Eleaml


RIVISTA CONTEMPORANEA
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BIBLIOGRAFIA — BELLE ARTI
VOLUME VIGESIMOTERZO
ANNO OTTAVO

TORINO
DALL'UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE

1860

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SULLA
ORGANIZZAZIONE DEL REGNO D'ITALIA
SECONDO SAGGIO (1)

-Regno, non avremmo speralo mai che questo argomento risveglierebbe tanto interesse nello spirito pubblico, allora assorbito dagli avvenimenti straordinarii che preparavano la trasformazione dell'Italia meridionale. Vero è bensì, che quanto più s'affrettava il lavoro della ricostituzione nazionale, tanto più doveva essere universalmente sentito il bisogno dell'interna organizzazione del paese, tanto più urgente doveva apparire la necessità di ordinare per tempo le forze della nazione, onde assicurare le conquiste falle e apparecchiarci vigorosamente al compimento dell'impresa.

Noi ci studieremo di svolgere in questo scritto e di applicare più ampiamente i principii emessi nel nostro primo Saggio


(1) Questo scritto, dettato in lingua francese fin dai primi giorni dell’agosto passato, e di cui la pubblicazione fu ritardata per ragioni indipendenti dalla volontà dell'autore, non è che lo sviluppo delle idee messe avanti concisamente nel primo Saggio. Consentendo a pubblicare la traduzione italiana di questo secondo Saggio, dopo molte aggiunte e variazioni, intendo solamente di diffondere idee che possono avere qualche utilità pratica. Non miro ad assicurarmi una priorità che forse non può mai esistere per certe materie, che non hanno distintamente né inventore né padrone, e che in ogni modo spetterebbe a me meno che ad ogni altro, e voglio anzi dichiarare che fu per me un motivo di vera consolazione nel vedere che idee molto conformi alle mie erano solennemente espresse in un discorso letto alla Commissione legislativa dal Ministro dell'Interno.


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e speriamo di riescire nel tempo stesso a mostrare che l'idea conforme agl'istinti, alle tradizioni, ai bisogni del popolo italiano, l'idea regolatrice dell'ordinamento interno della Penisola, non si è mai smarrita malgrado le fasi diverse che ha dovuto subire, ma che anzi si è successivamente perfezionata seguendo gli avvenimenti con cui ha progredito il fatto della nostra unificazione nazionale.

Venti mesi sono, il partito che si chiamava unitario, era certamente ben scarso in tutti gli Stati della Penisola, ed è fuori di dubbio, che senza l'ostinazione dell'Austria e l'accecamento dei Governi italiani sottomessi a quella Potenza, l'idea di una confederazione di Stati più o meno liberi, sarebbe stata in quel tempo generalmente accolta, come l'ordinamento politico che meglio conveniva a noi e all'Europa, e che bastava ad assicurare all'Italia un certo grado d'indipendenza. Allorchè la guerra e le vittorie delle armale alleate resero i Principi dell'Italia centrale solidarii delle sconfitte dell'Austria, qualunque fossero i patti della pace di Villafranca, il pensiero della Confederazione doveva perdere terreno, e non tardò infatti a prevalere il progetto dell'annessione che assicurava alle Provincie abbandonate dai loro Principi, un governo libero e nazionale e rispondeva più degnamente al bisogno di fondare uno Stato forte e indipendente. Queste verità presto comprese dall'universale spiegano l'ardore e l'accordo con cui l'annessione fu accolta dalle popolazioni dell'Italia centrale e il favore con cui quel fatto era considerato in Europa.

Imprendendo a realizzare l'unione delle nuove Provincie col Piemonte fu presto concorde l'opinione sull'opportunità di formare uno Stato solo della Lombardia, dei due Ducati e delle Legazioni colle antiche Provincie del re di Sardegna. E non deve sorprendere questo accordo per chi consideri che le memorie del Regno d'Italia non sono anche cancellate, e che le popolazioni sparse nella ricca vallata del Po hanno press'a poco le stesse origini ed hanno conformi gl'interessi, i costumi, il carattere. Infatti, malgrado le differenze o piuttosto le gradazioni dei loro dialetti, i Romagnoli, i Modenesi, i Lombardi, i Piemontesi presto s'intendono fra loro e vivono famigliarmenle. Non è così al di là dell'Appennino; i Toscani, i popoli delle Marche e dell'Umbria, senz'andare più oltre, appartengono ad una razza distinta da quella del nord, e non solo è un ostacolo geografico che separa quei popoli, ma una diversità marcata di origini, di carattere, d'intelligenza.


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Fu dunque la natura delle cose, cioè quella forza complessa e misteriosa che ha e deve avere sempre tanta influenza sui destini dei popoli, che c'indusse ad abbracciare senza esitanza l'unione immediata o piuttosto la fusione della Lombardia, dei due Ducati e delle Legazioni col Piemonte, e a riunire la Toscana al nuovo Regno conservando l'autonomia amministrativa di questa Provincia.

