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LA
CIVILTÀ CATTOLICA
ANNO DUODECIMO
VOL. XI.
DELLA SERIE QUARTA

ROMA
ALI'UFFIZIO DELLA CIVILTÀ CATTOLICA.
Via del Seminario 123.

1861.

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Regno Delle Due Sicilie. 1. Istanze del Cialdini per ismettere la Luogotenenza reale; dimissione del Cantelli e del De Blasio — 2. Amori dei napolitani pei piemontesi e per gli emigrati loro aderenti — 3. Alleanza del Cialdini co' Mazziniani schietti — i. Arresti di sospetti, di militali e di preti — 5. Eccidi d'Auletta, di Spinelli, di Pontelandolfo e di Casalduni — 6. Lettera di Massimo d'Azeglio sopra la violenta annessione del Regno al Piemonte — 7. Intervento inglese a Napoli; articolo della Patrie.

1. Il Governo di Napoli continua ad essere lo scoglio in cui si rompono i marosi della rivoluzione mazziniana, condotta dai moderati. Siamo già al sesto Luogotenente di Vittorio Emmanuele, che dopo aver tentato ogni sorta di mezzi, sente l'impossibilità di soggiogare il Regno ai dominio del Piemonte. Primo fu il Garibaldi, sotto nome di Dittatore; poi il Pallavicino Trivulzio, come Pro Dittatore; poi il medico Farini; poi il Principe Eugenio di Savoia Carignano col giovinetto Nigra; poi il Conte Ponza di san Martino; ora vi sta il terribile Cialdini, che, a gran dispetto del padrone Bellino Ricasoli, smania e vuole ad ogni patio buttarsi giù dal collo la soma d'un governo civile, renduto impossibile non meno dalla resistenza dei napolitani che dal despotismo dei tirannelli di Torino. S«l principio d'Agosto corse voce che il Cialdini avea dato le sue dimissioni. e con lui anche il Cantelli suo alter ego ed il De Blasio successore dello Spaventa nella direzione della Polizia. La voce era fondata e verissima. Tuttavia a Torino si capì qual danno verrebbe alle cose della rivoluzione, se si accettavano le dimissioni del Cialdini: perciò si pose tulio in opera per indurlo a sostenere ancora qualche po' di tempo, e si ascellare!» solo quelle del Cantelli e del De Blasio.

Sopra le cagioni di questo sfacelo non si sanno finora che congetture più o meno verosimili. La meno improbabile par che sia questa, il Do Blasio s'indispettì perché a Torino non si volle accettare a chius'occhi una lista di ostracismo da lui mandata colà per l'epurazione della Magistratura napolitana, per cui senza dare ragione veruna che ne mostrasse il merito o il demerito, cassava molle centinaia d'impiegati dal loro ufficio e vi sostituiva altrettanti suoi devoti e qualche parente.


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Guardò adunque come segno di sfiducia il rifiuto datogli di approvare spedienti così Draconiani, e ne colse cagione d' uscire dal pecoreccio. Il Cantelli, dicono, la ruppe col Cialdini pei modi irruenti, acerbi e sommarii con cui, a furia di carcerazioni e di esilii e di fucilazioni, costui attende a guadagnare i cuori dei napolitani alla causa piemontese Da ultimo il Cialdini, veduto di non poter fare assegnamento sopra il concorso della parte moderata dei liberali napolitani, si gettò nelle braccia aperte dei Mazziniani schietti; si lasciò aggirare da un comitato diretto da Liborio Romano; patteggiò col Nicotera per l'armamento di 8 mila volontarii da lasciarsi sotto il comando di costui per la difesa di Napoli; insomma si spinse cosi avanti nelle concessioni al partito repubblicano, che ha per insegna Dio e Popolo, che a Torino se n'ebbe spavento. Difatto potcasi fin d'ora assegnare il tempo in cui, procedendo di questo passo, la parte mazziniana avrebbe gittato giù d'arcione la moderata, e avrebbe mandato ogni cosa in precipizio. Da Torino adunque vennero al Cialdini ordini, disdette, rimostranze, divieti; sicché egli dovette ritirare le facoltà date al Nicotera, far sequestrare fucili dati in deposito a certo Comitato mazziniano, e desistere dallo spingere la plebe napolitana ali' adorazione di Garibaldi. Indispettito ed infastidito, diede il Cialdini le sue dimissioni; ma riserbavasi a rimanere per compiercela sua missione militare; e solo per riguardo al Re e alla causa italiana e indusse a tollerare ancora un poco il titolo di Luogotenente reale, finché gli si trovi un successore, secondo la promessa fattagli dal Ministero.

