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Ringraziamo l'amico Nino Gernone per averci inviato in fotocopia questo vecchio articolo di Carlo Alianello, pubblicato nel lontano marzo 1958 da Storia Illustrata.

Webm@aster - 6 febbraio 2006
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Fonte:
Storia Illustrata - Marzo 1958

storia_illustrata_alianello_1958

Al primo

sguardo

si innamorò

di


GARIBALDI


Come Anita abbandonò il marito e seguì l'Italiano
che combatteva per la Repubblica di Rio Grande.

CARLO ALIANELLO

Sulla linea estrema dell'Oceano sono apparse una, due, tre vele, tre scalfitture bianche sull'azzurro. L'uomo che sta di guardia  al porticciolo di Laguna, in provincia di Santa Catarina (Brasile), un gaucho sbracato e  sonnacchioso, si leva su e guarda facendosi schermo con la mano. Che saran quei tre barchi? Amici o nemici? Siamo in tempo di  guerra e bisogna vigilare. Perciò da di piglio a una corda e tira un campanaccio.

Il comandante dei porto, un vecchio ma­rinaio in ritiro che da poco ha ricevuto quel­la carica dalla giovane Repubblica, è  già uscito dalla sua baracchetta, s'è tolta la pipa di bocca e ora sentenzia : “O non finiscon mai? Non è roba nostra,  quella. Dovrebbero essere due corvette e un vascello che filano su Imbituba... e, con queste, ne son passate sei oggi. Brutti  rospi imperiali che hanno anche il vento a favore. La va male... la va male”.

“E il genovese?” domanda la guardia.

“Garibaldi? E che può fare? Ha due go­lette rattoppate e un lancione che pesca po­co... Fatti i conti : per ogni cannone  nostro quelli ne portan sei e per ogni uomo, dodici... Può far miracoli Garibaldi?”


Il gaucho si gratta la testa. Mah! Con tut­to il rispetto dovuto alla Repubblica, lui è d'opinione che gli stranieri è meglio che se ne stiano a casa loro. Qui che ci vengono a fa­re? A liberare il Brasile? Hai voglia! L'im­pero brasiliano è ntota   nt grande che nemme­no lo sappiamo dove comincia e dove finisce e che cosa ci sta in mezzo. E poi, poi... Que­sta non è la  provincia di Rio Grande, questa è Santa Catarina. Se i Riogradensi ci tengon tanto alla loro Repubblica, beh, se la godano  tutta loro. Noi che ci entriamo?

Le vele intanto erano sparite sull'orizzon­te, ma subito il vento leggero che soffiava portò un brontolio indistinto, un  boato lun­go come un ribollire e si vide un lampeggiar frequente, bagliori paglierini, al largo e dove la costa s'incurva.

“Garibaldi ha attaccato” disse il coman­dante del porto. “Amen! Qui, di quelli che son partiti in caccia non ci ritorna più  nes­suno.”

Invece tornarono. Anzi, dei tre barchi, solo la goletta di Garibaldi tornò quella not­te; le altre più tardi, a giorno fatto, quando la flotta nemica era scomparsa dall'orizzon­te. La nebbia s'era levata e gli imperiali ave­vano perso di vista la Rio Pardo tra le cor­tine spesse. Arrivò col bompresso troncato a metà e l'albero maestro scorciato del pomo e dell'alberetto fino alla coffa, attraccò cigo­lando e scricchiolando. Poi dall'oscurità qual­cuno gridò: “O, voi ! Chiamate gente con le barelle e fate venire il chirurgo, subito! Ohi! Da quella cima!”.


Hanno acceso delle fiaccole e han portato altre lanterne; ora la goletta si svuota del suo carico. Son uomini bendati, sanguinan­ti, portati a braccia, qualcuno geme.


