Eleaml


Nacque a Napoli (secondo altri a Lauria), nel 1801, dal Duca di Lauria Francesco e da Donna Elena O' Raredon, nobildonna irlandese. È il primo di tre fratelli fedelissimi alla dinastia borbonica (gli altri due sono Girolamo e Antonio).

Frequentò il Real Collegio Militare della Nunziatella, ma si dedicò solo per brevissimo tempo alla carriera militare. Dopo essersi dedicato allo studio, con una imponente produzione di saggi di argomento storico e letterario. Dopo aver svolto le funzioni di avvocato nel 1836 fu assunto alla Corte suprema di Napoli.

Esercitò dapprima le mansioni di magistrato in Sicilia e, da Procuratore del Re a Trapani, si deve proprio all'Ulloa se, nel 1838, emerse per la prima volta ufficialmente in un atto giudiziario la parola "mafia". Costituzionalista, è tra coloro che parteciparono al progetto di dettato costituzionale, tardivamente approvato da Francesco II.

Fedele ai Borboni, Pietro Ulloa fu l'ultimo Presidente del Consiglio napoletano di Francesco II, carica che gli venne conferita fa Francesco II in extremis, quando cioè ormai aveva lasciato Napoli. Ricoprì l'incarico di premier anche nel governo in esilio a Roma.

Ritornato a Napoli (1870) si dedicò agli studi storici, tra i quali i più noti sono: Intorno alla storia del reame di Napoli di Pietro Colletta (1877) e l'opera in gran parte ancora inedita Sulle rivoluzioni del regno di Napoli. Le sue numerose opere sono interessanti per la luce che gettano sull'ultimo periodo storico visto da parte borbonica.

Pietro Ulloa è considerato inoltre uno dei padri dell'idea confederativa meridionalistica: furono infatti particolarmente apprezzate le sue argomentazioni in materia, secondo alcuni di origine neoguelfa (tesi peraltro dimenticate per oltre un secolo e solo recentemente riscoperte) su una possibile unione confederativa della penisola italiana, alternativa alla unità d'Italia.

Fonte: https://it.wikipedia.org/

Abbiamo letto i due documenti riservati che Pietro Ulloa inviò a Ferdinando II ed in essi non vi è traccia della parola mafia. Vi è un passaggio in cui descrive alcuni comportamenti che oggi potremmo definire protomafiosi. 

Abbiamo scritto in altra occasione:

“Le prime forme di quella che verrà denominata da un funzionario piemontese "maffia" secondo gli studiosi più seri vengono fatte risalire alla eversione della feudalità. Alla storiella della mafia come prodotto di una società arcaica e arretrata son rimasti in pochi a crederci, anche perché quelle prime forme si manifestarono nella zona più dinamica economicamente della Sicilia, ovvero nei dintorni di Palermo.? 

(Dalle bonache alle cosche di Zenone di Elea - 28 Agosto 2012 )

Zenone di Elea – 19 luglio 2013

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DELLE PRESENTI CONDIZIONI 

DEL REAME DELLE DUE SICILIE

PER PIETRO C. ULLOA

MARCHESE DI FAVALE E ROTONDELLA
1862.

Scorso è ormai un anno, che, caduta Gaeta, ultimo e glorioso baluardo dell'indipendenza napolitana, l'Europa ha potuto credere che una monarchia di nove secoli, la prima che fosse sorta in Italia, la prima che sin dalla sua origine conseguisse ordini e leggi umanissime, avesse per sempre ad essere sparita. Ma se la scure della rivoluzione potea diroccar un soglio, se la spada d'un fedifrago nemico avesse potuto cancellar una monarchia dalla carta d'Europa, l'Inghilterra segnatamente avrebbe visto scomparire un principato ed un reame, che fur sempremai degli interessi britannici amici e parzialissimi.

La monarchia di Carlo III, malgrado che fosse legata a quelle di Francia e di Spagna dal

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patto di famiglia non ebbe ad impugnar mai le armi contro la Gran Bretagna. Sul cadere dello scorso secolo, per averne invece voluto seguir le sorti, il Sovrano di Napoli ebbe a riparar in Sicilia, come già per altre invasioni i principi Normanni ed Aragonesi, e vide il reame messo a ferro ed a fuoco dalle falangi repubblicane di Francia. Né scorsero che pochi anni, e per tenersi fermo nell'alleanza inglese, nuove falangi della Francia imperiale il costrinsero una seconda volta a ricovrar in quell'isola, dove rimase per dieci anni spogliato della parte più bella del suo reame. E durante quel decennio i suoi popoli combattean per la causa inglese, i suoi soldati per la causa inglese pugnavan nelle Spagne. E quando la restaurazione del re legittimo avvenne, nel nuovo ordinamento d'Europa, ei solo, il re di Napoli, de' tanti sagrifici e delle decenni sventure non venne compensato. Tutti i grandi potentati uscivan dal congresso di Vienna con grandi accrescimenti di territori; gli stessi piccoli principati, come la Svezia ed il Piemonte si arricchivan delle spoglie di altri stati, e la sola monarchia Napolitana, la sola costante alleata della Gran Brettagna, vedeasi, dopo tante sanguinose lotte, spogliata dell’isola d'Elba e de’ presidi di Toscana, e costretta a pagar compensi a taluno de’ principi rovesciati. In quarantasei anni che scorser da quell'epoca, coi benefizi della pace, e quasi per esclusiva predilezione, gl'interessi brittannici nel reame di Napoli vennero sempre e colla più gelosa cura tutelati e prosperati.

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Ma la monarchia di Napoli potea stimarsi stabilmente fermata e sicura pe' patti del congresso di Vienna, de’ quali le grandi potenze d'Europa si eran chiamate garanti. E far potea soprattutto fondamento sulla garantia del popolo inglese, del quale tanti eran gl'interessi politici e commerciali, e tanti quelli stessi d'onore all'esistenza della monarchia napolitana, ligati. V'ebbero, è vero, taluni sconvolgimenti politici durante l'ultimo mezzo secolo nel reame delle due Sicilie, ma essi non differivan da quelli che agitavan molti stati d'Europa, dalla lontana Russia all'ultimo Portogallo. Le crisi politiche di Napoli, come gli altri sconvolgimenti che scossero ed agitaron l'Europa, riguardavan la forma degli ordini politici, e non furon giammai diretti a cancellar dal novero degli stati una monarchia, o ad assorbir e distrugger l'indipendenza d'un popolo. Il principio delle nazionalità che porrebbe in dubbio tutt'i dritti da secoli acquistati e potrebbe spezzar e far a brani i più grandi stati, sostituendosi a quello della legittimità garantito da' Congressi Europei, ha solo potuto ai nostri di produrre una catastrofe sì sventurata, che minaccia l'avvenire di tutta Europa.

La monarchia di Napoli sin dal 1849 si vide insidiata, però che sin d'allora sorsero nel Piemonte occulte congreghe che propagando e propugnando coi modi occulti delle sette il principio dell'unità italiana, intendean a rivalersi del disastro di Novara. Il cammino insidioso di

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quelle congreghe serpeggiava per tutta la penisola, e nel reame di Napoli venne più volte avvertito, scoverto, denunziato, mercé pubblici giudizi, all'Europa. Non era ignoto al governo di Napoli di quali e quante arti tenebrose quelle congreghe, composte la più parte da esuli delle due Sicilie, si avvalessero a sparger nelle popolazioni semi di dottrine sovvertitrici, (1) dirette non più a conseguir questa anzi che quella forma di politico reggimento, ma a rovesciar la regnante dinastìa. Non era ad esso ignoto quegli esuli, quelle congreghe trovarsi sotto il patrocinio diretto del governo di Torino, che per sovvertir a suo prò F Italia, se ne avvalea. Comprendeva il governo di Napoli con quale scopo si assumesse dal Piemonte, nel congresso di Parigi, l'insolito patrocinio della penisola, ed accusasse stati indipendenti ed in quel congresso non rappresentati. Né rimanea lungamente nascosto al governo di Napoli, come il gabinetto di Torino, visto fallito l'inaudito suo procedere diplomatico, si fosse determinato a favorir le pretensioni d'un principe che ambia la corona di Napoli, inviando a conferir con lui nel 1856 a Ginevra ed a Aix-les-Bains, i più noti e più fervorosi degli esuli Napolitani. Né giunse a cader quell'anno che le mene sagrileghe di quelle congreghe condussero ad un attentato che fè inorridir l'Europa. Quell'attentato fu altamente lodato dalla stampa Piemontese e celebrato in

(1)V. Catechismo degli universitari italiani. Giudizio degli unitati italiani, Napoli, Potenza ecc.

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versi dagli esuli in Torino, e sol per non metter chiaramente ali' aperto la complicità del suo patrocinio, il gabinetto comandò contro de’ colpevoli di quegl'inni parricidi un simulacro d'infruttuoso giudizio.

Niuno dunque di quanti conoscean questo tenebroso lavorio delle congreghe, degli esuli, e delle mene del governo Piemontese ebbe a maravigliar degli avvenimenti che indi si successero nel. 1859 e 1860 nel reame delle due Sicilie. Un nuovo regno prometter poteva una nuova era di pace, di concordia e di prosperità, se la rivoluzione e le ambizioni Savojarde non vi si fossero opposte. Scoppiata la guerra, la Corte di Torino faceva ippocrita offerta d'alleanza al Re di Napoli. Conseguita la lega, l'avrebbe dall'Austria isolato, e lasciato senza scusa pei patti senza ragione violati, e quindi il Piemonte avrebbe agevolmente ribellato l'esercito Napolitano, che col Piemonte avesse in Lombardia combattuto. I casi di Toscana avean recentemente chiarito che gli eserciti potean, come nel 1820 e 1825, essere strumento al sovvertimento degli stati. La lega ricusata forniva il pretesto di bandir il re di Napoli qual nemico dell'indipendenza italiana. Ma il nuovo Re, Francesco li, che, salito al trono erasi negato ad accordar ali' Austria il contingente napolitano (stabilito pe' trattati del 1815 e 1818) non potea congiunger contro di essa le sue armi a quelle del Piemonte. Ed intanto di quel necessario rifiato si levò,

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mercé la stampa periodica, altissimo rumore, accusando il re di Napoli di lesa patria italiana.

Da quel momento più che mai tutte le mene, tutte le pratiche furon rivolte a sedurre e spinger a fellonia l’esercito napolitano. Le insinuazioni e le provocazioni della stampa, le sollecitazioni e le esortazioni degli esuli e de’ comitati, le pratiche e le corruttele piemontesi furon tutte dirette a quest'unico scopo. E come la legione Svizzera servia di nucleo e di forza a render saldo quell'esercito, contro quella legione innnanzi tratto furon le insidie e te seduzioni rivolte. Quella legione insorse, per lievi pretesti, e bisognò pria domar gl'insorti colle armi, poi di scioglierla. E Toro che su molti degl'insorti fu rinvenuto, e la qualità delle monete, chiarì il governo di Napoli di non essere insussistenti i sospetti che alla rivolta de’ soldati Elvetici avesse contribuito il Consolato e taluno bensì degli addetti alla legazione sarda. Sciolta la legione Svizzera, più attive divenner le subornazioni dell'esercito, larvando il tradimento e la rivolta col pretesto della resurrezione, della gloria e della grandezza italiana.

La rivoluzione, sotto la tutela del governo sardo, preparava armi ed uomini per una spedizione contro gli stati di Napoli. Tutt'i gabinetti d'Europa insospettiti de’ moti che a {al uopo avvenivan in Genova, si davan premura di avvertirne il governo di Napoli. E fra' primi lo stesso capo del gabinetto di S. Giacomo (1)

(1)Relazione del Ministro Cavalier Targioni.

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Gli agenti napolitani presso lo straniero tenean il governo ragguagliato di quei guerreschi preparativi. Ma il governo nella coscienza del suo dritto e confidente delle sue forze stimò prudenza il non mostrarne apprensioni. Intanto in sue mani cadean le prove della iniqua cospirazione che intendea suscitar l'incendio pria di tutto in Sicilia (4). Appena le prime scintille ne divamparon al 4 Aprile in Palermo, che talune navi Sarde (2) vennero a gittar le ancore innanzi Palermo. Da quelle navi partivano ogni maniera d'incoraggiamenti perché i cospiratori nella loro contumacia persistessero. Quelle navi spargevan di rientrar nei porti della Sardegna, ma invece si volgcan verso le spiagge meridionali della Sicilia dove gli stessi colpevoli incoraggiamenti diffondevano (3).

Preparata cosi la sollevazione, quelle navi dalla Sicilia si allontanavano, e ben presto la nota e preveduta spedizione di Garibaldi abbandonava il porto di Genova. Il governo di Napoli, chiese allora spiegazione del fatto a quello di Torino, il quale, dovendo ancora anteporre la simulazione alla violenza, quell'avventuriere disdisse ed assicurò che navi sarde l'avrebber raggiunto e ricondotto indietro (4). Ma quelle navi partirono, e la spedizione rivoluzionaria non raggiunse perciò meno le spiagge sicule.

(1)Rapporti del Direttore di polizia di Palermo in Decembre 1859 e Gennaro 1860. ecc.

(2)Governolo e Lohrec.

(3)Rapporto del Direttor di polizia di Palermo, Aprile 1860.

(4)Gazz. uffic. di Torino del 10 Maggio, e nota del 26 Maggio 1860.

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Accertò il governo di Torino che altre spedizioni non sarebber partite dai porti del Piemonte, e le spedizioni non perciò meno l'una all'altra e ad intervalli di giorni si successero, lasciando i porti di Genova, di Sardegna, e di Toscana, dove di munizioni si forniron negli stessi forti o depositi del governo Piemontese.

