Eleaml



RIVISTA CONTEMPORANEA
VOLUME TRIGESIMOSECONDO
ANNO UNDECIMO
TORINO
STAMP. DELL'UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE

1863

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Pag. 477


Nella Rassegna Politica del mese di gennaio, noi annunziavamo ai nostri lettori la sollevazione della Polonia con parole che rivelavano il doloroso presagio del nostro cuore. Gli avvenimenti che seguirono nel mese di febbraio e ne'primi giorni di marzo parvero dare una mentita alle nostre previsioni. La sollevazione si dilata e s'ingagliardisce: i Russi sono battuti in molti scontri, ovvero ottengano vittorie macchiate di si nefandi atti di barbarie, che sono ad essi di maggior detrimento delle sconfitte. Le classi agiate e colte, che da principio si erano tenute da parte, si mescolano al movimento e gli danno autorità e riputazione. L'Europa intera si commove allo spettacolo di tanto eroismo da una parte di tanta ferocia dall'altra: da Londra a Torino, da Lisbona a Stoccolma le aule de' parlamenti echeggiano di voti favorevoli alla Polonia: grandi radunanze popolari si convocano a fine di esprimere il comune sentimento di simpatia e di ammirazione per gli oppressi, di riprovazione per gli oppressori. Inglesi e Francesi, Italiani e Tedeschi si trovano d'accordo nel desiderare la vittoria de' Polacchi: i cattolici pregano nelle loro chiese; i rivoluzionarii si radunano ne' loro circoli; i diplomatici corrono da Londra a Parigi, e da Parigi a Vienna, tutti d'accordo a cercar modo di essere utili alla Polonia: Montalembert e Quinet pigliano la penna per difendere la medesima causa: gli articoli del Monde e, dell- Armonia potrebbero essere inseriti senza sconcio ne' diarii liberali di Parigi e di Torino. Langiewicz, ieri sconosciuto, diventa in pochi giorni uno dei nomi più gloriosi della storia contemporanea: il Comitato Centrale, che nel principio aveva diretto il movimento insurrezionale, si ritira volontariamente, e depone i suoi poteri in mano del soldato fortunato, che i corsi pericoli e le ottenute vittorie hanno consacrato capo della sollevazione. I dissentimenti delle parti politiche, di classi, di caste spariscono nell'oceano commosso del sollevamento popolare: il ciclo de' tumulti scomposti, de' tentativi indecisi, dei moti disgregati si è chiuso: la rivolta dei renitenti alla leva* si chiama rivoluzione nazionale, ed inalbera la sua bandiera tra gli applausi di tutti i popoli liberi e civili!

Le nostre previsioni erano adunque fallaci? E chi più lieti di noi se veramente tali sono? Ma ohimè! Ecco che un dispaccio telegrafico ci annunzia che Langiewicz è battuto, costretto a rifugiarsi sul territorio austriaco e chiuso dall'Austria nella cittadella di Cracovia, forse per dare alla Polonia una nuova prova della sua simpatia! Ecco che un altro dispaccio ci dice che gl'insorti, sotto il comando di Czechowisky, sono stati rotti presso la frontiera austriaca e completamente dispersi! La lotta non è per questo terminata: altri combattimenti avranno luogo, altri atti di eroismo saranno compiti dai Polacchi, altri atti di ferocia dai Russi, altre città saranno saccheggiate ed arse, altre donne ed altri orfani piangeranno la morte dei loro mariti, dei loro figli e dei loro padri; ma, pur troppo, dopo tanto sangue sparso e tante lagrime versate, continuano ad esser vere le parole da noi scritte fin dal 28 febbraio: «L'Europa occidentale ha sete ardente di pace».

