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RIVISTA CONTEMPORANEA
POLITICA — FILOSOFIA — SCIENZE STORIA
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BIBLIOGRAFIA — BELLE ARTI
VOLUME VIGESIMOSECONDO
ANNO OTTAVO

TORINO
DALL'UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE

1860

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CORRISPONDENZA DA NAPOLI
Al signor Direttore della RIVISTA CONTEMPORANEA
Napoli, 20 agosto 1860

Una corrispondenza di Napoli che si occupasse non solo di politica, ma di civili e letterarie discipline, che sapesse percorrere serenamente i campi della vita intellettuale, e penetrare ne' pacifici asili della scienza e dell'arte, diventa assai difficile in questi giorni di vive agitazioni, quando lo spirito è profondamente trascinato da una sola splendida idea, l'avvenire d'Italia. Potrebbe lo scrittore trovar la calma necessaria per intrattenersi ora di opere d'ingegno? Potrebbe egli sperare di trovar lettori che s'interessino alle sue critiche e alle sue speculazioni? Ov'è finalmente chi ci dia oggi argomento ad occuparci di studii?

Ogni epoca ha il suo elemento predominante, intorno a cui 9i raccoglie e si svolge in un significato armonico la vita varia di un popolo. Quando noi eravamo in tempi di pace, (e di qual pace!) la politica ci si offriva in seconda linea, e spesso le nostre corrispondenze se ne sono occupate di sbieco, per parlarvi delle evirazioni della censura napoletana e delle persecuzioni del Governo contro gl'ingegni. Oggi per contrario debbono gli studii mettersi nell'ombra, e ad un corrispondente non è permesso d'intrattenersi di opere e di bibliografie, se non per quanto si riferiscano direttamente o indirettamente alle quistioni politiche del giorno. Oggi l'elemento predominante, il pensiero unico è la politica, come ieri era la letteratura: e però se allora un corrispondente, quanto al Governo di Napoli, non poteva parlarvi che di politica letteraria, oggi per contrario gli corre il debito d'intrattenersi di sola letteratura politica. Cominciamo dalla situazione pura.

La posizione di Napoli è delle più singolari che possano. i mai rinvenire nella storia. Da una parto un Governo immane, che dopo aver posto in opera tutti i mezzi della tirannide per domare la rivoluzione, non esclusi i bombardamenti,


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ora tenta ei stesso di rappresentare la commedia liberale, per provare se vi riesca co’ mezzi soliti dell'inganno e dello spergiuro. Dall'altra un popolo, fino a pochi mesi deserto di ogni speranza di salute, e che rinnega e rigetta da sé le offerte borboniche, non già solo perché non vi ha fede, ma perché aspira a un più luminoso avvenire, alla unificazione d'Italia. Ecco la posizione netta di Napoli.

Francesco II concede la Costituzione per addormentare la rivoluzione, e quindi spegnerla e ingannarla, seguendo l'avito costume dei suoi maggiori. Il popolo d'altra parte si organizza in Guardia Nazionale, e si adagia apparentemente nelle forme costituzionali, ma solo come mezzo transitorio, e per trovarsi pronto e spedito alla rivoluzione. Nessuno adunque de’ due partiti crede allo Statuto, nessuno l'accetta di buona fede! E certo il torto non è de’ Napoletani, se non volendo confidare le loro sorti ad un Governo sempre nemico de’ popoli, e in cui il tradimento è ereditario, nutre una fede più viva nel gran nome d'Italia, di quell'Italia che finora è stata pe' buoni italiani uno splendido sogno de’ poeti. e pe' tristi una vuota espressione geografica.

Un vero partito costituzionale non esiste in Napoli tra' liberali: esso non si compone che degli antichi uomini del Governo, col quale cospirano insieme. Una larga classe d'impiegati, non abbastanza reazionarii per essere dimessi dal Ministero, e non abbastanza italiani per voler l'Italia: ecco di che si compone il partito costituzionale. Esso è cosi debole, che non osa nemmeno dichiararsi, e confessare apertamente il suo pensiero: il costituzionale dissimula e si nasconde nell'ombra come il reazionario; la sua coscienza e la potenza della pubblica opinione l'accusano. Quanto a' veri reazionarii, certo costà si è sentito parlare di tentate mene, di congiure scoperte, di minaccio di saccheggio, o altro. Tutto ciò è vero; ma sapete dov'è la cuna, il covo reale della reazione? Esso è nella corte. Quando una dinastia ha regnato sì lungamente e sempre poggiata, non già sull'opinione del paese, ma sulla forza di un solo partito, della conventicola reazionaria, questo si è identificato con essa, ed è impossibile svincolarsene: la reazione l'avvince e lo circonda come il serpente della favola. In una parola, in Napoli la reazione è Casa Borbone. È impossibile conservar l'una ed evitare l'altra: re Francesco seL sa, e ad onta del pericolo che lo minaccia dappresso, cospira nella corte co’ vecchi amici del padre e con la madrigna.