Allora si scoprìa qual iniquo travaglio per più anni si era fatto nelle file dello esercito napolitano. L'Europa per dieci mesi è stata spettatrice di una guerra infelice di soldati i quali, traditi dai loro capi, abbandonati dai loro uffiziali, lottando entro popolose città contro i nemici di fronte, e gl'insorti che gli opprimean dall'alto, pure per fede al loro principe ed alla loro bandiera ostinatamente pugnavano. Quei prodi venian da' loro generali contro ogni ragione o necessità costretti a capitolare;talvolta eran fatti circondare dapprima, e poscia esortati a depor le armi. Ed essi invece le spezzazavan sdegnosi e si scioglievano, talvolta furiosi, e dimentichi della disciplina, taluno di quei capi mettean in pezzi. E quando tuttavia eran in sufficiente numero da coprir la capitale, e schiacciar i loro nemici, quei capi stessi nascer facean sospetti e diffidenze sulla loro fede e dichiaravano inutile ogni altra difesa. Così l’Europa vide un giovine Re, maggior delle sue sventure, non volendo insanguinar una popolosa e ricca città, portandovi le ire della guerra cittadina, abbandonar la reggia, la metropoli col suo prestigio, gli arsenali, l'erario, tutt' i mezzi dello stato e ritirarsi al di là del Volturno.

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Né a ciò contento, imponeva ai presidi lasciati nei castelli di Napoli di non oppor resistenza. Così avvenne che Napoli venisse nelle mani di Garibaldi senza contrasto, e da quella facile conquista non avrebbe dovuto argomentarsi della connivenza del popolo ad abbandonar il suo Re, ma della magnanimità del Re, che anteponeva i suoi ai rischi del suo popolo. Intanto Tesercito riordinato dietro il Volturno, potea finalmente volger la fronte, far testa e prostrar più volte i suoi nemici. Ed era già sul punto di schiacciare la rivoluzione e riconquistare la sua patria, quando si vide ali' improvviso da nuovo ed inaspettato nemico assalito.

Il governo di Torino che aveva insino allora preferito la doppiezza alla forza, ora ricorreva alla violenza, sdegnando ogni altra simulazione. E quel Principe che fino allora avea disdetto Garibaldi, e chiamato sé innocente dei fatti di Sicilia, manifestava col suo proclama del 9 ottobre 1860, (1) eh1 egli invece avea protetto que' moti, esso dato loro assistenza, perché moti di popoli italiani che pel loro riscatto combatteano. Quel Principe calpestando in quel momento gli Stati della Chiesa, assicurando di muover incontro alla rivoluzione per combatterla (2) moveva invece per istenderle la mano negli Stati del Re di Napoli, vedendola presso ad essere schiacciata.

(1)Proclamazione di Re Vitt. Emmanuele. Ancona 9 Ott. 1860.

(2)Nota di M.r Thouvenel del 18 Ottobre 1860.

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Quel Principe si dicea chiamato dal voto dei Napolitani, onde rapir. la corona del Re suo nipote. Ma qual corpo dello Stato, quali comizi gli aveano espresso quel voto? Eran dieci a dodici individui che, spediti da Garibaldi in pericolo, si costituivan da se stessi mandatari del popolo; e fra essi era talun generale o funzionario che più si era e recentemente segnalato nel tradir il legittimo suo Principe. I comizi pel plebiscito erano annunziati, ma non raccolti; essi il furon nel 21 ottobre e le truppe piemontesi eran già sbarcate in Napoli nella metà di settembre, avean combattuto a S. Angelo il 1 ottobre, ed ora, sbucando dagli Stati pontefici, a' 18 si precipitavan sulle terre napolitano. Ma il mendacio dell'invito dei napolitani era presto seguito dalla falsità della votazione popolare. Non mai più iniquo mercimonio fu fatto in Europa, e con più impudente ciarlataneria, dell'indipendenza d'un popolo. I comizi banditi, la stampa (siccome praticato si era in Toscana) incominciò dal disegnar come nemico della patria chi osasse pronunziarsi contro l’annessione. Numero infinito di scherani, lezzo di plebe e rifiuto di bagni, armati insino ai denti, percorrean a spavento degli onesti le vie. Due urne furon distintamente poste, l'una pel voto affermativo, l'altra pel negativo, onde sgomentar coloro che a questa avesser voluto appressarsi, o farli, se l'avessero osato, segno al pugnale di quei sicari. Le baionette piemontesi tutelavan quell'atto ch'era l'assassinio di tutto il popolo. E quali furono i votanti?

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I corifei della rivoluzione, i satelliti dei comitati, i Seidi piemontesi, gli scherani chiedenti con quel voto la loro impunità, spregevoli impiegati palpitanti pei loro uffizi, una turba di contadini ignari, menati a torme in mezzo ad una città di 500 mila abitanti. Gli stessi cosmopoliti seguaci di Garibaldi gittavano nell’urna i voti a piene mani. A questo modo si compia la vendita d'un popolo, come fatto si sarebbe di una turba di schiavi in un bazar d'Africa o d'Oriente. Si dissero 1,313,376 i voti favorevoli, e fu mendacio; si dissero 10,812 i dissenzienti, e fu mendacio; di voti negativi non vi fu neppure un solo, che niuno avrebbe osato di emetterlo. Quei voti negativi furon mentiti, a prova e garantia della libertà e legalità della votazione. Ma qual magistrato ne attestava la veracità? Lo scrutinio dì quei voti fu fatto da quella stessa suprema Corte di giustizia che si era affrettata a giurar fede all'invasore, appena invitata, e guidata da quel Presidente che non arrossì con sua prolusione di maledir e rinnegar il suo legittimo Principe, e agitare a larga mano il turibolo de’ suoi incensi verso Garibaldi e Vittorio Emmanuele, in quell'aula istessa ove poco tempo innanzi avea giurato fede al Re che l'avea messo a capo della magistratura napolitana (1).

Né qui si arresta la prova del mendacio di quel plebiscito che si osò invocar come titolo d'una scandalosa usurpazione. Quel voto postumo

(1)Vedi Giornale uffiziale di Napoli dell'11 Settembre 1860.

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all'entrata dei Piemontesi nel reame, non fu che molto dopo nelle altre province e colle stesse arti praticato. In gran parte di quella di Terra di Lavoro noi fu, perché occupato dall'esercito reale. In molti luoghi erasi già manifestata l’opposizione popolare che le spade garibaldine, come poco appresso il doveano le piemontesi, avean soffocato nel sangue (1). Chiarivan la falsità di quell'unanimità dei voti napolitani poco appresso le elezioni dei deputati al parlamento di Torino, non essendo sommati gli elettori che a soli 25 mila; il numero maggiore protestava con la sua assenza. Protestava colla sua assenza la nobiltà napolitana che, comunque non partecipe d'alcuna parte nel governo, amò sin dal primo momento, eccetto due o tre sole eccezioni, di esulare tutta intera. Protestava un gran numero di potestà pubbliche che abbandonavan la patria quasi certe di dover mendicar ramingando. Protestava un gran '. numero di possidenti che preferivan disertare Moro lari, anziché piegare innanzi gl'invasori. Protestavan cento e cento gentiluomini ed altri funzionar! che correvan a stringersi a cerchio attorno al Re in Gaeta, contenti di affrontar gì' ignoti pericoli della guerra, anzi che mancare alla loro fede. Il popolo inglese, che ricorda la sua gloriosa rivoluzione del 1668, non vide luccicar alcuna spada che si snudasse in prò di Giacomo II; quel Principe esulò quasi solo. E nel reame protestava un esercito tuttora di 50

(1)Vedi documenti num. 1.

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mila uomini che fra tanti esempi di fellonia, tante mine, tanti stenti e tante seduzioni si conservava intrepido e devoto.

Ma quell'esercito cader potca colla sua patria e non salvarla. Con un esercito a fronte ed uno che gli moveva alle spalle, esso abbandonava il Volturno facendo toccar ai suoi nemici gravi danni a Cascano, al Garigliano. Abbandonava il Garigliano, perché offeso all'improvviso dal lato del mare, donde avea ragioni ed assicurazioni di tenersi sicuro (4); abbandonava da ultimo Mola e la patria terra, perché ridotto ormai in un angolo ove non avea più mezzi di vivere o facoltà di combattere. Penetrando nelle terre della Chiesa, una parte di quell'esercito, che decimato dalle febbri, senza medici, senza medicinali, senza ospedali, vestito di sola tela, entrato l'inverno, avea dovuto giacer sulla nuda terra, nei solchi aperti dal Garigliano, e soffrir la fame per più giorni, presentava il più miserando spettacolo. Taluni soldati e cavalli, giungendo negli Stati pontefici caddero morti d'inedia. Eppur quegli avanzi di esercito, sdegnavano ogni capitolazione che largamente loro si offrìa, preferendo depor le armi anzi nelle mani d'una potenza neutrale che di uomini i quali, non prostrati colle armi, ma colle insidie gli aveano soverchiati (2). Non vollero, cedendo a patti, confessar di essere stati vinti, di abbandonar la causa del Re e di annuire alla distruzione della loro patria.

(1) V. Documento num. 11.

(2)V. Documento num. 111.

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Il mondo conosce quale resistenza il Re coi prodi che gli avanzavano, per circa quattro mesi oppose in Gaeta; ma il mondo ignora finora a quali e quanti pericoli, a quante sofferenze furon in preda ed a quali estremità ridotta la real famiglia, i ministri, i gentiluomini ed il presidio che il circondavano, e che in quella Missolungi Napolitana difendean l'ultimo baluardo dell’indipendenza nazionale. Per tre mesi di continuo bombardamento, onde un nemico, prevalente in armi di maggior portata, e tutelato per lontananza dalle offese della piazza, diroccava la città anzi che le fortificazioni, con oltre a 100 mila proiettili vuoti, tutti ebbero a lottar colla morte per fuoco, per fame, per tifo. tf è quell'eroica costanza vacillò un istante, sino a che scoppiate tre polveriere, aperte due brecce, caduti molti, moltissimi vinti dalle febbri, avanzando poche munizioni e pochissimi viveri, fu forza il cedere. E fu anzi l'umanità del Re che risparmiar volle la vita a soldati sì fedeli, il sagrificio ormai divenuto inutile, che la sconfidenza del presidio, il quale chiedeva altamente per mezzo de’ suoi capi, di durar nell'eroica resistenza. Un'ultima prova della riluttanza dei popoli del reame al dominio piemontese, e dell'iniquo mercimonio fatto della loro indipendenza, scorgesi nell'essersi dappertutto levati in pie ed impugnate le armi per combatterlo. I primi moti popolari si manifestarono appena entrato in Napoli Garibaldi, ed il generale Turr corse sopra Ariano e la mise a sangue, passando per le

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armi 43 persone indicate come reazionarie. Poco dopo insorse S. Àntimo nelle vicinanze di Napoli, ed altra mano di garibaldini vi corse fucilando undici individui. Durante però le militari fazioni sul Volturno erano insorte Isernia, Venafro, S. Germano e Piedimonte fu messo a ferro ed a fuoco. Tutte le popolazioni di quelle città avean gridato il nome del Re, ed Isernia era stata presa e ripresa per ben due volte, quando i Piemontesi, penetrati nel reame, e discendendo dagli Abruzzi aveanla sottomessa.

Ma quando l'assedio di Gaeta durava tuttavia, gli Abruzzesi qua e là eran balzati in pie, ed impugnando le armi, si erano uniti in piccole schiere a combatter i soldati del Piemonte. Più volte le coorti piemontesi furon da bande di villici vinte' e fugate, più terre difese da' Piemontesi furon sottomesse, ed in vece un generai Sabaudo, non potendo sottoporre quella di Bauco, non sdegnò di conceder patti ai difensori che uscivan colle loro e colle armi che in diversi scontri ai Piemontesi avean tolte. Ma, ceduta Gaeta e ridotto in Roma, il Re non volle più lunga effusion di sangue, e comandava cedesse Civitella del Tronto, innanzi a cui inutilmente si consumavano i Piemontesi, cedesse la cittadella di Messina, le bande degl'insorti abruzzesi si scioglicssero. (1) Così i moti popolari la prima volta cessavano.

Man mano. dopo alcuni mesi, le insurrezioni ripullulavano in quasi tutte le province,

(1)II giorno 25 Febbrajo; Rap. del Colonnello Lagrange ecc.

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e talune bande d'insorti si mostravan sulle alture stesse che coronan la città di Napoli. Si accusava il Re di aver da Roma soffiato su quell'incendio, si accusavan quelle bande di esser geldre di ladroni, e si negava loro ogni consistenza politica, sol perché non da capi noti o da generali capitanati.

Ma il Re, come non avea suscitate le prime, così non eccitò queste nuove insurrezioni. Se avesse voluto svegliar le ire civili, lo avrebbe fatto quando chiuso era tuttora in Gaeta. Però che avrebbe allora costituiti i suoi nemici nella dura alternativa, o di correr contro gl'insorti, epperò scior l'assedio e lasciar libero numeroso presidio; o di proseguir l'assedio, e veder crescere ed addensarsi gl'insorti alle loro spalle. Se il Re avesse voluto tener vivo uh tale incendio non avrebbe, entrato appena in Roma, comandato che le bande abruzzesi si dissolvessero, il che era un porre il piò sulle ultime faville di quel fuoco. E come sarebbe avvenuto che, stando tuttavia in Gaeta, é sventolando tuttavia il regio vessillo su Civitella del Tronto e sulla Cittadella di Messina, e maggiori essendo le speranze, le bande popolari non si fosser levate che nei soli Abruzzi; ed invece quando tutto era caduto, il Re fatto esule, tutto arridendo ali' usurpatore, que' moti popolari e quelle bande d'insorti ad un tratto si rizzassero in pie in tutte le diverse province del reame di Napoli? Il re Francesco II avrebbe operato un tal prodigio quando era più lontano, i mezzi militari nulli affatto,

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i pecuniari (invaso dal nemico l’erario e rapito a lui ed a' suoi il patrimonio privato) distrutti, e quando morivan le. speranze d'una restaurazione ne' suoi popoli? E lo avrebbe operato meglio nelle Puglie e nella lontana e mediterranea Basilicata, che nelle province contermini agli stati della Chiesa, nelle quali l'insorgimento fu sparuto ed incostante?