Garibaldi scende per ultimo, quando la piccola folla dei curiosi s'è accodata al cor­teo che va su per la china. Ha atteso che sul molo tornassero l'oscurità e il silenzio. Per accertarsi che ogni suo ordine è stato esegui­to, ma anche, forse, perché con lui c'è una donna. In quell'oscurità, nero su nero, non si vedono di lei che i grandi occhi. È Anita.

 


UN PASSATO AVVENTUROSO

 
UN PASSATO AVVENTUROSO

Quando si pose al servizio della Repubblica di Rio Grande del Sud, Giuseppe Garibaldi era sulla trentina e aveva già un passato avventuro­so di marinaio e di mazziniano. Sul suo capo pendeva anche una condanna a morte del gover­no sardo. Egli conobbe Anita nell'estate del 1839 a Laguna. La giovane, che aveva diciott'anni, abbandonò poco dopo la casa del marito e s'im­barcò sulla nave di Garibaldi. Da quel momento condivise la vita romanzesca del generale. Nello stesso scontro di Laguna fra i barchi dei repub­blicani e la flotta imperiale sparò lei il primo colpo di cannone. Fatta prigioniera a Curitybanos, riuscì a fuggire, rintracciò Garibaldi e con lui si ritirò a San Simon, dove il 16 settem­bre del 1840 ebbe il primo bambino, Menotti.


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Siamo, come s'è detto, in Brasile, nell'anno 1839. Il Brasile, che fu già colonia portoghese, era divenuto nel 1822 un Impero indi­pendente con un Imperatore ancora piccino, don Pedro II, e un Consiglio di Reggenza, il quale confermò la vuota e comoda Costitu­zione già concessa. Ma una delle provincie, la più meridionale e disgiunta quasi dal resto dell'Impero, il Rio Grande, non volle accet­tarla, si dichiarò indipendente nel settembre del '36, cacciò il Residente imperiale e pro­clamò la Repubblica.


L'anno seguente, Garibaldi, ch'era in giro da quelle parti, fu invitato a mettersi a ser­vizio del nuovo Stato, cosa che lui fece con grande piacere. E subito compì tali prodigi di valore da meritarsi il grado di Capitano Tenente, Comandante in capo delle Forze navali della Repubblica, tutta la marina, che era formata dai tre barchetti che s'è visto.


I repubblicani di Rio Grande invasero poi la contigua provincia di Santa Catarina, un po' per dare il suo naturale sfogo alla rivo­luzione e un po' per procurarsi un adatto sbocco nell'oceano, perché, pur avendo una flotta, non avevano un mare. Infatti, le coste di Rio brande sono separate dall'Atlantico da una striscia di terra che forma un gran lago interno, la Lagoa dos Patos, dove la comunicazione col mare aperto è una sola, all'estremo sud, allora in mano agli imperiali.


Si mosse l'intero esercito riogradense, comandato dal generale Canabarro, che tenne la campagna, mentre a Garibaldi toccò di oc­cupare il paese di Laguna, dove c'è un porto discreto dominato da un monte, il Morrò.


Così dunque stavano le cose, dopo qual­che mese d'occupazione, quando abbiamo vi­sto Garibaldi tornare a Laguna con Anita, reduce da un ferocissimo combattimento, in cui gli era riuscito di tener a bada l'intiera flotta brasiliana.


Il fatto d'Anita era andato così. Garibaldi era giunto a Laguna in un momento per lui poco fortunato. Usciva da un naufragio : il mare gli aveva strappato dal fianco i suoi amici migliori, gli unici, perché Italiani e perché, come lui, marinai: Luigi Carniglia ed Edoardo Mutra. Sicché Garibaldi era so­lo, con la sua ciurma, in mezzo alla quale gli sarebbe stato difficile trovar uno solo con cui scambiar quattro parole in confidenza.



Garibaldi con Anita e i figli a Montevideo
Garibaldi con Anita e i figli a Montevideo, dove “l'ammiraglio” dei repubblicani
di  Rio Grande si era rifugiato nel 1842. Anita si dedicava alla famiglia,
mentre il marito combatteva per l'Uruguay.