Ma assai più ancora che per la Toscana il principio dell'unificazione amministrativa e della così detta fusione, appariva manifestamente inapplicabile, ed anzi contrario agl'interessi generali della Nazione, allorchè la fine ormai prossima del governo borbonico nelle Due Sicilie estendeva i confini della Nazione e rendeva necessario di provvedere all'organizzazione del Regno ingrandito di tutta l'Italia meridionale. Quelle due grandi Provincie, Napoli e Sicilia, così distinte dal resto dell'Italia per la natura del suolo, per la storia loro, per la tempra degl'intelletti, sono di certo destinate a concorrere splendidamente alla gloria e alla grandezza della patria comune; ma per raccogliere i frutti di questa unione, è più che mai evidente l'opportunità di conservare a quelle Provincie distinta e indipendente quanto più è possibile l'amministrazione interna, perché in quel modo solo potranno svolgersi sotto un regime libero quelle tante ricchezze naturali di cui sono dotate, e che un lungo governo corruttore e crudele ha pur troppo insterilito e disperso.

Così dunque dalla natura delle cose e per la forza degli avvenimenti, si stabiliva l'opinione, che l'organizzazione interna del nuovo Regno deve consistere nel rianimare colla libertà le forze locali tanto potenti fra noi, e nell'ordinare queste forze sotto l'unità politica nazionale.

Il grand'esempio dell'Inghilterra deve confortarci e dirigerci nell'ardua impresa; certamente l'Irlanda, la Scozia, il paese di Galles e le vecchie Contee hanno nella natura del suolo e dei loro abitanti differenze non minori di quelle che vi sono fra le Provincie del nord, del centro e del mezzogiorno dell'Italia e non venne mai in mente ai legislatori dell'Inghilterra d'ingerirsi negl'interessi locali, e di applicare a quelle varie Provincia un sistema uniforme d'amministrazione interna: ma ciò non ha impedito all'Impero britannico di fondare la più potente unità politica e legislativa che sia mai esistita.

Riassumiamoci dunque. Fu creduto da principio che la ricostruzione politica della Penisola


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doveva consistere in una confederazione di Stati liberi e indipendenti: questa stessa idea, trasformata e perfezionata dagli avvenimenti che hanno liberata l'Italia media e meridionale, deve oggi realizzarsi, coll'aiuto della Provvidenza, fondando sotto un sol potere politico e legislativo una monarchia costituzionale composta di tutte quelle grandi provincie della penisola, di cui dev'essere conservata l'autonomia amministrativa.

Questa formola dell'organizzazione politica d'Italia è essa stessa l'applicazione la più larga possibile del principio della decentralizzazione amministrativa, principio che ci sta a cuore e di cui intendiamo occuparci di nuovo e più particolarmente.

Prima di entrare in materia, avvertiremo il lettore della regola generale che siamo obbligati di seguire in questi nostri studii. Nel primo Saggio da noi pubblicato ci siamo limitati ad alcune considerazioni generali sforzandoci solamente di mostrare che l'attuazione di un regime libero in Italia richiedeva che assieme fossero immaginati ed applicati fra noi sistemi amministrativi semplici ed economici e che perciò bisognava quanto più era possibile emancipare l'autorità del Municipio e della Provincia dal Governo centrale. »

Imprendendo a sviluppare di nuovo queste idee, avemmo cura di studiare più particolarmente le leggi municipali e provinciali che oggi sono in vigore nelle diverse provincie del Regno e di consultare uomini pratici e competenti sopra queste materie. Affrettiamoci però a dichiarare che non fu mai nostra intenzione di dettare dei regolamenti o delle leggi, ma solamente di mostrare in quali casi e come il principio della decentralizzazione può essere applicalo fra noi ai diversi poteri amministrativi dello Stato d'accordo colla formula generale dell'organizzazione politica della Penisola.

Prima di proceder oltre, tenteremo di definire il principio della decentralizzazione amministrativa come lo vorremmo vedere introdotto in Italia assieme al regime rappresentativo.

Se non si tiene conto che dei mezzi materiali, tanto perfezionati in questi ultimi tempi, che sono destinati a trasportare il flusso e il riflusso delle comunicazioni e degli ordini che partono da tutte le amministrazioni locali per risalire grado a grado sino al centro del Governo, da dove poi tornano per le stesse vie, ma in direzione opposta al punto di partenza,


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si può dire che la centralizzazione amministrativa è in proporzione del numero degli affari che hanno bisogno della posta e del telegrafo per essere esaminati e risoluti.

A questo proposito ricordo di aver letto non è mollo, in una serie di articoli interessanti (1) sulla questione dell'Istmo americano la descrizione del Governo del presidente Mora e del palazzo di residenza del Capo della repubblica di Costa Rica.