Si può deplorar la trista necessità d' una guerra intestina, si può antivenirla e comprimere; ma non si può negarle il nome di popolare sol per la ferocia dei combattenti, perché sarebbe non conoscerne l'indole.

Si negava alle bande popolari ogni colore o consistenza di partito politico, mentre al grido di Francesco II. e di Napoli si levavano, con quel grido si avviavano a combattere e con quel grido combatteano? Quelle bande innalzavan dappertutto la bandiera bianca che per esse era l'orifiamma di Carlo III, il simbolo della indipendenza nazionale. Quel vessillo le bande inalberavano in tutte le terre in cui penetravano, strappandone e lacerando i colori di Savoja; in tutte le terre gli emblemi di Savoja e le immagini di Garibaldi e di Vittorio Emmanuele spezzavano, e le Borboniche insegne, ed i busti del Re e dell'eroica Regina vi restituivano, ed i magistrati anteriori vi ricostituivano; ove il destro ne aveano, un governo provvisorio in nome del Re ordinavano. E si negherà loro il carattere di partigiani della causa nazionale, ed alla loro guerra quella di lotta cittadina,

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sol perché mancavan di capi noti o militari? Ma quali esser poteano tali capi, se di tutti i generali ed uffiziali superiori del disciolto esercito napolitano parte sin dal primo momento si eran fatti colpevoli di fellonia; gran parte eran ligati da' patti di Capua, di Gaeta, di Messina; parte eran menati in prigione, o relegati in Ponza, in Genova o in Alessandria (1)? Né i possidenti, usi alle dolcezze di comoda vita, si gittan mai nei sollevamenti popolari ed in cimenti gravissimi ed ignoti. Cosa furon mai in simili guerre i nomi o le condizioni de’ capi? Quali eran quelli di Stofflet e di Gatclinau? Quali quelli d EI Pastor e dell'Impecinado? Se nomi più illustri si mostravan nella Vandea, ciò avvenne perché in quella contrada eran rifuggiti ancora taluni feudatari in venerazione appo quelle popolazioni, né quella contrada ebbe a sollevarsi contro truppe straniere che già l’ingombrassero e l'occupassero. In tali contingenze son gli uomini più armigeri ed arditi che osano sfidare il patibolo pria delle armi, e si levan a capi, col solo titolo e colla sola nobiltà della loro audacia e della loro intrepidezza. Si è fatto colpa alle bande napolitano di depredazioni e di eccessi? Ma, quando veri pur fossero, qual meraviglia eh' entrando nelle terre le pubbliche casse spogliassero? Era necessita di sussistere, di nudrir la guerra, di torre ai nemici i mezzi che non propri erano, ma dello Stato.

(1)Vedi nota di Settembre 1861 e giornali ufficiali di Napoli del finir di Luglio 1861.

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La stessa guerra di milizie regolari va mai esente da rapine, da sperpero, da devastamenti? Di quali scempi non si reser capaci quelle guerriglie Spagnuole che, sorte nel 1808, attender dovean ben sette anni prima di venir celebrate come nuclei di uomini energici e caldissimi amatori della loro patria? Quali nomi spaventosi non ebber per lungo tempo lo stesso Mina, e lo stesso Parroco Merino? Eppur a lato delle schiere Inglesi in gloriosa guerra combatteano. Ad uomini che per solo entusiasmo e per ira cittadina si levan senza capi, senza mezzi, senza armi e senza direzioni si è prodigato sempre, sin che incerta è la loro sorte, i nomi più obbrobriosi, e si sono apposte loro le colpe più atroci. La rivoluzione francese dava il nome di briganti agl'insorti della Vandea; dava poi l’impero l'istesso nome agl'insorti del Tirolo od a quell'Hoizf che un n'ebber sì diverso e glorioso dalla storia; il nome di brigante si prodigava agi' insorti di Napoli e delle Spagne, ne' primordi del secolo; ai Belgi nel 1830, e sin agli Elioni! Le "bande napolitano meriteran pure mille accuse ed ingiurie, sin che il successo non le giustifichi e le onori. Né sì spregevoli sono, né in sì scarso numero da non sperarlo confidenti. Già più niun osa di prenderle a scherno, che scorsi son pur sei mesi ed ottanta battaglioni e le colonne mobili garibaldine assoldate, e le guardie nazionali prezzolate, e pur trascinate, e le orde Ungheresi non potean venirne a capo. E più luogotenenti vennero da Napoli rimossi appunto

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perché quel seme di resistenza alla dominazion piemontese non eran giunti a sradicare. Ma quale che sia il fine posto da Dio a que' moti popolari, quelle bande intanto pullulano dapperognidove, dapperognidove combattono, ed oramai né loro il carattere politico si nega, né la loro forza si maschera, né il pericolo se ne attenua (1). Il governo stesso di Torino, pur volendo sbiadir le tinte del quadro lacrimevole delle province napolitane, fu dalla forza del vero costretto a confessar che son colà piaghe che niun medico potrebbe guarire (2).

Ma chi mai quelle piaghe produsse e fé' incrudelire? Onde mai avvenne che un reame già si prospero, ricco e tranquillo, che unanimamente avrebbe Garibaldi e Vittorio Emmanuele acclamato, che rinunziando alla sua autonomia, si dipingeva al mondo si lieto dell'avventurosa sua sorte, tutto ad un tratto ed in men che fa sei mesi sprofondato si vede in tante miserie, in tanto sangue, in tante ruine qual magica mano cangiò dunque il giardino d'Italia in un deserto?

Sin dal primo momento che Garibaldi avea potuto credersi sicuro della Sicilia, fra i tanti decreti ed a furia pubblicati, avea proclamato una legge agraria, e diviso i beni comunali agl'insorti ed a quei che si disegnavan come le vittime della tirannia. La qual promessa fu trista

(1) Vedi le discussioni del parlamento italiano intorno allo stato delle province meridiali d'Italia.

(2)Parole del Ministro Ricasoli dalla tribuna del parlamento italiano.

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sementa che tosto generò appetenze, tumulti ed usurpazioni violenti per plebe ignorante, misera, ed avida sempre. Una folla di leggi si successero e senza intervallo dietro l'entrata di Garibaldi in Napoli. Si decretavan strade di ferro, asili infantili, casse di risparmio, case sane ed economiche pel popolo, e mille progetti si facean sulla distruzione della mendicità, mercé il travaglio, su nuovi principi di pubblica beneficenza, sulle poste, sulle imposte. Cose sempre e dappertutto bandite, non mai eseguite e capaci solo a svegliar pretensioni strane, desideri smodati ed insofferenza della propria condizione. (1) Il denaro pubblico intanto necessario ai bisogni dello stato si sciupava, si disperdeva ed impudentemente si rapiva. La finanza napolitana era sin a quel dì stata la più prospera di quante erano negli stati diversi di Europa. I dispendi gravissimi cagionati dalle epidemie e dalle carestie. del 4853,1854, e 4855; nel 4859 dal riordinamento dello esercito, e più tardi le necessità della guerra, avean costretto il governo ad alienar qualche parte della rendita napolitana, della quale non fur tutte le somme riscosse. Non però quando entrava in Napoli l’invasore seguito dalla rivoluzione, trovò un erario che. potea supperir ai bisogni dello Stato. Ma ben presto somme enormi furon tòlte ed inviate a Genova ed a Livorno, gli esuli rientrati tolsero per sé, a titolo d'indennità pei danni patiti, danaro senza fine. Un sol ministro tolse per sé ducati 72 mila;

(1)Vedi giornale uffiziale di Napoli.

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altro 40m. e 48m. pel proprio padre, altri proporzionatamente altre somme per sé e pe' suoi; il dispotismo degli uomini levati in alto dalla rivoluzione fò porre senza tema e senza ritegno le mani nel pubblico erario. Gli stipendi di tutte le nuove potestà, le pensioni di ritiro a larga mano concesse a tutti coloro che perduti aveano i loro uffizi coll'esilio od a coloro che ceder, doveano il luogo ai tanti bruchi fatti sbucar dalla rivoluzione resero ben tosto esauste le finanze. Basterà per tutti il dir che un già sottotenente dell’esercito (Filippo Agresta) dichiarato tosto direttore generale delle Dogane del reame, ritirato dopo un mese, ebbe dal governo tutto intero il suo stipendio di ducati duemila, come pensione a vita. Un che stato era nel 1848 per due soli mesi in uffizio, prendeva il ritiro coll'intero stipendio di ministro plenipotenziario; un magistrato di soli dieci anni, tolse per so, tornato dalP esilio, l'intero stipendio di Consigliere di Suprema Corte. E così di altri moltissimi. Più tardi una turba d'impiegati si precipitavan dalle Alpi, voraci locuste, su Napoli, e tutti pagati a doppio stipendio. Indi è che le pensioni di ritiro aggravaron l'erario di oltre mezzo milione di ducati annui, e gli stipendi per nuovi uffizi, o aumenti di stipendi, d'oltre un milione e mezzo. Si mettea fondo al pubblico tesoro pagando a destra ed a sinistra a quanti aflfacciavan pretensioni contro lo Stato. Così alla casa Rubattini di Genova pel Cagliari già restituito, e pel Lombardo ed il Piemonte che

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condotti avean i garibaldini in Marsala, lo stato pagò oltre un milione di lire. E quali somme non si erogavan pe' subiti ed urgenti bisogni della guerra sul Volturno, e poco di poi per l’assedio di Gaeta? Quanto denaro non si erogò per le elezioni al Parlamento Italiano? Quanto non se ne versava per cause ignote? Un direttore e due Segretari di Stato prendevan per oltre 400 mila ducati. Svelato il fatto dalla stampa, gridavano alla calunnia, e minacciavan d'intentarne giudizio... ma niuna querela giudiziaria fu avanzata più mai. La rendita pubblica che levata si era sotto il governo legittimo a 118,5 per cento, si era fittiziamente fatta sostener nel dì dell’entrata di Garibaldi, onde mentisse la confidenza pubblica. Ma non potendosi oltre sostenere, cominciò precipitosamente a distendere sino a 65. Al Banco pubblico correasi a furia per giuste apprensioni e sgomenti, onde ritirarne i depositi. (1) E poiché bisognava pur, mancando i mezzi ordinari, aver ricorso al credito, in mcn di un anno, il debito pubblico fu gravato di altri ducati 500 mila di rendita. E qual parte di debito non cadrà poi sul reame di Napoli, che forma per oltre il terzo di quello d'Italia su 700 milioni di lire di debito non si tosto contrattati che esauriti? L'urgenza di far fronte ai tanti rinascenti bisogni, moltiplicati dalle riforme finanziarie d'un ministro costituzionale che capovolgeva il reddito dello stato,

(1)V. Documento num. III. Bis

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con leggi che dal Parlamento non erano statuite, faceva ricorrere a pericolosi ed immorali espedienti, sin a torre il danaro dal banco dei privati. Qual esser poteva il commercio e l'industria quando ad un tratto le navi erano ammesse allo scalo di Genova perché i dazi si percepissero in vicinanza del Governo di Torino? Napoli e Messina a Genova serviron d'olocausto. Aperti ad un tratto i porti del reame alle merci straniere, le manifatture nazionali come quelle di Cava, di Piedimonte, di Arpino, di Sora furon costrette a scemare, o smettere i lavori. Le urgenze divenner sì gravi che ai 40 Settembre si prorogaron di due mesi le scadenze degli effetti commerciali, e questo periodo scorso ancora, bisognò nuovamente e per due volte prorogarlo; facendo goder il secondo e terzo benefìzio a coloro che avean pur goduto del primo (1). I fallimenti della piazza di Napoli si succedevan rapidamente e si moltiplicavano.

Quale esser poteva lo stato del popolo, a cui si era per lungo tempo sussurrato che l’arrivo non contrastato del Garibaldi farebbe un Eden di Napoli, ed il Pattolo vi scorrerebbe in larghi rivi? Esulando la Corte, il corpo diplomatico, e tutto intero il patriziato, quante esistenze non si videro ad un tratto e necessariamente condannate all'indigenza? Qual meraviglia dunque che in men di due mesi si ebbe a veder con terrore un tumulto fra gli operai di

(1)Decreto degli 8 Ottobre 1860. Giornale ufficiale di Napoli.

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Cava pel mancato lavoro, in Napoli una rivolta fra quelli dell’arsenale, lo sciopero or di questo or di quel ceto di artieri, e da ultimo dei cocchieri da nolo traversanti per le vie della città vociferando armati e minacciosi, cose tutte per lo innanzi inusitate! E di che viver dovean tanti operai quando sciolto era un esercito di 100 mila soldati ed una numerosa marina che lasciavan tanti uomini senza stato, tante braccia senza lavoro; si sospendean opere degli arsenali, si chiudeano o vendean le fabbriche di arnesi navali e militari, e da Torino s'incominciava a provvedere Napoli di tutto, dalle vesti alle calzature de soldati? E si spedìa poscia sin la carta ad uso delle pubbliche officine, i bilancini de’ bottegai, sin le panche di legno per le pubbliche scuole, sin le pietre a costruire le orinaie della città? Cose incredibili sono e pur vere e sotto gli sguardi di tutti! Quali mercedi restar poteano agli operai di Napoli, quando sul frusto loro pane si gittavan come botoli affamati torme d'impiegati spediti da Torino, tutti pagati, a fronte dei napolitani, di doppio stipendio? E quali impiegati! Basterà ricordar che ad ordinar la polizia di Napoli fu inviato il Curletti che indi a poco venne scoverto in Bologna complice e protettor di tutti i ladri del reame italico. Insipienti, inabili Alpigiani, a cui la dominante Torino fornìa larghe indennità, negate ai napolitani, mandati quasi a confine ne' luoghi più remoti di Piemonte Lombardia! Eppur secondo gli stessi banditori del plebiscito.