“La gente era di tutti i colori e di tutte le nazionalità” c'informa lui stesso. “Il nord-americano John Griggs, mio secondo, gli altri americani liberti, neri e mulatti, generalmen­te i migliori e i più fidati; fra gli europei, set­te Italiani su cui potevo contare, il resto... ma­rinai americani, detti Frères de la Còte; in altri tempi equipaggi di filibustieri e buca­nieri che ancora davano il loro contingente alla tratta degli schiavi.” Ci voleva l'ener­gia e la fredda decisione di Garibaldi per te­nerli a freno. E gli Italiani glieli avevano portati via un po' per volta il mare e le can­nonate imperiali. E così Garibaldi era solo, in terra due volte straniera, dove anche la natura è differente, dove gli alberi hanno al­tre forme, altre ombre, gli uccelli altri voli, diversi richiami e, sullo sterminato lido, non vedi che gruppi di palme, di cactus, di espinillos e giungle e canneti, dove l'occhio non trova una linea nota, un colore giusto al no­stro cuore.


La popolazione di Laguna, un bel paesino sul mare, tra i bananeti e le agavi, bianco sul pendìo del Morrò, era indiffe­rente, se non ostile, fuorché i repubblicani, s'intende, pochi e malvisti; e le donne dif­fidenti, che abbassavano le palpebre e chi­navano gli occhi in terra, quando passava tra loro il bel marinaio, che pure era da guar­dare, così biondo, così forte, così diverso!


Per questo forse, un po' per volta, Gari­baldi si abituò a non scendere più a terra, se poteva farne a meno. Nei cheti pomeriggi, quando ogni cosa è in pace e il caldo cede alla brezza, se ne restava appoggiato alla mu­rata di poppa della sua goletta, ad ascol­tar le voci e i richiami che dalle stradette in pendìo, dalle case affacciate sul mare, dagli orti, gli giungevano col vento di ter­ra insieme con gli odori familiari della cena che cuoce sulla legna ancor verde e del fu­mo che si stempera nell'odor dello scoglio. Ma era più il sentore della gente, delle case, dell'intimità nascosta che lo tenevan lì, col brusio degli uomini che vanno e vengono e il chiacchierio fitto degli uccelli sugli alberi e delle donne sulle soglie delle case.


Il sole scendeva pian piano dietro il Mor­rò e le acque della cala sfoggiavano le loro collane di riflessi balenanti. Era l'ora che sulla piazzetta del porto venivano a passeg­giar le ragazze, in gruppi chiassosi o a due a due, con le loro gonne fiorite, le camicette colorate e i capelli neri, ben pettinati e luci­di. Le voci giungevano fresche e gaie, al bel giovane; ma nessuna ragazza, passando, gli gettava un'occhiata.


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Al primo sguardo si innamorò di Garibaldi  

Anita, nata Ribeiro da Silva e moglie di Manoel Duarte
Anita, nata Ribeiro da Silva e moglie di Manoel Duarte,  
sposò   Garibaldi  nel   marzo  del   1842.

Eppure no; ce n'è una, formosa, ma slan­ciata come una puledra, che l'ha fissato n uistante, un'occhiata sola, ma dritta e appun­tita. Poi era passata assieme alle sue amiche, che ridevano di qualche cosa. Di che ridono? pensò Garibaldi. Di me? Di lei? O forse d'uno dei tanti nulla per cui ridono le ragazze? Ma che bella figliola! D'altra parte non gliene importava niente che le ragazze avessero a ridere. Ridono sempre le donne quando in­tuiscono cose d'amore per aria. Ma eccola che torna, con una amica sola, sottobraccio.


Garibaldi si sporge fuori della murata, s'as­setta il giubbone azzurro di marinaio. Ecco, l'ha guardato una volta ancora, più a lungo, forse, o forse no; ma chi dice che in un'oc­chiata non ci possa star tutto un discorso? Occhi neri, occhi grandi, occhi fondi... Ma anche adesso è passata e per stasera non tor­nerà più.