2.Questo continuo cambiamento di padroni giova moltissimo a nutrire l'amore passionato dei napolitani verso i piemontesi; e se non fanno altro per ottenere che i padroni si cangino anche più frequentemente, gli è solo perché hanno ormai capito a prova la forza di quei due proverbii: che nulla si guadagna a cambiar basto e non soma, e che spesso, se muore un lupo, risuscita un orso. A crescere codesto amore contribuisce la persuasione, che i ristauratori dell'ordine morale finora non abbiano saputo ristaurare che gl'interessi e le faccende delle varie consorterie avvicendatesi nelle cariche di governo. Di che discorre a distesa un Corrispondente della Nazione di Firenze, nel n.° 231 del 19 Agosto, e giova riferire alquante sue parole. «Intorno a Cialdini stavano da una parte gli uomini politici napolitani, uomini per lo più intelligenti ed astuti, ma non sempre di buona fede, passionati e partigiani all'uopo. A Napoli non vi sono che consorterie, sia quella degli emigrali, sia quella di D. Liborio, sia altre più o meno indigene od esotiche; quivi la politica non si fa che dalle consorterie, e il favoritismo regna sempre sovrano assoluto. Contrapposto alla parte napolitana era il Cantelli, onesto uomo, ma mente ristretta, senza esperienza, timido e sospettoso dell'elemento radicale. Da ambe le parti burocratismo ed intrigo. Non tardò molto che le due parti si urtarono, si osteggiarono vicendevolmente, si minarono ecc.»

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E intanto il popolo napolitano impara che non torna a conto cacciar le mosche satolle, perché loro succedono le affamate.

Tanto è l'amore che quindi infiamma i napoletani verso i piemontesi, lor novelli padroni, che non trovano parole d'affetto abbastanza espressive per manifestarlo. Basti, a darne un saggio, recare qui pochi periodi del Nomade, n.° 176; giornale che pur è agli stipendii del Governo. Or bene, essendo corsa voce che si trattava di sostituire al Marchese d'Afflitto, che diede le sue dimissioni, il Massari nella carica di Governatore di Napoli; al vederselo venire innanzi in livrea piemontese, il diario napolitano ruppe in questo ditirambo. «Qualche volta vorremmo non vedere, qualche volta vorremmo non udire, qualche volta vorremmo non esistere, tante, sì oscene e turpi sono le voci che vannosi intorno spargendo contro il Governo da noi invocato e gli uomini che esso presceglie a guida e reggimento del paese. Vorremmo non vedere e non udire, per non iscoppiar dalla bile o dirompere nelle più volgari esclamazioni; vorremmo non esistere, perché il peso di un tristo avvenire ci grava o ci potrebbe gravar la coscienza. Si è osato dire e pubblicare che un Massari sarebbe stato mandato a governare la voluta provincia napolitana. Al solo pensarlo è sorto un fremilo di sdegno, sendo giudicato costui quasi l'ultimo degli emigrali... Ed ora per porre il suggello al tradimento degli emigrati, alla vendila che essi ben fatto del loro paese si oserebbe proporre a governatore chi... Oh, si lasci la gente a rodersi le unghie e i peli della barba, e lor si conceda solo, per commiserazione, di servire, servir sempre, la peggiore delle umane condizioni, ancorché servasi un Ministro o l'altro!

«Egli è tempo ormai che la razza emigrata si disperda; e se il Governo piemontese sentì bisogno di valersene, la compensi, se pure la rea consorteria non si compensò da se medesima, e ei privi pure di sì care gemme che non son punto necessarie alla nostra corona. Noi rinunciamo di buon grado a tali uomini. II Governo piemontese li trovò buoni cittadini; volle crederli grandi e probi; li tenga pure per se. Noi non ripeteremo mica il verso: Quanta invidia li porto, avara lena! Ma, in grazia non ci mandi qui traditori. Di gente vendereccia ne abbiamo d'avanzo, e poiché Napoli esiste e deve esistere senza il lustro e il decoro suo proprio, esisterà pure senza un Governatore, quando questo Governatore non dovesse esser altro che un M.... Ci si consenta di non terminar la parola. Questo sdegno universale contro l'emigrazione napolitana vuoisi ancora disprezzare; ma esso vale oggi più di un plebiscito».

3.Il Cialdini s'è dato tutto alla parte italianissima. Oltre a quanto accennammo più sopra, può leggersi nel Nomade del li Agosto il decreto con cui sono determinate le divise e le insegne e le forme delle vestimento onde si deve distinguere l'esercito meridionale, con tunica rossa e berretto rosso.

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Omaggi al Garibaldi furono promossi e caldeggiati dal Cialdini, che approdò si allestissero in onore del romito della Caprera splendide feste da celebrarsi il dì 7 Settembre, per commemorazione del suo ingresso in Napoli nell'anno scorso. Deputazioni delle società operaie si fecero partire alla volta della Caprera, per riannodare più strettamente i vincoli dell'amicizia scambievole. Insieme coll'indirizzo al Re, ne fu stampato uno ancor più affettuoso e caldo al Garibaldi. Alla guardia mobile vennero ascritti i mazziniani più dichiarati, e posti anzi ne' gradi più lucrosi ed onorifici. Insomma alla consorteria moderata succedette la democratica nel senso più ampio della parola.

