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LA
CIVILTÀ CATTOLICA

ANNO DECIMOSESTO
VOL. VI.
DELLA SERIE SESTA
ROMA
COI TIPI DELLA CIVILTÀ CATTOLICA.
1866.

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LA LEGGE de’  SOSPETTI

Secondo che riferimmo nel passalo quaderno, il Ministero di Firenze non contento dei poteri straordinarii, concessigli dal Parlamento, in ordine alle Finanze; avea chiesto i pieni poteri per la sicurezza pubblica del paese. Dove ciò avesse conseguito, egli, come per la prima concessione era divenuto padrone assoluto degli averi de’ cittadini; cosi per la seconda sarebbe divenuto arbitro non solo della libertà ma della vita eziandio dei medesimi. E chi avria allora potuto vietargli di piantar la forca sull'uscio di qualsiasi casa, per impiccarvi quali e quanti più gli piacesse, senz'altra ragione se non che così richiedesse l'incolumità dello Stato? Salus reipublicae suprema lex. La Commissiono parlamentare restò esterrefatta di sì orribile dimanda; e rigettandola come eccessiva, propose, per mezzo del relatore Crispi, un disegno di legge più limitata, la quale cogli emendamenti, che vi vennero recali, restò finalmente sancita dal Parlamento nella tornala del 9 Maggio e dal Senato in quella del 14 del medesimo mese. L'articolo terzo di essa legge suona così:


Serie VI, vol. M, fasc. 390.  2 Giugno 1866.


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«Il Governo del Re avrà la facoltà di assegnare per un tempo non maggiore di un anno il domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, ai camorristi ed a tulle le persone Ritenute Sospette, secondo le designazioni del codice penale del 20 Novembre 1859, le quali saranno pubblicate ed avranno forza di legge nelle province toscane. Le stesse disposizioni saranno applicabili alle persone, per cui ci sia fondato motivo di giudicare che si adoperino per restituire l'antico stato di cose e per nuocere in qualunque modo all'Unità d'Italia e alle sue libere istituzioni.»

Non può negarsi che, così concepita la legge, è molto scemata di quella spaventevole ampiezza, desiderata dal Ministero. Tuttavia anche dentro i descritti confini, essa è tremenda, e resterà memorabile negli annali del nuovo Regno. Basti dire che una gran parie degli stessi Deputali ne rimasero inorriditi e si credettero in dovere di stimmatizzarla con gravissime censure. Le cose che vi notarono, par che possano principalmente ridursi ai capi seguenti: Primo, che essa è un attentalo alla libertà di tutti i cittadini, non esclusi i liberali. Secondo, che disonora il regno d'Italia in faccia all'Europa, e ne pone all'aperto l'interna fiacchezza. Terzo, che riesce ad uno scopo del tutto contrario di quello, che si prefigge. Questi tre capi noi ci proponiamo di chiarire, non facendo altro, che riportare le parole di quei Deputali, i quali parlarono contro la predella legge; non già di tutti, il che sarebbe assai lungo, ma di alcuni, e massimamente dei più sfegatati pel nuovo ordine di cose, acciocché dalla bocca stessa del liberalismo ne risuoni la condanna. Ex ore tuo te indico, serve nequam.

I.

Tra i molti che dimostrarono come con questa legge la libertà dei cittadini resta ludibrio delle passioni e dell'arbitrio del Governo, ci piace trascegliere il Ricciardi; e ognun sa che arrabbiato mazziniano egli sia. Nondimeno, mosso da un sentimento di pudore, così gridò nel mezzo dell’assemblea: «Se certe parole solenni non avessero mal suono in quest'Aula, direi che come ieri l'altro dovemmo, per carità patria, velare la statua della scienza economica; così oggi, sempre per eccesso di carità patria, siamo chiamali a velare la statua della libertà...