Il presidente occupa una sala posta nel mezzo del palazzo, ed i suoi ministeri sono distribuiti nelle parti laterali del palazzo. Per questa disposizione il Capo del Governo ha sotto la mano tutte le ruote necessarie all'esercizio del suo potere, e i suoi ministri vanno via via a conferire con lui secondo i bisogni del servizio. Non vi è quindi un minuto perduto nella preparazione e nello scambio delle comunicazioni scritte, e tutti gli affari puramente amministrativi sono esaminati, decisi e spediti senza dilazione e nel tempo di una conferenza.

Malgrado tutto lo strepito della burocrazia, non vi può essere ragionevolmente nessuna ripugnanza a prendere sul serio questo esempio di un'amministrazione semplice, pronta ed economica, e noi non proviamo alcuna difficoltà a concepire che nelle condizioni proprie all'Italia, e secondo i nostri costumi e i nostri gusti, si possano immaginare nei diversi ordini dello Stato delle macchine amministrative che agiscano colla semplicità e coll'economia che ha il Governo del presidente di Costa Rica.

Secondo il principio della centralizzazione amministrativa, nulla sfugge all'occhio del Capo dello Stato e dei suoi ministri, e uno sciame di agenti distribuiti con simmetria dai villaggi ai Comuni ai Mandamenti o Circondarii, alle Provincie e finalmente alla Capitale, è incaricalo da una parte di raccogliere e verificare tutte le informazioni che devono illuminare il Governo, dall'altra di provvedere ai mezzi onde eseguire le risoluzioni ministeriali.

Al contrario la legge fondata sul principio della decentralizzazione crea delle autorità amministrative indipendenti e determina la sfera delle attribuzioni in cui s'aggira ognuna di queste autorità, di modo che rimontando la scala dal Comune sino al Governo, ciascuna di queste autorità si esercita liberamente sopra tutte quelle materie che non sono per legge attribuite all'autorità posta immediatamente al di sopra.


(1) Revut des Deux Mondes


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È questo il sistema con cui vorremmo vedere organizzata l'amministrazione del nuovo Regno, perché siamo profondamente convinti che per fondare in Italia un ordinamento civile, libero ed atto a stringere nell'interesse comune tutte le forze della Nazione, bisogna che queste forze inerenti alla natura del nostro suolo e delle popolazioni italiane, possano liberamente svilupparsi ed agire.

Onde rendere meno imperfetto che per noi è possibile questo studio, piglieremo ed esaminare i diversi poteri amministrativi dello Stato, diffondendoci principalmente sopra quelle parli a cui c'interessa maggiormente che sia applicato il principio della decentralizzazione.

Noi immaginiamo che l'amministrazione dello Stato è composta dell'autorità Municipale, dell'autorità o del Governo della Provincia, del Governo generale delle Provincie, cioè della Lombardia, della Toscana, del Piemonte, ecc., e finalmente del Governo centrale o Consiglio dei Ministri.

Autorità municipale. — La Comune, che dopo la famiglia è l'associazione umana la più naturale, è quella che in fatto trovasi più raramente stabilita sotto un regime di vera libertà. E per vero non è che nei paesi propriamente liberi, che le libertà comunali esistono e sono al coperto dalle invasioni del potere; di questi paesi, non solo si può dire che hanno un Governo libero, ma che possedono il vero spirito della libertà. Infatti a sviluppare e conservare le libertà comunali, vuolsi che la maggiorità degli uomini posseda delle qualità di carattere, d'intelligenza, di dignità personale, che non è facile di riscontrare soprattutto nelle piccole località poste a distanza dai grandi centri; perché le istituzioni municipali possano costantemente difendersi contro la tendenza che ha il Governo ad assorbirle o ad invaderle, si richiede che queste istituzioni sieno penetrate da lungo tempo nei costumi delle popolazioni

Noi crediamo che non si può contrastare agl'Italiani di avere, in mezzo alle tante vicissitudini che ha subito la condizione politica della Penisola, conservato l'amore e lo spirito delle istituzioni municipali; perciò è che per stabilire in Italia un regime vero di libertà, la via più sicura è quella di fecondare i germi che esistono sempre vivaci fra noi di quelle istituzioni.

A convincerci della verità di queste asserzioni, basterebbe di far notare come hanno proceduto e procedono le Romagne dopo gli ultimi avvenimenti.


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Quelle popolazioni, dopo essere state per quasi un mezzo secolo flagellate da tutte le cattive arti di un Governo incapace ed universalmente detestalo, si sono immediatamente ricomposte in pace, e forse più di ogni altra delle Provincie annesse profittano oggi dei vantaggi delle libere istituzioni del Piemonte. Questo benefico risultato è principalmente dovuto all'influenza delle istituzioni provinciali e municipali, che quelle popolazioni hanno saputo conservare anche in mezzo alle agitazioni dei partiti e alle vessazioni del Governo, influenza che ha avuto, come avrà sempre, una grande efficacia nel creare i costumi e l'opinione pubblica di un popolo libero.