Noi non vogliamo essere ingiusti verso l'Imperatore di Russia, ed abbiamo applaudito sinceramente a' suoi sforzi per l'abolizione della servitù. Or come il principe di Gorciakof potrebbe nei congressi dei popoli civili levare la voce in prò de' Cristiani di Oriente, se l'attuale strazio della Polonia dovesse durare? Hanno forse i Turchi ne' nostri tempi trattato i loro sudditi cristiani come i Russi trattano i Polacchi? Importa molto più alla Russia di tenersi nel consorzio dei popoli civili, che d'imbarbarirsi maggiormente in una feroce reazione: la barbarie che si ostina a rimaner tale, essendo in contatto colla civiltà, finisce sempre per cadere nell'impotenza. È possibile che l'impero russo vinca la sollevazione polacca, ma è certo che, non assimilandosi i principii dei tempi moderni, sarà vinto dalla civiltà: le strade ferrate, i fili elettrici e la stampa sono contro il dispotismo armi più terribili e più sicure delle carabine e delle falci dei sollevati.

La discussione della petizione in favore de' Polacchi nel Senato francese ha dato luogo alla consueta manifestazione di quell'antagonismo di concetti e di sentimenti, che costituisce l'essenza istessa del nuovo impero. Il diritto nazionale, la libertà, la rivoluzione hanno parlato per bocca del principe Napoleone; la diplomazia, il principio conservativo e la quasi legittimità hanno parlato per bocca del signor Billault. L'Imperatore ha ringraziato in pubblico il signor Billault di avere sì bene e si eloquentemente espresso i suoi pensieri; siamo noi sicuri che non abbia ringraziato in privato il principe Napoleone? Nè con ciò intendiamo fare accusa di duplicità all'Imperatore de' Francesi: la sua doppia origine gl'impone colla forza invincibile della fatalità una doppia politica: il figliuolo della rivoluzione, l'eletto del plebiscito non può non guardare con simpatia le dottrine e le attuazioni del diritto popolare; innalzato all'impero da una reazione in favore de' principii d'ordine e di conservazione, egli non può rompere col diritto pubblico europeo, e mettere in fiamme l'Europa. La sua altalena è il riflesso fedele di quella Francia rivoluzionaria e conservativa, che non vuoi rinnègare i principii dell'89, e teme di compromettere i suoi commerci e le sue industrie; che s'infiamma per ogni grande idea e per ogni nobile aspirazione, e non vuole gittarsi spensieratamente nelle avventure; che adora Voltaire e che sta a far la guardia al crollante trono del pontefice. Noi siamo di quelli che credono l'imperatore Napoleone III sia l'uomo più adatto e per l'ingegno e per l'indole a trarre da queste doppie e contrarie tendenze il maggior bene pratico delle oppresse nazioni.

Molto si è parlato, fantasticato e forse favoleggiato intorno al viaggio del principe di Metternich da Parigi a Vienna e da Vienna a Parigi. Dicono che egli fosse incaricato di riferire i desiderii di Napoleone III per un buono accordo tra la Francia e l'Austria per gli affari di Polonia o di Roma; dicono che a Vienna si rispondesse non intendersi a che potrebbero servire i negoziati delle potenze occidentali colla Russia, quando non si fosse apparecchiati a far la guerra, in caso che l'imperatore Alessandro si rifiutasse a ricostituire il libero regno di Polonia: intendersi bene che si faccia la guerra, come la Francia, per ottenere Savoia e Nizza, o i confini del Reno; ma non intendersi punto che l'Austria faccia la guerra per perdere la Gallizia. Se cosi è, bisogna dire che gli Austriaci hanno più spirito de' Francesi.

Pare che l'opposizione parlamentare inglese disegni di muover guerra al ministero chiamando a severo sindacato l'amministrazione della marina militare e dell'esercito: dicono si spenda 400 milioni di lire di più, e si abbia naviglio e artiglieria relativamente meno efficaci che non ne' tempi di Roberto Peel. Si è riconosciuto alla fine,.dopo avere sciupato molte centinaia di milioni, che il cannone Armstrong, del quale facevnsi tanto rumore, è inferiore alla sua fama; e che gli effetti di certe nuove costruzioni navali tanto vantate son ben lungi da rispondere alle speranze concepite. Sarà forse vero che le troppe invenzioni in fatto di artiglierie e di costruzioni navali, che hanno avuto luogo in questi ultimi anni, siano una delle più potenti cagioni del disordinameuto delle marine militari di Europa?