i. Che cosa debba uscire da un governo di consorterie e da uno stato cosi violento di cose, in cui il popolo abborre un conquistatore ridotto a dominare colla forza spietata, egli è agevole ad intendere. Perciò non recò veruna meraviglia il sapersi, che nella notte dell'8 Agosto furono arrestati un centinaio di personaggi, contro i quali il dispotismo piemontese sarebbe assai impacciato se fosse costretto a produrre un tenuissimo indizio di prova che macchinassero qualche cosa colpevole; ma che, per la legge dei sospetti, furono trattati come rei d'alto tradimento. Quattro marescialli, due Generali, sette Brigadieri, due Colonnelli, due Luogotenenti generali, un Maggiore, tre Capitani, un Luogotenente, ed altri uffiziali, in numero di 33, furono di repente assaliti nelle loro case, suggelli ad una perquisizione effettuata nei modi più brutali, poi condotti al forte del Carmino; e il giorno appresso, in mezzo a file di soldati, come si userebbe con ribaldaglia da galera, scortati al porto, cacciati sopra un bastimento con qualche centinaio di soldati sbandali caduti in mano a' piemontesi, e spediti a Genova! Lo Stendardo Cattolico, n. 88, ne reca i nomi; tra i quali son da notare il Pergola, i due Afan de Rivera, il Sigrist, il cui delitto evidentemente consiste nella fedeltà e nel valore con cui difesero i diritti del loro Re Francesco II.

Insieme a questi, la Consorteria di Governo si diede il gusto di arrestare alquante decine di preti e di religiosi, cioè non meno di 45, tra i quali il Vicario Generale del Card. Arcivescovo, Mons. Maresca, il Penitenziere maggiore Can. Pica ed i più rispettabili e zelanti tra i parrochi. Oltre di questi, che furono strascinati alle carceri della Vicaria col garbo solito ad usarsi colà verso i ladroni, furono altresì carcerati alcuni laici che la Consorteria credette poco devoti al nuovo ordine di cose.

Come tutti furono seppelliti nelle prigioni, non se ne poté saper più altro, e di processo giuridico neppure si parla, perché non si ha un punto sopra cui fondarlo. Simili scene furono ripetute altre volte, a Salerno e a Sorrento, d'onde furono veduti giungere fino a 20 e 30 i sacerdoti, alcuni dei quali quasi decrepiti per età, e condotti fra due ale di sbirraglia e di soldatesca per tutte le vie più popolose fino al carcere. Affinché poi non mancasse luogo da chiudervi le persone oneste,


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ma sospette alla Consorteria governante, il Cialdini fece portare nelle isole adiacenti i ladri ed i micidiali chiusi nelle galere, e sostituire in luogo loro i Borbonici condannati dall'ostracismo tirannico di D. Liborio.

5.In questo frattempo cinque altre grosse terre del Regno venivano barbaramente messe a fuoco e sangue, poi diroccate e distratte dal furore piemontese, per vendicare i danni ivi sofferti dalla reazione. I diarii eziandio italianissimi usarono parole di ribrezzo e di orrore al racconto di tanta nefandezza e crudeltà. In Auletta e Spinelli i reazionarii aveano osato tener testa ai masnadieri del Cialdini, cui davano mano gli scherani ungheresi al soldo del Piemonte. Colle artiglierie vi si gettò la morte e l'incendio; poi le soldatesche vi si scagliarono a baionette spianate, uccidendo senza pietà chi era stato tardo a fuggire. Il saccheggio e la distruzione di quelle borgate compierono l'opera italiana. I soldati del Pinelli aveano fieramente manomesse alcune terre a breve distanza da Pontelandolfo, commettendovi atrocità orribili contro pacifici abitanti designati loro come reazionarii. Mossero quindi una quarantina di essi a Pontelandolfo. La voce della loro scelleratezza ve li avea precorsi, e un furore di vendetta sospinse loro addosso la popolazione che tutti li scerpò, salvandosi un solo sergente che ne recò la notizia a' Piemontesi. Il Cialdini avviò subito colà il Colonnello Negri con un battaglione di bersaglieri ed altra milizia con artiglierie; si trassero bombe e granale, poi si venne ali' assalto. I più degli abitanti e gli uomini capaci di portare le armi già erano fuggiti, e andavano raminghi per le campagne e i monti. Soli rimanevano, con qualche prete, una trentina di malati, o di innocenti che, sicuri della loro innocenza, non erano fuggiti. Furono lutti senza misericordia trucidati. Poi dato il sacco e messo il fuoco alle case, tutte furono arse, restandone una sola spettante ad un italianissimo. Di li mossero cedesti barbari a Casalduni, e vi ripeterono la stessa tragedia, perché gli abitanti di essa furono incolpati d'aver dato mano al fatto di Pontelandolfo. Montefalcione, San Marco e Rignano sono anch'essi un mucchio di rovine fumanti e sanguinose, che gridano vendetta. Se si traesse il novero dei fucilati, dei morti nelle zuffe, de' banditi, de' carcerati dal Piemonte per soggiogare il regno di Napoli, senza fallo si troverebbe assai maggiore di quello dei voti pel plebiscito, strappati colla punta del pugnale e colle minacce del moschetto. E si osa parlare ancora del suffragio universale come di titolo legittimo dell'usurpazione piemontese? E gli ipocriti sostenitori del non intervento coprono col loro patrocinio codesto sterminato assassinio di tutto un popolo!