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Signori, la legge che siamo chiamati a votare e contro la quale io darò la palla nera, non è altro che la famosa legge Pica, estesa a tutta quanta l'Italia. Oramai non ci saranno più privilegi: tutti i cittadini potranno essere egualmente spediti a domicilio coatto, e guai a quel cittadino che abbia un nemico. Ei potrà essere la notte tratto dal letto e mandato a domicilio coatto, e questo senza veruna garanzia; poiché in questa legge non c'è neppure la clausola della legge Pica, la quale almeno voleva che nessun cittadino fosse colpito da quella terribile pena, se non dietro il parere di una Commissione; e su questo si aggira il mio emendamento; poiché so questa legge deve passare, passi almeno con una attenuazione.

Gli esempii della legge Pica son noti a tutti.... Io vi lascio immaginare quali sarebbero gli effetti di questa legge nei paesi testé infestati dal brigantaggio e dove la repressione di esso ha seminato odii inestinguibili. Tutti sanno che nei piccoli paesi in ispecie le popolazioni sono divise in due partiti, e profitterà di questa legge chiunque voglia sbrigarsi del proprio nemico 1.» Il coraggioso d'Ondes Reggio poi dimostrò come con questa legge la libertà de’  cittadini vien messa in balìa d'ogni treccone o ribaldo. «Un ministro ha facoltà assoluta di poter condannare a domicilio coatto chi crede; e non vi è alcun freno: è un arbitrio sterminato. Ma un Ministro è necessitato a sentire il prefetto, il prefetto il questore, il questore il birro, e il birro i suoi compagni di taverna e di luoghi anche peggiori, e tutti sono necessitati a sentire degli spioni. Così alla fine la libertà de’  cittadini sia a ludibrio e scherno della più vile genìa. Ed allora è pure che si rianima lo spirito di parte, le passioni si scatenano, gli antichi odii si rinfocolano, si sperano le vendette; onde que' che la medesima fossa serra, si fanno a vicenda accusatori, calunniatori, e sovente tra' perseguitali sono più gl'innocenti che i rei. Così i nemici non vengono meno, ma si accrescono contro lo Stato. E che sarà poi se gli stessi ministri, prefetti ed altri reggitori saranno eglino stessi animati da spirito di parte, saranno vendicativi, settarii, furfanti, gente mala 2?»


1 Atti Ufficiali della Camera, pag. 1377.

2 Ivi, pag. 1578.

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Né la sola libertà dei cittadini è oltraggiata da cotesta legge; è messa a ripentaglio la esistenza altresì delle lor grame famiglie: le quali, allontanalo il capo di casa che le sostentava colla professione o col mestiere, restano in preda alla più orribile indigenza, come già è avvenuto di molte. Che più? La vita stessa dei colpiti da questa pena, corre gravissimo rischio. «Signori, dice rettamente il citato Deputato, questa che può sembrare pena non dura, assai sovente si muterà in pena atroce, nella pena della vita.

Un poveruomo, innocente o reo, condannato al domicilio coatto in un piccolo comune, vi entra col marchio di traditore della patria. Per furia di popolo ed anche per ispirito di parte, per genio di malvagità, sarà ammazzato, specialmente che in tempo di guerra il Governo non può tenere in ciascun comune tanta forza, da poter impedire di cotesti eccidii, i quali tanto sono più facili ad essere commessi, quanto si ha assai probabilità per non dire certezza, che i rei ne avranno impunità se non lode 1.»

A queste e somiglianti giustissime osservazioni che risposero i Deputati, fautori della legge? Altri dissero che essa era diretta contro i clericali e i reazionarii, i quali erano stati finora carezzati e favoriti dal Governo (colle destituzioni, già s'intende, colle prigionie, cogli spogliamenti, cogli esilii!); che bisognava punire in essi anche le colpe che non si potevano dimostrare per vie legali (vera idea di giustizia civile!); che non conveniva spaventarsi di qualche atto ingiusto che potesse occorrere (anticamente dicevasi: val meglio che resti impunito il colpevole, che mettersi a pericolo di punire l'innocente; adesso si dovrà dire il contrario); e che presentemente tutto il rigore deve esercitarsi sopra i loro avversarii politici (eguaglianza liberalesca) 2. A mostrar poi la mitezza della pena voluta dalla legge, il Crispi ricorda che essa è inferiore a quelle adoperate nella celebre rivoluzione francese, o Se l'onorevole Civinini (avea questi espressa la sua meraviglia che i millantatori di libertà proponessero una tal legge),


1 Atti Uff., pag. 1578.

2 «Noi abbiamo gridato, o Signori, che gli uomini che si succedettero nel Governo italiano dal 1860 in poi, non si sa per quale malaugurato proposito o strana fatalità hanno sempre favoreggiato tutti i reazionarii, i partigiani dei Governi caduti e gran copia di clericali.» Bertani, Atti uff., pag. 1572.


