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RIVISTA CONTEMPORANEA
POLITICA — FILOSOFIA — SCIENZE STORIA
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BIBLIOGRAFIA — BELLE ARTI
VOLUME VIGESIMOSECONDO
ANNO OTTAVO

TORINO
DALL'UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE

1860

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CORRISPONDENZA DA NAPOLI
LETTERA AL DIRETTORE
(Ritardata)
Napoli, settembre 1860.

Gli avvenimenti corrono rapidissimi, ed è impossibile seguirli d'appresso nelle pubblicazioni lente e mensuali di una rivista. L'ultima volta che io vi scriveva, sentiva l'imminente avanzarsi della rivoluzione, e vi presagiva che al tempo in cui la mia corrispondenza avrebbe veduta la luce, l'aspetto delle cose sarebbe già pienamente mutato. Eppure i miei presagi che erano quelli di tutti, sono stati sopravanzati da' fatti; il successo è stato ancora più rapido e più luminoso della speranza.

All'annunzio dello sbarco nelle Calabrie di Giuseppe Garibaldi, tutte le provincie del continente di questa parte meridionale d'Italia, si sono poste in rivolta, e l'eroe nizzardo traversando sotto archi di trionfo e tra le universali frenetiche acclamazioni e città cospicue e innumeri villaggi, è entrato nella capitale delle due Sicilie il giorno appresso in cui n'era uscito Francesco II: egli vi è entrato solo, con tre uffiziali dello Stato maggiore, in mezzo a' battaglioni nemici che si arrendevano o si scioglievano, affascinati da tanta grandezza.

Dopo molte discussioni tenute a corte intorno ad un campo che volea stabilirsi tra Salerno e Napoli per proteggere la capitale, Francesco II avea finito col cedere ad un pensiero più prudente, abbandonando Napoli, per concentrare le sue forze che ancora gli rimanevano fedeli, dietro la linea del Volturno, appoggiandosi alle fortezze di Capua e di Gaeta. Il giorno 6 settembre adunque egli lasciava la reggia per non mai più rientrarvi, e si ritirava a Gaeta.

La caduta di un'antica dinastia offre sempre uno spettacolo solenne, e che preme lo spirito di un terror grave e profondo. Intorno ad una 'casa di principi si raccolgono gli interessi di tante famiglie, tante passioni, tante vicissitudini. È tutto un passato che crolla, e sotto i rottami del vecchio edificio rimangono sepolte quelle splendide esistenze, che pur ieri occupavano la scena del mondo, e uscivano invidiate tra le turbe.


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La vasta piazza di Palazzo reale vedevasi in quel giorno ingombra di suppellettili e di masserizie appartenenti agli uomini della corte, che cercavano altrove un rifugio modesto, che sgombravano da quel soggiorno superbo, dall'Eden delizioso in cui avevano imparato a considerarsi come una casta superiore e privilegiata. Era pertutto un accorranno, ma tristo e silenzioso, interrotto soltanto di tratto in tratto dalla tromba della Guardia Nazionale, la quale difilava in gruppi diversi per rinforzare i posti della città. Erano due principii l'uno a fronte dell'altro; la tirannide che si lasciava cadere il potere, e il popolo che lo raccoglieva. — Non un grido sedizioso, non un atto che accennasse a sbrigliamento delle passioni popolari: nobile e solenne fu il contegno della città in que' supremi momenti; e si sarebbe. detto un popolo di filosofi, che assistesse con tutta la calma della ragione al logico svolgimento di un fatto, figlio della necessità storica de’   tempi. Non era infatti lo sdegno di un istante, l'ira popolare di una lotta ordinaria che discacciava i Borboni da Napoli; ma era invece tutto un secolo di oppressione e di suicidio politico. Troppo profondi erano i rancori nutriti, troppo universale era l'odio accumulato contro quei principi! Non erano individui, non de' soli partiti, a cui la tirannide borbonica avea spremuto lagrime amarissime; ma un popolo intero spietatamente e senza misura e sempre torturato; era l'Italia più volte tradita e abbandonata allo straniero; era finalmente l'umanità di cui furono offesi i diritti più sacri, di cui furono ostinatamente rinnegati i principii. Ed era l'umanità personificata nel popolo napoletano che assisteva gravemente e solennemente ad un atto di provvidenziale giustizia, in cui la spontanea coscienza delle genti scorge sempre il glorioso procedere di un'idea numeratrice degli uomini e della storia.