6.Non passa giorno in cui i diarii degli stessi usurpatori non rechino il racconto di qualche eccidio, di zuffe accanite, di assalti feroci, di fucilazioni sommarie di 10 e 15 insorti; ne' soli fatti di Pontelandolfo e Casalduni furono morte da codesti carnefici non meno di 164 vittime;


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e quali si fossero queste lo dice il Popolo d'Italia, avvertendo che i veri briganti erano fuggiti.

7. Furono dunque macellati 164 innocenti in ecatombe alla vendetta piemontese! Né per questo macellare ed opprimere sì spietato vien meno l'indomita resistenza dei popoli alla tirannia piemontese. Il fatto è così evidente che ormai persino la Patrie se ne mostra impensierita, dubbiosa delle sorti d'Italia e inorridita. Ma qui citeremo la testimonianza d'un tale che non può essere sospetto di patteggiare per la reazione. Massimo d'Azeglio scrisse al Senatore Matteucci la lettera seguente, a cui si accenna nella nostra corrispondenza di Torino.

«2 Agosto 1861. Carissimo amico. Ho ricevuto e letto con molto interesse la vostra lettera, e vi ringrazio delle belle cose che voi mi dite e delle quali, Domine, non sum dignus. La quistione di tenere o non tenere Napoli deve, a quanto mi sembra, dipendere sopratutto dai Napoletani; a meno che non vogliamo, secondo il nostro comodo, cambiare i principii che noi fin qui abbiamo proclamato. Noi siamo andati avanti dicendo che i governi non consentiti dai popoli erano illegittimi, e con queste massime, che io credo e crederò sempre vere, noi abbiamo mandato a farsi benedire parecchi principi italiani. I loro sudditi, non avendo protestato in alcuna maniera, si son mostrati contenti della nostra opera, e si poté vedere che, se essi non davano il loro consenso ai governi precedenti, lo davano a quello che succedeva. Così i nostri atti furono d'accordo coi nostri principii, e nessuno può averci a ridire. A. Napoli noi abbiamo altresì cacciato il sovrano per istabilirc un Governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra che ciò non basti, per contenere il regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti e non briganti, niuno vuole saperne.

«Ma si dirà: e il suffragio universale? Io non so nulla di suffragio; ma so che al di qua del Trento non sono necessari battaglioni, e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore; e bisogna cangiare atti o principii. Bisogna sapere dai Napoletani, un'altra volta per tutte, se ci vogliono sì o no. Capisco che gl'Italiani hanno il diritto di far la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia; ma agli Italiani, che restando Italiani non volessero unirsi a noi, credo che noi non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate; salvo che si concedesse clic, per tagliar corto, noi adottiamo il principio in cui nome Bomba bombardava Palermo, Messina ecc. Credo bene che in generale non si pensa in questo modo; ma siccome io non intendo di rinunciare al diritto di ragionare, così dico ciò ch'io penso ed io resto a Cannero. A queste parole si potrebbero fare grandi commenti; ma intelligenti pauca, e poi a che scopo? Gradite ecc. Massimo d'Azeglio».

Gli ilalianissimi coprirono di fango e di maledizioni l'Azeglio che in confidenza si era lasciata sfuggire qualche verità, benché la temperasse con contumelie ai Principi, assassinati dal Piemonte nell'opera di rifare l'Italia.

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Egli si dolse che si fosse abusato della sua confidenza, e si risentì degli sdegni liberaleschi e conchiuse una sua seconda lettera al Matteucci, sotto il di 16 Agosto1, con queste parole. «Finché in Italia le quistioni pubbliche non si potranno trattare sotto tutte le forme, sarà la libertà pei giornali frementi (cioè per quelli che avevano inferocito contro l'Azeglio) ma per la nazione, no. Sarà come in America: o far la corte alla piazza o legge Lynch...» La rivoluzione, se ne ricordi l'Azeglio, divora i suoi figli.

7. Or è sopraggiunto nel Regno un fatto che diede a molti grave cagione d'impensierire assai. Un dì si vide ardere una selva presso a Castellamare, e si ebbe avviso che una grossa mano di legittimisti stara per scendere al tempo stesso da' monti e assalire la città. Ne usci tosto il presidio piemontese, si cercarono aiuti da Napoli, si fece movere la milizia nazionale e tutto fu allestito a difesa. In quella ecco il comandante del vascello inglese l'Exmouth mandare a terra, in arme e in assetto da guerra, un quattrocento soldati di marina; e intanto mandar offerire al comandante piemontese i suoi servigi, per concorrere al mantenimento del buon ordine. Fu ringraziato. Pochi giorni dopo, siccome molti si mostravano commossi di tal fatto, si spacciò che così avea fatto il Comodoro britannico, per mantenere i suoi soldati in esercizio, e che non e' entrava per nulla la politica, né dovcasi in quel fatto scorgere traccia d'intervento. Ma ecco che sopravvennero ad ancorarsi a Castellammare e incontro a Napoli sette altre delle maggiori navi da guerra inglesi, senza che si sapesse per qual motivo, se non fosse per prevenire qualche potente alleato di Vittorio Emmanuele nell'opera pietosa di aiutarlo a domar Napoli. Certo è che in Francia la cosa riusci molto spiacevole, e la Patrie ne parlò in questa forma.