La legge comunale del Rattazzi del 23 ottobre 1859 e sopra tutto quella del 31 dicembre dello stesso anno, che Ricasoli ha promulgalo in Toscana, provano manifestamente che quei due uomini di Stato intendono i veri bisogni dell'Italia rigenerata e sentono qual è lo spirito che deve dominare l'organizzazione interna della Penisola.

Allorché verrà il giorno, e faccia Iddio che non sia lontano, in cui dovremo e potremo occuparci in Parlamento delle leggi organiche dello Stato, non dubito che quelle due leggi saranno universalmente giudicate come un vero progresso nella storia delle nostre interne istituzioni.

Il primo punto che deve attirare, secondo noi, l'attenzione del legislatore è relativo alla circoscrizione territoriale dei nostri Comuni. .

Gettando l'occhio sui quadri inseriti nella legge Rattazzi, si vedrà che vi sono in Lombardia e in Piemonte molte Comunità che non arrivano a mille anime e che non ne mancano alcune di due o trecento. La stessa cosa si verifica o poco meno, nell'Emilia e in Toscana. Da ciò ha origine la difficoltà che così spesso si verifica di formare un Consiglio e un'amministrazione municipale in quello piccole località. La scelta del Sindaco è anche più difficile, per cui frequentemente il Governo è costretto a nominare un individuo che non ha le qualità richieste, o ad eleggere a quella carica una persona che non risiede nel Comune, e che per questa ragione molto incompletamente cura le cose municipali.

In Inghilterra e in America quelle piccole località, quei gruppi così ristretti di popolazione, principalmente rurale (pariskes], hanno dei deputati incaricati degli affari della parecchia, che sono parish officers, constables o i select men degli Stati Uniti.


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Questi deputati, che corrispondono al sindaco e ai magistrati municipali delle grandi città (corporated towns) sono eletti col suffragio universale; ed in fatti è naturale di ammettere che la legge della rappresentanza non è applicabile o almeno non abbastanza giustificata dove i governati sono quasi la stessa cosa dei governanti.

Un altro argomento contro le piccole circoscrizioni comunali è l'insufficienza dei mezzi, con cui devono provvedere convenientemente ai diversi rami del servizio pubblico, come sarebbero l'istruzione, la polizia, l'igiene, ecc.

A queste varie imperfezioni si può riparare aumentando la popolazione e la circoscrizione dei Comuni, ed io credo che in pratica non si otterrebbero che buoni risultati, riunendo assieme con accorgimento alcuni dei piccoli Comuni che oggi esistono e fissando che il minimum della popolazione di un Comune non sia mai al di sotto di otto o diecimila anime.

Così facendo, gli elettori troveranno sempre nel luogo un numero sufficiente di cittadini capaci ed indipendenti per formare i Consigli e i magistrati municipali.

Le rendile delle Comunità aggrandite, meglio amministrate, basteranno a supplire a tutti quei servizi! pubblici che restano necessariamente troppo imperfetti, se non sono colla conveniente larghezza retribuiti. La legge potrebbe allora provvedere con una equa indennità alla carica di Sindaco, solo modo perché il Comune ottenga ed abbia diritto di esigere assiduita e cognizioni nel suo primo magistrato. „

Abbracciando l'idea dell'aggrandimento della Comunità, non ne verrebbe già che le piccole località fossero private di magistrati comunali o dei select men, i quali vi sarebbero egualmente, come una emanazione del municipio, eletti dal Consiglio. In questo modo si otterrebbe di far di meno dei Consigli così detti di distretto o di mandamento, che sono una invenzione recente e nuova per l'Italia di cui le circoscrizioni territoriali sono in circa quelle stesse delle nostre Comunità aggrandite; non conosciamo quali vere ragioni possono addursi per appoggiare la conservazione dei Consigli di distretto, i quali appariscono invece come una complicazione inutile e dispendiosa.

Il soggetto più degno del legislatore della nuova legge comunale è il grado d'ingerenza che convien lasciare al Governo nelle attribuzioni della Comunità.


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Le leggi Rattazzi e Ricasoli hanno già realizzato un grande progresso nella emancipazione dell'autorità comunale. Noi vogliamo insistere perché questo resto d'ingerenza governativa sia cancellato interamente o almeno quanto più è possibile, nella nuova legge.

Sopra di che cominceremo dal ricordare che questa ingerenza è la massima possibile sotto i governi assoluti, mentre non ne esiste traccia nelle istituzioni municipali dell'Inghilterra, degli Stati Uniti e della Svizzera.

Bisogna convenire che nel giudicare degli effetti della emancipazione delle Comunità, noi ci rendiamo il più delle volte schiavi delle abitudini e dei pregiudizii della burocrazia, e non valutiamo abbastanza tutti i benefizii resi alla società dalla libertà della stampa, dalla libera discussione, in una parola dagl'effetti naturali di un regime libero.