Fin dalle prime ore del giorno il popolo avea cominciato con tutta calma a cancellare e ad abbattere gli stemmi reali che trovavansi sugli edifizii pubblici e sui magazzini fiscali, e in più di un luogo vedevasi già sostituita la Croce di Savoia, e anche la bandiera. — Sul tardi poi cominciarono a traversare qualche punto della città i battaglioni rimasti ancora borbonici, che si recavano a Capua. Alla testa di uno di essi si era posto il conte di Trani, fratello secondogenito di Francesco II, che a piedi e col capo chino passò in mezzo alla maestà del popolo, il quale si apriva tacitamente in due ale per lasciarlo trascorrere. Quel principe si avviava sul sentiero dell'esilio, e vedea da se stesso gli stemmi rovesciati di sua famiglia e quelli del re d'Italia già posti in luogo di essi. Alle 5 pomeridiane partì il re Francesco per la via di mare, lasciando la reggenza affidata al Ministero.

La mattina del 7 il Generale Garibaldi, che avea passata la notte


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a Salerno, ove avea pure ricevuto il Municipio Napoletano e una numerosissima deputazione di cittadini, domandò per telegrafo a' comandanti della Guardia Nazionale e al Ministero se poteva entrare in Napoli. Meravigliarono tutti all'audacia inaudita, e si rispose immediatamente che Napoli aspettava giuliva l'arrivo dell'eroe. — La nuova corse in un attimo le vie della immensa città, e le torbe del popolo in masse gigantesche cominciarono ad agglomerarsi sulla direzione della strada di ferro. — Alla stazione della ferrovia erano il Municipio, il Comandante della Piazza, gli ufficiali superiori della Guardia Nazionale e un numeroso concorso di distinti personaggi napoletani e stranieri e signore con mazzi di fiori. — Pochi minuti prima ohe fosse giunto il Generale, per la stessa via di ferro, arrivavano dalle Calabrie delle compagnie di Bavaresi, avvilite e mal-conce, e prendevano pacificamente la direzione di Capua, senta alcuna molestia. Spettacolo singolarissimo! La città era ancora occupata dai regii, i forti presidiati con la bandiera borbonica, e Garibaldi entrava in Napoli inerme e solo. — Il convoglio che trasportava il Generale, era qualche cosa di fantastico. Centinaia di persone ritte nei Wagons, agitavano miriadi di bandiere e di grossi rami di alloro, e producevano al vederli un effetto straordinario: il convoglio ai appressava così da lungi come la selva di Mackbet; era un nembo di splendide e gigantesche apparenze, in mezzo alle migliaia di bandiere e di fazzoletti bianchi, che le moltitudini divise in due ali agitavano sul suo passaggio.

Dirvi quello che fu la città per tre giorni di seguito, è impossibile per uno scrittore. È mestieri aver prima conoscenza della strepitosa natura del popolo napoletano; saper bene quanto abbia esso sofferto in 12 anni di sventure, e qual fascino eserciti sulle popolari fantasie il nome di Garibaldi, per poter avere un concetto, se non adeguato, almeno prossimo alla realtà di quello che fece Napoli per festeggiare il suo liberatore. Ma il sesso femminile fu quello che più si distinse per entusiasmo. Le giovinette aveano in gran parte indossata la giubba scarlatta, e in tal guisa, o alla testa delle moltitudini con la bandiera in mano, ovvero sovra carri festivi, illuminati da fiaccole innumerevoli, traversavano da un capo all'altro la via Toledo. — In quei giorni quasi tutti i Napolitani parlavano a stento e a mezza voce; erano rauchi dalle grida di gioia, dagli evviva che non avean cessato, in una sola ora del giorno, d'innalzare al Generale Garibaldi, all'Italia una e a Vittorio Emanuele.

Il ministero scelto dal Dittatore fu tutto in senso moderato: Romano, Scialoia, Pisanelli, Cosenz e Cicoone. L'essere rimasto al potere il Ministro Romano fece su molti non buona impressione: era  colui che il giorno innanzi avea stretta la mano a Francesco II


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Ma il Dittatore mosse da un altro principio; s'avvide che il Romano avea una forte maggioranza nella opinione, e lo lasciò al suo posto.

