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Qualche amico non apprezzerà la messa in rete di questo testo di Raffaele Cotugno, profondo conoscitore della storia meridionale, ma platealmente antiborbonico.

Noi abbiamo deciso di pubblicare questa opera perché si tratta di un lavoro che denota una accurata ricerca storica. Scritta su documenti di archivio, è un'opera che presenta anche testimonianze tratte da testi borboniche o filoborbonici, seppur letti in modo unilaterale, infatti lo fa unicamente per sbugiardarli o dimostrarne la infondatezza.

Ad esempio abbiamo trovato l'episodio riportato da Alianello su Gladstone a Napoli nel 1888-89 che sarebbe tratto da "La biografia che Luigi Settembrini scrisse di Ferdinando II" di Domenico Razzano, Napoli, Tip. dell'Italia marinara, 1914.

Riteniamo che noi del Sud che non crediamo più alle favole risorgimentaliste abbiamo il dovere di ricucire lo strappo del 1799 tra Casa Regnante, popolo e intellettuali. L'unico modo per farlo è - a nostro avviso - quello di non arroccarsi acriticamente su posizioni legittimiste, ma ricostruire una memoria condivisa per guardare al futuro e non al passato.

Per finire, un invito a leggere il testo di Edoardo Spagnuolo sulle carceri di Montefusco prima e dopo la unità d'Italia. Cotugno si limita a ripetere la vulgata patriottarda sulle carceri borboniche, quasi che le carceri di altri paesi in quei tempi fossero luoghi di villeggiatura.

Buona lettura.

Zenone di Elea, Ottobre 2009

RAFFAELE COTUGNO
Tra Reazioni e Rivoluzioni
Contributo alla storia dei Borboni di Napoli dal 1849 al 1860
M. & R. FRATTAROLO EDITORI
LUCERA
INDICE (1)

Tra Reazioni e Rivoluzioni di Raffaele Cotugno (1)
Tra Reazioni e Rivoluzioni di Raffaele Cotugno (2)
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La Reazione e Guglielmo Gladstone

I luttuosi avvenimenti del 15 Maggio 1848 furono, fra l'altro, la conseguenza immediata e diretta d'un particolare stato di animo delle classi dirigenti le quali, per la rapida mutevole vicenda delle fortune del regno, non si erano potute amalgamare e fondere in guisa da concorrere efficacemente alla creazione d'un regime politico capace di dare soddisfazione al complesso delle nuove esigenze e delle riforme reclamate dal mutato spirito dei tempi. Dalla Repubblica Partenopea, alla sollevazione militare del 20, alle barricate del 48 la monarchia, appoggiata alle proprie od alle armi straniere, s'era affermata la più forte. Essa, però, non era riuscita a legare al suo carro i nuclei superstiti delle passate rivoluzioni, i carbonari, i murattisti e gli esponenti di quella parte dell'esercito cl^e, nel periodo napoleonico, avevano combattuto per idee e principii ai quali, nonostante le vittorie della Santa Alleanza ed il patto di Casalanza, erano rimasti più che mai fedeli. Nelle ore più difficili, nei più accesi contrasti le due anime, le due tendenze risorsero e stettero in armi consumando, come fu dei ministeri di coalizione, in isterilì schermaglie ogni loro energia per cui la forza e l'autorità dello Stato ne fu paralizzata.

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Si arroge che i Borboni, usi a spergiurare, erano tenuti in sospetto da coloro specialmente che, per amore alle idee, esili, carceri, persecuzioni avevano virilmente patito. I dibattiti teorici circa il potere della Camera a svolgere lo Statuto, il che significava proclamare la Costituente, e quelli non meno infiammati tra sostenitori ed avversari della Paria (1), miravano, in realtà, specie nel pensiero degli estremisti, a creare una forma di Governo in cui al potere regio fosse stato precluso ogni e qualsiasi tentativo di ritorno all'antico. In questa giostra delle fazioni in lotta per la propria egemonia, i partigiani del sistema costituzionale (un veille horologe detraquée, al dire del National) che dalla Polizia venivano, in un fascio con repubblicani e socialisti, gratificati del nome di sovversivi, talvolta andarono al di là del giusto segno, suscitando preoccupazioni e resistenze fin tra i molti che, pur sentendola con l'istesso animo, volevano progredire, si, ma battendo il passo, ordinatamente.

E tali diffidenze apparivano tanto più giustificate

(1) Dai realisti si promovevano sottoscrizioni perché non si portassero innovazioni alla Costituzione. Una di queste petizioni diceva:Sire, una riunione di cittadini, fedeli sudditi di V. M., avendo preinteso che si vorrebbe portare delle modifiche alla Costituzione da V. M. accordata, e reciprocamente giurata;

Considerando che un tale atto tende naturalmente a rilasciare i legami morali fra il sovrano e il suo popolo;

Che è una temeraria esperienza di alterare le istituzioni non ancora poste in pratica;

E non dubitando punto, che se Vostra Maestà, in opposizione ai suoi principi noti, a ciò si determinasse, non potrebbe essere, che perché lo crede il voto unanime dei suoi sudditi, per lo che è un interesse, un dovere di rischiarar Vostra Maestà che ciò non è;

Perciò i sottoscritti domandano che niuna modificazione sia apportata alla costituzione data dalla Maestà Vostra.

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in quanto le idee mazziniane, dopo i vari tentativi di risolvere la questione italiana con pieno rispetto allo stato politico e territoriale della penisola, e dopo il fallimento della guerra nazionale, molti avevano di già conquistato alla Repubblica che, proclamandosi unitaria, si mostrava ben per questo capace di troncare d'un colpo quel nodo di staterelli i cui repugnanti interessi e la loro soggezione ad Austria erano l'ostacolo più poderoso al compimento del nazionale riscatto. Ciò faceva dire a Metternich nelle sue Memorie: «L'unione dell'Italia non può avvenire che con la Repubblica, perché essa non ha un principe sotto il cui scettro tutti gli altri Stati si potessero riunire e, se vi fosse un principe di tal fatta, le potenze glielo impedirebbero. Non è da l'alto ma dal basso che si dovrebbe formare l'Italia una e indivisibile». Per il grande statista l'Italia era una

espressione geografica e la sua aspirazione all'unità, une phrase sonore e nulla più. Nel mezzo dei contendenti, mentre un'amministrazione dilapidatrice manometteva il denaro pubblico e privato, vendeva favori ed ingiustizie e metteva la gente onesta e di coscienza come in bando dalla società, si giaceva il popolo minuto, ignorante, povero, superstizioso, in massima ostile, ma, il più delle volte, inimico dei novatori, come n'ebbe in vari rincontri a dar prove inequivocabili, per cui le sue manifestazioni più rumorose e l'appoggio dato alla restaurazione ed alla difesa della monarchia assoluta, nonché di devoto attaccamento ai principii d'ordine, erano indice di quella barbarie e di quello spirito fazioso, fatto d'intolleranza e di violenza e dal Governo con ogni studio favorito ed alimentato, dalle cui profondità con i Jervolino, i Barone, gli Schenardi, e simile lordura, famosi per vecchi e nuovi delitti, emerse la figura ignobile e triste del prete Peluso, l'assassino applaudito e rimunerato del Deputato Costabile Carducci. Di qui la reazione toglieva argomento per sostenere che il popolo non fosse maturo alle libertà

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e che lo si sarebbe dovuto rimettere sotto tutela, come fu domandato con le famose petizioni, fucinate da Intendenti e poliziotti sotto l'assillo del Governo, mentre un sinedrio di prelati si dichiarava pronto ad assolvere il re, colto da scrupoli improvvisi, dal nuovo spergiuro.

Gli avvenimenti avrebbero, forse, potuto avere una diversa soluzione, ma occorreva una mente superiore, un uomo energico, d'iniziativa, consapevole del modo col quale, nella perenne vicenda di azioni e reazioni, le idee medie, rinvigorite da quel che le nuove correnti hanno di vivo e vitale, finiscono per imporsi; una gente che fosse popolo e non già plebe e della più vile; consiglieri che, emuli di Durando, Balbo, D'Azeglio, Gioberti e Cavour, avessero saputo camminare a contatto degli avvenimenti per dominarli e volgerli a profitto della monarchia; una Nobiltà, come in Piemonte, forte delle sue tradizioni, sostegno e splendore del trono; un esercito, non solo disposto ad eseguire senz'altro gli ordini, ma favorevole spiritualmente alla buona causa. Questo aiuto nell'ora della prova mancò del tutto. Il Re, di vero, non si elevava d'una spanna dall'ambiente. Di mediocrissimi talenti, tra gente mediocre, educato da una nidiata di vescovi (Olivieri, Porta, Code, Capocasale, Scotti, ) che certo non eccellevano per singolarità di talenti - e per peregrine virtù, incapace di comprendere che la sua era un'epoca d'agitazione e di preparazione a cui nessun valido ostacolo avrebbero potuto opporre i deliberati del Congresso di Verona, aveva, commista ad una naturale prontezza, astuzia grossolana più che sapienza di regno. Di costumi morigerati, adusato alla scuola dei suoi maggiori, recitava da commediante la parte del tiranno illuminato, del buon padre di famiglia, del cattolico fervente e timorato ed ogni opera riponeva nel cattivarsi l'amore degli umili che non gli vennero mai meno. Il trono continuò, fino alla vigilia della catastrofe in cui si tentò, sommo moderatore l'Ajossa,

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porvi un qualche riparo, a riposare sulla dedizione incondizionata dei lazzaroni, che la Polizia spinse sempre contro i galantuomini; del proletariato agricolo che, nella monarchia, vedeva il baluardo contro le resistenze di feudatari ed università coalizzati per ostacolare l'applicazione delle leggi eversive della feudalità e la ripartizione dei demani, più che sulla forza ed il credito delle istituzioni. Il contrasto apparente tra i sistemi della Corte, stretta in una cieca camarilla, dove era difficile penetrare, farsi largo senza intrighi, e gli atteggiamenti del re plebeo, rumorosamente espansivo, cui Maria Cristina, la santa, non era riuscita a far intendere i doveri del trono, le spine della regalità, doveva accreditare la falsa istoria della bontà del Sovrano e della tristizia di coloro che lo servivano ingannandolo, dei ministri, specialmente, delle cui male fatte, al dire dei bigotti dell'assolutismo, veniva, a torto, accusato. Uso a temere della libertà, del giacobinismo, a deridere i sogni umanitari, belli nei discorsi dei filosofi ma impossibili nella pratica, a Luigi Filippo che lo eccitava a spingersi nella via delle riforme, rispondeva: Nous ne sommes pas de ce ciòcie. Les Bourbons sont vieux, et s'ils voulaient se calquer sur le patron des dinasties nouvelles, ils seraient ridicules. In queste parole egli si definiva. I Borboni erano ormai un anacronismo!

Nell'ora delle supreme risoluzioni, l'ambiente, rimasto chiuso alle nuove correnti di pensiero che in Napoli avevano avuto nel Pagano e nel Filangieri, specialmente, i loro degni interpetri e rappresentanti, s'impose. L'esercito e la plebe, legati dagli stessi odi e dagli stessi amori, il 15 Maggio, mentre il Re se ne stava incerto e trepidante nella regia e le notizie più strane e diverse si diffondevano per la città in tumulto dove numerosi armati, venuti dalle province, molti col pretesto di recarsi a guerreggiare in Lombardia, e sorretti da nuclei di Guardie nazionali, spiavano le mosse degli avversari per prevenirle e fronteggiarle energicamente,

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l'esercito e la plebe, dicevo, in quello che con tanto apparato di minaccia si andava fucinando, non sentirono che il risorgere della violenza a cui, contro le mentite affermazioni del proclama ufficiale del 29 Gennaio, il Re, nel concedere la Costituzione aveva ceduto. Ed è perciò che mentre tutte le quistioni sul se le barricate si dovessero disfare prima, come la Camera aveva deciso ed il Comandante interino Gabriele Pepe, confortato dai colonnelli De Conciliis, Piccolellis, Letizia e Gallotti, ingiunto, o dopo il ritiro dei soldati, come pretendevano gl'insorti, sembravano con l'accettazione d'una formula conciliativa definite, si venne alle armi. Per la battaglia che si designò sin dalle prime inevitabile, qualunque pretesto sarebbe stato buono. Il che dimostra quanto inutile sia lo sforzo degli storici diretto a stabilire da qual parte, in un ambiente saturo di rancori e di offese, fosse partita la provocazione. (1)

(1) Fra le tante ipotesi messe in giro per istabilire a chi dovesse attribuirsi la responsabilità degli avvenimenti del 15 maggio mi piace riferire le parole di Gabriele Pepe da una sua Risposta al giornale il Contemporaneo del 4 luglio 1848 che lo accusava di esserne stato, per la sua balordaggine ed inettitudine, la causa principale.

«Vennesi da ultimo, egli scrive, al gran climaterico 15 maggio. Dal quale giorno di mai sempre feralissima ricordanza e conseguenza, coverta va di cupo mistero, che la storia chiarir deve e chiarirà, l'esecratile ed originaria mano orditrice. Sen volle addebitare la colpa alla Guardia nazionale napolitana, e un di questi imputati è il Censore, cui risponde, il quale disse che la Guardia fu spinta da capi subalterni e tratta dal suo soverchio zelo cittadino a trascorrere. Diersi, noi niego, un qualche centinaio di costei individui, i quali per ardenza giovanile mobili ed esaltatali, tanto più tali atteso la meteora di libertà onde percossa sconvolta ed esagitata è tutta l'intellettiva e corale atmosfera europea a trovar la cui pari o consimile nella storia vuoisi indietreggiar col pensiero al furente fanatismo della

Lanciato il paese nell'anarchia, mentre si costituivano d'ogni parte Comitati provvisori e di sicurezza, si negava il pagamento delle imposte, s'inscenavano dimostrazioni al grido di pane e lavoro, si occupavano e si spartivano con ogni pretesto le terre, si rifiutava ogni contributo di leva e, dalle Sicilie, specialmente e dalle Calabrie, insorte, si levava il

Cristianità per la prima Crociata; diersi, ripeto, un qualche centinaio di giovani straportati ai quali non puossi non essere condonevole ed indulgente, comeochè li traguardi o dalla loro irresistibile emozione o quai cieche ed innocenti vittime dei loro tristissimi ammaliatori. Ma il maggior numero della guardia stette al suo posto. Donde dunque mosse il capo bandolo della nerissima orditura, per cui videsi convenuto in Napoli una folla di armati provinciali, in apparenza qua' volontari intendenti ad andare a guerreggiare in Lombardia, ma in sostanza a qui trarre il terribil dado, ch'essi trassero? Mosse forse da reissimi congiuratori intesi a pescar nel torbido?

Ciò non è improbabile attesoché il Presidente Troya vide la necessità di far catturare due turbolenti individui, che avean la mala voce di essere prezzolati macchinatori austriaci, ed autori di cartelli incendiari di tale e tanta ferocia e terribilità che sariansi detti non da meno a quelli che fulminava Robespierre negli anni del terrore. 0 fu ei forse un magnanimo tentativo

ad un augusto tipo ed ordine di reggimento, cui veruno non mai fora pari in affetto e brama, ove io vedessi i più dei miei simili non quali essi pur troppo evidentemente sono, ma quali dovriano essere? E questa ipotesi puossi anch'essa presumere a veder la caldezza e valentia, con cui lanciossi al cimento la mai sempre ideale immaginosa gioventù. Quegli rasento alla certezza è per altro che macchinato fu l'atroce colpo dall'oro e dalle male arti della mai sempre perfidissima diplomazia Austriaca, coll'intendimento di distaccare il contingente delle armi Napoletane dall'esercito italico mandando sossopra ed in soqquadro Napoli,Orrenda trama, di cui tali e tanti eran gli indici, che il Presidente Troya citò a serio e severo avvertimento un austriaco diplomatico, non si sa come tuttora qui residente

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grido di morte al tiranno, chi si dette a parteggiare per la repubblica, chi per Carlo Alberto (1), altri a sperare nel soccorso dei Siciliani, i fedelissimi in quello del Russo e dei Turco, gli anglomani nella regina Vittoria, i democratici nei francesi. E, nel comune disordine, trionfò, come doveva, la forza armata, l'esercito che, con altri intenti, avrebbe dato sicurezza e stabilità a quelle istituzioni che (irrisione e scherno) erano state largite dal Principe nel nome temuto di Dio uno e trino.La sordità politica dei Borboni non consentì al Re,

dopo la partenza dell'imperiale Ambasciatore. La storia, torno a dire, chiarirà un giorno questo misfatto. Certissimo è per ora il fatto che il gran subisso scoppiò per vanno degli anzidetti provinciali. Scoppiò... e per me alle già patite 24 ore di vigilia e digiuno, stante la permanente seduta preparatoria dei deputati, seguirono altrettante d'insidia, veglia e fatica travagliosissima, in cui non so intendere donde traessi nella mia età sessagenaria le forze occorrenti a reggermi in piedi e sempre in modo, accorrendo quattro volte alla Reggia per far referto al Re degli eventi e riaverne gli ordini, a casa Troya per dire ai ministri radunati ivi in consiglio permanente che non lanciassero le regie truppe ad attaccare assalto e zuffa; a cadauna barricata supplicando e scongiurando a disfarle, dimostrando l'insania e l'impossibilità di sostenerle per la pochezza delle munizioni che ognuno aveva bastevoli appena per mezz'ora di tiri,., e sempre non solo invano, ma ovunque sotto le ingiurie e minacce coi moschetti su di me tesi e incoccati.

(1) Oostantino Grisci (nello Stato delle opinioni nel Regno di Napoli, Napoli 1848) scrive che nessuna opinione fu cosi generalmente appoggiata dalla stampa come l'opinione Albertista. La fantasia del popolo si accese in guisa che si arrivarono a contare i giorni tra i quali Carlo Alberto, cacciati i Borboni dall'Italia settentrionale, doveva venire a purgare di altri barbari, di altri Croati, come dicevasi, l'Italia meridionale. La rivoluzione di Calabria e di Sicilia che scioglieva a suo re un principe di casa Savoia, non fu che la manifestazione d'uno stesso sentimento.


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accusato nel Parlamento piemontese, nella memorabile tornata del 22 Maggio 1848, qual inimico pubblico e parricida d'intuire tutto quello che, attraverso le passate rivolture, si era venuto in molti dei suoi sudditi, degl'intellettuali specialmente, da lui tenuti sempre in sospetto, determinando, per cui questi, non a torto, si sentivano maturi a governarsi da sé, senz'altro bisogno di fastidiose e non desiderate tutele. Volerli, ancora e con qualunque mezzo escludere dal governo era lo stesso che elevare a sistema la guerra civile.

Domata la rivolta, anche mercé l'aiuto delle classi abienti che l'improvvisa catastrofe aveva atterrite e rese devote a qualunque governo avesse promesso sicurezza, nonché dei molti paurosi di gittare il regno in pericoli dai quali la sua indipendenza, che i Borboni avevano fondata, potesse uscirne compromessa, a Ferdinando non parve vero proclamare lo stato d'assedio; richiamare le truppe, ch'erano state al partire si tarde e lente, dalla terra santa della libertà e la squadra dalle acque di Trieste; prorogare le Camere legislative; sopprimere la libertà di stampa (1); sciogliere la Guardia Nazionale; abolire

(1) L'azione fa specialmente diretta contro la stampa liberale e sovversiva cui nessuna violenza fa risparmiata. E mentre polizia e magistratura facevano a gara per annientarla, il governo emanava ordini per impedire la circolazione nel regno de' giornali esteri sospetti o convinti di demagogismo. A tale misura furono sottoposti, fra gli altri, il Daily News, il Lampione, l'Epoca, il Pensiero Italiano di Verona, il Corriere Livornese, per la loro indole bugiarda e sovversiva, il

Contemporaneo di Roma perche dominato da passione politica ed accusato di diffondere notizie false, la Pallade, per la sua indole abitualmente sediziosa e sovversiva, il Portafoglio Maltese; l'Italia dei Giovani di Pisa, per la sua indole malvagia. Il Peccheneda emanava ordini draconiani contro il giornale La Giovine Italia. «Il cui solo titolo, egli scriverà, basta a

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il giuramento costituzionale; consacrare tutto sé stesso a che le vestigia delle concesse libertà e gli

dimostrare l'audacia dei compilatori ed il colpevole dispregio in cui essi tengono l'autorità delle leggi e gli atti del Governo». Quasi tutti i giornali di Francia, ad eccezione dell'Univers, de'

Debats e dell'Union erano severamente proibiti. E ciò sotto gravi pene. 'Né basta che, ad impedire il contagio delle idee liberali, ai cittadini veniva sull'esempio di quanto si praticava in Austria e negli Stati di Roma, Toscana e Modena, negato sistematicamente il passaporto per la Francia.

Ben altra norma vigeva nei rapporti della stampa reazionaria. Essa, sorretta dal fanatismo religioso, combatteva con tutto l'arsenale dei vecchi e nuovi sofismi, la Costituzione, l'ateismo, il demagogismo, le rivoluzioni, nonché gl'insensati servili adoratori, al dire di Mettermeli, delle cose che non esistono nella realtà, le juste milieu, les ententes cordiales, le droit au travaii et tant d'autres mots creux qui depuis qu'il ya une societé et tant quel y en aura une, ne sont et ne resteront que des mots». Un particolare trattamento, poi, veniva fatto alla stampa Piemontese la quale, educata alla scuola della libertà, aveva tolto a sua bandiera l'imparziale discussione degli atti e degli avvenimenti politici, trasformandosi, così, in un organo potente della pubblica opinione. In essa, inoltre, si era soliti vedere il sostegno dello Statuto Albertino nel quale i reazionari leggevano le parole così dure al loro cuore: indipendenza, nazionalità ed unità d'Italia, Nel propagare le massime dell'assolutismo andarono molto innanzi l'Ordine ed il Tempo. L'uno, voluto dal re, fu fondato da Peccheneda coi denari della polizia e con redattori tolti ad imprestito dal Giornale Ufficiale, sotto la direzione del noto Domenico Anzelmi, l'altro, surto con idee liberali ad opera di Carlo Troya, Ruggiero Bonghi e Saverio Baldacchini, dopo il 15 Maggio si trasformò, al dire di Giuseppe Massari «nel Monitore Ufficiale di tutte le rabbie reazionarie; l'Omero della Iliade delle incostituzionalità ministeriali». Essi, però, più che d'idee proprie, si fecero eco della stampa reazionaria Europea, a preferenza della francese, mentre nel resto si mostrarono ignobili, ostinati difensori della diuturna opera fez:osa e parmigiana del governo. Non é da dimenticare,

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uomini che le avevano più fervosamente sostenute, fossero dispersi. I già dannati sistemi a base di arbitri

però, che la reazione era in quasi tutta l'Europa (V. le nostre Pagine del Risorgimento) e che il Borbone non faceva che mettere in atto quelle dottrine che frutto, d'un'assidua propaganda, avevano trovato nel Conte Clemente Solaro della Margherita uno dei più coraggiosi divulgatori. E' lui che nei famosi Avvedimenti Politici dice che la Libertà di stampa è una piaga della società e si fa a suggerire le più draconiane misure per infrenarne la diffusione ed, ove occorra, per sopprimerla del tutto.

Innumerevoli processi e giudizi si vennero promuovendo per delitto di opinione. Per ogni detto imprudente, per ogni parola di lamento, che sfuggisse fin nel segreto delle mura domestiche ad un onesto cittadino, tosto veniva in campo l'accusa di discorsi sediziosi, d'ingiurie alla sacra persona del re, di eccitamento al malcontento contro il governo, e di altre simili vaghe ed elastiche imputazioni. Né si applicavano dalla corte per tali reati pene minori di due fino a cinque anni di carcere. Fu comandato che la voce della libera stampa tacesse; e non une o due, ma tutti, assolutamente tutti i giornali di Napoli non pagati dal governo, furono dalla gran corte in una settimana soppressi

con altrettante decisioni, e poscia vennero aperti contro i loro gerenti, tipografi ed anche contro i presunti autori degli articoli, altrettanti processi. Ma, ohimè! la reazione, nonostante l'uso di tutte le sue forze e la brutale violenza dei suoi metodi non riuscì a soffocare la propaganda delle contrarie opinioni che, cacciate dalle vie maestre, si rifugiarono nelle arti più sottili dell'inganno e della frode per non perire, attingendo dal pericolo sempre nuove e più salde energie per la resistenza. Non vi fu occasione di cui i patrioti, sempre che se ne offrisse loro il destro, non si fossero serviti, perché fosse a tutti manifesto che essi vigilavano nell'attesa, e si tenevano in armi pronti ad intervenire nell'ora decisiva per le fortune del paese. E per fermo: spesso i busti delle LL. MM. e gli stemmi reali furono insudiciati, sfregiati e rótti. Talvolta nei giorni di gala, mentre si cantava il Te Deum, s'udirono sonare le campane a morto. Il giorno di Pasqua, all'atto della resurrezione, si videro in chiesa volare uccelli con strisce tricolori.

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polizieschi, di leggi eccezionali, di confische e d'esili furono prontamente richiamati in onore e la

La polizia era tutti i giorni impegnata a sequestrare frange, fazzoletti scialli, cuffie, nastri, coccarde, decorazioni, confetti, bottoni, cartoline, vetri, palloni, aste, bandiere, aquiloni ed altri innumerevoli oggetti tricolori. E più ne sequestrava e più ne ricomparivano, nonostante i processi seguiti, spesso, da severe condanne, contro gli autori di simili delitti. Dall'estero, specialmente dall'Inghilterra, penetravano nel regno, ad opera degli emigrati e dei mazziniani, innumerevoli simboli ed emblemi patriottici e messaggi e proclami ooi quali si eccitavano gli spiriti alla rivoluzione. Qui venivano segnalate tabacchiere in forma di stivaletti con sei bottoncini, indicanti le sei Monarchie italiane, destinate a sparire; altrove cappelli, coppole, cravatte, polsini con particolari segni di riconoscimento. E molti si annotavano e saluti convenzionali, in uso tra coloro che la sentivano con l'istesso animo, e modi di portar barbe, baffi e capelli e fogge di vestire come segno di settarismo e di demagogismo pericoloso. Gli archivi della Polizia sono su tal riguardo pieni di verbali e di querele, documenti questi, del più alto interesse per chi si faccia a considerare come i reazionari si perdessero nel minuto dei fatti, nella ricerca di particolari insignificanti, nella caccia all'uomo invece d'intendere virilmente ad eliminare le cause che di quel disordine erano ragione unica e sola. Su tutte le più diverse forme di pubblicità, cui die vita la indomata resistenza dei partiti alle sopraffazioni governative, si levò ad ignorate altezze lo spaccio della stampa clandestina che Giuseppe Mazzini aveva agguerrita di tutte le difese e portata al sommo d'ogni perfezione. Dopo che i giornali furono ridotti al silenzio ne presero il posto le mura delle case e degli edifici pubblici, i muricciuoli delle strade, i casolari, gli alberi ed ogni altra cosa dove vi fosse stato da incollare una striscia di carta o da far uso d'una stampiglia per imprimervi una protesta, una minaccia, un comando, un metto. Né basta, che frequente era l'uso di spacciare, sotto il titolo di opere note, scritti sovversi e

riprovevoli. La polizia per quanto studio vi ponesse non riusciva a distruggere «questo empio trovato a cui faceva ricorso la fazione sovversiva nella malvagia mira di sporgere allarmi e malcontento».