Ed infatti è appena possibile di concepire, e certo né un Inglese né un Americano lo potrebbero, che sotto un regime di libertà e presso un popolo illuminato, le autorità comunali non sieno fedeli esecutrici delle leggi fondamentali dello Stato. Allorchè il Parlamento avrà stabilite queste leggi, i cittadini che formano le amministrazioni comunali sono tenuti a conoscerle e a rispettarle, e se per una eccezione, che diventerà sempre più rara, la responsabilità dei magistrali, l'influenza della stampa e dell'opinione pubblica non basteranno a -far si che le leggi sieno rispettate da quelli stessi che il popolo ha scelto per eseguirle, il Governo avrà sempre, o nel Consiglio di Stato come tribunale amministrativo, o nei tribunali ordinarii, come si pratica in America, mezzi legali e sufficienti per contenere e punire gli autori delle infrazioni.

Se noi vogliamo che le istituzioni municipali sieno la sorgente la più viva e la più pura di quella libertà savia e moderata che solamente può formare la felicità di una nazione, se vogliamo con queste istituzioni infondere nelle masse dei sentimenti di patriottismo e d'indipendenza, guardiamoci dal mettere troppi limiti e troppe catene in quelle istituzioni, per la paura esagerata che un Sindaco o un Consiglio comunale possano essere tentati ad usare con troppa liberalità delle rendite del Comune.

Nell'antica legge municipale della Toscana era stabilito che un agente del Governo, chiamato Cancelliere del censo, dovesse assistere alle riunioni dei Consigli municipali, approvarne le deliberazioni e anche sospenderne l'esecuzione.


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Secondo la nuova legge Ricasoli, il Cancelliere del Censo non è chiamalo che ad assistere alle adunanze municipali e a rispondere alle domande del magistrato, come un consultore. L'ingerenza che in questo modo il governo si è riservata, è così tenue, che si può quasi supporre che il legislatore ha voluto conservarla come una pura apparenza e per un rispetto alla legge antica. Se il Cancelliere del censo fosse un legista, potrebbe essere utile di conservare questa carica aggiungendovi le attribuzioni di giudice di pace o di conciliazione.

Nella legge comunale toscana le Comunità sono incaricale della percezione delle imposte del Comune, della Provincia e del Governo. Questo sistema semplice, sicuro, economico, della percezione dell'imposte dirette fu sempre universalmente lodalo. Devesi dunque desiderare che questo incarico sia confermato nella nuova legge municipale del Regno, e se a noi non è dato ancora di seguire l'esempio del Belgio, cioè di abolire i dazii comunali di consumo, si dovrebbe almeno affidare alle Comunità anche la percezione di quei dazii.

Ma è specialmente sulla elezione del primo magistrato municipale che noi vogliamo attirare l'attenzione del legislatore. Una legge che emancipi le Comunità e le istituisca padrone della loro interna amministrazione, è certamente fra le leggi organiche quella che avrà più contribuito a diffondere fra noi l'uso e i benefizii della libertà e a formare degli uomini che sanno e vogliono essere liberi. Quindi è che questa legge sarebbe imperfetta se togliesse ai cittadini la facoltà di eleggere il loro primo magistrato. È tempo, non cesseremo mai di ripeterlo, di abbandonare dei pregiudizi! o degli artifizii di governo, che non si addicono a un regime libero. Allorchè la legge municipale' avrà determinate le categorie delle persone fra le quali deve cadere la scelta del primo magistrato, non vi può esser dubbio che l'eletto del popolo sarà il più degno, e quello che l'opinione pubblica ha già proclamalo come tale. Come si può sperare che il Capo dello Stato sia in grado di fare una scelta migliore o maggiormente gradita dall'universale o piuttosto non vi sarà ragione di temere che l'ingerenza del Governo in questa elezione possa togliere alla persona scelta una parte del favore popolare? Riservando al Capo dello Stato di confermare la scelta degli elettori municipali, la legge aggiungerebbe utilmente a questa scelta il prestigio dell'autorità suprema.


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Se noi vogliamo che i cittadini amino la libertà e imparino ad usarne con saggezza e con moderazione e a fare dei sacrifìzii per conservarla, la legge non ha che un modo solo per raggiungere l'intento, quello cioè di conferire ai cittadini l'indipendenza e la responsabilità dei loro atti. Quel giorno in cui avremo ottenuto con una buona legge municipale che tutti i cittadini di una comunità s'interessino all'elezione del loro primo magistrato, quel giorno in cui quell'elezione sarà divenuta il più grande affare di una città, noi avremo più contribuito a radicare la libertà in Italia, ad insinuarla nei costumi, a diffondere nelle masse dei sentimenti di dignità e di patriottismo, che dichiarando solennemente dalla tribuna i diritti della libertà individuale e l'inviolabilità del domicilio. È col municipio, lo ripeteremo per l'ultima volta, che la libertà deve mettere le radici, e la storia che pur troppo non di rado ci ricorda le vicissitudini ed i naufragi di quelle grandi costituzioni che sono l'opera dei filosofi o delle assemblee, non ci ha mai insegnato che un popolo che ha saputo conservare tenacemente le libertà municipali, abbia cessalo di aspirare alla libertà e di esser degno di goderne. Seguiamo dunque questa via, che è. la sola che ci è tracciata dai nostri costumi, dalle nostre tradizioni, da tutto lo spirito della nazione, la sola che può condurci a fondare una Italia libera e felice.