«Una lettera reca ragguagli sull'arrivo delle navi inglesi, sul loro numero, sulla cifra degli uomini, dei cannoni e sull'altitudine che hanno presa. Si vede che in seguito d'una evoluzione, per lo meno singolare, navi inglesi compariscono nella baia di Napoli, proprio nel momento in cui pare che il bisogno di un soccorso qualunque  si faccia sentire presso i piemontesi; si vede pure che il comandante della squadra, non potendo decidersi a lasciare un solo giorno i soldati e i marinai senza esercizio, fa scendere a terra i suoi uomini, che sono tornati a bordo, ma che potranno certamente ricominciare il loro esercizio l'indomani. È la terza volta, se non erriamo, che il caso o il bisogno d'esercizio manda vascelli inglesi a volteggiare in certi paraggi molto agitati. La prima volta fu a Marsala. È noto che un officiale inglese, il quale aveva dimenticato a terra i suoi inexpressibles, fu cagione che i vapori napolitani non poterono cannoneggiare il piccolo bastimento di Garibaldi. 

La seconda volta all'assedio di Gaeta, in un momento che l'assedio andava per le lunghe, dei marinari inglesi, giunti là per caso, si diedero il passatempo di bombardare la cittadella.


1 Armonia. n. 195 del 21 Agosto.

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Finalmente oggi questi medesimi soldati, e questi medesimi marinai si abbandonano nelle province napolitano ad un esercizio che fini per diventar loro familiare.

«Riguardo a questi concorsi mascherati, a questi interventi surrelizii, si noterà un fallo molto significativo. Il prestito italiano sottoscritto, come si è veduto, al di là della cifra richiesta, sì che si dovettero ridurre le domande da quaranta a quarantacinque per cento, il quale è tassalo a Parigi, dove ha fatto un piccolo premio: questo imprestito, il più solido soccorso che si possa dare al governo di Vittorio Emanuele, non è tassato dalla Borsa di Londra. Abbiamo attinto alle sorgenti le più competenti, le più officiali; nulla indica il tasso del prestito italiano sul mercato inglese. Quando l'indipendenza italiana fu minacciata, la Francia, apertamente, in pieno giorno, sacrificò cinquantamila uomini e cinquecento milioni per questa gran causa. L'Inghilterra ha dichiarato innanzi tutto ch'essa non intendeva sacrificare né un uomo né uno scellino. E mantenne la sua parola. Solamente, poiché essa prevede che fra poco potrebbe trarre bel partito dalle relazioni che pensa di stabilire col nuovo regno, si aggiusta in modo da farsi il merito d'un intervento mascherato, sul quale l'Europa chiuderà gli occhi, e che non le sarà costato, come essa disse, né un uomo né uno scellino. In tal modo i suoi benefizii sarebbero netti ed essa ci lascerebbe di buon grado l'onore della impresa. La non è sempre andata così?»

Diceasi che il Ricasoli, infastidito del ritardo frapposto dal Governo francese ali' eseguire gli ordini della rivoluzione, e abbandonar Roma, si fosse volto ali' Inghilterra, mettendo ali' orecchio di Palmerston qualche confidenza da farne grandemente crescere i sospetti contro Napoleone III, pei supposti disegni sopra la Sardegna e sopra Napoli. L'armata inglese a Castellamare sarebbe stata destinala a prevenire qualche nuova rivendicazione da parie della Francia. Certo è, checché sia di queste voci, che da cotestoro, pronti a far gitto della Fede cattolica, a rinnegare il battesimo, a calpestare i diritti del Vicario di Gesù Cristo, a manomettere ogni legge, ogni trattato internazionale e sacro, per compiere i disegni del Mazzini, il Governo francese non può ripromettersi gran delicatezza di probità, o ricambio di gratitudine pei servigi prestati. Difatto va stampata sui giornali l'audace vanteria, attribuita al Bellino Ricasoli, e che suona una disfida alla Francia, in queste parole: Se non andremo a Roma coi Francesi, vi andremo cogl'Inglesi.


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Stati Sardi (Nostra Corrispondenza) 1. Il nuovo prestito e che cosa significa — 2.1 deputati chi rappresentino secondo il Ricasoli — 3. e secondo la statistica — 4. Chi sia il successore di Cavour nel I. Collegio di Torino — o. Lettere di Matteucci e di M. D'Azeglio sulle cose d'Italia — 6. Si lavora in Torino se debba essere sempre capitale —7. Quanto poca sicurezza dieno le guardie di sicurezza pubblica; rivelazioni d'un processo criminale.

