Sono trascorsi dieci anni dalla Dichiarazione di Barcellona che ha lanciato il partenariato fra l'Europa e i paesi arabo-islamici della sponda meridionale del Mediterraneo. Sono numerose le celebrazioni che in questi mesi si richiamano all'anniversario in nome dell'«importanza strategica del Mediterraneo», idea che fu alla base della Dichiarazione e del programma di cooperazione che ne scaturì. Il Mediterraneo resta tuttavia un tema trascurato dalla cultura politica europea e italiana in particolare. La sinistra non sembra fare eccezione. Il Mediterraneo è per lo più ricordato come un capitolo di storia antica, glorioso ma superato. Oppure sopravvive come un tema letterario, à la Camus. Per molti europei è semplicemente una frontiera da pattugliare per sbarrare il passo ai migranti clandestini. Ma il Mediterraneo, con i 450 milioni di persone che abitano le sue sponde, dovrebbe essere pensato come un «grande spazio» e come una risorsa strategica.
Il Mediterraneo è anzitutto un crocevia di civiltà: vi si
affacciano l'Europa, i paesi del Maghreb arabo e berbero, il Medio
Oriente, la Turchia, i Balcani. Non è retorico affermare che il
Mediterraneo, nel contesto dello «scontro fa
civiltà» che ha il suo epicentro proprio sulla sua sponda
orientale, potrebbe divenire un luogo di dialogo e di incontro.
Potrebbe trasformarsi nel tavolo della pace fra l'Occidente e il mondo
islamico e giocare un ruolo importante per l'avvio di un processo di
pacificazione su scala globale.
Una condizione essenziale perché questo possa accadere, come ha
suggerito Franco Cassano nel suo Homo civicus, è ripensare il
rapporto fra il processo di unificazione dell'Europa, la sua
appartenenza all'emisfero occidentale e le sue radici mediterranee.
Oggi l'Europa, nella percezione diffusa degli stessi europei e non solo
nella ideologia dei neocons statunitensi, non è che la periferia
sud-orientale dell'impero atlantico: è la frontiera che separa
il cristianesimo occidentale da quello orientale e dal mondo islamico.
E l'impero atlantico ha le sue radici più profonde nel mondo
anglosassone, capitalista e protestante, che poco o nulla ha in comune
con le culture fiorite sulle sponde del Mediterraneo.
Nella sua attuale subordinazione atlantica l'Europa subisce una grave
amputazione, che è all'origine della sua debolezza identitaria,
della sua mancanza di autonomia politica, della sua impotenza come
soggetto internazionale. L'Europa è costretta a pensarsi come
«Vecchia Europa», e cioè come una fase superata
dello sviluppo storico che ha portato all'affermazione della
civiltà occidentale. In questa prospettiva l'Europa è
identica agli Stati uniti, salvo la sua arretratezza politica e
militare, che la rende un parassita della superpotenza americana.
Il suo sistema di protezioni sociali e di garanzie dei diritti non
è più in grado di sostenere la spinta dei processi di
globalizzazione che impongono logiche concorrenziali sempre più
aggressive. Il suo ossequio alle regole del diritto internazionale
è il lascito di una diplomazia paludata e aristocratica oggi del
tutto inadatta a fronteggiare le sfide di un mondo anarchico. L'Europa
avrebbe dunque un solo dovere: riconoscere che il suo destino è
stare nella scia degli Stati uniti accettandone docilmente la guida.
Rispetto all'immagine di un'Europa «sentinella dell'impero
atlantico», un recupero della dimensione euro-mediterranea si
presenta come una possibile alternativa strategica, e non soltanto sul
terreno politico. Un'Europa che riscoprisse le sue radici mediterranee
potrebbe profilarsi, lungo il crinale incandescente che oppone il
nord-ovest del mondo al sud-est del mondo, come uno spazio di
mediazione e di neutralizzazione degli opposti fondamentalismi.
Ma non ci sono soltanto gli arcaici fondamentalismi etico-religiosi con
cui fare i conti. C'è anche il fondamentalismo della
modernità: è l'ideologia di quelle élites
politiche e culturali che al di fuori del cerchio della
modernità vedono solo barbarie, oscurantismi, tirannie e
oppressioni. E c'è nel mondo occidentale un fondamentalismo
acquisitivo e consumista, dominato dalla competizione, dall'efficienza
produttiva e dalla velocità. E' un mondo senza misura e senza
bellezza, nel quale lo sviluppo dell'economia e della tecnica non
incontra alcun limite, perché l'unico valore è il dominio
dell'uomo sulla natura e dell'uomo sull'uomo.
Un recupero dello «spazio mediterraneo» potrebbe fornire
risorse di consapevolezza culturale e politica capaci di produrre
effetti identitari per gli attori di entrambe le sponde del
Mediterraneo, in particolare per i paesi maghrebini, spingendoli ben
oltre l'orizzonte dell'Unione del Maghreb arabo. E richiederebbe da
parte dei paesi euromediterranei - Spagna, Francia e Italia anzitutto -
un rilancio del programma di collaborazione euromediterranea e una
critica severa del nuovo disegno strategico del Broader Middle East,
avanzato dagli Stati uniti e fatto proprio dalla Nato. Questo disegno
intende attribuire agli Stati uniti una funzione di controllo
egemonico, in nome della democratizzazione del mondo islamico,
dell'intera area che va dalla Mauritania al Pakistan. Israele ne
sarebbe l'architrave politico, economico e nucleare, l'identità
del popolo palestinese verrebbe definitivamente cancellata, l'Europa
resterebbe emarginata per sempre.
Una strategia mediterranea dovrebbe proporsi di ostacolare questo
progetto imperiale e tentare di aprire una breccia nella compattezza
degli schieramenti manichei che oggi dividono il Medio Oriente e il
mondo intero. Una mobilitazione euro-mediterranea che si facesse
portatrice di questa prospettiva dovrebbe coinvolgere le società
civili di entrambe le sponde, attivando le molte energie disponibili,
oggi disperse ed emarginate. L'impegno dei movimenti giovanili, delle
associazioni culturali, dei sindacati, delle università, delle
organizzazioni femminili potrebbe dare frutti insperati e mostrare che
un altro Mediterraneo è possibile.
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