Autorità o Governo della Provincia — Intendiamo per Provincia quella circoscrizione amministrativa che i Francesi chiamano Dipartimento: le antiche legazioni di Bologna, di Ferrara, di Forlì, di Ravenna sono le quattro Provincie dell'Emilia: anche in Toscana vi sono le Provincie, che si chiamano i compartimenti di Firenze, di Pisa, di Lucca, di Livorno, ecc. La stessa divisione territoriale esiste nel Piemonte e nella Lombardia. Le Provincie sono delle agglomerazioni di un numero più o meno grande di Comunità, di cui la popolazione varia fra noi da 50 o 60 mila abitanti sino a 300 mila e anche più. Centro di ognuna di queste agglomerazioni è una grande città, intorno alla quale si collegano gi'interessi economici e industriali, per un legame di dipendenza amministrativa da lungo tempo stabilito e riconosciuto di un vantaggio generale.

Seguendo l'esempio che ci è offerto dalle Contee d'Inghilterra e degli Stati Uniti, la nostra legge organica, nel [creare l'autorità della Provincia o le sue attribuzioni,


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deve tendere principalmente a stabilire una macchina amministrativa semplice e indipendente quanto più è possibile.

Posta fra le Assemblee popolari delle Comunità e il Parlamento, supremo potere legislativo della nazione, s'intende clic l'autorità della Provincia dovrà essere essenzialmente amministrativa. La creazione di grandi Assemblee provinciali permanenti non farebbe che indebolire l'autorità del Parlamento senza nulla aggiungere alle garanzie delle libertà costituzionali. Siffatte assemblee difficilmente sarebbero contenute nei confini degli interessi provinciali e potrebbero anche qualche volta divenire sorgenti d'imbarazzi e di pericoli per la sicurezza dello Stato. Per comporre l'autorità della Provincia secondo la legge suprema della rappresentanza basterà di stabilire un Consiglio provinciale formalo dai rappresentanti delle Comunità della Provincia eletti in categorie determinate. Il Consiglio provinciale, di cui le sessioni dovrebbero essere poche e corte, sarà principalmente incaricato di eleggere la Commissione amministrativa della Provincia. Sulla proposta del Governo generale delle Provincie, il Re sceglie fra i membri di quella Commissione il presidente della Commissione amministrativa. Questa Commissione dovrebbe secondo noi essere sostituita al prefetto o intendente e al Consiglio di prefettura o d'intendenza. È appena necessario di soggiungere che le cariche di presidente e di membro della Commissione amministrativa saranno retribuite sopra il bilancio della Provincia, con uno stipendio fissato dalla legge.

In una prima sessione, il Consiglio provinciale elegge la' Commissione amministrativa e pigliando ad esaminare i diversi rami dell'amministrazione provinciale stabiliti dalla legge, traccia in qualche modo l'andamento dell'amministrazione provinciale. La seconda sessione ordinaria è principalmente destinata a discutere e ad approvare i bilanci della Provincia.

Proponendo come facciamo l'emancipazione dell'autorità provinciale dal Governo, siamo certi di incontrare, ben più che per le Comunità, le obiezioni e le resistenze della burocrazia. Ci contentiamo di affermare che le autorità provinciali formate come fu proposto e di cui le attribuzioni sarebbero determinate e regolate dalla legge organica, possederebbero certamente tulle quelle condizioni di onestà, di patriottismo, d'intelligenza, che esigono l'interesse e la sicurezza generale dello Stato. Né si creda che le Provincie cosi emancipale resterebbero perciò senza legame di dipendenza dal Governo,


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nelle cui mani stanno sempre la polizia generale, i tribunali, l'armata, la gendarmeria, le poste, i telegrafi e tanti altri servizii pubblici. Prima di abbandonare interamente questo argomento aggiungeremo ancora alcune considerazioni per dimostrare che le autorità amministrative della Provincia cosi immaginate soddisfano a quelle condizioni di semplicità, d'economia, di prontezza, che sono conformi al principio della decentralizzazione.

Tutti gli affari delle Comunità e delle Provincie essendo esaminati, discussi e risoluti secondo la legge dai loro rappresentanti, divengono naturalmente inutili tutte quelle ruote intermedie che sono oggi destinale, con una grande perdita di tempo e di denaro pubblico, a trasmettere il movimento dalle estremità al centro e viceversa.

