perché col la storia alla mano cessa col cadere delle foglie e si riproduce all’aprirsi della buona stagione.

Fatta questa digressione, torna a parlare della luogotenenza, a ritenere che essa racchiude tutto ciò che v’ha di contrario alla unità, perché significa separazione di territorio ed unione di poteri. (Bene)

Da segretario generale al ministro dell’agricoltura ho potuto seguire l’andamento delle luogotenenze e potei convincermi come fossero assolutamente incompatibili col servizio pubblico. E di questo avviso si fu lo stesso gen. Cialdini.

Le luogotenenze vennero create quando v’era un pericolo, cessato il quale devono pur esse cessare.

Ad un luogotenente il governo centrale può indicare un provvedimento ed il luogotenente qualora lo crede può non accettarlo, mentre un prefetto deve ubbidire.


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Il potere luogotenenziale tende ad esautorare i prefetti ed a diminuire ed attenuare la potenza del potere centrale.

Da un momento che v’ha un centro politico, formasi al canto suo un centro di opposizione.

Quello che diceva in favore di esse l’on. D’Ondes non è tal cosa da mutare il giudizio della Camera. Io credo che le luogotenenze furono causa di sollevazione perché costituivano a sé d'intorno dei centri politici: e noi non vogliamo rivoluzioni contro il regno d’Italia.

La luogotenenza può essere vantaggiosa sotto un regime dispotico, perché può resistere ad alcune misure del governo centrale, deliberare come avveniva sotto i borboni tra quella di Palermo ed il potere di Napoli.

Io posso assicurare che le funzioni esercitate dalla luogotenenza di Sicilia dal 1838 al 1848 furono una delle cause che produssero la rivoluzione del 48. Che sia benedetta per questo, ma non vorrei che potesse fare altrettanto contro il regno d'Italia.

La luogotenenza tende ad esautorare il controllo che spetta al Parlamento in un governo costituzionale. Un ministero non può essere responsabile di quello che vien fatto da essa, perché non è sotto l’immediata sua sorveglianza. (Bene)

Nel governo costituzionale il giudizio più autorevole sugli interessi dei paesi è quello dei singoli deputati, e questo giudizio, è oscurato dai rapporti delle luogotenenze che vivono in una atmosfera speciale.

La luogotenenza in conclusione non è altro che l’antico potere viceregio disapprovato da tutti gli uomini politici.

Quanto al brigantaggio, io credo che possa essere estirpato, non dal ministro dell’interno, bensì da quello dei lavori pubblici, della pubblica istruzione e d’agricoltura e commercio.

Dice che tutti i servizii pubblici in Sicilia vanno male, all’infuori di quelli che si riferiscono ai lavori pubblici, perché il dicastero che ne tratta è separato dalla luogotenenza e riceve ordini diretti dal governo centrale.


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Dice che la nostra rivoluzione tende a scancellare tutti i privilegi, tutte le divisioni, le deformità, cause di danni dolorosi.

Cessate, o signori, dal fare opposizione al barone Ricasoli col fatto del brigantaggio. Datemi una qualunque parte montuosa, disseminatevi partigiani in qualunque genere ed avreto il brigantaggio. Quando diminuirà? quando sarà sviluppato il sistema economico ed avranno termine le discussioni di partito. (Applausi prolungati: molti deputati vanno a congratularsi col ministro).

Miceli parla contro il gabinetto. Accenna al trattamento dei volontari, dei disertori dell’esercito borbonico nel 1860. Rimprovera il ministero di non accordare la cittadinanza agli emigrati veneti, i quali malgrado i servizii, che hanno prestato alla patria nel 59 e nel 60, sono ancora nel nulla.

(Ai voti, ai voti)

Saffi rinuncia alla parola. (Bene)

Sandonato. Se la Camera vuole la chiusura, sia puro; ma deve invitare il governo a rispondere su alcuni fatti particolari, che sarò per annunciargli...

Carutti. Domanda la parola per un richiamo al regolamento.

Sandonato (con forza). Non si può interrompere l'oratore. (Rumori)

Presid. Quando un deputato richiama l’esecuzione del regolamento, lo discussione è sospesa.

Carutti. Io richiamo I" esecuzione del regolamento, per ciò che quando è stata richiesta la chiusura, la dove essere posta ai voti.

Il Pres. interpella la Camera se vuole accordare la parola al deputato Sandonato.

La Camera accorda.