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viltà dei giudici, fattisi complici delle nequizie governative, segnò il grado di abbrutimento a cui la nazione era discesa. A tenerlo su questa via, in cui oltre

Di qui i richiami degl'Intendenti perché s'intensificasse da parte degli agenti la sorveglianza con minaccia di gravi pene per i manchevoli e promessa di premi per coloro che si distinguessero per utili servizi. In questi documenti) più che nei consueti volumi ricuciti su notizie di seconda mano, si coglie lo spirito di quelle correnti della pubblica opinione dal oui contrasto la vita del paese fa profondamente influenzata. Uno di tali manifesti anonimi e clandestini portava l'ultimatum dei patrioti espresso in otto punti, come si direbbe oggi con parola di moda. Eccolo:

«II popolo napoletano desideroso di vedere rassicurata la sua esistenza politica e la sua libertà fortemente compromessa dagli errori e dalla inala fede del presente governo, domanda: 1. Il pronto riordinamento e la ricomposizione di tutta la Guardia Nazionale del Regno, ammettendo al beneficio di poter tutelare la patria con la forza delle armi i cittadini di ogni classe, meno gli ecclesiastici dai 20 ai 50 anni. 2. La riapertura del Parlamento pel di primo del prossimo Novembre. 3. La facoltà delle Camere di svolgere lo Statuto sopra basi più larghe, e di modificarlo nei suoi difetti più gravi ed appariscenti. 4. La lega con gli altri Principi Italiani per la piena ed assoluta indipendenza della penisola. 5. L'allontanamento degli attuali ministri dal potere, sostituendovene altri che intendano i bisogni dei tempi, e che si hanno pure la simpatia e la fiducia del popolo. 6. L'amnistia generale di tutti i prevenuti per cose politiche dal 15 Maggio in poi. 7. La cessazione delle ostilità contro Sicilia e le più efficaci trattative di pace e concordia coi Siciliani. 8. L'immediata riforma del personale civile, giudiziario e militare. Il popolo ha piena fede nella giustizia di ciò ch'egli domanda e ch'è pure il suo diritto e spera di essere esaudito subito. Guai a chi vorrà opporsi: Vira del popolo sarà per lui come Vira di Dio». - Un Avviso diceva: «Si denunzia che il popolo ha fame e che il. governo infame ci vuoi togliere pure l'onore e la libertà mettendoci un'altra volta sotto il bastone della polizia che oi carcera e ci malmena peggio che ai tempi di Del Carretto.

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a coloro che il nuovo regime aveva inesorabilmente colpiti, molti ebbe sostenitori e devoti, contribuì del pari il bisogno largamente sentito d'impedire il distacco, quanto mai disastroso, della Sicilia dal regno, la fuga di Pio IX a Gaeta e l'accentuarsi in Napoli dello spirito municipale a cui egli era rimasto più che mai ligio, mentre sui campi di Novara e sotto le mura di Roma la monarchia costituzionale e la repubblica unitaria sembrava avessero ricevuto il loro colpo mortale. Ma non fu che una tregua, quanta ne occorse a Vittorio Emanuele per fondare l'unione della monarchia col mazzinianismo e proclamarsi, vincendo tutte le resistenze, unificatore. «Al diritto della Penisola contro l'Austria succedeva il diritto dei popoli contro i loro Sovrani, il quale doveva essere prestamente seguito dal diritto dell'Italia contro gli Stati Italiani». Ferdinando II, reso audace dalla facile vittoria,

Ma noi siamo risoluti di sbarazzarci di tutti gli sbirri e dimostrare a coloro che ci hanno ridotto in questo stato, che non siamo pecore da macello.

Facciano, dunque, giudizio gl'infami ministri e tutti i cagnotti e i ladri che essi mantengono in posto, perché noi prenderemo di tutti esemplare vendetta». Le parole che più ricorrevano in questi cartelli erano quelle di: Viva la libertà;

Viva l'Italia; Viva la Guardia nazionale; Viva Pio IX; Viva la Sicilia; Viva la repubblica; Viva Vittorio Emanuele; Viva la Costituzione; Abbasso i Borboni; Morte a Ferdinando II; Viva Garibaldi; Viva Mazzini. II 1849 si moltiplicarono le stampe con le quali s'invitava il popolo a non pagare le imposte, non fumare, non giocare al lotto ed a ritirare i denari depositati al Banco. La lotta si protrasse animata ed indomabile fino alla vittoria finale. Non ci fu avvenimento che la stampa clandestina non avesse commentato. Le discussioni nei parlamenti esteri a riguardo dell'Italia; le vicende della Repubblica Romana, della guerra di Crimea e del 59, le gesta di Napoleone terzo e Vittorio Emanuele, gli avvenimenti miracolosi del 60 trovarono in essa il più efficace istrumento di propaganda, una delle forze rivoluzionarie più decisive.

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eccitato dagli apologisti che nel regno e fuori, in prosa e in rima, non gli lesinarono la lode di principe avveduto, coraggioso e pio, Tito e Traiano, a un tempo, circondatosi di uomini ch'egli sapeva scegliere ubbidienti ad ogni suo cenno, e quindi di tutti i loro delitti autore e complice, mentre Nunziante domava col ferro e còl fuoco la Calabria e Filangieri la Sicilia che, spezzando la mal ferma unione con Napoli, proclamava a suo re il Duca di Genova, non si ritrasse da nessuna più arrischiata impresa pur di consolidare sotto l'alto protettorato delle potenze del Nord (nonostante il proclamato non intervento e le migliorate relazioni tra Francia ed Inghilterra gli dessero sicurezza ed indipendenza di regno) il suo potere personale e il comando. E su questa via non solo si tenne saldo ed irremovibile, per nulla scosso dall'eroica impresa di Pisacane, a cui avevano segnato la via i fratelli Bandiera col loro nobile olocausto, e dal gesto di Agesilao Milano, (1) vere folgori nunzie della tempesta imminente,

(1) A celebrare ravvenimento furono poste in giro molte poesie, alcune in lode di Agesilao Milano ed altre del He. Di Milano si diceva (Min. di Poi. fol. Inc. II. Vol. 27. Anno 1857. fase. 60): Tu più grande dei Cassi e dei BrutiUmiliavi dell'empio lo sguardoE il tuo braccio italiano, gagliardoDella gloriaci sentiero si aprì.Or sei polve ed accetta i salutiChe i traditi d'Italia ti fanno,Mentre i voti recati al tirannoSon d'infamia segnati nei dì.S'è poi ver che lo spirto non muore,Ti sia gioia dei fidi il disegnoChe la salma involata dal regnoE' minaccia all'iniquo oppressore 16 ma si spinse a tal grado di esagerazione da meritarsi il richiamo ad una maggiore prudenza, oltreché da Nesselrode, il fedele ed intelligente e secutore della volontà degl'Imperatori Alessandro

Patria, Italia, Vendetta, 

ValoreSon le voci del monte e del piano

E la forca che uccise Milano

E Vantare dei liberi cor.

Sia il tuo cener con fede serbato

A grandezza de l'Itala sorte

Redenzione s'appella la morte

Quando un solo pel popol morì.

Al re giungevano le solite commissioni di decurioni e di fedelissimi al trono con indirizzi delle popolazioni osannanti per lo scampato pericolo. Queste manifestazioni che si ripetevano, al dire della pubblica sicurezza che le promuoveva, in forma plebiscitaria, erano tra gli espedienti più graditi al re che per tal mezzo s'illudeva poter dimostrare quanto egli fosse amato dai suoi sudditi. Tra le poesie (la tirannide svegliava l'estro poetico de' regnicoli!) va ricordata l'ode del Sostituto Procurator Generale Giovanni Chiaja, letterato di bella fama. Essa si fa ammirare per un certo impeto lirico che ricorda i nostri migliori. Eccone un saggio.Grazie, gran Dio, salvasti Crebbero ai gigli accantoII nostro Re, Fernando! Gli allor del Quarto Errico,Tu il parricido brando La Croce del Re santo,Sviasti e salvo è il Re. Le palme del gran Re.Iddio protegge i Principi II Giglio dei BorbonidiChe han posto in lui la fé. Di eroi fecondo egli è.Su le Sebezie sponde Ecco al tuo pie le gentiCrescete, o Augusti Gigli Offrirti il braccio e il petto,Dei nostri figli i figli Del popol tuo VaffettoE chi da quei verrà. Premio dovuto è a Te.Così fiorir si veggano Sire, Vamor dei popoliPiù belli in ogni età! Ef il primo allor dei Re. 17

e Nicola di Russia (1), dallo Schwarzenberg, stato già ambasciatore d'Austria a Napoli, ai quali aveva manifestato la sua volontà di revocare, in base alle petizioni, la Costituzione. Di ben altra sorte sarebbe stato egli meritevole se, debellata l'anarchia e ripristinato l'ordine nel paese, rinunziando in tempo a quella dittatura di che gli avvenimenti lo avevano investito, avesse ripreso l'interrotto cammino e tenuto fede al giuramento. Né gliene mancarono i consigli e gl'incitamenti. Il Ministro Plenipotenziario della repubblica Francese, Sain de Boislecomte, in una nota del 6 Giugno 1848 al Ministro Cariati pel risarcimeuto dei danni arrecati ai suoi connazionali, dopo aver vivamente deplorato che il trionfo del reai Governo fosse stato accom* gnato da scene atroci di massacri, di saccheggi e d'incendi, durati per circa 30 ore e che l'intervento dell'incaricato d'affari e dell'Ammiraglio comandante la squadra francese avevano fatto cessare, soggiungeva, che il suo Governo era convinto che: «le Gouvernement de S. M. Sicilienne s'efforcerà de prouver a l'Europe entiere, qu'il n'en est point complice, et en attenuerà l'effet en ne cherchant point a en profiter par une rèaction contre les principes liberaux et en manifestant au contraire, par une franche exècution de la Costitution qu'il est le premier d protester contre les accusations dont il a pu étre l'objet».

La fortuna, più tardi, gli tese ancora le braccia!

(1) Carlo Roberto, conte di Nesselrode, era nato a Lisbona il 1770. Egli ebbe a lottare col conte Capo d'Istria rappresentante della scuola liberale in Russia e riuso! ad imporre ai governi europei il suo pensiero: la repressione violenta, cioè, del movimento liberale prodotto dalla resistenza dei popoli alle conquiste Napoleoniche. La Polonia fu tra le nazioni più gravemente colpite da questa politica a poigne di cui Ferdinando II tanto si piacque.

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Il 10 Febbraio 1855 i ministri Temple e De La Cour, recatisi a Caserta, lo sollecitarono ad entrare nell'alleanza occidentale contro la Russia e fornire un contingente di truppe alle potenze. Egli rifiutò e si tenne in quella neutralità che, causa di non pochi contrasti con l'Inghilterra durante la guerra, non gli consenti, nonostante la difesa di Buoi, succeduto al defunto Schwarzemberg, d'impedire al Congresso di Parigi, che il Conte di Cavour, in nome della nazionalità, della libertà e del progresso, della questione napoletana ne facesse una questione europea.

* * * *

Esponente della reazione al governo fu Giustino Fortunato. Venuto al mondo in Rionero, dal Dottor Cherubino ed Emanuela Pessolano, il 1777; in odio ai liberali (Settembrini, Pier Silvestro Leopardi, Giuseppe Lazzaro, fra gli altri, lo aggredirono con inusitata violenza) ma presso i sostenitori dei troni legittimi e delle monarchie assolute grandemente in onore; ricco di soda e varia coltura, specie nelle discipline giuridiche, ciò che il suo detrattore Sanchez è costretto a riconoscere; fondatore della celebrata Accademia cui Vincenzo Coco dette il nome di Pontaniana; ministro senza portafoglio nel 1841; Pari del regno nel 1848; insignito di alte onorificenze; il 7 Agosto 1849, veniva nominato ministro delle Finanze (1), e poscia, a 72 anni, arrivava, primo

(1) II decreto di Domina diceva: «Ferdinando II. Abbiamo risoluto decretare e decretiamo quanto segue: Art. 1. Il Cavaliere D. Giustino Fortunato è nominato Ministro Segretario di Stato delle Finanze. Egli continuerà a percepire, in conto del soldo della nuova carica, la pensione di annui ducati tremilaseicento sul Gran Libro, di cui trovasi attualmente in possesso, e riceverà il dippiù dalla Tesoreria generale, rilasciando sull'intero soldo il due e mezzo per cento».

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borghese, alla direzione della cosa pubblica, a Presidente del Consiglio dei Ministri, incaricato degli Esteri, sospintovi, oltreché dai suoi meriti, dalla protezione del Tenente Generale Parisi, di cui aveva sposato una nipote e dal favore del Filangieri che, avendo domato la Sicilia con metodi di estrema severità, a difendersi dalle accuse che per tal fatto gli si muovevano contro, sentiva impellente il bisogno d'avere un uomo al Governo su cui poter contare. Spirito volterriano, nominato nel 1799 dal Direttorio della Repubblica giudice di pace, s'era battuto tra le fila della Guardia Nazionale al Ponte della Maddalena contro le orde briache del Cardinal Ruffo. Sotto Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat aveva conseguito il grado di Consigliere di Cassazione e poscia di Procuratore Generale alla Corte dei Conti dove die prove non dubbie dei suoi singolari talenti e d'indipendenza specie nel tener ferma la tradizione della supremazia dello Stato nei rapporti con la Chiesa. Il problema italiano non intendeva ed ai progetti di leghe economiche o politiche opponeva un costante rifiuto nella tema che, al trar dei conti, il regno di Napoli, ch'era il più forte, oltrecchè per popolazione, per armi e floridezza di bilanci, ne avesse patito sicuri danni in confronto di assai problematici vantaggi. Guardava, inoltre, con diffidenza al Piemonte, a suo dire, centro e fucina di tutte le mene demagogiche, al cui ingrandimento, per ragioni ovvie ad intendersi, si mostrava ostile, mentre ripeteva spesso, come narra il Baldasseroni, che il regno di Napoli si teneva sicuro da ogni sorpresa per la sua posizione geografica, trovandosi dietro la muraglia di Tartaria, cioè, disgiunto per il territorio Pontificio dagli altri Stati italiani. Di là dal Tronto e dal Garigliano non vide che stranieri. Come in ciò s'ingannasse fu dagli eventi che ne seguirono chiaramente dimostrato. Ed egli visse abbastanza, essendo morto il 22 Agosto 1862, per constatare il fallimento delle sue mal fondate previsioni. La muraglia di


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Tartaria ancor essa è caduta e quelli che si dicevano stranieri si sono riconosciuti fratelli. Del Parlamento non si preoccupò gran fatto. Nonché abolirlo, a seguito di proroghe e rinvii, ne destituì gl'impiegati, ne soppresse con decreto del Ministro delle Finanze dell'Aprile 1850, gli stanziamenti di bilancio, e, dopo aver fatto scomparire dall'edifizio, sotto la guida del famigerato Campobasso, fin le vestigia (ielle spente libertà, a supremo insulto e disprezzo, ne fece vendere i mobili e sprangare le porte. Uguale misura adottò contro il sedicente

parlamento di Sicilia la cui mobilia fu messa all'incanto ed il ricavato in Ducati 1090, 45 distribuito tra la redi casa dei matti, il deposito di mendicità e l'ospizio di beneficenza. Il dono ha tutto il significato d'una offerta simbolica! Con l'istessa indifferenza si diportò nei riguardi della Costituzione, l'arca sacrosanta, come il re burlone la chiamava nel suo proclama dopo il 15 Maggio, sulla quale dovevano appoggiarsi le sorti dei popoli e della Corona, Egli, come cinicamente scriveva in una lettera allo stesso Baldasseroni, non aveva sentito il bisogno di annullarla «avendo un tale scopo ugualmente conseguito per lo mezzo di leggi e provvedimenti adatti che avevano chiaramente indicato il ritorno all'antico e il niun conto del fatto del 1848». Di vero, oltre allo espediente delle petizioni che si fecero sottoscrivere anche da Pari, da vescovi e da generali, per dare ad intendere che una parte della rappresentanza nazionale, rinunziando ai propri diritti, chiedesse l'annullamento delle istituzioni liberali (1),

(1)

Non mancarono spiriti liberi, pochi davvero, che si rifiutarono di firmare. Il marchese di Sant'Eramo, rispose: che egli non aveva dimandato la Costituzione, ma che, accordata, l'aveva giurata insieme col Ke siccome gentiluomo di Camera, e quindi non avrebbe mancato alla sua parola. Portata la questione nel decurionato il Principe di Sirignano

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il Giornale Costituzionale riprendeva il nome di Giornale Uffìziale del Regno, e si ripristinava l'antico giuramento con una circolare abbastanza eloquente, diretta dal Ministero dell'Interno agli altri dicasteri, e così concepita:Eccellenza,essendosi, la Dio mercé, ristabilito l'ordine nei domini al di qua e al di là del Faro, così è espressa volontà del Re, assoluto signore (Z). G.) che gli attuali impiegati dipendenti dal suo ministero prestino il giuramento giusta le formule prescritte dal real decreto del 21 Luglio 1816, Ond'è che nel real nome glie lo partecipo per la pronta esecuzione dei suindicati sovrani voleri, (1)

oppose la pregiudiziale, non potere un consesso amministrativo discutere d'una legge dello Stato. Ed otto contro dodici furono del suo parere. Firmava Bozzelli che «novello Saturno, divorava la sua creatura». Il giuoco si prolungava tra le proteste del governo che negava di tener mano nel sacco, e di usare violenze ed intimidazioni di qual si voglia natura. Ma a smentire tali affermazioni, che il Tempo accreditava, il ministro Ferdinando Troja scriveva alla Sopraintendenza dei RR. Teatri; «E' veramente meraviglioso come fino a questo momento cotesta Regia Sopraintendenza non abbia ancora presentato l'indirizzo per l'abolizione dello Statuto (come han praticato tutte le amministrazioni dello Stato) che tanti mali ha fatto costare a questo disgraziato paese. Ella si affretterà a far pervenire, al più presto, al piissimo e magnanimo sovrano tale dimostrazione del pubblico voto». Il cav. Doria, famoso reazionario, viaggiava, al pari di altri emissari, portando con sé denari e credenziali in gran quantità del re e dei ministri.

(1) Il giuramento dell'esercito diceva:

Io N. N. prometto e giuro innanzi a Dio fedeltà ed ubbidienza a Ferdinando II Re del Regno delle due Sicilie, ed esatta osservanza ai suoi ordini

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Avverso alla politica di aspettativa, a farsi guidare dagli avvenimenti, sosteneva la necessità dell'azione per prevenire o limitare le cagioni dei mali, per conseguire quello che doveva essere il fine supremo: la ripristinazione dei Governi legittimi nella pienezza dei loro diritti nella Penisola. Egli, però, s'ingannava a partito quando supponendo, contro verità, che il blocco di resistenza, formatosi dopo il 15 Maggio per fronteggiare la rivoluzione, si tenesse ancora in piedi, proclamava che, intorno al Re, salvo una esigua minoranza d'irrequieti demagoghi, vi fosse il consenso entusiastico di tutti gli altri. Uomo quanto mai operoso, si meritò la lode del Brunow specialmente per la noble fermeté con la quale non aveva cessato un solo istante de dèfendre les droits legittimes du Roi. Lord Palmerston trovò in lui un tenace irriducibile avversario che, come fu per le indennità reclamate in 50 milioni dai commercianti inglesi che si dicevano danneggiati dal bombardamento di Messina, seppe, alle considerazioni d'ordine giuridico, accoppiare un fine sarcasmo che talvolta ridusse a mal partito i suoi oppositori. Convinto di sostenere la buona causa, che servì con tutte le sue forze, e che la lotta contro il re fosse ispirata dall'odio della demagogia inconsolabile per la patita sconfitta, potè dire in assoluta buona fede che:

Prometto e giuro di compiere col massimo zelo e con la massima probità ed onoratezza le funzioni a me affidate;

Prometto e giuro di osservare i decreti e le leggi ed i regolamenti attualmente in vigore e quelli che alla M. S. piacerà pubblicare in avvenire;

Prometto e giuro di non volere appartenere né ora e né mai a qualsivoglia setta, associazione segreta sotto qualunque titolo o denominazione;

Prometto e giuro di difendere anche con l'effusione di tutto il mio sangue le bandiere e gli stendardi che S. M. si è degnata affidarmi, cosi Dio mi aiuti.

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la coscienza, solo conforto degli uomini dabbene, non gli lasciava rimorsi.Con lui furono al Governo Raffaele Longobardi, nome esecrato, alla Giustizia; Murena all'Interno; Peccheneda, losca figura di profittatore e di birro, alla Polizia (1); il Commendator d'Urso alle Finanze; Ferdinando Troia, fatto dai Gesuiti $1 diverso dal fratello Carlo, ai Culti ed all'Istruzione Pubblica; il Principe dlschitella alla Guerra; il generale Carrascosaalle Opere pubbliche ed all'agricoltura; Giovanni Cassisi, odiato in patria per opere violenti ed arbitrarie, fattosi, contro il suo paese, cieco servo del dispotismo napolitano, agli affari di Sicilia e di Napoli.

Il Ministero Cariati era stato ministero di transizione «tra la libertà che cedeva e l'assolutismo che risorgeva; il ministero Fortunato fu quello del ripristinato e compiuto assolutismo». In tutti gli atti della reazione, però, non venne mai meno il consiglio e l'opera del Re che ne va insieme ai suoi ministri dannato in faccia alla storia.

* * *

Mentre più infieriva la reazione, Guglielmo Gladstone giungeva in Napoli. Al viaggio lo avevano mosso ragioni d'indole

(1) La Concordia del 30 agosto 1850 pubblicava un profilo del Peccheneda in cui fra l'altro si diceva: «Un vilissimo ed ignorantissimo leguleio, un curiale arcimbecille, pasciuto di limosina e di stocco, un vecchio squarquoio, biascicante castagne e fichi secchi, unta e bisunta la barba di sugna e nerofumo, gli occhi goccianti di putredine lussuriosa, la faccia di carta pecora aggrinzita, sdentato e barbogio, eccotelo ora salito ai primi posti dello Stato». Eppure l'Anzelmi ed il Ruffa scioglievano a questo vampiro che, mercé una sua donna di malaffare, la Farinata, s'era arricchito di oltre centomila ducati, inni di gloria e di riconoscenza.

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tuttaffatto privata, come si apprende dalle lettere di presentazione ch'egli, in due epoche diverse, si era fatto rilasciare dal ministro plenipotenziario del Governo Napolitano in Londra, D. Paolo Ruffo, principe di Castelcicala, l'una del 15 Luglio 1849, diretta al Principe Cariati, l'altra #del 15 Ottobre 1850, al marchese Fortunato. La prima era in questi termini:Eccellenza,Viene costà per diporto il Sig. Gladstone, ch'ebbe il portafoglio delle colonie sotto l'amministrazione di Sir Robert Peel, e che gode nel Parlamento e presso il pubblico fama ed influenza di valente uomo di Stato. Ho preso la libertà di dargli una lettera d'introduzione per V. E. e sarebbe utilissimo che tal personaggio riceva costà lieta accoglienza da parte di S. Maestà e del suo Governo, affinché possa, reduce in Londra, favorirci nelle occorrenze con l'appoggio della sua parola e delle sue convinzioni. Gradisca le proteste della mia considerazione.Sul foglio, in alto, si legge di carattere del Cariati: Il Signor Gladstone è uno degli uomini più distinti della Gran Bretagna. Si resta inteso. Si esegua. L'altra diceva:Eccellenza,È latore della presente il Sig. Guglielmo Gladstone, uno degli uomini più distinti dell'Inghilterra. Egli tenne il portafoglio delle Colonie sotto il Ministero di Sir Robert Peel, e si fé ammirare per sapiente amministratore e per incontestata solidità di principi politici.Viene a Napoli accompagnato dalla sua famiglia e vi rimarrà taluni mesi. 25Prendo la libertà di dirigerlo a V. E. e non dubito che vorrà accoglierlo con la sua solita cortesia e bontà.Me le dichiaro perciò oltremodo riconoscente; e le rinnovo gli omaggi del mio profondo ossequio.Il Castelcicala si pentì chi sa quante volte d'aver fatto a fidanza sull'appoggio morale d'un uomo che d'improvviso si chiarì l'avversario più implacabile, il giustiziere dei Borboni.

Gladstone, com'egli stesso racconta, nel giorno susseguente al suo arrivo in Napoli, consegnò la lettera del Castelcicala ed, a mezzo del rappresentante inglese, Sir W. Temple, sollecitò l'onore di porgere alla prima occasione i suoi umili omaggi al sovrano. «Ma, quando il giorno del regale ricevimento si avvicinava, chiese ed ottenne il permesso di ritirare la domanda dacché si era convinto che la malattia era profonda e doveva essere trattata con espedienti amichevoli e considerati si, ma di peso e di autorità assai diversa da quella ch'egli avrebbe potuto produrre con le sue mere rappresentanze».

Il grande statista fu più volte da compri scrittori accusato di essersi recato in Napoli in qualità di emissario di Palmerston per suscitare difficoltà a quel governo. L'accusa è infondata. Egli, al certo, non poteva ignorare ciò che era a notizia di tutti. La Protesta del Settembrini ed I casi di Napoli del Massari avevano di già messo a nudo quanto d'inumano vi fosse nei metodi di Governo del Borbone e dei suoi perfidi consiglieri. La stampa di tutti i paesi, quella inglese, specialmente, dal 1849 in poi, non aveva più abbandonato il doloroso tema e nulla aveva trascurato per ottenere, sotto la pressione della pubblica opinione, che, come scriveva il Globe, la vendicativa ferocia di re Ferdinando fosse infrenata. D'altra parte il Gladstone, che non era al primo viaggio nella penisola, erasi rivelato da tempo amico leale della causa italiana. Anzi, nella prefazione alla

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traduzione dell'opera del Farini sullo Stato Romano egli si faceva a suggerire agli scrittori nostrani il mo do d'ingraziarsi la pubblica opinione inglese, con queste parole: «Dovrebbero ricordarsi che i loro sentimenti ed istinti patriottici non sono generalmente divisi e neppure intesi dagli stranieri. Essi hanno i mezzi di somministrare le prove di un caso di ingiustizia, che potrebbe unire tutte le simpatie in loro favore, mentre al presente spendono troppo sovente assai male la loro energia nel correre dietro la vuota e pericolosa alleanza dei filantropici e dei demagoghi. Allo scopo di far nascere in questo paese un sentimento favorevole, gli scrittori italiani dovrebbero essere attivi nel dimostrare non soltanto che la dominazione straniera è incompatibile con la nazionalità italiana, ma che realmente merita l'accusa a lei fatta di appoggiare e sostenere gli abusi, di scoraggiare i miglioramenti e d'impedire le tendenze verso la libertà costituzionale negli altri stati d'Italia».

E di questi insegnamenti egli pel primo fece tesoro nelle lettere che fiorirono nel suo animo al contatto della realtà, a misura che la sua natura sensibile fu colpita dalla vista delle miserie e delle iniquità che affliggevano i luoghi benedetti da Dio e tra i quali aveva divisato riposare alcun poco dalle onorate fatiche. E chi meglio e di lui più capace di vibrare con tutto il suo essere squisito in cospetto di una cosi perfida rivoltante perenne manifestazione di brutale malvagità? Non era egli stato educato ad Oxford, nel Christ Church College che, nell'ultimo secolo, aveva dato, tra gli uomini di stato più eminenti del partito Tory, Lord Liverpool, Georges Canning, Sir Robert Peel, Lord Deroy, Lord Salisbury e Lord Rosebery? Non aveva egli, trasportato dal suo temperamento incline al misticismo, chiesto insistentemente a suo padre, John, ricco negoziante, la cui fortuna si faceva ascendere a 40 milioni di franchi, l'autorizzazione per abbracciare lo stato ecclesiastico?27 Ed alla Camera dei Comuni, dove era arrivato nel 1833, a soli 22 anni, non si era rivelato, al dire di Tommaso Macaulay, di carattere illibato e di distinto ingegno, non solo, ma oratore, e campione dei principii umanitari sino al paradosso? Le sue eminenti qualità di mente e di cuore lo avevano subito imposto all'ammirazione di tutti i partiti ed innalzato al Governo con Peel che l'ebbe assai caro. Come prova del suo carattere va qui ricordata la sua energica opposizione, in nome della libertà di coscienza, al bill proposto da Lord Jhon Russell e col quale si proibiva ad ogni suddito inglese di dare a viva voce o per iscritto il titolo d'arcivescovo e di vescovo ai prelati cattolici. Ciò gli meritò la taccia di papista. Il che è bastevole a confutare quegli scrittori che lo accusarono d'aver voluto con le lettere combattere una battaglia in favore della religione protestante di cui egli era osservantissimo.

Della sua cultura e profonda conoscenza delle lingue e della letteratura antica molto è stato già detto.