Sotto un regime di vera libertà e in mezzo ai lumi che la stampa e la discussione pubblica diffondono costantemente sugli interessi della Nazione e sopra quelli delle varie località, l'emancipazione delle Comuni e delle Provincie attira necessariamente intorno a quelle autorità indipendenti che le rappresentano il concorso attivo ed intelligente dei migliori cittadini. Fra le varie attribuzioni delle autorità comunali e provinciali potremmo citare tutte quelle, e son pure le più importanti, che dovranno essere affidate alla cura di Commissioni o di deputazioni di cittadini, di cui le funzioni saranno gratuite, locchè basta a provare l'economia, la semplicità, la bontà del sistema proposto; fra queste sono la sopraintendenza delle scuole e degli stabilimenti di carità e di beneficenza, la conservazione dei monumenti, la polizia correzionale, l'igiene pubblica, le strade, le carceri, ecc. Chiunque, anche poco pratico dei modi seguiti secondo il sistema della centralizzazione amministrativa a trattare gli affari che abbiamo nominato, dovrà riconoscere che anche il meno importante fra essi deve oggi passare per una lunga e penosa trafila prima di essere risoluto; ad ogni grado della scala amministrativa, ogni affare trova necessariamente chi lo registra, chi ne fa estratti, chi ne prepara le risoluzioni, chi è incaricato di eseguirne la risoluzione. L'emancipazione delle Comunità e delle Provincie tronca immediatamente queste complicazioni, e quindi le lentezze che ne sono inseparabili, e invece di affidare tante funzioni amministrative all'opera di agenti retribuiti dallo Stato, vi sostituisce i rappresentanti naturali e legittimi delle Comunità e delle Provincie.


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Governi generali delle Provincie. — Eccoci finalmente ai governi generali di quelle grandi Provincie che corrispondono agli antichi Stati Italiani, in ognuna delle quali la legge organica deve conservare un centro di autonomia amministrativa. Questa necessità è talmente richiesta dalla natura delle cose ed è di una utilità così universalmente riconosciuta, che, non esitiamo ad affermarlo, basterebbero pochi anni di un sistema opposto, non solo per impoverire e snaturare le forze varie del nostro paese, ma anche per distruggere quella concordia degli animi che deve essere l'anima della nostra vita nazionale. Ognuno di noi sa come si chiamano queste grandi Provincie e i centri loro; Piemonte, Toscana, Lombardia, Emilia, ecc., Torino, Firenze, Milano, Bologna, ecc.

A capo di questi Governi generali vi dovranno essere dei Luogotenenti del Re, cioè dei Principi della Famiglia Reale, o quegli uomini eminenti che hanno reso alla patria lunghi e luminosi servigi nell'armata, nella magistratura, nella pubblica amministrazione.

Dipendono dai Luogotenenti o Governatori generali tutti i servigi pubblici delle Provincie, cioè la posta, le finanze, le università, telegrafi, le prigioni, i lavori pubblici, le gallerie, il catasto, ecc. Intorno al Luogotenente o Governatore generale siede un Consiglio di Governo formato di un certo numero di amministratori nominati dal Re, ognuno dei quali ha la direzione immediata di alcuni di quei rami di pubblico servizio che abbiamo nominato.

Il bilancio generale delle Provincie è discusso e votato in una breve sessione annuale da una Commissione composta di un certo numero di rappresentanti delle Provincie eletti dai Consigli provinciali.

I Luogotenenti o Governatori generali dipendono dal Consiglio dei ministri e rappresentano l'autorità regia nelle grandi solennità dello Stato.

Non ci fermeremo a dimostrare l'opportunità ed i vantaggi che vi saranno nel conservare e creare in questi grandi centri degli antichi Stati Italiani, degli stabilimenti o degli istituti speciali di istruzione pubblica, di belle arti, di miniere, di arti industriali, degli arsenali, dei collegi militari, i quali dovrebbero essere distribuiti secondo l'indole e gl'interessi varii di questi grandi centri.

Per dar termine a questo Saggio sull'organizzazione del nuovo Regno d'Italia, non ci resta più che ad aggiungere una parola sul potere centrale o Consiglio dei ministri.


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Noi non possiamo sopra questo argomento che ricordare le opinioni già espresse nel nostro primo Saggio, le quali sempre più ci appariscono appoggiate dalla ragione e dall'esperienza. Il Consiglio dei ministri dirige l'alta politica dello Stato e le sue relazioni coll'estero, rende conto al Parlamento dello stato delle finanze e della loro amministrazione, sopraintende alla polizia generale, provvede all'organizzazione dell'armata e della marina, amministra la giustizia. Oltre queste funzioni politiche propriamente dette, vi sono presso alcuni grandi Stati retti secondo le massime della centralizzazione i ministri dell'istruzione, dei lavori pubblici, dell'agricoltura e commercio.

Volendo tener fermi i principii d'economia e di semplicità in tutta In macchina amministrativa, sopratutto valutando l'ampiezza e l'indipendenza che dovranno essere concesse alle autorità provinciali e comunali, sembra più naturale di stabilire sotto la dipendenza dei ministeri dell'Interno e delle Finanze delle Commissioni formate da uomini speciali, a cui sarebbero affidale l'istruzione pubblica e la direzione dei grandi lavori dello Stato: in tal modo si otterrebbe che la direzione di questi fami speciali rimarrebbe estranea alle vicissitudini a cui è soggetta l'esistenza dei ministeri.