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Napoli non era terra conquistata, ma si sarebbe volontariamente data, e non certamente a Torino, ma alf Italia si sarebbe data. E quasi gli impiegati non bastasser, si gittavan sul napolitano gli operai delle ferrovie, i facchini delle dogane, i carcerieri, sin le donne per lavorar i tabacchi, sin le nudrici per nudrir i trovatelli. Napoli divenia la California d' ogni maniera di geldre Piemontesi. E perché i tanti operai sentisser più acerbamente l'aculeo della fame, un pensiero demagogico li avea raccolti e formati in associazione anzi sociale che industriale, instillando ne' loro animi la coscienza della loro forza ed il disprezzo della legge e de’ magistrati. Le scene sanguinose di Manchester alla misera Napoli fra non guari non mancheranno, e più sanguinose saranno e più spaventose.

Fra tanto sciopero, fra tante miserie imbaldanziva il delitto. Il percorrer le vie di notte presto facea pericolo; bentosto fu pericolo anche di giorno. Il pugnale dell’assassino raggiungea le vittime in pieno meriggio, nelle vie più frequenti e popolose e spesso sotto gli sguardi stessi della forza pubblica. Caduta Gaela, un assassino non doveva alla folla inorridita altra giustificazione di avere scannata una vittima se non questa: era un Borbonico. E bastava, perché i carabinieri piemontesi il lasciassero libero ed impunito. La rivoluzione aveva assoldato la più iniqua genìa di sgherri, a petto i quali impallidirebbero i più feroci masnadieri. I camorristi eran i sanguinar! soverchiatori delle prigioni e delle galere,

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che il governo avea per Io innanzi, appena un sol ne sorgea, segregati e relegati. La rivoluzione li assoldava, simulando timore che non se ne prevalesse una reazione (che questo fantasma serviva a pretesto di tutte le arti adroprate a sconvolger lo Stato), ma nello scopo solo di sparger fra tutti il terrore e conspirar impunemente. Ogni vigile cura mancata, i condannati al remo del bagno di Castellammare, venivan, evadendo, ad accrescerne il numero in più centinaia. E quasi un tal ausilio non fosse a gran pezza sufficiente, un ministro ne facea porre in libertà altri duecento cinquanta, sulla società atterrita come affamati mastini scatenandoli? (1) Qual maraviglia adunque che quella geldra di sgherri minacciassero, atterrissero, frodasser la pubblica annona come controbandieri, a loro arbitrio imprigionassero, ed a lascivia per le vie ferissero ed uccidessero come sicari e come omicidi? Ed un governo che si era annunziato venir moralizzator d'un popolo corrotto, non altro conforto dava e sicurtà a' cittadini di viver tranquilli, se non quello d annunziar in ciascun di nel diario uffiziale il numero de’ misfatti perpetrati! Ed ogni dì quella cronaca d'ogni maniera di sanguinosi eccessi, testificava dell’impotenza del governo e della derisione delle leggi. Nella sola città di Napoli in men di due settimane si ebber a deplorare diciannove assassini. (2) L'impunità non fé più

(1)V. discussioni del Parlamento Italiano. t(2) V. giornale ufficiale di Napoli, e giornali d'ogni nome e colore.

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mai scemar quella ferocia, fatta quasi endemica febbre di sangue. E quanti non eran i furti divenendo i ladri dall'impunità più audaci ed industriosi, le case assalivano, forzavano, svaligiavano e spesso coll'assassinio l'impunità sugellavano! E poiché il domicilio non era più inviolabile, i ladri mentivano spesso le sembianze della pubblica potestà e della guardia nazionale, onde penetrar nelle case e con crudele derisione, delle forme della giustizia usavano a compier i loro misfatti.

Ma questo stato crudelissimo, nel quale il reame era venuto in pochi mesi, pur non feria che gl'interessi de’ privati. Ch' esser dovea, quando, caduta Gaeta, il popolo napolitano vide disertato il reame quasi terra conquistata? Gli arsenali terrestri, dove eran pure tante ricchezze militari d' ogni maniera, eran senza riguardo vuotati. Eran sin dal 1857 cencinquantamila fucili nell'arsenale di Napoli, eranne 20 mila in Capua,40 mila in Gaeta, eran le armi dell'arsenal di marina, eran le armi di 105 mila uomini disciolti e quelli che si trovavano in Messina e Civitella del Tronto che si spedivano in Piemonte, ed il ministro di guerra di Torino asseriva dalla tribuna non aver trovato nel reame di Napoli che soli 40 mila cattivi fucili! (1) Tutt'i cannoni di bronzo degli arsenali e delle piazze eran trasportati in Piemonte, le porte di bronzo del Castello. nuovo, miracolo d'arte del secolo XV,

(i)V. Discussioni del Parlamento italiano.

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eran già tolte da' loro gangheri per esservi trasportate, se il mormorio popolare quella sagrilega rapina non avesse impedito.

Gli arsenali di mare eran vuotati, perché la flotta menata a Genova; il cantiere di Castellamare abolito, la fabbrica di Pietrarsa, unica in Italia e che star potea a petto di quante altre mai in Europa, quasi distrutta. Sciolto, malgrado le stesse capitolazioni, l’esercito che stato sarebbe inciampo all'oppressione e spogliamento del popolo, e tolti i mezzi onde mai un esercito napolitano risorger potesse, le fameliche brame e le vandaliche distruzioni più non ebber freno o riposo. Le reggie di Napoli, di Capodimonte, di Portici di tanti magnifiche opere d'arti, di tanti capolavori, di tanti oggetti di lusso doviziosissime, furon spogliate alla svelata. E divenian non solo le spoglie opime della povera Torino, ma di quegli stessi Verri e Pesoni venuti l'uno appresso l'altro, ed a brevi intervalli, proconsoli in Napoli. I quali uscir ne volean ben altrimenti di quel che vi erano arrivati. Ed ora passeggian nelle sponde della Dora in quei medesimi lussosi cocchi che altre volte servivan alle pompe de’ Borboni di Napoli? Di tanti che pur erano non ne avanza oggidì in Napoli neppur un solo! Le argenterie delle reali mense furon pubblicamente vendute, sin gli utensili da cucina furon tolti dagli offici ed in Torino trasportati. Era l'avidità della miseria lungamente patita e da ogni più lieve ricchezza svegliata ed aguzzata.

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Queste erano rapine in cospetto del popolo: ma quali erano le occulte? Ricco delle spoglie di Casa Borbone e degli ordini religiosi, lo stato prodigo e generosa era sol di nuovi balzelli. La tassa di guerra non era appena bandita che di nuove e gravissime imposte il popolo veniva oppresso. Per quella sola del registro di atti giudiziali, civili, ed amministrativi e per le successioni (cosa per lo innanzi inaudita) i popoli del reame pagheranno, in luogo d'un milione e mezzo, dieci milioni di ducati ad un bel circa. Paga già la Sicilia le imposte sul sale e su' tabacchi, già liberi d'ogni gravezza per Io innanzi. E quanti altri pesi non sgorgheran sulle Sicilie dalla fucina piemontese? Ma lo Stato intanto che sugge così il sangue sino dalle pietre, non ha a stipendiar più la diplomazia ed il corpo consolare al nuovo governo inobbedienti e riluttanti. Non ha più a mantener e nudrire un esercito di centomila uomini ed una fiorente marina; gli arsenali terrestri e marittimi, e gli opifìci, e le fabbriche d'armi ed i cantieri essendo soppressi o quasi sciolti. Soppressi sono i ministeri, abolite molte amministrazioni e quelle de’ beni d'ordini cavallereschi e religiosi. Molti impiegati tolti d'uffizio o ridotti a' sussidi del ritiro, a molti scemati i dritti di percezione, scemati i stipendi annuali a' superstiti dicasteri; (1) ed intanto dal 7 Settembre al cader di Dicembre 1860 si notava nelle finanze napolitane un disavanzo di dieci milioni e mezzo!

(1)V. Documento num. IV,

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Ed il male è già sì divenuto endemico che quello del 1861 venia calcolato a venti milioni di ducati, (1) cppur si trovò al disotto del vero. A fronteggiare il vuoto si vendean ben 17 milioni di rendita, ed in mezzo alle apprensioni d'una spaventosa carestia, i generi incettati dal precedente governo. A tal si venne che nel corso dell'anno 1861 la già misera Torino si piegò a gittar l'obolo della pietà a Napoli già sì opulenta! (2) In qual baratro dunque vanno a sprofondarsi e disperdersi le ricchezze delle terre napolitano?

In qual modo poi d'un popolo sì iniquamente tradito e spogliato a ristorar s'intendesse la moralità e preparar la civiltà, della quale ingiuriosamente si dicea scevro, presto pe' piemontesi proconsoli fu manifesto. Si scioglie l’accademia reale di Napoli, antichissima fra tutte, e branca della quale era quell'accademia Ercolanese che per tanti monumenti di dottrina e per tante opere illustri aveva il mondo stupito; branca della quale era quell'accademia delle scienze che di tanto sapere nelle sue opere avea fatto mostra, che tanti uomini in grido di sapientissimi avea raccolti, a cui gli scrittori di più chiara fama in Europa eran orgogliosi di trovarsi affiliati. Si scioglieva l'università di Napoli, fondata da Federico II di Svevia, quando pur

(1)V. Documento num. V. (2) V. Documento oum. VI.

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era tanto bujo di lettere e di scienze in Europa; ad uomini per la piupparte singolarissimi per ingegno, dottrina, ed opere celebrate, si sostituivan uomini noti soltanto per meriti d'esilio o di cospirazioni. L'instituto delle Belle Arti, per cenno solo del Luogotenente, veniva abolito. Si sciogliea il collegio militare, opera di Carlo III, divenuto scuola Politecnica nel 1814, ed ordinato ulteriormente così che da altri governi d'Italia vi si spediano i più eletti ad apparar le scienze militari. Si scioglieva il collegio di marina, opera anch'esso di Carlo III, e che tanti espertissimi nelle scienze navali forniva, onde le squadre napolitane poteron con onore pugnar accanto alla marina spagnuola, ed alla britannica, quando Inglesi e Napolitani per lungo tempo e per la stessa causa pugnavano. Molti collegi civili, e sette Licei, che alle lettere egualmente che alle scienze manoducevano, venian parimenti disciolti o cadevano in dissoluzione. Altri, aboliti taluni instituti religiosi, scomparivano; molti privati instituti si chiudeano; gli educandati per le fanciulle nobili e civili si disordinavano, le maestre di notte e fra carabinieri se ne strappavano e menavano via; le scuole primarie e secondarie, mancati i sussidi, cadevano, mentre le scuole popolari, gli asili infantili ed altrettanti instituti con tanto strepito banditi, rimancan infondati e sin lo stesso pensiero se ne obbliava o smetteva. Che direbbe l'Inghilterra se le università di Oxford e di Cambridge a vantaggiar l'accademia di Dublino si abolissero?

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E tutti gli stabilimenti letterari del reame di Napoli intanto alla Beozia d'Italia si sagrifìcavano!

S'oltraggiava tutto un popolo proclamando di venirlo a moralizzare; e la fede de' suoi padri, la religione cattolica rimasta sempre nel reame intemerata, che per le constituzioni del regno, e per la stessa Piemontese, è religion dello stato, veniva ad un tratto insidiata, oltraggiata, profanata. Il cardinale, Arcivescovo di Napoli, illustre per virtù e beneficenze, era e per due volte ignominiosamente insultato, strappato dalla sua sedia episcopale e cacciato in bando. Tutt'i vescovi del reame eran costretti a precipitosamente esulare e riparar in questa o quella parte d'Europa, taluni eran violentemente espulsi, taluno percosso o ferito. Una folla di sacerdoti furon manomessi, insultati per le vie, gittati in luride prigioni, taluni feriti o morti. Un decreto di Garibaldi aboliva la società di Gesù, e la data dell'abolizione dovea retroagir sin all'epoca del suo sbarco in Sicilia, onde tutti gli atti e contratti stipulati in tale intervallo ne fosser annullati. Tutt'i conventi e tutt'i monasteri vennero aboliti, tutte le rendite incamerate, con aperto spogliamento. Però che le doti delle monache eran delle famiglie che le avean costituite, molte terre eran legati pii, provenian da pie fondazioni, sicché la proprietà privata e le disposizioni testamentarie si violavano. Le diocesi si spogliavano, perocché, con altre leggi, i vescovati tutti, distrutto il concordato colla santa sede, eran ridotti a soli ducati duemila.

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Si procedeva tosto al sequestro dei beni ecclesiastici, senza fornire, o non fornendo esattamente le pensioni alimentarie che si eran promesse, sicché molte comunità religiose e di dame, vennero e son tuttodì ridotte a patir la fame. E quando pur questa misera esistenza tor si volle alle Sagramentiste, scacciandole dal loro cenobio, la sola collera del popolo presso a sollevarsi poté far desistere le potestà sabaude da quella sagrilega violenza.

Un manifesto del ministro di polizia avea annunziato il castigo degli ecclesiastici che dal pergamo osassero mostrarsi opposti alla causa nazionale. Ma non contenti alle minacce della giustizia, si tollerava che un branco di forsennati si cacciasser a furia nella Chiesa di Monserrato in Napoli, strappassero dall'altare il sacerdote che vi officiava, e gli arredi sagri in cospetto della popolazione che assisteva al sagrifizio divino, calpestassero. In molte province presto tali profanazioni furono, per lascivia d'incredulità, imitate. E mentre di tali violenze contro la religion cattolica, religion di tutto un popolo, stata sempre e dichiarata religion dello Stato, la pubblica potestà rimaneva indolente spettatrice, si consentia che il padre Gavazzi, celebrità di scandalo e di dissennatezza, alzasse cattedra nelle pubbliche vie e sin ne' teatri predicando la riforma, le eresie, la libertà della donna, talvolta sin un mormonismo larvato. E non la pubblica potestà, ma lo sdegno del popolo soltanto il cacciava in bando. La pubblica potestà consentia che il padre Pantaleo,

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prototipo di sagrileghe profanazioni, gittasse semi di aperto ateismo, e quando riuniva a conferenza nelle Chiese preti tralignati o da lui contaggiati, si trovava dalla pubblica potestà che fosse giusto che quei chierici forsennati nel tempio di Dio alle inique massime di quel sicofanta, battendo le mani e come in teatro, plaudissero. Trovava giusto la pubblica potestà che altri preti e frati allo stesso modo dal pergamo d'ogni maniera di empie dottrine si facessero aperti banditori. Gl'Inglesi avrebber visto Gileay rappresentarli come già rappresentò Price, Paine e Priestley soffianti dalTalto del pergamo la rivoluzione.