I suoi studi su Omero sono ancora meritamente ricordati. Nel recarsi a Napoli egli, al certo, non aveva in animo «di rivolgere l'attenzione ai torti dell'amministrazione di quel Governo, ovvero propugnarvi idee appartenenti ad altro meridiano». No! Vi giunse mentre si discuteva innanzi alla Corte Speciale il processo della Setta Unità d'Italia che Benedetto Musolino, un calabrese di tempra antica, aveva fondato, a simiglianza della Giovane Italia, per la emancipazione dei popoli delle Due Sicilie ed alla quale molti patrioti s'erano ascritti. Quarantadue cittadini, tra i quali, Michele Persico, Nicola Nisco, Luigi Settembrini, Filippo Agresti, Salvatore Faucitano, Antonio Miele, Michele Pironti e Nicola Muro, venivano accusati di associazione illecita organizzata in corpo con vincolo di segreto costituente Setta, intitolata l'Unità italiana, ed avente per iscopo di proclamare la Repubblica, ed eccitare 28gli abitanti del Regno ad armarsi contro l'Autorità Reale. Ad essi si facevano risalire le responsabilità tutte delle perturbazioni politiche del Gennaio 1848, compiute con gli orrori del 15 Maggio, ciò che importava la condanna nel capo.

La causa si svolgeva tra violenti contrasti e nel l'ansia di quanti onore, libertà, vita non avevano immolato al mostro della reazione. I nomi del Procuratore Generale Filippo Angelillo e del Presidente Domenicantonio Navarra risonavano esecrati e maledetti. Il processo, nonché agli imputati, veniva fatto alla rivoluzione. La condanna, perciò, doveva, in quelli, colpir questa. La storia desunta da un episodio, da un frammento, astrazion fatta dalle cause profonde che li avevano determinati, avulsa dal quadro generale di tutti i fenomeni, scritta da magistrati pavidi, asserviti al potere politico, era una escogitazione degna di Re Ferdinando e dei suoi minuscoli consiglieri, i quali, da sottili forensi, andavano in cerca d'una sentenza da poter opporre, come cosa giudicata, contro gl'inobliteratili ed imprescrittibili diritti della giustizia e della umanità. Questa falsificazione era stata iniziata già dal Cariati nel proclama del 18 Maggio 1848 e nella risposta al Governo francese per il pagamento delle reclamate indennità, e proseguita con accanimento dai giornali di buona tempra, come, a dirne uno, l'Albanese d'Italia, e da una colluvie di fogli volanti i quali tutti si fecero a riversare la colpa degli avvenimenti sui demagoghi d'ogni specie e categoria che, a loro dire, li avevano deliberatamente da lunga mano preparati.

Gladstone fu subito attratto dalla terribilità del dramma. Favorito da Pasqualina Proto, come narra il Nisco, riusciva a parlare nell'orrido bagno di Nisida con quei patrioti che con eroica serenità soffrivano il martirio e ne traeva il convincimento della loro innocenza, non solo, ma della bontà della causa a cui s'erano votati.

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Assiduo alle udienze della Corte ne intuì e misurò tutta la falsità e l'arbitrio, traendone considerazioni e giudizi che si tramutarono in un inesorabile atto d'accusei. La Polizia, che gli si era messa alle calcagna, ne denunziava ogni giorno l'opera ostile al Governo, le sue frequenti apparizioni in Corte, i suoi discorsi con i difensori e le famiglie degl'imputati, ma lo statista immacolato procedeva oltre nelle sue indagini, tutto osservando e tutto controllando. E quando, stanco d'indugi, gli proruppe dall'animo l'alta protesta, al suo grido d'angoscia e di dolore fece eco, in un impeto di fraterna solidarietà, quanto vi era ancora d'incorrotto nel mondo. In quel giorno la causa dei Borboni fu irrimediabilmente perduta.

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Come e perché furono scritte
le prime due lettere (1)

Lorchè Gladstone, dopo un soggiorno di circa quattro mesi, nel Febbraio 1851, fece ritorno in Londra, manifestò a Lord Giorgio Gordon, conte di Aberdeen (2), uno degli uomini più liberali del partito conservatore, quanto fosse egli rimasto profondamente impressionato per le cose orribili che aveva veduto e da persone degne di fede udito a raccontare, specie circa il trattamento che colà si faceva ai compromessi politici.

Il che lo induceva nel convincimento che, in tale faccenda, i principii di giustizia e di umanità fossero stati egualmente oltraggiati. Simili giudizi confermò al Principe Luigi Napoleone, il quale, al dire

(1)

I documenti riguardanti la polemica gladstoniana sono quasi tutti raccolti nell'Archivio di Napoli; Ministero de' gli Esteri, fascio. 4962.

(2)

Lord Aberdeen, ancor giovane aveva contribuito efficacemente, nella qualità di Ambasciatore d'Inghilterra, a consolidare la coalizione contro Napoleone, trascinando l'Austria, con larghe offerte di denaro e di territori, a parteciparvi. Contro gli accordi di Murat con le potenze vittoriose e con l'istesso Governo inglese, aveva votato per la restaurazione, sul trono di Napoli, dei Borboni. Era della sua casa la madre di Lord Byron.

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del Barone, Emiddio Antonini, direttamente, da persone di principii monarchici, aveva saputo che i rigori ingiusti della Polizia tenevano in terrore la miglior parte della popolazione in Napoli e nelle Province.Sir Gladstone esternò l'avviso di sottoporre l'affare al giudizio del Parlamento inglese, nel che conveniva con Sir William Moleswort (l'editore e l'ammiratore di Tommaso Hobbes; il capo dei radicali, tornato anch'egli di recente da Napoli) o di farne un appello al pubblico a mezzo della stampa. Aberdeen non si mostrò troppo entusiasta del progetto, specie pel timore, non forse, cosi facendo, si fosse peggiorata la condizione delle persone che si volevano aiutare. Osservò, inoltre, che una cosi grave denunzia per parte di un conservatore, uomo di Stato ed amico degli stabili Governi, sarebbe stata di grande incoraggiamento ai progetti dei rivoltosi e di danno alla causa della Monarchia in Italia ed in tutta l'Europa.

Nel contempo il conte Carlo Filangieri, venuto a sapere del contenuto delle accuse formulate da Gladstone e pensoso del credito che le stesse avrebbero incontrato quante volte se ne fosse fatto autorevole interprete il Molesworth, al pari di Gladstone, ritenuto uno degli uomini politici più considerati, si rivolgeva a Lord Shresbury perché avesse interposto i suoi buoni uffici presso Gladstone per rimuoverlo dal suo proposito ed, in ogni caso, convincerlo a rimandare qualunque sua manifestazione alla Camera dei Comuni fino a quando non gli fossero pervenuti documenti tali da persuaderlo che le persone le quali gli avevano dipinto in Napoli il governo di S. M. Siciliana con sì neri colori, non potevano essere se non demagoghi più o meno simulati. A tale scopo consigliava il governo di Napoli, poiché avvenuto un male gli uomini di senno non debbono occuparsi se non dei rimedi, di far pubblicare, tradotti in inglese, gli atti dei processi politici di

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battutisi al tempo in cui Gladstone era stato in Napoli, di far ugualmente pubblicare in italiano, francese ed inglese il Libro Bianco di risposta al Libro Bleu di Palmerston, «perché l'Europa sapesse una volta come e quanto il Reame delle Due Sicilie fosse stato vittima della infame, iniquissima politica inglese; far subito noto a Nesselrode ed a Schwarzenberg ciò che si preparava in Londra per calunniare nella Camera dei Comuni il Governo di Napoli e con un rapporto storico dei processi politici espletati od in corso in Napoli dissipare gli errori in cui Temple, Napier, Gladstone, Moleswort e Palmerston, in cima a tutti, volevano trascinare la opinione pubblica in Inghilterra ed in Europa».

Egli conchiudeva con queste significantissime parole: Forza, coraggio, e se, impiegando l'una e l'altro, abbiasi a soccombere, si finisce almeno con onore.Gladstone, come colui che era animato unicamente da idee di bene e da sentimenti di umanità, cedendo alle vive insistenze di tanti autorevoli intercessori, promise si sarebbe astenuto da qualunque azione purché il Governo Napolitano, in un termine discreto, avesse dato una qualche soddisfazione ai suoi giusti reclami. Non ebbe l'Aberdeen grande difficoltà a suggellare con la sua parola questa promessa, perché, com'egli scrisse a Castelcicala, eragli noto sol doversi ali' umanità del Re di Napoli ed alla sua decisa avversione ad infliggere punizioni capitali, il vedere risparmiate molte persone condannate a morte. Daltronde sembrargli un impossibile che disposizioni inutili alla sicura custodia dei prigionieri, ma che per le persone di qualche entità, sono punizioni peggiori che morte, potessero continuare quando fossero in bel modo svelate al Re». A meglio riuscire nella sua idea, l'Aberdeen, che Castelcicala definisce uomo coscienzioso, amico suo e devoto a Bomba, pregò Gladstone (ed ecco l'origine delle lettere!) di fornirgli

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una esposizione di quei fatti soltanto ch'egli poteva garantire di persona. Gladstone accolse di buon grado l'invito ed il 7 Aprile 1851 spedì da Carlton Gardens al suo ex collega nel ministero Peel una lettera di formidabile dimensione che Aberdeen si affrettò a spedire a Castelcicala, perché ne facesse inteso il Governo napolitano, protestando d'essere stato a ciò spinto unicamente dal desiderio di contribuire alla sicurezza, alla prosperità e alla dignità del governo del Re. Un'altra copia di quella memoria Aberdeen fece tenere al Principe Felice di Schwarzenberg, conoscitore delle cose di Napoli ed amico di Ferdinando II. Nel contempo, mosso dall'unico scopo di servire ad una buona causa, si rivolse all'ambasciatore di Russia, Barone Brunow, e, dopo una sommaria esposizione dei fatti, lo premurò a che l'imperatore ne scrivesse al Re delle Due Sicilie, al quale era legato da sincera amicizia, perché, ove gl'inconvenienti denunziati gli fossero risultati veri, non avesse negato il suo appoggio in cosa vantaggiosa ai principi dei Governi monarchici europei. Il Brunow rispose che, appunto perché nutriva sincera amicizia pel Re delle Due Sicilie, l'Imperatore si sarebbe guardato dall'immischiarsi nelle faccende d'interna amministrazione dei di lui stati; essere simili intervenzioni contrarie alla sua politica ed ai suoi sentimenti, e non volere per conseguenza esercitarle presso gli altri, e molto meno presso un sovrano nella cui sapienza tanto confida e pel quale ha tanta stima e tanta affezione. Contro la dottrina del non intervento, Giuseppe Massari, osservava che se il diritto delle genti proibiva ogni ingerenza di Stati stranieri nelle faccende di uno stato qualsivoglia, a questo principio in sé stesso commendevole ed evidente un altro ne sovrastava, quello dell'umanità. «La questione enunciata in questi termini, egli soggiungeva, non può tardare ad essere sciolta, e sarà sciolta in conformità dei principii della giustizia e della libertà».


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Non è a dire la meraviglia e la sorpresa del Castelcicala nei leggere il terribile documento. Del resto, qualunque uomo, per quanto estraneo alla controversia, ne sarebbe rimasto sbalordito, essendosi il Gladstone, per tal via, proposto dimostrare che ormai il governo Borbonico rappresentava l'incessante, sistematica, deliberata violazione d'ogni diritto, di ogni legge scritta; l'assoluta persecuzione della virtù congiunta all'intelligenza, fatta in guisa da colpire intere classi di cittadini; la perfetta prostituzione della magistratura, come udì spessissime volte a ripetere; la negazione di Dio; la sovversione d'ogni idea morale e sociale eretta a sistema di governo.Il pavido ambasciatore, per non iscuotere i delicati nervi di Re Ferdinando, fatto un giudizioso per quanto parziale estratto di alcune tra le accuse meno gravi rivolte da Gladstone al Governo napolitano, lo trasmise, con la lettera originale, al Marchese Fortunato. E' voce ripetuta dagli scrittori borbonici, tra tutti ricordo il De Sivo, che il Re non fosse stato messo subito a parte di quelle ch'erano le intenzioni di Gladstone, e che quando ne venne a conoscenza, licenziò d'improvviso il Fortunato (il 19 Gennaio 1852) nell'atto che questi, da lui invitato, si doveva recare ad una, partita di caccia. L'aneddoto ci si presenta senza possibile controllo. Che anzi i giornali del tempo, l'Univers, tra gli altri, propalarono che il Marchese Fortunato si fosse dimesso perché non aveva voluto secondare il re nella idea di proclamare una seconda Costituzione sul modello di quel ch'era stato fatto in Francia dal Presidente della Repubblica. La favola fu subito smentita dalla chiamata alla Presidenza di Ferdinando Troia, il cui nome faceva prevedere, come fu in effetti, un rincrudimento nel programma reazionario del Governo. Certo del malumore s'era andato accumulando nell'animo del Re contro i Ministri che non riuscivano a trarlo dalle reti ch'egli era solito tessere con le sue mani stesse.

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Di ciò ho trovato notizia in una nota del 10 Febbraio 1851, inviata a Giustino Fortunato dal Marchese di Salvo. Questi scriveva da Londra, che il Conte Walewsky gli aveva detto: «Palmerston m'a montré les lettres de son frère Temple. Les lettres sont absurdes et montent la tete a L. P. Il y en a une entre autres dans la quelle il lui rende compte d'une scene tres vive qu'il suppose avoir eu lieu entre le Roi indigné contre ses Ministres qui l'avaient piace dans cette position, voulait les renvoyer tous.» Ma dal 10 Febbraio 1851 al 19 Gennaio 1852 trascorse un bel po' di tempo! Ed il re, che sarebbe rimasto all'oscuro di ciò ch'era a tutti noto e che il Castelcicala ed i diplomatici accreditati presso la Corte gli avevano chi sa quante volte raccontato, non solo non iscacciò il ministro, che faceva la sua politica, ma gli testimoniò tutta quanta la sua solidarietà confortandone l'opera di resistenza ed opponendosi, per molti anni ancora dopo la caduta di Fortunato, alla concessione di quel minimo di giustizia che l'Inghilterra e la Francia domandavano, specie in confronto dei condannati politici, la cui liberazione avvenne soltanto sotto la pressione d'un grave conflitto diplomatico, e quando il re, la cui baldanza la disfatta della Russia aveva mitigato, credette poterlo fare senza parere di cedere alla violenza. L'episodio Fortunato entra nel novero dei tantissimi altri che, al dire di Mariano D'Ayala (Vita del Re di Napoli. Torino 1856. Camandona e Comp.) stavano a dimostrare come «presso il borbone non sentesi nessuna amicizia e nessuna stima, non vi sono riputazioni né antecedenze, e si cade giù facilmente come esce di moda un vestito». Col Fortunato il re mandò via il suo Segretario particolare Corsi. La coincidenza, che non sembra fortuita, rafforza a nostro avviso, l'opinione del D'Ayala.

Checché sia di ciò il Castelcicala si affrettava a dare questi suggerimenti:

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«Sarebbe utile che V. E. mi facesse per ora tenere un primo dispaccio, che io potrei leggere confidenzialmente ad Aberdeen. L'E. V. dovrebbe, se lo stimi, mostrare in esso la sua sorpresa per le mal fondate assertive, dovrebbe dirsi non pertanto disposto a disaminarle in conseguenza dell'amichevole parte presa dal nobil Lord, e dovrebbe promettere ulteriori solleciti riscontri e chiarimenti».

E soggiungeva: «E' necessario intanto per ogni buon fine tener pronta una risposta in dettaglio, la quale dovrebbe opporre cifre, articoli del codice agli assunti difetti di legislazione, fatti veri alle imposture addotte. Se Gladstone, dopo averla letta e ad onta di quanto potremmo fare, rimanesse tenace nelle sue erronee opinioni e si risolvesse ad una pubblicazione qualunque, io nella domani stamperei e diffonderci largamente la risposta». Il poco accorto ambasciatore, inoltre, che non riusciva a vedere il nodo della questione e come l'accusa investisse tutto un sistema di governo e non risparmiasse dalla censura neppure il Re, mettendone in pericolo la reputazione ed il trono, si affrettava a rispondere ad Aberdeen con una lettera vibrante di sdegno, nella quale vi era come una generica ripulsa delle affermazioni scandalose ed esagerate di Gladstone.Le leggi penali e civili, esclamava, modellate sul Codice Napoleone e migliorate in prosieguo con larghezza di vedute. I Magistrati? Colti ed integerrimi. La lentezza nelle procedure? Scudo e non già vessazione per gli accusati che l'hanno voluta. La causa per la Setta l'Unità d'Italia? Nonché a Corti Marziali e Commissioni militari, affidata alla giustizia ordinaria e giudicata con il rispetto dovuto all'umanità e con la più rigida osservanza della procedura. I testi a discolpa? Ammessi in gran numero ed ascoltati con religiosa attenzione. I condannati Poerio, Pironti, Settembrini e gli altri tutti difesi da Avvocati di grido e convinti per prove chiarissime rei

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e dalla clemenza del Sovrano, che dopo avere per la sola forza, fedeltà e devozione del popolo schiacciato, primo in Europa, l'idra rivoluzionaria, non ha permesso alcuna esecuzione di sentenze capitali, graziati. Le carceri? Invigilate da commissioni di cittadini tra i più rispettabili per condizione economica e probità. I detenuti politici? Separati da quelli per delitti comuni. Gli infermi? All'ospedale, rinomato per capacità ed igiene o in camere separate e salubri nelle stesse prigioni. Le torture, i sotterranei profondi e senza luce, le arbitrarie destituzioni dei magistrati? Favole da dirsi a veglia. Ma, esclamava Castelcicala, ripetendo un vecchio abusato argomento, una qualche giustizia bisognava rendere al Re, avuto riguardo alla posizione dei diversi stati italiani agitati da continue macchinazioni politiche, specie ad opera di Mazzini e del Comitato di Londra. Perciò il Governo «era obbligato ad abbondare in misure di prevenzione e di vigilanza». M. Ballie Cochran e Lord Shresbury, venuti a Napoli con molte prevenzioni, se n'erano partiti ammirati del Re e del suo Governo. La stessa opinione favorevole avevano riportato il Principe Alessandro Lieven, il Conte Walewsky ed il Barone Brockhausen. E conchiudeva con queste parole: «Non vi taccio, però, che il mio illibato attaccamento pel Re e il mio rispetto pel suo governo non mi han permesso d'inviare per esteso la lettera del Signor Gladstone; e se ne avete pesato le espressioni, applaudirete alla mia riserva. Ho dunque rimesso in originale il vostro foglio ed ho poi fatto un riassunto dei differenti punti sui quali M. Gladstone porta le sue lagnanze. Sarò sollecito informarvi delle risposte che mi perverranno».

I documenti promessi si ridussero ad un estratto in inglese degli atti della causa l'Unità Italiana compilato dal segretario della Legazione a Londra.

Eran così trascorsi inutilmente tre mesi!

In data 7 Luglio Gladstone, rompendo gl'indugi,

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scrisse da Carlton Gardens a Castelcicala che egli voleva stabilire gli accordi preliminari per pubblicare la lettera relativa ai processi criminali di Napoli, probabilmente nel lunedì successivo. Che a ciò era spinto dal desiderio di suscitare una larga discussione sul contenuto della sua denunzia mentre aveva perduto ogni ragionevole speranza che il Governo di Napoli avesse voluto, anche con l'autorità di Lord Aberdeen, modificare la via che, per sue ragioni, si era tracciata. «E' a mia conoscenza, egli aggiungeva, che il manoscritto è stato nelle vostre mani, e sarà mia cura mandarvi una delle prime copie del fascicolo appena pubblicato». Più cavaliere di cosi non si poteva essere. Castelcicala, a denti stretti e poco garbatamente, rispose:Princes Street, 10 Luglio 1851(Via dei Principi 15)Carissimo Signor Gladstone,ho ricevuto la vostra lettera del 7, in cui mi annunziate ch'è vostra intenzione di fare preparativi preliminari per pubblicare una lettera da voi indirizzata a Lord Aberdeen nella primavera, riguardante i processi criminali a Napoli.Permettetemi subito e francamente di dire che qualora la sopracennata lettera contenga osservazioni che non sono corrette, sarà mio dovere di darvi una recisa smentita. Intanto il Marchese Fortunato spediva il convenuto telegramma. Quel dispaccio, benché rettificasse le affermazioni di Gladstone su diversi punti, specialmente circa il numero dei detenuti politici, non dava assicurazioni che d'allora in avanti si sarebbe mutato indirizzo e sistema. Lord Aberdeen, dopo averlo fatto leggere a Gladstone, lo restituiva con questo biglietto:

39Argyll Hause 13 Luglio 1851Mio caro CastelcicalaVi restituisco il dispaccio, con ringraziamenti.Le osservazioni su di uno o due fatti sono state utili, ma spero che la posta domani possa portare qualche cosa più importante.Sempre fedele vostroABERDEEN

Tornò Aberdeen a pregare Gladstone perché avesse atteso ancora per nuovi passi presso il Governo Napolitano o fino a quando non gli fosse pervenuta la risposta alla lettera da lui diretta, in proposito, sin dal 2 Maggio, al Principe di Schwarzenberg. Ma tutto fu vano! Gli emigrati napolitani, i siciliani specialmente (Scordia, S. Giuseppe, Granatelli, Torremuzza) uomini pericolosi e perversi, al dire del Tempo, che invocava contro i fuorusciti la lega di tutti i governi d'Europa, favoriti da Lord Minto, aggiungevano esca al fuoco. La pubblicazione ebbe luogo inesorabilmente nel giorno stabilito. Del resto l'inutilità dell'attesa apparve subito manifesta; dappoiché lo Schwarzenberg, rispondendo dopo tre giorni all'invito, manifestava il suo pensiero contrario ad ogni ingerenza nelle cose napolitane e ciò per la identità di vedute tra Napoli e Vienna in tutto che si riferiva alla tutela dell'ordine, alla difesa delle istituzioni monarchiche ed alla punizione dei ribelli che, secondo le idee predominanti nelle corti d'Europa, andavano trattati con ogni maggiore severità per l'attentato che essi consumavano, ben più grave di ogni altro delitto individuale, a danno della publica pace. «Certo, egli scriveva, il Gladstone aveva attinto le sue notizie a fonti non autentiche ed esagerate dal temperamento dei napolitani. Che cosa (ahi! impudenza) non si era detto dei metodi austriaci lorché vennero in luce Le mie Prigioni di Silvio Pellico? 40

Che, a proposito delle fucilazioni pronunziate ed in parte eseguite contro quegli ufficiali Ungheresi che erano venuti meno al loro giuramento? E lo stato di necessità, soggiungeva, con animo di ritorsione, in cui si è trovato il Governo Inglese a Van Diemen, in Irlanda, non rispecchia quello del Re di Napoli en face du parti revolutionnaire? E conchiudeva: Tout bien considerò, Mylord, je vous qvoue franchement que faurais cru devoir decliner de faire une démarche quelconque dans l'affaire doni il s'agii si mon concour etè demandò par une role offìcielle. Le haut prix cependant que l'attaché a' l'intervention qui est due a l'honorable caractère de M. Gladstone soni autant de motif propres a mengager a faire passer sous les yeux du Gouvernement Napolilain l'exposé que cet homme d'Etat vous aconfiè.Castelcicala montò su tutte le furie per la pubblicazione della lettera. La più parte dei fatti, egli scriveva a Lord Aberdeen, sono falsi e ripugnano al buon senso. Il Governo delle Due Sicilie è aspramente calunniato. Nel contempo si rivolgeva al Marchese Fortunato e, con parole che rivelavano tutta l'amarezza della sua anima, si faceva cosi a commentare:

«Gladstone ha stampato la sua calunniosa lettera del 7 Aprile, nei precisi termini del manoscritto che io rimisi a V. E. L'ha indirizzata a Lord Aberdeen, il quale se ne è dispiaciuto dichiarandogli essersi mischiato nell'affare per ispirito di conciliazione e per devozione al Re. La sua intervenzione essere stata interamente confidenziale, e non aver mai inteso permettere che il suo nome comparisse al pubblico. Gladstone propone un avvertimento in cui dice che con altra lettera, da essere pubblicata immediatamente, spiegherà le ragioni del ritardo tra la data della lettera e quella della sua pubblicazione. Tutto ciò che, senza offendere la dignità del governo Reale, era possibile fare onde mettere argine a questo noioso procedimento,

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è stato praticato con diligenza e zelo non soltanto da me, ma pure dal Barone Brunow e da molti altri. E precisamente perché Gladstone si vedeva stretto dalle circostanze e dalla ragione si è determinato alla mossa, temendo di essere forzato ad abbandonarla, locchè avrebbe fatto svanire i sogni di eventuale celebrità e le promesse date costà. Or mi è consolante assicurare V. E., contro le mie previsioni, che la impressione prodotta dallo scritto di Gladstone è leggerissima, per non dir nulla. Sia effetto delle misure prese con anticipazione, sia lo stile ignobile, sia la povertà degli argomenti, il giornalismo ed il pubblico ne han parlato in modo solamente fuggevole e senza interesse. Ciò posto dovrebbe, a mio parere, provvedersi come segue: Attendere la pubblicazione della seconda lettera, affinché Gladstone, non confuti nella medesima quel che noi potremmo dir presentemente. Scriversi costà una breve risposta alla lettera di Gladstone, analizzando e contraddicendo ogni paragrafo, rilevandone i mendaci, e citando le cifre, gli articoli di legge, ed i fatti veri. Se tal risposta fosse anonima o fosse firmata da un residente in Inghilterra non produrrebbe qui alcun effetto, anzi renderebbe migliore la condizione dell'oppositore. Conviene dunque che sia redatta e firmata da qualche distinto avvocato costà: io la farò tradurre e stampare, e la diffonderò. Essere accorto nella annunciata risposta a considerare Gladstone isolatamente, ed a non mischiarlo con la Legazione brittanica a Napoli, per non cumulare, senza necessità, gli odi».

Il 2 Luglio, Gladstone, dopo una lettera confidenziale in cui spiegava a Lord Aberdeen perché aveva precipitato le cose e perché ancora confidava nell'opera di lui e del Principe di Schwarzenberg presso S. M. (D. G.) pubblicò la seconda lettera. (First Letter thè Karl of Aberdeen, on the state persecutions of thè Neapolitan gouvernement, april, 7 1851. 42Second letter, July, 14, 1851. Ristampate in Cleanings, IV London, Murray, 1879). Essa era come una continuazione della prima, un appello a quella opinione. «che circola per tutta l'Europa con una facilità ed una forza che cresce ogni anno, e che, quantunque in alcuni casi possa fallire, ed in altri eccedere, è animata dallo spirito del Vangelo e sempre si mostra favorevole alla diminuzione delle sofferenze umane». I fatti già denunziati sono tutti mantenuti e si censura il Governo di violare con gli arresti dei deputati la Costituzione, non ancora abolita, nonché di aver posto sotto il suo sindacato tanto la stampa che l'educazione del popolo. La plebe e il clero sono giudicati migliori della loro fama e si traggono armi contro l'assolutismo da un Catechismo, che risultò poi essere opera di Monaldo Leopardi.

Il Governo si dette con febbrile attività ad indagare quali fossero stati i probabili informatori di Gladstone. Il Castelcicala scrisse aver saputo da Disraeli che le notizie erano state fornite dall'avvocato Lacaita «i cui politici antecedenti facevano con ragione sospettare della serenità delle sue nozioni». Il Marchese Riario Sforza, alla sua volta, riferiva da Milano al Marchese Fortunato che gli ispiratori delle due lettere erano stati Feghen, Lord Napier, Fox ed altri amici della Legazione Inglese, abbastanza noti per quello che avevano fatto nel 1848 e che si sarebbero dovuti espellere dall'Italia. Gladstone, sul proposito, tenne il più assoluto segreto convinto che se un Napolitano fosse stato sospettato di avergli fornito delle notizie questi non si sarebbe potuto in nessun modo sottrarre ai delatori ed alle loro ricerche. E che il suo timore non fosse infondato n'è prova questo documento:

43Al Sig. Cav. Giuseppe SilvestriSegretario della Prefettura

NapoliIn obbedienza alle disposizioni, che oralmente si compiacque onorarmi, compio il dovere renderla consapevole che D. Giacomo Lacaita ieri sera alle ore 24 circa uscì dalla casa di sua abitazione Vico Campane N. 3 e nella strada Chiaia in vicinanza della bottega, Calise s'intrattenne quasi tre minuti a discorrere con un galantuomo presso i quaranta anni, di statura vantaggiosa e tarchiata. Proseguì il cammino per la strada Alabardieri, indi voltò per quella Bisignano, ed uscito alla Riviera, s'intromise nel palazzo del Ministero Inglese; da dove scese poco dopo la mezzanotte; e per la Riviera, strada 8. Orsola, Chiaia, Toledo, senza punto fermarsi, si ritirò in casa.L'IspettoreLuigi SorrentinoA margine si legge: continui la vigilanza.