Il sole ha dato il suo ultimo guizzo e una luce rossa, abbagliante, occupa il mondo. Ad­dio, ignota. O no, arrivederci.


L'indomani lei tornò, ma più presto, e so­la. Fece un giro attorno la piazza, s'attardò un istante verso il mare, quasi a cercar l'oriz­zonte, poi si volse e andò su per una stradetta verso il Morrò; a Garibaldi nemmeno un'oc­chiata. Lui però non la voleva perdere, que­sta volta; saltò sul molo e le tenne dietro, cauto, quasi bighellonando, come chi fa una passeggiata, che gli sarebbe spiaciuto com­prometterla.


Vanno sii per la viuzza, attraversano una piazzetta, costeggiano un orto e un canalet­to dove l'acqua stagna piatta nella calura, salgono un pendìo. Lei va con la testa al­ta, il torso eretto e ancheggiando un po' co­me tutte le creole, ma non si volta mai. Sa che lui le vien dietro, non cupido, ma affa­scinato già e curioso di lei. Le poche perso­ne che spian dall'uscio a quel frusciar cauto di passi nell'ora della siesta, e li vedono pas­sare uno dopo l'altro sotto quel sole bollen­te, non se ne meravigliano, anche se scuoto­no la testa e sorridono sprezzanti. Loro non pensano all'amore, tutt'altro. A un messag­gio, piuttosto, a un intrigo, a una storia di politica, impero o repubblica.


Anche lei sa queste cose, ma ora ogni dif­ferente pensiero l'è uscito dalla mente. Quei due che vanno staccati, sperduti, soli e uniti, pensano a una storia d'amore che si va fa­cendo. C'è qualcuno che s'è detto, vedendoli passare : “Quello scriteriato di Manoel. Ec­co che adesso ci mette la moglie, nei suoi pasticci politici”.


Quando Garibaldi vide la donna imbucar una stradetta breve che terminava in un folto di canneti, dove c'era una casetta umile e un po' sbilenca, e dall'uscio accostato balzar fuo­ri un uomo giovane, un bel bruno, che le an­dò incontro e le prese la mano, è chiaro che non ci si raccapezzò più. Però il giovane si tolse il sombrero con un gran giro di braccia e gli s'inchinò, proprio a lui, sorridendo : “Si accomodi” gridò “s'accomodi, signor co­mandante! Quale onore per me!”.


Lì per lì, e controluce, non l'aveva visto bene; ma adesso lo riconobbe subito. Era un certo Manoel Duarte de Aguiar, forse il più acceso e il più enfatico dei repubblicani di Laguna, che adesso gli veniva incontro tra­scinandosi. appresso la donna, un po' rossa e quasi riluttante : “Che onore, per me e per mia moglie averla ospite in casa nostra! Per­metta che gliela presenti : questa è la mia sposa,  Anna de Jesus...  Anita...”.


Si dettero la mano cerimoniosamente e si guardarono come due persone nuove, diver­se. Poi Manoel spalancò la porta e disse an­cora : “S'accomodi”. Allora Garibaldi entrò

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Anita prese parte a molte battaglie a   fianco di Garibaldi
Anita prese parte a molte battaglie a   fianco di Garibaldi e affrontò
con ardimento disagi di ogni genere.  Nel 1841 compì una ritirata
col bimbo in braccio. Perciò è entrata anche lei nella leggenda.


Di quel che parlaron tra loro, Manoel e il Capitano Tenente Comandante, noi non sap­piamo nulla. Forse il marito d'Anita voleva procurarsi una protezione e un rifugio in caso di torbidi, forse voleva farsi raccomanda­re per una carica o un impiego, forse gli premeva far una denunzia o chiedere un'in­formazione. Lui era un repubblicano sincero, uno dei pochi veramente devoti alla libertà, alla causa, nemico della schiavitù, odiatore degli imperiali, forse il solo in tutta Laguna!


