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CRONACA
DELLA
GUERRA D'ITALIA
1861-1862
PARTE QUARTA

RIETI
TIPOGRAFIA TRINCHI
1862

03

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III.

Allorché Garibaldi giunse a Torino, gli spiriti erano preoccupati, ed eccitati anche per la discussione, che aveva luogo nella camera elettiva circa la situazione delle provincie meridionali, che il generale i suoi volontari avevano precisamente contribuito a conquistare al nuovo regno d'Italia. Alcune parole aspre pronunziate da Garibaldi ad una deputazione d'abitanti di Torino, e male interpetrate, avevan fatto nascere dei timori d'una scissione che poteva produrre le più funeste conseguenze per l'avvenire della penisola. Questi timori però non erano ben fondati, giacché dall'una parte il governo di Vittorio Emanuele riconoscendo i servigi resi dai volontari veniva proponendo al parlamento il progetto di legge, di cui offriamo il rapporto, e la sostanza:

Relazione a S. M. in udienza dell'11 aprile 1861.

Sire,

I gloriosi fatti avvenuti nelle Provincie meridionali della nostra Penisola nel decorso anno, mercé la patria carità ed il valore di un gran nerbo di volontari capitanati dal generale Garibaldi, crearono per l'Italia un nuovo elemento di forza, il quale in circostanze di guerra contribuirà potentemente alla difesa dei sacri diritti della nostra nazione.

Ora volendo conservare al Regno questo elemento il sottoscritto reputa necessario gli si dia anzitutto forma e stabilità.

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Questa istituzione del Corpo dei Volontari, già sancita dalla M. V. con suo Decreto dell'11 novembre 1860, qualora venga corroborata sopra ferme basi militari, senza toccare alle altre istituzioni dello Stato, renderà prestanti servizi alla nazione al bene della quale tutti dobbiamo, secondo il poter nostro, concorrere.

A conseguire pertanto questo scopo, sembra al riferente essere necessario stabilire fin d'ora i quadri pei Reggimenti di fanteria, battaglioni Cacciatori, e frazioni di altre armi che avranno a costituirsi in caso di guerra, e fissare il modo di reclutamento dei Volontari che dovranno concorrere a formare la forza dei Corpi stessi.

Egli è perciò che potranno far parte del Corpo dei Volontari tutti i giovani che non abbiano raggiunto il 19.° anno di età, anno in cui cominciano, a tenore delle leggi pel reclutamento, ad essere inscritti nelle liste di leva e però soggetti ad essere chiamati, e ciò tanto più perché nelle contingenze straordinarie il Governo riceve dalla Legge facoltà di anticipare la leva.

Potranno eziandio far parte del Corpo Volontari quei giovani dello Stato che avranno soddisfatto definitivamente agli obblighi verso la leva stessa; e finalmente gli emigrati politici pei quali il Governo accorderà la maggiore latitudine.

Poste in tal guisa le basi del riordinamento del Corpo anzidetto e fissate le norme colle quali questo Corpo possa ricevere alimento e forza di uomini, il riferente lusingandosi che le sue idee possano incontrare l'approvazione della M. V. sottopone qui unito il Decreto, acciochè voglia degnarsi di munirlo della regia le sua firma.

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VITTORIO EMANUELE II.

RE D' ITALIA.

Sulla proposizione del Nostro Ministro Segretario di Sta!o per gli affari della Guerra,

Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:

Art. 1. Cogli ufficiali provenienti dal Corpo Volontari dell'Italia Meridionale che hanno ricevuto o che riceveranno un nostro Decreto di nomina, saranno costituiti i quadri di tre Divisioni del Corpo dei Volontari Italiani.

Art. 2 Ogni Divisione del Corpo Volontari Italiani si coni porrà di:

Duo brigato di fanteria;

Duo battaglioni di Cacciatori;

Una batteria di artiglieria;

Una compagnia Zappatori del Genio. Art. 3. Saranno pure formati i quadri occorrenti degli uffiziali di Stato maggiore, d'intendenza militare, Giustizia militare, Corpo Sanitario e Treno per provvedere ai servizi del comando del Corpo Volontari, e delle diverse divisioni e brigate.

Art. 4. Si formeranno inoltre i quadri di uno Stato maggiore e di due squadroni Guide pel servizio dei varii Stati.maggiori.

Art. 5 Ogni brigata di fanteria del Corpo Volontari Italiani si comporrà di due reggimenti.

Ogni reggimento consterà di due battaglioni, ciascuno dei quali di sei compagnie

I battaglioni Cacciatori consteranno di quattro compagnie ciascuno.

La forza e composizione di un reggimento di fanteria del Corpo Volontari si intenderà essere tale che ò stabilita nello specchio N. 1, annesso al presente Decreto, sottoscritto d'ordine Nostro dal Ministro della Guerra.

Gli specchi graduali numerici per ogni battaglione di Cacciatori saranno pari a quelli stabiliti con nostro Decreto 2l gennaio scorso per un battaglione di Bersaglieri.

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Gli specchi graduali numerici delle batterie d'artiglieria e compagnie Zappatori del Genio del Corpo Volontari saranno identici a quelli in vigore per le stesse armi dell'esercito stanziale, come dal Nostro Decreto 25 gennaio scorso.

Lo stato-Maggiore degli squadroni Guide si comporrà come risulta dallo specchio n. 2 annesso al presente Decreto, o d'ordine nostro sottoscritto Ministero della Guerra.

Ogni squadrone Guide del Corpo Volontari si comporrà come è prescritto nostro Decreto 24 Gennaio scorso per uno squadrone del reggimento Guide.

I quadri varii degli Stati-maggiori e dei servizi amministrativi, sanitarii, Treno e Giustizia militare saranno conformi a quelli prescritti per l'Esercito stanzialo.

Art. 6. Le divisioni del Corpo Volontari assumeranno numero d'ordine progressivo, vale a dire Prima, Seconda, Terza Divisione del Corpo Volontari Italiani.

Lo stesso dicasi dello brigate, reggimenti, battaglioni, batterie e compagnie Zappatori.

Art. 7. I generali del Corpo Volontari Italiani preposti al comando di dette Divisioni, riuniti in Commissione, faranno le proposte per la formazione di detti quadri al Ministero della guerra per la nostra approvazione, basandosi sull'Elenco generale degli uffiziali i quali in seguito a proposizione della Commissione di scrutinio istituita coi nostri decreti in data 22 novembre 1860 e 21 febbraio 1861, ed a norma dell'art. 3 del nostro Decreto 11 novembre 1860, abbiano da noi ottenuta la conferma del loro grado.

Art. 8 Gli ufficiali del Corpo Volontari di mano in mano che saranno classificati dalla Commissione di scrutinio ed avranno ricevuta una nostra nomina, saranno posti in disponibilità ed in aspettativa per riduzione di Corpo, sino all'epoca chiamata sotto le armi, siccome è detto all'art. 10, e salvo le eccezioni di cui all'art. 13.

Art. 9. La sede di anzianità per ogni grado ed arma nel Corpo dei Volontari Italiani, sarà determinata dalla Commissione di scrutinio posteriormente alla nomina che noi avremo impartita.

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Art. 10. Allorquando il Governo riputerà opportuno di fare appello ai volontari fisserà nel tempo stesso la sede di reclutamento e di concentramento per ciascuna Divisione, Corpo e frazione di essi.

Art. 11. Gli arruolamenti del Corpo Volontari Italiani si faranno fra gli individui atti alle armi, i quali abbiano già soddisfatto a tutti gli obblighi della leva, secondo le prescrizioni della Legge sul reclutamento in data del 20 marzo 1854. Sono inoltre ammessi all'arruolamento i giovani che per non avere ancora raggiunto l'anno diciannovesimo di età non trovansi inscritti nelle listo di leva.

I volontari dovranno nell'atto dell'arruolamento contrarre la ferma di mesi diciotto.

Art. 12. Le leggi penali militari, quelle sull'avanzamento, sullo stato degli ufficiali, sulle giubilazioni, sulle riforme «d i regolamenti di disciplina e di servizio, di esercizio e di amministrazione ed ogni altro qualunque siasi provvedimento in vigore per l'esercito stanziale, s'intenderanno applicabili si in tempo di pace come in tempo di guerra al Corpo Volontari Italiani.

Le paghe, i vantaggi ed ogni altro trattamento saranno pari a quelli dell'esercito stanziale.

Art. 13. Sulla richiesta dei comandanti le Divisioni, e nello scopo di assistere ad corso di istruzione, potranno gli ufficiali essere chiamati in sedi fisse che determinerà il nostro ministro della guerra per ogni comando di Divisione.

Durante la permanenza che gli ufficiali chiamati faranno alla sede fissata, per presenziare il corso d'istruzione, avranno diritto alla paga del grado loro sul piede di pace.

Tali depositi temporarii di istruzione staranno sotto la dipendenza dei Comandanti generali di dipartimento o delle Divisioni militari territoriali in cui si trovano.

Art, 14. L'uniforme del Corpo Volontari Italiani sarà per la fanteria quale venne fissato con Nostro Decreto 18 gennaio scorso.

Per le altre armi sarà determinato con ulteriori Nostri Decreti.

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Art. 15. Nulla intendesi mutato alle prescrizioni espresse nel Nostro Decreto l1 novembre 1860 in quanto non siano contrario al presente.

Il Nostro Ministro Segretario di Stato per gli affari della Guerra è incaricato dell'esecuzione del presente Decreto, che sarà registrato alla Corte dei Conti.

Dat. in Torino, addì 11 aprile 1861.

VITTORIO EMANUELE.

M. FANTI

In quanto al general Garibaldi, egli si dava la sollecitudine d'indirizzare al parlamento nei primi giorni di Aprile la lettera seguente, che fu letta presidente della camera nella seduta del 13 dello stesso mese.

«Sig. Presidente.

«Alcune mie parole malignamente interpetrate hanno fatto supporre concetto contro il Parlamento e la Persona del Re.

«La mia devozione ed amicizia per Vittorio Emanuele sono proverbiali in Italia, e la mia coscienza mi vieta di scendere a giustificazioni.

«Circa al Parlamento nazionale, la mia vita intiera, dedita alla indipendenza ed alla libertà del mio paese, non mi permette neppure di scendere a giustificarmi d'irriverenza verso la maestosa Assemblea dei rappresentanti d'popolo libero, chiamata a ricostituire l'Italia, e a collocarla degnamente accanto alle prime nazioni del mondo.

«Lo stato deplorabile dell'Italia meridionale e lo abbandono in cui si trovano così ingiustamente i valorosi miei compagni

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«Inchinato però davanti alla santa causa nazionale, io calpesto qualunque contesa individuale per occuparmi unicamente ed indefessamente di essa.

«Per concorrere per quanto io possa a cotesto grande scopo, valendomi della iniziativa parlamentare, le trasmetto disegno di legge per lo armamento nazionale, e la prego di comunicarlo alla Camera, secondo le forme prescritte Regolamento.

«Nutro la speranza che tutte le frazioni della Camera si accorderanno nello intento di eliminare ogni superflua digressione, e che il Parlamento italiano porterà tutto il Peso della sua autorità nel dare spinta a quei provvedimenti che sono più urgentemente necessari alla salute della patria. (Bene bravo! da diversi scanni)

«Torino, aprile 1861.

«Firmato

G. GARIBALDI

Si vede da questo che il General Garibaldi testimoniava non solamente i suoi sensi di rispetto e devozione verso il re e verso il parlamento, ma altresì chegli proponeva progetto di legge per l'armamento nazionale. Questa proposta era fatta sotto nn doppio di vista: il primo, per garantire l'Italia contro l'eventualità che facevano temere gli armamenti dell'Austria, di cui abbiam fatto parola; il secondo per ismentire altamente i rumori d'arrolamento, ch'erano suscitati a nome di Garibaldi partito austriaco. Ecco ciò che la gazzetta militare portava in uno de' suoi numeri d'Aprilo intorno questi arrolamenti clandestini:

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«Un fatto che possiamo attestare per sicura cognizione, perché conosciamo e parlammo coll'individuo che ne fu il protagonista, ci spinge a chiamar la più severa attenzione del governo sulle voci ormai troppo divulgate e precise per essere dubbie che corrono da qualche tempo su certi uffizi che a tutti noti, sebbene nessuno ne valga a designare la locale esistenza, lavorano nell'ombra per attirar l'incauta gioventù in qualche tranello, non certamente con miro lodevoli.

«Alludiamo agli arruolamenti che si fanno da varie parti del regno da Napoli a Torino, da Genova a Bologna e via discorgendo, senza che risulti aver questi arruolamenti, non diremo l'approvazione del governo ma neppure del generale Garibaldi in cui nome si compiono: ché anzi tanto dall'illustre italiano, quanto dagli organi più a lui devoti, furono più volte e in più guise disdetti e sconsigliati.

Il fatto di cui sopra, è questo: giovane operaio di Torino già nel 1854 sergente nella marina (Real Navi,), fu interpellato se avrebbe accettato nuovo arruolamento militare; sulla sua adesione, lo si invitò a recarsi in Alessandria, ove si portò effettivamente mercoldì 3 corrente. Colà in uffizio appartato gli si offerse il grado di sottotenente nella Marina del generala Garibaldi, la quale, secondo lo asserzioni degli arruolatori conterebbe già attualmente più migliaia d'uomini e varii legni da guerra disponibili per la liberazione della Venezia.

«Il nostro operaio rispose che se si trattava di arruolamento non approvato governo si ritirava, e rifiutò infatti il grado di sottotenente che gli si offeriva, cosicchè ritornò a Torino lo stesso giorno.

«Questi è pronto a far più precisa deposizione e noi siamo pronti a darne l'indirizzo perché, venga, occorrendo, interrogato; egli ci disse che contemporaneamente a lui si trovavano in quello uffizio molti altri giovani, fra i quali varii che parlavano francese e una specie di tedesco (svizzeri a quanto pare); costoro, men di di lui scrupolosi, accettavano e ricevevano una carta e del danaro venendo diretti a parecchio destinazioni diverse.

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«Che cos'è dunque tutto questo? Che cosa significa? Ci

pensi il governo e veda se non sia il caso di adottar severe misure, prima che qualche atto più compromettente venga a porre in luce da chi sieno organizzate queste trame, le quali. lo ripetiamo, non possono aver vero scopo favorevole al paese.

«La responsabilità è tutta del governo: come si scorge, i fatti sussistono, ora alla questura, allo autorità competenti è impossibile che sfugga a lungo tutto questo concerto di sotterfugi, di rumori contradittori, ai quali non è più lecito negar un peto rilevante, e che certo non sono estranei alle mire e ai tentativi dell'Austria, secondati dalla spensieratezza d'un certo partito che lo appoggia forse senza volerlo.

«Coraggio adunque e non si perda tempo a provvedere, giacché un po' più in là sarebbe forse troppo tardi.

Quanto al general Garibaldi, ecco la proposta d'armamento nazionale, ch'egli presentò al parlamento.

Art. 1 La guardia nazionale sarà ordinata in tutto il regno giusta le prescrizioni delle leggi vigenti nelle antiche provincie colle modificazioni portate dagli articoli seguenti:

Art. 2 I corpi distaccati per servizio di guerra prenderanno il nome di guardia mobile. Essa sarà formato in divisioni in conformità dei regolamenti dell'armata di terra.

Art. 3 Sono chiamati a far parte della guardia mobile tutti i regnicoli che hanno compiuto il 18. e non oltrepassano il 35. anno di età.

Art. 4 Le armi, il vestito, il corredo, i cavalli e tutto il materiale da guerra necessario alla guardia mobile sarà fornito interamente a carico dello Stato,

Art. 5 Il contingente della guardia mobile è ripartito per circondari, per mandamenti a proporzione della popolazione. I militi sono chiamati al servizio in base della legge sul reclutamento dello esercito e delle altre leggi vigenti La durata del servizio è regolata dall'art. 8 della legge 27 febbraio 1859.

Art. 6. Saranno tuttavia esenti dal far parte della guardia mobile solamente:

1. Coloro che fanno parte dell'armata di terra e di mare.

2. Quelli che sono riconosciuti inabili al servizio militare da speciale regolamento;


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3. Coloro che sono figli unici o primogeniti, e in mancanza di figli unici o primogeniti, nipoti di madre o di avola vedova, ovvero figli unici o primogeniti ed in loro mancanza nipoti di padre o di avolo di settant'anni.

4. Coloro che sono primogeniti di famiglia di orfani di padre e di madre, ovvero unico fratello abile al lavoro in detta famiglia, fra i fratelli abili al lavoro non saranno computati quelli già inscritti alle leve ed alla guardia mobile.