Gli emigrati, i Mazziniani, i seguaci di Gavazzi, senza por tempo in mezzo, aprirono una campagna violentissima e diffusero da per tutto numerose copie di quel terribile atto di accusa, di cui si spacciarono otto successive edizioni nella sola Inghilterra. Un di loro sulla Croce di Venezia, conchiudeva cosi un articolo: «Lasciateci soli con lui e con i suoi sgherri, non vogliamo né uomini né danaro né armi; vogliamo soltanto che siate giusti e fermi nel rispettare il principio del non intervento e farlo rispettare. Nulla da voi, ma nulla da altri al nostro nemico. Allontanate i Raynevol e i Baudin, e lasciateci soli».

La stampa di tutti i paesi, quella inglese nella quasi unanimità, si levò con inusitata violenza contro il Governo Borbonico che, d'improvviso, si vide

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tradotto innanzi al Tribunale della pubblica opinione del mondo. Le previsioni del Gladstone incominciavano ad avverarsi! La polizia, nonostante moltiplicasse di sforzi e di abilità, non riusciva ad impedire che le lettere, stampate a Parigi ed a Marsiglia, penetrassero nel regno, e si ristampassero in Napoli a migliaia di esemplari, non solo, ma, a testimonianza del Tofano e del Castromediano, si diffondessero fin nelle carceri. I detenuti nel bagno d'Ischia, riferiva l'Intendente Duca Tomacelli, si erano spinti fino a spedire una lettera alla Legazione Inglese di Napoli con ringraziamenti per Gladstone. Né basta, che l'audacia dei patrioti non risparmiava neppure il trono. Il ministro dell'Interno portava a notizia dei suoi dipendenti che nel 14 Settembre 1851 erano arrivati otto indirizzi a S. M. contenenti le lettere di Gladstone stampate a Marsiglia per cura degli emigrati. E dalle carceri Luigi Settembrini rinnovava la sua terribile requisitoria contro l'infame regime con quella lettera di Re Carlo III di Borbone a Ferdinando II, che le vecchie accuse ribadiva ed alle tante denunziate da Gladstone altre ne aggiungeva e di più terrificanti.

Le lettere trovarono un divulgatore quanto mai fervido ed illuminato in Giuseppe Massari (Lettere di G, Gladstone e di Giuseppe Massari - Sui processi di stato di Napoli -1851). Nel carteggio diplomatico, da me consultato, si leggono due corrispondenze da Firenze, del 23 Settembre 1851, in cui di questo episodio è fatta menzione.

Nella prima E. Schmueker scrive: «Le lettere di Gladstone spargonsi qui da otto giorni in gran numero, e, se non erro, mediante un'edizione di Firenze stessa, nonostante le relative proibizioni di questo Governo. L'esemplare che ho qui innanzi è in duodecimo, con aggiuntavi una lettera, di Giuseppe Massari del 6 Agosto ultimo decorso, indirizzata al signor Gladstone.

Questa epistola, annessa, è redatta nello stile del 1848,

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usuale al suo autore, per cui parmi che l'Onorevole Deputato dell'Università di Oxford rimarrà poco lusingato di trovarsi per avventura, en si mauvaise compagnie». Nella seconda, il Marchese Riario Sforza da conto così dell'avvenimento:

«Mi onoro trasmetterle qui unito un opuscolo contenente le due lettere di Mr. Gladstone ed una del celebre Massari, dimorante in Torino, in risposta alle medesime. Prego V. E. di leggere attentamente questa indegna risposta, e giudicare, se è possibile, poter più denigrare la condotta d'un Governo, come il nostro, dicendo delle falsità ed attaccare le persone più onorate, come il Sig. Navarro, nell'esercizio delle sue funzioni. Sono assicurato che di questo libretto ne siano state stampate quasi 4000 copie. Sarebbe conveniente di avvertire la nostra Polizia (abbiamo già visto con quanto profitto!) per impedire che sia introdotta nel nostro Regno simile pubblicazione del predetto Massari, che qualifica il Gladstone: coraggioso difensore degli oppressi, inesorabile avversario dei carnefici, franco amico del vero, definisce il cuore di Gladstone un tesoro di affetti verso i perseguitati e con le sue espressioni sentenziose, acri e veridiche, colpisce mortalmente la condotta dei persecutori». Il grande statista nel ringraziare Massari delle lodi tributategli gli soggiungeva che, nel dettare le lettere, aveva obbedito all'impulso di un sentimento semplice, chiaro e solenne di dovere verso i suoi simili e verso Dio nostro padre comune.

I giornali di Napoli tacquero per partito preso. Ma, costretti dal clamore pubblico, alla fine, si svegliavano dal lungo sonno e l'Ordine usciva in queste speciose dichiarazioni: «Non recherà meraviglia il nostro silenzio su le due lettere di Lord Gladstone riguardanti il governo di Napoli, quando si sappia contener esse, pressoché nei termini stessi, le stessissime cose che abbiamo, da oltre un anno, confutate ai giornali liguri subalpini e ad altri periodici della medesima risma.

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Il nome che quelle due lettere portano in fronte, e che da prima ci parve supposto, non può mutar l'essenza delle cose; e la verità ch'esse manomettono da capo a fondo, ha dritti più antichi e più legittimi alla pubblica stima che qual si voglia nome». Più sciocchi di cosi non si poteva essere.

Ma, torniamo al ministro plenipotenziario! Si buccinava che la questione sarebbe stata sottoposta al giudizio della Camera dei Comuni. Ed eccoti Castelcicala a reclutare amici per tener fronte alla marea che si levava sempre più minacciosa. «Continuo, egli riferiva al suo Governo, a conferire con Disraeli, il quale è già persuaso ed ottimamente disposto. Potrebbe essere che Sir William Maleswort (radicale) citasse nei prossimi giorni la brochure in Parlamento ed aprisse una discussione, alla quale com'è da supporsi, Gladstone prenderebbe parte. Disraeli è autorizzato, sotto la responsabilità di questa Regia Delegazione, a negare formalmente le calunniose assertive, ed è poi preparato a battere gli avversari con fatti, con ragioni e con le sue vibranti ironie».

La chiusura del Parlamento giunse in tempo a rasserenare l'animo inquieto del fedelissimo rappresentante di S. M. il Re delle Due Sicilie in Londra.

Il nobile ufficio di meditare, con lealtà tutta inglese spiegato da Lord Aberdeen, ebbe termine con una lettera da lui scritta a Castelcicala in cui si appalesa tutta la nobiltà del suo animo e si danno consigli che, se fossero stati accolti, avrebbero messo il Re tiranno in ben altra luce di fronte alla posterità.

«Quanto ha asserito Il Sig. Gladstone, egli scriveva, può essere, sotto qualche aspetto esagerato e può essere che siasi ingannato per effetto di erronee informazioni. Egli, però, è uno degli uomini più coscienziosi ed è incapace di asserire cose della cui verità non siasi prima convinto.


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Il Sig. Gladstone si recò in Napoli senza ostili sentimenti, ed in verità le impressioni che egli ricevette caddero in una mente favorevolmente disposta. Son pronto a far piena giustizia alla fermezza ed alla risoluzione che pose il Real Governo in grado di sostenersi vittoriosamente contro i tentativi rivoluzionari tanto in Napoli che in Sicilia e sopra tutto contro gli sforzi fatti dal partito repubblicano nel 15 Maggio 1848. Dopo combattimenti e rivolture di tal fatta e con la conoscenza di una organizzata cospirazione tuttavia esistente contro il Regio Trono, disposizioni di precauzioni ed anche di severità possono rendersi necessarie; ma la vendetta personale e prolungata sofferenza degli individui nulla aggiunge alla sicurezza del Governo ed anzi col tempo può privarlo di quella simpatia alla quale ha diritto.» La lettera era accompagnata da un'altra confidenziale (da Haddì House, 19 Settembre 1851) in cui Aberdeen manifestava il desiderio che le sue osservazioni fossero poste sotto gli occhi del re. Il valentuomo mostrava d'ignorare, ai certo, come Ferdinando fosse ordinatore e moderatore assoluto delle faccende di Stato e come altra volta, a coloro che si dispiacevano della nomina a Ministro del Marchese Pietracatella, avesse risposto: «la sua politica l'avrebbe fatta da sé, e che i suoi ministri l'avrebbero obbedito». E mantenne la parola checché ne vogliano dire quei cotali che la storia credono poter fondare, più che su i documenti, su i pettegolezzi dei cosi detti bene informati e su testimonianze incerte o discreditate di uomini nulli od interessati.

Ma, tornando al primo detto, la mentalità del Governo borbonico non si tradì neppure in questa circostanza. Nonché trarre profitto ed ammaestramento dalla parola franca e leale d'un cosi autorevole amico, lo si tentò di sfruttare indegnamente. Il Marchese Fortunato, in vero, sollecitava Castelcicala perché invitasse Lord Aberdeen, che si era mostrato dolente della maligna intitolazione a lui delle lettere, 48

di far pubblico il suo dispiacere per togliere alle stesse col suo nome, (vedi stratagemma!) il credito presso il pubblico. Più tardi (24 Novembre 1851) Giulio Gondon, discutendo di questo incidente sul giornale l'Univers dopo averlo accomodato alla sua tesi, conchiudeva:

«Les lettres de M. Gladstone sont mensongéres jusqua dans leur titre, parce qu'elles laissent croire au public que le comte d'Aberdeen a accepté la solidarieté de leur contenu en permettant qu'elles lui fussent adressées».

A troncare così mal fondate speranze, intervenne l'istesso Gladstone che con la sua rettitudine adamantina, nella terza lettera, dichiarò: «l'appello che io feci al mondo nel mese di Luglio passato, quantunque sia collegato al nome del conte Aberdeen, fu mio atto individuale e mio soltanto».,

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Come furono preparate ed accolte
le difese borboniche

Il Castelcicala reclamava di continuo perché si fosse data una risposta esauriente alle lettere di Gladstone. Emiddio Antonini, che Ferdinando II elevava alla dignità di Marchese in considerazione dei lunghi ed onorati servigi resi nelle diverse missioni affidategli all'Estero, scriveva allarmato da Parigi, dove rivestiva la carica di ministro plenipotenziario, accreditato con la stessa qualità presso il Re dei Belgi: «Il giornalismo è tutto contro di noi; Times e Globe del 22 e Morning Chronicle del 26 Luglio. Bisogna senza ritardo fare una risposta che dovrebb'essere la più succinta che sia possibile e. non in istile sublime e boccaccevole affinché possa essere facilmente tradotta, facendo in essa rilevare quanto assurda sia la pretensione di Gladstone che Poerio, condannato ai ferri, non sia trattato come tutti gli altri suoi consorti dopo che il liberalismo ha voluto imporre l'eguaglianza di tutti in faccia alla legge. Stimo, infine, di non lasciarle ignorare che in Inghilterra il compianto per la reclusione di Poerio prende le proporzioni di quello delle mie prigioni di Silvio Pellico».

E questo sentimento di pietà infinita per le vittime scaturiva, principalmente, come osservava lo Spectator, dalla considerazione «che i fatti narrati non da un Pepe o da un Mazzini ma da un Gladstone,

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capo del partito conservatore, uomo di una esattezza fino allo scrupolo, erano più orribili che uomo potesse immaginare». Al che faceva eco l'Heraldo scrivendo: «Ciò che da maggior importanza alle lettere del Signor Gladstone gli è Tesser egli noto per la moderazione delle sue idee e la sua condotta politica, la quale fa vedere che sia guidato unicamente dalla più rigorosa imparzialità». Un successo personale, come ognun vede, capace, per sé solo, di conquistare la pubblica opinione, ed assicurare la riuscita della buona causa. A Napoli, però, usi a sperare salute dal tempo e dalla fortuna, facevano orecchi da mercante ai consigli del Castelcicala, che, rotti gl'indugi, di sua iniziativa, si rivolse per aiuto a Carlo Mac Farlane, già provato amico del re e fedele alla causa delle monarchie assolute d'Europa, nella sicurezza che una brochure, dallo stesso firmata e diretta, come le lettere di Gladstone, ad Aberdeen, influirebbe presso il pubblico meglio che un limitato articolo di giornale. Il Mac Farlane, d'altronde, non era alle prime armi. Egli stesso si firmava: Autore del colpo d'occhio sull'Italia rivoluzionaria, d'una replica a Lord Palmerston sugli affari di Sicilia. La risposta all'opuscolo d'Amari: La Sicilia et les Burbous, gli era stata pagata quattrocento ducati. Non è a dire se Mac Farlane accolse con entusiasmo la proposta. Deferita la faccenda alla decisione del Marchese Fortunato, questi, non solo ratificò l'operato dell'ambasciatore, ma gli scrisse che attendeva con impazienza la pubblicazione del lavoro lodevolmente commesso al Signor Mac Farlane.

Castelcicala, appena ricevutane l'autorizzazione, inviò a Mac Farlane, che si trovava in Cantorbery, il Commendatore Giuseppe Canofari con le istruzioni opportune ed i documenti, e si ebbe in risposta che in tre giorni il lavoro sarebbe stato pronto. «La lettera di Mac Farlane, scriveva l'ambasciatore al suo governo, provegnente da un inglese, redatta

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secondo lo spirito è secondo gli usi delle discussioni politiche in Inghilterra, rettificherà gli errori del calunniatore e non ne lusingherà l'orgoglio presuntuoso».

Mac Farlane tenne la parola. Castelcicala, nel mandare il lavoro al suo governo, osservava «che esso si leggeva con interesse ed avidità, e che non si era potuto far di meglio, essendo difficilissima cosa trattare con un individuo che, quantunque fornito delle migliori disposizioni, riunisce le qualità d'Inglese e di Autore».

L'opuscolo vide la luce il 7 Agosto sotto il titolo: Il Governo Napolitano ed il Signor Gladstone - Lettera -Al Conte di Aberdeen. Giuseppe Massari lo tradusse in italiano, perché a suo dire: «questo sciocco ed iniquo libello costituiva la migliore apologia delle lettere di Gladstone». Esso è pervaso da un esagerato spirito polemico ed è privo di quella serenità di apprezzamenti per cui la stampa in Inghilterra è riuscita a farsi moderatrice della pubblica opinione. Basti dire che Gladstone, divenuto d'un tratto bersaglio delle più atroci ingiurie, è accusato di avere scritto le lettere per cattivarsi i suffragi radicali; per isfogare la sua avversione contro le monarchie che egli definiva corrose e cadenti.Quanto al loro contenuto, Mac Farlane afferma che le due stranissime lettere sono dal principioalla fine una serie di falli madornali, di errori grossolani e di falsità.

La dimostrazione di queste sue affermazioni si fonda sui voluti documenti, di quelli fabbricati per l'occasione dal Governo napolitano, e sulle famigerate sentenze emanate per ordine dalle Corti speciali.

All'accusa di tirannia oppone la dignità della vita e la umanità dei sentimenti di Fortunato, così pieno di lumi e di benignità, di Filangieri, del Principe d'Ischitella e del Cariati che non si sarebbero mai indotti a servire una cattiva causa;

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la pietà e la religione del re che, minacciato di sterminio con la famiglia, aveva perdonato ai suoi offensori e si era sempre opposto perché ai ribelli, vinti e condannati, fosse applicata la pena di morte. Le calunnie partivano dai Mazziniani e dai liberali che bruciavano per la patita sconfitta. Ma lo zelo dell'apologista trascende i limiti della decenza quando si fa a giustificare l'uccisione del Carducci e con rivoltante cinismo, dopo aver magnificato l'atto di coraggio che aveva spinto il prete Peluso, per amore della sua chiesa, a quella energica misura, (all'assassinio, cioè!) in tono trionfale esclama: «Se una tigre penetrasse di forza in una tranquilla capanna, e venisse uccisa, io credo che difficilmente si domanderebbe se l'uccisore era prete o laico». Né basta che egli si dichiara contrario ad ogni ulteriore atto di clemenza, scrivendo: «Né i cattivi successi, né gli ammaestramenti dell'avversità possono riformare questi uomini, o moderare il loro fanatismo. La punizione non può correggerli, né la pietà o la reale clemenza emendarli. Io non so se la Maestà di Ferdinando II potrebbe far cosa migliore, che lasciarli dove sono. Se tornassero domani in mezzo alla società, comincerebbero da capo a congiurare». La costituzione era un frutto immaturo, un dono che il popolo rifiutava, disertando le urne, dappoiché i Napolitani, non solo, ma gl'italiani tutti, sono ancora fanciulli in politica. Il Mac Farlane conchiude sciogliendo un inno al re misericordioso e pio che egli conobbe «dal tempo che era un fanciullo innocente, dai biondi capelli, sempre ammirato per la sua gentilezza e la bontà della sua indole» e proclamando la necessità di fronteggiare il corso del torrente delle folli idee che avevano scossa ed agitata la vecchia Europa in tutte le sue parti. E, vero miles gloriosus, lancia il grido: non sarà facil cosa schiacciare me e la verità che ho detto.Il Conte di Nesselrode che, per la sua cordiale adesione al punto di vista napolitano,

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si ebbe la nomina di Cavaliere del Real Ordine di S. Gennaro, fu tra i primi a biasimare il metodo seguito da Mac Farlane il quale, nonché restringersi a confutare le accuse di Gladstone, si era diffuso in grossolane personalità contro lo stesso e contro Lord Palmerston unendovi un sarcasmo pesante, per nulla affatto unisono ad un soggetto di tanto grave interesse.

La stampa inglese, del pari, gli si mise risolutamente contro sicché non gli riuscì pubblicare in nessun giornale di Londra le sue invettive contro Gladstone ed i coniugi Palmerston. Di ciò egli si lamentava in una lettera al Marchese Fortunato con queste parole: «Niun giornale in Londra vuole inserire una mia risposta alle ripetute calunnie avanzate contro Sua Maestà il Re delle Due Sicilie. Conosce forse il Marchese qualcuno tra i giornalisti di Parigi? Ci ha forse colà qualche giornale conservatore che consentirebbe a pubblicare una o due mie lettere?». In altro luogo, forse per darsi merito, denunzia che il boicottaggio contro lo spaccio della sua opericciuola, s'intensifica sempre più e che Palmerston ed i suoi amici non gli davano tregua né pace. Fortunato, il quale del Re e del regno altamente sentiva e che, nella sua opera di cieca ma tenace resistenza, nulla lasciava intentato, non fu sordo all'appello ed a mezzo dei rappresentanti napolitani all'estero, riuscì, anche lavorando di corruzione, ad acquistare il favore della stampa amica della religione e dei troni legittimi.

Cosi la lettera di Mac Farlane vide la luce sulla Patrie, preceduta da questa introduzione:

«Il Signor Mac Farlane, uno dei più chiari pubblicisti della Granbrettagna, in una lettera diretta a Lord Aberdeen, di cui traduciamo qui sotto le prime pagine, dimostra fino all'evidenza che il Sig. Gladstone, antico conservatore, non è presentemente se non un rivoluzionario come Lafayette, il più pericoloso colore come si sa; che neppure uno dei fatti allegati é giustificato; che le sue asserzioni quando

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non sono il frutto d'una immaginazione riscaldata, non sono che l'eco delle velleità demagogiche dei Montagnardi di Napoli, tolte in prestito da quelle di Parigi, e che non resterà di questa commedia in cui i giornali rossi hanno, come sempre, servito di fautori a Lord Palmerston, se non uno scandalo europeo, che non ha avuto altra ragione che la certezza ben fondata di Gladstone di non essere rimandato più dall'Università di Oxford alla Camera dei Comuni, ov'egli è presentemente loro rappresentante poco conservatore che che egli ne dica».L'assemblèe National, seguita dai Debats, dalla Gas setta du Midi, dal Courrier de Marseille, dall'Alsacien, da l'Ordre e da le Messager de l'Assemblèe rincarava la dose con queste parole: «Il libercolo, o piuttosto dovremmo dire, il libello del Signor Gladstone sul governo napoletano, è divenuto l'oggetto d'una viva polemica tanto in Inghilterra che in Francia. Esso ha dato luogo a molte confutazioni concludenti, a capo delle quali bisogna porre quella del Signor Mac Farlane». L'Ordine, che si era scagliato contro l'inglese touriste e gli abbietti giornali del Piemonte, definiva la confutazione del Mac Farlane, pubblicista, a suo dire, di nota imparzialità e di pari ingegno, vigorosa e solenne.Giuseppe Massari, invece, scriveva che «la nausea che destava quella insulsa diatriba era la migliore conferma delle severe accuse e dei solenni giudizi pronunciati contro il Governo di Napoli dall'illustre Deputato dell'Università di Oxford».

Castelcicala, frattanto, soddisfatto dell'opera del suo accolito, non isdegnò raccomandarlo al Governo perché lo avesse incaricato, come egli ne faceva proposta, di scrivere due volumi sulle condizioni attuali dei Domini di qua e di là dal Faro. Un lavoro, diceva l'ambasciatore, che grazie alle facilitazioni accordate all'autore, poggiato sopra testimonianze oculari e sopra elementi di fatto, avrebbe prodotto in Inghilterra un salutare effetto contro le

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continuate calunnie del demagogismo e della emigrazione.

Mentre si era in questi studi, si riapriva la Camera dei Comuni. Lord Palmerston, vivamente impressionato della gravita delle accuse rivolte al Governo di Napoli, faceva tenere copie delle lettere di Gladstone a tutte le missioni inglesi perché avessero interessato i governi, presso dei quali erano accreditati, ad intervenire, sia pure in via del tutto confidenziale, per indurre il Governo napolitano a cesser les abus et les atrocitès sìgnalès par M. Gladstone I gabinetti di Vienna e di Pietrogrado, legati da antichi patti ai re di Napoli, risposero coi biasimare la politica del re d'Inghilterra riguardo all'Italia, e col confermare che ogni infrazione all'ordine di cose stabilite nella penisola Italiana, sarebbe considerata come casus belli. Il Conte di Nesselrode aggiungeva una sua particolare deplorazione per avere il Gladstone cosi malamente corrisposto a l'accueil biénveìllant che gli era stata fatta durante il suo soggiorno in Napoli mentre le cose da lui pubblicate erano «secondo l'avviso di persone imparziali, istruite dello stato del Regno delle Due Sicilie, in gran parte false o esagerate».

Il Governo di Madrid con nota del Marchese di Miraflores faceva conoscere a Palmerston «che la Spagna non soleva né voleva intromettersi negli affari interni degli altri Governi e delle altre Nazioni». La Dieta di Germania, a mezzo del suo presidente, il Conte di Thun, ch'era stato officiato dall'ambasciatore brittanico Lord Cowely, a user de son influence auprès du Gouvernement Napolitain en faveur de l'humanitè dans le but de faire cesser les abus et les atrocitès signalès par M. Gladstone, rispose: che sarebbe stato un deviare dalle forme consuete delle relazioni internazionali, tra i governi, l'immischiarsi negli affari di una Nazione, in base di pamphlets di privati e già noti per la stampa.

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Perciò «respingeva e riprovava la pratica che Lord Palmerston le proponeva in nome dell'Inghilterra».

La Francia di Luigi Filippo, nonostante pei suoi legami con l'Austria fosse incline ad indulgere ai Borboni, non si trattenne dal manifestare la sua disapprovazione per i metodi di governo in vigore nel regno di Napoli. Il Walewsky, confermando la sua riprovazione pour l'intervention inopportune du voyageur Britannique, faceva voti che il Re avesse scelto la prima occasione per far mettere in libertà i detenuti politici contro dei quali mancassero prove serie per fondarvi una istruttoria giudiziaria. Sarebbe, egli diceva, un atto di clemenza e d'umanità non solo, ma di politica. Cosi si pensava anche in Austria dappoiché il miglior modo di combattere il socialismo, nel che tutti i Governi continentali si ritenevano solidali, era quello di togliere i fondati motivi di clamori, contro inutili rigori. Consigliava, inoltre, che il Governo Napolitano istituisse contro Gladstone procedimento per calunnia § diffamazione, innanzi ai Tribunali inglesi. Il Fortunato gli rispondeva ringraziandolo a nome del re dell'aiuto da lui dato nel sostenere una causa ch'era quella della giustizia e della verità, ed assicurandolo, del pari, che avrebbe confutato punto per punto le assurde e basse calunnie dello scrittore inglese, in modo da dimostrarle, con prove ed argomenti inconfutabili, del tutto false. In quanto ai prigionieri egli aspettava con impazienza il ritorno del re da Gaeta per sottoporgli se fosse possibile estendere i limiti dell'indulgenza sovrana proclamata in occasione della nascita di S. A. R. il Conte di Milazzo; purque, egli soggiungeva, cet ade de clémence puisse en rien compromettre l'ordre etabli en vanimant les esperances de ses implacables ennemis. Il timore delle conseguenze paralizzava sempre l'azione dei governo borbonico uso a considerare i suoi atti più dal lato pratico dell'utilità contingente che da quello della riparazione dovuta all'ordine

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morale e giuridico offeso, dalla necessità di concorrere, col perdono, al ristabilimento della pace sociale. Il Baroche disse all'Antonini che sarebbe stata per lui una grande soddisfazione il sapere che i condannati politici non fossero assoggettati ai ferri o mischiati coi condannati per delitti comuni, e che, se fosse possibile, le detenzioni preventive fossero diminuite, con attivare i giudizi dei prevenuti politici. Identiche lagnanze formulava il Guizot, il quale non sapeva darsi ragione del perché, ne' domini di qua dai Faro si facevano processi per delitti politici commessi nel 1848, mentre nei domini di là dal Faro, ove la rivoluzione fu trionfante, non vi erano tali processi..

Ma, fra tutti, il Ministro degli affari Esteri Brenier, mettendo il dito sulla piaga, parlò all'Antonini del sistema policier, ch'era il più gran nemico dell'ordine monarchico nel Regno di Napoli. Antonini riassumeva così, al suo Governo, il discorso avuto col Brenier.

«La polizia, egli disse, servendo per lo più alle manovre di vendette private, fa arresti, sul semplice fondamento di denunzie anonime. Gli arrestati languiscono mesi ed anni nelle prigioni, senza che si faccia loro il processo. In tal guisa, le prigioni sono ingombre, nella Capitale e nelle Province, di detenuti politici, che dimandano inutilmente di essere giudicati. Cosi si eccita l'opinione pubblica contro il Governo, e si crea il malcontento in innumerevoli famiglie, nelle quali si reclutano i cospiratori e son quelli che fan la forza di Mazzini». E l'Antonini conchiudeva cosi: «Mi ha detto il Sig. Brenier che tali indicazioni pervengono qui anche direttamente da Napoli e da persone di principi monarchici, che certo non sono mai volenti pel Real Governo».