Intanto Anita offriva "il caffè. Era piccola, Anita, ma con quel suo corpo nervoso e agi­le d'amazzone pareva riempir tutta la stanzuccia. E ora se ne stava ritta vicino alla fi­nestra, controluce, dove il rame del tramon­to imminente le stagliava netto il bellissimo corpo. Fissava alternativamente il marito e lo straniero, con gli occhi grandi velati dall'om­bra e dalle ciglia lunghe.


Il marito parlava senza respiro, frasi fatte, concetti triti, detti alla buona, su cui torna­va sempre, parole ch'erano in tutto simili a lui, così gonfie, violente insieme e vaghe. L'al­tro lo lasciava dire, con quel suo bel viso fer­mo e lo sguardo limpido e assorto.


A un certo momento Manoel dovette al­zarsi e andar di là, nella stanza interna, a prender forse dei documenti da far vedere o solo una bottiglia di aguardiente. Chi sa? Certo è che Garibaldi e Anita si ritrovarono soli nel vano della finestra. Fu allora che Ga­ribaldi pronunziò  le famose parole che lui stesso ci riporta nelle sue Memorie autobiografiche: “Fanciulla, tu sarai mia”. Lei ri­spose con un cenno “che conteneva un pat­to d'amore infrangibile”.


Poco altro sappiamo di questo episodio. Si conosce soltanto che Anita Ribeiro da Silva, nata nel villaggio di Morinhos, aveva sposato un giovane della vicina Laguna, e precisamente Manoel Duarte de Aguiar, nel­l'agosto del 1835, e che nell'agosto del '39 fuggì con Garibaldi rifugiandosi a bordo della Rio Pardo, “talamo inviolabile”. E che d'allora seguì le vicende del suo uomo. Nel marzo poi del 1842, Anita e Garibaldi, appresa la morte di Manoel, si sposarono nella chiesa di S. Francesco d'Assisi in Montevideo. Il resto è tenebra, la parte amorosa s'intende. Perché Anita si rifugiò sulla Rio Pardo? Perché Manoel sparì? E come?

Anita confessò tutto a Manoel? Come av­venne la rivelazione, seppur ci fu? Possiamo immaginare una scena alla Vittoriano Sardou, “...perdonami se ti fo male, Manoel, ma io amo Josè” ? Oppure fu lui a insistere, a tormentare e, piangendo, le strappò le pa­role definitive? O invece assistette desolato, inerte, a quel feroce divampare di passione? Può anche darsi che non se ne dette per inteso e, per il suo meglio, fece finta di nulla. E c'era la ragione, come poi vedremo.


Certo è che ci fu un intermezzo : la trage­dia non scoppiò subito. I Duarte presentaro­no il Comandante ai loro amici e Manoel do­vette farsi bello di quel nome e di quella amicizia. Sappiamo che ci fu un battesimo in una casa amica, brava gente che abitava come i Duarte sulle pendici del Morrò. Una festa grande, forse una festa polemica, re­pubblicana, alla faccia dei reazionarii che ci stavano in Laguna (e ch'erano quasi l'intera popolazione), perché il padrino del nato fu Garibaldi e la madrina Anita. E si ballò fino a tardi e Garibaldi danzò con molto brio e Anita anche e fecero coppia fissa. Forse il marito ne fu lusingato. Manoel però doveva ben presto rinsavire.


Di lì a breve tempo ogni cosa gli precipi­tò intorno. La provincia cominciò a ribellarsi e monarchici e moderati rialzarono il capo. La piccola città d'Imerruy, poco distante da Laguna, cacciò il piccolo presidio e abbassò la bandiera repubblicana. Lo stesso Garibal­di fu mandato sul posto dal suo capo supre­mo, il generale Canabarro, a far da castiga­matti. Una spedizione punitiva che a Gari­baldi non piacque, ma gli toccò compiere.