1. Il Parlamento ha approvato e il Ministro Bastogi ha eseguito il nuovo prestito di cinquecento milioni effettivi. Si presero settanta lire, e si scrissero cento a debito dello Stato. Quindi un primo guadagno del trenta per cento, poi guadagni straordinari ai banchieri sotto il titolo di diritto di commissione; guadagni nei pagamenti che potevano farsi lentamente e a molte riprese; guadagni negli interessi che decorrevano subito quantunque non si fosse ancora pagata la somma. E tutti questi guadagni poterono assai più che l'affetto d'Italia; e primi i banchieri incominciarono a sottoscrivere il prestito col divisamente di cedere poi subito le cartelle agli altri con aggio vistoso: e dopo che i banchieri furono satolli, vennero i privali che si affollarono a dar 10 per prendere 100, e la cosa riusi così bene, che il Ministro Bastogi s'ebbe il titolo di Conte per sé e pei suoi discendenti maschi. Il Ministro Ricasoli poi invitò a un suntuoso banchetto tutti quanti i banchieri i quali colla borsa piena trincarono alla salute d'Italia. E in una circolare che il Ricasoli scrisse di poi agli agenti italiani, presso le Corti estere, insisté molto su questo risultato del prestito di 300 eh' era costato 762 milioni. Voi vedete che era proprio una grande e strepitosa vittoria! L'Italia avea trovato 59* milioni, pagandone 762. Ma venne di poi un errata-corrige, la quale disse che i 300 milioni non erano costati 762, sibbene 714 milioni soltanto. E basta anche questa somma per far rilevare l'immenso significato patriotico del prestito: come gli errata-corrige del Ricasoli, che già ne pubblicò parecchi, dimostrano l'ordine che regna nel Ministero, e la diligenza con cui si scrivono i documenti. Questi cinquecento milioni effettivi sono una goccia d'acqua nel mare. La Monarchia Italiana del 21 di Agosto dice: «coll'imprestito di 300 milioni pur troppo non si provvede gran fallo al domani;» sicché aspettiamoci per domani un nuovo imprestito.

2. Ho accennato il Dispaccio circolare che il Ricasoli presidente del Ministero scriveva il 31 di Luglio agli agenti italiani all'estero. In questo documento il Barone Bellino faceva principalmente notare che nel parlamento così dello Italiano non si trovò un legittimista: «fatto unico nella storia»; perché, diceva il sig. Barone «in tutti i Parlamenti, fuorché nell'Italiano, si trovavano sempre, col nome di legittimisti, i fautori dei Principi decaduti». Ma il malaccorto Presidente del consiglio si die della zappa sui piedi, e toccò un fatto che prova solennemente contro di lui e dimostra che il così dello Parlamento italiano non rappresenta l'Italia.


1 Si legge nello Stendardo Cattolico n.° 86.


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E per verità lo stesso Ministro Minghetti collega del Ricasoli disse alla Camera dei deputati il 27 di Giugno del 1860: «Signori, nella Camera attuale non havvi a parlare propriamente un partilo conservatore. Io tengo che ciò sia un male; il partito esiste fuori di questo ricinto nel paese, e per conseguenza dovrebbe essere qui, come tutte le altre opinioni, rappresentato». Queste parole del Minghetti, registrate negli atti uffiziali della Camera-num. 108, pag. 421, col. 3°, provano solennemente contro il Ricasoli. È una frazione di rivoluzionari quella che prese parte all'elezione del Parlamento. I Conservatori e i Cattolici non intervennero alle elezioni, perché sarebbe stato un riconoscere i falli ingiusti e sacrileghi che precedettero la convocazione de' collegi elettorali. E questa dimostrazione può anche farsi colle cifre medesime della statistica che vennero pubblicate dalla Gazzella ufficiale del Regno, ne' suoi supplementi al num. 183 del 29 di Luglio.

3. Risulta da queste cifre, che il sedicente Regno d'Italia conta presentemente abitanti 21,913,242. Per nominare una rappresentanza di venti due milioni sapete quanti elettori s'iscrissero? Appena 419,938. Ma almeno tutti costoro si fossero presentati a votare. Invece no: andarono a deporre il voto nell'urna elettorale soltanto 242,367. Però neppure tutti quelli dessero i membri presenti del Parlamento, perché una parte votarono a favore di persone che non vinsero la prova e non entrarono nelle Camere. La statistica officiale ommette il numero dei voti conseguiti da ciascun deputato. Ma con un po' di pazienza questo numero ricavasi dagli atti ufficiali della Camera, e da quelle tornate che si riferiscono alla verificazione dei poteri. Conto fallo, i voti ottenuti dai deputati sono 170,367. E siccome per la maggior parte i deputati sono ministeriali, cosi bisogna toglier loro que' voti che si ebbero dai pubblici impiegati, voti che non possono considerarsi come spontanei. Ora l'esercito degli impiegati nel regno della Giovine Italia è immenso, e calcolando a 70,000 si resta ancora al disotto del vero, sicché vengono a ridursi a soli 100,000 gli elettori che crearono il nuovo Parlamento, che vuoi considerarsi come il rappresentante dell'intera Italia. Ma chi potrà credere che 100 mila sieno i legittimi interpreti della volontà di 22 milioni? Molto più quando tanta parte d'Italia protesta contro gli eletti dai 100 mila, sia col Danaro di S. Pietro, sia colle reazioni sanguinose che avvengono nel reame di Napoli?