Intanto, avendo Sir. D. L. Evans, poggiandosi sulle lettere di Gladstone, mosso interpellanza nel 7 Agosto al Governo per sapere se il Ministro d'Inghilterra presso la Corte di Napoli

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avesse avuto l'ordine d'interporre i suoi buoni uffici nell'interesse dell'umanità, per far cessare i fatti denunziati e quale il risultato delle pratiche eseguite, Sir Palmerston rispose dalla Tribuna che quelle lettere gli erano sembrate cosi gravi da rimetterne, come aveva fatto, alcuni esemplari a tutte le missioni inglesi per farne la base di comunicazioni ai governi presso i quali erano essi accreditati, «per quanto riconoscesse non avere il Gabinetto Britannico alcun diritto di avanzar rimostranze al Governo delle Due Sicilie su materie concernenti faccende d'interna amministrazione». Ed aggiunse: «Per la giustizia io credo dover dire che il Signor Gladstone, che posso ora liberamente nominare, benché non in qualità di componente il Parlamento, si è l'atto, a parer mio, grandissimo onore (applausi) a cagion del contegno serbato in Napoli e di quello che ha serbato dappoi. Mi pare, infatti, che un gentiluomo inglese, il quale va a passare l'inverno a Napoli, ed invece di restringersi a prendere i divertimenti che abbondano in quella città, invece di scendere nei crateri dei vulcani (rinnovando gli esempi di Empedocle e del vecchio Plinio) e di esplorare le città dissotterrate, va ai Tribunali, visita le prigioni, e discende nelle carceri ed esamina le condizioni di molti infelici vittime della illegalità e della ingiustizia, con lo scopo di rischiarare la pubblica opinione e di tentare di arrecare rimedio a quei mali, un gentiluomo, io dico, che opera a questa guisa, frutta onore a sé medesimo». A Napoli, l'irritazione per un tal fatto fu grande. Il Giornale Ufficiale del Regno, dopo aver deplorato che Lord Palmerston, rispondendo al suo amico Lucy Evans, avesse trattato cosi poco onestamente una nazione amica, soggiungeva: «confidiamo che il nobile Lord, nel fondo del suo cuore, detestando tutto che possa in menoma parte opporsi a si lodevole scopo, vorrà di buon grado e con la stessa sollecitudine rimettere ai suoi Legati copie dell'opuscolo che gli si faranno pervenire,

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opuscolo nel quale sono smentite, e vittoriosamente messe nel nulla, con documenti autentici e* coi ricordo delle prescrizioni delle nostre leggi, le calunniose diatribe del Signor Gladstone, onde, fatti essi avvertiti del vero, si astenessero dalie pratiche le quali riescono sempre reprensibili quando al vero il falso voglia sostituirsi». Il Governo Napolitano non si dava per vinto, né faceva economia di colpi e difendeva con la più viva energia le sue posizioni.

Castelcicala che, per l'assenza di Disraeli, aveva interessato Ballie Cochrane di sorvegliare affinché l'incidente, secondo i regolamenti, rimanesse circoscritto nei limiti di semplice quistione, si senti colpito in pieno petto ed, indi a pochi giorni, inviava a Palmerston, in forma confidenziale, questa lettera:Agosto 1851 My Lord,Nel ragguaglio dal Times di ieri dato sulla sessione della Camera dei Comuni, ho letto che V. E. rispondendo ad una dimanda di Sir D. L. Evans su talune pubblicazioni del Sig. Gladstone contro il Governo del Re, mio Augusto Padrone, disse aver creduto suo dovere inviar copie ai ministri Brittanici presso le varie Corti d'Europa.E siccome una replica alle cennate pubblicazioni, fondata sopra validi documenti, è uscita qui recentemente in luce, mi onoro inviarne a S. E. copie 16. E la pregherei di volerle distribuire nello stesso modo con che ha distribuito la brochure del signor Gladstone. La nota massima audi et alteram partem, la cortesia di V. E. (e nell'attuale riscontro anche meglio) la di lei giustizia mi fanno sperare che V. E. non vorrà trovare la mia domanda indiscreta.Dev. mo Obb. mo ServoCastelcicala


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All'incauto ambasciatore, fattosi inopinatamente aggressivo, Palmerston, in data 16 agosto, cosi rispose:Signore,Ho avuto l'onore di ricevere la vostra lettera del 9 andante con cui, nell'acchiudermi un esemplare di un opuscolo intitolato: «Il Governo Napolitano ed il Signor Gladstone» mi avete richiesto di spedire esemplari di sì fatto opuscolo ai Ministri di S. M. presso le diverse Corti d*Europa.Debbo dirvi, in risposta, che io non posso contribuire alla propaganda di un opuscolo, il quale, a mio credere, non fa onore (no credit) al Governo che cerca difendere, al partito politico che imprende a propugnare ed al suo autore. Non avrei ardito intrattenervi sull'opuscolo del Signor Gladstone, se voi non mi aveste a ciò chiamato con la vostra lettera del 9 andante, e posso assicurarvi che non senza dolore e ripugnanza vado ad esprimere la mia opinione rispetto a tale opuscolo o alle materie di cui esso tratta.Mi veggo quindi nella necessità di dirvi, che le lettere del signor Gladstone a Lord Aberdeen presentano un quadro desolante di un sistema di tale illegalità e crudeltà praticato dagli impiegali ed Agenti, del Governo del Regno di Napoli, quale non dovrebbe mai esistere ai nostri giorni in veruno Stato d'Europa, e le informazioni ricevutesi per altre vie sul medesimo argomento conducono a far credere che il signor Gladstone non abbia per modo alcuno esagerato i mali che descrive.Ma le lettere del signor Gladstone non erano scritte come suppone l'opuscolo che mi avete mandato, con animo ostile verso il Re di Napoli, o con sentimenti contrari alla Costituzione Parlamentare e Monarchica, conceduta da S. M. Siciliana ai suoi sudditi e confermata con suo Real giuramento; 61per contrario e pare che il signor Gladstone abbia avuto per iscopo l'amichevole proponimento di richiamare la pubblica attenzione e indirizzare la forza della pubblica opinione sopra abusi i quali, laddove continuassero, distruggerebbero necessariamente le fondamenta della Monarchia Napolitana, e preparerebbero la strada a quelle violenti commozioni, che i risentimenti, cagionati da profonda convinzione di una somma ingiustizia, per lungo tempo continuata, tosto o tardi producono. Egli era da sperare che il Governo Napolitano avrebbe accolto quelle lettere nello spirito con cui sono manifestamente scritte, e sarebbesi seriamente ed efficacemente adoperato a correggere i molteplici e gravi abusi sui quali la sua attenzione era stata richiamata.Egli è indubitato che in tal guisa il Governo Napolitano renderebbe vane le mene di tutti i rivoluzionari e rafforzerebbe le Istituzioni Monarchiche nel suo territorio, meglio di quanto potrebbero effettuare i pia severi provvedimenti del più vigilante Ministero di Polizia.Ma il Governo Napolitano mal si avvisa se crede che un opuscolo consistente in un debole tessuto di pure asserzioni e trascurate negative, miste a grossolane villanie ed ingiurie, verso gli uomini pubblici ed i partiti politici, possa riuscire utile o rendere alcun positivo servizio al Governo, a sostegno del quale, pare che sia stato scritto: ed io tornerò con l'osservare che nell'opuscolo di Mac Farlane sono alcune allusioni, dirette siccome indirette, le quali tendono a stabilire quelle stesse conseguenze che egli ha in animo di combattere.Ho l'onore di essere con la più alta considerazioneDi Vostra Altezza obbedientissìmoed Umilissimo ServitorePalmerston62 Il Governo Napolitano non si tenne l'insulto, ed il Marchese Fortunato inviò al Cav. Temple una fiera protesta, contestando, non solo, il dritto dell'Inghilterra ad intervenire nelle cose del regno, ma invitandolo, come colui ch'era a conoscenza della verità dei fatti, a smentire le calunnie di Gladstone «perocché le ingiurie non leniscono mai gli animi, ma gl'inaspriscono, e massimamente se dirette contro coloro su dei quali non si abbia autorità alcuna, e che hanno a cuore la propria dignità ed indipendenza».

Nel contempo, la stampa amica, chiamata a raccolta, si dette ad aggredire il Governo Inglese accusandolo di mala fede e di segrete mire, mentre il Principe di Schwarzenberg diceva all'ambasciatore a Vienna, Petrulla, che la risposta di Palmerston, poteva essere calcolata come una terza lettera di Gladstone. Dei giornali, il Conservatore Costituzionale, deplorando che lo scritto di Gladstone fosse divenuto uno dei mezzi d'esecuzione di quel sistema d'attacchi perfidamente e audacemente organizzati, in onta del diritto delle genti, dal gabinetto inglese, contro un governo alleato della Francia, soggiungeva: che non era l'umanità ma la Sicilia che stava a cuore di Sua Signoria. La Corrispondenza Litografata di Vienna osservava: «Le produzioni letterarie appartengono al commercio librario; esse valgono a destare una particolare attenzione; ma non abbisognano veramente di reclami diplomatici per essere lette ed osservate».

Il Times biasimò la forma sconveniente usata da Palmerston e pubblicò che l'effetto, al di fuori, era stato deplorabile e vergognoso. Ma nella difesa del Governo Napolitano, fra tutti, si segnalò il cattolico Standard. Esso, dopo aver rilevato, in tono ironico, che Palmerston, nelle fasi della sua politica di ultra Tory, Liberale, Whig o Rivoluzionario era riuscito, quantunque mordace e satirico, anche in momenti di terribili fazioni, a conciliarsi il personal rispetto63 di tutti ì partiti, con la stia ammirevole moderazione e cortesia, attribuiva alla proverbial noia della vecchiaia l'inconsulto atteggiamento od alla irritazione prodottagli dalla sconfitta data in Europa alla diplomazia brittanica.

L'Inghilterra ancora macchiata del sangue versato nelle isole Jonie, delle iniquità commesse in Zante da Sir Enrico Giorgio Ward, contro Gregorio Nodaro, ed i suoi compagni, non doveva farsi a mezzo di Palmerston, spacciatrice di libelli scritti contro l'interna amministrazione di uno Stato indipendente. «La lettera di Palmerston, conchiudeva l'articolo, al Principe Castelcicala, che per tanti anni ha risieduto presso questa Corte, e che è stato il compagno d'arme del Duca di Wellington, ed il convitato di S. Grazia (per diritto di servigi) per molti anni in ciascuna ricorrenza dello anniversario della battaglia di Waterloo, questa lettera di Palmerston a si distinto personaggio, è incivile e rende al tutto impossibile per questo paese di esercitare qualche influenza sulla politica napolitana, per tutto il tempo che Lord Palmerston occuperà il posto di Ministro degli affari esteri». La Voce nel deserto, invece, in un articolo, si rideva di Palmerston che si accingeva a liberare l'Italia colla ristampa di quattro pagine epistolari; di Lord Cavour imbertonito di Lord Palmerston nel 1851, mentre il 20 Ottobre del 1848 alla Camera dei deputati non aveva molta fiducia nel liberalismo di sua signoria; dei piemontesi che confidavano nell'Inghilterra, quando la storia loro insegna come abbia mantenuto le sue promesse verso la Polonia, la Liguria, la Grecia, la Sicilia, la Spagna, la Galizia, il Portogallo, a cui era prodigo di sublimi parole». La Voce nel Deserto non faceva cosi che ripetere il concetto di Mazzini tante volte enunciato nell'Italia del Popolo che, cioè, la protesta, la quale non abbia dietro di sé la forte ragione dell'arme, ricade come parola cerimoniosa e morta.

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Però è giustizia riconoscere che se l'Inghilterra «pel vano ticchio di mostrarsi cavallerescamente pietosa non avrebbe spinto una sola delle sue torri navali entro le gole del mare siciliano» ciò dipendeva dal fatto che l'Italia, allora, non aveva altri amici che l'Inghilterra e questa tutt'altro che unanime. Ciò rende l'opera di Gladstone e di Palmerston sempre più degna della nostra eterna riconoscenza.

Gli organi del Foreign Office, specialmente il Globe ed il Morning Post, confutarono le accuse alla politica di Palmerston e, nelle risposte, non dettero prova di eccessiva moderazione.

Più ferveva la lotta, più si accendevano gli animi e più il Governo di Napoli, costretto a misurarsi con un cosi formidabile avversario, si dava alla ricerca d'ogni e qualunque mezzo di difesa pur di non dichiararsi vinto.

Mosso da questi sentimenti il Barone Antonini indusse il Barone Alfonso Bellaydier, Cavaliere del Real Ordine di Francesco I, autore di Roma e Pio IX, Torino e Carlo Alberto e della Storia della Rivoluzione di Roma nella quale aveva lodato con enfasi retorica Ferdinando II, che si faceva temere per la forza, amare per la bontà, a combattere, in base ai documenti che gli sarebbero stati forniti dall'Antonini e dal Castelcicala, le lettere di Gladstone.

Il Bellaydier scrisse la confutazione e la lesse, prima di darla alle stampe, a Castelcicala, che, nel 23 Agosto 1851 ne informava il Marchese Fortunato con queste parole: «L'autore mi ha letto il commendevole manoscritto. Avrei per verità preferito che la di lui opera fosse stata categorica contro Gladstone, senza attaccar molto Palmerston ed i suoi colleghi, e ciò mi avrebbe messo nel caso di avvalermene con maggiore facilità. Ei però ha preferito il secondo sistema. Il servizio che rende al Re N. A. S, non è meno interessante né men utile». E come pensare altrimenti se il fedele apologista di re Bomba non si peritava di scrivere:

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«Le calunnie dei Mazzini e Girardini, le accuse di Lord Palmerston, gli errori del tory Gladstone, le collere della demagogia europea, rinvigoriscono la corona di Ferdinando II, essi gli eriggono in vita un piedistallo dal quale dominerà la storia che gli renderà giustizia». Via, è un pò troppo.

La stampa, attesa, al dire del Bellaydier, la lega del giornalismo a prò del ministero Whig e della demagogia, si rifiutò di pubblicare lo scritto che, alla fine, comparve sul solito Catholic Standard (devoted to thè circulatìon of catholic intelligence), un giornale di assai limitata diffusione. Raccolto in opuscolo vide la luce a Parigi (La verità Sur les affaires de Naples Refutation des Lettres de M. Gladstone) ed il 28 agosto a Londra: (Facts With regard to Neapolitan Affairsor Refautation of MR. Gladstone letters to Lord Aberdeen).

Castelcicala Informava il Governo d'averne acquistato trecento copie al prezzo di sette lire e dieci scellini e di averle fatte distribuire con accortezza e senza sua compromissione. Un trattamento più generoso, a stare ai documenti, fu fatto a Giulio Gondon le cui otto lettere, apparse dapprima sul giornale l'Univers Religieux e poscia, raccolte in opuscolo, furono scritte, a dire dell'autore, «per ovviare sollecitamente a che le menzogne e le calunnie del pubblicista inglese rimanessero e si propagassero in Francia non senza aperta vittoriosa confutazione». Nella Corrispondenza Litografica di Parigi del 15 Settembre 1851 si annunziava: «Domani sarà messo in vendita presso i librai la lettera del signor Giulio Gondon in risposta a Sir. W. Gladstone: è un bel volumetto in 8. di duecento pagine circa. Lord Palmerston ebbe il delicato pensiero d'inviare un esemplare delle calunnie di. Gladstone a tutti i membri del corpo diplomatico inglese; Baroche, ministro degli affari esteri in Francia, si propone, se sono bene informato, d'inviare a

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tutti i membri del corpo diplomatico francese in Europa, un esemplare della confutazione, cosi completa e decisa, scritta con sereno ingegno dal Sig. Giulio Gondon».

L'opera ha per titolo: La Terreur Dans Le Royaume De Naples Lettre Au Right honorable W. E. Gladstone. Paris. Vaton 1851. Essa è compilata sugli stessi documenti forniti al Mac Farlane ed al Bellaydier dal Governo Napolitano e perciò ne ripete spesso gli argomenti e le dimostrazioni, sicché talvolta le due difese sembrano scritte dall'istessa mano. Il Gondon, del pari fa uso di un linguaggio aggressivo ed irriverente lorchè accusa Gladstone di mala fede, di tradimento, per aver disertato il partito conservatore ed accettato i principii politici dei Palmerston, dei Bulwer e dei Napier; di essersi fatto il campione della rivoluzione italiana, (Gladstone, a chi gli muoveva rimprovero in Parlamento, rispondeva: io non ho mai conosciuto Mazzini), il traduttore delle opere, il garante delle sue calunnie, il propagatore delle sue accuse più odiose; aiutato in ciò dalla sua fede protestante, in quanto la causa del protestantismo tende ad identificarsi ogni giorno dippiù con quella dei nemici dell'ordine sociale. Gladstone era stato, senza alcun dubbio, vittima degli agenti di Palmerston e dell'ambiente mazziniano in cui era stato costretto a respirare. Altrimenti come avrebbe potuto definire tirannico, feroce, immorale il governo napolitano, composto di uomini come il Carrascosa, il Filangieri, il D'urso, il Longobardi, appartenenti al partito liberale, due dei quali erano insigniti della Legion d'onore per aver servito la Francia? Ed il Marchese Fortunato? Le president du conseil, le marquis Fortunato, est l'artisan de sa fortune, il doit sa haute position à l'intelligence et au travail, qui l'ont tire des rangs de la classe bourgoise pour en faire le sujet le plus rapprochè du trone «Non vi ha nessuno dei ministri del re di Napoli che non preferirebbe67 l'esilio e la morte all'onta di servire un tiranno che ponesse tutta la sua gioia nelle lagrime, nella miseria, nel dolore e nell'oppressione dei suoi sudditi». Ma, dove le prove degli orribili fatti denunziati? All'accusa dei 20 o 30 mila cittadini gittati nelle carceri immonde del regno, sottoposti a tormenti, accomunati a vilissimi malfattori, incatenati e ridotti in condizioni pietose di salute, il Gondon oppone una generica impugnativa e quel famoso stato numerico da Giuseppe Massari dimostrato falso, secondo il quale, a dire della Polizia, gl'imputati politici presenti in giudizio, in carcere o con modo di custodia esteriore ascendevano a 2024 soltanto. Il processo per i fatti del 15 Maggio? Ridotto, da cinque a seicento, a pochi accusati. Quello per la setta l'Unità d'Italia? Diligentemente istruito, discusso alla luce del sole, alla presenza di amici e parenti degli accusati che, difesi da valorosi avvocati, furono per prove indubbie, condannati e dalla clemenza del re largamente beneficati d'amnistia o d'indulto. I Magistrati? Fior di galantuomini, indipendenti, fermi e coraggiosi, con alla testa quel Domenicantonio Navarro, che, contrariamente alla voce d'essere un cieco istrumento della tirannide, dei quaranta imputati ne assolveva otto. E Iervollino, il falso testimone di Stato? La stessa bocca della verità. In quanto alla Polizia essa era stata costretta a misure eccezionali dalla forza degli avvenimenti, dalla necessità di fronteggiare la rivoluzione. Non altrimenti erasi verificato in tutti gli altri paesi, a Parigi, Londra e Vienna, sotto la pressione delle stesse cause. E forse l'Inghilterra s'era diversamente comportata a Ceylan ed in Manda? Che dire della Sicilia? Più che da sete di giustizia Gladstone era mosso a parlarne dalla brama dell'Inghilterra di volersi impossessare dell'isola. Nella foga di tutto giustificare il Gondon spezza anche lui una lancia in difesa del prete Peluso che sarebbe abbastanza protetto dalla legge che lo autorizzava ad uccidere Carducci e riscuotere il prezzo stabilito.

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All'accusa di spergiuro, rivolta al Re Ferdinando, risponde che la questione, perché d'ordine interno, dovrebbe essere sottratta ad ogni e qualunque straniera ingerenza. I fatti, però, han dimostrato che la Costituzione, nel pensiero dei più, non era stata che un ponte di passaggio alla repubblica. Gli avvenimenti del 15 Maggio sciolsero il re dal prestato giuramento. Ciò nonostante la Costituzione non fu abrogata ma sospesa. D'altra parte risultò dimostrato che, riforme e parlamento, incompatibili con il carattere, il costume, i gusti ed i bisogni del popolo, erano la cura e l'affanno d'una parte della borghesia, di medici ed avvocati, specialmente, per il loro personale tornaconto. Il Gondon chiude la sua confutazione con un inno al re che, mentre i troni d'Europa vacillavano, mentre la rivoluzione trionfava in Italia e cacciava il Papa ed il Granduca di Toscana dai loro stati, sorretto dall'esercito, ch'egli aveva saputo organizzare, primo tra i sovrani d'Europa aveva fatto retrocedere il torrente demagogico mentre il Parlamento da lui convocato lo avrebbe destituito. L'Osservatore Romano, di fatti, annotava al Dalmas: «II Re di Napoli ha avuto un gran torto agli occhi della demagogia. Egli non ha ceduto alla sommossa, ha trionfato delle barricate, soggiogato l'insurrezione. Il Re di Napoli ha un gran torto agli occhi della stampa inglese. Egli ha riconquistata la Sicilia, ha conservato fra la ricchezza dei suoi stati il prodotto delle solfatare, ha ricusato il concorso dell'industria napolitana alla grande esposizione. Sono tali titoli che la demagogia non perdona». Di ciò Gladstone, più che dolersi, avrebbe dovuto mostrarsi soddisfatto.

* * * *

Il Barone Antonini, nel rimettere ai suo Re alcuni esemplari di questa pubblicazione, in cui, a suo dire, ni una delle assertive di Gladstone era rimasta senza

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risposta e confutazione additava lo scrittore compiacente per uomo di lettere, indipendente, uno dei distinti redattori dell'Univers, che viveva onorevolmente delle sue fatiche di scrittore ma che (in cauda venenum) avrebbe apprezzato molto una marca di sovrana soddisfazione. Conchiudeva testualmente cosi: «Senza nulla specificare per la Sovrana munificenza credo opportuno palesare a V. S. che S. M. T Imperatore d'Austria doné al Signor Bellaydier per la sua storia, La Revolution de Rome, un ricco anello del valore di L. 2000 con la cifra imperiale in diamanti. La proposta fu accolta ed eseguita. Non è priva d'interesse la lettera con la quale Giulio Gondon ringrazia il re del dono prezioso: «En defendant, egli dice, dans la faible mesure de mes forces, la cause de la verità et de la justice outragèe dans le pamphlet de M. Gladstone contre le Eoi et le gouvernement de Naples, je ti ai fait qu'obeir d mes convictions, qu'accomplir ce queje considére, de la pari d'un ecrivain cattolique et ami de l'ordre, comme un devoir de conscience». Con gli stessi argomenti bene sonanti i giornali amici, con alla testa l'Union, dissero un gran bene dell'opuscolo del Gondon ed insinuarono che il vero fine di Lord Palmerston era quello, poiché il Re delle Due Sicilie, non si piegava al disonore, di diventare vassallo dell'Inghilterra, di disgustare i popoli della Sicilia, farli ribellare e cosi metterli sotto il suo protettorato.

In mezzo a queste alternative di accuse e di difese, di speranze e di timori appariva sempre più irreparabile lo scacco subito dalla diplomazia napoletana e specialmente da Castelcicala la cui posizione si era fatta bien penible, al dire del Barone Antonini. Lord Palmerston, annunziando in pieno Parlamento che aveva mandato esemplari dello scritto del signor Gladstone ai diversi rappresentanti dell'Inghilterra, per farne la base di comunicazione70 ai governi presso i quali erano essi accreditati, era riuscito a dargli l'importanza d'un documento diplomatico, d'interesse europeo. Ciò ben sentiva il Governo napoletano ed, a parare il colpo, fece pubblicare in riassunto sulla Gazzetta di Augsburg e sulla Indipendenza del Belgio, le lettere che, in tale occasione, si erano scambiate tra Palmerston e Castelcicala. Palmerston rispose col pubblicare, sul Globe, le lettere per intero, corredandole di alcune osservazioni.E' sgradevole, scriveva in proposito e con una cert'aria d'ingenuità il Canofari, che un soggetto già sopito sia stato per tal modo rianimato. Assicuro, però, V. E. che la inserzione del Globe non è affatto risultata in vantaggio di Lord Palmerston, che gli ultra radicali stessi si vergognano di parlar con fervore di uno scritto così manifestamente scortese ed indelicato, e la massa dei lettori ha trovata giusta la domanda di questa legazione ed ingiustissima la replica: sentimenti che sono stati poi migliorati e confermati dalla nota che V. E. inviò il 29 Settembre a codesto Sir William Tempie, che i giornali francesi han renduta già pubblica e che gl' inglesi han subito copiata».

Il Ministro francese Baroche si ebbe dal Fortunato, desideroso di non forzare la situazione, l'incarico di scandagliare gli umori del governo inglese. Palmerston, in una lunga conversazione, gli sostenne esser veri e non già calunniosi i fatti pubblicati da Gladstone e si giustificò d'averne parlato alla Camera unicamente perché «non accadessero nuove sommosse nelle Due Sicilie e tali sommosse non cagionassero nuovi disordini negli altri stati d'Italia». Ma mentre si svolgeva Fazione diplomatica, nella dubbia attesa, il Governo Napolitano non disarmava ed a mezzo della stampa conduceva una campagna vigorosa in difesa del suo punto di vista e contro la politica inglese.

«Nel momento in cui Lord Palmerston, scriveva

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il Conservatore Costituzionale di Firenze del 5 settembre 1851, invia a tutte le Corti le lettere di Gladstone accompagnate da macchiavelliche parole, non sarà discaro di leggere quanto il Chronicle dice sulla amministrazione delle Isole Ionie che hanno la grande fortuna di dipendere dal governo modello d'Europa. Crediamo che sua Signoria possa venir considerato del bel numero uno che vede la festuca negli occhi del compagno e non iscorge la trave nei propri».

Cosi venivano spedite numerose copie delle brochures di Mac Farlane, Bellaydier e Gondon ai diversi ambasciatori che unanimi tornarono ad assicurare il Governo «non avere le calunniose invettive del signor Gladstone sortito alcun effetto». Né basta. Il clero Napolitano, ritenendosi offeso da Gladstone, mise fuori una sua protesta che vide la luce nella Raccolta Religiosa La scienza e la fede, dedicata al noto Monsignor Code, in cui, preti e gesuiti, stretti insieme, movevano guerra ad ogni manifestazione di progresso civile. Gladstone, in essa, è qualificato bugiardo e calunniatore; le sue lettere un tessuto di storielle e di fole. Il Catechismo, opera di Monaldo Leopardi, contiene massime di vera libertà e di ragione. Ed il Sovrano? La fama non mentisce qualificandolo il più pio ed il più religioso dei Re. Lo scritto fu, a cura del Ministro di Polizia, stampato a parte e diffuso a mezzo delle autorità cosi all'estero che all'interno. (1)

Un'altra difesa anonima vide la luce nell'ottobre 1851 sotto il titolo: Brevi Risposte alle lettere di Sir W. E. Gladstone Indiritte Al Conte Aberdeen Intorno al Governo ed al Popolo Napolitano.In essa si fanno le maggiori lodi della monarchia assoluta, s'inneggia al Re, alle sue opere di civiltà e si afferma «che non vi è stata intelligenza

(1) Min. di Pol. Inc. 2335. Vol. 4. anno 1851.

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la quale, non che unita alla virtù, anche deviata nelle condizioni dei tempi dalla prima delle virtù cittadine, la fedeltà, non fosse stata negli anni del governo di Re Ferdinando II, richiamata pure da pene e persecuzioni elevata alla possibile considerazione, abilitata alle cariche ed agli uffici pubblici, e portata sino negli stessi consigli del Re». La Costituzione sarebbe stata concessa dal Re, nella pienezza dei poteri sovrani, come ordinamento dell'azione del governo volta a migliorare la condizione dei popoli soggetti. Innanzi agli attentati della rivoluzione ed all'inefficacia del nuovo ordinamento, di fronte a quelli che erano i benefici realmente conseguiti durante la monarchia pura, la revoca della Costituzione rientrava nelle prerogative del Sovrano che la soppresse per il bene dei suoi sudditi. L'anonimo scrittore passa indi a giustificare i giudici e le loro sentenze ed in quanto ai timori manifestati da Gladstone circa un possibile mutamento di forma di governo in Napoli, risponde: «La repubblica, se non ha potuto allignare in questo Reame come pianta esotica portatavi dalla rivoluzione, non vi sorgerà certamente come pianta indigena, e molto meno nel momento in cui, nei mali che tuttora le popolazioni e le famiglie lamentano dalla rivoluzione e dalle sue conseguente, ogni maggiore e più severa speranza di un migliore avvenire è riposta unicamente nella saviezza e nel buon animo del Re». E conchiude, dalle affermazioni di Gladstone, per ultimo, scaturirebbe una ben strana condizione: i governi di Europa, dopo aver vista la rivoluzione del 1848, rimarrebbero a dover combattere quella del partito conservatore inglese, ovvero questo partito verrebbe a raccogliere in Europa l'eredità della rivoluzione del 1848 ed a turbare l'ordine e la pace.