E perché il popolo, che intendeasi a render morale, non mancasse di utili ammaestramenti ne' pubblici spettacoli, non solo si permettean tutte le più immorali rappresentazioni che in altri dì ed altri luoghi avean insozzato le scene; ma si permetteva che i Pontefici, i Principi della Chiesa e le credenze della religione sin allora in venerazione di tutti, fossero rappresentati e derisi. E perché quelle moralità autentiche non fossero l'alimento di sole classi privilegiate, per le pubbliche vie, su tutti i davanzali delle botteghe scritture lubricissime ed irreligiose, immagini oscenissime ed empie si misero, e tutto di si pongono in mostra. Così a questi Orcomeni delegati del sabaudo governo è dalla tristizie de’ nostri tempi consentito d'esser turpissimi. Da ultimo a non celar ulteriormente l'intimo del loro pensiero, i nuovi Longobardi il ministero dell'ecclesiastico di Napoli,

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con nuovo battesimo, dicastero de’ culti intitolavano. E tutti questi abusi si comandavano, e tutte queste leggi si bandivano senza che nel Parlamento fossero vinte, e prima anche che il primo Parlamento italiano fosse raccolto! Alla Scozia, all'Irlanda, o alla stessa Malta leggi s'imporrebbero che dal Parlamento Brittannico non fossero prima discusse e votate? (1)

E qual governo si facea delle leggi napolitane? Alla Toscana, che votato avea l'annessione, consentasi da Torino che colle antiche leggi si reggesse; al reame di Napoli, che si sarebbe sagrificato alla sola unificazione, le proprie leggi si strapparono. Napoli illustre per gli studi di giurisprudenza e che corresse sempre presso di sé gli abusi che eran tutt'ora in quelle di tut ti gli Stati d' Europa, Napoli avea da lungo tempo leggi superiori alla più parte degli altri reami. Tutte quelle garentie di libertà civile che si pongono in capo alle moderne costituzioni politiche (siccome è in quello di Napoli e nello statuto di Savoia) si trovano da oltre mezzo secolo nelle leggi napolitano registrate. Le norme che riguardano le proprietà dello Stato, la liquidazione de' conti dell'amministrazione pubblica, l'uguaglianza in faccia alla legge, le norme dell'acquisto o i casi di perdita della nazionalità, la libertà individuale, r inviolabilità del domicilio e del segreto delle lettere,

(1)Seduta del Senato Italiano del 15 Gennajo 1861.

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la capacità de’ pubblici uffizi, erano guarentìgie da lunghissimo tempo registrate nelle leggi napolitano Le leggi civili sul codice civile francese si erano di gran lunga avvantaggiate, facendole retrocedere alquanto verso il dritto romano e l'antico patrio dritto. Del che i più chiari lumi della giurisprudenza francese con alte Iodi testimoniavano. Il codice penale sin dal 1819 si lasciava indietro quanti erano altri codici in Europa, sicché in Francia se ne adottavano, ma non pria del 1832, le riforme savie ed umane. Il codice militare era degno della patria del Pagano e del Filangieri. Erano le leggi amministrative a quelle della Francia uniformi, a quelle di molti Stati superiori; e quelle sul commercio, sulle ipoteche, sul registro, sull'economia d'acque e foreste eran piene di sapienza legislativa che una giurisprudenza di mezzo secolo avea sviluppata, chiarita, consolidata. Or col pensiero dell'unità italiana, in luogo d'adottare le leggi napolitane per gli altri stati, che molto se ne sarebbero avvantaggiati, in Napoli si trapiantavano le piemontesi ch'erano di gran lunga inferiori, quasi il capriccio della dittatura subalpina si sbizzarrisse a cancellare e disperder quanto era gloria e ricchezza intellettuale dello Stato di Napoli. E mentre da ultimo i buoni magistrati valgono a far tollerare sin le cattive leggi, il governo piemontese, abrogando quelle di Napoli, l’antica magistratura non riformava, ma disfacea del tutto, cacciandovi uomini ignoti ed ignari,

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a solo merito di parte o di giudizi politici patiti. E perché il reame di Napoli non avesse a dubitare menomamente che ridur lo si volesse a condizione di provincia misera ed impotente, Napoli, co’ pubblici archivi e co' Banchi, della direzione delle poste, di quella dei telegrafi si spogliava; quella della Zecca, prima dopo quella di Londra e di Vienna, s'intendeva distruggere; e ben presto e di necessità della suprema Corte di giustizia e di quella de’ Conti, degli ordini cavallereschi dovrà spogliarsi. I ministeri dogli affari Esteri di guerra e di Marina si abolivano, tutti gli altri a semplici uffizi si riduceano e da ultimo sin del simulacro di un luogotenente si spogliava, e sotto la ferula di un Prefetto si costituiva.

Così ed in tanti modi ed in si poco volger di tempo la fede religiosa, il sentimento morale, e Y importanza politica d'un già florido reame si oltraggiavano; gl'interessi materiali e le fortune private sen manometteano e capovolgeano; lo Stato e l’erario sen metteva sacco, quasi città presa d'assalto, l'orgoglio nazionale sen calpestava ed insanabilmente sen feriva.

E quali benefìzi in luogo di tante mine, di tanti spogli, di tante offese a Napoli si arrecavano? La gloria, l'unità e la grandezza d'Italia, dicevano; unità che impossibile cosa è per tante differenze di razze, d'indole, di costumi, di lingua, di storia; unità che era concetto di scuola e letteratura da non rendere capaci l'universale

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delle menti e che solo in arricchimento della già umile Torino si riduceva. I benefìzi della libertà si predicavano, e ben presto Napoli vide quali si fossero. Non mai più fiero governo si fece d'ogni norma di giustizia. Non contenti a gittar sulla via uffiziali pubblici e magistrati d'ogni grado, a distruggere ogni possibilità di resistenza a tutti quasi gli uffiziali del disciolto esercito veniano negati i gradi mercati col loro sangue sul Volturno, sul Garigliano a Gaeta, mentre i gradi si riconosceano degli uffiziali delle coorti garibaldine, e sin di coloro che gli aveano conseguiti a merito solo di cospiratori. Tutti gli uffiziali dell'esercito Napolitano i quali aveano, per la capitolazione di Gaeta, dritto a sceglier fra l'entrare nell'esercito piemontese, ò ritirarsi collo stipendio rispondente al loro grado, furono ridotti a misero sussidio, per taluni di due lire al giorno; ed a dover mendicare quel vergognoso pane dì per dì, innanzi la piazza militare di Napoli. Eppur d'altra fede dato aveano l'esempio i Borboni, quando, nel 1815, coperti dal vessillo Brittannico, dopo un bando decenne, rientravano nel reame, che tutti i gradi dell'esercito vinto riconoscevano e rispettavano. I soldati rientrati nelle loro case erano da' più furibondi annessionisti, la pubblica potestà tollerando, sputati in viso, percossi, cacciati nelle prigioni. I più fortunati campavano da quegli insulti e da quelle avanie con la fuga. Ma campare non poteva il pericolo quel generale Sebastiano Marulli, che,

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giunto appena in Napoli dalla ceduta Gaeta fu dai camorristi in popolosa via, proditoriamente assalito, percosso e quasi morto stramazzato al suolo. Ben presto i nuovi dominatori pel sospetto e pei timori che accompagnano sempre ogni nuova dominazione» si diedero ad imprigionare, a bandire, ad infierire. Una folla d' uomini onestissimi, e locati in alto nei primi gradi del patriziato si videro imprigionati e gittati in mezzo a' più infami malfattori. Una lunga catena d'uomini per natali, per possidenza o per. dottrina notissimi, moltissimi sacerdoti per pietà e costumi esemplari, furono ugualmente e per semplice sospetto gittati in ignobili carceri, confusi co’ sicari e co’ ladroni. Libertà individuale non vi ebbe più, che senza querela, senza processura e senza mandato di pubblica potestà, s'imprigionava. Talvolta secondo il capriccio di un camorrista, o d'una guardia nazionale, alcuni venivano arrestati» e senza alcun delitto per le pubbliche vie. Taluni sacerdoti, ed il Procurator generale Francesco Morelli in tal guisa furono arrestati, e senza processura, o ordine di magistrato, in via Toledo. Non vi ebbe più incolumità di domicilio, che le guardie nazionali, i camorristi, e sin la gioventù delle scuole si scapricciavano correndo alla casa di questo o di quello e trascinandoli in prigione. Gli uffiziali ed i generali che aveano combattuto sul Volturno ed al Garigliano, malgrado i patti di Capua, di Messina, di Gaeta, in luogo di aver uffizio nel nuovo esercito,

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o ritiro onorato, venivano di notte arrestati fra le pareti domestiche, accatastati sopra una nave e gittati in terra a Genova o trasferiti in Alessandria. Né alcuno si dava pensiero di annunziar loro di qual colpa fossero accagionati o per mandato di qual magistrato fossero imprigionati, o per ordine di qual potestà patissero quell'ostracismo o quella relegazione, (1) Gli uffiziali che fedeli erano stati al sacramento della milizia, combattendo sul Volturno ed a Gaeta, si erano visti negar non solo i gradi col loro sangue mercati e conseguiti, ma giunti appena in Napoli, dalla caduta Gaeta, erano stati condotti e relegati sull’aridissima isola di Ponza. Quei ch'erano stati costretti a varcar i confini pontifici, ed erano poi stati ammessi ai patti di Gaeta, in compenso della cessione di Messina e Civitella del Tronto, erano stati tratti da Civitavecchia e sulle stesse navi sarde imbarcati. Ma, giunti appena in Napoli, furono menati prigionieri, in mezzo a folta schiera d'armati, nei castelli, e dopo diciassette dì relegati in Ponza al pari degli altri infelici commilitoni.

E perché alle violazioni. di domicili, alle offese contro la libertà individuale spesso mancavano le delazioni e sino i sospetti, così il governo si facea reo di un delitto assai grave per le leggi napolitane, violando il segreto delle lettere. Indi si correva a furia ad imprigionar colui al quale per avventura si fosse diretta lettera da Marsiglia,

(1)V. giornali di Napoli e del Piemonte in Maggio 1861.

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da Malta, o da Roma, oppur i carabinieri ai cancelli dell'ufficio di posta attendeano colui che d'una lettera sospetta venisse a far richiesta. E quante sinistre interpretazioni alle manifestazioni delle più semplici gioje, affetti o speranze di famiglia non si davano per legittimare i più stravaganti e talvolta più contradittori imprigionamenti 1 Possibile non è certamente il negar fede a questi fatti, posciachè il ministero, essendo stato in Torino accusato di violazione del segreto delle lettere alla fede pubblica affidate, non altrimenti si difese se non negando i documenti. Ed è quel ministero che si diceva inceppato nel comprimere le rivolture del Napolitano, dalla legalità e guarentigie costituzionali! (1) E lo spavento degli arbitrari imprigionamenti è tale ormai che niun osa da Napoli recarsi negli Stati Pontifìci o viceversa, senza prendere, a cautela, la via di Livorno e sino di Marsiglia. Né basta talvolta: che alcuno già funzionario d'alto grado, volendo, esule volontario, rieder in patria dopo sei mesi, non prima si annunzio pel suo nome, che venne condotto in carcere. (2) Qual fosse poi il cammino tenuto dalla giustizia, non è da dire, che il Duca di Caianiello languì valetudinario in crudele prigione per oltre ad otto mesi, per esser poi mandato in libertà come innocente. Il Principe d'Ottajano il fu dopo quattro;

(1)V. Sessione del Parlamento Italiano del Decembre 1851.

(2)V. la giustificazione del Pres. Tofano su Pasquale Mirabella.

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ma un numero infinito giacciono tuttora in carcere, da Dicembre 1860 alcuni, altri da Gennaio e Febbraio 1861. E quanti sieno questi miseri è da stupire. Parve esagerazione di spirito di parte l'aver detto che, non bastando le carceri, gl'imprigionati fossero stivati nelle sepolture, eppure in molti paesi, segnatamente della Basilicata, il fatto era vero; e da non potersi menomamente rpear in dubbio. Nella sola Napoli i detenuti sorpassarono il numero di tredici mila, quanti non ve n'ebber mai per lo innanzi per reati comuni e politici in tutto intero il reame.

Qual cura si dassero i magistrati, a sollecitare i giudizi, atterriti o complici che fossero, si vedrà da questo che la G. C. Criminale di S. Maria mandò in libertà, ma dopo lungo carcere, trecento e più individui, imprigionati per arbitrio delle potestà locali, e che i testimoni sino dal primo istante dichiaravano, innocenti. (1) Basterà il citare la giustificazione del Presidente della G. G. Criminale di Napoli, Sig. Giacomo Tofano, il quale, supponendo essere stato rimosso d'uffizio per lentezza nello spedir i giudizi politici, pubblicava esser vera la lentezza, ma antiveggenza politica in lui, perché costretto per deficienza di prove a mettere in libertà i detenuti, se ne sarebbe fatto più pericoloso lo stato del reame.

(1)Requisitoria e decisione della G. G. di Terra di Lavoro. V. la settimana de 13 Giugno.