4.E poiché sono su quest'argomento delle elezioni debbo dirvi una parola dell'elezione del primo Collegio di Torino divenuto vacante per la morte del Conte di Cavour. Convocalo il collegio, si presentarono due candidati: il Barone Bettino Ricasoli, e il Principe di Piombino.

Gli elettori, non volendo né l'uno né l'altro, si astennero. Il Principe di Piombino ottenne tre voti, il Ricasoli un po' più; ma nessuno il numero legale. In questo caso la legge stabilisce che si ripeta la votazione, e chi tra i due ottenga un maggior numero de' voti sia l'eletto,

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senza badare alla quantità de' voti medesimi. Di questa guisa il Barone Ricasoli fu nominato deputato del primo collegio di Torino, con poco più d'un centinaio di voti su millecinquecento votanti. Ma anche Firenze aveva rieletto il suo Bellino, e questi scrisse una patetica lettera al presidente della Camera, dicendo che il suo cuore non sapea a chi dare la preferenza Ira Torino e Firenze, amendue carissime, laonde se ne rimetteva alla sorte. E questa favori Firenze, per lo che fu di mestieri procedere ad una nuova convocazione del primo collegio di Torino. Ma gli elettori stellerò fermi nel non volersi presentare e lo scrittore della Gazzetta del Popolo, certo Bollerò da Nizza, raggranellò sulla pubblica piazza una mano di sfaccendati e li condusse a dare il voto. Altri pochi votarono in favore del Generale della Rovere, che è luogotenente del Re in Sicilia, ma per mancanza del numero legale dei votanti non riuscì l'elezione né dell'uno. né dell'altro. Si venne alla seconda votazione che è valida con qualsivoglia numero di voti, e il Bollerò n'ebbe un centinaio e vinse. Di guisa che noi abbiamo il Depurato del primo collegio di Torino, che conta 1300 elettori, nominato da 100 soli, e 1400 debbono subire questa elezione. La quale poi è uno spregio non saprei più se a Torino, o al regno d'Italia, o al Conte di Cavour. Avvegnaché il Bollerò eletto è scrittore di una Gazzetta di cui fu dello nella Camera che fa schifo; d'una Gazzetta, che vuole propugnare la libertà colle stangate, donde la chiamano generalmente la stanga, e il Bollerò scrisse già in questa Gazzetta che se egli fosse stato vicino a un deputato, che parlava contro la bandiera tricolore, gli avrebbe messo due dita alla gola, ed al sig. Paleocapa osò dire: brutto vecchio, crepa; e chiamò l'Ostia consacrata un gnocco e protestò di non vota sapere di preti né nascendo, né vivendo, né morendo. E costui fu dato dall'assennato primo Collegio di Torino a successore del Conte di Cavour!

5.Abbiamo tra i senatori un certo signor Matteucci che ama molto di scrivere lettere a tutti e in ogni occasione. Ne scrisse una a Massimo D'Azeglio che trovasi nella sua villa di Cannero sulle sponde del Verbano; lettera in cui parlava lungamente delle cose di Napoli, e diceva che l'Italia avea bisogno di quel reame e ad ogni costo dovea restarle unito. Quindi approvava le violenze, le fucilazioni, gli incendi di Cialdini, chiamandoli  rimedi eroici per fare a Napoli una cura chirurgica. In Massimo d'Azeglio ci sono due uomini: l'uomo naturale con tutta la sua onestà, lealtà, sincerità, e l'uomo politico, l'uomo artificiale, l'uomo di parte. Il D'Azeglio, secondo i principii dell'uomo leale ed onesto, rispose al Matteucci, disapprovando altamente il procedere di Cialdini a Napoli, meravigliandosi che sessanta battaglioni non bastassero a tenere in freno un popolo che si affermava unanime nel volersi unire al Piemonte, e conchiudeva essere anzi giunto il tempo di verificare se i Napoletani volessero o non volessero i Piemontesi. Vi lascio pensare le ire suscitate da queste parole, e le villanie che gli toccarono dai giornali libertini.