Con la indicazione: Italia 1851 fu pubblicato un altro opuscolo: Risposta Di un Italiano A Due lettere Del Signor Gladstone a Lord Aberdeen. 73

L'autore si dice amico di Gladstone per averlo conosciuto in Napoli. Ne rigetta le accuse perché, a suo dire, furono attinte dalla legazione inglese, retta da «un William Temple, fratello dell'immortale Palmerston, da un Napier, in cui non si sa se sia maggiore la presunzione o lo spirito rivoluzionario, e da un terzo inglese imbastardito (Fagen), velenoso insetto, che non nomina per non insozzare le carte del suo nome vilissimo». Difende, appoggiandosi a Sir. Cochrane, le carceri ed i magistrati, loda Peluso, vitupera Poerio, consigliere di Setta, e si scaglia contro la politica di Palmerston che mandava Minto in Italia, e teneva tuttavia Napier a Napo)i, Freeborn a Roma, Abercromby, degno genero eli Minto e degnissimo cognato del perfido Russell, a Torino ed il già Hamilton Seymorr a Lisbona, con Peel a Berna e che proteggeva i figli di Lord Aldborough, agente di Mazzini, a fomentare e tenere viva la rivoluzione in Toscana. «Napoli, egli esclama, non è un paese barbaro o inumano. Quando il vostro Piemonte incivilendosi plaudiva a Carlo Alberto, l'illuso, per le sue riforme, Napoli le possedeva da gran pezzo. E' stato un Gaetano Filangieri, il primo filosofico scrittore della scienza della legislazione, a cui l'Europa s'inchina: Napoli è stata l'unica in tutta l'Italia, che, caduto Napoleone, ne conservò i di lui codici migliorandoli». L'anonimo prosegue confutando punto per punto le affermazioni di Gladstone e ripetendo quello che gli altri avevano già detto senza accorgersi che la questione era più in alto, molto più in alto, nella pratica quotidiana, non solo, ma nello spirito che animava tutta l'opera del governo, a ritroso dei tempi ed in uno stridente contrasto tra gli elementi ideali e quelli di fatto, contrasto la cui soluzione, ove si fosse agito con illuminata prudenza, il tempo soltanto avrebbe maturato.

Vi è notizia nel De Sivo che un francese, il deputato Lemercierj dopo aver visitato le prigioni di stato,


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difese il Governo contro le accuse di Gladstone. Albert Dalmas, del pari, a smentire Gladstone, scrisse intorno alla vita, agli atti ed alla politica di Ferdinando II «En effet, egli dice, si rappeler les événements comme ils se sont accompliss, c'est montrer le roi de Naples généreux et clément, son gouvernement liberai et modéré devant les vues pérfides et les actes subversifs du parti vaincu ne sera ce pas en méne temps réfuter d'une manière péremptoire ceux qui appellent Ferdinand II un Burreau couronné, l'assassin de Naples»? Come uomo egli soggiunge, è un marito tenero ed affezionato, padre eccellente, religioso, ricco di cristiana carità. Come sovrano fu visto cimentare la sua vita durante il colera in Napoli, perdonare ai suoi nemici, abolire di fatto la pena capitale. Il Costitutionnel, avvalorando le parole del Dalmas, conchiudeva: «checché si dica, Ferdinando II può essere sicuro dell'affezione dell'esercito e delle simpatie del popolo».

Ma ohimè! tutto ciò non era sufficiente a soddisfare la pubblica opinione. Le difese non avevano quella impronta di serietà che viene dalla parola dell'accusato. Et audietur altera pars! Il Governo Napolitano, però, l'accusato, rimaneva deliberatamente muto. In ciò il Marchese Fortunato agiva con vero politico accorgi mente.

E come, per fermo, negare fatti veri, esposti con tanta moderazione da conciliare a Gladstone l'affetto del lettore più mal disposto? E come trovare uno scrittore capace di fare un libro che andasse rapidamente per tutto il mondo e venisse tradotto in quasi tutte le lingue come era accaduto per le lettere? Le ragioni, però, di opportunità cedevano l'una dopo l'altra di fronte al consiglio od all'intimazione di amici e nemici che invitavano il Governo ad abbandonare le vie traverse, a gittare la maschera e difendersi. Cosi il Baroche mentre assicurava il Barone Antonini che in Inghilterra gli uomini di qualche considerazione ritenevano che M. Gladstone

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si era ingannato pubblicando fatti evidentemente erronei o esageratissimi, come il numero dei detenuti politici, le sevizie usate contro Settembrini, l'innocenza di Poerio e la corruzione ed ingiustizia della magistratura napolitana, soggiungeva che in Inghilterra e in Francia si attendeva con impazienza «che il Governo napolitano facesse una risposta categorica e ferma alle menzogne di Gladstone ed agli insulti di Lord Palmerston». Il Baroche, inoltre, consigliava (ahi! gran bontà dei cavalieri antichi) che si fosse fatto rilevare il modo severo con cui l'Inghilterra aveva trattato O'Brien e gli altri compromessi politici di Manda, ciò che non sarebbe tornato ad onore della generosità ed umanità brittanica.

Alla fine il Governo napolitano si determinò a compilare una confutazione ufficiale delle lettere accusatrici, L'imputato, cosi, affrontando il giudizio che si era studiato di evitare, si presentava alla sbarra degli accusati. In quel giorno la sua sorte fu inesorabilmente decisa.

La raccolta dei documenti riguardanti le risposte del Governo napolitano a Gladstone, si apre col giornale «II Corriere Mercantile di Genova del 13 agosto 1851 n. 188.

In una corrispondenza da Londra del 18 agosto, sotto il titolo: Camera dei comuni Tornata del 7 Interpellanza su Napoli ed il Piemonte, sono riportati i discorsi di Sir. D. L. Evans e di Lord Palmerston. In un'altra corrispondenza da Parigi, poi si legge: Victor Hugo, nella discussione di ieri sulla occupazione di Roma, è trasceso ad un motto sovversivo e ad una bestemmia. Al momento in cui Emanuele Arago accennava alle torture fisiche e morali che subisce in Ischia Carlo Poerio per comando del dominatore delle Due Sicilie, Victor Hugo gridava dal suo banco: Le roi de Naples est un miserable. La frase, nonostante fosse stata soppressa76 dal Moniteur, è stata registrata dai giornali di tutti i colori, non esclusi il Debats, che è tanto tenero e tanto a buon diritto riconoscente al piissimo bomba». Il discorso di Emanuele Arago merita di essere ricordato. Egli disse:

Vous avez tous lu, je le crois, les nobles lettres adressées par M. Gladstone, un ancien Ministre de l'Angleterre, a son ancien collègue et ami lord Aberdeen, et vous avez vu dénombrement, la statistique lugubre des prisonniers politiques du roi de Naples; vous avez vu a quel raffinement de cruauté sont portés les supplices subis a Nisida, aux galères d'Ischia, par les hommes politiques les plus honorables et les plus estimés de l'Italie (Mouvement divers), M. Gladstone nous a révélé des faits certains et véritablement monstrueux; il nous a dit que Poerio, qui a été le Ministre de Ferdinand de Naples après 1848, qui l'infortuné Romeo, sont accouplés, messieurs, entendez bien cela, Tun avec les forçats du bagne de Nisida, l'autre avec les galériens de l'ile d'Ischia! Et M. Gladstone, que toute l'Europe honnête remerciera de ses révélations courageuses, nous apprendre que Romeo, un nomine que tout le monde estime, est accouplé maintenant, accouplé main a main, au bagne de Nisida, par ordre exprès du roi de Naples, à un galérien; et cet autre galérien, savez vous quel il est? Le misérable mène, l'espion qui l'avait dénoncé.Un memore a l'extreme gauche: C'est infâme! (Bruii) M. Lavatier Laroche a l'orateur: Parlez. C'est instructif - M. Emanuel Arago:

De telle sorte qu'aujourdhui, sous le costume du bagne, sous la livrèe du crime, voilà un horame politique, un homme considérable lié par un lourde chaine, et cela puor toujours a l'expions qui l'accuse, à la cause vivente du supplice qu'il endure (Mouvements divers).Nulle part, nulle part, à aucune epoque et dans77 l'histoire d'aucune peuple, on n'a rien vu, rien soupçonné d'aussi infâme et d'aussi exécrablement cruel que cela. (Vive approbation a gauche). Ve n'era da far tremare le vene e i polsi al più indifferente degli uomini, immaginarsi poi agli autori di tanti malefici.

E di questo avviso dovett'essere il Direttore di Polizia, come si apprende da un biglietto attaccato all'istesso giornale e cosi concepito: «Si vede sempre più In necessità di rispondere alle lettere di Gladstone. Si comunichi a S. E. il Presidente del Consiglio dei Ministri». In calce si legge: Eseguito.Vien dopo una nota dai titolo: Elementi che si desiderano pel compimento dell'ordinato lavoro.In essa si domanda lo specchietto dei detenuti politici e di quelli rimessi in libertà per effetto delle sovrane indulgenze del 30 Aprile e del 3 Maggio, nonché in virtù delle decisioni delle Corti Criminali. Si domanda, del pari, lo statino delle poche condanne capitali, commutate e delle grazie concedute. Indi segue: «Molto si è scritto intorno ad un luogo del Bagno d'Ischia detto Maschio, e' si vuole che sia un cassero senza luce, posto ventiquattro piedi o palmi sotto il livello del mare.Giova conoscere se tale sia la situazione di questo Maschio, o se invece esso sia posto in luogo molto al disopra del mare, anzi in cima del Bagno, per quanto si è inteso. Qualche nozione topografica potrebbe aversi dal Comandante di quel luogo, come pure tornerebbe acconcio, a smentire le contrarie calunnie, dire dove si trovino Poerio, Settembrini e Pironti.

Si parla d'un Catechismo politico, attribuito al Canonico Apuzzo, in un luogo dell'incarto, ed in altro luogo si prende ad esaminare di proposito il Catechismo filosofico per uso delle scuole inferiori, impresso in Napoli nel 1850 da Raffaele Miranda al Largo delle Pigne N. 60.

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Si vorrebbe conoscere se i due Catechismi, cui si accenna, siano la stessa cosa, e se siano stati pubblicati per disposizione del Ministero della Pubblica Istruzione, ovvero siano un'opera privata di Autore, che ha voluto serbare rincognito. Sarebbe anche opportuno una copia di tali Catechismi sui quali Fautore del rapporto fa lunghe e velenose critiche».

Ve la data senza firma. Segue di carattere alieno: «Rimane ad indagare chi sia Fautore del Catechismo impresso da Raffaele Miranda, e se questo sia una ristampa di antica edizione, ovvero operetta tutta nuova. In questo caso dovrebbe verificarsi se sia pubblicata prima o dopo la legge sulla stampa dell'agosto 1850».

L'incarico di rispondere a Gladstone fu dato a Salvatore Mandarini, Giudice della Gran Corte Criminale di Napoli, e socio di diverse Accademie scientifiche e letterarie. Egli, che aveva preso parte, con quale animo si può immaginare, alle decisioni delle cause politiche del 48, si ebbe, in breve, gli elementi necessari per la compilazione del lavoro dal quale dovea rifulgere tutta l'umanità, la giustizia e la religione del Re. La pubblicazione, cosi vivamente attesa, fu ritardata per la morte della madre del Mandarini, il quale, alle condoglianze pervenutegli da parte delle autorità, in data 8 Settembre 1851, così rispondeva:Ragguardevole Signor CavaliereD. Giuseppe Bartolomucci,L'interesse che S. E. il presidente dei Ministri, l'Eccellentissimo signor Direttore e voi stesso prendete alla luttuosa perdita da me fatta dalla mia cara genitrice mi commuove e mi fa versare nuove lagrime. Io vi ringrazio del compatimento che accordate al mio dolore di cui non potrà esservene altro per me maggiore poiché ella, oltre i titoli di madre, aveva quelli di aver educati e prodotti in 7931 anno di vedovanza molti figli non indegni del nome del padre. Per tanto il servizio del Re {N. 8.) mi sta in cima di tutti i pensieri e però sempre che vorrete onorarmi per manifestarmi le idee di S. E. intorno al noto lavoro mi farete grazia assicurandovi che dal mio canto, stando in casa, compirò subito le varianti che si vogliono apportare.Più ingigantiva il pubblico clamore e più il Re sollecitava i Ministri perché la stampa corresse ai ripari ed alle difese.

In data 17 Agosto egli faceva scrivere al Direttore di Polizia nei seguenti termini: «Sua Maestà desidera sapere se il Direttore di Polizia si sia occupato delle risposte da pubblicarsi nei giornali circa le lettere di Gladstone, ciò indipendentemente da quanto crederà far pubblicare S. E. il Presidente del Consiglio dei Ministri sullo stesso oggetto». In omaggio ai Beali voleri la Polizia taceva giungere al Re la bozza di un articolo di Anselmi, redattore del Giornale Ufficiale, con la seguente annotazione: «Sarebbe questa la prima risposta in termini generali. Ma altre se ne potranno pubblicare per la confutazione dei fatti speciali, che riportansi nelle note lettere di Gladstone, e che sono evidentemente calunniose e bugiarde. Attendonsi gli ordini di S. M.». E gli ordini vennero da Gaeta con la seguente Risoluzione Sovrana: «S. M. trova la risposta un poco debole, ma si può pubblicare. Si facciano altri articoli nello stesso senso, da rassegnarsi sempre prima a S. M.

In obbedienza ai voleri sovrani, il Politi scrisse un articolo che provocò le ire del Corriere Mercantile di Genova. Un secondo articolo dello stesso Politi fu giudicato produzione impolitica sotto tutti i rapporti e provocante. E questa fu l'opinione del Conte Walevski al quale il Governo Napolitano, mentendo compera suo inveterato costume, alla verità, faceva dire dal Marchese Salvo:

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«che né il Politi, né gli altri che avevano voluto rispondere ai libelli di Gladstone, avevano ricevuto veruno incarico dal Beai Governo di ciò fare, e che i soli atti officiali pubblicati dal Governo del Re erano l'articolo del Giornale Ufficiale del 27 Agosto e l'opuscolo ivi annunziato». Un altro esempio della partecipazione diretta del Re in questo affare si ha in una comunicazione da Portici, in cui si dice che S. M. aveva, in Consiglio dei Ministri, dato ordine che si traducessero e si facessero pubblicare sui migliori giornali italiani quegli articoli di giornali tedeschi che rettificavano le false asserzioni di Gladstone.

Alla fine il lavoro del Mandarini vide la luce nel 7 Febbraio per i tipi del Fibreno sotto il titolo:Rassegna degli Errori e delle Fallacie pubblicate dal sig. Gladstone in due lettere indiritte al Conte Aberdeen, sui processi politici nel Reame delle Due Sicilie.Il Governo ne fece una larga distribuzione ai giornali amici, di buona tempra e conservatori. Tra questi si veggono segnati in apposito elenco: a Corfù, La Gazzetta; a Venezia, La Gazzetta Ufficiale; a Moderni, il Messaggiero; a Milano, La Gazzetta Ufficiale; a Firenze, Il Monitore Toscano e L'Eco; a Smirne, Ly Imparziale; a Trieste, Il

Lloyd Austriaco; a Roma, II Giornale e l'Osservatore Romano, La Civiltà Cattolica; ad Atene, il Corriere; a Palermo, Il

Giornale di Commercio, L'Armonia, Il Monitore Siciliano, Il Giornale Ufficiale; a Parigi, Univers, Debats, Costitutionel, Patrie, Moniteur, Ordre, Messager de l'Assemblé; a Marsiglia, Gazzetta du Midi; a Dublino, Tablett; a Vienna, Gazzetta di Vienna, Corrispondenza Litografica.Copie inoltre furono mandate alle Autorità del regno, e le loro risposte sono documento delle correnti allora in voga e dell'industria con la quale i

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convertiti alla reazione, le utilità conquistate più che le idee sostenevano.

Eccone un saggio. L'Intendente C. Pianicelli da Napoli: Dalle notizie pervenutemi ieri l'altro ho riconosciuto avere l'opuscolo meritato il gradimento di tutti i lettori, cosi per l'esattezza delie confutazioni, come per la dignità e purezza dello stile.

L'Intendente della Calabria Citeriore, Orazio Mazza: M'è dato con tutta pienezza sommetterle che non è già che siano state prese sul serio le indicate calunnie, mentre i liberali sono abituati per i principi Mazziniani a considerare come principali loro molle strepitare e dolersi di continuo senza alcuna ragione e solo per ottenere concessioni, come adulare chiunque si mostri tenero verso di loro. E', però, sugli atti del Governo Inglese che fondano, e non già nella verità o falsità delle accuse. Il Colonnello Comandante le Armi, Matieo D'Afflitto: Tutti concordi hanno manifestato, con mio estremo piacere, che non poteva con maggiore evidenza e dignità insieme confutarsi le assertive in dette lettere contenute, attenuandosi che la giustizia e l'umanità sono le gemme che maggiormente rifulgono nella Corona dell'Augusto nostro Padrone. Il Sotto Intendente di Gerace: Mal si soffre qui per sentimento che il Governo Inglese con ippocrita politica inventi calunnie per creare malcontento nel Regno ed altrove contro l'attuai Governo e della saggezza e clemenza di vecchia data del nostro Augustissimo Signore.

Si crede e fermamente che il Governo Inglese non possa durante il Ministero Palmerston essere d'accordo colla Corte di Napoli per la sola fermezza di questa in vari rincontri dimostrata. Che la Nazione Inglese eserciti un'influenza simpatica solo nella Sicilia, niente nel continente, dove è piuttosto abborrita, e finalmente che quell'attual Governo cerchi trar profitto per impossessarsi dell'isola della Sicilia che gli sta come ombra avanti agli occhi, ma che

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per l'equilibrio diplomatico Europeo, e per la buona intelligenza che passa il Nostro Sovrano con gli altri dell'Europa non abbiano che fare e perderanno il tempo spargendo ambigue voci di malcontento per animare e sostenere un partito già consunto e che non potrà mai acquistare forza fintanto che il Governo sarà composto nelle sue disposizioni e secondato dai suoi agenti. Il Commissario di Polizia di Lecce: L'Inghilterra si adopera con tutti i mezzi per promuovere altrove il disordine, affinché, distratte le menti e le braccia, inceppato il commercio, possa liberamente far monopolio. Mira l'Italia più desiderata preda e finge di farle carezze per ammiserirla dopo averla ingannata. Relativamente alle particolari vertenze con Napoli si osserva come la Nazione Inglese, che pur vantasi d'un Governo libero, permette ad un Ministro della Corona (Palmerston) di alimentare le proprie passioni. Cosi non pensano i pochi turbolenti faziosi.

Il loro affetto non è per la Patria. Essi non desiderano che stragi e rapine. Quindi si augurano ogni evento di possibile disordine. Il Commissario di Polizia di Catanzaro, da ultimo: II voluto conservatore Gladstone mostra essersi venduto anima e corpo a Palmerston, nulla curando il discredito della propria riputazione.

L'arte dei difensori di Bomba, come ognun vede, mirava a porre in mala luce e sospetto il Governo Inglese: presso i cattolici, ch'erano la grande maggioranza fanatica dei Napolitani, accusandolo d'ateismo e di far guerra alla religione in vantaggio del protestantismo la cui causa, a loro dire, s'identificava ogni giorno di più con quella dei nemici dell'ordine sociale; presso i legittimisti, ch'erano numerosi nell'aristocrazia, denunziandolo infetto di demagogismo rivoluzionario, di essere il protettore dei clubi e dei comitati di Londra, la cui azione era riuscita di danno all'Italia dove l'Austria

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si era consolidata in proporzioni che non si erano viste peranco dopo i tempi di Napoleone; presso il popolo insinuando si volesse impadronire dei commerci e della Sicilia da tanti anni agognata preda.

Il ritornello delle mire inglesi sulla Sicilia rifioriva ad ogni stormir di fronda e formava il tema abusato del Governo Napolitano, nonostante le proteste ed i ripetuti recisi dinieghi, avvalorati dai fatti, del maligno, diabolico Palmerston. E di vero! Il 19 Febbraio 1848 Palmerston dichiarava al Principe di Castelcicala, che ne riferiva al suo Governo: «Vi giuro, sul mio onore, che se la Sicilia si offrisse oggi spontaneamente all'Inghilterra, il nostro Governo non potrebbe e non vorrebbe accogliere l'offerta». Il 10 Aprile il Ministro confermava in forma ancora più esplicita le sue dichiarazioni: «Non è cambiata, egli diceva, la mia maniera di vedere quest'affare, non sono cambiati i miei voti e le mie speranze, non è cambiata la politica del Governo inglese, il quale non ha avuto e non ha sulla Sicilia alcuna mira di occupazione. Non può, però, l'Inghilterra impegnarsi in qualsiasi dimostrazione di particolare preferenza; lo che sarebbe contrario ai principi del gabinetto ed alla politica di riserva di non intervento e di faits accomplis che il medesimo intende eseguire». Nel 21 Giugno Granatelli, Scalia ed Agnetta, inviati da Palermo perché l'Inghilterra avesse riconosciuto la separazione della Sicilia da Napoli, si ebbero da Palmerston un rifiuto. Alle loro insistenze furono consigliati di elevare a re dell'Isola un principe della famiglia di Ferdinando II antico alleato della Gran Brettagna.

Al che avendo i delegati lasciato intendere che la proposta era stata già fatta ma rifiutata, e che ora avevano in mente di rivolgersi ad un altro Principe Italiano, Palmerston, nella erronea credenza, allora comune a molti, che il Re di Napoli non potesse più riacquistare la sua autorità in Sicilia, dove si sarebbe proclamata la repubblica, si affrettò a

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dichiarare che se la elezione fosse stata regolare concorde e bene accolta, l'Inghilterra non avrebbe smentita la politica costantemente seguita in avvenimenti di simil natura. Questo atteggiamento fu da lui confermato al Conte di Nesselrode il quale gli aveva partecipato, a mezzo di Brunow, la decisa volontà del suo Imperatore, (braccio ed anima dell'unione delle Corti del Nord, stipulata a Varsavia, contro il principio rivoluzionario socialista e dallo spettro della Polonia spinto a sostenere in Europa tutte le cause impopolari ed antinazionali), che se la Sicilia si fosse distaccata dai Domini continentali per formare uno stato indipendente dalla corona di Ferdinando II e della di lui dinastia, la Russia, vedendo in ciò un'aperta violazione dei trattati, non ne avrebbe riconosciuto il mutamento.

A seguito di che venivano date istruzioni a Lord Minto di non compromettere il Governo inglese col garentire, come era nei voti dei Siciliani, la costituzione del 1812, ma di limitarsi al role di mediatore, allo scopo di sollecitare e facilitare la conciliazione e conchiuderla su basi solide e soddisfacenti.

La stampa di opposizione, il Sun, fra gli altri, rimproverava Palmerston di avere cosi agito permettendo che la Sicilia, nelle mani del Borbone, schiavo dell'imperatore di Russia, diventasse il posto avanzato della invasione cosacca destinata a distruggere le libertà e l'incivilimento dell'Europa occidentale.

Ma, da ciò, nessuno pensi che il grande statista si disinteressasse della sorte dell'Isola, destinata, oltrecche, per la sua fertilità, per la sua posizione geografica, posta com'è tra l'Europa, da una parte, l'Africa e l'Asia Minore, da l'altra, a suscitare le più legittime preoccupazioni dell'Inghilterra, sempre vigile perché le vie del mare, quelle delle Indie, specialmente, rimanessero in suo saldo e sicuro possesso. Ed è perciò che Palmerston, a proposito di Mehemet Ali, Pascià d'Egitto, usciva in queste significcantissime parole:

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ciò non vedo perché l'Inghilterra soffrirebbe che qualcuno tenesse le chiavi dei suoi magazzini nella tasca». Queste aspirazioni venivano spesso in contrasto con le altre potenze più che mai interessate ad impedire che l'Inghilterra, padrona delle isole Jonie nell'Adriatico e di Malta e Gibilterra nel Mediterraneo, si fosse arricchita di nuove e più formidabili posizioni strategiche. La Francia, specialmente, dopo la conquista dell'Algeria, era portata ad una più esatta valutazione del problema, a considerare, se l'unità d'Italia fosse, nei suoi rapporti, un bene da promuovere od un male da combattere. La politica della Francia si risenti sempre di questo stato d'animo, di queste incertezze, dalle quali non sembra si sia del tutto liberata. Respingeva, del pari, Palmerston, l'accusa, che gli si moveva d'ogni parte dai suoi avversari, dal conte di Fiquelmont, specialmente, in uno scritto dal titolo: Lord Palmerston, l'Inghilterra e il Continente, di favorire, seguendo in ciò la politica dei Whigs e gl'insegnamenti di Pitt, la causa della rivoluzione, di sostenere le passioni più che le aspirazioni dei popoli san ètre, come scriveva il Copte Jarnac, en mesure de leur offrire le moindre protection quand souvenait l'explosion provoquée par ses paroles, par ses agens ou par ces auxiliaires. Seguace di quella scuola che, dopo la restaurazione del 1814 ebbe in Inghilterra a rappresentante M. Canning, strenuo propugnatore della politica ostile ad Austria e Russia e, di conseguenza, a Napoli, proclamava contro i governi ritornati improvvidamente alle leggi feudali ed al dispotismo, la necessità delle temperate riforme e dei costituzionali miglioramenti, affinché «la irresistibile forza dell'accumulato malcontento, scoppiando, non adeguasse al suolo quelle istituzioni le quali, a tempo debito modificate, sarebbero state ancora forti e permanenti». La Regina Vittoria, che non amava Garibaldi e Cavour, preoccupata di quest'uomo «enigmatico, precipitoso,

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insubordinato, che dava poca importanza alla regalità, che mutava il testo delle lettere e dei decreti» era solita esclamare: Ci vuoi guastare con tutta l'Europa! Ma Palmerston non indietreggiava. In lui vi aveva un certo non so che di popolare e di superbo accomodato ad un tempo all'orgoglio del suo paese, ed agli istinti rivoluzionari di tutta Europa che riusciva ad imporsi sui contrastanti interessi delle nazioni, a conciliarli o a dominarli. Il suo programma mirava, specialmente, a prevenire le rivoluzioni. L'Italia, egli soleva dire, essere il punto debole di Europa, e, perciò, consigliava al Papa ed ai Borbone le riforme desiderate dai popoli, all'Austria perfino l'abbandono dei possessi italiani. «Io ritengo, egli soggiungeva, che la politica reale dell'Inghilterra è di essere il campione della giustizia e del diritto: proseguendo per una tal via con moderazione e prudenza, non divenendo il Don Chisciotte del mondo ma dando il peso della sua sanzione e del suo appoggio morale dove essa pensi che sia la giustizia». A questi principi non venne mai meno anche quando, dopo gl'insuccessi dei moti del 48, la reazione gli si volse contro e lo aggredì con inusitata violenza. Oggi è giustizia riconoscere che fu suo merito grande di aver intuito che la storia, contro i deliramenti della Santa Alleanza, risaliva alle patrie in nome dei principio di nazionalità cui l'ingegnosa dottrina dell'equilibrio degli Stati dovette, alla fine, soggiacere. Di qui le sue non mai smentite simpatie verso il Piemonte che lottava eroicamente contro l'Austria per la sua indipendenza e per la difesa delle sue libere istituzioni. E ne die prova non dubbia intervenendo dopo Novara e proteggendo del suo scudo il piccolo regno ch'era nelle sue intenzioni di rendere autonomo e forte «una potenza capace di sovrastare alla influenza austriaca ed alla francese». La corrispondenza tra lui e Ponsonby ne fa chiara testimonianza. Spesso risuonò sulle sue labbra la lode per V. Emanuele che, assunto al trono,