Il difetto di statura non è causa di esenzione.

Art. 7. La guardia mobile in servizio è sottoposta alle leggi ed alla disciplina militare.

Art. 8. É aperto al ministero dell'interno un credito di 90 milioni di lire per provvedere all'armamento della guardia nazionale in tutto il regno.

La detta somma di L. 30,000,000 sarà iscritta nel bilancio dell'interno sotto la denominazione. Provvista armi per la guardia nazionale.

GIUSEPPE GARIBALDI

Questa proposta che si chiudeva con la dimanda alle camere d'un imprestito di 30 milioni di lire, era tale da suscitar nel governo italiano delle gravi riflessioni sotto il punto di vista finanziario, seguendo il bilancio attivo e passivo che era stato presentato dal ministro delle finanze per l'esarcizio del 1861, e di cui stimiamo utile dare un estratto.

BILANCIO DELL'ESERCIZIO 1861.

Il ministro delle finanze ha presentato il bilancio attivo e passivo dell'esercizio 1861, per le antiche provincie, la Lombardia, l'Emilia, la Toscana, l'Umbria e le Marche.

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Il ritardo nella formazione dei bilanci derivò da cause insuperabili: lo amministrazioni delle ridetto provincie nel 1860 continueranno ad essere separate e a reggersi colle norme dei precedenti varii governi: grandi difficoltà si ebbero quindi nel riunire gli elementi necessari per comporre un bilancio solo. Riferiamo qui i risultamenti complessivi del 1861:

Passivo

Spese ordinarie...........,.... L. 492,973,471 13

Id. straordinarie …............« 134,672,040 27

L. 627,645,514 40

Attivo

Entrate ordinarie.................. L. 342,679,115 78

Id. straordinarie …............« 17,581,269 90

L. 360,260,385 68

Epperciò:

Sul bilancio ordinario una passività di …................................................. L.

150,294,358 35

Sul bilancio straordinario una passività di...................................... «

117,090,770 37

Ed in complesso un disavanzo

di................................................. L.

267,385,128 72

È impossibile istituire un confronto esatto tra il bilancio attuale e il precedente, attese le molteplici e straordinarie munizioni ohe ebbero luogo durante l'esercizio 1860. Tuttavia riferiamo qui un quadro delle differenze numeriche emergenti tra l'uno e l'altro.

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Bilancio passivo:

Spese ordinarie Straordinarie Totali

1861

L. 492,978,474,18 » 134,672,040,27 » 627,646,514.40

1860

L. 350,348,462,33

differenza nel 1861 «62,885,328,26 » 413,233,790,59

in più

L. 142,625,011,80 «71,786,712,01 » 214,411,723,81

in meno

» » »

Bilancio attivo:

Entrate ord. Straordinarie Totali

1861

L. 342,679,115,78 » 17,581,269,90 » 360,260,386,68

1860

» 338,370,788,70 «22,172,611,13 » 360,643,399 83

Differenza nel 1861:

in più L. 4,308,327 08

«

»

in meno » » 4,591,341 «23,283,014 13

Da questo quadro emerge:

1. Che le entrate previste pel 1861 sono al disotto di quelle state inscritte nel bilancio 1860 nella proporzione di L. 283,014 15;

2. Che le spese proposte nel 1861 superano quelle state approvate nel precedente bilancio per L. 214,411,723 81

3. Che mentre il disavanzo del 1860 veniva stabilito in L. 52,690,390 76, quello del 1861 ascende a L. 267,383,128 73.

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A questo enorme disavanzo portato principalmente dalle spese del dicastero della guerra, che superano di circa 165 milioni la cifra allogata nel bilancio 1860, non possono pur troppo supplire i bilanci dell'Italia meridionale.

Ecco il preventivo dell'esercizio 1861 per quelle Provincie:

(Escluse le opere della guerra, della marina e dell'estero).

Napoli.

Entrate.......... L. 109,429,068 56

Spese.............» 100,405,766 24

L. 8,935,299 32

Sicilia.

Entrate ….................................... L. 21,792,040 --

Spese............................................» 28,331,210 --

Disavanzo.................................... L. 6,539,170 --

Avanzo sul bilancio di Napoli......» 8,935,299 32

Residuo avanzo........................... L. 2,396, 129 32

Con una apposita nota il rapporto ministeriale previene che il quadro relativo alla Sicilia è formato su elementi offerti da quella luogotenenza, ma che il ministero consta per altri documenti ufficiali che il disavanzo nell'Isola è molto maggiore delle lire 6,539,170.

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La relazione ministeriale nota che una parte rilevante del disavanzo totale non potrà rinnovarsi negli anni avvenire come quella che riscontrasi nella parte straordinaria del bilancio; e confida pure su molte economie che si potranno introdurre coll'uniformità dell'amministrazione, ad ogni modo affermando che disavanzo resterà pur sempre, e che al medesimo è d'uopo provvedere, così annuncia a tal fine la presentazione prossima di appositi progetti di legge. «Intanto, conclude il ministro, è indispensabile che al presente stato di cose si provveda con mezzi straordinari sui quali la Camera sarà chiamata a dare il proprio giudizio.»

Non sarà qui senza interesse pei nostri lettori il conoscere a quanto ammontino le spese straordinarie sostenute ministero della guerra nei due anni 1859 e 1860. Esse danno pel 1859 la somma in cifra rotonda di 212 milioni e pel 1860 quello di 151 milioni. Conviene aggiungervi le spese straordinarie della marina, che furono nel 1859 di 6 milioni, e di 7 milioni e mezzo nel 1860. Di questi 7 ultimi milioni furono impiegate per acquisto e costruzione di bastimenti L. 4, 448,000; pel trasferimento della marina militare alla Spezia 2 milioni, e per acquisto di cannoni rigati o proiettili ad uso di marina lire 600,000.

In tutto si ha la somma complessiva di lire 267,017, 719, cent. 69, la quale corrisponde a circa 12 lire per ognuno dei 22 milioni di abitanti. Essa fu per intero coperta dai due prestiti ordinati dai dittatori dell'Emilia e della Toscana, non che di quelli che furono autorizzati dalle leggi 11 ottobre 1859, e 12 luglio 1860, giacché il complessivo prodotto netto di questi quattro prestiti ascese a L. 273,867,357 82.

La guerra di Crimea costò all'Italia lire 52,907,640 17.»

Ad onta di questa situazione difficile il general Garibaldi, e i suoi amici, non consigliandosi altro che colle ispirazioni di patriottismo passionato, persisterono a reclamare governo l'effettuazione dei progetti d'armamento proposti. A questo scopo Garibaldi si rese il 18 Aprile alla seduta della camera dei deputati, ove si avevano a suscitare dei dibattimenti, la cui grava importanza ci obbliga a riportarne tutti i particolari.

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Lungo tempo prima che si aprisse la seduta le tribune pubbliche eran letteralmente ingombre. Vi si osservava molti garibaldini in casacca rossa.

Le tribune particolari erano egualmente piene. Si notava nella tribuna diplomatica il sig. di Rayneval, di Francia incaricato d'affari di Spagna, sir Hudson, ministro d'Inghilterra, i ministri di Turchia, di Svezia, di Olanda, e del Belgio, il primo segretario dell'ambasciata di Prussia, e gran numero di signore.

La tribuna del Senato era egualmente piena. Vi erano il conte Arese, il Sig. Villamarina, il duca Sforza, il sig. Salmour ecc.

Ad ora 1 e quarto il presidente prende posto sulla seggiola.

Il Sig. Cavour, Minghetti e gli altri ministri prendono posto al loro banco che è in numero completo. L'assemblea non è mai stata così numerosa e così animata. ll generale Garibaldi entra nella sala e prende posto in cima dell'estrema sinistra a fianco ili Mauro Macchi; è avvolto in una specie di plaid scozzese, che copro la sua rossa casacca; si appoggia sul braccio del Macchi Applausi frenetici scoppiano nella sala e nelle tribune.

Il presidente legge la formola del giuramento. Il generale Garibaldi pronunzia le parole: Io giuro.

Molte elezioni sono confermate senz'opposizione; ma le preoccupazioni dell'assemblea sono tali che non si possono nemmeno sentire i nomi.

segretario dà lettura del progetto di legge deposto generale Garibaldi di cui abbiamo di già dato il testo.

Presidente. Quando vuole sviluppare la sua proposizione?

Generale Garibaldi. Subito.

Presidente. Dopo le interpellanze.

segretario legge il testo della proposizione del sig. Corico sui beni di manomorta in Sicilia e di molti altri progetti di N» presentati ila diversi deputati. Questa lettura non è ascoltata da nessuno.

Ha la parola il signor Ricasoli (movimento di attenzione)

Ricasoli Io devo spiegare i sentimenti che mi animavano quando bo indirizzato interpellanze al ministero. Io non avevo in mira che il bene del paese e il desiderio di smentire offesa che credevo fatta a quest'assemblea.

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L'Italia ci ha confidato la sua sorte, e noi non avremo mai abbastanza coraggio e perseveranza.

L'Italia è, essa ha il suo posto fra le nazioni; essa lo deve al valore de' suoi figli, al voto del popolo, al suo re e allo Statuto.

Le nostre deliberazioni devono consolidare l'edifizio nazionale se noi sappiamo dare l'esempio della concordia civile, perciò io non esitai a prendere la parola.

Qui i partiti devono inchinarsi dinanzi all'interesse del paese. Ci va della salvezza della patria.

Noi siamo nuovi nella vita dei popoli liberi. La nostra opera è difficile, ma noi avremo le benedizioni della posterità ed avremo fatto fare all'umanità il maggior progresso che sia segnalato dalla storia. La Camera non aspetta chio faccia lo storico di quello che fecero i volontarii sotto la condotta del capitano illustre che abbiamo il piacere di vedere in mezzo a noi. (Bravo) Quei volontari scrissero una pagina gloriosa nella nostra storia.

Non bisogna che da questi fatti gloriosi risulti dualismo che sarebbe pericoloso pel paese. La storia c'insegna come le discordie civili rovinino gli edifizi più solidi.

Io mi rapporto al tempo in cui il re è andato a Napoli per compiere l'opera di liberazione.

Il ministero avrà avuto senza dubbio buone ragioni per disciogliere l'armata meridionale. Io non l'accuso. Il Parlamento ha il diritto di domandare spiegazioni. Esso ha il diritto di discutere i grandi interessi della nazione. Questa seduta solenne sarà gloriosa nei nostri annali se essa cementa la concordia degli Italiani.

Io m'indirizzo al patriottismo dei ministri, e li prego ad informarci di ciò ch'essi hanno fatto per l'armata meridionale; che non si fraintenda sullo scopo delle mie interpellanze. Io sono animato da sentimento di patriottismo

Quanto all'armamento della nazione, io spero che il governo lo metterà in grado di provvedere essa stessa a tutte le eventualità. (Bravo)

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Fanti, ministro della guerra, prende la parola.

Da tutte le parti. Più forte, più forte!

Il ministro della guerra dà lettura d'una relazione sulla posizione dell'armata del mezzogiorno.

E detto in questa relazione che si proponeva d'organizzare cinque divisioni cogli avanzi dell'armata del mezzogiorno. Questo progetto non può essere adottato. In questo progetto i sottoufficiali e i soldati dovevano essere assoggettati alla disciplina militare. (Ci è quasi impossibile di afferrare il senso delle parole del ministro.)

Egli cita l'esempio di gran numero di generali, quali sarebbero Cucchiari, Durando ed altri; che hanno servito come volontari nelle armate straniere.

Ricorda l'esempio della Francia in cui, all'epoca della rivoluzione, si chiamò ai gradi uomini che aveano fatto la guerra in diversi paesi.

Ricorda che Napoleone, a capo di alcuni anni divenne generale in capo e salvò la Francia.

ministro dimostra quindi che avanzamenti troppo rapidi scoraggiano gli ufficiali che hanno fatto forti studii. Non é giusto che l'ufficiale che lascia le file dell'armata regolare vi rientri dopo alcuni mesi con grado superiore, quando i suoi camerati hanno combattuto come lui.

Il ministro ricorda ciò che si è passato in Ispagna, ove vi erano corpi volontarii a fianco dell'armata regolare, ed ove nullameno ciascuno sapea contenersi ne' suoi limiti.

Tali sono i motivi pei quali il governo non ha potuto acconsentire al progetto che gli era presentato.

Il re, con ordine del giorno dell'11 novembre ha dichiarato che l'armata dei volontari avea ben meritato della patria. decreto ha dato una forma legale a quell'ordine del giorno, ed ha accordato ai volontari sei mesi di paga, riservando al governo la facoltà d'ammettere gli ufficiali nell'armata regolare.

Il ministro dà lettura dei decreti emanati a quell'epoca relativamente all'armata meridionale.

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Io non contesterò che gran numero di volontari abbiano lasciato il servizio per servire il paese. La maggior parte tra essi avevano impazienza estrema d'ottenere il loro congedo, questo è fatto incontestabile.

Il ministro ricorda i decreti successivi emanati in favore dei volontari.

Il ministro legge in modo così rapido che è difficilissimo d'analizzare il suo discorso.

Il ministro ricorda le misure che sono state prese in favore dei volontari feriti; come pure il decreto che accordava ai militari disertori, dei quali gran numero figurava nell'armata del mezzogiorno, la più larga amnistia. Egli aggiunge che una scuola speciale è stata stabilita per gli ufficiali provenienti da quest'armata, scuola che non tarderà ad essere aperta.

Ricorda le facilità speciali che ha date a certi volontari, raccomandati generale Garibaldi, per ottenere i loro brevetti:

Dice che fu fatto per essi ciò che si è ricusato agli ufficiali in aspettativa, e che furono dispensati dalle formalità che aveva dovuto compiere egli stesso.

Finalmente egli dice che il collegio di Palermo è stato trasformato in collegio militare, ed ha conservato il nome del suo fondatore.

Il ministro arriva quindi alle misure prese riguardo all'armata borbonica. I corpi esteri sono stati licenziati. Si sono eliminati gli ufficiali che non potevano associarsi alle gioie del paese, come pure gli antichi soldati. quest'armata essendo organizzata in vista dell'interno si dava una quantità d'autorizzazioni di matrimonio ai setto ufficiali e soldati. Quest'armata non poteva esser considerata come armata nazionale.

Non si potevano trattar gli ufficiali dell'armata di terra come quelli della marina, che si son dati corpo e anima alla causa nazionale. Essi però hanno diritto di dire che non appartengono già ad popolo conquistato, e che non si hanno rimproveri da farsi loro, perché essi hanno servito governo nazionale e riconosciuto in tutta quanta l'Europa.

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Non si può contestare ch'ei siano nel loro diritto, e noi abbiamo dovuto adottare in principio la ricognizione dei gradi degli uffiziali che riconoscessero il governo. Si è nominata una commissione mista, composta di generali nazionali borbonici per regolare tutti i diritti.

Quanto ai soldati, si è dovuto tener conto della cattiva educazione di quest'arma, e dei numerosi permessi di matrimonio. Gli è perché si sono ritenute sotto le bandiere soltanto le quattro classi più giovani.

Il ministro spiega la destinazione data ai generali provenienti dall'armata borbonica.

Il duca di Mignano (Nunziante) è venuto a Torino appena che Garibaldi è stato sul continente napolitano. Egli si è collegato alla causa nazionale e si è dovuto iscriverlo sui quadri dell'armata.

Il ministro perviene a spiegare ciò che egli ha fatto per l'armata.

Dopo Villafranca, egli dice, fui incaricato di comandare quattro divisioni, più tardi fui incaricato mio amico Farini di comandare l'armata dell'Emilia; senza il mio intervento paese sarebbe stato in preda all'anarchia, ed ebbi la soddisfazione di rimettere al re armata bene organizzata di 30.000 uomini più 15,000 della Toscana.

Non vi dirò quali difficoltà ebbi a sormontare per organizzare quell'armata. Ma io non ho conferito alcun grado se non dopo esame dei più severi. Io preferiva di lasciare comandare battaglione da capitano piuttosto che di fare una scelta con leggerezza. Né risultò che gli ufficiali i quali erano passati in quell'armata non guadagnarono che poco sull'anzianità.

Ho stabilito una scuola pei giovani ufficiali ed ho fatto di tutto per preparare la fusione della nuova e dell'antica armata. il mio predecessore aveva creato 8 divisioni, ma esse non avevano il loro materiale. L'artiglieria e la cavalleria mancavano di ogni cosa. Eranvi disordini in tutti i servizi. Ho rimediato a tutto ciò.