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se l'onorevole Civinini ricordasse quello che la Costituente francese decretò nel 1791 contro coloro che abbandonavano il territorio nazionale, contro i colpevoli di esportazione delle monete e contro gli emigrati; se ricordasse quello che decretò la Convenzione nazionale contro tutti coloro, i quali erano sospettali di cospirare contro la patria, allora si convincerebbe che i nemici della libertà non stanno sul banco della Commissione 1.» Ecco l'ideale, a cui costoro s'ispirano: la Costituente e la Convenzione, di sanguinosa memoria! E benché ne siano ancora lontani; tuttavia ci si anderanno sempre più accostando, se consideriamo i voli che già si manifestarono nella Camera. Per dire di un solo, il deputato Camerini, si dichiarò non soddisfallo di questa legge, quantunque sì cruda ed arbitraria; ma apertamente richiese espedienti più atroci. «Non vo finire, senza ricordare al Governo che di molti ed efficaci mezzi ancora può disporre per mantenere la sicurezza. Non metta in oblio le parole e i suggerimenti datigli non ha guari dall'onorevole Fiutino, intorno alle squadriglie mobili (specie di briganti stipendiali dal Governo); non sono relativi strettamente a questa legge, ma sono di pratica utilità (e come!); e voglia pure aver conto di qualche mio avviso, comunque meno autorevole, ma coscienziosamente dato nella stessa circostanza 2.»

«Bisogna pur rassegnarsi che accada qualche, e speriamo involontaria, ingiustizia.... Noi vogliamo colpire gl'iniqui che si nascondono e spingono innanzi le masse inerti, fanatizzate ed ignoranti (ecco la stima che i liberali fanno del popolo, quando è contrario ai loro interessi). Costoro sfuggiranno sempre, perché non si espongono ad alti esterni (bisogna dunque in essi punire gl'interni).» Così il Camerini. E più sotto: «Abusi ci saranno sempre. Ciò non importa; sarà un sacrifizio di più (Buffone).» Atti uff., pag. 1580.

«Propongo la soppressione del primo capoverso dell'articolo 3.  dove sì parla degli oziosi, de! vagabondi, dei camorristi, conservando il secondo... Noi dobbiamo, in questi momenti specialmente, quasi esclusivamente vigilare sui nostri avversarii politici.» Bertani, Atti uff., pag. 1572.

«Dichiaro che non mi spaventano per nulla quelle apparenti mutilazioni di libertà, le quali sono rese necessarie dalla conservazione e dalla tutela di quel gran principio, al quale ho detto di voler servire con tutte le forze della mente e del cuore... Per me la libertà non è che la legge acconsentita. (Tirannide della maggioranza o della minoranza, che sia riuscita ad impadronirsi del potere;.» Oliva, Atti uff., pag. 1S82.

1 Alti uff., pag. 1570.

2 Discorso del deputato Camerini. Mi'' uff. 1581.


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L'egregio patriota non ci fa sapere quale sia cotesto avviso; ma esso certamente dev'essere di pratica utilità, non inferiore a quella delle squadriglie mobili, suggerite dal piccolo Pluto.


II.