Quando il fuoco si apprende ad un grande edificio, gli sguardi degli spettatori si volgono ora ad una finestra che fuma, ora ad una porta che fiammeggia, ora ad un tetto dal quale schizzano faville; ma quando un cratere ardente si manifesta, d'onde si levano turbini di fumo e di fiamme, quivi si rivolgono gli sguardi ansiosi di tutti gli spettatori. Lo stesso è avvenuto per la sollevazione della Polonia: questo cratere d'incendio ha fatto dimenticare tante questioni importanti che si agitano in tutti i punti d'Europa. Sono quasi due mesi che il grido di dolore della Polonia ha fatto tacere le voci di Venezia, di Roma, de' Moldovalacchi, degli Ungheresi e delle popolazioni cristiane mancipio de' Turchi.

La Grecia ha dato una grande prova di saviezza col richiamo di Cristides: l'esilio di quest'uomo ragguardevolissimo per ingegno, per patriotismo e per probità era una brutta macchia della rivoluzione. Noi Italiani poi abbiamo doppia ragione di congratularci di quest'atto di giustizia e di buona politica, e perché ci sentiamo solidali di ogni rivoluzione che si poggia sui principii d'indipendenza, di unificazione e di libertà, e perché risguardiamo il Cristides come uno di quegli uomini eminenti, che hanno compreso la necessità di stringere sempre più quei legami di tradizioni, d'interessi e di simpatia che uniscono la Grecia all'Italia.

Quando diamo uno sguardo alle cose di Spagna, ci pare di assistere ad una di quelle commedie d'intreccio di Calderon, in cui gli avvenimenti succedono agli avvenimenti, gli equivoci agli equivoci in modo maraviglioso; e se cerchiamo un titolo per questa commedia ci viene in mente un titolo di una commedia del medesimo Calderon: Siempre lo peor es cierto. D'onde vengono queste crisi ministeriali non provocate nè rese necessarie da alcuna manifestazione parlamentare? Perché questo continuo entrare ed usci re di ministri dai consigli della corona? Perché questi ministri che si dichiaran vinti l'indomani della conseguita vittoria? A noi pare questi fenomeni siano la conseguenza logica di quella dissonanza permanente che esiste in Ispagna tra le legali funzioni delle istituzioni rappresentative e gl'intrighi della corte. «V'e evidente incompatibilità tra gli ordini liberi ed i Borboni»; e la sentenza non è nostra, ma di Ferdinando II di Napoli.

Agli Stati-Uniti d'America si agita sempre il gran problema: «Il cotone peserà più dei principii, o i principii peseranno più del cotone?» E per risolvere questo problema, il Sud ed il Nord, si continuano a scannare in nome della indipendenza e della unità della patria, due cose santissime. Il Sud, che ama ardentemente la indipendenza, vuol tenere metà della sua popolazione nella servitù; il Nord che ama ardentemente l'unità, vuoi desolare metà del territorio della Confederazione; e l'uno e l'altro invocano la fratellanza... forse quella di Eteocle e Polinice, e trattandosi di gente che leggono molto le Sante Scritture, quella di Caino e di Abele. Ma quando scenderà dall'alto una voce che gridi: «Caino, che hai tu fatto di tuo fratello?».

I fatti interni più notevoli in questo mese sono: l'effettuazione del prestito di 700,000,000 e la ricomposizione del gabinetto. La sottoscrizione aperta in Italia, in Francia e in Inghilterra ascese a quattro volte la somma richiesta, sì che la riduzione ha dovuto farsi a ragione di 75 per centinaio. Questo risultato non poteva essere nè più splendido nè più soddisfacente per il credito dello Stato; ed oramai il credito è forza, anzi è la più notevole forza delle nazioni, ed è il termometro più fedele della pubblica opinione: e la pubblica opinione è la regina del mondo, la quale edifica e demolisce gli Stati, dà e toglie le corone, e rende legittime e sante le rivoluzioni, allorchè rispondono a quei principii politici e morali, che sono i veri inconcussi della moderna civiltà. Fu detto che l'ampolla del crisma, col quale si ungevano i re di Francia, fu rotta sulle mura della Bastiglia di Parigi: altro è il crisma de' tempi moderni; e di esso la pubblica opinione unge la fronte e le mani de' re che, come Vittorio Emanuele, sguainano la spada, non per soddisfare a personali ambizioni, ma per difendere il diritto delle nazioni.