Il ministro spiega come egli ha diviso l'Italia in comandi

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Nelle antiche provincie si sono chiamate tutte le classi disponibili. Si era preso nell'Umbria e nelle Marche che era possibile di prendere. Bisogna aggiungervi le 4 classi di Napoli ed i 18,000 uomini chiamati nelle provincie meridionali.

Era impossibile di fare di più, ed il ministero crede di aver preso tutti i provvedimenti richiesti dallo stato del paese. (Approvazione)

Crispi. Il ministro v'ha letto rapporto. Sarebbe bene che fosse stampato e distribuito, e che la discussione fosse ag giornata.

Ricasoli. Non vedo alcuna ragione per aggiornare, poco importa che il ministro abbia letto o parlato.

Bixio. Come possiamo noi rispondere a questa massa di cifre senza esaminarle? Bisogna che noi possiamo rispondere con altre cifre. Non è affare di partito.

Fanti, ministro della guerra. Non ho citato cifre; non ho fatto che richiamare decreti pubblicati da lungo tempo.

Garibaldi. Debbo dire alcune parole al deputato Ricasoli. Lo ringrazio di cuore d'avermi dato l'occasione di difendere i miei compagni d'arme. Sì, l'Italia è fatta; ne ho la coscienza; la sua indipendenza riposa sul valore dei suoi soldati.

Debbo dire una parola del dualismo di cui ha parlato il Sig. Ricasoli. Io sono a capo di uno dei lati di questo dualismo;

Io so; ne sono convinto. Io non ho dato luogo a questo dualismo, Mi si recarono parole di conciliazione; ma erano parole, ed io sono l'uomo dei fatti.

Io sono l'uomo del mio paese. Ho piegato. Quando si tratterà del paese, piegherò sempre. (Applausi) Ma posso io stringere la mano di colui che mi ha fatto straniero al mio paese? (Bravo nella tribuna) Ma l'Italia non è divisa. Io sarò sempre coi difensori del mio paese.

Il ministro della guerra ha detto che egli aveva salvato l'Italia centrale dall'anarchia. Io fo appello a quelli che governano il paese. Non eravi pericolo di anarchia

Presidente. Il ministro non ha detto ciò.

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Garibaldi. Io non voleva personalità; ma io debbo difendere l'onor mio. Dirò due parole dell'oggetto principale, della armata di mezzogiorno. Dovrei raccontare fatti ben gloriosi.

La gloria non è stata oscurata se non quando questo ministero ha steso sul Mezzogiorno

la sua fredda e malefica mano

.

Il conte di Cavour si alza e pronuncia alcune parole in mezzo delle grida: all'ordine! All'ordine!

Garibaldi. Io credevo di aver acquistato il diritto di dire la verità ai rappresentanti del paese, con trent'anni di servizio.

Presidente. Non offenda alcuno nell'esprimere il suo pensiero.

Garibaldi Quando l'amore della concordia e l'orrore di una

guerra fratricida...

Il centro. All'ordine all'ordine!

Cavour (con passione): Nessuno ha voluto la guerra civile. Io protesto colla più grande energia. Non posso lasciar passare queste parole.

(Il rumore diventa inesprimibile).

Il presidente si copre il capo.

La Camera è in preda alla più grande agitazione

Il presidente lascia il suo seggio e si ritira.

Il generale Garibaldi è attorniato da parecchi de' suoi amici che lo esortano alla moderazione.

I signori Cavour e Minghetti escono dalla sala per alcuni momenti.

I deputati sono aggruppati nell'emiciclo in preda alla più viva emozione.

In capo ad quarto d'ora la seduta è ripresa.

Presidente. Io sono costretto a biasimare altamente le parole sfuggite al generale Garibaldi. Sono obbligato ad esortarlo a maggior moderazione, senza di che dovrei ritirargli la parola.

Garibaldi. Non parlerò più del ministero. Il nostro re galantuomo ha detto che l'armata del mezzodì ha fatto il suo dovere. La storia dirà il resto. Che ha fatto il ministero di quest'armata? Egli potava fonderla nell'esercito, come io aveva fatto per l'armata di centro.

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Egli poteva farne corpo separato. Egli

Fra questi parecchi hanno dato la loro dimissione. Tutti l'avrebbero data, tante sono le umiliazioni che si soffersero. Così si sono esclusi ufficiali per una colpa che valeva, al più, qualche giorno di arresto.

Si è data azione sopra di essi agli ufficiali pagatori, davanti ai quali tutto doveva presentarsi. Si è deciso che gli ufficiali che non avevano brevetto sarebbero congedati alla fine del mese. Era il mezzo di sbarazzarsi del terzo degli ufficiali.

Lo scopo del ministro è stato di sciogliere con tutti i mezzi l'armata del mezzogiorno.

Finalmente si è reso il decreto del 14 aprile, che offre parecchi inconvenienti. Si riduce l'armata da quattro divisioni a tre.

Si mettono gli ufficiali indefinitivamente in disponibilità, il che li mette nell'impossibilità di far carriera. Questo decreto sarà l'ultimo portato a quest'armata.

La dittatura fu governo legittimo. Essa fece fare il plebiscito che vi ha dato due regni. perché, accettando questi due regni, avete voi rifiutato l'armata che ve li dava? Eranvi d'altronde molte ragioni per conservare quella valorosa armata.

Credo di poter parlare anche dello stato delle provincie del mezzogiorno.

Non è più segreto.

Il rimedio è conosciuto da tutti. perché si ostina il ministero a ricusarlo?

Il solo motivo che mi chiama qui è l'armamento del paese. Io non conosco altro rimedio allo stato di esso. Correggete il mio progetto! modificatelo! ma occupatevene. É la via di salute per il paese.

Pertanto il riorganamento dell'armata del mezzogiorno è principio dell'armamento. Non vi ci rifiutate, per la salvezza del paese.

Il ministro della guerra. Quando si rimandano soldati, in ogni paese si rimandano senza pagarli. Io non ho mai proposto altro che di creare una specie di consiglio di disciplina per quelli che avessero commesso delle colpe.

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Il ministro spiega il senso ili questi diversi provvedimenti.

Io amo il mio paese come qualunque altro. Voglio pure mettere tutte le sue forze in movimento: ma io voglio forze organizzate.

Garibaldi. Bisognava dare tre mesi di congedo ai volontarii, e non sei mesi di soldo per far si che se n'andassero.

(Rumori nelle gallerie).

Il centro, Si facciano sgombrare le tribune.

Bixio. Io parlo in nome della concordia. Io credo alla santità dei sentimenti che hanno guidato Garibaldi. Ma io credo pure al patriottismo del conte di Cavour.

(Bravo) Mettiamo l'Italia al disopra dei partiti.

Io vengo da Parigi tutti i miei amici sono afflitti per la divisione di questi due uomini. Io non debbo nulla al conte di Cavour. Egli ha potuto commettere degli errori. Ma io credo al suo patriottismo.

Non bisogna prendere alla lettera le parole del generale Garibaldi. So che l'Italia ha bisogno dell'armata regolare. La disgrazia della Francia nell'ultima rivoluzione fu la diffidenza verso l'armata. Voglio che si faccia una massa compatta di tutto, e che gli elementi i quali non potranno entrare nell'armata siano pure organizzati e potranno rendere grandi servigi.

Questa divisione tra Garibaldi ed il conte di Cavour, è una sventura: per vedere il conte di Cavour, il generale Garibaldi ed il sig. Rattazzi stringersi la mano, io mi sacrificherei con tutta la mia famiglia.

(Applausi prolungati)

Io esorto il conte di Cavour a non arrestarsi alle parole di Garibaldi.

Cavour. Mi si rappresenta come il nemico dei volontari, io, che li ho chiamati pel primo!

Me ne appello allo stesso generale, Garibaldi. Son' io, son io, che l'ho chiamato nel 1859 e che gli ho chiesto il suo concorso: non ricorderò le difficoltà, che incontrò questo progetto, esse furono immense. Malgrado l'aiuto assicurato dell'armata francese, io era talmente convinto del vantaggio morale dei volontari, che nessuna difficoltà mi arrestò. E se i volontari non guadagnarono di grandi battaglie essi ci hanno reso immensi servizi.

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Eglino provarono che gli Italiani sapevano combattere e morire pel loro paese, e voi volete eh' io sia avverso ai volontari?

Accetto per mia parte l'invito del gen. Bixio, e riguardo la prima parte della tornata come non avvenuta. Il governo La fatto quanto ha potuto per accrescere l'armata regolare; e quando la commissione del bilancio vedrà quanto abbiamo fatto pel personale e il materiale, riconoscerà che la storia ha pochi esempi di simili sforzi.

Abbiamo posto in moto la Guardia Nazionale e l'esperimento superò le nostre speranze, e se la guerra scoppiasse domani, il ministro della guerra non esiterebbe a mandar questa guardia a combattere a fianco dell'armata.

Io non ho esaminato il progetto del generale Garibaldi, ma siamo disposti a prenderlo in considerazione.

L'armata meridionale aveva carattere tutto speciale.

In generale i volontari stessi sono soggetti nell'armata a una ferma di una durata più o meno lunga, secondo le circostanze. L'armata del mezzogiorno non era vincolata ad alcun ingaggio. Non intendo di esprimere con ciò biasimo. Se si fosse richiesto ingaggio, il generale Garibaldi non avrebbe fatto ciò che ha fatto. E chiaro che dei volontari possano compire grandi imprese. Il generale Garibaldi e e i suoi generali lo hanno provato, ma non si possono conservare dei corpi in una tale situazione, e io credo che la parte viva di quest'armata non avrebbe contratto una ferma in tempo di pace.

Questa specie di corpi non son buoni che in tempo di guerra. Abbisognò più tempo per organizzare la brigata dei cacciatori delle Alpi, che per ordinare al momento della guerra. Io posso assicurare la Camera che noi possiamo armare, vestire ed equipaggiare tanti uomini quanti ne possiamo avere, e se la guerra si rompesse, in quindici giorni noi saremmo pronti. Ma noi non abbiamo creduto dover procedere immediatamente ad arruolamenti.

Noi non lo abbiamo fatto per cagioni politiche e per ragioni militari. Non essendo cominciata la guerra, i giovani si sarebbero

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Generale Garibaldi. Il presidente del Consiglio ha fatto allusione alla formazione dei volontarj nel 1859. A quell'epoca io fui grato al conte di Cavour di avermi fornito il mezzo di servire il mio paese. Ma dopo d'allora non ebbi a lodarmi del presidente del Consiglio. É una storia dolorosa. Giunsi a Torino.

Accorrevano i volontarj e si mandavano a me i gobbi e gli zoppi.

Si tenevano per l'armata gli uomini validi a portare le armi. Noi eravamo tre mila, e muovemmo a combattere. Dopo il combattimento di Tre Ponti fummo ridotti a 1800. Il re aveva ordinato mi si spedissero i volontari formati in Aqui. Io non li ho mai veduti.

Non parlerò dell'Italia meridionale e della condotta del ministero. Ognuno può farne giudizio. Io parlerò dell'ingaggio dei volontari. Mi pare che qualche volta mi si potrebbe consultare.

Bene o male ho fatto qualche cosa.

Io consigliai al ministro della guerra, nell'Italia centrale, di arruolare i volontari sino alla fine della guerra e alla liberazione dell'Italia. Si preferì tempo determinato e si perdettero 20,000 buoni soldati.

Io domando se siamo meno esposti dell'Inghilterra. Mi pare che essa abbia minori nemici di noi. Quelli che sono a Roma - nemici - Amo la Francia, ma quelli che occupano la nostra capitale nemici. - Ne abbiamo sul Mincio, e nudamene l'Inghilterra ha dei volontari, cento ottantamila uomini, e non più timore delle invasioni.

Comprendo che il generale Fanti ami i quadri.

I mille sono però partiti senza i quadri. Quando si tratta della patria, si possono combattere i propri nemici sotto tutte le forme.

Cavour. l'ha tra il generale e me fatto che ci separa. Io ho creduto fare il mio dovere consigliando al Re la ces

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Al dolore che provai, io comprendo quello che prova il generale, e mi spiego il suo risentimento contro di me.

Io posso dirgli che le querele relative ai volontari nel 1859, le faceva io stesso.

Il generale Cialdini mi diceva che il generale Garibaldi si contenterebbe di tutto ciò che non potesse entrare nell'armata.

Forse Cialdini esagerava il suo pensiero, ma era il nostro intermediario.

Quanto ai cacciatori degli Apennini, io feci quanto ho potuto per farglieli spedire. Noi non dovevamo attaccare dalla Valtellina, perché bisognava rispettare la Confederazione Germanica ed è il motivo per cui le truppe hanno ricevuto altra destinazione. L'errore del generale Garibaldi era di tenersi nella Valtellina, ove non era lecito operare. Il generale deve essere convinto eh' io non fui animato da sentimenti ostili, e devono esservi stati in parecchie occasioni dei malintesi.

Il gen. Garibaldi. Mi dichiaro soddisfatto delle spiegazioni del Conte Cavour. Ma vi sarebbe mezzo di conciliare i dissidii politici. Io non dubito che il Conte di Cavour non ami l'Italia.

Sarebbe d'uopo che il C. Cavour adoperasse la sua influenza per far votare la mia legge sull'armamento e richiamasse i volontari dell'armata del mezzogiorno. Questo sarebbe il miglior mezzo per riconciliare ogni cosa.

Crispi. Siccome ci siam posti d'accordo per distruggere, non saremo dunque noi d'accordo per riedificare? Abbiam fatto lo stesso giuramento; noi vogliamo le stesse cose. Ma come potrebbesi meglio manifestare questa concordia se non che coll'armamento del paese?

Benedirò perfino il deplorabile incidente che ebbe luogo al principio della seduta se ne risultasse tra noi la concordia.

Presidente legge ordine del giorno proposto gen. Garibaldi, uno da Ricasoli.

Eccone il testo:

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«La Camera, udite le dichiarazioni del ministero, persuasa

RICASOLI

«La Camera esprimendo il desiderio che il ministero ricostituisca immediatamente l'esercito meridionale, tenuto conto dei risultati dello scrutinio operato dalla Commissione, ed a formarne corpo d'armata, il quale possa essere specialmente composto di volontari, passa all'ordine del giorno.»

GARIBALDI

Ricasoli. Il governo deve governare. Egli ha la responsabilità. Il parlamento deve vegliare acchè i volontarii sieno incorporati nell'armata e acchè si provveda all'armamento della nazione. Tale è il pensiero del mio ordine del giorno.

Il gen. Garibaldi. Rinunzio a sviluppare il mio ordine del giorno.

Generale Bixio. Chiedo il rinvio a domani. Fa duopo discutere con franchezza e buona fede.

Macchi. Avvi ancora l'ordine del giorno del deputato Pace. Potranno unirvisi tutti.

Castellano pronunzia alcune parole contro il rinvio.

Il rinvio è adottato quasi all'unanimità.

La seduta è tolta alle 5 1/4.

Le tribune pubbliche e riservate sono sempre ingombre. Pure l'animazione è meno grande

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La seduta è aperta ad 1 ora e 3/4.

Il processo verbale dell'ultima seduta è letto ed approvato.

Il generale Garibaldi entra nella sala: esso,è accolto con applausi della sinistra e delle tribune pubbliche.

Bixio occupa alla destra di Garibaldi il posto occupato jeri da Zuppetta.

Il gen Petitti. Lessi il discorso pronunciato ieri ministro della guerra e mi sembrò vedervi degli attacchi contro il suo predecessore. Io sono amico del gen. Lamarmora, ma non è ciò che mi fa parlare. Tutti abbiamo la coscienza che i nostri pericoli non sono tutti passati, e sarebbe spiacevole che s'indebolisse la fiducia che inspirano certi uomini all'esercito ed al paese. Lamarmora è uno di questi. Nel pensiero di concordia espresso ieri da Bixio bisogna togliere tutti i dubbi.

Lessi nel rapporto del ministro confronto fra lo stato antico dell'esercito e il nuovo. I confronti sono sempre odiosi. Quando Lamarmora lasciò il ministero, lasciò 8 divisioni in perfetto stato mentre la popolazione del regno era di 8 milioni. Era possibile di fare di più?

Cavour ebbe per collega Lamarmora per 8 anni e potè apprezzarlo.

Si può dire: l'arte di guidare armata è soprattuto l'arte di scegliere le persone. Ora il direttore del materiale è come allora il gen. Pettinengo.

Spero che il ministro non abbia avuto l'intenzione di offendere il gen. Lamarmora, e lo udrò con piacere dichiarare da lui.