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aveva aperto il parlamento con la dignitosa semplicità d'un re inglese, la cui buona fede ispirava confidenza e la cui energia nei principi liberali gli tornava ad onore. I trattati di commercio conchiusi col Piemonte furono dei veri patti d'alleanza, ciò che faceva dire al Principe di Schwarzenberg che la sua politica verso l'Italia doveva consistere nell'occupare le Romagne e la Toscana, fortificare Ancona e Livorno e correggere il Piemonte dall'Anglomania. E quando il Piemonte, sotto la pressione irresistibile degli avvenimenti, si fece iniziatore del risorgimento nazionale, Palmerston lo sorresse nella difficile impresa, sia pur considerando che, mentre la potenza della Turchia, colpita al cuore a Navarrino, rapidamente declinava, e, con la Russia vittoriosa, si riapriva la questione dell'equilibrio tra le potenze mediterranee, l'Italia e la Grecia, risorte a nuova vita, avrebbero rappresentato, oltreché un luogo di sicuro approdo e di difesa nel mediterraneo, un mercato non trascurabile, una barriera contro la barbarie moscovita, un ponte verso il mar nero allora vigilato e chiuso ai libero commercio. A combattere, inoltre, il Borbone, il carnefice coronato, il Dionisio Napolitano, il Nerone cattolico, il tiranno di Caserta, come la stampa liberale lo chiamava, Palmerston, oltreché dalle ragioni innanzi dette, veniva mosso da sentimenti di profondo disprezzo verso un Governo ch'erasi mostrato indegno di qualunque pietà perché pietà e giustizia non aveva mai avuto. E di ciò vi ha nei documenti prove non dubbie. Il Conte Walevski, ch'ebbe per Giustino Fortunato una grande tenerezza, diceva al Marchese Salvo, che ne riferiva a Napoli: «Je reviens, mon cher Salvo, de chez Lord Palmerston ou pendent 10 jours je n' ait fait que batailler pour votre Roi et votre gouvernement, soutenent toujours la vérité des faits contre des attaques injuste d'un homme qui ne veut pas entendre raison lorsqu'il s'agit de votre Roi et de votre gouvernement; mais l'amour du vrai,

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et le sentiment d'estime que je conserverai toujours, uni a mon respect pour sa Majesté m'ont fait soutenir un lutte acharné e qui devenait faticante parce qu'elle était la lutte de chaque jour. Lord Palmerston m'à mon tré les lettres de son frère Temple. Les lettres sont absurdes et montent la tète a Lord Palmerston. Il ne faut pas vous dire, mon cher Salvo, que L. P. est le plus grand ennemi de votre gouvernement et de votre Roi; il m'à repeté souvent: avec un gouvernement come celui de Naples je n' ai aucun ménagement a garder». Né qui si arrestava l'opera di Palmerston che egli, invece, come riferiva Castelcicala, non ristava dall'eccitare le altre potenze a muovere reclami e suscitare rimostranze presso il Re di Napoli «pour donner une forme de gouvernement qui puisse contenter les veux de tous les honnêtes gens, et changer le scandaleux lystine des emprisonnements continuels». Una maggiore audacia, un tono di linguaggio più severo veniva al Palmerston suggerito dalla debolezza del Castelcicala al quale aveva inflitto parecchie umiliazioni, non ultima quella di averlo invitato a pranzo insieme al Duca Serra di Falco e ad altri emigrati Siciliani. Le Roi, insisteva Walevski, a besoin d'avoir ici un homme d'une forte intelligence, ferme, qui ait la langue bien déliée, qui sache parler et s'imposer, s'il le faut: un Palmerston n'est pas le même avec tous, soyez en sur, mais soyez sur aussi qu'il s'étudie a vous faire le plus de mal possible». Il consiglio fu accolto ed a Castelcicala fu sostituito il Principe di Carini da Madrid. Ma, i risultati non mutarono! Dal 48 al 60 la politica inglese non si smentì mai nei rapporti con l'Italia. L'Inghilterra, di vero, sostenne e protesse la spedizione dei Mille in Sicilia e si oppose ad ogni proposta diretta ad impedire il passaggio di Garibaldi sulla terra ferma. Uguale rifiuto oppose quando Russia, Francia, Austria e Prussia reclamarono provvedimenti contro il Re di Sardegna che aveva invaso

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con i suoi soldati, al comando di Cialdini, lo Stato pontificio. John Russell, con l'assenso di Lord Palmerston e del Gabinetto, in uno storico telegramma a Sir J. Hudson, «far voti, esclamava, che il popolo italiano, dopo tanti eroici tentativi, riuscisse a consolidare l'edificio della sua indipendenza, circondato dalla simpatia e dai voti dell'Europa». E questi sentimenti trovarono la loro definitiva conferma in un altro telegramma del 30 Marzo 1861, al Marchese d'Azeglio, in cui lo stesso Russell, in omaggio al rispetto dovuto all'indipendenza delle nazioni d'Europa, sì affrettava a riconoscere Vittorio Emanuele II re d'Italia.

* * * *

Il 23 Settembre 1851 Fortunato, nello inviare alcune copie della Rassegna al Conte Walevski, così scriveva:

«... Vous verrez, mon cher Comte, que dans cette Brochure on ne répond pas seulement par des considérations générales a toutes les calomnies qu'il a più a M. Gladstone de débiter contre nous; mais c'est successivement qu'elles sont resultéès et non pas par de simples mots ou des phrases, mais en se servant de preuves irrécusables et de documents authentiques.

Vous y troverez même un exposé des principales dispositions de nos Lois Criminelle, qui sont, comme vous savez, les plus larges du Monde civilisé.

Il est tout à fait inutile qui j'essaie de vouloir vous indiquer l'usage que vous pourrez faire a Londres de cette Brochure car votre habilité et vos talents diplomatiques ne sont que trop connus, et surtout la bonté que vous avez eu pur moi, et dont je garderai tant que je vivrai le plus doux souvenir, ne s'è tant jamais démentie, je suis persuadé qu'en cette occasion vous m'en donnerez de nouveaux témoignages».

A tergo si legge:

Portici 23 Settembre 1851. S. M. l'ha letta ed approvata. 90

Non sembra che Palmerston si fosse curato più che tanto della cosa. E ciò si argomenta dal rapporto di Castelcicala del 3 ottobre, da Londra, del tenore seguente:Eccellenza,Ricevei il dì 25 del decorso Settembre il suo pregevole dispaccio del 13 dell'istesso mese ed i trenta esemplari dell'opuscolo costà stampato di risposta alle calunniose lettere di Gladstone.Questo Cav. Canofari ne ha prontamente fatta la versione in Inglese, e con eguale prontezza ha poi della medesima curato la stampa nel numero di mille copie.

Oltre la metà di esse è già distribuita alle Missioni straniere, ai Circoli ed alle persone rimarchevoli che trovami presentemente a Londra e nelle Contee,E conto fra due giorni, al più, aver distribuito del pari le copie residuali.La stampa periodica, avida di popolarità e serva perciò, del demagogismo, continua ad essere ostile. È lo stesso Times, che settimane fa pareva ritornato sul sentiero della giustizia, attaccato dai malevoli nella persona del suo corrispondente, è divenuto di nuovo contrario, siccome V. E. rileverà.Attesa siffatta avversione del giornalismo, generale, ostinata e parziale, V. E. approverà, oso lusingarmene, il mezzo di pubblicità adottato, come il solo che fosse più rapido e meglio conveniente.Or ripeto quello che ho avuto l'onore rassegnarle con altro rapporto, essere cioè utile, anzi necessario al Reale interesse, che del malaugurato affare Gladstone non si tenga, se è possibile, più da nostra parte alcun proposito. I buoni sono ampiamente persuasi e i cattivi noi saranno mai. 91 Fra i documenti da me studiati vi è una lettera di Ferdinando Schenardi (basso agente e falso testimone a servizio della Polizia) dalla quale si apprendono le male arti messe in opera dal Governo Napolitano per corrompere la stampa inglese e metterla contro Palmerston. Eccone un brano:

«Mi pregio soccartarle un articolo tradotto dal giornale inglese lo Shipping Gazzette del 16 Settembre, il quale è più positivo dell'altro che le feci tenere contro Lord Palmerston e la sua doppia politica. Ora, essendo il cennato foglio forse il solo che in Londra arditamente mostra tanto coraggio civile, da non fare niun conto della potenza del Ministro Inglese, mi sorgerebbe l'idea, essendo i redattori, e precisamente quello che si diletta a scrivere simili articoli contro Palmerston, molto intimo e corrispondente del nostro D. Gaetano Caracciolo, di mandargli da qui gli elementi per fargliene scrivere continuatamente e farlo diffamare per quanto è possibile coi giornali del suo paese, tanto più che lo Shipping Gazzette è un foglio commerciale sparso per l'Europa non solo, ma in America e nelle Indie».

Lo Schenardi, per invogliare sempre più all'impresa scriveva: che Lord Palmerston era un essere che ripugnava ad ogni uomo ragionevole.

Non si creda che i suggerimenti di questi agenti segreti, di queste spie prezzolate, tra le quali figurano Girolamo De Nigris, Michele Pertile, Pietro Lettini, Giuseppe Goffredo, Giuseppe De Pontini, Michele Perez, non fossero ascoltati. Tutt'altro! Dirò dippiù che la politica del governo borbonico, compresa quella estera, che veniva trattata personalmente dal Re,

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si risente della mentalità cieca e volgare dei suoi bassi informatori. Cosi, per darne un esempio, il governo, legato alla catena delle tradizioni, degli errori, e dei sospetti che gl'impedivano il passo e lo paralizzavano nell'azione, nello insorgere di tutte le forze sane del paese si ostinava a non vedere altro che l'opera occulta di Sette, di quel demagogismo che, si affermava, mettesse capo a Mazzini e che tanto preoccupava le cosi dette ordinate monarchie, o l'oscuro disegno dell'Inghilterra ad allargare il suo dominio diretto e la sua influenza nel mondo. Né minori diffidenze gli suscitavano i liberali che il Foglio Ufficiale paragonava agli iloti ébri e servili mentre le virtù spartane appartenevano ai realisti puri «a coloro che sapevano morire anche sotto le rovine dei Granili al grido di Viva Dio! Viva il Re!». L'infatuazione dei partiti si è manifestata sempre con l'istesso gergo!

Ad un osservatore, però, per quanto superficiale, non sarebbe sfuggito che l'intima unione e l'accordo in un piano di resistenza, tra uomini per fedi tra loro profondamente diverse, si era venuta sempre più consolidando a misura che la mala condotta del Re e dei suoi Ministri cacciava sull'istesso binario e stringeva in un medesimo sentimento, per le ragioni della comune difesa, la parte eletta della nazione. Costretto il meglio della popolazione ad emigrare, (si vuole che Ferdinando deplorasse che la rivoluzione gli avesse tolto le migliori teste!), ed i meno adatti impossessatisi dei poteri pubblici, la violenza, la corruzione e l'arbitrio furono elevati a norma di governo, mentre le vittime della tirannide portavano in esilio con il racconto delle loro sventure, la prova delle infamie borboniche richiamando sui loro tristissimi casi la pietà e l'interesse del mondo civile.

L'opuscolo, edito dal Governo Napolitano ad opera di coloro ch'erano stati gli artefici principali dei malefici denunziati da Gladstone,

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suscitò nuove e più accese dispute tra realisti e liberali impegnati, più che mai, nella difesa delle loro posizioni e dei loro principi.

In quest'opera di libero esame i giornali Inglesi furono in prima fila tra i più animosi.

Il Times che nel 21 settembre aveva pubblicato, per le insistenze di Castelcicala, un largo sunto delle difese del Governo Napolitano e, ingannato dal suo corrispondente, aveva, benché tiepidamente, tentato di giustificare i procedimenti ed i metodi del Borbone, ritornando il 25 e 26 settembre sulle sue dichiarazioni, al Governo di Napoli che s'illudeva di aver distrutto le accuse lanciate da Gladstone con la confutazione di alcuni insignificanti particolari di fatto sulle prigioni, sui detenuti e sul modo con cui, dal lato procedurale, si erano svolti i processi politici, faceva notare che la possibilità di simili inesattezze era stata ammessa dall'istesso Gladstone che si aspettava di essere su questo terreno smentito e confutato. Ma la fallacia di alcuni dati di fatto non poteva distruggere la sostanza della denunzia contro una condotta, che, al dire dell'istesso Gladstone, oltraggiava la religione, l'incivilimento e la decenza. «Quello che il Governo Napolitano, scriveva il Times, doveva provare, non era il dimostrare che le prigioni d'Ischia sono al di sopra del livello del mare e che una cella di date dimensioni non esiste in Vicaria, e che un macello di detenuti fu fatto a Procida invece che altrove. Provar dovea soltanto che le leggi del Paese e la regola dell'equità furono osservate nello arresto e nella condanna degl'incolpati politici. Ciò che Gladstone ha denunziato ai popoli d'Europa si è la prostituzione della legge stessa nello scopo della politica reazione, e il Governo Napolitano ha lasciato da banda virtualmente e interamente questo punto di accusa nella sua risposta. Il Globe scioglieva un inno a Napoli: «Terra di tremuoti e carceri sotterranei,

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ove versasi periodicamente sangue, mentre il fuoco del Vulcano non è mai. spento ed il travagliato spirito di libertà, benché si dibatta convulsivamente, non ancora è estinto».

E dopo aver confutato le mentite affermazioni del Governo Borbonico, concludeva che i denunzianti ed i testimoni meritavano di essere messi in prigione come schifosi calunniatori, ed i giudici destituiti come servili istrumenti d'una Corte vendicativa.

Il Leader, giornale repubblicano, con una serie di assennate considerazioni e di nuovi fatti ribadiva le accuse di Gladstone e svelava tutta la trama degli inganni ai quali si erano abbandonati i difensori di Bomba i quali avevano tentato invano di giustificare la terribile violazione di tutti i principi di giustizia nei corrotti tribunali, degenerati in istrumenti di un regno di terrore, e la vile evidenza di accusatori subordinati. «II sanguinolente spergiuro dello stesso Re, dalla prima concessione d'una costituzione ed anche dopo; le stragi del 15 Maggio, mentre il Monarca pregava nel suo palagio; l'esilio e l'imprigionamento di due terzi dei rappresentanti Costituzionali; la confisca delle proprietà; le brutali indecenze e barbare crudeltà delle sotterranee prigioni, tutti questi piacevoli dettagli, attestati, noi non sappiamo dire da quanti testimoni oculari, sono scansati da giochi di parole, oppur negati interamente». In quanto al numero dei prigionieri politici, che le difese borboniche facevano, da venti mila circa, discendere appena a 2024, a parte la veridicità di tali affermazioni, il Leader non a torto osservava, che la chiave dell'enimma era il lungo incarceramento preventivo dei prigionieri, i quali dopo aver sofferto una lunga detenzione, venivano, infine, assoggettati ad un giudizio preliminare e consegnati a giurisdizioni speciali.

Il Morning Chronicle riassumeva con lucida chiarezza in due articoli del Settembre e del Novembre 1851 quelle che sarebbero state le conseguenze indeprecabili

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dell'azione spiegata da Gladstone. Ecco le sue parole profetiche:

«La rivelazione dei fatti denunziati nelle lettere a Lord Aberdeen è un primo passo verso un cangiamento in meglio; perché lo stesso Governo Napolitano deve cedere innanzi al giudizio di tutto il mondo incivilito. Nello stato odierno dell'Europa sarà impossibile mantenere le condizioni attuali dell'Italia. La proclamazione d'un governo libero in Piemonte è venuto a portare un colpo fatale al sistema del dispotismo, ed ogni giorno di vita del sistema parlamentare introdotto nel regno di Sardegna affretterà la caduta delle tirannie sopravvissute.

E' a sperare che il tiranno di Caserta non cadrà solo».

La Rivista d'Edimburgo pubblicò nella puntata del trimestre di ottobre 1851 un articolo intitolato: La Giustizia Napolitana in cui, al dire di Giuseppe Massari, «sono con succosa e calzante brevità raccolte tutte le iniquità che si commettono a Napoli nei processi di Stato».

In Francia la lotta si riaccese tra i soliti giornali e specialmente tra L'Univers diretto da G. Gondon e la Presse diretta da Emile de Girardin.

Giulio Gondon, però, in un articolo, rispondendo al Chronicle, era costretto a riconoscere che la difesa dei suoi amici era stata male accorta, ma se ne consolava sentenziando: «Si l'art de l'ecrivain ou de l'orateur est indispensable, pur faire triompher une mauvaise cause, la vérité a seule le privilège de vaincre sans artifices». Avendo l'Univers negato le confische, la Presse pubblicò l'elenco delle persone ch'erano state vittime d'una misura cosi odiosa.

Queste difese, però, ebbero un critico severo nella persona diGustavo Chatenet, avvocato presso la

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Corte di Appello di Parigi il quale, aiutato da un suo amico di Sicilia, scrisse un opuscolo quanto mai giudizioso dal titolo: Le Roi de Naples, devant l'Opinion Publique, Suite au Procès commencè par M. Gladstone dans ses lettres a Lord Aberdeen.Lo Chatenet si riporta innanzi tutto alle parole pronunziate da Thiers dalla tribuna sul cominciar del, 1848: tout gouvernement absolutiste ou libéral, qui viole les droits de l'humanité, doit en rendre raison a l'Europe entière. Indi sostiene avere Ferdinando II voluto i fatti del 15 Maggio, la revoca della Costituzione, i processi di Stato, le confische ed ogni altra violenza contro la legge, la buona fede ed il patriottismo dei suoi sudditi. Conferma non poche delle accuse formulate da Gladstone e le convalida con nuove prove. Conchiude, pieno di fede, con queste parole ispirate: Martyrs, rejuissez vous! La volonté de Dieu sera faite. Vos larmes et votre sang n'auront pas coulé en vain!Gli rispose il valoroso scrittore e stimato cittadino Terenzio Sacchi nelle sue brevi Note (Napoli Stamp. Reale 1857) contestando il diritto della rivoluzione, battuta clamorosamente, a muovere reazione contro il Governo di Re Ferdinando II, il quale, nella coscienza del suo dritto, era stato benevolo verso i veri o supposti rei politici. Che il dissenso con le altre potenze doveva ritenersi di niun valore e destinato subito a sparire, mancando una cagione vera capace di turbare profondamente quei principii e quegli interessi comuni degli Stati che sono allo stesso grado di civiltà.

In Italia i giornali seguivano ancor essi le loro tendenze politiche ed il sentimento dei governi.

In Napoli, dove la stampa aveva fatto il silenzio intorno alle questioni che più interessavano il reame, l'Ordine, con la sua succosa studiata brevità, pubblicava: «Dopo la serie splendidissima delle confutazioni dell'Orare, dell'Univers, dell'Union, della Patrie, del Corriere Italiano, e di altri strenui giornali,

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qual pro rimbeccare una scritta la cui falsità è cosi evidente come inconcepibile si è il doversi attribuire ad un uomo del merito del Signor Gladstone?».La Bilancia di Milano si faceva scrivere da Londra, che, avendo Lord Palmerston ad un pranzo preso occasione dalle lettere di Gladstone per dar corso alle sue declamazioni contro il Re di Napoli, il Conte Walevski, ambasciatore della Repubblica francese, frenandosi a stento, gli aveva risposto pubblicamente e ad alta voce in questi sensi:

«Milord, sono pochi mesi ch'io son partito da Napoli, dopo d'avervi soggiornato quasi due anni, e posso dirvi che i fatti narrati nelle lettere, sulle quali vi puntellate per assalire il Re di Napoli, sono in parte falsi ed in parte esagerati. Il Re di Napoli ha dovuto aggravare la mano su uomini che cospiravano per rapirgli la corona, qualsivoglia altro Governo in simili condizioni avrebbe fatto lo stesso, e ve ne ha non pochi ch'ebbero assai meno umanità».

Il Risorgimento scriveva: «L'Europa ha udita la solenne, schietta, autorevole testimonianza del Gladstone, oggi il reo stesso viene a deporre contro di sé medesimo e se prima era reo convinto, oggi è anche reo confesso».

Contro il Risorgimento insorse con un articolo violentissimo la Gazzetta Ufficiale di Venezia. «Paladino di doppia natura, in essa è scritto, impresso dal carattere ibrido di foglio ufficiale ed indipendente, rompe due volte il Risorgimento una lancia a difendere il libellista dai semplice ed ignoto ricatto del vero, onde l'anonimo napolitano smentisce le fallacie e gli errori che mostruosamente deturpano le sue lettere».

L'articolista continua sempre più rincarando la dose e difende il Re «colpevole per avere, primo fra i potentati d'Italia, domato nei suoi domini la rivoluzione;

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per avere ospitato il Pellegrino apostolico, vittima già devota alla morte, se occulta fuga noi sottraeva ai perdonati ribelli ed assassini spergiuri, per avere sventato i conati di quella setta, che, sotto il pomposo ed impraticabile assunto dell'unità ed indipendenza d'Italia, aspirava al potere per diventare tiranna».

La Maga, che si stampava a Genova, nella rubrica Ghiribizzi aveva queste spiritose ma amarissime celie:

«Il Re di Napoli, per mostrarsi resipiscente dopo le lettere di Gladstone, ha fatto ferrare non si sa quanti altri galeotti liberali nelle isole di Procida e d'Ischia. Verrà tempo che ferreremo lui, se Dio è giusto.

«Si sono fatti molti nuovi arresti per sospetti politici. Fra gli arrestati si trova una fanciulla di 18 anni figlia di una delle più considerevoli case di Napoli. Così il Re Bomba risponde alle dichiarazioni di Lord Palmerston, il quale alla sua volta cerca di spaventarlo con cinque o sei fogli di carta spedita alle legazioni... Oh! il re di Napoli è un miserabile.Imprecazioni politiche - «Io vorrei che finisse come un Deputato napolitano nelle unghie del Re di Napoli, come un prete costituzionale compianto da Monsignor Code».Il Fischietto, giornale umoristico che vedeva la luce in Torino, pubblicava una poesia dal titolo: Apologia di Re Ferdinando. Questi, scimmia ed immagine di Caracalla, dopo aver confessato i suoi delitti, traendone vanto come di nobili gesta, conchiude:Genti d'Italia - Le avete intese?Son tutte bubole - Del Lordo inglese.Né prove limpide - E' d'uopo addurciQuando lo predica - Il padre Curci.Quando il cattolico - Signor BaroccoIn Francia sfodera - Per me lo stocco, 99E il venerabile - Di Mae farlanoCon tanta grazia - Stesa la mano,Mi palpa e annuncia - Un bel biondino;E lo conoscono - Fino le ghiande;Biondo da piccolo - Santo da grande. , Il Times di fronte a tanto spettacolo, con arguto senso di critica ispirata alla realtà obbiettiva, scriveva: «Anche un' assoluta ed oscura monarchia, amministrata da Gesuiti e guarentita dalle baionette dello Czar, non ha osato fermarsi ad un dignitoso silenzio e disobbedire alla chiamata che la citava avanti al Tribunale della pubblica opinione. Il Governo di Napoli ammette la giurisdizione della Corte di giustizia ed apparisce con la sua difesa. Né qui può esservi alcun dubbio intorno ali' ultimo effetto della sentenza, quando un tale involontario omaggio è tributato dall'autorità del Tribunale».

Il 25 novembre 1851 il Barone Antonini scriveva da Parigi al Marchese Fortunato: «Je vois que Gladstone prépare une nouvelle publications, mais j'espère qu'elle sera d'un bien meilleur tori et esprit.

Il adhérera sans doute a la substance de ses premières assertions, mais je suis persuade qu'il y aura bien des rectifications qui seront utiles.

Il dernièrement a reçu de moi tous les bons avis que j'ai pu lui donner». E fu in parte veritiero! (1)

La terza lettera di Gladstone vide la luce da Carlton Gardens il 29 gennaio 1852 sotto il titolo: Esame della risposta Officiale del Governo Napolitano Del molto Onorevole Guglielmo Gladstone.Io conosco ben pochi scritti politici che per elevatezza e profondità di pensiero e di critica,

(1)

Ministero degli affari esteri, fascio 4362.


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per vigoria di stile e di polemica si possano a questo paragonare. La pubblicazione del Governo Napolitano, dice Gladstone, nonché rassegna degli errori e fallacie ecc. avrebbe dovuta intitolarsi: tacita ammissione dell'accuratezza dei nove decimi delle asserzioni contenute nelle due lettere al conte Aberdeen. Questa sentenza egli avvalora con la ritrattazione di alcuni fatti del tutto insignificanti e con la conferma degli altri che fortifica di nuove prove e di acutissime osservazioni. Nella riconferma delle accuse rifioriscono, nella loro miseria e bruttezza, quelle delle torture corporali praticate dalla polizia nelle prigioni; dei mezzi vergognosi adoperati per avvilire nelle persone dei giudici l'alta dignità della professione legale; della composizione delle Corti speciali con Magistrati ligi al potere politico; della detenzione delle persone (Empara) anche dopo che furono assolute dai Tribunali (1); della carcerazione dei preti

(1) Ministero di Polizia. Incartamento 1860. Vol. 6. parte 3. Anno 1850.S. M. considerando che l'empara è un atto che ha effetti diversi dall'arresto, perché esso, per circostanze particolari applicabili a taluni detenuti, sospende le disposizioni generali delle leggi, ha determinato che la Polizia ordinaria abbia la facoltà di emparare i detenuti, da esercitarla nei seguenti casi e modi:

1.

Si può emparare un detenuto per conto della polizia ordinaria per uno degli oggetti di alta Polizia designati nell'articolo terzo delle sovrane istruzioni del 22 gennaio 1817, cioè per reità di Stato, per riunioni settarie, per fazioniche per loro natura e per loro estinzioni possono compromettere la quiete di uno o più comuni.

2.

Si può egualmente emparare il detenuto per conto della Polizia ordinaria quando la di lui indole sia tale che possa turbare la pubblica tranquillità con la organizzazione di masnade armate o di occulte associazioni di malfattori.

3.

Si può finalmente emparare, oltre i casi suddetti, purché la Polizia ordinaria ottenga ed annunzii una espressa determinazione di S. M. nel caso individuale.

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contro la legge che ne vietava l'arresto preventivo; del numero dei condannati; dei testimoni di stato; della infamia delle prigioni; della viltà dei medici in confronto dei prigionieri politici; delle persecuzioni contro i patroni degl'imputati; del sequestro e delle confische dei beni a danno dei giudicabili; dell'assassinio del Carducci, la cui testa non era stata sottoposta ad alcuna taglia; della pace domestica distrutta; della legge ignominiosamente messa da canto quando non poteva essere adoperata come istrumento di oppressione. Ma a ben altre considerazioni s'innalza l'acutissimo intelletto di Gladstone e le sue parole vanno a colpire inesorabilmente, con la pratica, i principi ai quali il Governo Napolitano informava la sua azione. Il tentativo fatto dal sommo statista con le due lettere precedenti di evitare ogni allusione diretta alla politica veniva cosi a fallire. Non è questione di sapere, dice Gladstone, in risposta ai suoi critici, quale sia da preferire, se il principio di conservazione o quello di progresso. Entrambi sono buoni in sé medesimi. Essi sono sempre esistiti ed esisteranno in ogni società europea in opposizione determinata. Ma, in nome di questi principi nessuna offesa alla verità ed alla giustizia può essere, sia pure da una 'tacita connivenza, incoraggiata. A coloro, poi, che nella denunzia dei fatti abbominevoli vedevano come un'incoraggiamento dato alla rivoluzione e di ciò si facevano un'arma di combattimento, rivolgeva queste parole: «Vi è una filosofia la quale insegna ovvero procede come se fosse insegnata, che si deve lasciare passar tutto aversis oculis piuttosto che dare incoraggiamento alla rivoluzione; gli oracoli di questa filosofia dimenticano esservi parecchi modi d'incoraggiare la reazione. La rivoluzione al pari della reazione qualche volta si promuove col secondare gli sforzi dei suoi amici, qualche altra volta coi lasciare libero corso agli eccessi ed alla frenesia dei suoi nemici». Questa era la dottrina prevalente in Inghilterra, e

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ad essa Gladstone e Palmerston aderivano con medesimezza di pensiero e di fini. La teatralità abituale in Italia nel maneggio delle faccende politiche, la vivacità ed il sentimento che prendono il passo sulle facoltà più pratiche e sulla formazione di fisse abitudini mentali, sono da lui aspramente biasimate. Egli esamina i fatti del 48 e difende il Parlamento ed il popolo dalle accuse della reazione. E prosegue sempre più innalzandosi ed elevandosi nella sfera delle politiche considerazioni, degne di essere più che mai meditate per la indistruttibile essenza della verità in esse contenute e per la storia ch'è, per chi sappia intenderla, la maestra della vita. «E' vero, egli dice, che dallo studio della storia si rileva come le non savie concessioni siano fonte di molti mali; ma egli è pur vero che fonte di mali maggiori è la non savia resistenza, la quale è anzi troppo frequentemente la sorgente primaria dei mali che poscia derivano dal sistema opposto di politica, perché la resistenza non savia appunto è d'ordinario la cagione che ingrossa il torrente ed accumula le acque al segno che quando giunge il giorno dello scoppio sono assolutamente ingovernabili. Un po' di tempo può essere guadagnato con giganteschi lavori di repressioni, durante il quale non si senta il minimo mormorio, ed in siffatto breve periodo di tempo, gli statisti vestiti della passeggiera loro autorità posson procacciarsi credito presso il mondo per il perentorio esercizio del potere, e per avere schiacciata, come si suole dire a Napoli, l'idra della rivoluzione, ma ogni ora di quel tempo non è comprata ma tolta a prestito con un interesse di cui negli annali della medesima usura non si trova riscontro: e l'idra della rivoluzione non é realmente schiacciata dal tentativo od anche dalla momentanea riuscita di schiacciare sotto il nome di rivoluzione un aggregato misto ed eterogeneo di influenze, di sentimenti e di opinioni fra cui non corre assolutamente altro vincolo tranne la comune ripugnanza verso i rigori e la corruzione esistente.