Sandonato rimprovera il ministero perché non adottò il sistema di promiscuità nella distribuzione degl’impieghi: dice che il padre Pantaleo non ebbe alcuna sovvenzione; accenna al fatto che il ministero di marina ordinò che venissero ritirati quaranta allievi dal collegio di Napoli: parla dei macchinisti,


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già creati ufficiali sotto il governo dittatoriale e passati bassi ufficiali dal ministro stesso di marina.

Taccia il sistema del governo come aggressivo sempre verso le provincie napolitane.

«Sinché vi avrà un governo con questo sistema, egli conchiude, non avrà mai e poi mai il mio voto.»

(La chiusura)

Crispi parla contro, ripetendo quanto disse ieri, che altrimenti sarebbe costretto a chiedere la fissazione di una giornata. (Parli, parli)

Il Pres. interpella in proposito la Camera.

Dopo prova e controprova il deputato Crispi ha facoltà di parlare.

Crispi accennando che sono le 5 1|2 dice che parlerà almeno per un’ora. (Parli, parli)

Comincia quindi il suo discorso parlando contro il gabinetto; dice che nessuno in Sicilia si alza a difenderlo dalle accuse che gli vengono scagliate.

(La Camera va mano mano spopolandosi)

Prende ad esaminare minutamente il capitolato del barone Ricasoli fra i rumori e la disattenzione della Camera.

Rientrando quindi nella questione speciale siciliana espone varie considerazioni e varii fatti per provare la diffidenza dei siciliani verso il governo.

Dice che la causa principale di tale malessere è il governo.

Enumera quindi gli errori del Governo diffondendosi in molti particolari. Dice che in Sicilia non si eseguisce lo statuto, e si applicano pene economiche. Narra varii fatti relativi alle sue asserzioni.

Afferma che non vi è in Sicilia sicurezza pubblica.

Accenna ad una lettera del barone Tholosano che accusa di poca moralità i giudici e gl'impiegati di pubblica sicurezza. Dico che dal poco coraggio di questi dipende la ritrosia dei testimoni a far conoscere i rei.

La reazione aumenta. Un anno fa i preti o i frati reazionari erano in Sicilia un’eccezione, ora sono la regola generale. Eppure il governo ha in Sicilia molti mezzi per correggere il clero, che non ha nel continente.


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Il generale della Rovere quando era in Sicilia non credeva all’esistenza di un partito borbonico, mentre era attorniato da borbonici.

Conchiude dicendo che le condizioni della Sicilia sono infelici per l’ignoranza di chi la governa, e per i cattivi provvedimenti che vennero presi.

Quando emetterete il vostro voto ricordatevi della Sicilia. In questo modo provvederete non solo all’interesse della Sicilia ma anche a quello dello stato.


Seduta dell11 decembre.


Seguito delle interpellanze; egual concorso nella gallerie. Si fa appello nominale.

Ponesi ai voti la chiusura della discussione generale. E adottata.

Il presidente legge un dispaccio del gen. Lamarmora diretto al ministro dell’interno, col quale mostra le sue meraviglie che il deputato Mellana abbia dato l’altro ieri quella notizia che lo riguarda e dichiara che esso «non ha mai parlato né scritto contro la politica del governo o che tanto meno ha pensato di dare le sue dimissioni.» (Segni manifesti di approvazione dai banchi della Camera).

Si leggono gli ordini del giorno già presentati. Eccoli: t La Camera conferma il voto del 27 marzo, che dichiara Roma capitale d’Italia, e confida che il governo darà opera alacremente a compiere lo armamento nazionale e l’ordinamento del regno.

«Essa prende pure atto delle dichiarazioni del ministero intorno alla sicurezza pubblico, alla scelta del personale sinceramente patriottico, al riordinamento della magistratura, al maggiore sviluppo dei lavori pubblici e della guardia nazionale, ed a tutti gli altri provvedimenti efficaci a procurare il benessere delle provincie meridionali, e passa all’ordine del giorno,»

Raffaele Conforti — Ippolito Amicarelli —

Caso — Cesare Correnti —

Gennaro De Filippo — Nicola Nisco —

Pietro Palomba — P. A. Romeo —


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Stefano Romeo— Augusto Plutino.»

La Camera conferma sulla questiono romana il voto espresso nella sua tornata del 27 marzo, e confida che il ministero proseguirà alacremente l’opera del riordinamento del regno o dell’armamento nazionale.