La rivoluzione italiana ha lacerato trattati che facevan parte del diritto pubblico europeo, ha rovesciato troni secolari, ha cacciato in bando quattro dinastie, ha steso la mano sul territorio della Chiesa che dicevano inviolabile ed inalienabile, ha convocato i plebisciti, ha fatto risorgere tra le Alpi, il Mediterraneo e l'Adriatico un regno che oggi è di 22 milioni e che dimani sarà di 25 milioni, con un esercito di 350,000 uomini; e l'Europa, non solamente ha taciuto ed ha lasciato fare, ma anche ha fatto plauso, ed i suoi capitalisti (gli uomini i più diffidenti e meno soggetti ad entusiasmo che possano giammai immaginarsi) aprono ad essa i loro scrigni ed offrono il quadruplo di quanto loro si richiede!

Il secondo fatto notevole è la modificazione del ministero. Una sventura che da molto tempo si prevedeva si è alla fine avverata; e non perché preveduta ha fatto meno profonda impressione nel parlamento e nel paese. Il Farini, per malferma salute, è stato costretto a dare la dimissione dall'officio di presidente del Consiglio. Vedere un uomo nel fiore degli anni, che tanti servigii ha resi e tanti poteva ancora renderne all'Italia, ritrarsi per infermità dall'arena politica è spettacolo doloroso; e tanto più doloroso quando si considera che col suo ritiro perdiamo un'alta e nobile intelligenza, una splendida parola, un patriotismo a tutte prove. Anche il conte Pasolini sì è ritirato dal ministero, da lui non accettato che come un incarico temporaneo. Il conte Pasolini nel suo breve passaggio ne' consigli della Corona lascia fama di uomo calmo, conciliativo e modesto, e di perfetto gentiluomo. La nomina del suo successore, l'onorevole Visconti-Venosta ha destato generale maraviglia: stanno contro di lui la sua troppa giovinezza e la eccessiva modestia sua, che lo ha tenuto quasi sempre nell'ombra, non ostante che molti ed importanti servigii abbia prestati alla causa nazionale in questi ultimi quattro anni. Ha mente elevata e fornita di buoni studii, ha modi squisitamente cortesi, ha amore purissimo di patria, ha la simpatia e l'affetto di tutti coloro che lo conoscono; gli mancano autorità e fama, ma abbiam fiducia che l'una e l'altra acquisterà coll'esercizio del potere.

Il Papa sta a Roma, gli Austriaci a Venezia e nel Quadrilatero; i briganti continuano a rubare, a saccheggiare ed a commettere atrocità da canibali nelle provincie napolitano: gli anarchisti cospirano co' borbonici in Palermo e pagano i pugnalatori; l'amministrazione è in un gran disordine; le finanze sono in dissesto; i ministri si succedono a' ministri con una rapidità che fa venire la vertigine: si mormora perché si unifica troppo; si mormora perché non si unifica abbastanza; si mormora perché si pagano troppi impiegati; si mormora perché si vogliono mandare a casa i superflui: chi grida che la sconfinata libertà ci uccide; chi grida che ci uccide la troppo frenata libertà; la maggioranza parlamentare continua a rimanere frazionata, per colpa di chi non vogliamo ricercare, certo con grandissimo detrimento della cosa pubblica Tutto questo è vero, ed è male gravissimo: tutto questo indegna e addolora, ma ad onta di ciò, la rivoluzione compie il suo corso, ed il regno d'Italia si consolida e si rafferma.

 Torino, 30 marzo 1862.

La Farina.












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