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Dichiarava unicamente di aver molti imprigionati e detenuti sol perché fervea nel reame il brigantaggio! (1) L'Inghilterra da Jeffreys udì mai altrettanto? E che egli in ciò seguisse il pensiero del governo Piemontese, sarà chiaro dalla prescrizione del Ministro di Polizia, Sig. Raffaele Conforti, il quale ingiungeva ai governatori delle province di ritener in carcere coloro che per avventura da' magistrati fossero dichiarati innocenti e posti in libertà. La qual impudente violazione d'ogni giustizia se trovò molti complici, trovò pure un governatore che sdegnò di bruttarsi di simili lordure, e si dimise. (2) Recentissimi poi sono gì' imprigionamenti che in Sicilia ed in Palermo segnatamente avvenner ed avvengono ed in numero grandissimo e senza processura, e consigliati dalle sole apprensioni d'un governo che si sente odiato. Così mentre in Inghilterra un infimo operaio, sia di Notts, sia di Bolton, sotto l'egida della legge dell'habeas corpus, rimane tranquillo e sicuro sino che non si faccia reo d'un delitto; che può andar libero con sicurtà, che, reo, fra tre mesi viene giudicato dalle assise, ed assoluto, ottiene sull'istante la sua liberazione; in Napoli, sotto il governo Italico, uomini più illustri per casato ed uffizi, insigni per dottrina, venerati per gradi di milizia veniano insidiati nelle proprie case, cacciati in esilio, gittati in prigione per lunghissimo tempo,

(1)V. Documento num. VII.

(2)V. Documento num. VIII.

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ed anche assoluti dal magistrato, in carcere trattenuti.

I benefizi della libertà si predicavano, e quella della stampa ad ogni istante si violava, che la libertà nel trionfo e dispotismo d' una sola opinione si tramutava, e tutt'i redattori di giornali che a far aperto la miseria in cui era caduto il reame ed a svelarne le piaghe intendevano, venian dalla pubblica potestà chiamati in giudizio, multati ed imprigionati. E perché le stesse apparenze della giustizia si sdegnavano, i giornali indi a ppco arbitrariamente si sopprimeano, i gerenti, senza mandato di potestà alcuna §' incarceravano; più tardi a furia di satelliti le tipografie si assalivano, i torchi si spezzavano, i tipi si disperde ano, i giornali in falò nelle pubbliche piazze e tra frenetiche grida si bruciavano. A questo modo la Settimana, la Gazzetta del Mezzodì, la Stampa Meridionale, l’Araldo, il Cattolico, la Croce Rossa ecc. per diverse volte si distruggevano, (i) Né il popolo Inglese sarà di questi fatti stupito, se nello stesso territorio Britannico un capitano di nave sarda da guerra, violando le leggi e l'ospitalità Britannica di questa maniera di eccessi, de’ quali in Napoli si prese l’iniquo vezzo, si faceva colpevole. (2) E mentre così ogni libertà si manometteva, ogni legge era fatta scherno e ludibrio d'ogni più malnata passione, si osava

(1)Giornali di Napoli del 1861 ed il Documento. Num VI,

(2)V. Ordine di Malia del 13 Dicembre 1861, num. 650.

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dal ministro piemontese dir all'Europa che la pacificazione delle province del già reame di Napoli riuscisse difficile appunto pel geloso rispetto avuto alle franchigie constituzionali!

Niuno dunque meraviglierà (ed il popolo Inglese sì geloso della giustizia e della legalità meno che altri mai) se in poco più di tre mesi dalla caduta di Gaeta le popolazioni del reame di Napoli che già parevano compresse, comecché frementi del loro nuovo destino, ad un tratto qua e là balzassero nuovamente in pie, impugnando inserpentite le armi contro l'esiziale dominazione. Ed in qual modo e con quali armi il Piemonte intese da quel momento a comprimerle e soggiogarle? I più nefandi ricordi delle guerre civili a petto alle atrocità piemontesi impallidiscono. Bandirsi non osava legge stataria, che stato sarebbe bandir la propria immanità ed impotenza; ma le riluttanti popolazioni si preferì di sterminare militarmente e senza giudizi. I Pinelli, i Nigra, i Galateri, ed altri duci dell'esercito sabaudo bandivano una guerra di esterminio, nella quale la pietà un misfatto. (1) Né si rimasero alle sole minacce.

Dappertutto, ove gl'insorti nelle mani Piemontesi cadevano, erano spietatamente e sull'istante moschettati. Ecatombe di quaranta o cinquanta per volta in moltissimi luoghi si videro, a Montecilfone il furono quarantasette

(1)V. Documento num. IX.

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sopra ottanta prigionieri; a Montefalcione cinquanta, ricovratisi nello stesso tempio dì Dio, furono scannatici) Né i soli trovati colle armi alla mano ma quelli bensì come aderenti dell’insurgenza da vendetta o timori indicati, erano soldatescamente uccisi. Un pastore nelle vicinanze di Pozzuoli trovato a dormire ne' campi da un ufficiale capo ad una mano di Piemontesi ed increscioso di fare delle indagini nel vicino abitato, fu sull'istante ucciso. Taluni contadini nelle vicinanze di Noia, molti villici ne' dintorni di Avellino e di Sansevero, un numero infinito di pacifici carbonieri del Gargano, per semplice delazione, o al più lieve sospetto ebbero la stessa sorte. In Calabria, non meno di ottantadue; nel sol distretto di Geraci, fra' quali il Barone Franco e lo Zio vennero sull’istante e spietatamente messi a morte. A niun concesso, pria di morire e per impazienza dei carnefici, gli estremi conforti della religione. Di quanti strazi spesso martoriati pria del supplizio, impossibile a dire. Tredici già soldati napolitani, eran imprigionati presso Lecce, e condotti innanzi al giudice più vicino. Ma quando questi chiedea de’ prigionieri, gli si rispondeva, riposar presso l'abitato: i soldati della scorta li aveano moschettati. Parca che dalla rabbia indiana del nuovo mondo queste Orde sabaude fossero invase. Eppure quegl'insorgenti, che di briganti si qualificavano, di sì feroci vendette non si faceano rei, ed i prigionieri o rimandavano o rispettavano.

(1)V. Mozione d'inchiesta del deputalo Duca di Maddaloni. Nizza 1861.

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Entrato in Somma, terra posta sì presso a Napoli, una mano di Piemontesi, il capo che li guidava fé' a sé condurre dalle loro case sei sventurati indicati come aventi intelligenze e pratiche cogl’insorti, e senza altro udirne, li fé sull’istante porre a morte. Fra quei sei assassinati era pur un uffiziale di guardia nazionale, ventenne e lieto da qualche dì per conseguite nozze Ed un ribaldo solo nelle sue delazioni era bastato al capitano conte del Bosco ad ordinar quelle stragi! Menato il conte, dietro il clamor pubblico, in giudizio, fu da' giudici mandato assoluto. Il consiglio di guerra, riunito in Torino, non del carnefice, ma delle vittime sentenziava, e ad assolver l’uno, dichiarava con postumo giudizio, che le altre erano colpevoli di connivenza con gl'insorti. Ma qual magistrato le avea giudicate, qual legge si era loro applicata, da chi era il Conte facoltato a quell iniqua strage? Ville, casolari, capanne eh' esser potessero, ricovero agl'insorti, dati alle fiamme; al cader del dì tutti i villici costretti, a riparare, pena il capo, nell’abitato. Famiglie intere, orbate di padri o di mariti, scorrono, prive di pane e di tetto le campagne, (1)

Né a queste inique uccisioni le centurie de’ subalpini soldati si arrestavano.

Dalla ferina rabbia de’ capi sospinte, quelle soldatesche le terre ove più forte resistenza incontravano, con ferocia Irocchese, a ferro ed a fuoco metteano.

(1)V. Documento num. X.

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Le popolazioni atterrite videro gli eccidi, le stragi di Ariano, di Frasso, Paludi, Montemiletto, Torrecuso, di Paopisi, di Santantimo e d'Isernia; le ruine di S. Marco in Lamis, di Viesti, di Cotronei, di Spinello, di Rignano, di Vico di Palma, di Barile di Campodichiaro, di Guardiaregia, di Montefalcione, riempite di saccheggi, stupri, e sagrilegi d'ogni maniera. Con orrore videro le ruine e le stragi di Auletta, nella quale penetrando le soldatesche ebre di sangue, il comandante, di sua mano, facea fuoco col suo revolver addosso a quanti come reazionari gli venivan indicati. Il diario ufficiale di Napoli annunziava le truppe reali esser entrate in Trivigno, e di aver ucciso quaranta fra resistenti legittimisti (1). Eppur niuno era che non sapesse gl'insorti esser usciti da molto innanzi dalla città e gli uccisi esser miseri che la paura avea cacciato in fuga, o che, vista la città in poter de’ reali, con sventurata sicurezza in un salvo condotto del sindaco, vi eran rientrati. E coloro che li metteano a morte, eran quegli stessi Ungheresi, che delle stragi di Montefalcione si eran lordati! Tutti il sapeano l'orrendo fatto, ma il terrore aggiacciava le labbra di tutti. Ma dove è che non sia giunto il grido dell’esterminio di Pontelandolfo e di Casalduni? A vendicar la morte di taluni soldati, una squadra di rabbiosi Piemontesi piomba su quelle misere terre, le da alle fiamme;

(1)Giornale ufficiale del Dicembre 1861.

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uomini, donne, vecchi, fanciulli tutto involgendo tra le fiamme e le mine. E non si apria la terra! (1) Ebbe altra volta Inghilterra a lagrimar per guerre civili; ed erano pur altri i tempi, altri i costumi; ma di simili orrori ed inumani stragi non vide pur mai. Qual terra di Scozia e d'Irlanda fu sottoposta al fato di queste incenerite terre napolitano? Ed intanto il generale Cialdini, che quell'esterminio avea comandato, il palesava al mondo col diario uffiziale, annunziando che giustizia era stata fatta di Pontelandolfo e Casalduni! Più tardi quando questi lanzichenecchi di Piemonte s'insanguinavano nelle stragi di Castellammare di Sicilia (2) il Qucstor di Palermo annunziava pubblicamente: in Castellammare già si fece rigorosa giustizia; e giustizia era l’aver a colpi di baionette a dritta ed a manca scannato. Si prometteva amnistia, si bandìa salva la vita a chi spontaneo si presentasse, e con punica fede, i presentati a Livardi, a Caserta e nell'agro Nolano, ed in molte altre terre, poscia si moschettavano. I genitori di molte vittime pel dolore uscivan di senno e vagan tutto dì per le campagne in traccia de' trucidati figliuoli. (3) I soli Proconsoli Francesi del 1793 ne sarebbero stati capaci. Eppur quelli credean punir cittadini alla patria ribellati,

(1)V. Aringa del deputato Ferrari nel Parlamento Italiano

(2)Documento n. XI.

(3)V. Mozione del deputalo Duca di Maddaloni, e l'esposizione del deputato Ferrari nel Parlamento italiano.

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ed i Piemontesi punivan uomini insorti contro l'oppressione straniera. Recentissima è la strage di venticinque fra spagnoli e napolitani, che intendean ad abbandonar le terre del reame, si ritraevan fuori dalla insurrezione, ed cran presso a riparar nelle terre della Chiesa. Assaliti, si arrendean e ponevan giù le armi; e quella resa importava salvezza della vita, che, ove ciò non avessero sperato, colle armi alla mano sarebbcr periti ed avrebber almen la loro morte con quella di molti nemici vendicata. Ma appena spogliatisi delle loro armi, vennero moschettati! Eppur loro capo era un generale che avea sin da' primordi della sua generosa impresa offerto ai Piemontesi di combatter a buona guerra e senza violar le leggi dell'umanità. Eppur quegli sventurati erano stati colti mentre riposavano e mentre ogni idea di guerra aveano smessa. Eppur i fratelli Bandiera, sbarcati a ribellar il reame nel 1843 con un eguale numero di seguaci, ebber giudizio, non istantaneo, ebber difensori, un degli accusati andò assoluto, e sopra ventuno a dodici venne fatta grazia della vita! Ed in quel tempo intanto pur si gridò che i fratelli Bandiera, presi coll'armi alla mano in flagranza di rivolta, difesi e giudicati, stati fosser assassinati! E Borjes ed i suoi che si ritraevan dall'osteggiare ed abbandonavano ogni pensier di resistenza per comando di un maggior Piemontese, eran militarmente trucidati, e l’opera di sangue sembra un necessario e santo olocausto al pensiero dell'Italia unita!

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E l'Inghilterra che tanti sagrifici fece per la causa ellenica, che pugné a Navarino per la salvezza de’ cristiani dalle scimitarre de’ Turchi, che ha visto accorrer legioni francesi in Siria a salvar i cristiani dal fanatismo Musulmano, l'Inghilterra veder potrebbe senza orrore il sangue versato nel reame di Napoli da' cristiani fra loro, e con rabbia da Caino! L'Inghilterra che altra volta tanto si commosse quando nel secolo XVII. fu invaso per irrequieta ambizione S. Marino; l'Inghilterra che aiutò sì lungamente agli sforzi della Corsica, che protestò recentemente nel veder distrutta l'esistenza politica di Cracovia, l'Inghilterra vedrà senza rancore distrutta l'indipendenza del reame delle Sicilie, e la monarchia di que' Borboni sì fedeli alleatile per tanti trattati all'Inghilterra legati? Che un reame giardino d'Italia, d'ogni tesoro di arti, di scienze, di lettere e di armi ricchissimo; per tanti uomini illustri, antesignani in molte branche dell'umano sapere, nobilissimo; fiorente per commercio ed industrie ed in tanta civiltà inoltrato venga ad un tratto dalla carta d'Europa cancellato? Una città per serenità di ciclo, per abbondanza di doni celesti, per frequenza di popolo celebrata, ridotta a spregiato municipio? Un popolo per la vivacità dell'indole e dell'ingegno notissimo, condannato qual turba di deditizi a perder il lustro e sin la coscienza della sua autonomia? Saran fatali a' Napolitani dunque le predilezioni, onde di tanti doni li ricolmava il cielo? L'Inghilterra che per un quarto di secolo lottò

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contro la rivoluzione francese, tollererà che le conseguenze se ne facciano sentir dappertutto, e che una mano di apostoli di quella rivoluzione Napoli, l’Italia e l'Europa intera, ove il torrente non s'infreni, sovvertano? L'Inghilterra garante de’ trattati del 1815, li vedrà conculcati a danno di una potenza ad essa amicissima? E s'infrangano, malgrado i patti e le più solenni assicurazioni? Ed aver si potrà d'oggi innanzi fede nel diritto delle genti, nella parola de’ trattati, drizzar si potran più le tavole d'un congresso, se si permetterà che il Piemonte colga il frutto di tante mali arti, delle insidie rivoluzionarie, d'una guerra iniquamente rotta, d'un reame proditoriamente assalito per rovesciar la monarchia de’ Borboni e distruggere l'indipendenza d'un popolo antichissimo!