Tre giorni or sono si è menato molto rumore di una cospirazione reazionaria, di una specie di Saint-Barthelemy che il conte d'Aquila aveva organizzato contro i liberali. Si sono scoperte casse di revolvers


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e liste di congiurati, e liste di persone a trucidare nelle proprie case. Eppure il conte d'Aquila si era pel primo mascherato a propugnatore delle libere istituzioni, e non gli erano mancate iscrizioni e versi de’ suoi amici.

Provatevi adunque a sradicare la reazione da' Borboni, e non lo potrete: essa è la loro vita, è la loro scuola, è il loro regno. Lo scopo che avea in mira il conte d'Aquila, è ancora un mezzo mistero: vi è chi dice che cospirasse per conto del nipote, e v'è chi afferma che cospirasse per conto proprio. Era uomo da concepire un disegno scellerato; e se non alzava lo sguardo fino ad una corona, è certo che aspirasse ad un Vicariato, o ad una Reggenza. È dispiacevole intanto che la popolazione agitata da un timor panico, vede i mercenari bavaresi all'uscio delle case, non sogna che stragi, incendii e saccheggi, ecc.; le donne si ritirano in massa alla campagna.

L'elemento nuovo, l'elemento giovine, e che per la prima volta si mostra in Napoli educato a principii del vivere civile e alle aspirazioni della libertà, è quello de’ popolani. Nelle altre contrade d'Italia e in tutta Europa il nostro popolano non viene diversamente designato che col nome di Lazzarone, e al Lazzarone si attribuiscono tutte le infamie reazionarie. È questo l'effetto delle vecchie tradizioni, e diremo pure de’ vecchi pregiudizii de’ Juristi della politica, i quali non si brigano mai di seguire il cammino progressivo de’ popoli nella civiltà. Il popolana di Napoli oggi è il più caldo di amor patrio; e questo nuovo sentimento lo rende onesto, solerte, entusiasta e costumato. Esso è il vero elemento rivoluzionario che ora esiste appo noi, ed è quello che ha combattuto i tentativi di reazione. Fra i popolani, una donna ha particolarmente tratta a sé la pubblica attenzione, una cantiniere della Pigna Secca, conosciuta sotto il nome di Sangiovannara, specie di Amazzone, che con l'archibugio alla spalle ha guidato per la strada Toledo le pattuglie di pubblica sicurezza. Costei perseguitata un tempo dalla Polizia, è stata spesso il mezzo di cui sonosi serviti i prigionieri politici per le loro comunicazioni, e dicevi che conosca assai dappresso l'illustre Carlo Poerio. E' impossibile rinvenire un'anima più calda di quella per la causa italiana, e la sua bottega è diventata il convegno de’ liberali.

Finora, come vedete, io mi sono tenuto sulla descrittiva: ma e le tendenze, e l'avvenire del paese, e la mente dei nostri uomini politici? Io l'ho già sopra accennato e lo ripeto ancora: Napoli come le altre contrade d'Italia, vuole l'annessione, vuole l'unità. E i mezzi? Farà il paese la rivoluzione, o aspetterà la venuta di Garibaldi? Permettetemi intorno a ciò di usarvi delle riserve, perché potrei incorrere in uno


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di questi due pericoli, o di dar per fatto quelle che possono non essere che mie opinioni; ovvero di cogliere la verità e metterla inopportunamente allo scoperto. E forse al momento in cui questa corrispondenza sarà pubblicata, chi sa quali e quante novità potranno essere avvenute, e le quali rendono da ora inutili le mie parole. Le nuove della rivoluzione di Basilicata, de’ movimenti delle Puglie e degli sbarchi nelle Calabrie cominciano già di per se stesse a rispondere a tutte le inchieste. Quello di cui gl'Italiani possono essere sicuri, è che i Napoletani non si addormentano sulle bugiarde intempestive promesse di Francesco II, ma anelano il momento di unirsi agli altri loro fratelli in una sola politica famiglia. Che gli altri Italiani non ci accusino di tiepidezza, perché le condizioni di Napoli sono affatto eccezionali, e gli ostacoli militari che abbiamo noi a superare, sono di gran lunga maggiori di quelli che sonosi detti altrove.