Il ministro della Guerra. Ciò che dissi non si applica alle persone. Non posso spiegarmi le parole del gen. Petitti. Sono pronto a riconoscere i servigi resi gen. Lamarmora; ma ho dritto di far notare i miglioramenti che furono da me introdotti.

Petitti. Sembrava risultare dalle parole del ministro che il gen, Lamarmora nulla avesse fatto.

Cavour. Fui ministro interinale per la guerra durante qualche tempo. Lamarmora aveva organizzato tre divisioni in poco tempo: ma non aveva potuto procurarsi tutto il materiale necessario. Non era sua colpa Ma il ministro attuale poté dire che aveva completato il materiale.

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Pettinengo. Onorato dalla fiducia tanto del generale La Marmora che del gen. Fanti, io posso spiegare le cose in modo da calmare tutte le sue suscettibilità.

Il giorno in cui il gen. Fanti ricevette il portafoglio, io gli rimisi il quadro di ciò che aveva fatto il suo predecessore pel materiale.

Rimisi più tardi al medesimo rapporto sul materiale d'artiglieria.

Que' documenti piovano che i due ministri fecero quanto era possibile per completare il materiale.

Si parlo della mancanza di cavalli che si sarebbe verificata nello scorso inverno. Se non era ridotto il numero fu per economia non essendo preveduta alcuna ostilità. Il ministro attuale, al suo arrivo, si occupò di completare il numero necessario dei cavalli.

Il Presidente dà lettura di nuovo ordine del giorno presentato gen. Garibaldi e in cui è espresso pensiero di conciliazione dei partiti.

Quest'ordine del giorno è il seguente:

«La Camera convinta che la forza della nazione risulta dalla concordia dei partiti e dalla esecuzione delle leggi, esprime il voto che il ministero, tenendo conto dell'inchiesta fatta dalla Commissione, riconosca la posizione degli ufficiali dell'armata del mezzogiorno, in conformità dei decreti dittatoriali: e lasciando al ministero la facoltà di chiamare all'attività i volontari quando ne crederà opportuno il momento, esprime il voto che siano organizzati i quadri di quest'armata, e passa all'ordine del giorno.

Casaretto. Si pronunzia in favore dei diritti degli ufficiali dell'armata del mezzogiorno. Il governo dittatoriale di Napoli era governo leggittimo, e i gradi da lui conferiti sono una vera proprietà di officiali.

Non si tratta qui di una armata che abbia agito come ausiliaria e già costituita. L'armata dei volontari è la vera armata regolare del regno di Napoli.


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Non si esitò ad incorporarla nell'armata dell'Emilia, che non aveva ancora ricevuto il battesimo del fuoco. Io non amo la guerra: riuniamo tutti i partiti, adottiamo l'armata dei borboni ma non respingiamo l'armata eroica che ci diede due regni. Il ministro disse che il numero degli ufficiali era esagerato ed oltrepassava la proporzione voluta nelle armate.

Ma qui quella che domina è la questione politica. Fa d'uopo dapprima dedurre gli ufficiali dei corpi volanti che non ebbero che una esistenza temporaria.

Quando Garibaldi arrivò a Napoli eranvi 70|m. soldati nemici sotto le armi. Agì da uomo di Stato organizzando dei quadri proprii a riunire tutta la gioventù.

Il ministro ha objettato pure gli avanzamenti favolosi che ebbero luogo nell'armata.

Avvi in ciò errore grandissimo. La maggior parte dei tenenti e sottotenenti avevano di già fatta la campagna del 1859.

Io credo d'altronde che le campagne di Sicilia e del Volturno valgano le scuole di Ivrea e di Modena. (

Rumori al centro.)

Sapete chi sono questi uffiziali? Sono i veterani delle battaglie della patria. Fecero quattro o cinque campagne, hanno ovunque ben meritato della patria.

Questo vale quanto l'aver passato 50 anni in caserma.

Il gen. Garibaldi Bravo!

Casaretto. Potreste voi contestare il diritto di persone che hanno sempre versato il loro sangue per l'Italia? Mi rivolgo al generale Bixio. E luogotenente generale. Voi lo chiamate generale improvvisato. Ebbene Egli non ebbe grado senza fatto d'armi. Medici combatté in Ispagna, fece la gloriosa campagna di Roma, quella del 1859, quella di Sicilia, lo chiamerete voi generale improvvisato?

Cenni, l'amico di Garibaldi, che fece tutte le campagne, non è che colonnello.

Gli ufficiali dell'armata del mezzogiorno hanno più campagne di quelli della nostra gloriosa armata regolare.

Non è certo colpa dell'armata. Ma infine bisogna riconoscere la verità.

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Vi citerò l'armata dell'Emilia.

Vi sono degli ufficiali che non hanno fatto alcuna campagna. Voi tuttavia gli avete accettati, perché non si può accettare l'attivo senza prendere il passivo di paese.

Certamente, in media, gli ufficiali di quest'armata non hanno tante campagne quanto quelli dell'armata del mezzogiorno.

So che vi sono spiegazioni da fare. Havvene delle onorevoli, e dello altre meno onorevoli.

Vi sono giovani che sono stati chiamati loro proprio merito a gradi elevati. Si è veduto in Francia il gen. Hoche in quattro anni da sergente diventare generale in capo e gareggiare in gloria con Napoleone. Questi in pochi anni si è fatto generale in capo, e che generale! E ciò non avvenne certamente per esser egli andato alla scuola militare. Il generale Gorgoy era sottotenente al principio della guerra in Ungheria. Lo stesso Lamarmora non era che capo squadrone nel 1848 e tosto dopo egli era generale.

Quanto alle eccezioni di altra natura, evvi di più la commissione d'inchiesta nell'armata di Garibaldi. Ogni cattivo ufficiale era messo da parte.

In armata regolare cattivo ufficiale può rimanere, mercé la disciplina. In armata di volontari egli non può durar lungamente.

Nessuno più di me apprezza il valore militare di Garibaldi ed il suo d'occhio maraviglioso.

Egli è gran generale, credetelo. La sua strategica è istinto, credetelo. Cesare era oratore, Federico II filosofo. (Mormorio al centro)

Bixio. Era questo il parere di Napoleone. Ridete pure, se volete.

Casaretto. Ma credete voi che Garibaldi avrebbe potuto vincere numero così disuguale se non fosse stato secondato da ufficiali valorosi e capaci?

Vorrei pure che quanto avvenne per la Sicilia avvenisse pel veneto.

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Il ministro teine delle ripugnanze da parte dell'armata regolare. Io non lo credo. Ho interrogato ufficiali che trovavano giusto lo ammettere volontari che apportavano regno.

E egli possibile che armata generosa come la nostra, che armata la quale montava cinque volte all'assalto di S. Martino, sia animata da sentimenti di egoismo?

Credo il sig. Ricasoli animato dalle migliori intenzioni; ma se noi non modifichiamo il suo ordine del giorno, non esprimeremo il nostro pensiero.

L'armata del mezzogiorno è sciolta, e gli ufficiali messi in aspettativa. La posizione di questi ufficiali è intollerabile, se si eccettuano gli ufficiali generali,

Credo che noi siamo tutti d'accordo nelle grandi questioni italiane. Io riconosco il merito del conto di Cavour.

(Il conte di Cavour che sta per uscire dalla sala si rivolge e saluta l'oratore.)

Casaretto. Mi pare che l'ordine del giorno modificato del gen. Garibaldi debba essere accettato, se si vuole portar la concordia nei fatti.

L'armata del mezzogiorno dovrà sottomettersi alla nostra decisione: essa vi si sottometterà. Nessuno si rivolterà. Ma la coscienza popolare vuole atto di giustizia, ed in questo momento rifiutare atto di giustizia, sarebbe una colpa. Nel 1849 l'Austria ha detto che ella farebbe stupire il mondo colla sua ingratitudine. Ella mantenne la parola; vedetene le conseguenze.

Non imitiamo simili esempii. Ci va del nostro onore. Alcuni di questi ufficiali rifiuterebbero forse, ma paghiamo il debito della giustizia e dell'onore, mettiamo la concordia ne' fatti.

Il presidente del Consiglio ha fatto gran passo verso la concordia accettando in massima il progetto di legge presentato generale Garibaldi. Facciamo ancora passo rendendo giustizia all'armata del mezzogiorno. Così dalle parole la concordia discenderà nei fatti. (Bravo).

Il gen. Solaroli. Io non posso accettare certe parole relative all'armata.

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Casaretto. Io non ebbi mai in pensiero di attaccare l'armata; ne sono ben lontano.

Cadolini. Io combatterò il discorso fatto ieri ministro della guerra.

L'oratore si applica a spiegare i servigi che hanno resi gli ufficiali dei volontarj. Pare che egli riproduca presso a poco l'argomentazione del Sig. Casaretto.

Il ministero avrebbe potuto mettere condizioni severe alla ammissione degli ufficiali. Io non avrei reclamato, ma sarebbe stato d'uopo di farlo francamente.

gran numero di ufficiali abbandonarono posizioni civili, ed essi non possono più ritrovarle.

Oggi gl'Italiani sono padroni dell'Italia, e spetta a questo Parlamento ricompensare i servigi che le furono resi.

Credo di fare atto di conciliazione appoggiando l'ordine del giorno del generale Garibaldi.

Io sono pronto a far concessioni purché tutti le facciano. Ma noi abbiamo dovere di riconoscenza da adempiere e non bisogna che le parole di concordia siano senza valore.

Liborio Romano. L'esercito di Napoli organizzato da Ferdinando II in vista dell'interno non poteva servire ad una guerra ordinaria. Non è già che vi mancassero buoni clementi, ma

esso era disorganizzato dalla corruzione.

Quando gli avvenimenti di Palermo vennero a mettere termine ai nostri mali, quell'esercito preferì una causa perduta alla causa nazionale. Ecco che risultò da una tale condotta.

I soldati si sono sbandati; gli uni sono andati ad ingrossare le bande, gli altri si sono chiusi in Gaeta col Borbone.

Quando il Generale Garibaldi entrò solo in Napoli, in mezzo alle grida di gioia, rimanevano alcuni soldati in guarnigione nei forti, ed essi non uscirono nemmeno per rendere gli onori militari al generale.

Come si è operato? a quelli che si sono battuti per la causa nazionale, si disse, voi siete traditori: a quelli che si chiusero in Gaeta si serbarono tutti i buoni trattamenti. Ciò non ostante date ai nostri soldati buoni capi, ed essi rinnoveranno i miracoli di Barcellona e della Beresina.

- 525 -

Il ministro vi ha detto chgli non avea trovato che una scuola militare. Questa scuola, organizzata sul piede di scuola politecnica, dà eccellenti uffiziali delle armi dotte.

Ma noi ab biamo pure una scuola di marina eccellente, una scuola di piloti, e tante altre buone istituzioni che il sole della libertà farà rinverdire.

Nell'armamento nazionale bisogna utilizzare tutti i buoni elementi della regia armata, e soprattutto dell'armata meridionale.

Colla concordia si vedranno rinascere in Italia le grandi virtù che ci hanno fatto, colle armi, eguali ai più valorosi, colle scienze e colle lettere ci hanno avvicinati al cielo (Bravo.)

Il presidente del Consiglio presenta progetto di legge sulle quarantene e domanda l'urgenza.

Nino Bixio. Io sarò breve. Io voglio rispondere al ministro ed appoggiare l'ordine del giorno del generale Garibaldi. Noi non possiamo accettare il giudizio del ministro come definitivo. Egli ha parlato di avanzamenti favolosi. Il ministro si è ingannato negli esempi che ha citati.

A 26 anni Hoche era generale in capo. Nel 1792 1200 ufficiali abbandonarono le bandiere. Venuta la guerra, bisognò rimpiazzarli. La guerra uccide molte persone. Il general Fanti avrebbe dovuto veder le cose da patriotta; e questo è ciò che non ha fatto. Io non ho alcun'intenzione di offenderlo, ma gli deggio rispondere. Io lo conobbi dapprima quando esiliato combatteva per la libertà; in quella qualità, io aveva della simpatia per lui. Non voglio adunque far verso di lui ciò che egli ha fatto verso l'armata del mezzogiorno.

L'armata francese, nel 1793, fu portata da 300 mila uomini ad milione. Gli uffiziali dovettero aumentare In proporzione. Napoleone che non era rivoluzionario, apri la campagna di Russia con 900,000 uomini. Si sa quanti gliene sono rimasti; ciò nondimeno, nel 1813 Napoleone aveva milione d'uomini. L'armata francese si è dunque rinnovata più volte, e le promozioni furono regolate dalla necessità; ciò è quanto è accaduto all'armata del mezzogiorno. Il nucleo di quest'armata

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Bisognò distinguere tra la parte dell'armata che ha combattuto, o quella che si organizzava. Vi saranno da fare grandi riduzioni sulle cifre del ministero. Io posso assicurare che la parte attiva non aveva troppi ufficiali.

V'ha in ciò qualche cosa di sacro. Non si è mai ingrati impunemente (con voce commossa.)

Dopo il discorso del general Fanti, e segnatamente dopo gli applausi della maggioranza, noi generali diamo tutti la nostra dimissione (Bravo dalle tribune)

Il Presidente: Se questi bravo si rinnovano farò sgombrare le tribune.

Bixio. Ci abbisognano 500,000 uomini sotto le armi. Ecco la quistione. Io non so dove il signor D'Azeglio abbia visto che i bersaglieri aveano guadagnato la battaglia del Volturno. l bersaglieri hanno abbastanza gloria senza prender quella degli altri. I Siciliani fecero maraviglie.

Si crede che non vi siano buoni soldati in Sicilia; v'ha dappertutto buoni soldati in Italia. Io non mi do per generale, ma infine, quando comandavo, comandavo. Io non domandai grado a chicchessia, l'ottenni dopo le battaglie. Ciò è vero per me, come per i miei colleghi. Quindi abbiamo detto ieri sera: bisogna dare la nostra dimissione dopo le parole del ministro.

Ho parlato come ufficiale dell'armata del mezzogiorno, parlerò ora come deputato. Non vi offendete. In Inghilterra lord Normanby ha bene il diritto di dir cose dell'altro mondo.

Perché respingere l'ordine del giorno di Garibaldi? Se noi fossimo costituiti in tribunale, il più codino dell'Italia ei darebbe

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Avete a fronte 300,000 uomini. Io ritorno di Francia dov'ero andato per vedere la mia famiglia; ne Lo riportato una convinzione.

Evvi nell'armata francese sentimento che non è tutt'amore per noi. Non è nemmeno antipatia. Non ne ho trovato che in una sola vecchia. Ma l'armata francese vuol venir dietro noi, solamente dopo noi. Ed è ben dura cosa chiedere allo straniero. Se Benedeck esce dalle file, avrete una terribile risponsabilità. Dicesi che ciò non accadrà, ma a forza di dirlo, chi sa? Noi non abbiamo ambizione, noi vogliamo l'Italia che è nostra; se non avete 300,000 uomini al cominciar della guerra voi non fate il debito vostro. Prendete danaro, prendete ciò che abbisogna, e pagate il danaro quello che vale. Se siete battuti pagherete ben altro, e sarete disonorati. (Bravo)

Io domando adunque che si mettano nell'armata tutti gli elementi disponibili, si organizzi la guardia nazionale mobile, e senza perder tempo.

Il nostro esercito è animato dallo spirito che anima noi, il suo morale è all'altezza del nostro.

Bisogna salvare il paese. Ciò deve anteporsi a tutti i sistemi. Noi vogliamo la nostra nazionalità.

Se noi siamo battuti, se non sappiamo difenderci, io mi faccio Chinese. (Risa).

Si possono organizzare i quadri senza chiamare volontaria Con dieci uomini per compagnia noi no avremo abbastanza.

Il granduca Massimiliano disse che Garibaldi andrebbe nella valle del Danubio a sua posta e che essi non potrebbero impedirmelo. È Massimiliano che lo disse e non io.

Il decreto manda i soldati alle loro case per chiamarli alla occorrenza. Ma si chiameranno più tardi che sarà possibile per non far gridare la diplomazia. L'Austria ha doppi quadri; essa, credetelo, si prepara a una guerra a morte. Se voi non preparate la vostra organizzazione a tempo, non avrete le vostre forze quando sarà necessario.

Mettete i vostri quadri in attività.

Io non vi parlo di gratitudine: ci basta la nostra coscienza.

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Organizzate la nostra armata, i vostri volontari, la vostra guardia mobile e allora, anche battuti voi potrete presentarvi all'Europa. Armatevi! ve lo dice uomo che ha tutto sacrificato; armatevi. La nostra posizione è migliore che nel 1849; ma se noi abbiamo bisogno dell'amico, dell'alleato per resistere, noi siamo perduti (Bravo).