DOCUMENTI

I.

Dopo il mio avviso, giorno 26 Settembre, la reazione che era stata alquanto spenta in Bovino si mostrò nel popoloso comune di Montesantangelo, poi nel prossimo di Matinata, e poi giorno per giorno in Peschici, in Vico ed in S. Marco in Lamis sulGargano; in Apricena appiè di questo monte; in S. Bartolomeo, sul confine di questa e quella di Molise; in Montefalcone, distretto di Bovino.»

…........... «I movimenti del Gargano hanno avuto colore politico. Colà le popolazioni, tra il finire di Settembre ed il cominciare di Ottobre, pare avessero ceduto ad un motto venuto di fuori e forse comunicalo da' numerosi soldati sbandati. In tutti questi paesi le immagini del re galantuomo e del dittatore sono state calpestate e restituite quelle di Francesco II e cantati Te Deum in lode di questo».

«Come più fresca nuova le mando che in Biccari è avvenuta domenica scorsa una grave insurrezione politica al grido di Francesco II. La guardia nazionale è stata disarmata; un milite ucciso, due feriti. I contadini guidati da' soldati sbandati e da' preti si sono trincerati nel paese, sparso di siepi e di vigne e vietano a ciascuno l'entrata e l'uscita».

….........................

Il giorno del plebiscito è stato per questa provincia un giorno d'insurrezione, ed i comizi di più comuni non si son raccolti. Si sono fatti e si fanno sforzi straordinari

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perché il movimento non fosse generale; ma mancano soldati ed armi, ed il potere ordinario qui è divenuto impotente contro i tentativi e contro gli attuamenti di reazione. Il più feroce di tali tentativi è avvenuto domenica in S. Giovanni Rotondo sul Gargano, e con dolore debbo manifestarle, che per le forze che gl'insorti spiegano, per la disciplina che mantengono, e per l'immanità degli atti, questa mi appare ed è veramente la più dura a vincere fra le ribellioni affacciatesi prima e dopo il Settembre. Io sono accorso sul luogo ieri e ne sono ritornato stasera alle 8 pom. in compagnia di 50 militi mobilizzati di questo Capoluogo, di una colonna di 360 soldati del reggimento de cacciatori veneti, transitanti per qui sotto il comando del generale Romano. Giungemmo ieri sera a due ore di notte intorno al paese, che trovammo barricato in tutte le entrate, guardato da 5 a 600 uomini armati, alla cui testa erano più che 400 soldati e bassi ufficiali sbandati, provvisti di canne rigate, disciplinati e combattenti con ordine e santo. Quantunque l'ora fosse tarda profittammo della luna per avvanzarci fino alle prime case; ma dalle feritole aperte nelle barricate di pietra, ci piovve addosso una grandine di palle, innanzi alla quale questi militi non avvezzi si fecero indietro. I garibaldini che tutta la notte si erano fortificati in un convento lungi un miglio dall'abitato, e che stamattina ne sono usciti per attaccare, hanno visto parecchi de’ loro uccisi, parecchi prigionieri ed il resto fuggire. Un soccorso di mille e più armati venuti nell'azione in aiuto de’ rivoltosi dal vicino e popoloso comune di S. Marco in Lamis è stata la cagione della disfatta de’ soldati. Io sono corso in Manfredonia e mi sono procurato due cannoni da un capitano di nave mercantile, vi ho fatto fare gli affusti, le palle, le mitraglie e domani saranno pronti. Ho pregato il generale Romano di condurre domani tutte le compagnie che ha disponibili e vi andrà in persona con 900 uomini di fanteria,40 guide a cavallo,24 dragoni,100 guardie nazionali di Montesantangelo,

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 50 di Manfredonia,20 di Prignano. L'assalto si darà dopodomani e la terrò avvertita del risultato. La resistenza ho per fermo che sarà accanita e la lotta sanguinosa. Tutto il Gargano, come a dire S. Nicandro, Cagnano, Viesti, Poggioimperiale ed altro comune stanno per imitare l'esempio di S. Giovanni Rotondo, e di S Marco in Lamis; e da' comuni di Biccari, Vulturino, Vulturara, Roseto, Montefalcone ed altri degli Appennini mi vengono annunzi di simili movimenti. In Accadia vi è stato pure domenica spargimento di sangue e due vittime. Innanzi alla imponenza di tali fatti, io mi veggo nella necessità, ed in difetto di armi e di soldati a chiederle l'esercizio de’ poteri illimitati».

Ed immediatamente il Ministro di Polizia rispondeva al Governatore col seguente dispaccio telegrafico. .

«Considerando le tristi condizioni politiche di codesta provincia, lo autorizzo ad assumere i pieni poteri nella circostanza di ristabilire l'ordine, fiducioso della di lei operosità e giustizia vorrà esercitarli con prudenza, sino a che crederà di non esservene duopo».

In conseguenza di che, il Governatore emanò il seguente bando.

«1.° Tutti coloro che attenteranno alle private proprietà e saranno colti in flagranza verranno sottoposti ai consigli di guerra. 2.° Chiunque si fa reo di uccisione o di violazione all'onore delle donne sarà immantinenti fucilato. 3.° I soldati sbandati o congedali alla entrata del Dittatore Garibaldi nelle due Sicilie dovranno presentarsi pel dì 3 Novembre sia in questa residenza, sia in Lucera presso il Procuratore G. Dopo quel giorno saranno ritenuti come disertori e puniti ai termini dello Statuto penale militare. 4. ° Gli autori di fatti e detti tendenti a spargere il malcontento, saranno giudicati con forme sommarie dalla G. Corte Criminale della provincia, elevata a Corte Speciale e condannati al maximum della pena del primo grado di ferri. 5. ° I giudici, i sindaci ed i comandanti le guardie Nazionali in quei comuni dove avvengono moti

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insurrezionali, saranno ritenuti come complici e fautori, se non avranno prevenuta la prima autorità giudiziaria o amministrativa della provincia degl’indizi o sospetti della reazione. 6. ° Tutti coloro che saranno condannati per i precedenti articoli, dovranno pagare i danni ed interessi alle famiglie delle vittime, da liquidarsi con la stessa decisione di condanna».

Il 7 Novembre il Governatore scriveva al Maggiore Commissario Rebecchi.

«Mio caro Rebecchi — Le accludo un ufficio pel quale le delego i pieni poteri. Il giudizio che il Consiglio di guerra ha dato stanotte mi sembra assai severo. Ai macelli fatti da' ribelli noi ne aggiungiamo legalmente un altro. Sono tredici vittime che aggiungiamo alle trenta perite nel carcere e nelle campagne per. opera de' malvagi. È un olocausto di carne umana che facciamo a' Borboni, i quali certamente ne rideranno da demoni Ma hasta fin qui. In Cagnano uno o due vittime saranno Sufficienti a vendicare la società offesa. Se le verrà in mano per esempio Francesco Cascarilla importa all'onore del paese ohe un mostro simile vada capitalmente punito; ma intorno a' perversi è utile che la clemenza del nuovo governo si mostri un po' più larga per emendarli».

L'istesso giorno in un telegramma al Ministro dell'interno il governatore diceva:

«Arrivo adesso che sono le ore 8 pom. da S. Giovanni Rotondo. Il Consiglio di guerra ha condannato alla fucilazione 13 di quegli assassini. Ne ho fatto eseguire dieci; si è sospeso per altri tre, aspettando da voi una commutazione di pena. I morti sono troppi.

In un rapporto al Ministro in cui racconta gli stessi fatti soggiunge:

«Le spese che s'incontravano pe' soldati del generale Romano e per le guardie nazionali mobilizzate, mi mettevano nella necessità d'imporre delle taglie e le ho imposte nella cifra di ducati seimila, metà sul clero e metà su' cittadini di S. Marco in Lamis.

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Per ducati 4000 con eguale repartizione sul comune di Cagnano, e per ducati diecimila sul comune di S. Giovanni Rotondo distribuendo 5,000 sulla popolazione, 3,000 sul clero e 2,000 sovra un Convento di Cappuccini che fu nido e ricovero a' soldati sbandati».

DEL GIUDICE GOVERNATORE DI CAPITANATA

(V. Corrispondenza officiale del Governatore di Capitanata ecc.)

II.

MONSIEUR

Par ma circulaire du 1er ’de ce mois n.° 8, je mettais V. E. au courant des opérations militaires de l'armée royale à la suite des mouvements exécutés ou à exécuter par les forces régulières du Piémont, et de la manière dont les troupes du roi sont parvenues à camper sur la rive du Garigliano... Un tei pian de guerre aurait été adopté non seulement en vue des principes de la science, mais aussi à cause des dispositions de la flotte francese; car l'amiral Le Barbier de Tinan aurait expressement dédaré qu'il s'opposerait à toute attaque navale du Piémont sur la ligne comprise entre les deux points du Garigliano et de Sperlonga...

Signé, CASELLA

(Circulaire aux représenlanls da Roi  l'étranger.)

Gaéte 3 Novembre 1860

III.

Il Generale Grenet al Ministbo Casella Velletri 3 Dicembre 1860

Stimo mio dovere trascrivere all'È. V. l'ufficio di questo sig. generale francese, di jeri, N. 330, al quale ho risposto come l’E. V.

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si degnerà scorgere qui appresso, senza incaricarmi del suo suggerimento e della sua dimanda.

«Je m'empresse de vous faire connaitre que Mr. le général comte de Goyon command en chef, vient de recevoir une lettre du général Cialdini, qui repousse toutes les propositions qui lui avaient été faites dans l'intérêt des troupes napolitaines réfugiées sur le territoire Pontifical. Cette lettre amène la rupture de toutes «négociations: nos délégués sont rappelés».

«Veuillez, je vous prie, porter ces faits à la con«naissance des officiers et des soldats de l'armée napolitaine, en les informant, qu'ils restent libres de se retirer comme bon leur semble, et où ils voudront; mais en quittant le territoire Pontifical et les points où ils sont rassemblés, ils cesseront en même temps d'avoir droit aux. rations et aux secours qui leur sont accordés».

«Le prince d'Altomonte chargé d'affaires de Naples, le colonel della Rocca, et le capitaine Luvarà tous a Rome, au nom du Roi François II reçoivent communication de ces faits, et ils vont donner des congès de liberation aux soldato, et s'occuper des moyens de faire repatrier les étrangers.

«Je vous prie de vouloir bien me faire connaitre «l'impression que va produire sur les troupes napolitaines, la rupture de nos négociations avec le general Cialdini, et du parti qui sera pris par les refugiés par suite de cette nouvelle position. Recevez, mon cher general, l'assurance de mes sentiments affectueux et «distingués».

Ho l'onore manifestarle in risposta al distinto foglio di jeri N. 306, che tutti gli uffiziali, sott'uffiziali e soldati han già dichiarato ognuno la loro volontà, aperta dimissione, o congedo, o per rimanere al real servizio. Pe' primi aspetto i fogli stampati per rilasciarli agi' individui appena mi perverranno, e pe' secondi sono in attenzione di superiore risoluzione.

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III. bis

Il numerario che nel Banco al 27 Agosto 1860 era di Ducati 49,316,295,11, al 27 Agosto 1860 era sceso a 10,930,811,69. Al 28 Gennaro 1861, scendeva ancora a D. 7,900,115,11. Al 2 Aprile non si avevano più di Ducati 6,983,724,51 (Segretariato Generale delle finanze di Napoli p. 16. Napoli 1861.)

IV.

«Nel solo ordine Costantiniano si ebbe un Sparti mio di 7,000 ducati... si aboliron molte commissioni per amministrar beni de Gesuiti ecc. (p. 40)... Si pareggiava il premio de' ricevitori de fondachi delle«privative a quelle de medesimi funzionari dell'alta Italia, e si procurò un vantaggio alle finanze di ben 18000 ducati, p. 41.

«E non è forse inutile accennare come le spese variabili del Dicastero che salivano da 2000 a 3,800 ducati in ogni mese, si siano man mano diminuite al punto di farle discendere a 400 ducati. (Segretariato Generale delle finanze di Napoli p. 42)

V.

«Dal 1 Aprile al 31 Ottobre 1861 nel primo quadrimestre, vi ebbe un disavanzo di D. 8,365,351,94. pag. 13.

«Dal 7 Settembre al 31 Dicembre 1860 le entrate ammontarono a 6,970,347,82; e le uscite a D. 17,422,385,80;

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il disavanzo perciò fu di D. 10,452,037,98... e per tutto il 1860 per D. 25,086,771,74. pag. 52

….........................................

«Il totale disavanzo del 1861 sarà di poco più di D. 20,000,000, secondochè si era preveduto sin dall'Aprile. Messo in confronto col disavanzo del 1860, si et ha una differenza in meno di circa 5,000,000 di ducati, (idem).

Si vendeva per sopperire al disavanzo del 1860 fra l'altro col prodotto della rendita venduta pel capitale di 17,300,35,227,48; e coll'introito fatto della vendita de' grani del Governo in D. 2,335,938,80. (V. a p. 53)... Al totale disavanzo del 1861 si sopperiva fra l’altro col prodotto delle rendite sul Gran Libro, di proprietà della Finanza Napoletana, in D. 8,219,368,15. p. 56... E con altri grani del Governo venduti in D. 17,54,94. p. 55...

VI.

Il Governo centrale spediva in Napoli 2,670,891,99; e coll'introito fatto sul prestito nazionale del Governo centrale, dedotte le restituzioni del primo decimo, in 362,230,18 p. 55.

VII.

Sig. Procuratore Generale

«Do riscontro al suo officio di ieri, giuntomi stamane, col quale mi dice che per disposizione del Dicastero di Grazia e Giustizia rimettessi all'istante all'uffizio

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di procura il processo a carico tra gli altri del duca di Caianello.