«Rispetto alle provincie meridionali la Camera prende atto delle dichiarazioni del ministero, o confidando che i provvedimenti annunziati, massime per la scelta del personale, la pubblica sicurezza, la magistratura, la guardia nazionale ed i lavori pubblici, varranno a migliorarne le condizioni, passa all’ordine del giorno. »

C. Boncompagni — Valle —

Carlo Alfieri — Audinot Lacaita

Do Vincenzi — G. Lanza —

A. Zanolini — Saverio Baldacchini —

Jacini — Spaventa —

De Cesare — Pisanellì —

E. Cugia — Caracciolo —

P. E. Imbriani — Carlo Gallozzi—

Boldoni — Bonghi —

G. Vergili — G. Arconati —

G. Borromeo — Gnglianetti —

Giuseppe Massari — Leopoldo Cempini —

Chiavarina — Grixoni —

Cagnola — Farini —

Carlo Poerio — G. B. Cassini —

Rorà.


Emendamento all’ordine del giorno Conforti ed altri.


«La Camera, esaminati i documenti presentati dal ministero e uditene le dichiarazioni in ordine allo stato della questione romano, mentre persiste nel reclamare che Roma sia al più presto congiunta all’Italia, eccita il governo a provvedere con ogni più acconcio mezzo, ma senza sacrificio delle essenziali prerogative della corona e dei diritti inalienabili della podestà civile, al compimento di questo supremo bisogno nazionale.


359

«La Camera confida altresì che il governo darà opera alacremente a compiere l’armamento nazionale e l’ordinamento del regno.

«Essa prende pure atto, ecc. , come all’alinea dell’ordine Camere 1.


A. MOSCA.


«La Camera, invitando il ministero a dare opera più efficace perché Roma sia restituita all’Italia ed a provvedere all'armamento nazionale ed all'interna amministrazione, massime nelle provincie meridionali, in modo che meglio corrisponda alle supreme necessità della patria, passa all’ordine del giorno.»

Mauro Macchi — Depretis —

Mellana — Michele —

Persico — E. Castellano —

N. Schiavoni-Carissimo — Vincenzo Ricci —

Gaetano De Peppo — L. Romano —

Francesco De Luca — Benedetto Cairoli —

Salvatore Calvino — F. Mezzacapo —

Rodrigo Nolli — Oreste Regnoli —

Antonio Greco — Francesco Mandoj-Albanese -

Ricci Giovanni — Bruno Fabricatore —

Elia Della Croce — Nino Bixio —

Mordini Antonio — Saffi Aurelio —

D. Levi — Gaspare Marsico —

Giuseppe Romano — Francesco Lovito —

Luigi Minervini — Antonio Ranieri —

G. Avezzana — G. La Masa —

M. Casareto — Spinelli —

G. Cadolini — Guzetti —

Pietro Moffa — Zanardelli — San Donato —

S. Del Giudice — Berti-Pichat —

Mariano d’Ayala — Francesco Garofano —

Mariano Ruggiero — Vincenzo Vischi —

Giuseppe Leonetti — Amilcare Anguissola —

Filippo Ugoni — G. Saracco.


360

Pres. Sono Stati presentati altri due ordini del giorno, uno (innato dal dep. Castelli, l’altro dal dep. Petruccelli della Gattina.

Quest’ultimo è il seguente:

«La Camera, preso atto delle dichiarazioni e dei fatti svolti durante la presente discussione, passa all’ordine del giorno,

Pres. Il dep. Conforti ha la parola per svolgere il suo ordino del giorno.

Toscanelli chiede che sia in prima discusso quello che si allontana di più dall’ordine del giorno puro e semplice.

Il Pres. dico che il regolamento esige che si voti prima quello che si allontana di più dall’ordine del giorno puro e semplice, però nella discussione mantiene l'ordine cronologico. Conforti svolge il suo e dice di sostituire la parola proseguire l’armamento al compiere, perché al compimento si possono alle volte frapporre ostacoli indipendenti dal governo.

Mellana. (per un fatto personale) Che fosse travisato ciò che si dico in quest’aula dal giornalismo, nessuna meraviglia; ma da un dispaccio governativo, non mo lo sarei immaginato.

Quest’onorevole assemblea fu presente a quanto avvenne. Io domando a miei colleghi, che per loro dignità, invitino il presidente della Camera a spedire all’onorevole generale Lamarmora un dispaccio esatto su quanto dissi l’altr'ieri. (Benissimo a sinistra)

Ricasoli, (attenzione) Io ho pregato il mio collega l’onorevole ministro dei lavori pubblici a recarsi ora al ministero dell’interno per vedere se dal mio dicastero sia stato spedito alcun dispaccio al generale Lamarmora sul fatto di lunedì, perché voglio che sia chiarita la cosa. Fra poco sarà di ritorno, ed allora potrò comunicare il vero alla Camera.