Mellana. Son compreso che dopo avere occasionato un disastro come quello della dimissione di valorosi generali, noi sorga alcuno della maggioranza.

Il Presidente invita l'oratore a non attaccare la maggioranza.

Mellana. La Camera deve preoccuparsi delle conseguenze dell'ordine del giorno di Ricasoli. Io gli domando s'egli accetta gli atti del ministero contrarii alla dignità della Camera. momento che la Camera si occupava della quistione, non si doveva risolverla con decreto reali; e mi reca meraviglia che Ricasoli amico della dignità parlamentare, non abbia protestato. Che importa la responsabilità dei ministri in cospetto dei fatti segnalati deputato Bixio? A che ci servirà la caduta di ministero? Il dovere del ministero era di presentarci progetto di legge. Tutte le opinioni si sarebbero fatte innanzi e tutti si sarebbero sottomessi.

Il ministero offese ad tempo la legalità e la dignità della Camera. La conseguenza la più logica di questa discussione sarebbe la presentazione di una legge. Le gesto dell'armata meridionale eguagliarono le geste più gloriose, ed essa non raccolse che l'ingratitudine. Il generale Fanti non dovrebbe dimenticare, quando trattasi del suo illustre predecessore, di cui voglio prendere pure la difesa, che allorquando il conte di Cavour, a cui rendo giustizia, intraprendeva una gloriosa spedizione, Lamarmora lo chiamava a sè, quantunque fosse venuto in Italia sotto gli auspicii del partito ultraliberale.

Fu disciolta l'armata meridionale perché non aveva quadri e perché non era che accolta di individui. Non fu neppur

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Quando si saranno fatte perdere a questi uomini le abitudini militari, non si troveranno più nel giorno del pericolo. Io desidero più di ogni altro la concordia. (Bisbiglio)

Il ministro disse che nell'Emilia si era preventivamente preoccupato della fusione dell'armata coll'armata nazionale: ma crede egli che il generale Garibaldi non se ne sia dato pensiero?

L'oratore continua il suo discorso in mezzo ai segni visibili della impazienza della Camera. Tesse grande elogio al generalo Lamarmora e agli atti della sua amministrazione. Il ministero non può lagnarsi che non gli siano stati accordati i mezzi per armare. La Camera votò quanto le fu domandato. Giova dunque sospendere la discussione e aspettare progetto di legge, o votare l'ordine del giorno di Garibaldi.

Il generale Cugia. Non rianderò i fatti: la storia li giudicherà meglio di noi. Io mi associo agli elogi tributati ai volontari, ai loro illustri capi e a' loro generali. Essendo al ministero dalla guerra a Napoli, io fui commosso dell'abnegazione di questi giovani, che da Marsala al Volturno avevano guadagnato le spallette da sottotenente. Ma una scuola fu stabilita per quelli di questi giovani che volessero entrare nell'armata regolare, e questa scuola sarà aperta il primo maggio. L'avvenire di questi giovani è dunque assicurato.

Si disse con ragione che i gradi conferiti dittatore Garibaldi dovessero essere rispettati. Ma gli è ciò che stabilì il decreto del 13 novembre sotto la sola riserva di una commissione d'inchiesta.

Il compito di questa commissione è di verificare i titoli degli ufficiali. Perciò la ricognizione del grado non è contestata.

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É quello sciagurato indugio di tre a quattro mesi impiegato dalla Commissione per pronunziare le sue decisioni, che ba seminato l'irritazione e prodotto tutto il male di che trattasi presentemente, di dare una posizione a questa massa di ufficiali. Il giorno che scoppiasse la guerra, noi avremo una massa di volontari, ma non possiamo radunarli in questo momento.

L'armata regolare ha norme dalle quali non si può scostare in verun caso e che non permettono a tutti di farne parte.

Quando scoppierà la guerra sarà una fortuna lo avere a fianco dell'armata dei quadri pronti a ricevere coloro il cui carattere ha mestieri di una disciplina meno severa di quella dell'armata. Tutto ò dunque in pronto per ricevere i giovani ufficiali volontari in una scuola speciale. Di là potranno entrare nell'armata regolare o ritornare ai corpi volontari.

I decreti non hanno forse soddisfatto tutte le esigenze, ma si fece quello ch'era possibile: Si è riclamato contro la collocazione in attività: io non mi opporrò a che questa posizione venga modificata.

I quadri dell'armata del mezzogiorno sono formati in modo da poter essere riempiti il giorno che lo chiederà l'interesse del paese.

Le antiche provincie della Lombardia danno soldati quanto se ne può richiedere. Le nuove provincie non danno ancora tutto il loro contingente. Non è già che l'esercito non sia numeroso, ma crescerà ancora, e in questo momento i quadri sovrabbondano. Non conveniva creare tre nuove divisioni della armata regolare, era meglio creare i quadri di tre divisioni di volontari.

Di questa guisa non sarebbe necessario improvvisar tutto come nel 1859.

Il giorno che il re crederà poter chiamare i volontari - desidero che sia domani - tutto sarà pronto.

Io voto adunque l'ordine del giorno Ricasoli, malgrado la mia simpatia per il sig. Bixio.

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Una folla immensa stanzionava culla piazza Carignano. Nel momento in cui il ministro Cavour usciva dalla Camera fu vivamente applaudito pubblico, che aspettava con ansietà la fine della discussione.

Dopo pochi minuti usci il gen. Garibaldi e fu pure calorosamente applaudito. Il pubblico ciò facendo voleva manifestare il desiderio di conciliazione che è nel cuore di tutta la nazione, che venera ugualmente questi due grandi cittadini.

La discussione non avendo avuto alcun risultato si continua.

La Tornata del 20 aprile

Si apre all'1|4 3|1.

Garibaldi è salutato da applausi nelle gallerie, che sono gremite.

L'ordine del giorno reca il seguito delle interpellanze Ricasoli.

Conforti, dopo breve esordio col quale dichiara di essere selvaggio nella scienza militare continua:

Nel modo di esaminare la questione vi ha una differenza. La questione che da più giorni si discute in questa Camera deve essere risolta; il Parlamento italiano ha il dovere di farlo e mostrerebbe una grande impotenza se non lo facesse.

Io non posso essere uomo sospetto, non faccio una faziosa opposizione, non voto costantemente col ministero, io voto con coscienza. (Rumori)

Voci dalla sinistra: Non siamo opposizione faziosa.

Crispi. Tutti votiamo con coscienza.

Conforti. Dichiaro di non aver voluto offendere alcuno, volevo dire che io voto con coscienza come facciamo tutti.

Nell'ordine del giorno del gen. Garibaldi vi sono elementi che devono consigliare ad accettarlo specialmente dopo le spiegazioni date dall'onor. gen. Bixio.

Qui non si tratta di ammettere opinione recisa, ma di approvare mezzo per definire la questione.

Per ciò riguarda la chiamata dei volontari, è lasciata questa alla scelta del ministero.

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Se oggi la sarebbe una specie di dichiarazione di guerra, forse potrebbe sorgere il giorno in cui la si dovesse adottare.

Nell'ordine del giorno del gen. Garibaldi non si vuole una chiamata immediata.

Questa conciliazione non è possibile che non la si faccia nel corso della presente tornata.

Oltre che esser giusti, bisogna anche esser generosi verso i volontari. Il giorno in cui il generale Garibaldi salpava da Genova, tutti i buoni torinesi erano trepidanti. ufficiale mi diceva esser l'impresa impossibile, perché o sarebbero ingoiati mare o caduti vittime dell'esercito borbonico. Come con di bacchetta magica l'Italia meridionale è liberata, ed il ministero, che sa cogliere una propizia occasione, rompe le ostilità coll'armata di Lamoricière che viene vinta e fugata dai gen. Cialdini e Fanti.

Spesso ho combattuta la opinione del generale Garibaldi, ma non bisogna dimenticarsi che egli ebbe sempre due sole parole: Italia e Vittorio Emanuele.

Io dissi al generale: voi avete fatto il plebiscito, vi avete reciso la sinistra colla destra ed avete consegnato mezza Italia a Vittorio Emanuele. Si, mi rispose il generale, Vittorio Emanuele è la stella d'Italia. (Bene).

Senza quella bandiera d'Italia e Vittorio Emanuele, forse egli non sarebbe giunto a Palermo.

Usciremo noi da questa Camera lasciando vivo, ardente dualismo? Oh! se lo facessimo, dichiareremmo la nostra impotenza.

Voi sapete che l'Italia meridionale si trova in pessime condizioni. L'esercito borbonico disperso, si coordina in brigantaggio e minaccia la tranquillità nostra. Se noi siamo concordi quell'esercito otterrà mortale.

Io domando la libertà dell'errore, perché senza errore non

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Abbia luogo questa conciliazione e noi avremo ben meritato della patria.

Cavour (segni d'attenzione).. Signori deputati, si è parlato di concordia e mi compiaccio che l'on. oratore l'abbia raccomandata con parole così brillanti.

Tuttavia non è possibile dimenticare come nella tornata di ieri si sieno date accuse al ministero. Non è mia intenzione di ribattere codeste accuse, come pure lascierò senza risposta le allusioni poco benevoli che si fecero contro di noi.

L'on. gen. Bixio nell'esordire del suo discorso dichiarò che egli stesso ed i suoi colleghi diedero le loro dimissioni, e ciò perché ad alcune parole del ministro della guerra avevano data una interpretazione, diciamolo pure, poco benevola. E qui devo dire e lo dichiaro altamente che il ministero onora ed apprezza il valore dei luogotenenti del gen. Garibaldi. Comunque sia, qualunque possa essere stata l'impressione che quelle parole abbiano potuto fare negli animi loro, io non dubito, che quando vedranno le conseguenze tristissime a cui con queste andrebbe incontro la causa nostra, si ristaranno loro proposito.

Io non voglio supporre che avendo l'on. gen. Bixio dichiarato ciò alla Camera, abbia voluto abilmente mettere in opera una manovra parlamentare.

L'on. gen. Bixio ed i suoi colleghi sono animati da troppo schietto patriottismo per non mettere da parte il loro precipitato consiglio. Non è quando la patria può essere in pericolo, non è quando la reazione si leva minacciosa, che i buoni patriotti, qualunque amarezza abbiano essi sofferto, vogliano allontanarsi prestare i loro servigi. Io conosco da poco tempo il generale Bixio, ma conoscevo il suo patriottismo da lungo tempo e di ciò sono certo.

Ora entro precisamente nell'argomento.

Alcuni oratori hanno combattuto il decreto dell'11 aprile perché dicevano che con esso veniva pregiudicata la sorte dei soldati dell'esercito meridionale, ma a ciò diede equa risposta il

Lo si tacciò anche d'incostituzionalità perché si arriva

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Non posso parlare con piena conoscenza di causa dei decreti che vennero emanati mio onorevole collega il ministro della guerra; ma quanto al ministero della marina che ho l'onore di reggere, posso dichiarare che tanti decreti sottoposti alla firma di S. M., avrebbero dovuto impiegare ben molte tornate della Camera, se fossero stati, per cadauno, oggetto di una discussione del Parlamento.

Se io avessi dovuto seguire i consigli dell'on. dep. Mellana egli è certo che avendo io dovuto fondere le due marine in una non avremmo una marina italiana.

Nessuno più di me onora e rispetta l'illustre gen. Lamarmora, alle opere del quale mi associai interamente come ministro delle finanze quando assunsi la responsabilità di decretare opere costosissime in assenza del Parlamento:

Mi permetta l'on. Mellana di ritenere che allora lamia missione era ben difficile, inquantochè io doveva proporre gabelle e tasse, che l'on. Mellana combatteva sempre. (Ilarità)

Io respingo adunque nel modo il più assoluto il rimprovero d'incostituzionalità di decreto.

Abbandonando la quistione, per così dire, pregiudiziale, entrerò nella quistione di merito.

Vennero presentati due ordini del giorno, uno dell'on. deputato Ricasoli, l'altro dell'on. generale Garibaldi. Non parlo degli altri due, perché quello del dep. Ricci era in termini sospensivi, l'altro del dep. Pace era soltanto l'espressione di sentimento.

(Discende ad analizzare gli ordini del giorno del dep. Ricasoli ed il primo del gen. Garibaldi,)

Nella tornata di jeri l'on. gen. Garibaldi sostituiva altro facendo con quest'ultimo gran passo verso quello del dep. Ricasoli e dando prova d'animo conciliativo, per cui gliene rendo pieno omaggio.

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Desidererei di potermi accostare pienamente alla sua proposta, se non vi fossero due gravissimi ostacoli.

La differenza sostanziale tra l'ultimo ordine del giorno del gen. Garibaldi e quello presentato dep. Ricasoli sta in ciò che il generale vorrebbe che i quadri sieno posti immediatamente in attività.

La differenza sta tutta in queste poche parole.

Ora io dichiaro che a questo si oppongono due cose. Il geo. Cugia vi ha spiegato le difficoltà alle quali bisognerebbe andar incontro se immediatamente si volesse metterli in attività, inquantochè bisognerebbe farli funzionare eziandio colla bassa forza.

Ciò sarebbe assolutamente impossibile.

Vi sono difficoltà di ordine politico, ma non relativo alla politica interna (e me ne appello agli on. gen. Bixio, Medici, Sirtori).

Se non ci fossero quistioni di politica esterna, io dichiaro che non avrei nessuna difficoltà di accettare la proposizione dell'onorevole gen. Bixio, fatta nel suo discorso di ieri.

Queste difficoltà politiche si riferiscono precisamente all'estero. Dissi in altra tornata che l'esercito del generale Garibaldi è esercito speciale che non si potrebbe attivare in tempo di pace.

Se questa mia asserzione avesse avuto mestieri di dimostrazione, l'on. Bixio ieri avrebbe risolto ogni dubbio. Ma se dopo il discorso di ieri stesso del gen. Bixio il ministero mettesse in attività una divisione e gliene affidasse il comando, sarebbe una vera dichiarazione di guerra. (Rumori)

Non bisogna lasciarsi illudere dalle parole. L'organizzazione dei volontari inglesi non ha nessuna analogia coi volontari nostri.

In Inghilterra hanno una ferma: vi ha poi una specie di milizia urbana, e vi sono dei cittadini i quali si radunano in certi giorni e in certi luoghi per addestrarsi al maneggio delle armi. Fra i comandanti dei volontari voi vedete dei commercian

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Mi conviene, sono costretto ad entrare nel terreno della politica e chiedere alla Camera se ora sia conveniente di far ciò che le si domanda.

Voi conoscete la politica del ministero, perché ¥ ebbe proclamata nel discorso della Corona nonché quando venne interpellato sugli affari di Roma. Forse non venne peranco nella opportunità di proclamarla nuovamente.

Il paese deve sapere qual è il nostro sistema. Noi abbiamo fatto conoscere al paese ed all'Europa qual è lo scopo finale delle nostre intenzioni. Abbiamo detto e ripetuto che la questione italiana non sarebbe sciolta sinché la indipendenza non fosse compiuta, sinché le questioni di Roma e Venezia non ottenessero conveniente scioglimento.

Ma nello stesso tempo abbiamo però dichiarato che la questione di Roma doveva sciogliersi pacificamente, senza mettersi in contrasto colla Francia, senza dichiarare i Francesi che sono colà nostri nemici. Così dissimo quanto alla Venezia, che senza la Venezia non può ottenersi pacificazione, ma dichiarammo in pari tempo che noi non ci credevamo in diritto di accendere la guerra europea.

In poche parole, abbiamo dichiarato che quanto a Roma facevamo calcolo dell'alleanza francese; quanto a Venezia, dei consigli delle potenze amiche.

Convengo che l'Italia, sia in una specie di guerra, modificata dalla tregua. Tregua a Roma, tregua a Venezia.

Noi crediamo che questa sia la continuazione di sistema che dopo Novara ci condusse all'annessione della Toscana, della Italia centrale e delle provincie meridionali, e che ci condurrà alla meta a cui tutti senza distinzione dobbiamo aspirare.

Io ho fiducia nelle risorse del paese, ma conviene avvertire che la scintilla può spargersi sopra tutta l'Europa e che una condotta imprudente potrebbe mettere a lato dei nostri naturali nemici, altre potenze colle quali non siamo in perfette relazioni.

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L'alleanza inglese, si diceva che fu l'oggetto dei miei primi amori e mi si diceva anglo-maniaco. Nessuno più di me rispetta la nazione inglese, e credo che i consigli suoi, di essa che era amica dell'Italia molto prima che la causa nostra divenisse popolare, debbano essere rispettati.