Quale che sia la formola, onde voglia esprimersi lo scopo della civil società, certo è che parte principalissima di un tale scopo si è la tutela dei diritti degli associali. Che dunque dee dirsi di una legge, la quale oltraggia sì brutalmente la libertà dei cittadini e ne mette a repentaglio la stessa vita? Ed è questa l'intrinseca ragione, per cui detta legge è disonorevole per l'Italia in faccia ali Europa. Senza dubbio il Governo ha diritto di punire i colpevoli; e così usasse efficacemente un tal diritto contro i veri delinquenti: non si vedrebbero i buoni e pacifici cittadini esposti a continue offese nell'onore, nella roba, nella vita. Ma, stando alle idee di giustizia, dee punirsi il delitto passato, non il futuro; il delitto certo, non il presunto. Nemo reus, nisi probetur; è dettame di senso comune. Niuno può tenersi per reo, se non è dimostrato tale; e la pena non può infliggersi, se non al reo. Questi principii così volgari, che la natura stessa insegna a ciascun uomo, che goda l'uso della ragione, sono disconosciuti dalla legge; la quale applica una pena certa «gravissima a un semplice sospetto, vale a dire a un delitto possibile, o almeno incerto e non provato. Lo stesso Mancini, benché non uso a molto sottilizzare in tal materia, ebbe a notarlo: «Il semplice indizio d'una volontà, così egli, non è peranco la certezza di quella volontà; mentre la volontà stessa inoperosa, non anco estrinsecata, non manifestata con atti esteriori, stando ai principii regolatori della penalità, dovrebbe sfuggire a qualunque repressione o prevenzione. Ora so per mettere in movimento le facoltà eccezionali del Governo bastasse neanche la prova certa di quella volontà, ma un semplice indizio, permetteremmo una pericolosa inquisizione, scrutatrice dell’intimo pensiero e ne sarebbe legittimato un formidabile arbitrio 1.» Dunque con questa legge si viene a chiarire che il Governo italiano disconosce i primi elementi di giustizia sociale e la ragione stessa per cui esiste un Governo.


1 Atti uff. pag. 1572.


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La pubblica autorità se, in cambio d'essere la difesa, è una minaccia per la libertà individuale, la comunanza umana è disciolta.

Ma questo modo di argomentare non ha niuna forza presso i sostenitori della legge di cui parliamo; i quali tanto poco se ne curarono, che neppure mossero quistione intorno alla giustizia di essa, ma unicamente posero innanzi che così richiedeva la sicurezza dello Stato. Con che diedero ad intendere che per loro il bene comune non era altro che il bene dello Stato, di quest’ente astratto cioè, il quale si concretizza nei depositarii del potere, e che elevato a suprema norma di giustizia induce la più orribile delle tirannidi. Laonde con essi è da ragionare in altra guisa.

Diciamo adunque che la sancita legge è disonorevole per l'Italia, in quanto ne mostra l'interna debolezza. Un Governo, il quale por difendersi è costretto di venire a mezzi straordinarii, da mostra di trovarsi in pericolo straordinario. Se crede opportuno incutere spavento ai cittadini, fa segno manifesto che non può fidarsi del loro amore. Il Ricciardi nel suo discorso nolo che l'Austria, benché sì trovasse, come l'Italia, in procinto di guerra, nondimeno non aveva fatta nessuna leggo restrittiva della libertà dei giornali. «Niuna disposizione, ch'io sappia, è stata adottata a Vienna per limitare la libertà della stampa. Faremo noi quello, cui l'Austria non pensò a fare finora 1?» Lo stesso a più forte ragione avrebbe potuto osservare rispetto all'articolo terzo della legge, riguardo ai sospetti. Ed è notevole che l'Austria non ha avuto mestieri di ricorrere ad un espediente si fiero neppure per la Venezia. Qual conseguenza adunque ne trarranno tutti quelli, che considereranno celesta diversità? Senza dubbio diranno che il Governo d'Italia si trova in peggiore stato rispetto ai sudditi italiani, che non il Governo austriaco rispetto ai sudditi veneti; che esso è assai più odialo da loro, ed ha bisogno del terrore per contenerli. Quanto disdoro e quale smacco non proviene da ciò alla così della causa italiana? Né vale il dire che la legge si è falla per ispaventare i pochi tristi e mestatori, nemici della patria. Coteste sono ciance, e ognuno le ravvisa per tali.