Intanto un vigoroso esercito imperiale ca­lava dai monti e la flotta imperiale si schie­rava tutta sul mare, puntando su Laguna, per distruggere quel covo d'audaci.


L'esercito dei Riogradensi era piccolo, male armato, in paese ostile; non gli restò che battere in ritirata, per non rimanere impiglia­to nella rete. Fu allora che quei pochi repub­blicani del paese si misero in via anch'essi, o per timore delle vendette sicure o perché davvero preferirono l'esilio alla perdita del loro ideale.


Con essi si ha ragione di credere che sia andato anche Manoel; sicché, quando Ani­ta uscì dalla casa di lui al braccio del suo uomo, quello definitivo, che incarnava per lei, intrepida, la sua ragione di vita, lei tenne la testa alta. A sfida certamente, non del mari­to che non c'era già più, troppo piccolo uo­mo per quell’evento, ma di quelli che la giu­dicavano.


Laguna era un piccolo paese di quell'Ame­rica meridionale dove ancora oggi la morali­tà di chi appena non è plebe o meticciato è spesso fiera e ristretta, risentita perfino e acre nel rispetto soprattutto della forma. Eppoi Garibaldi era un repubblicano, un avversario, un bell'avventuriero audace fino alla te­merarietà, ma i Lagunesi non potevano inten­dere, anzi intuire in lui, l'umana grandezza che noi gli conosciamo. Transfughi l'uno e l'altra per i malevoli e gli ignari.


Perciò, quando Anita seguì a fronte alta il suo amato sulla goletta, vi andò sicuramente di sua volontà, ma ce la spinse anche un ven­to di calunnie e di rimbrotti. Che non ces­sarono di sicuro, quando gli altri la videro andare e tornar per mare col Capitano Tenente, tutte le volte che lui usciva in caccia, e la seppero sua compagna temeraria di guerra, oltre che amante.


Poi la ritirata cominciò, lunga, terribile. Ani­ta e Garibaldi si ritireranno anch'essi dopo aver bruciate le navi, ultimi, dopo che i pochi illesi e i feriti del combattimento estremo saranno sbarcati sul molo, soli tra mucchi di cadaveri e un frantumio di legni e di metalli. Lui e lei con la fiaccola a dar fuoco. Poi si metteranno in marcia con quel pugno di scam­pati attraverso il paese.


Tra loro e il nemico c'è soltanto un sipa­rio di fiamme alte dove rintronano gli scop­pi delle polveriere che saltano. Son pochi e i più si reggono a stento, ma non c'è nessuno che gli dia un bicchiere d'acqua o un brac­cio a sorreggerli. Il paese dorme o fa il mor­to sotto quello scatenìo di fuoco a riva, che par non lo riguardi. E così essi se ne vanno senza guardarsi indietro, senza un addio.


“Ànita”, dice Garibaldi, “mi conobbe nella sventura e la sventura me la consacrò per sempre.” E la sventura se li porta via dentro il mito splendente, come una favola, a fronte alta. Ora hanno il paese alle spalle e marciano lungo la grande spiaggia senza fi­ne, fragorosa d'un tuono perpetuo, dove il rombo dell'oceano strappa le parole di bocca e le cancella, e tra le pozze d'acqua sal­mastra dove s'abbeverano gli uccelli marini, a mille, in nuvoli fitti di stridori. Dietro di loro il bagliore delle vampe simula ancora il rosso d'un tramonto.


Allora Garibaldi e Anita si guarderanno ancora, ma più a fondo, con uno sguardo nuovo dove l'ardimento inconscio s'è mutato in fortezza e in comprensione, e si stringe­ranno la mano. E di parole non c'è bisogno. Anch'essi vanno pei secoli futuri, fin quanto durerà  la memoria  degli  uomini intrepidi.


Carlo Alianello

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Al primo sguardo si innamorò di Garibaldi

 


 
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Storia Illustrata - Marzo 1958

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