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Contemplando le cose sotto l'aspetto puramente politico ciò equivale a fare un arruolamento a pro dell'armata nemica. Egli è indubitato che quando un governo tratta tutti i suoi nemici come colpevoli di progetti di sovversione, esso, in virtù delle leggi della nostra debole natura, a niente altro riesce se non a confondere le due cose in una, ed alla fine ve. de adempirsi le sue miserabili predizioni con la sua ancor più miserabile rovina». Smentisce con la parola stessa del Re che la costituzione, l'arca santa sulla quale dovevano poggiarsi le sorti del popolo e della corona, fosse stata domandata dai soli agitatori e ricorda che le petizioni pel ritorno alla monarchia pura erano state fatte per ordine e sotto minaccia da parte delle autorità governative. Respinge, sulla base della politica inglese, chiaritasi favorevole al libero scambio e contraria a nuove occupazioni territoriali, ogni sospetto di mire di conquiste nelle regioni del mediterraneo.

«Nel Ministero di Napoli, egli soggiunge, sono uomini che menan vita molto religiosa e la cui onoratezza privata e pubblica è ben conosciuta: torna quindi di conforto il credere che essi medesimi siano vittime ed ingannati dal sistema di cui sono in pari tempo gl'istrumenti. E' poscia un dovere e torna a soddisfazione di fare il medesimo presupposto intorno al sovrano». E conchiude: «E a cosa si riduce alla seguente alternativa: o il governo napolitano vorrà separarsi da quelle sozze iniquità, od altrimenti sorgerà la quistione se giusto e savio sia appoggiare e sorreggere la dottrina di coloro che insegnano i re ed i loro governi essere nemici naturali dell'uomo, tiranni dei corpi, profanatori delle anime».

Ancora una volta l'ambasciatore Principe di Carini si fece a tormentare Lord Aberdeen per ottenere da Gladstone di non più occuparsi di Napoli e dei suoi governanti.

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L'Aberdeen rispose: «No, non è facile. Il Sig. Gladstone è uomo onesto, e di ottimi principii, se ne può garentire la virtù, mais il est furieusement entétè. Il che faceva dire a Fortunato, come si legge scritto di suo pugno in margine alla nota: «non essere a suo giudizio conciliabile onestà, principii buoni, con entètement che ne fa manifestare ed applicare pericolosamente degli affatto contrari».

Soggiungeva l'Aberdeen che Gladstone s'era ravveduto sulla Reale persona ma rimaneva sempre più mal disposto verso i subalterni. In quanto all'opuscolo bisognava ritenerlo decisivamente l'ultimo e scritto soltanto con l'animo di non essere obbligato nella Camera a rispondere verbalmente alle interpellanze che gli avrebbero potuto essere rivolte (1).

Il Marchese Fortunato, che aveva risposto al Barone Antonini essere, a suo giudizio, l'affare delle lettere ormai compreso tra quelli che più si mescolano e più putono, al nuovo attacco non mosse ciglio né piegò sua costa. «Fin tanto, egli scriveva al Walevski, che gli suggeriva di pubblicare il Libro Bianco, Palmerston sarà al potere, esso non farebbe altro effetto che accrescere di mille doppi l'inquieta ed iniqua sua avversione verso di noi ed animarlo sempre più a procurare, con ogni mezzo, che il suo orgoglio e la sua nequizia possano suggerirgli, la nostra rovina. Ed a tal proposito vi dirò le poche parole con le quali il buon Barone di Brokausen tolse da me commiato nei giorni scorsi: Mon ami, egli mi disse, tachez de ne donner a Palmerston aucun pretexte contre vous».

Non per questo gli apologisti della mon archi a si tennero in silenzio.

C. Inn. Ridamas a 22 Maggio, mosso non si sa se da carità pel natio loco o da altro sentimento,

(1) Ministero degli affari esteri, fascio 6362.

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pubblicava il Saggio Storico Critico Sulla Nuova Pubblicazione dell'Onorevole G. E. Gladstone Relativa Al Governo delle Due Sicilie in cui i vecchi motivi e le abusate frasi venivano rimesse a nuovo.

Le difese borboniche, salvo rarissime eccezioni, si tengono tutte in un'atmosfera bassa, in un contrasto che va dalle affermazioni dommatiche, all'ingiuria banale ed al pettegolezzo, lontane le mille miglia dalla serena indagine delle cause, dalla valutazione dei principi e dalla serena critica obbiettiva dei fatti. L'ingegnosità e la furberia ne formano il contenuto e la mano e l'anima del curiale, alla ricerca di sofismi e di cavilli per vincere con ogni mezzo la sua causa, si manifestano là dove sarebbe oc corsa la parola del pensatore, cui la storia talvolta tutta si disvela. Una degna e nobile eccezione fa Luigi Blanck, lo storico insigne le cui opere postume gli hanno confermato la fama che si era meritata nella repubblica delle lettere. Egli ha scritto una risposta, tuttora inedita, alle lettere di Gladstone, che merita di essere, a titolo d'onore, ricordata.

Il Blanck biasima il punto ristretto nel quale si era posto il Governo Napolitano obbligato, per voler tutto giustificare, a ricorrere a reticenze ed a falsi ragionamenti. Bisognava, egli dice, prendere una posizione più retta ed avere il coraggio di convenire in molte cose tristi, e solo mostrare chi le aveva provocate. Perciò fare era necessario riassumere, più che analizzare in dettaglio, l'opinione di Gladstone, ed indi posare dei principii, che ne mettevano a nudo la debolezza di tutto il lavoro e non delle sue parti.

La società, egli prosegue, minacciata, si difende. Ora, se la reazione è nelle dottrine, come stupirsi che passa nei fatti? La più grande calamità delle discordie civili, invece, è che i vinti sono giudicati dai vincitori, ciò che è inevitabile, perché quando

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una nazione è divisa in opinioni, che tengono alle credenze le più alte, ai sentimenti i più generali, alle idee le più in corso, ed agl'interessi di tutti, è impossibile avere dei magistrati, degli amministratori che siano estranei a queste maniere di giudicare le cose, poiché niuno può essere ad essi estraneo. Ed ecco perché gli uomini di Stato, che conoscono questo scoglio, effetto delle dissensioni politiche, sanano con delle aministie questi mali, ed è noto che mai i rei politici subiscono tutto il tempo della loro pena, e giustamente. Ma le aministie hanno bisogno di due condizioni, cioè che i vincitori siano rassicurati, e per essi le società che reggono, e i vinti rassegnati. E' effetto delle discordie politiche di annullare per un tempo e le opinioni moderatrici e gli uomini che le professano; questi come quelli non rinvengono, che quando la tolta ha tutti stancati, ha provato che niuno dei principi esclusivi può dominare solo, per cui necessità di transazione. Un sunto della storia del Regno di Ferdinando II, egli prosegue, potrebbe facilmente dimostrare che la sua tendenza è stata costantemente di separarsi dalle tradizioni del partito reale esaltato, ed amalgamare i partiti, e che infine ha ceduto anche alle nuove forme politiche, non per impotenza di combattere, ma per evitare sangue; che dal 30 in poi, non il paese ma una fazione non ha accettata la pace, ha cospirato sempre, anche dopo lo Statuto, che ha considerato, non come la fine delle discordie, ma come una macchina di guerra per rovesciare il Trono; dunque la reazione è venuta perché non si è voluto accettare lo Statuto, e non per esso. Si dibatte sul numero degli accusati politici. Bisogna andare più alto; certo niuno può disconvenire che il Governo è stato attaccato in Napoli il 15 Maggio, che, battuta al centro, la fazione si è portata alla circonferenza, e la Calabria, le Puglie, la Basilicata, gli Abruzzi, formando Comitati, obbligando le autorità a ritirarsi, ad accodarsi alla rivolta, hanno negata tutta obbedienza al Governo,

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hanno ritenute le contribuzioni, e tutto ciò quando lo Statuto era confermato, e con l'ausilio dei Siciliani, che certo non combattevano per lo Statuto, ma contro il Trono. Ora, che vi siano sei mila imputati per produrre questo effetto, è naturale; ora questi, se riuscivano a rovesciare il Trono, avrebbero domandate ricompense, non devono trovare strano che, vinti, siano soggetti alle pene, che la legge da a simili misfatti; essi non hanno a lagnarsi. La nullità della resistenza delle province rivoltate, che altra volta lottavano con Massena, Macdonald ed altri, la facile conquista della Sicilia, tutto doveva provare ad un illuminato osservatore che questa fazione non avea radice nel paese, ora la fazione di una setta Europea e non l'espressione del paese, i nuovi bisogni, i suoi desideri reali, ed il fatto il più chiaro era che, per fare oggi ciò che si fece al 20, come pretende il Gladstone, allora ci volle un Congresso Europeo, 50 mila stranieri stazionati per 7 anni nel paese, ed ora ciò si è fatto coi propri mezzi, contrariati da due grandi Potenze, a cui la fazione che aveva gridato sulla intervenzione, si appoggiava, e circonveniva, e gli dava intendere ciò che non era, come il fatto ha provato, per cui risulta chiaramente che in 30 anni la fazione ha talmente perduto, giacché al 20 il Governo si appoggiava agli stranieri contro di essa, ed ora essi si appoggiano sugli stranieri. ed attendono il 52. Bisognava accettare i fatti e spiegarli e tutti deplorandoli, cercarli a lenirli, ciocché il signor Gladstone non ha fatto, giacche ha posto il Governo nella impossibilità di far nulla sotto l'azione di una minaccia, che ha rivestito un carattere uffiziale, ne risulta, che quei che si vedono appoggiati da una grande potenza si comprometteranno di più, e come questa Potenza non può far nulla per essi, e lo dichiara, non può che aggravare la loro sorte, rendendosi più arditi e il potere più irritato.

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I principii enunciati dal Blank si risolvono in un'accusa agli estremisti che con la loro irriducibile ostilità provocarono la situazione nuova dalla quale doveva germinare l'unità d'Italia. Essi non sentirono il dovere di dichiararsi vinti, di desistere dal combattere per darsi, viribus unitis, al consolidamento della pace e delle istituzioni. Ma, ohimè! il Primato di Gioberti, le libertà costituzionali proclamate tra la comune esaltazione dei popoli, la Guerra santa, benedetta da Pio IX, il ridestarsi della nazione in una primavera di sogni e di speranze, in un'accesa volontà di eroismi e di sacrifici, lo sprigionarsi di correnti romantiche pervase di misticismo che da Roma, meta e termine delle aspirazioni nazionali, attingevano ogni loro possanza e valore, tutto tendeva alla distruzione del particolarismo, all'abbattimento delle mal ferme barriere tra italiani e italiani, alla ricomposizione della stirpe entro i suoi confini naturali.

E questo sentimento si faceva strada e s'imponeva ogni giorno di più sulle coscienze dopo che Gladstone, sorretto dall'universale consenso degli uomini onesti, aveva costretti gl'increduli di mala fede a confessare, come con enfasi esagerata esclamavano i sovversivi, che sotto le regie bende stava in agguato l'assassino. In un appello lanciato ai Siciliani dal partito repubblicano «i veri alleati nostri, si diceva, sono i fratelli nostri d'Italia, con essi abbiamo comuni dolori e speranze, con essi la lingua, i monumenti le tradizioni, di cui si compongono la Nazionalità, il passato, e l'avvenire di un Popolo, con essi combatteremo la suprema battaglia e vinceremo». Né basta che il liberalismo, del pari, al trar delle somme, s'era identificato col partito unitario, ed invece di occuparsi dello sviluppo dei principi costituzionali, entro i limiti della patria, cercava minare lo stato territoriale della penisola.

La tregua che i partiti estremi non concessero mai al Borbone, la loro inimicizia non potuta mai

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vincere con le blandizie né con la violenza, trovavano in ciò la loro giustificazione, ed è singolare che ad essi si muova rimprovero di essere stati, con là loro intransigenza, non ultima causa dei luttuosi avvenimenti del 15 Maggio, quando da quegli atteggiamenti maturarono i destini della patria, che una politica improntata ad opportunismo avrebbe chi sa fino a quando compromessi.

Il Blanck tutte queste cose non considera e non si accorge come, magnificando la forza travolgente della monarchia e l'impotenza dei suoi avversari, schiacciati al primo urto, quasi senza combattere, veniva con ciò a togliere ogni ragione e pretesto alla reazione nonché alla revoca delle pubbliche franchigie e delle concesse libertà. Il che accredita il sospetto e la voce che il Governo quei fatti avesse voluto e preparato per il ripristino dell'assolutismo i cui sostenitori furono largamente rimunerati.

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Scrittori ed amici del vecchio
contro Gladstone

I borbonici non perdonarono mai a Gladstone di essersi fatto denunziatore al mondo delle iniquità del Governo Napolitano. Essi portarono e portano tuttavia un sordo rancore contro lo statista Inglese; non tanto per le cose terribili da lui dette, dappoiché denunzie ancor più gravi erano state prima della concessa Costituzione e dopo il 15 maggio pubblicate in articoli di giornali ed in libri, ma per il credito che l'autorità dell'uomo e la sua particolare posizione avevano date alle accuse.

Giacinto De Sivo, nella sua Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, scrive:

«Lord Palmerston alle ragioni settarie, all'interesse contro la prosperità del reame, all'odio personale aggiungeva la stizza per la sua rivoluzione del 1848 abbattuta dal Re, per lo aiuto al Santo Padre, e ne pensò una non più intesa. Come nel 48 aveva mandato il Minto a rivoltare l'Italia, nel 50 mandò in Italia un altro Lord, col segreto onorevole ufficio di spiare e calunniare e divulgare poi per l'Europa Ferdinando Boia dei sudditi.

«Lord W. E. Gladstone venne in dicembre, non vide il Re, non i ministri, non un ufficiale, ma sempre insieme con i settari, vide o finse di vedere male.

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Vero è che il Fortunato, nol curando punto, neppur tentò d'abbonirlo, e il fé fare. Egli tornato a Londra parlò al Castelcicala nostro ministro colà, svelandogli avere scritto sulle cose del Regno, ma nol pubblicherebbe ove il Re iniziasse riforme: quegli scrissene al Fortunato, il quale né rispose, né al Sovrano ne fé motto.«Ben presto il Gladstone adirato scocca due lettere famose al Conte Aberdeen a 11 e 14 luglio 51 sui processi di stato del Napolitano, orazioni patetiche lodate a cielo dalla demagogia, e veramente di tali lodi degne».Giuseppe Buttà nella sua opera: I Bordoni di Napoli al cospetto di Due Secoli, dopo aver raccontato la favola della caduta in disgrazia del Fortunato, quasi con le stesse parole del De Sivo, prosegue:

«Gladstone disse cosa degna delle Mille ed una notte contro il Governo di Ferdinando II. Perché suddito inglese, ed avente voce nel Consiglio d'una grande nazione, si credette eziandio nel diritto di slogicare, asserendo fatti che costavano in contrario a tutti i ministri esteri, residenti in Napoli in opposizione con gli atti Ufficiali ed anche contro il più volgare buon senso».

L'anonimo autore dell'opuscolo: I Napolitani al cospetto delle Nazioni Civili, scrive:

«Questo era il Governo di Napoli, cui un nobil Lord d'Inghilterra, certamente tratto in errore per la malizia delle sette, disse con enfatico motto: esser la negazione di Dio.Ma la sopravvenuta rivoluzione gli da le smentite; lo smentisce la presente distruzione di tante opere buone, lo smentirono i pianti nostri, e le disperate armi che suonan vendetta sui monti appennini. E più si sono, ahi, troppo affrettati a smentirlo i rigeneratori Torinesi! Dopo tante sperticate promesse di tutto dare, tutto ne han tolto, e solo han potuto creare la miseria e il nulla».112 Nel Saggio Sulla quistione napolitana, ancor esso anonimo, (1862 senza indicazione di editore) si legge: «Ma i libelli epistolari Gladstoniani furono una fortuna pel Governo di Napoli perciocché nella stessa Inghilterra sorgevano eminenti pubblicisti a combattere le bugiarde accuse ivi contenute, e la stampa periodica di tutta Europa, meno quella venduta al partito ultra radicale, scese in campo per mostrare con documenti, che le assertive di quelle tali lettere fondavansi unicamente sulla calunnia e sull'intrigo». Lo scrittore si scaglia, del pari, contro Palmerston, che accusa di essere stato il corifeo dei rivoltosi di Europa e di aver voluto imporre il principio che «nei popoli sta il diritto delle congiure e delle rivolte, ed a' governi il divieto d'impedirle, di punirle e reprimerle; e che sconvolgimento di società sia l'equipollente di rigenerazione».

Non la finirei più se volessi riportare tutti gli sfoghi di atrabile contro Gladstone: non posso tacermi di Domenico Razzano, il quale, nell'opuscolo: La Biografia che Luigi Settembrini scrisse di Ferdinando II osa affermare fatti e circostanze che, se fossero veri, offenderebbero gravemente la stima e l'onore di Gladstone e di Palmerston. Egli cosi si esprime:

«Gladstone, venuto a Napoli nell'anno 1888-89, fu ossequiato e festeggiato dai maggiorenti del cosi detto partito Liberale, i quali non mancarono di glorificarlo per le sue famose lettere con la Negazione di Dio, che tanto aiutarono la nostra rivoluzione, ma a questo punto Gladstone versò una vera secchia d'acqua gelata, sui suoi glorificatori, confessò che aveva scritto per incarico di Lord Palmerston con la buona occasione che egli tornava da Napoli, che egli qui non era stato in nessun carcere, in nessun ergastolo, che aveva dato per vedute da lui quello che gli avevano detto i nostri rivoluzionari».

Aggiunge il Razzano, per mostrarsi sempre più veritiero,113 che Palmerston ebbe contro Ferdinando II due potenti motivi di odio: uno personale ed uno politico. Aveva accarezzato la dolce illusione che sua nipote, Penelope Smith, sposata ad un Borbone, fosse ammessa alla Corte di Napoli, come principessa Reale e Ferdinando II fu irremovibile. Aveva avanzato le pretese per le miniere di zolfo di Sicilia, lusingandosi che la minaccia della flotta inglese nel golfo di Napoli potesse dargli il successo, ma trovò l'avversario pronto alla lotta.

Ed ecco come si scrive la storia! Gladstone, invero, tornato in patria il 1889, scrisse un articolo in cui senza venir meno all'indipendenza del suo giudizio esponendo qualche osservazione che poteva non piacere, come non piacque, di fatto, conchiudeva, con queste parole:

«Noi tutti siamo debitori all'Italia, nell'ordine mentale. E' lei che ci ha sollevati alla moderna civiltà. Noi non possiamo ripagare un tal debito. Ma possiamo mostrar di conoscerlo, possiamo confessarlo, e atteggiare la nostra condotta alla coscienza di un tal debito col voto che essa (l'Italia) possa perennemente disimpegnare i suoi alti doveri qual membro della famiglia europea, col suo tenace concorso al benessere di questa famiglia considerata come un tutto; e con lo scoprire ed il denunciare ogni tentativo che si facesse verso idee più ristrette e verso meno nobili scopi».

La figura di Ferdinando II, per l'ostinatezza dei suoi biografi di volerne fare un eroe, sia che lo si mostri in atteggiamento di resistere,


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egli Re d'un piccolo stato, all'Inghilterra, sia che, imitando la gesta dell'avo, a Velletri, (1) impenni, per timore di Francia, Tali ai piedi, attinge le vette dell'umorismo più schietto ed apre la via alla farsa piuttosto che all'epopea.

Nella condotta del Borbone di Napoli non vi è nulla di quel sapiente gioco la cui elasticità consenti al Piemonte d'inserirsi nelle correnti della politica mondiale (dalle quali, più che dal limitato consenso delle forze popolari e dall'azione dei fattori economici, rimasti pressocchè inerti, fu in tanta parte determinato il nostro risorgimento), e trarsi in salvo, non solo, ma farsi iniziatore, prima, ed artefice, poi, dell'unità d'Italia. Ferdinando, invece, non ebbe ardimento e, studioso di tenersi sul trono, le sue meditate rinunzie a più vasto dominio covri del manto della onestà politica e della moderazione. Il regno di Napoli con lui, re vassallo delle potenze del Nord, non ebbe storia. Ostinato come nessuno lo fu mai, non solo fu sordo ai consigli che gli venivano d'ogni parte e dagli uomini più rappresentativi dell'epoca, a cedere, a perdonare,

(1)

Il poeta Francesco Martello che paragonò la gloriosa ritirata delle milizie napolitano a Velletri al passaggio del Mar Bosso in un suo Poemetto (Napoli 1849) così cantava:O colli, o fertili Ove il terribileCampi di Roma, L'àbbominandoOv'ei di lauro Nemico a sperdereOrnò sua chioma Venia Fernando,Narrate l'epoca Pugnò per rendereDel suo valore Il trono a Pio,Se aveva intrepido Per la cattolicaSe puro il cuore. Fede, per Dio;E Dio suoi candidiDesiri empieoGli die vittoria,Gli die trofeo. 115

a mettersi su d'un piede di larghe riforme per liberare il paese dall'oppressione dei sistemi polizieschi e tirannici «venuti a tutti in odio, ma non si ritrasse dalla sua via fino a raccomandare sul letto di morte al figlio di seguire la tradizione familiare e di essere devoto ad Austria ed al Papa. A convincersi della miseria di questo re, basta considerare come egli, tra i titoli maggiori alla riconoscenza dell'Italia, non solo, ma dell'Europa, sventolasse quello di avere nel 48 schiacciato l'insurrezione e colpito a morte la demagogia. E non si accorgeva (non so se illuso od affetto da megalomania) che celebrare per magnanime gesta guerre civili e lutti cittadini equivaleva a proclamarsi capo d'una fazione ed andare incontro a sicura rovina. (1)

L'inno, inoltre, alla forza vittoriosa cantato in tutti i toni ed a tutte l'ore era quanto mai fuori di posto, dappoiché la violenza non può essere in funzione di dritto se, come dice Vico, non è dettata da una natura migliore, dalla intelligenza istituita. I vinti, dei quali era l'avvenire, si dispersero pel mondo e ben presto si trovarono concordi nel volere, ogn'altro dibattito rinviato a tempi più opportuni, la fine de' Borboni, l'unità della patria.

E della onestà di questi sentimenti essi diedero prova opponendosi colla schiacciante maggioranza, con Mazzini e Pisacane, ai tentativi che alcuni facevano in favore del Murattismo, nella speranza di propiziarsi alla causa italiana l'aiuto del III Napoleone.

(1)

I realisti ne seguivano l'esempio e mendicavano ogni pretesto per ostentare questi loro sentimenti. Ma dire con quanta sincerità non m'azzardo. E se n'ebbe una prova nei Solenni funerali celebrati il 1850 in Napoli, nella Chiesa dello Spirito Santo, in onore dei militi morti nelle vicende di guerra negli anni 1848-49. Ivi tra le diverse epigrafi,

116

Nel parlamento Inglese le due opposte correnti, dei sostenitori e dei nemici dei Borboni, continuarono, spesso, ad incontrarsi, rappresentate principalmente dai deputati Russel, Palmerston, Gladstone, Lennox, Disraeli, Marguire e Bovyer, a dire di alcuni. Ricordiamo, fra l'altre, la discussione svoltasi ai Comuni sulle cose di Napoli nel 1862 quando la reazione schierava in campo tutte le sue forze e mobilitava il brigantaggio per dimostrare il fallimento dell'unità d'Italia. In quel rincontro il Normanbay, riferendosi a quello che di Poerio aveva scritto Petruccelli della Gattina, ripeteva contro Gladstone le vecchie accuse e, fra l'altre, che le lettere non fossero a ritenersi veritiere. Al che Russel rispondeva con queste memorabili parole:

«Il mio nobile amico mosse gravi accuse senza sostenerle con prove e con fatti certi.

nelle quali Don si faceva parola della guerra santa e di Montanara e Curtatone, una se ne leggeva che fa sanguinare il cuore d'ogni patriota ed induce a tristi riflessioni. Con l'esercito veniva levato a cielo per avere:Nell'anno 1848Il 15 Maggio dall'assalto dei rubelli e da immensi affanniNapoli vendicata e diliberaNel cuore della state cotestoro medesimiSnidati dalle CalabrieAl 7 Settembre soggiogataLa città fortificatissima di MessinaCui si diceva impossibile ridurre a suggezioneNell'anno 1849Al 2 Aprile l'inaccessibil forte di Taormina occupatoQuattro giorni dappoi espugnata CataniaQuindi le altre ragguardevoli città della SiciliaCostrette alla resaE al 19 Maggio il combattimento di VelletriQuasi fatale al rovescio di quella cotal RepubblicaAppena appena di nome Romana 117

Ha discorso del sig. Poerio e l'ha giudicato un vano mito privo di realtà. Ora io l'assicuro di aver già veduto il Barone Poerio quale uomo reale e vivente ed ornato di molte virtù. Dieci anni egli rimase chiuso in orrida prigione, e, se non visse tutto quel tempo sotterra, come forse per ingrandirvi le cose fu detto, era nondimeno si strettamente custodito, che non si poteva saper nulla del suo conto. Vidi ancora un altro memorabile uomo che visse dodici anni in quelle triste carceri napolitane ed egli mi disse che sarebbevi volentieri rimasto altri venti anni, purché fosse giovato a scacciare l'odioso governo. Questo mostra l'animo che i migliori cittadini avevano verso la signoria borbonica. Legga il mio nobile amico la lettera del sig. Gladstone e si persuaderà che il napoletano era il Governo più detestabile sulla faccia della terra. Per me io mi consolo assai che non sia più e m'addolorerei se nel mondo, e massimamente in Europa, vi fosse ancora Governo si crudele e corruttore, il quale aveva per suoi migliori mezzi di regnare la falsità e la subornazione».

A Bovyer, che aveva parlato con l'istessa intonazione di Normanbay rispondeva Gladstone confermando le sue accuse. La discussione si chiudeva con uno dei soliti genialissimi discorsi di Palmerston in cui, fra l'altro, si diceva:

«Io sono sicuro che un'Italia unita sarà il fondamento della sua prosperità. L'unità è stata seguita dai più benefici risultati. Son certo che continuerà, e sarà estesa in modo da abbracciare tutta la penisola, son persuaso che non ci sarà paese in Europa né popolazione al mondo, che sia per innalzarsi a un si alto grado di felicità e prosperità, come quello a cui innalzerassi l'Italia unita nella presente costituzione».

Oh! spirito profetico, che tu sia benedetto!






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