Saffi dichiarando che accetterebbe la sostanza dell'ordine del giorno Conforti, ne combatte la forma perché tenderebbe a dare un voto di fiducia al ministero, che esso crede incapace a corrispondere alle giuste aspettazioni della nazione. (Bene a sinistra)


361

Mosca sviluppa l’emendamento da esso proposto a questo ordine del giorno (vedi più sopra), e dice che la Camera quanto alla questione romana deve pronunciare un voto chiaro, netto, decisivo.

(Entra il ministro dei lavori pubblici. Mellana domanda all'oratore che per un poco gli ceda la parola).

Mellana. Dacchè vedo di ritorno l’onorevole ministro dei lavori pubblici, cosi prego l’onorevole Presidente del consiglio a comunicare alla Camera l’esito delle indagini,

Ricasoli (attenzione). Ho l’onore di avvertire la Camera che nessun dispaccio da nessuno degli impiagati del ministero dell’interno fu diretto al generale Lamarmora sulla seduta di lunedì.

Mellana. In mezzo agli interessi generali non discenderò ai particolari. Non voglio cercare il falsario, ma il falso si proverà.

Ripete le sua proposta (No, no, Si, si)

De’ Blasis. Al generale Lamarmora giungeranno senza dubbio i discorsi stampati officialmente. La proposta mi pare singolare.

Depretis. Il dispaccio del generale Lamarmora, parmi che affermi che l’onorevole Mellana abbia asserito un fatto falso. Il mio amico Mellana mosse sempre guerra a tutti i ministri, ma con tutta lealtà. Scongiuro lo stesso gabinetto a voler far si che la luce si faccia. (Applausi dalle gallerie. Il presidente le ammonisce)

Mazza P. L’onorevole presidente del consiglio si potrà incaricare della rettifica del fatto. (No, no. Crispi: La Camera)

Minervini appoggia la proposta Mellana.

Il Pres. interpella la Camera.

Dopo prova e controprova è approvata (Applausi dalle tribune: al momento della votazione si sente un fischio)


362

Pres. Da una delle tribune si è udito un fischio. Ordina ad un usciere d’indagare chi ne sia stato l’autore. Se giunge a conoscerlo, lo faccia allontanare, altrimenti si sgomberi tutta la tribuna da cui è partito. La libertà e l’indipendenza della discussione dev’essere rispettata. (Approvazione)

Esaurito l’incidente, continua la discussione.

Mosca dice qualche altra parola in appoggio del suo emendamento.

Nisco parla in favore dell’ordine del giorno Conforti.

Matina non lo trova accettabile perché è un voto di fiducia; Varese vi si accosta.

Comincia la discussione sull'ordine del giorno presentato dal deputato Boncompagni.

Boncompagni lo svolge e dichiara di accettare anche quello del dep. Conforti, al quale poi aggiungerebbe al primo alinea, dopo le parole l’ordinamento del regno le altre e l’efficace tutela delle persone e della proprietà; e nel secondo di sostituire alle parole sinceramente patriottico le altre onesto, abile e devoto alla causa nazionale.

Bixio vi si oppone. Dico che abbiamo bisogno d’uomini, perché senza 500m. soldati da appoggiare le nostre ragioni, non entreremo in Roma.

Parla della necessità di armare i volontarii e prepararli onde possano servire alle eventualità.

Quanto alla marina dice «che se l’on. ministro crede che la nota da esso letta al Parlamento debba essere presa sul serio, si sbaglia. Per me di tutta quella marina che ereditammo dal mezzogiorno, disarmata prima, la dono ai trasporti delle poste.

La discussione di questi giorni nulla ha prodotto ed anzi io mi dichiaro nemico delle interpellanze politiche.

Dice che molti ufficiali esteri venuti ad esaminare qui le condizioni militari del paese, gli esternarono l’opinione che nel caso fossimo attaccati saremmo battuti.

Conchiude dichiarandosi contrario alla politica dell’attuale gabinetto.


363

Della Rovere (ministro della guerra.) La discussione è andata fuori della sua prima direzione. Il risultato si fu che si son potuti notare due modi diversi di pensare, l’uno che sia cessata la rivoluzione e che tutto debba svolgersi secondo le idee di libertà, l'altro che la rivoluzione non è finita, ma che debba continuare. lo perla parte che concerne l'armata, sto per lo svolgimento regolare.