«Venerdì mattina diressi una lettera all'onorevole Sig. presidente Cannavina, pregandolo di nominar subito, per non metter tempo in mezzo al corso della giustizia, 'il commissario dei due processi politici, quello cioè a carico del duca di Caianello, e quello di Monsignor Cenatiempo.

…..........................................

«Troverà delle requisitorie di libertà per taluni fra ì catturati o qui dalla questura, o altrove dagli istruttori, e troverà che taluni di essi, anche senza favorevole requisitoria, avrebbero potuto essere escarcerati, assoggettandoli ad un modo di custodia esteriore. Io non lo avea fatto sinora, e perché voleva un poco più approfondire nella istruzione, e perché eravamo circondati dal brigantaggio assoldato dalla reazione borbonica.

«Troverà la processura a carico del noto Mirabili Centurione, nella quale, a mia proposta, la G. Corte non fece diritto ad una requisitoria di libertà, e fui indotto alla proposta, e dalla stessa misura di prudenza, e dalla trista celebrità del Mirabelli, che si permise ritornare dall'estero a Napoli sul finire di marzo, epoca precisa della, cospirazione Caianello.

«Troverà processo che riguarda il principe di Ottaiano, e sul quale avrei dovuto proporre una dichiarazione d'innocenza. Noi feci perché voleva approfondire sulla materia vieppiù pel processo giuntomi da Salerno ed istruito a Sarno, a carico dei quattro soldati borbonici Alfonso Amato, Domenico Esposito, Aniello Manna, e Guglielmo Crescenzo, nella quale processura si nomina l'Ottaiano; e benché dal prosieguo d'istruzione da me fatto a Salerno, si faccia quasi manifesto che vi fu, se non altro, errore, e quindi avrei potuto anche proporre la liberazione dei dei quattro indiziati, io noi feci per l'addotta ragione:» ed era deciso di recarmi sopra luogo a Sarno per esaurire tutte le indagini.

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«Troverà la processura a carico di Carlo De Gennaro • Pasquale D'Angelo per una sorpresa di 67 rotola di polvere e di tre rotola di capsule. Con il prosieguo d'istruzione da me fatto a Salerno, smentii il discarico che i prevenuti mettevano in campo, e non debbo tacerle che io fui convinto che detti generi sorpresi servivano per la reazione. E però non essendoci che una semplice sorpresa, e non essendomi riuscito ancora di sentire il vero dai labbri dei prevenuti, o di avere altro elemento di loro reità, nella lusinga di raggiungerlo, non mi permisi di proporre la liberazione dei due prevenuti.

«Troverà la processura a carico di Antonio Apice ed altri, giunta dopo replicate mie inchieste dalla Provincia di Benevento, e passala a me con di Lei requisitoria il giorno 9 del caduto agosto. Quella processura è interessante sol perché vi si nomina Caianello.

«Troverà al fogl. 34 del vol. d'istruzione da me accapata a carico del Caianello, un rapporto del 27 aprile di questo Dicastero dell’Interno e Polizia. Ed io ho ripetutamente insistito perché quella processura o almeno le copie legali degli atti che indiziavano il Caianello mi venissero rimessi, dopo la decisione del 3 maggio di questa G. Corte, colla quale avocava a se tutte le istruzioni che avessero nesso col detto reato, tanto più che il Caianello possiede la maggior parte della sua fortuna in quei siti, e si reca spessissimo a Teano ove passa anche i mesi di villeggiatura. Ma fino al momento quella processura non mi è stata inviata, né la G. Corte di S. Maria di Capua ha emesso decisione in corrispondenza di quella del 3 maggio pronunziata da questa G. Corte. Quindi non avendo io poteri per istruire in quella provincia, non poteva far altro che insistere; e con mio rapporto a questo dicastero di grazia e giustizia queste cose diceva, aggiungendo che la importanza di quella istruzione, il Mandamento ove si occupava, l'influenza del Caianiello e l'inqualificabile ritardo, ingeneravano in me il sospetto che in quella processura si avesse potuto usar delle arti per occultare il vero.

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Scorgerà da molte antecedenti decisioni di questa 6. Corte che già taluni dei processi della provincia di Salerno, dopo che io istruii sopra luogo sono stati restituiti alla competenza di quella G. Corte, non essendo in essi indizio alcuno a carico del Caianiello.

Il Presidente GIACOMO TOFANO

VIII.

«Con suo foglio del 16 corrente Ella dispone che i detenuti con la nota di reazionari, quando anche venissero assoluti dal potere giudiziario, restino in carcere a disposizione di codesto Ministero». Apertamente le manifesto che fino a quando io reggerò la cosa pubblica in questa provincia, non mi uniformerò a tali sue disposizioni.

DEL GIUDICE Governatore di Capitanata al Ministro

di Polizia.

Foggia 20 Ottobre 1860.

VIII. bis

PROCURA GENERALE PRESSO 

LA GRAN CORTE CRIMINALE DELLA PROVINCIA DI NAPOLI

Gli atti di violenza commessi nella sera di sabato e in quella di martedì contro alcuni giornali e alcune tipografie di questa città non possono non fissare in particolar modo l'attenzione del Magistrato cui è commesso di tutelare l'esercizio legale del dritto di libera stampa, come di reprimere lo abuso.

Il Procuratore Generale del Re presso la G. Corte Criminale sente altamente il bisogno di levare la sua voce, nel fine di evitare che l'opinione pubblica, fuorviata da men retto giudizio, abbia a reputare per qualunque verso scusabili degli eccessi che niuna considerazione può giustificare.

Pertanto non sarà fuor di proposito rassicurare i cittadini gelosi delle libere istituzioni, che la missione pe1 reati di stampa, è adempiuta con la debita vigilanza.

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 Ma nel tempo stesso non è da obbliare che la repressione vuoi essere rigorosamente circoscritta ai casi dalla legge contemplati; e che, uscendo da questi limiti, s'infrange una delle più essenziali guarentigie di un libero governo, e si viola lo Statuto costituzionale che le consacra. Si scrollano poi i cardini stessi dell'ordine sociale, quando all'azione calma e regolata delle autorità si sostituisce l'azione passionata e turbolenta delle masse... »

IX.

TELEGRAMMA AL GOVERNATORE DI MOLISE

Faccia pubblicare che fucilo tutti i paesani armati che piglio. Oggi ho già cominciato.

CIALDINI

Tutti i comuni della Provincia dove si son manifestati o si manifesteranno movimenti reazionari son dichiarati in istato d'assedio. In tutti i comuni sarà eseguito un rigoroso e generale disarmo...  I cittadini che mancheranno all'esibizione delle arme di qualunque natura, saran puniti con tutto il rigore delle leggi militari da un consiglio di guerra subitaneo. Gli attruppamenti saran dispersi colla forza. I reazionari presi coll'arma saran fucilati... Gli spargi tori di voci allarmanti saran considerati reazionari e puniti militarmente con rito sommario.

P. DE VIRGILI

Teramo 2 Novembre 1860

Soldati...  siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali la pietà è delitto. Noi annichiliremo e schiacceremo il sacerdote vampiro, il vicario non di Cristo, ma di Satana...  Purificheremo col ferro e col fuoco le regioni infettate dall'immonda sua bava.

Ascoli 3 Febbraro 1861

GENERALE PINELLI

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PROCLAMA DEL CAVALIERE GALATERI

COMANDANTE MILITARE DELLA PROVINCIA DI TERAMO

Vengo in difesa della umanità, della proprietà, in esterminio del brigantaggio. Buono co' buoni, sarò inesorabile e terribile co briganti.

Jeri fu svelto dalla propria famiglia un giovane, fu derubato e non restituito se non dopo il pagamento di una taglia che quei briganti avevano tirannescamente e barbaramante fissata.

I buoni non debbono lasciarsi sopraffare da' cattivi; S'armino di falci, di forche, di tridenti, e li perseguano ovunque; la guardia nazionale, la truppa sarà sempre a loro sostegno e difesa.

Chiunque darà ricetto ad un brigante sarà senza distinzione di età, di sesso, di condizione fucilato; lo stesso per le spie.

Chiunque richiestone, e sapendolo non presterà aiuto alla forza per scovrire il covo e le mosse di questi, avrà posto a sacco ed a fuoco la propria casa.

Saranno severamente puniti tutti i fautori di false ed allarmanti notizie.

Come la punizione seguirà la colpa, cosi il premio seguirà sempre la buon'azione. E sono uomo che tengo parola.

Il Comandante Militare CAV. GALATERI

Per copia conforme il SINDACO POLACCHI

CIRCOLARE URGENTISSIMA E RISERVATA A SINDACI ED 

A' CAPITANI DELLA GUARDIA NAZIONALE DI TERRA D'OTRANTO

Lecce 19 Luglio 1861

Signori Stiano le SS LL. prevenute a far reprimere dalle Guardie Nazionali qualunque moto, qualunque disordine che potesse verificarsi nel giorno 20 o nei dì seguenti del corrente mese.

Sorveglino gli andamenti di coloro che sono dichiaratamente avversi all'attuale Governo Trattasi della tutela della nostra libertà e della nostra santa causa italiana.

Il Governatore – CALENDA

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X.

BANDO

Montesantangelo 16 Settembre Tutt'i proprietari, Guaioli, pastori, campagnoli, abbandoneranno le loro proprietà, i loro animali, le loro campagne, le loro industrie, tutto, e si ritireranno fra 24 ore dalla pubblicazione del bando nei paesi ove hanno domicilio. In caso di disobbedienza saranno arrestati e tradotti in carcere.

MAGGIORE MARTINI

XI.

QUESTURA DI PALERMO

Un uffiziale del regio esercito, venuto da Castellamare, reca le seguenti notizie

«Le truppe comandate dal maggior generale Quintini sbarcarono a Castellamare. Si scontrarono con gl'insorti, che misero in fuga.

«Altre forze furono spedite stanotte per distruggere «interamente ogni reliquia di ribellione.

«In Castellamare già si fece rigorosa giustizia.

«Continui la consueta calma, e viva sicuro il popolo sulla sollecitudine ed energia del Governo.

4 Gennajo ore 8 p. m.

IL QUESTORE ACHILLE BASILI

IMPIEGATI NAPOLITANI

«Molte belle intelligenze vi si facevano rimarcare. E che che voglia dirsi in contrario vi si trovavano uomini di grande istruzione. Le scienze economiche, altrove generalmente sconosciute alla classe degl'impiegati, erano qui generalmente professate.

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«Facili e pronti i concetti, purgata ed elegante la lingua, si scostano le scritture degli uffici da quello amalgamo di parole convenzionali che altrove rimpinzano le corrispondenze ufficiali.

«In una parola, ne' diversi rami del Amministrazione delle Finanze Napolitane si trovavano tali capacità di cui si sarebbe onorato ogni qualunque più illuminato Governo, p. 12.

«Che cosa conchiuderemo da ciò? Che il buono che si aveva nelle diverse amministrazioni, ed era molto, era tutto dovuto all'abilità degl'impiegati p. 30.

«Il sistema di percezione di fondiaria la prima più importante delle risorse dello stato era incontra stabilmente il più spedito, semplice e sicuro che si avesse forse in Italia... Lo stato senza avervi quelle la minuziosa ingerenza che vi à in Francia... avea a assicurato a periodi fissi e ben determinati l'incasso del tributo colle più solide garanzie contr'ogni malversazione per parte de’ contabili    La Cassa di Ammortizzazione, non avendo più ragioni di essere coi nuovi ordinamenti, era destinata a sparire; non così la Direzione del Gran Libro di cui anzi potevano profittare i reggitori dello stato per modellare il servizio del Debito Pubblico nazionale, p. 11... Egregie somme venivano annualmente impiegate nella bonificazione de’ terreni paludosi, sia che spettassero allo stato, sia che fossero di proprietà Comunale ed anche privata. Da lunga serie di anni stavansi eseguendo tali operazioni nelle terre paludose poste nel bacino inferiore del Volturno. E, sebbene i lavori eseguiti fossero con molta lentezza, pure i frutti che seminavano non mancavano di esser proficui ed all'incremento dell’industria agri«colà, ed al benessere delle popolazioni per la migliorala condizione dell’aria Segretario Generale delle finanze di Napoli p. 17.

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SUGLI UOMINI DELLA RIVOLUZIONE

E LA RIFORMA LEGISLATIVA DEL REAME

Napoli 20 Maggio 1861

Pag. 6 Accanto ai patrioti onesti e liberali che aiutarono la rivoluzione in queste provincie si unirono uomini rei d'ogni dilitto, di perduta fama, sfuggiti all'azione della giustizia o alle carceri, i quali e per far dimenticare i commessi misfatti e per acquistar credito o ricchezze, ed anche per esercitare private vendette, cooperarono al compimento del rivolgimento politico che stabilì il nuovo ordine di cose. Credevano essi che il nuovo Governo f seguendo esempi non nuovi nelle storie napoletane) non solo avrebbe dimenticato le loro nequizie, ma li avrebbe ricompensati.

Pag. 15. intorno ai provvedimenti dati per Y esecuzione de’ decreti precitati lo scrivente si riferisce agli speciali rapporti inviati su questa materia ali' onorevole Guardasigilli. Non deve tralasciare di notar qui a questo proposito la protesta sottoscritta dall'Episcopato napoletano contro l'esecuzione de' decreti medesimi

Pag. 23. Il Consigliere di grazia e giustizia sotto la precedente Luogotenenza aveva nominato una Commissione legislativa, composta di chiari Giureconsulti, con incarico di studiare il modo d'introdurre con opportune riforme in queste province il codice penale, quello di procedura penale, e la legge sulla organizzazione giudiziaria, vigenti negli antichi stati della monarchia italiana. Questa Commissione non si era riunita che una sola volta. Alcuni membri di essa volevano che fossero lasciati io vigore i codici napoletani con qualche modi Reazione, e questa diffidenza aveva prodotto lo scioglimento della Commissione.

(Rapporto di Costernino Nigra A S. E. il Sig. Conte di Cavour)















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