Per sventura la concordia non è durata che pochi giorni. Il partito annessionista capitanato in gran parte dal Ministero, si è posto in contraddizione con quello del Bertani Segretario generale della Dittatura; e Garibaldi è combattuto tra due. — Si è fatto un tentativo di conciliazione, e distaccandosi un lembo del Ministero dell'Interno, si creò un Ministero di Polizia per Conforti. Il Conforti gode meritamente la opinione generale, ma non ancora gli è riuscito di far l'accordo, né di comporre un nuovo Ministero. Il più specioso è che la contraddizione è negli stessi atti e nelle stesse parole del Generale. Mentre nella lettera a Brusco egli getta delle amare parole contro Cavour, con cui dice non poter mai conciliarsi; mentre proclama incessantemente, ad onta dei Memorandum di Torino, di voler andar a Roma e far l'Italia dal Quirinale, promulga lo Statuto piemontese, consegna la flotta all'ammiraglio Persano, e fa dire a Cialdini di poter entrare dagli Abruzzi. — Giunti i Piemontesi in Napoli, continuerà o no la Dittatura? Saranno o no consultate le popolazioni, come avvenne della Toscana e dell'Emilia? Ecco quali sono le preoccupazioni di queste contrade dell'Italia meridionale. Deputazioni di tutti i partiti si presentano alla Dittatura, e le opinioni sono immensamente tese.

Noi crediamo che l'unica via a seguire in una situazione si difficile, sarebbe di riunire i Comizii e costituire un'Assemblea Nazionale, che deliberi sulle sorti del paese.

In mezzo a tante agitazioni, come volete che io vi parli pacificamente di scienze e di arti? Chi è che oggi se ne occupa sul serio?

Buono per altro che almeno si pensa a riorganizzare l'Università, con una Commissione speciale, di cui è Presidente il poeta Saverio Baldacchini. L'Università di Napoli era stata quasi interamente distrutta dal dispotismo borbonico, e non era in vita che per costituire de’  canonicati a de’  benemeriti della Corte. — Il Murena, il Bianchini, il Manfrè erano professori all'Università; e in tal guisa volendo il Governo gratificare simil razza di gente, ne risparmiava al tesoro la spesa, aggravando i poveri fondi che doveano servire per la pubblica istruzione. — La nuova Commissione è istituita già da qualche tempo, né il lavoro dovrebbe più essere ritardato.

A proposito di studii e di accademie, in questi giorni sono state assai ammirate delle operazioni chirurgiche di amputazione eseguite su qualche prode volontario dall'egregio dottor Zilioni, Veneto, al seguito di Garibaldi. In questi momenti in cui si ha da fare col cannone di Capua, un valente operatore è un tesoro per l'esercito de’ volontarii. Del resto le operazioni dell'assedio sono non poco inoltrate, e ai spara che tutto finisca con una capitolazione.


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In arte vi son poche novità: lo scultore Angelini porta a compimento un'altra sua Eva dalle nivee forme, dalle flessuose e vergini bellezze. L'Angelini ha non poco acquistato da qualche anno in qua, giacché i suoi recenti lavori sono ispirati da certe idealità più pure, e si rivestono perciò di una maggiore soavità di forme, di una più lucida ed ineffabile espressione di bellezza.

Molti pittori, come il Sangiovanni, il Querant ed altri si occupano a riprodurre le scene del giorno; e quasi in tutte scorgi per protagonista il Garibaldi. Anche il litografo Wenzel ha eseguita una bellissima litografia dell'entrata di Garibaldi in Napoli nel giorno 7 settembre. — Il De-Napoli porta a compimento un gran quadro che è l'apoteosi del S. Sebastiano: il santo è presentato alla Triade dagli angeli che lo hanno assistito nella morte, e dietro una nuvola che si squarcia, vi scorgi in ombra la scena del suo martirio. Il De-Napoli è un artista di molto valore, assai accurato, ed è maestro nel magistero plastico dell'arte e nella figura. Spesso il dover lavorare per commissione assegnata, lo inceppa in confini troppo angusti, ed è per ciò che alcuni gli hanno qualche volta rimproverato di aver poca spontaneità ed ispirazione. Il che non ci sembra varo, perché il tema sacro non potendo più essere oggi l'ideale pittorico, mal può rispondere alla profonda concitazione, al concetto speculativo del pensiero moderno.