1 Atti uff', pag. 1568.


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Se i pretesi tristi son pochi, essi sono innocui per la loro stessa scarsezza, e non impongono la necessità di ricorrere a partiti estremi, bastando a contenerli le leggi ordinarie e i magistrali ordinarii. Quando l'ordine pubblico ha il favore della totalità o quasi totalità dei cittadini, sta da sé; le frazioni contrarie non vanno calcolate. Anzi alla sicurezza di quell'ordine basterebbe l'appoggio della sola maggioranza, quando ad essa è congiunta la forza del Governo. Che senso ha dunque questo sbigottirsi, questo gridare ali' aiuto, questo chiuder la bocca a chi parla in contrario, questo ricorso a provvedimenti dispotici, questa derogazione agli stessi articoli dello Statuto fondamentale, che guarentiscono a ciascuno la libertà individuale, e vietano la creazione di tribunali o commissioni straordinarie? Segno è che il Governo non si crede fermo in sella, sente trabballarsi sotto il terreno, s'accorge d'essere inviso alla più parte dei cittadini, e per tentar di salvarsi, sull’orlo del precipizio, si getta a partiti disperati. Or questa manifestazione al cospetto dell'Europa e del mondo è di onore ali' Italia rigenerala?

III.

Ma almeno si conseguisse lo scopo, a cui si mira con mezzi sì paventosi. Il peggio è che si riesce all'opposto. Fu ciò osservalo nel medesimo Parlamento. Il deputalo d'Ondes Reggio parlò in questa forma: «Signori, so bene quello che si risponde contro: Questa legge è necessaria alla salute dello Stato. Ed è con queste parole che si sono commessi nel mondo falli orrendi e scellerati. Con queste parole le proscrizioni di Silla e Mario, le stragi ed incendii di Nerone e Decio, la carnificine di Enrico VIII e di Cromwell, gli assassinii di Luigi XI e d'altri monarchi di Francia o di loro ministri, le proscrizioni, le stragi, le empietà della Convenzione di Francia, insomma quelle parole sono state le opere di tutti i tiranni regii o repubblicani. Ma con quei delitti atroci ed infami nulla hanno eglino conseguito mai. Silla e Mario non salvarono la repubblica, ma ne affrettarono la mina. Nerone e Decio non impedirono la caduta dell'impero; Enrico VIII apparecchiò la cacciata degli Stuardi; Cromwell non fondò la repubblica, né Luigi XI né gli altri affermarono la monarchia in Francia;


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la Convenzione di Francia non impedì il primo impero né che gli stranieri in fine, fu questione di tempo, entrassero in Francia e tenessero per Ire anni il piede sul collo della Francia. Giusti giudizii del cielo: l'iniquità e l'empietà se sono esaltate per tempo breve e trionfano, vengono poscia flagellale e vinte 1.»

Più enfatichc ancora furono le parole del Civinini; le quali, attesa la qualità dell'uomo, hanno un significato assai più espressivo. «Più meraviglioso per me, egli disse, è stato il vedere presentare sottoscritta dall'onorevole mio amico politico e personale, Crispi, questa relazione e questo progetto di legge formolato dalla Commissione. Io mi sono in qualche modo sbigottito di questo fallo; e mi sono confermalo nel!' opinione che una grande tempesta ci travolge tulli e ci trascina per un pendìo, del quale non so prevedere la fine. Quando amici della libertà vecchi o provali, come l'onorevole Crispi, domandano una legge speciale sulla stampa e il domicilio coatto e facoltà particolari al Governo, io in verità non so come potrei non dubitare dell’avvenire della libertà nel mio paese.... Signori, bisogna ispirare al nostro paese fiducia nelle nostre istituzioni. La libertà non può essere buona soltanto nei tempi ordinarii. Se voi dite al paese che la libertà non serve, non giova ad assicurare lo Stato, quando esso corre pericoli, voi insegnate al paese a disprezzare quelle istituzioni, che voi dite di amare e che noi dobbiamo credere che veramente amiate. Mi pare tempo di parlare chiaro.... Io per me credo che queste ragioni, le quali sarebbero buone in tempi ordinarii, sono particolarmente buone dinanzi a questa guerra, che è imminente. O questa guerra voi la fate in nome della libertà, od è una reazione. Se voi non vi fondale sopra la fiducia che potete ispirare al paese come rappresentanti delle idee liberali; signori, voi con questa guerra, condurrete a rovina la nazione e non salverete voi stessi 2.»