Chiuderemo questi ragionamenti annoverando anche una volta i vantaggi che sarebbero prodotti dal principio della decentralizzazione in ciò che spelta alla composizione e al numero delle sezioni amministrative che fanno parte dei diversi Ministeri o delle Direzioni amministrative presso i Governatori generali. Poiché molti affari sono risoluti dalle autorità delle Comuni e delle Provincie e quindi sottraili in tal modo all'ingerenza del Governo, di necessità gli uffizii ministeriali potranno essere diminuiti senza alcun danno della cosa pubblica ed anzi con vantaggio dell'erario.

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Il progetto d'organizzazione del nuovo Regno che ci siamo studiali di sviluppare in questo secondo Saggio, non è evidentemente un sistema astrailo o concepito a priori, ma invece nasce da idee pratiche fondate sui nostri costumi ed appoggiato dall'esperienza fatta, dacchè ci siamo messi all'opera per attuare le annessioni delle nuove Provincie al Piemonte. Noi crediamo di poter affermare che queste idee acquistano ogni giorno più il favore dell'opinione pubblica ed il consenso degli uomini pratici.


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L'emancipazione della Penisola è oggi universalmente considerata un fatto favorevole alla civiltà e alla pace dell'Europa, e ci mostreremo sempre più degni di ripigliare il posto che l'Italia occupa nella storia, se riesciremo a fondare una grande monarchia costituzionale basata sulle libertà municipali, sostenuta da un forte potere legislativo ed animata nelle sue parti da ordinamenti amministrativi pronti, semplici ed economici.

Sarebbe farsi un'idea molto imperfetta del movimento italiano e delle sue relazioni coi principii della civiltà in generale, se si ricorresse al solo valore dei nostri volontarii ed ai successi ottenuti nelle Due Sicilie, per spiegare l'interesse che questo movimento ispira universalmente in Europa. L'Italia risveglia oggi la curiosità e la simpatia degli uomini di Stato, dei pubblicisti, di tutti gli animi onesti e liberali, perché in essa si compie più colle armi della civiltà presente che con quelle della guerra, una profonda trasformazione politica e religiosa: il movimento italiano si fonda sul principio delle nazionalità, di cui l'applicazione può estendersi oltre le nostre frontiere, tende a far rivivere le forze della razza latina sin qui sopraffatte dall'impero germanico, e trasforma per conseguenza le sorti di questo impero: nella così detta questione romana è necessariamente compreso uno di quei grandi problemi che interessano la coscienza di tutto il genere umano e che la Provvidenza, avendo pietà di noi, risolverà forse un giorno riconciliando il Papato coll'Italia, e la fede colla libertà.

Sotto questo aspetto giova sperare che le ambizioni di una razza sull'altra, le rivalità d'influenza, le gelosie dei gabinetti non giungeranno a disturbare l'opera intrapresa dagl'Italiani e che la pubblica opinione incoraggiata dai successi ottenuti e, diciamolo senza vanto, dalle virtù dimostrate sin qui dalle popolazioni italiane, ci permetterà di compiere da noi soli un fatto che segna un vero progresso politico e morale, e che la violenza non potrebbe trasformare che in un periodo di rivoluzioni e di guerra. Da ciò ha origine l'appoggio efficace che la causa italiana ha incontrato presso le due grandi Potenze occidentali, e noi non crediamo di eccedere nell'ottimismo pronunziando la speranza di vedere un giorno assicurate all'Italia anche le simpatie del più onesto, del più sapiente, del più buono fra i popoli, il popolo germanico.


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Per parte nostra non dimentichiamo mai che le condizioni supreme dei successi ottenuti sin qui sono quelle stesse alle quali solamente è assicurato il trionfo definitivo della causa italiana.

Concordi nel voler costituita la Nazione sotto la Monarchia costituzionale dell'erede del magnanimo Carlo Alberto, stretti intorno al Governo del Re, procediamo via via nell'impresa, che la Provvidenza ha protetto sin qui, con lealtà, con moderazione, con ardire; sempre grati all'Imperatore dei Francesi e alla Francia del soccorso che c'ha prestato, prepariamoci vigorosamente a liberare la Venezia colle sole nostre forze: fedeli alla religione dei padri nostri, per quanto la salute della patria e le nostre libere istituzioni ce lo consentono, affrettiamoci ad agevolare la conciliazione del Capo della Chiesa Cattolica col nuovo Regno d'Italia; dalle virtù del popolo Piemontese imparino tutti gl'Italiani che la disciplina, la fedeltà, il coraggio, la costanza sono le qualità necessario per conquistare e conservare la libertà e l'indipendenza d'una Nazione.

Agosto 1860.

C. Matteucci










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