E che cosa ne dice l'Inghilterra? Ci consiglia alla mode razione.

Non mi estenderò sulla condizione della Germania e della Russia, ma pregherei di osservare che questi due paesi sono incerti e che la nostra condotta potrebbe deciderli molto nella linea di politica da seguirsi, e potrebbero forse coalizzarsi contro di noi.

Il ministero è di questa opinione; potrà errare e dovrà giudicare il Parlamento.

Se per mettere in attività questi quadri, si voglia riempirli di uomini, io dico al generale Garibaldi: «Voi entrate in una via politica che non è quella del ministero.»

Egli è per questo che non può accettare l'ordine del giorno dell'onorevole generale.

Il ministero accetta invece l'ordine del giorno del deputato Ricasoli, perché parla della formazione dei volontari. L'articolo 13 del decreto dell'11 aprile, dispone che parte degli ufficiali dell'esercito meridionale vengano messi in disponibilità e parte entrino in certe sedi per istruirsi.

Naturalmente l'attuazione di ciò è una questione di finanza. Se la Camera si associasse ai sentimenti dell'onorevole Cugia e manifestasse il desiderio che venissero messi il più che si può di essi officiali in attività, il governo molto volontieri darà la più ampia estensione all'art. 13 del decreto anzidetto, e darebbe facoltà agli ufficiali dell'esercito meridionale per riunirsi nelle sedi e procedere all'istruzione.

Noi non vogliamo l'attività che sarebbe una vera provocazione: ma vogliamo mantenere questi quadri per dar prova a quelli ufficiali della nostra buona disposizione a loro riguardo.

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Mi pare che premessa per parte del ministero questa dichia

Quello che sarebbe fatale, funesto, è se si praticasse oggi una politica, domani altra.

L'Europa ha diritto di sapere quello che vogliamo fare e specialmente l'Inghilterra, la quale tollererebbe più una pazzia, che la credenza che noi avessimo voluto trarla in errore.

Se intende che questa politica debba essere modificata, la Camera deve dichiararlo apertamente, e noi la combatteremmo, se lo credessimo opportuno. Se poi quella politica che si vorrà nuovamente introdurre, noi la credessimo la più opportuna pel bene della patria, quantunque oggi non la vogliamo, noi allora la chiameremmo generosa. (Bene)

Comunque sia la dichiarazione della Camera, farà conoscere in modo preciso, netto, qual'è la politica che la maggioranza del Parlamento intende seguire nel compimento della nostra questione.

Bixio per fatto personale.

Le parole dell'onorevole conte di Cavour vogliono una spiegazione. Noi possiamo esserci ingannati; ma precisamente il generale Medici, quello che interpelliamo in ogni nostra vertenza, fu il più caldo ed il più deciso; dopo la lettura del rapporto del ministro Fanti, disse che bisognava chiedere lo proprie dimissioni.

Ci dispiacque che la lettura di quella relazione nel suo complesso sia stata applaudita dalla maggioranza.

Pres. Io credo che lei non intenda nel vero loro senso gli applausi della maggioranza.

Bixio. l'autorità del generale Fanti noi non possiamo tenerla per finita, come non pur dobbiamo ritenere per finita l'autorità di Napoleone su parecchi generali, come su Saint-cyr ed altri.

Io me ne appello alla sienografia della Camera, e voglio ritenere che la Camera ha dato questo voto di sfiducia a noi generali.

Voci dalla destra ripetute. No, no.

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Bixio, lo sono grato alla Camera; e dirò che le nostre dimissioni non furono peranco presentate. (Bene dalla destra } D'altronde tra la maggioranza io conto dei miei migliori amici, come il deputato Poerio ed il colonnello Malenchini.

La Camera mi scuserà, mi perdonerà: e vorrò ritenere che non si possa credere che io voglio invadere le Assemblee; io sono uomo della libertà, e quando la guerra sarà finita, io tornerò a fare il marinaio.

Fanti ministro;. Non so per qual ragione le mie espressioni abbiano potuto essere state così interpetrate.

Bixio, Quelle parole: favoloso promozioni....

Voce dalla destra. No no.

Garibaldi. Per che riguarda i miei compagni d'armi, la discussione è stata così bene illustrata che poco mi resta a dire.

Io svelerò ciò nullameno segreto (non so poi perché debba essere segreto!) L'argomento della discussione mi porta a manifestarlo. La mia vita militare ha qualche fatto, perché occupò qualche volta i giornali e qualche volta le conversazioni. Questi fatti che mi sono attribuiti io li devo ai miei bravi commilitoni (applausi prolungati) e specialmente ai miei ufficiali superiori, che non son nuovi, ma veterani, che corsero in qualunque parte d'Italia non solo per la sicurezza d'Italia, ma anche per l'onor suo.

Gli ufficiali dell'esercito meridionale non hanno bisogno di elogio: l'elogio loro lo fa la loro intrepidezza sui campi di battaglia. Ecco il segreto che doveva manifestare.

Mellana risponde per fatto personale (rumori prolungati).

Pres. l'oratore ha diritto di essere ascoltato.

Mellana. Noi non abbiamo mai combattute le imposte. Credo che l'onorevole presidente del Consiglio scambi la destra colla sinistra. Io lo appoggiai specialmente quando si trattò del canone gabellano.

(A questo esce fatto personale ed entra in materia.)

Pres. Le bo data la parola per fatto personale soltanto.


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Mellana. Questo é fatto personale. (Ilarità prolungata Continua quindi a parlare della fusione dell'esercito meridionale col regolare.

Pres. Le ripeto che non siamo più nel fatto personale.

Mellana. Allora mi faccio nuovamente iscrivere per dare ulteriori spiegazioni.

Crispi. Non si tratta di politica internazionale, ma bensì di politica interna. Non di politica estera, perché nell'ordine del deputato Garibaldi io non vedrei menomamente lesi gl'interessi esterni, perché non obbliga il ministero all'immediato riempimento dei quadri, ma a lui ne lascia la scelta.

Viene a parlare del rapporto del ministro della guerra, e dice che il generale Nunziante è autore del famoso ordine del giorno del 56, intorno ad Agesilao Milano; che il general Barbalonga era nientemeno che destinato a sostituire il Maniscalco in Sicilia.

Il non voler accettare l'ordine del giorno del general Garibaldi è voler persistere in quella linea di condotta, in cui si perdura da anno.

Vogliamo la concordia; facciamola questa concordia; volgete lo sguardo alle provincie meridionali, agli effetti che potrebbero derivare da ciò pensate e decidete.

Ugdulena. Ieri l'altro speravo, ad onta della seduta burrascosa, che pure potremmo condurci alla concordia; ieri cominciai a sperar meno, oggi ne dispero.

L'ordine del giorno del general Garibaldi, quantunque porti la sua firma, non è suo, non è neppure del suo partito, bensì di altro della Camera il quale lo estese per amore di conciliazione ed il generale lo firmò por amore di concordia. (Rumori)

L'oratore si mette a svolgere quest'ordine del giorno e si meraviglia come il ministero non possa accettarlo, quindi continua:

Fate per l'esercito meridionale quello che avete fatto per l'esercito dell'Emilia.

La è questa una quistione non di politica esterna, ma interna, che si rannoda intorno a sistema di politica costantemente mantenuto dall'attuale ministero nelle cose del mezzogiorno d'Italia.

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Se il ministero entra francamente nella via della rivoluzione, noi faremo cessare dualismo che pur troppo sussiste.

(Il suo discorso viene applaudito dalle tribune).

Ricasoli (segni d'attenzione). Lungi dall'essere dispiacente di aver promosso questa discussione io sono lieto di aver compiuto a quest'obbligo di cittadino, per quella concordia che no deve risultare.

Posso assicurare l'onorevole Bixio che gli applausi della maggioranza erano rivolti agli elogi che si facevano all'esercito meridionale, e non più.

Io a vero dire non so dire da qual parte stia la maggioranza o la minorità. Io non conosco che l'urna; in quella vedo codesta maggioranza o codesta minorità, ma fuori dell'urna non la veggo. Io credo che tutti i miei colleghi saranno guidati dalla stessa coscienza da cui sono guidato io stesso. (Bene)

Vengo a parlare del mio ordine del giorno.

Io ritengo che questo non possa meritare la taccia d'indegno del Parlamento, taccia che gli diede, forse nel bollore della orazione, l'onorevole deputato Mellana.

Il Parlamento non deve invadere il terreno del potere esecutivo. Il mio ordine manifesta l'animo fermo, deciso dei rappresentanti della nazione di proseguire nella grande opera del riscatto nazionale. Quindi forze materiali, forze morali, politica ardita, ma nello stesso tempo assennata. Questo è il mezzo che la nazione intende di raccomandare al ministero.

Quando il Parlamento ha dichiarato solennemente questa sua volontà, il governo deve accettarla ed eseguirla. L'ordine del giorno del generale Garibaldi mi pare che non comprenda questa volontà decisa, determinata, che col mio si manifesta.

Spero che con una leggera modificazione potrà il da me proposto essere accettato se non all'unanimità, almeno ad una grande maggioranza.

Il decreto dell'11 aprile all'art. 13 parla di scuole d'istruzione. La politica non vuole attività immediata dei quadri, ma intanto approfittiamo della scuola d'istruzione che si vuol introdurre.

Spero che il ministero vorrà accettare la mia modificazione.

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Vorrei davvero avere avuta dalla Provvidenza la sorte di aver influito a che si compensi valoroso esercito che tanto fece per la causa italiana.

Garibaldi. Mi permetterò di fare interpellanza all'on. presidente del consiglio. Io non entrerò nella sua politica, perché la politica dello Stato appartiene al governo. Avant' ieri egli fece allusione alla concordia ed io risposi che politicamente ero molto disposto ad accedervi, ed oggi ripeto che politicamente sono disposto a camminare d'accordo colla politica sua. (Ripetuti e prolungati applausi) Domando ora che cosa i rappresentanti d'Italia possano aspettarsi dall'armata nazionale e che cosa s'intenda di fare dell'esercito meridionale.

Cavour (ministro) Io accetto con tutto l'animo la riconciliazione e mi auguro che non si venga a romperla mai per l'avvenire.

All'argomento domandatomi dall'onor. generale Garibaldi darò categoriche risposte.

Rispetto all'esercito regolare il governo crede di aver fatto quanto era in lui compatibilmente colle norme stabilite: si sono esauriti tutti i mezzi rispettivamente alle vecchie provincic ed alla Lombardia.

Nelle Romagne si sono fatte tre leve e credo che l'onorevole generale riterrà non essere questo piccolo risultato, avuto riguardo al fatto che quelle provincie non erano avvezze alla leva.

Quanto all'Italia meridionale è stato presentato dall'onorevole mio collega ministro della guerra progetto di leva per 18 mila uomini nel Napoletano. In Sicilia verrà attuata la coscrizione, ma l'onorevole generale sa quanto sia difficile ottenere una leva regolare specialmente in paesi nei quali non era introdotta.

Quanto al materiale, io posso assicurare l'onorevole general»

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Noi intendiamo di provvedere all'armamento della nazione col perfezionamento della guardia mobile. Io non sono dell'avviso dell'onorevole deputato Casaretto che vorrebbe quasi distruggere l'esercito stanziale.

Casaretto. Io protesto altamente contro queste parole del presidente del Consiglio. Io fui calunniato giornalismo ed ora da una voce così autorevole come quella del conte di Cavour. (Alterato)

Pres. La prego di non interrompere.

Casaretto. La è una calunnia, una mera calunnia. (Rumori nella Camera; il presidente scampanella):

Pres. Le ripeto che non deve interrompere. Il deputato Casaretto si tace.

Cavour. Per amor della concordia dimenticherò anche questo. (Applausi)

Quanto all'esercito dei volontari, il ministero vuol vedere i quadri organizzati in modo che non solo quando vi sarà guerra, ma anche quando le condizioni politiche sieno tali che non si debbano mettere in azione tutte le forze, senza avere il carattere di provocazione, tutto possa essere in pronto; ed esprime il desiderio che l'onorevole generale vorrà assumerne il comando. (Applausi)

Quando si trattò di passare nelle Marche, vi era seria minaccia sul Po e sul Mincio per parte dell'Austria. Incaricai l'Ammiraglio Persano a recarsi generale Garibaldi affinché volesse mandare due divisioni colà, o volesse colà recarsi egli stesso onde comandare una colonna di volontari.

Circa alla marina, metteremo in opera ogni mezzo onde la nostra non sia una tra le ultime marine dell'Europa.

Garibaldi. Ringrazio l'onorevole Presidente del Consiglio di tutto quello che mi disse, ma dichiaro che sono insoddisfatto di tutto ciò che mi rispose.

Io lo domandava sull'esercito meridionale, perché tanto l'ordine del giorno Ricasoli, come il mio non mi soddisfa perché appartiene all'ordine malva, ed anzi dichiaro di non votare né per l'uno né per l'altro. Il mio lo firmai per amore della concordia, ma ripeto non mi soddisfa per nulla.

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Quello che è certo si è che si fa poco per l'armamento nazionale e che il modo non è italiano, è indegno della nazione. (Oh! oh! rumori. Applausi dalle tribune; scampanellate)

Non capisco, come armandoci, nel mentre tutta l'Europa si arma, dobbiamo dar tanti sospetti ai potenti vicini.

I miei ufficiali sono quali ponno esser tutti gli ufficiali del mondo. I miei ufficiali ponno stare accanto a tutti gli altri ufficiali. Essi hanno combattuto a fianco degli Inglesi, dei Francesi come ho combattuto io stesso e ritengo, che il soldato italiano non è secondo a nessun altro. (Applausi dalle tribune; scampanellate).

Io ripeto, non voterò né per l'ordine, né per l'altro, ma se l'onorevole presidente del Consiglio vuole mettersi in una via di conciliazione franca e di buona fede deve provvedere all'armamento della nazione, con tutti gli elementi che ha in suo potere.

Persano (ammiraglio) conferma quello che disse il presidente del Consiglio riguardo all'incarico avuto per il generale Garibaldi.

Casaretto. Domanda la parola.

Voci: Oh! oh! (rumori).

Casaretto L'onorevole presidente del Consiglio deve ritirare quelle parole che ha dette.

Voci a destra. Le ha ritirate.

(Continuano rumori. Garibaldi si alza e dice che in nome della decenza si devo lasciar parlare il deputato Casaretto (Applausi dalle tribune; scampanellate).

Casaretto. Se l'onorevole presidente del Consiglio ritira le sue parole nel senso che io non mi feci mai a propugnare lo scioglimento dell'esercito stanziale, io mi acqueterò, altrimenti mi sarà concesso di parlare perché sono offeso nell'onore. (Rumori: confusione)

- 545 -

Il conte di Cavour risponde qualche parola, che stante lo strepito non abbiamo potuto intendere, ma che però ci fa dedurre che sia stata soddisfacente per il deputato Casaretto, inquantochè nulla egli soggiunse.

Petruccelli della Gattina. Io proporrei che la Camera, non pronunciandosi né per l'ordine del giorno Ricasoli, né per quello del general Garibaldi, adottasse l'ordine del giorno puro e semplice, siccome quello che solo può condurre alla concordia.

Minghetti. Mi pare che dopo tre giorni di discussione si dovrebbe venire ad qualche risultato. Appoggia l'ordine del giorno Ricasoli.

Petruccelli. Allora non v'ha più conciliazione. (Lunghi rumori).

Pres. Valendosi del Regolamento, parecchi proposero la votazione per affermativa o negativa.

Cugia. Per qual ordine del giorno?

Bixio. Cosa vuol dire quest'ordine del giorno puro e semplice? Io non capisco. Si è discusso tanto e sarebbe bella che ce ne andassimo senza aver stabilito nulla. (Ilarità prolungata).

Del Drago domanda l'appello nominale per tutti gli ordini del giorno.

Si mette ai voti per alzata e seduta la proposta dell'ordine del giorno puro e semplice: nessuno si alza.

Pres. Dà lettura dei due ordini del giorno Garibaldi e Ricasoli; quindi dichiara che per il regolamento deve essere messo prima ai voti quell'ordine del giorno che si avvicina di più all'ordine del giorno puro e semplice; e tale essere quello del dep. Ricasoli, il quale lascia maggiore estensione al ministero.

Mellana dice essere incostituzionali le parole dell'ordine del giorno Ricasoli: Come a lui spetta.

Il presidente gli fa osservare che può parlare sulla priorità, ma non sul merito.