Quanto ai volontarii, ho detto e lo ripeto che li chiamerò al momento opportuno e spero che combatteranno sotto il comando del gen. Garibaldi. In tempo di pace non può esistere un esercito di volontarii: intanto si apparecchiano i quadri. Ecco quello che posso fare.

Menabrea (ministro della marina) dice che esso nel suo dicastero lavora colla massima alacrità ma che le flotte non si improvvisano. Quindi ribatte le osservazioni del gen. Bixio ed enumera parecchi dei nostri legni, che ora costituiscono la nostra flotta.

Bixio risponde poche parole per un fatto personale, dicendo che esso desidererebbe si facesse un’inchiesta per esaminare le condizioni della marina, o se ciò non potesse porsi in opera, si attuasse un altro sistema che conducesse allo stesso risultato.

Bertolami rinuncia alla parola.

Si passa olla discussione dell’ordine del giorno Macchi, il quale per lo svolgimento rinuncia la parola al deputato

Depretis che lo sviluppa. Dice che non può aver fede nel1’attuale gabinetto, perché non arma e non organizza il paese.

Toscanelli combatte l’ordine siccome quello che implica un voto di sfiducia e difende il ministero.

(L’oratore è continuamente interrotto da voci che domandano la chiusura. Il presidente scampanella. Lo voci continuano, l’oratore continua tra i prolungati rumori e la confusione della Camera.)

Conchiude dicendo: ch’esso spera che la maggioranza della Camera riuscirà più disciplinata. (Bene a sinistra.)

Berti Pichat fa il seguente emendamento a quest’ordine dei giorno:


364


«... ed esortandolo a provvedere efficacemente alla pubblica sicurezza.»

Macchi lo accetta.

Castelli e Petruccelli della Gattina ritirano i proprii.

Alcuni deputati domandano la votazione per appello nominale dell’ordine del giorno Macchi, altri di quello del dep. Conforti.

Pres. legge l’ordine del giorno Conforti colla modificazione portata dallo stesso proponente e colle aggiunte del dep. Boncompagni, accettate pure dal primo, e dice che avvicinandosi questo di più all’ordine del giorno puro e semplice, sarà messo ai voti prima degli altri.

Ricasoli dichiara di accettarlo a nome del gabinetto.

Mosca insisto perché venga messo ai voti il suo emendamento.

È respinto.

Si procede all’appello nominale.

Risultarono presenti 317

Votanti 311

Astensioni 6

Votarono pel si 232

pel no 79

Risposero Si

Abatemarco, Acquavita, Agudio, Airenti, Alfieri, Allievi, Amicarelli, Ara, Arconati-Visconti, Argentino, Atenolfi, Audinot, Baldacchini, Boracco, Bastogi, Battaglia Avola, Belli, Beltrami, Berardi, Bertea, Bcrtolami, Bichi, Boldoni, Boncompagni, Bonghi, Borella, Borgati, Borromeo, Borsarelli, Boschi, Bottero, Bracci, Bravi, Brida, Briganti Bellini, Brignone, Brioschi, Broglio, Brunet, Bruno, Burbani, Busacca, Cagnola, Camozzi, Camalis, Cantelli, Capone, Capriolo, Caraccio, Cardente, Carletti, Carutli, Caso, Cassinis, Castelli, Cavallini, Cavour, Cedrelli, Cempini, Chiappusso, Chiaves, Ciccone, Cini, Cipriani, Colombani, Compagna, Conforti, Conti, Ceppino, Ccrdova, Correnti, Corsi Cugia, Danzetta, Deandrcis, Deblasis, Decesare, Celse, Desanetis, (ministro) De Siervo, de Vincenzi, Di Martino, Di Sonnaz, Dorucci,