Che cosa è l'esercito napolitano? Esso è stato di frequente accusato di codardia e di antiliberalismo. La prima accusa è falsa, perché in ogni rincontro l'esercito ha provato il suo valore; ma la seconda merita gravi considerazioni. Nell'esercito di Napoli sono molti elementi e molte individualità nobilissime, e Italia ne ha fatto pruova nel 1848 e nel 1849, e anche nell'ultima guerra.

La marina, composta di una gente colta, è tutta italianissima, e gli esempii recenti lo hanno provato. I nomi di Anguissola, di Civita, di Nicastro, di Cottrau, di Accinni e di altri, accorsi dalla marina napoletana sotto le bandiere di Garibaldi, sono ormai benemeriti della causa italiana. Quanto all'artiglieria, pur di recente il capitano Somma, il capitano Statella, il tenente Pierantoni, ed altri che han gittate in viso al re di Napoli la loro dimissione per correre in Sicilia, sono anche degli esempii nobilissimi di vero amore per la nostra Italia: l'artiglieria insomma ha pure degli ottimi elementi liberali. Il dubbio è pe' corpi di linea: in questi la nuova giovine ufficialità manifesta un ottimo spirito, ma non è generale, ed è per ciò che non vi si può contare su con certezza. Il giorno 17 un fatto riprovevolissimo è avvenuto nella strada Toledo. Si era da tre giorni, e si è ancora con lo stato d'assedio, motivato dal pretesto di prevenire gli effetti della scoperta congiura reazionaria. A dire il vero, è cosa mitissima, e la città non ha neppure avvertito lo stato eccezionale in cui trovasi. Il comandante della piazza, generale Ritucci, il giorno 16 avea messo fuori un'ordinanza con cui richiamava in istretta osservanza la legge sulla stampa intorno all'obbligo di L. 3,000 di cauzione per ogni giornale. È mestieri sappiate che il Ministero nel promulgare le prime leggi costituzionali richiamò in vigore quella per la stampa del 1849.


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Fu un grave errore (lo diciamo errore, e non altro) perché quella legge fu fatta appunto come iniziamento alla reazione del 1849, ed è per ciò che impone degli obblighi gravissimi di cauzione, che rendono quasi impossibile la stampa nelle condizioni nostre. Il Ministero intanto convinto della inapplicabilità di siffatta legge, l'ha largamente interpretata, contentandosi di semplici biglietti di tenuta. Ora il generale Ritucci, facendo quasi una riprensione a quell'istesso Ministero, di cui egli fece parte, e col quale avea comune la responsabilità, richiama a stretta osservanza la legge in parola, richiedendo il versamento effettivo della somma. E quel ch'è peggio, la fa mettere violentemente ad esecuzione dai suoi granatieri, i quali percorrendo la strada Toledo, penetrano negli spacci e ne' depositi de’ giornali, li lacerano tutti, buoni e cattivi, e danno principio in siffatto modo ad un vero movimento reazionario. Il generale Ritucci accortosi dell'errore, e non volendo essere il Polignac della stampa napoletana, ritornò subito al sistema de’ biglietti di tenuta. Questa docilità è lodevole; tanto più che la sua idea prima era stata piuttosto di distruggere la piccola stampa.

Sono queste le inquietezze, queste le trepidanze del partito liberale, le quali per altro sono state anche esagerate da altre voci puramente calunniose contro l'esercito. I tristi profittano della posizione per far nascere de’ dissensi. In Napoli tutti i partiti si guardano con pauroso sospetto, e restano con l'arma al braccio; forse avvicinandosi maggiormente, si riconoscerebbero meglio. Chi sarà intanto più ardito, sarà padrone della situazione. Quella che teme di più è la Corte, perché sente nella sua coscienza che essa è appunto destinata a cadere. Garibaldi, ecco il fantasma che turba; i sonni voluttuosi di palazzo reale; e Garibaldi è pure la lieta visione che rallegra quelli de’ figli della libertà. Tutti ad un tempo lo sperano, e lo temono, lo sospirano e lo fuggono; tutti sono con gli occhi intenti sul mare, nella stessa baia di Napoli (storico) per vedere spuntare quelle vele, a un tempo abborrite ed aspettate. Qual meraviglia?