Ecco l'ordine del giorno Ricasoli colle apposite modificazioni:

- 546 -

«La Camera, udito le dichiarazioni del ministero, persuasa che la franca attuazione del decreto degli 11 aprile, sulla formazione dei volontari in corpo d'armata e specialmente l'applicazione dell'art. 5 da considerarsi come deposito d'istruzione, mentre provvederti convenientemente alle sorti del valoroso esercito meridionale, varrà ad accrescere e coordinare in modo efficace le nostre forze, e assicura che il governo del Re alacremente darà opera all'armamento ed alla difesa della patria, come a lui solo spetta, passa all'ordine del giorno.»

Comincia l'appello nominale.

Il presidente Rattazzi si ritira dalla Camera, dicesi perché indisposto.

Assume la presidenza il primo vicepresidente comm. Tecchio.

Ecco il risultato della votazione sull'ordine del giorno Ricasoli:

Votanti pel Sì 194.

No 79

Astenzioni 5

La seduta è levata alle ore 6 1|2.

Le procellose discussioni di cui abbiam reso conto con tutta la possibile fedeltà doveano menar seco delle questioni personali ed irritanti. Il general Cialdini si credette in dovere di prendere sopra sè la causa dell'armata attaccata dai discorsi degli amici di Garibaldi, e indirizzò a questo la seguente lettera, che fu pubblicata dai giornali di Torino:

- 547 -

Torino, 21 Aprile

Generale,

«Da che io vi conosco, io sono vostro amico più costante e sincero. Io già lo era quando era pericoloso di esserlo e manifestarlo. Io ho pubblicamente applaudito ai vostri trionfi, ammirato la vostra energica iniziativa militare e, sia co' miei amici, che coi vostri, in pubblico, come in privato, sempre e dovunque, io fui lieto di dare testimonianze della profonda stima che portava per voi, o generale, e di confessare ch'io sarei stato incapace di fare ciò che voi avete fatto splendidamente a Marsala.

La mia fiducia in voi era sì grande che allorquando il generale Sirtori pronunciò in Parlamento le sue funeste parole, io era sicuro che voi sentireste il bisogno e trovereste il mezzo di smentirle. E quando vi seppi partito da Caprera, sbarcato a Genova, giunto a Torino, io credetti che fosse per questo che voi venivate, per questo soltanto. La vostra risposta all'indirizzo degli operai di Milano, il vostro discorso al Parlamento furono per me penoso e completo disinganno.

Voi non siete l'uomo chio credeva, non siete il Garibaldi ch'io amava. Voi avete distrutto il mio entusiasmo e la mia affezione per voi. Io non sono più il vostro amico, poiché io mi trovo oggimai in campo tutt'affatto ostile alla vostra politica.

Voi ardite salire al livello del Re, di cui voi parlate coll'affettuosa dimestichezza d'eguale. Voi vi arrogate il diritto di tenervi superiore ad ogni riguardo presentandovi alla Camera in abito intieramente straordinario, superiore al governo dichiarando traditori i ministri che non vogliono sottoporsi ai vostri voleri, superiore al Parlamento accusando i deputati che non dividono

- 548 -

Sta bene, generale. Sonvi uomini che non sono disposti a sopportare tutte questo cose, ed io sono di questo numero. Nemico di ogni tirannia, comunque vestita di nero, o di rosso, io la combatterò sino all'ultimo, fosse anche la vostra!

Io conosco gli ordini dati da voi e dai vostri al colonnello Tripoli, di riceverci negli Abruzzi, a colpi di fucile, non ignoro le parole dette in parlamento generale Sirtori; so quanto avete detto voi stesso, e con questi dati, son riuscito a scoprire con certezza tutto il pensiero del vostro partito. Esso vuol rendersi signore del paese, dell'armata, e, nel caso contrario, ne minaccia la guerra civile.

Io non sono in grado di conoscere quello che pensa il paese, ma posso assicurarvi che l'armata non paventa le vostre minaccie; ciò che essa teme, è il vostro governo. Generalo, voi compiste una nobile e generosa impresa coi vostri volontari, avete ragione di insuperbirvene, ma avete torto di esagerarne i risultamenti.

Voi eravate sul Volturno, in una delle più critiche posizioni quando noi siamo giunti. Capua, Gaeta, Messina, e Ci vitella non sono cadute per mezzo delle vostre armi e cinquantasei mila borbonici sono stati battuti, dispersi e fatti prigionieri da noi e non da voi.

È dunque falso il dire che il regno delle Duo Sicilie fu liberato dalle vostre armi.

Nel vostro legittimo orgoglio voi dimenticate, generale, che

il nostro esercito e la nostra flotta vi ebbero la loro buona parte distruggendo più della metà dell'armata napoletana

e impadronendosi delle

quattro fortezze

del regno.

Conchiuderò col dirvi che io non ho né le pretese né il mandato di parlarvi in nome dell'armata. Ma

credo conoscerla abbastanza per affermare ch'essa dividerà il sentimento di avversione o di dolore che le vostre improntitudini

e quelle del vostro partito hanno suscitato nel mio cuore.

Sono con considerazione

Vostro devotissimo

ENRICO CIALDINI

- 549 -

suo canto Garibaldi, e il general Sirtori risposero in questa forma a Cialdini.

All'onor. direttore della Gazzetta di Torino

Torino, la sera del 22 aprile 1861.

Leggo nel pregievole giornale da lei diretto una lettera del generale Cialdini al generale Garibaldi, lettera sì inattesa che mi par di sognare leggendola. - Il grido di sdegno e di dolore che mi uscì petto udendo parole offensive all'esercito meridionale, doveva dunque avere sì funeste conseguenze? - Le spiegazioni da me date non erano forse soddisfacenti? - Non furono giudicate tali dalla Camera, dall'opinione pubblica e dallo stesso gen. Cialdini....? Se ciò non fosse mi condannerei a eterno silenzio per non espormi a dire il contrario di ciò che penso, voglio e opero. Giacché nessuno più di me s'adoperò a provenire fin la più remota possibilità dell'orribile sciagura a cui accennai.

- E se, dimenticando me stesso, v'accennai, fu nell'angoscia di una reminiscenza che spero erronea. Spero che il governo del Re sconfesserà il dispaccio a cui alludo, come il generale Garibaldi o con lui tutto l'esercito meridionale sconfessano il dispaccio a cui allude il gen. Cialdini.

- Checché ne sia, io sono convinto che generali, ufficiali e soldati sì dell'esercito settentrionale come dell'esercito meridionale avrebbero spezzate le armi piuttosto che usarle a guerra civile.

Ma è tempo ormai che la parola di guerra civile sia cancellata nei discorsi, come la immagine dalle menti, Tutti, uomini di Stato e soldati, oratori e scrittori, che abbiamo consacrato la vita all'Italia, abbiamo egual diritto di dire noi siamo l'Italia perché l'Italia vive in chi vive del di lei amore. Ma è vero altresì che l'Italia non si personifica appieno che nel Parlamento e

nel Re, perché il Parlamento ed il Re simboleggiano l'unità, la maestà, la legge, la religione della patria.

G. SIRTORI

- 550 -

LETTERA DEL G. GARIBALDI

Generale

Anch'io fui vostro amico ed ammiratore delle vostre gesta. Oggi sarò ciò che voi volete, non volendo scendere certamente a giustificarmi di quanto voi accennate, nella vostra lettera, d'indecoroso per parte mia verso il Re e verso l'esercito: forte, in tutto ciò, della mia coscienza di soldato e di cittadino italiano.

Circa alla foggia mia di vestire, io la porterò sinché mi si dica che non sono più in un libero paese, ove ciascuno va vestito come crede.

Le parole del colonnello Tripoti mi sono nuove.

- Io non conosco altro ordine che quello da me dato: «Di ricevere i soldati italiani dell'esercito settentrionale come fratelli;» mentre si sapeva che quest'esercito veniva per combattere la rivoluzione personificata in Calabria. (Parole di Farini a Napoleone III)

Come deputato io credo aver esposto alla Camera una picciolissima parte dei torti ricevuti dall'esercito meridionale dal ministero - e credo di averne il diritto.

L'armata Italiana troverà nelle sue file un soldato di più, quando si tratti di combattere i nemici d'Italia - e ciò non vi giungerà nuovo -

Altro che possiate aver udito di me verso l'armata - sono calunnie.

Noi eravamo sul Volturno al vespro della più splendida vittoria nostra ottenuta nell'Italia del mezzogiorno prima del vostro arrivo, e tutt'altro che in pessime condizioni.

- 551 -

Da quanto so, l'armata ha applaudito alle libere parole e moderate d'un milite deputato, per cui l'onore italiano è stato un culto di tutta la sua vita.

Se poi qualcheduno si trova offeso dal mio modo di procedere, io parlando in nome di me solo, delle mie parole sono garante, e aspetto tranquillo che mi si chieda soddisfazione delle stesse.

G. GARIBALDI

L'opinione pubblica in Italia era vivamente preoccupata di tutti questi dibattimenti, e delle scissure che minacciavano turbare la costituzione del nuovo regno, riconosciuto già poco prima dall'Inghilterra, dalla Svizzera, e dalla Grecia officialmente. Queste animosità s'erano già tramutate in fatti da parte dei volontari Garibaldini, ch'erano in guarnigione a Mondovì. Si osservava, dice il giornale La Lombardia, da qualche tempo questi volontari agitati dall'influenza di misteriose communicazioni, quando il 24 finalmente una parte di essi scoppiò in sedizione aperta, turbando l'ordine pubblico. La maggior parte degli ufficiali procurò di opporsi a questi fatti, ed alcuni furono feriti dai sediziosi. Felicemente questa rivolta fu potuta comprimere a tempo, e il general Turr che comandava questa divisione di volontari, si condusse senz'indugio da Torino a Mandovì per pigliare esatta informazione di questi fatti, mentrechè gli altri generali del medesimo corpo facevano attivissime ricerche per riconoscere e punire i colpevoli dei loro subalterni, o discoprire gli agitatori borgesi che mettevano a pericolo l'onore del corpo, e gettavano lo spavento in mezzo alle popolazioni.

Garibaldi comprese essere urgente di rendere al proprio paese la calma, di cui tanto v'era bisogno. Nella giornata del 25 Aprile, fece chiedere al Signor di Cavour un abboccamento a fine d'effettuare una riconciliazione. La quale non fu lungamente aspettata, perocchè ebbe luogo sotto gli auspici, e mercé l'influenza d'un molto alto personaggio.

- 552 -

L'alto mediatore invitava iersera presso di se l'onorevole Conte di Cavour, che giunto immantinenti, fu pregato di passare nella sala attigua a quella in cui trovavasi chi lo aveva fatto chiamare.

In quella stanza il conte di Cavour trovavasi a faccia a faccia col generale Garibaldi: l'uscio richiudevasi dietro i due grandi personaggi, i quali rimanevano lunga pezza a colloquio da solo a solo. In seguito a tale colloquio, l'uomo di Stato e il guerriero scparavansi visibilmente commossi e soddisfatti delle spiegazioni avute, e con una cordiale stretta di mano ponevano fine ai passati dissensi. Tornato da Moncalieri, ov'era seguito il riavvicinamento, il generale Garibaldi ponevasi a letto, allorquando gli si diceva che il marchese Pallavicini Trivulzio bramava veder lo. Recatosi alla di lui casa, il generale Garibaldi incontrava colà il generale Cialdini. Fra i due soldati d'Italia le spiegazioni furono brevi e generose. Essi abbracciaronsi, e sui loro volti abbronzati fu vista scorrere qualche lagrima di tenerezza.

Fu universale la gioia colla quale fu accolto l'annunzio di questo fatto cotanto bramato da ogni Italiano.

IV.

Per seguire senza interruzione l'ordine dei fatti relativi ai dibattimenti parlamentari, di cui abbiamo tracciati gl'incidenti memorabili, abbiamo lasciato addietro diversi altri fatti del pari interessanti, e sui quali siamo per ritornare. Abbiam detto nel cominciare di questo capitolo, che la discussione della questione romana nelle camere francesi aveva determinato il governo dell'imperatore Napoleone III a consigliare il gabinetto di Torino di sospenderne la soluzione.

- 553 -

Frattanto se il parlamento italiano s'era lungamente occupato di tale questione nella camera elettiva, siccome abbiamo di già veduto, il senato non s'era per ancora dichiarato. La discussione non fu fissata che alla seduta del 9 Aprile sulle interpellanze dell'onorevole senator Vacca al ministero. Ecco pertanto queste interpellanze, la risposta del Signor di Cavour, e l'ordine del giorno proposto dall'onorevole senator Matteucci.

Vacca. Non occorre parlar molto sulle cose di Roma. Riassumerò lo stato della quistione, indicherò poi la soluzione più semplice e logica. Risalendo ai sommi principi, trovo enclave riti non si trova ai poli estremi. Nella quistione di Roma abbiamo due principi estremi che si combattono. Gli oltramontani esagerano gli errori e le colpe del fanatismo religioso, dimenticano quello che forma la vera gloria del papato. Sostengono essere la potestà temporale condizione essenziale all'esistenza del papato. Su questo argomento l'opinione pubblica ha già pronunciato. La potestà temporale cadrà non tanto per il bene di questo regno d'Italia, quanto per il maggior bene della religione medesima.

Abbiamo un altro partito che tende difilato alla meta e pensa solo a rovesciare, a distruggere. Ma quando avremo tutto distrutto, dovremo sostituirvi qualche cosa. La società non può esistere senza una autorità religiosa. Ren fu detto nell'altro recinto esser cosa impossibile il concentrare le due potestà in una sola persona.

Non ho bisogno di ricordare le vicende della lunga lotta fra il sacerdozio e l'impero. ln quella lunga contesa furono frequenti le concessioni da ambedue le parti, ma il risultato si fu la disfatta del potere sacerdotale.

E perché fu disfatto? perché non voleva rinunciare alla potestà temporale. Tolta la potestà temporale, lo Stato potrà rinunciare a quelle istituzioni che non hanno ragione se non che (intanto che la potestà temporale sussiste. 36

'Dobbiamo aver perduta ogni speranza che il venerando Pontefice voglia adattarsi a giuste condizioni?

- 554 -

Io avrei terminato il mio discorso, ma permettetemi che vi dica qualche cosa delle cose di Napoli Le popolazioni napolitane. afflitte da antichi mali e da recenti disastri, hanno dato prova di senno e di temperanza civile. Francesco II fece opera di riconciliarsi ai suoi popoli; ma i popoli non prestarono fede ad una dinastia spergiura. Garibaldi fu accolto perché la sua bandiera portava scritto: Italia e Vittorio Emanuele. Un partito audace voleva impedire il plebiscito, ma il senno del popolo insistette ed il plebiscito si fece.

Volete una prova della moralità del popolo? Il dittatore decretava un compenso alle vittime della tirannia borbonica. Il senno del popolo respinse quel compenso.

Or chi sono i turbatori dell'ordine pubblico, gli schiamazzatori di piazza?

Sono amici di tutte le cause perdute, uomini di partiti opposti, riuniti contro la causa nazionale, partigiani di non so qual fantastico pretendente, una parte, e lo dico con dolore, del nostro patriziato o gli avanzi dell'esercito borbonico.

Questi uomini si servono di una stampa violenta, impudente, sfrenata.

Questi partiti e questa stampa non possono essere puniti meglio che denunciandoli a questa tribuna.

Uomini onorandi furono calunniati da quella stampa. Io non so se la magistratura di Napoli, se i preposti alla polizia faranno il loro dovere; io so che io non fallirò al mio. e che non mancherò alla mia missione.

Voi vorreste dunque la dittatura, si dirà. Ma vi sono due specie di dittatura, ed una ve n' ha che io di buon animo invocherei, una dittatura riparatrice. Ma io non domanderò una dittatura, domanderò un governo forte ed energico, un governo che salvi l'ordine morale sociale.

È pericoloso il procedere per esclusione, il far governare da una minoranza. Questo si dice giustamente da tutti. Il programma del cav. Farini proclamava questi principii; quel programma non fu accettato dai partiti estremi.

- 555 -

Ma la radice del male sta in Roma fattasi officina di reazione, minacciosa all'Italia ed alla Francis. Distrutto covile di reazione, vedrem miglorarsi anche le condizioni delle provincie napolitane.