L'eloquente oratore si appoggia principalmente sulla sfiducia che questa legge ecciterebbe negli animi, quanto al valore e alla sodezza del presente ordine di cose. Ma egli avrebbe potuto insistere altresì sull’odio al medesimo che essa propagherebbe nel popolo.


1 Atti uff., pag. 1378. — 2 Ivi, pag. 1567.

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 Son tuttavia cocenti le ire, i rancori, i fieri desiderii di vendetta, che le crudeltà inaudite, esercitate in nome della legge Pica, hanno ampiamente diffuso negli animi. Che sarà quando a queste piaghe, ancor sanguinanti, verranno ad aggiungersi le ferite, che aprirà in seno a moltissimi questa nuova legge? Ha un bel dire il sig. Crispi: «La nostra legge non è fatta contro i nostri amici; essa è contro i nemici 1.» Questo già si sapeva. Niuno ha mai dubitato che la libertà, qual è intesa dai liberali, è un loro privilegio e patrimonio domestico; per tutti gli altri, che non han la ventura di appartenere alla setta, non ci è altra sorte che catene o servaggio. Ma il punto della quistione non verte qui. Il punto della quistione si è che sì fatta legge, in cambio di allargare il cerchio degli amici, allarga quello degl'inimici. Voi colpirete senza processo e senza prove un gran numero di cittadini. Mettiamo da banda le lagrime delle desolale famiglie, delle mogli, de’  figliuoli, lasciali privi del padre, e sovente ancora privi del pane: lacrimo che attireranno presto o tardi sul vostro capo la vendetta di Dio. Voi, che non credete alla provvidenza e giustizia divina, vi ridereste di ciò. Ma i congiunti, gli aderenti, gli amici delle vostre vittime, non saranno altrettanti avversarii, che voi aggiungete alle file già mollo dense di coloro, che voi mostrate già di temere non leggermente? E costoro non coglieranno tulle le occasioni propizie, per atterrare istituzioni che son divenute nelle vostre mani strumento di tanta tirannide? Scendiamo un poco più al particolare. Il primo impelo dell’uragano della vostra legge si è scagliato, com'era da aspettarsi, massimamente sopra dei Vescovi, in ispecie quelli del Napoletano. Di bollo ne avete mandalo in esilio, se non erriamo, da circa quattordici dei pochi che n' erano rimasi. Quanto questi Prelati fossero amali dallo popolazioni, si può ricavare da questo sol fallo, che noi abbiamo dalla narrazione immediata di testimonii oculari, e sfidiamo chissia a smentirne la verità. Il Vescovo di Termoli, nella provincia di Campobasso, era stato, come tanti altri, violentemente discacciato dalla sua Diocesi, sotto pretesto della volontà popolare. Or egli nel Settembre dello scorso  anno,


1 Atti uff., pag. 1566.


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approfittando dell'occasione dei timori del colera, che si manifestava in varie città, pensò di tentare il ritorno nella propria sede. Messosi adunque sulla ferrovia, giunse solo ed incognito alla stazione di Termoli. Ma quivi, appena riconosciuto, si vide tosto circondato da una folla di cittadini, che baciavangli le mani e faceangli festa, correndo altri a sonare le campane delle chiese e spargere la voce del suo arrivo. In poco d'ora si raccolse tanta calca di popolo, desideroso di rivedere il proprio Pastore e Padre e riceverne la benedizione, che ci volle più d'un'ora e mezza perché Monsignore potesse percorrere il breve tratto che lo disgiungeva dalla cattedrale. Rientrato nel proprio appartamento, gli convenne tenerne per due dì e due notti aperta e libera l'entrata per soddisfare la divota brama dei popolani, che accorrevano non solo dalla città ma dai villaggi ancora circonvicini. Il trionfo fu sì splendido, che il Maggiore del Battaglione, quivi allora di guarnigione, attonito andava ripetendo: E questo è il Vescovo, che si teneva lontano per essere avversato dal popolo? Povero Governo, come è tradito! — L'onesto militare credeva bonamente che il Governo procedesse in buona fede. Ma ben avrà dovuto disingannarsi ora, che avrà saputo come esso Governo, venutagli la palla al balzo in virtù della nuova legge, ha senza nessun appiglio, per mero arbitrio, rimandalo in esilio l'egregio Prelato 1. Da questo sol caso si faccia ragione degli altri, che potremmo egualmente contare.