I teatri hanno riacquistata un'aura di vita, di una vita, per cosi dire, almeno fattizia, ed artificiale, dall'arrivo de' militi in giacca scarlatta: essi inondano i foyers e le platee, e spesso sono ad un tempo spettacolo e spettatori. Trascinati da istantanei entusiasmi, e secondati dalla viva gioventù napoletana, erompono in acclamazioni, in strepiti di gioia frenetica.

La nuova musica semiseria del Petrella Il Folletto di Grety al Teatro del Fondo, ha avuto un felice successo. — È una musica facile, amena, folleggiante, nella quale v'ha quella che dicesi in Francia la verve, e appo noi la spontaneità; una di quelle musiche di un genere fosforico, che oggi assai raro incontra di sentire. Invano per altro vi cerchereste il carattere e la fisonomia. Il Petrella non è stato mai tanto felice che quando ha scritto il semiserio, né la drammatica è troppo, il suo genere. Quello che noi non possiamo intendere è perché egli stimi che il genere ispiratogli dalla natura sia meno atto a dargli fama, di quello che dovrebbe seguire a forza di artifizio, contrariando e contorcendo le sue tendenze.

Al Teatro Nuovo, una volta in gran fama per la musica buffa, oggi Teatro del Popolo il quale riproduce in una volontaria parodia le musiche serie, è stata rappresentata in questi giorni la Bottaglia di Solferino. È un tessuto musicale di diversi maestri, e lascio a


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ciascuno considerare qual cosa dovea uscire da questo nuovo sistema di associazione di lavoro! I critici in fondo vi trovano l'antica Presa di Costantina, che si rappresentava al Circo equestre, e che ora grazie alla riacquistata libertà politica, si battezza per Battaglia di Solferino. — Che vi sia di Solferino in tutto lo spettacolo, è difficile a ritrovarlo; a meno che non si rinvenga nel titolo del cartellone, opportunissimo per richiamare il credulo patriottismo dei gonzi.

Il Teatro de’  Fiorentini è stato alquanto in riposo per le novità. Il signor Lopez autore del Pietro Micca e di altri drammi, fece rappresentare un suo lavoro, negli ultimi giorni del regno di Francesco II, intitolato II Sacco di Capua. Trattasi dei tempi delle guerre di Francia contro gli Aragonesi, e l'avvenimento è assai celebre pel sacco dato a Capua dalle bande del Valentino, che erano nell'esercito del d'Aubigny. Il dramma fu assai applaudito, perché lo scrittore non ha mancato di usufruttare i tempi con apostrofi infinite all'Italia e al valore degli Italiani. — Nel fondo la tela drammatica è mal congegnata, benché il dramma vi fosse, ed è il seguente: La figlia del da Siena, comandante di Capua per gli Aragonesi, essendo innamorata di un ribelle barone napoletano che è al campo francese, è crudelmente tradita dal perfido amante, ad istigazione di cui apre un ingresso segreto nella città alle bande feroci del Borgia, credendo di aprirlo per salvare il padre rimasto prigioniero nel campo nemico. — Quello che non possiamo lasciare di censurare nel dramma, è il personaggio del Valentino, che il Lopez ha rappresentato nel modo il più abbietto e, diremmo quasi, ridevole. Senza voler entrare nelle storiche questioni, ormai celebri intorno a questo famoso principe e capitano, e lasciandone libero il giudizio a ciascuno, é sempre indubitato che l'anima più profondamente ambiziosa che sia mai apparsa nel mondo, dovea sempre essere rappresentata, fin nelle sue ferocie, in un aspetto più solenne e più alto.

Di presente è in concerto a' Fiorentini La Lega Lombarda del conte Giuseppe Ricciardi, che è stata rappresentata più volte altrove. — Un altro lavoro di cui sonosi pure distribuite le parti, è il Pier delle Vigne, tragedia di Luigi Indolii, assai noto nelle lettere napoletane. Di entrambi i lavori daremo rassegno e giudizio nell'altra corrispondenza.

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