Il Juckery non è venuto quattro notti or sono, con un'audacia che fa fremere, fino nel cantiere di Castellamare a tentar di rapire la fregata reale, il Monarca? Il tentativo avrebbe avuto un successo fortunato, se non fosse stata una catena di più grosso calibro, che non si giunse a tagliare. Insomma Garibaldi, ecco l'eroe del giorno, il nome che ci affascina e ci trascina: la viva e meridionale fantasia de’ Napoletani lo raffigura colà alle falde del Vesuvio, nel porto stesso, ritto nel mezzo della sua nave a comandare la manovra. Il suo ritratto orna le case di tutti gli uomini del popolo, i quali vi trovano una rassomiglianza


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con la testa del Cristo. Le molli e fantastiche donne di Napoli, sono avide de’ racconti del suo valore, e si fanno di fiamma nel viso, e i loro occhi scintillano del fuoco del mezzogiorno.

Se l'opinione è la forza, se essa è l'avvenire, se la coscienza universale non può mentire ai popoli, potrete voi dubitare della vittoria italiana in Napoli? Che i dubbi intorno ad un preteso partito repubblicano cessino una volta a Torino e altrove: qui Giuseppe Garibaldi non è che la spada di Vittorio Emanuele. E se il vincitore di Varese e di Calatafimi è l'eroe del popolo napoletano, il vincitore di Palestra e di S. Martino ne è il Dio. Al nome di Garibaldi l'animo dei Napoletani si esalta, a quello di Vittorio Emanuele le loro ginocchia si prostrano.

Ma intanto se voi volete Vittorio Emanuele, perché vi occupate di liste elettorali? Eccola inchiesta che sento farmi, e che han fatto molti giornali italiani. La risposta è semplice: se nel giorno della elezione dei deputati la rivoluzione non è ancora avvenuta, è mestieri che concorriamo tutti intorno all'urna elettorale, perché non ne risulti una Camera retriva e clericale, la quale non sia rimpetto all'Europa l'espressione del pensiero nazionale. I reazionarii si sono assai agitati nel comporre liste nel loro senso, ed era necessario combatterli. Dicesi che il cardinale di Napoli, che forse un giorno vorrà rappresentare la parte gloriosa di Fransoni e dell'arcivescovo di Pisa, eia il centro di un comitato elettorale reazionario, e le sue liste girano per la città. I Comitati liberali per le elezioni sono stati tre, il Comitato centrale preseduto, da Pietro Leopardi, quello dell'Unione presieduto da Lorenzo Gabriele Costa, e un terzo preseduto dall'avvocato Soffioti. Eccetto poche divergenze di nomi, questi Comitati sono d'accordo nell'indirizzo ed anche nella maggior parte delle candidature. Uno de’ nomi che ora è riportato in tutte le liste, e che non comparve nel 1848, è quello di Antonio Ranieri, autore dell'Orfana dell'Annunziata, romanzo sociale troppo noto e primo nel suo genere in Europa, che fu iniziatore di quella scuola imitata poscia in Francia. Sono anche riportati generalmente nelle liste i nomi di alcuni militari come quello di Scrugli colonnello di marina, eccellente uomo, e del generale De Sauget. È una pubblica dimostrazione dell'accordo che dicesi doversi promuovere tra gli ordini civili e militari. Stimo superfluo farvi osservare che il prode Enrico Cosenza è sempre in cima a tutte le candidature liberali. In molte liste si leggono anche i nomi del conte di Cavour, di Farini e fino di Giuseppe Garibaldi.

Del resto le elezioni sono state prorogate dapprima dal 16 al 26 del mese, hanno ora avuta una seconda proroga anche più lunga.


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Per verità è utilissimo per noi e pel Governo risparmiarci un atto, che dovrà essere da un giorno all'altro assorbito da più gravi avvenimenti.