365


Fabrizi, Ferini, Fenzi, Gadda, Galeotti, Gallozzi, Genero, Gigliucci, Ginori, Giorgini, Giovio, Giuliani, Guglianetti, Imbriani, . lai-ini. Lacaita, Lafarina, Lanza G. , Leopardi, Luzi, Macciò, Maceri, Maggi, Malenchini, Marazzani, Marasca, Mari, Marliani, Martinelli, Massa, Mussarani, Massari, Massola, Mattei Felice, Mattei Giacomo, Mautino, Mayr, Mazza, Mclegari Luigi, Melegari Luigi Amadeo, Menichotti, Menotti, Michelini, Miglietii, Alinghellini-Vaini, Minghetti, Mischi, Mongenet, Monti, Mongani, Morelli, Moretti, Morini, Mureddu, Nelli, Ninchi, Nisco, Oytana, Palomba, Panattoni, Paternostro, Pelosi, Pepoli Carlo, Pepoli Gioacchino, Peruzzi, Pescetto, Pinolli, Pirla, Pireli, Pisanelli, Pisani, Poerio, Possenti, Puglese, Reali, Ranco, Rapallo, Rasponi, Rattazzi, Bestelli, Ribotti, Ricasoli Bettino, Ricci Mallco. Robccchi Giuseppe, Romeo Pietro, Romeo Stefano, Rorà, Rovara Ruschi, Sacelii Salvatore, Sanguinetti, Sanseverino, Saragoni, Scalia, Scalini, Scarabelli, Schinina, Scialoia, Scocchera, Sella, Sgariglia, Silvani, Silvestrelli, Sirtori, Solaroli, Soldini, Spaventa, Speroni, Susani, Testa, Tonelli, Donelto, Tornielli, Torre, Toscanelli, Trezzi, Urbani, Vacca, Valerio, Viora, Visconti-Venosta, Zambelli, Zanolino.


Risposero NO.

Anguissola, Avezzana, fioretta, Bertani, Berti-Pischat, Bizio, Braico, Cadolini, Cairoli, Calvino, Carmina, Cappelli, Casaretto, Castellano, Caducei, Cosenz, Crispi, Cuzzetti, D’Ayala, Delgiudice, Della Croce, De Luca, Depretis, De Sanetis Giov. , Fabbricatore, Falconcini, Ferrari, Friscia, Gabrielli, Garofano, Greco Antonio, Lanciano, Lazzaro, Leonetti, Levi, Libertini, Longo, Levito, Maccabruni, Macchi, Mandoj-Albanese, Matina, Mellana, Mezzacapo, Miceli, Minervino, Moffa, Molfino, Monticelii, Mordoni, Mosca, Loschiari, Musolino, Nicotera, Nolli, Pancaldo, Persico, Polti Positane, Ranieri, Regnoli, Ricci G. , Ricci V. , Ricciardi, Romano G. , Romano L. , Ruggero, Saffi, Sandonato, Saracco, Schiavoni, Scrugli, Spinelli, Ugdulena, Ugoni, Vischi, Zanardelli, Zuppetta.


366

Si astennero dal votare, Castelli L., Fiorenzi, Gallenga, Petruccelli, D’Ondes. Tecchio.

Dopo aver seguito co’   nostri lettori i dettagli di queste nuove sedute di discussione sulle questioni di Roma e di Napoli, dobbiamo convenire, che il parlamento non vi si mostrò pari alla grandezza della sua missione.

Ciò che poteva essere pronunciato il 3 dicembre lo fu l’11, e non furono risparmiate memorie e spiegazioni disgustose. Ecco il bilancio della discussione il cui esito era preveduto anche da coloro che vollero dare lo spettacolo di personalità in lotta e di vanità messe in evidenza.

La questione politica principale che doveva agitarsi come si agitano le quistioni di gabinetto era questa: il ministero dovca render conto del suo operato, e la Camera Verificare se esso erasi adoperato nel senso ad esso indicato dai voti della Camera elettiva stessa, e se erasi adoperato con accortezza e con sollecitudine opportuna.

Sull’essersi adoperato nel senso indicato dai voti della Camera non vi poteva fin da principio esser dubbio, giacché la Camera non aveva esternato l’avviso che il Ministero ed il Governo dovessero mettersi in opposizione con la Francia ma anzi avca deliberato che si dovesse procedere d’accordo con l’Imperatore Napoleone. Questa parte della questione non poteva essere travisata che dal desiderio di mostrarsi malcontenti e di ritornare sui voti già emessi, desiderio che era e sarà sempre nutrito dalla minoranza.

Più ponderoso era il tema che era implicato dalla seconda parte della questione, cioè se il ministero avesse adoperato i mezzi più acconci per giungere alla soluzione desiderata dalla Camera. Circa questa seconda parte rimaneva al certo molto da dire: ma avrebbe comodamente potuto dirsi in poche parole. Invece si svilupparono quelle poche parole in un cumulo di discorsi e d’inutilità, dal che ne venne quell’irregolarità di discussione che l’eloquenza parolaia o lo spirito di partito non mancano di far nascere e che non ebbe mai fortuna nel Parla mento, anzi che non riuscì mai a prodursi finché non erano penetrati nel Parlamento certi elementi che vi sono stati annessi.




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