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E il D'Azeglio artificiale fu sensibilissimo a queste villanie, e scrisse tosto una seconda lettera per correggere la prima, e dichiarò che questa prima lettera era e dovea restare privata, e se avesse credulo di venire stampalo avrebbe pensato meglio, e non avrebbe detto lutto ciò che aveva nell'animo. Tuttavia questa specie di ritrattazione non servi per riamicare Massimo D'Azeglio col giornalismo libertino, il quale si lagna fortemente di lui e per aver compilato il Proclama di Moncalieri nel quale mettevasi in dubbio se il Piemonte fosse allo alla vita costituzionale; e per aver danzalo all'Ambasciata d'Austria un anno dopo la catastrofe di Novara; e per aver scritto contro l'assassinio dell'Anviti in Parma protestando che quanti giorni passassero senza che venisse quel delitto solennemente punito, altrettanti gradi di vergogna si aggiungerebbero alla povera Italia. Per tutto ciò, e per la nuova lettera del D'Azeglio sulle cose di Napoli, dicono che è rimbambito, che corre le poste, e che non bisogna fidarsene, tanto più che nel suo libro delle Questioni Urgenti disse che Roma non dovea essere la Capitale d'Italia.

6.E a giudicarne dai lavori che si fanno in Torino pare che il governo e la città sieno egualmente convinti che non s'avrà a mutare così presto la Capitale. Imperocché il governo procura ampii locali pei Ministeri, e li fa acconciare con larghe spese, e in un modo che non ha nulla del provvisorio. Così l'antica Casa dei Filippini fu rifatta in certe modo e destinata pel Ministero dei lavori pubblici, dove sta il sig. Menabrea, clericale una volta, oggi italianissimo. Il Collegio delle Province, questa bellissima istituzione, venne distrutta, e il locale convertito, in sede del Ministero della guerra, e di tutti gli offizii relativi. In Piazza Castello si pagò il triplo del suo valore la casa del Conte di Pollone per allargare i locali circonvicini che servivano ai Ministri. Tutto questo, come ho detto, indica chiaramente che non si spera di venire così presto a Roma. Al che aggiungete le spese del Municipio, che sono immense, per fare in guisa che Torino resti meno al disotto di Milano, di Firenze, e di Napoli; e lastricati per le strade, e fontane e monumenti e giardini sulle piazze, e uno spendere e spandere continuo che è una desolazione, e pubblici mercati sul gusto di Parigi, e mille altri progetti giganteschi, e fabbriche pei forastieri, e per la popolazione che dovrà necessariamente aumentare. Tuttavia noi siamo nella maggiore incertezza e quel solo che sappiamo di certo sono i debiti continui del governo, e quelli in proporzione della città, e le imposte che crescono da una parte e dall'altra, e le povere rivendugliole che entrano in Torino con mezza dozzina d'uova debbono pagarne uno al Municipio, e sborsare un soldo per ogni pollo che passa la cinta della città. Laonde non potete immaginarvi le vessazioni che si commettono, e le lagnanze che manda la povera gente.


 Serie IV, voi. XI. 40 31 Agosto 1861


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Coloro che desiderano la nostra beatitudine vorrei che se la dovessero godere per un qualche mese, e se l'assaporassero intera, compresa quella dei ladri e degli assassini che rubano di pien giorno nelle botteghe; del che lagnavasi il 21 di Agosto la Gazzetta di Torino, che nel suo Gazzettino della Città è continuamente piena di notizie di furti e grassazioni. Ma di questo fra poco riparlerò.

7. Un gravissimo processo criminale s'agita oggidì in Torino. Anni fa noi eravamo tormentati da una tremenda associazione di malfattori detta la Cocca, i quali commettevano ogni maniera di ruberie e grassazioni. Negli anni 1856,1857,1858 i frequentissimi furti, gli assassinii e gli stupri perpetrati da questa banda ribalda toglievano ogni tranquillità agli onesti cittadini, che non osavano avventurarsi, fosse pur per brevissimo tratto, nelle vicine campagne. Era un'altra società di malviventi succeduta alla Cocca e la polizia non sapeva dove rintracciarne i membri. Ma come Dio volle ne fu arrestato uno, per nome Vincenzo Cibolla, il quale cominciò a rivelare i suoi complici, e questi, credereste? erano membri della polizia medesima! Delle notizie che avevano, per provvedere alla pubblica sicurezza, si servivano invece per compiere impunemente i più orribili delitti. Anzi il Cibolla, che fu sempre riconosciuto veridico nelle sue rivelazioni, aggiunge che formava parte della società uno dei Capi medesimi della nostra polizia, mandato ora a Napoli per ristabilire l'ordine morale in quelle contrade; e parla di smanigli rubati, e poi rimessi a questo Capo della polizia, e quindi portati da sua moglie. E siccome, per evitare forse uno scandalo maggiore, non s'è creduto né di arrestare, né di richiamare da Napoli questo capo della polizia il cui nome per ora si tace, così il Cibolla medesimo citollo come testimonio in sua difesa, e si vedranno fra poco faccia a faccia, e verrà in luce la verità. Intanto lascio a voi il pensare in quale spavento si trovi Torino. Noi paghiamo gravissime imposte, e almeno avremmo diritto di vedere custodite le nostre proprietà e le nostre persone. Invece coloro che sono destinati perciò, e pagati, fanno comunella coi malandrini, e ci spogliano, e ci uccidono. E poi vogliamo riformare tutta l'Italia ed osiamo citarci ad esempio di buon governo!













































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