Io vi ho innanzi parlato di stampa giornalistica, ed ecco il solo argomento letterario che mi si porge innanzi. Molti sono i giornali che vengono alla luce ora tra noi, e mi riuscirebbe impossibile parlarvi di tutti, Sarò quindi contento a farvi cenno dei principali. Oltre dell’Omnibus, del Nomade, dell'Iride e del Paese, i quali già preesistevano al 25 giugno, benché questi due ultimi di tratto in tratto sospesi, si pubblicano in Napoli come nuovi: L'Italia, L'Opinione nazionale, La Nuota Italia, Il Nazionale e L'Avvenire d'Italia. L'Italia nacque dalle ceneri del Diorama, antico giornale letterario, ed è diretto dal signor Francesco Rubino. È un giornale che appoggia il Ministero e la Costituzione, e non ama l'annessione: esso è per altro ben compilato. L'Opinione Nazionale diretto dal signor Arabia è unitario dichiarato, ed è redatto con cura ed intelligenza. La Nuova Italia, fondata dal signor Virgilii, ora intendente a Jeramo, sta pure per l'annessione; è un giornale che va acquistando a poco a poco colore e forma politica, migliorando ogni giorno la sua compilazione: di presente scrivono anche in esso il signor Giuseppe Lazzaro e il signor Cesare Oliva. Il Nazionale è uscito fuori con grandi pretensioni: esso ha un consiglio di direzione composto di quasi tutta la emigrazione ritornata da Torino, a cui sonosi aggiunti i nomi di Ranieri, di Vacca, di Caracciolo e di altri: ha inoltre un direttore in Ruggiero Bonghi, e un numero discreto di scrittori. Quanto all'indirizzo, è inutile parlarvene, perché s'intende essere unitario. Il torto di questo giornale è di avere annunziato nel suo manifesto che la sua voce dovea essere autorevole: in Napoli le suscettibilità sono molte, e han reclamato contro questa specie di legislatura giornalistica. Il giornale per ora è nuovo, e noi atteso gli elementi di cui si compone, siamo certi che vorrà provare coi fatti di meritare la posizione a cui aspira. L'avvenire d'Italia diretto da Girolamo Pica, è ancora nel suo cominciamento, né potrei darne alcun, giudizio. de’ vecchi giornali sopraccennati, l'Omnibus è al suo solito senza indirizzo certo, e accoglie articoli spesso discordanti. L'Iride ed Il Paese, diretti dai fratelli Camillo ed Achille De Clemente, sono unitarii; e cosi II Nomade, diretto dal signor Galdi. Questo giornale che si fa lodare per sostenutezza di principii, vien compilato da eletta schiera di scrittori napoletani.

La nostra vera piaga è la cosiddetta stampa volante. Dal 1848 invalse il mal vezzo che ogni miserabile scolare o commesso di negozio, avesse non solo il diritto di professare le proprie opinioni politiche


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(questo diritto lo concedono tutti i paesi liberali) ma di renderle anche pubbliche col mezzo della stampa. Chi potrebbe tener conto della pioggia de’ cosidetti fogli volanti che si spandono quotidianamente per le strade di Napoli a gola spiegata dai venditori? Appo noi, che non abbiamo ancora de’ circoli bene costituiti e regolati, e ove si ricevono i due e i tre dispacci al giorno dallo agenzia telegrafiche, l'aspettativa o anche la curiosità politica non si appaga che col solo mezzo della stampa. L'astuzia degli scrittorelli è di dare alle loro sciocche cicalate de’ titoli speciosi, altitonanti, e sempre provocanti; e vedi correr tutti a depositare nelle mani del venditore l'obolo obbligato, e a strappargli avidamente in cambio un esemplare della carta strombazzata. Nella quale dopo avervi il lettore gettato su uno sguardo, non legge che una diatriba in cattiva grammatica contro l'elettore che non ha fatto un tale capitano della Guardia Nazionale, o contro un ministro che ha dato gl'impieghi a' birbi.

E le leggi sulla stampa? Esse colpiscono la buona, non la cattiva stampa: sopprimono il giornale politico e non il foglio volante. Cosi tutte le leggi borboniche, costituzionali o non costituzionali, sono sempre un inciampo alle opere oneste ed intelligenti, non mai all'abuso ed all'ignoranza.

Quella che nelle presenti condizioni di Napoli diventa davvero insopportabile, è la censura teatrale rimasta ancora nelle mani di Anselmi, Corcia e Girelli, l'antico consiglio dei tre che per tanti anni ha; torturato appo noi i poveri scrittori drammatici e melodrammatici. La Lega Lombarda del conte Giuseppe Ricciardi è stata cassata dall'Anselmi, perché, secondo il rapporto del revisore, si esprimeva poco convenientemente sul conto dei Tedeschi, coi quali noi siamo in pace (storico). Vorrei in verità sapere come questa speciosa idea si concilii col programma ultimo del Ministero, che ci parla d'indipendenza italiana, la quale significa implicitamente guerra all'Austria?

Sono queste le sole novità politiche, letterarie e scientifiche di Napoli.

Dovrei parlarvi di atti, di scultura e di pittura. L'argomento in vero è assai ristretto; ma ad ogni modo lo riserbo per un'altra corrispondenza.


State sano

X. X










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