1 La maniera tenuta in tale esecuzione è narrata dall'Unità Cattolica colle seguenti parole «Ci scrivono da Termoli li 21 Maggio: Ieri erano le due pomeridiane, quando un tenente di carabinieri, con due delegali di polizia, l'uno di Termoli, l'altro di Parino, e col sindaco locale, si portarono a questo palazzo vescovile, entrarono in tutte le stanze abitate, cacciandone le persone che vi erano, e ad ogni porta vi collocarono un carabiniere. Fu immediatamente dato principio ad una severa perquisizione nelle stanze del Vescovo, e vi sequestrarono oltre venti lettere di privata corrispondenza del lutto innocenti, con due stampe anche innocenti. Si passò poi a fare la perquisizione nelle stanze del Vicario generale, e non trovando che appena pochissime lettere e carte sul tavolino, rimasero stupefalli e guardavansi l'un l'altro. Allora un delegato di polizia domandò: — Onesta e tutta la corrispondenza d'un Vicario generale? — Il Vicario disse: — Rispondo per convenienza, non avendo il delegato diritto di fare simili domande. Le carte della Curia trovansi depositale e custodite negli archivii. —Ed osservando essi gli archivii,


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Or alla mente di ognuno si affaccia naturalmente questo discorso: Popolazioni, a cui i loro Vescovi sono si cari, come non dovranno sentirsi aspramente offese nel vederseli sì tirannescamente divelti dal fianco e sbandeggiali? Aggiugni i nuovi esilii, le nuove prigionie, i nuovi strazii, che in grazia della crispina legge si sono fatti e si faranno dei migliori e più zelanti ecclesiastici e dei cittadini più influenti e benefici. E queste popolazioni, così trafille nell'animo, potranno amare uno stato di cose, che per esse o cagione di tanto dolore e di tanta iattura? Un Governo poi, divenuto che sia universalmente esoso ed abborrito, ha speranza di durare in virtù della sola forza? Giustamente il d'Ondes Reggio esclamava nel Parlamento: «Signori, coteste leggi di arbitrio e di sospetti o sono inutili o dannose ad uno Stato. Una mano di nemici interni non potrà giammai mutare gli ordini dello Stato, quando si vogliano dall’universalità de’ cittadini. Ma quando l'universalità de’  cittadini non li vuole; è quistione di tempo, quegli ordini saranno distrutti, e quelle leggi stolte ed inique ne affrettano il tempo ed accrescono i mali, che accompagnano sempre i mutamenti negli Stati 1.» Ecco dunque a che mena l'improvvida legge, intesa per assodare lo Stato, e la malia rabbia degli onorevoli che la votarono! Essa non fa che seminare vento dissipatore, ed a ragione il Civinini previde che non può raccogliersene se non tempesta.


si spaventarono al solo mirarli, senza neppure aprirli. Infine si passò a perquisire la stanza del prò-cancelliere della Curia, e si sequestrarono poche lettere con due libri innocenti. Dopo tutto questo, che durò oltre due ore, il tenente intimò in nome del Re e del Governo al Vescovo, al Vicario generale e al procancelliere l'immediata uscita da Termoli, scegliendo o il Piemonte, o la Sardegna, o l'estero. E protestando il Vicario generale che si cedeva alla sola forza.... un delegato rispose: —Noi non facciamo forza: che vi cacciamo forse colle armi? — Dunque non usciremo, disse il Vicario. — Ed egli, perciò, disse, abbiamo portato con noi i carabinieri.... Intanto il Vescovo col prò-cancelliere scelse Roma, ed il Vicario generale Marsiglia; e partirono tosto da Terraoli.» Unità  Cattolica, num. 122.

1 Atti uff., fasc. 1578.






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