Cavour. All'annuncio delle interpellanze fattemi nella scorsa settimana, io mi sentii alquanto sgomentato. Il discorso ora pronunciato dall'onorevole oratore, prova che egli si astenne saviamente fare al governo domande alle quali non avrei potuto rispondere. Egli vuole in certo modo una conferma di quelle dichiarazioni che furono accolte con tanto favore dai rappresentanti della nazione medesima. Ottimo consiglio è questo, giacché se lo scopo è tale che tutti i nostri sforzi devono tendere necessariamente a raggiungerlo, tante difficoltà ci si oppongono, che non dobbiamo mai trascurare alcun mezzo che valga a farcele superare. E ben a ragione si disse che non possiamo ottenere lo scopo se non con mezzi morali.

L'onorevole interpellante aggiunse nuove considerazioni a dar forza agli argomenti già adottati in altro recinto per dimostrare la necessità che venga data soluzione alla quistione romana. Egli conchiuse molto opportunamente accennando ai pericoli che da Roma, fattasi focolare di reazione, vengono all'ordine interno delle provincie meridionali. La quistione di Roma, anche sotto questo aspetto, acquista una immensa importanza. La soluzione importa a ben definire la nostra politica estera, importa non meno alla politica interna. Importa moltissimo alla consolidazione dell'edificio dell'unità nazionale che cessi l'antagonismo tra la corte di Roma ed il governo italiano. Io mi unisco all'on. sen. Vacca per proclamare che la soluzione della quistione di Roma è necessaria a dare assetto indistruttibile alle cose dell'Italia meridionale.

Non mi occuperò, come egli ha fatto, distesamente delle cose di Napoli.

É questo argomento di tanta importanza che non potrebbe esser trattato come incidente. Ma dirò che noi dobbiamo rispettare sempre le leggi. Servendoci di armi legali, confido che il governo potrà ricondurre l'ordine e la pace in quelle provincie.

- 556 -

Non si potranno guarire d'tratto tutte le

L'Inghilterra fece nel 1688 una gloriosa rivoluzione; la libertà trionfò senza che avessero a nascere disordini, ma la lotta degli antichi partiti durò oltre a 60 anni.

Il rivolgimento italiano fu ispirato all'altissima idea dell'unità nazionale, non credo ci vorranno 60 anni, ma sei mesi sicuramente non bastano a far sparire ogni traccia della rivoluzione.

Spero che i mezzi legali varranno a far rispettare la legge ed a ristabilire la pace in quelle provincie. Se non bastassero, chiederemo al parlamento non la dittatura, non i pieni poteri, ma quei provvedimenti che appariranno necessari. Come i ministri inglesi ai quali faceva cenno l'onorevole senatore, chiederemo questa o quella misura speciale. Ma io spero che non ne avremo bisogno. Le discussioni della Camera elettiva avvalorate dalle pa i ole pronunciate nel Senato, il voto che da tutte le parti si innalza ad invocare il ristabilimento dell'ordine. aumenteranno l'autorità del Governo.

Ma il mezzo più efficace a riordinare le cose nell'Italia meridionale starebbe sicuramente nella soluzione della questione romana.

I partiti estremi perderebbero, se non lo Stato maggiore, certo il loro esercito, e senza di questo, lo Stato maggiore non è molto pericoloso.

Io non vi dirò come io intenda la soluzione che dovrebbe darsi alla quistione romana. L'ho già detto nell'altra Camera in una discussione solenne.

Le speranze allora manifestate, non sono cessate. Non vi dirò clic in si breve tempo abbiamo fatto grandi conquiste, mi qualche cosa si è ottenuto. Tutte le relazioni del partito liberale, anche quelle che si preoccupano degli interessi conservativi,»c colsero con favore le nostre dichiarazioni.

Ma questo non basta, dobbiamo far accettare le nostre proposte anche dalla parte moderata od illuminata della società cattolica. A questo cominciano le difficoltà. Dobbiamo forse per questo sgomentarci? No, o signori.

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Era impossibile che l libertà religiosa fosse accolta dalla società cattolica senza esitan

Guardate ai paesi dove la riforma si è mantenuta, non vi vedrete mai applicato il principio della libertà religiosa. Nella Svezia, sovrano illuminato e liberale tenta invano di fare introdurre nella legislazione massime di tolleranza religiosa. Perfino nell'Inghilterra, durarono, fino a pochi anni sono, le leggi politiche contro i cattolici; e non è gran tempo che il partito liberale spaventato per una bolla pontificia che istituiva in regno ve scovi cattolici proponeva una multa contro i nuovi vescovi.

La chiesa non ha dunque torto di accogliere la libertà con diffidenza. Ma vi ba altra ragione, ed è che abbiamo spesso veduto i liberali, dopo aver trionfato dei loro avversarii, servirsi della libertà per opprimere coloro contro i quali avevano combattuto. Vedeste nella Francia la costituzione civile del clero la circoscrizione delle diocesi fatta dalle autorità civili, il giuramento imposto ai vescovi ecc.

Tutte queste cose spiegano fino ad certo i timori della società cattolica, spiegano come l'episcopato francese, che non conosce l'Italia, e ci giudica sulle informazioni calunniose dei giornali ultraclericali, si opponga tanto fortemente alla nostra causa. Forse esso teme che si rinnovi ciò che avvenne in Francia. Se questa non fosso la ragione, io non intenderei come l'episcopato francese, composto da illustri personaggi, tratti da una società illuminata e liberale, potesse esserci tanto nemico.

Nell'ultimo secolo noi abbiamo visto il partito liberale in Austria, in Toscana, a Napoli introdurre nella legislazione disposizioni tendenti a vincolare il potere ecclesiastico.

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Quei vincoli non erano sicuramente d'accordo coi principii di libertà. Ma quando si pensi che Roma era in possesso di potere temporale

Tuttavia dobbiamo riconoscere che aspirazioni alla libertà si manifestarono anche in seno alla società cattolica. Una parte del clero francese dopo il 1830 riconobbe che i favori dello Stato avevano portato danno alla religione, e che l'alleanza della Chiesa colla legittimità era stata dannosa ad ambedue. Ma il ca po di quella scuola non avendo viste bene accolte dalla corte di Roma le sue dottrine, fu tratto a poco a poco ad abbandonare il cattolicismo, mentre egli avrebbe dovuto continuare con moderazione a spargere le massime di libertà. partito, ciò non ostante, non è ancora scomparso, e molti membri del clero francese sono ancora affezionati ai principii di libertà religiosa proclamati poco dopo il 1830 dall'abb. Lamennais, padre Lacordaire e conte di Montalembert.

Vi è paese in cui queste dottrine hanno ricevuto una larga applicazione. L'esempio del Belgio dovrebbe avere una grande autorità sia sul partito cattolico, sia sul partito liberale. È vero che vi è lotta e lotta vivissima tra il partito cattolico ed il partito liberale nel Belgio, ma quella lotta non fu funesta alla libertà. Il partito liberale resistette anche nei tempi in cui dominava nell'Europa uno spirito di reazione. Io non considero che la lotta nei paesi costituzionali sia male. La lotta è una condizione della libertà. L'esempio del Belgio dovrebbe rassicurare e liberali e cattolici.

Ma io credo che sia facile dimostrare come l'Italia fra tot te le nazioni sia la più atta ad applicare il principio della libertà religiosa. Difatti in Italia vi sarà meno antagonismo che non nel Belgio. E perché? perché in Italia il partito liberale è più cattolico che non nel Belgio.

- 559 -

I più grandi tra i nostri pensatori mai non cessarono mirare alla conciliazione della libertà col

Ci sarà lotta, sicuramente dopo che la corte di Roma si sarà piegata alle condizioni che noi le offriamo; ma io non credo che la lotta sia male; io mi apparecchio a sostenere molti assalti, anzi, parlando francamente, credo che se Roma accetterà la libertà che l'Italia le promette, i fautori di quello che si dirà partito cattolico, non tarderanno molto ad acquistare il sopravvento, ed io mi rassegno a finire la mia carriera sui banchi dell'opposizione. (Ilarità)

Io sono tanto convinto del vantaggio che ne verrà alla religione dalla libertà, che io spero che la Corte di Roma se ne persuaderà essa pure. Giovarono moltissimo le discussioni della Camera elettiva, non meno gioveranno le parole pronunciate in questo recinto. L'Europa accolse non senza meraviglia quelle dichiarazioni, e quella meraviglia dovette farsi maggiore all'intendere che le parole più altamente, forse troppo altamente cattoliche, sorsero dai banchi della estrema sinistra.

Credo che la manifestazione della opinione di quest'illustre consesso gioverà immensamente. Credo che procedendo senza impazienze, senza lasciarsi sgomentare da dubbii e da pericoli, avremo convinto fra non molto la società cattolica della sincerità delle nostre intenzioni e si alzeranno voci che diranno al Santo Padre: Accettate i patti che vi si offrono per assicurare la indipendenza della Chiesa; assicurate la pace all'Italia, a quella nazione che in mezzo a tante lotte, a tante sventure si conservò più di tutte fedele alla religione. (Applausi prolungati)

Matteucci. Dopo il voto della Camera dei deputati, dopo le dichiarazioni del presidente del consiglio avrei stimato inutile il rinnovare la stessa discussione.


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- 560 -

Ma dacché si è pensato diversamente, domando ora permesso al Senato di presentare ordine del giorno e di spiegarlo in poche parole.

Dobbiamo contentarci per ora in questo argomento di una dichiarazione di principii. Affermiamo il diritto della nazione sul territorio tutto della penisola, affermiamo il nostro diritto di sta bilire la sede del nostro governo in quel punto che meglio conviene ai generali interessi del popolo italiano.

Disgraziatamente l'esercizio di questo diritto ha urtato contro il poter temporale del Pontefice, e si sono destate per ciò le inquietudini delle coscienze cattoliche.

Fu detto da molti essere inconciliabile il governo temporale coi principii della libertà. Il Rossi forse non credeva impossibili le riforme del governo temporale, ma il pugnale dell'assassino troncò la vita a quell'illustre ministro.

Ora non si tratta di ciò, si tratta del diritto della nazione ad aver Roma.

Affermando i diritti dell'Italia, dichiarando che vogliamo assicurare al Pontefice il libero esercizio della potestà religiosa, noi non intendiamo di aver sciolto il problema. Ma è molto averlo definito, aver conosciute le resistenze che dovremo vincere, i mezzi da impiegarsi. Non vogliamo ricorrere alla violenza, anzi vogliamo far convinti gli spiriti timidi della lealtà delle nostre intenzioni, della sincerità delle nostre promesse, Noi speriamo nel tempo e nella forza della pubblica opinione, non nelle armi. La presenza delle truppe del nostro alleato in Roma non può essere giustificata se non dal desiderio di rendere possibile la conciliazione dell'Italia colla Chiesa.

Il più efficace di tutti i mezzi ad affrettare il momento in cui potremo ottenere il nostro scopo, è l'organizzazione interna del regno, e questa sta in mano nostra.

Ventidue o ventiquattro milioni d'Italiani, stretti intorno al loro Re, messi in grado di produrre tutto ciò che la libertà rende possibile di ottenere, sono una forza morale e politica capace di sciogliere non solo il problema della quistione romana, ma di garantire la nazione dai disordini interni e dai pericoli che minacciano di turbare la pace di Europa.

- 561 -

Ecco l'ordine del giorno che ho l'onore di proporre al Senato,

«Il Senato, confidando che le dichiarazioni del governo del Re, per la piena e leale applicazione del principio della libertà religiosa, faranno fede alla Francia ed all'intera società cattolica che l'unione all'Italia di Roma, sua naturale capitale, si compierà assicurando la libertà e nel tempo stesso il decoro della Chiesa e del Pontefice, passa all'ordine del giorno. «

Nella medesima seduta il ministro Minghetti propose al senato un progetto di legge per l'istituzione d'una nuova festa nazionale, del quale riportiamo il testo.

Signori Senatori,

Per antico costume, tutti i popoli civili istituirono pubbliche feste in memoria dei fatti più splendidi compiuti in benefizio della patria. E il Parlamento subalpino consacrò anch'esso un giorno a solennizzare la festa dello Statuto largito dal Magnanimo Re Carlo Alberto.

Ora il voto del Parlamento, che dichiarò Vittorio Emanuele lI Re d'Italia, segna un'epoca memoranda nella storia nazionale poiché sancisce in faccia all'Europa l'unità e l'indipendenza della nostra patria.

Sembra dunque al governo di S. M che la memoria di questo atto solenne debba consacrarsi con una festa nazionale, la quale riassuma in se stessa eziandio quella dello Statuto, imperocchè alla monarchia fondata sulla libertà costituzionale è dovuto l'indirizzo dello italico risorgimento. Che anzi questo grande evento essendo come il compimento di tutti i fatti parziali che illustrarono la storia italiana, ragion vuole che ogni altra festa, la quale rammenti i fatti municipali, venga meno, o cessi almeno di essere obbligatoria.

Il carattere di questa festa dovrà esser principalmente civile e popolare e si prenderà occasione da essa per stabilire, di concerto fra le autorità municipali e le governative, pubbliche mostre di belle arti e d'industrie locali, per fare rassegna dell'esercito o della guardia nazionale, esercizii del tiro a segno, e per promuovere opere di beneficenza.

- 562 -

Il principio che il governo di S. M. si onora di professare, e che spera un giorno di vedere attuato, quello cioè della separazione della Chiesa dallo Stato, lo consiglia a non rendere obbligatorio l'intervento delle autorità ecclesiastiche nella festa predetta.

Bello e nobile spettacolo sarà sempre il vedere la religione benedire e consacrare le glorie nazionali: ma solo desiderabile allora quando sia effetto di sentimento verace e di spontanea deliberazione del clero.

PROGETTO DI LEGGE.

Art. 1. La prima domenica del mese di giugno di ogni anno è dichiarata Festa Nazionale per celebrare l'Unità d'Italia e lo Statuto del Regno.

Art. 2 Tutti i municipii del Regno festeggieranno questo giorno, presi gli opportuni accordi colle autorità governative.

Vi interverranno tanto le autorità governative, quanto le provinciali e comunali.

Art. 3. I municipii stanzieranno nel loro bilancio le spesa occorrenti alla celebrazione della festa.

Art. 4. Qualunque altra festa, la cui spesa fosse obbligatoria a carico dei municipii rimane soppressa.

- 563 -

V.

La questione romana era stata appena discussa al senato italiano, quando la corte di Roma, credette di dover protestare contro il titolo di re d'Italia testé conferito a Vittorio Emanuele dal parlamento nazionale. Estragghiamo dal giornale Le Monde il testo di questa protesta.

Roma 15 aprile 1861.

Un re cattolico ponendo in obblio ogni principio religioso sprezzando ogni diritto, calpestando ogni legge, dopo avere spogliato a poco a poco il capo augusto della Chiesa cattolica della più grande e più florida parte de' suoi legittimi possedimenti, oggi assume il titolo di re d'Italia. Con ciò egli vuol porre il suggello alle usurpazioni sacrileghe da lui già compiute e che il suo governo ha già manifestato di completare alle spese del patrimonio della Santa Sede.

Quantunque il Santo Padre abbia solennemente protestato ad ogni nuova impresa con cui recavasi offesa alla sua sovranità, e' non è meno in obbligo oggi di fare una nuova protesta contro l'atto col quale si prende un titolo, lo scopo del quale è di legittimare l'iniquità di tanti atti anteriori.

Sarebbe superfluo il ricordare la santità del possesso del patrimonio della Chiesa ed il diritto del Sovrano Pontefice su questo patrimonio, diritto incontestabile, riconosciuto in ogni tempo e da tutti i governi, e da cui deriva che il Santo Padre non potrà mai riconoscere il titolo di Re d'Italia, cui si arroga il re di Sardegna, giacché tale titolo lede la giustizia e la sacra proprietà della Chiesa.

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Non solo non può riconoscerlo, ma ancora protesta nel modo più assoluto e più formale contro una simile usurpazione.

Il cardinale segretario di Stato sottoscritto prega V. E. di voler portare a cognizione del suo governo questo atto fatto in no me di S. S., tenendosi certo ch'esso ne riconoscerà l'assoluta convenienza e che, associandosi ad una tale determinazione, contribuirà, colla sua influenza, a por fine allo stato di cose anormale che da sì lungo tempo desola la sventurata Penisola.

Coi sentimenti, ecc.

Cardinale ANTONELLI

Se il governo italiano, legato dalle esigenze della diplomazia, s'era determinato a sospendere la soluzione della questione romana, un gran numero di deputati delle provincie meridionali s'erano riuniti il 28 Aprile in comitato particolare per discutere sulla gravità della situazione delle provincie da loro rappresentate. In questa riunione fu stabilito di provocare dalla parte del governo italiano una protesta energica contro la corte romana e contro l'occupazione francese a Roma, essendo la presenza di Francesco II in questa capitale il più grande ostacolo alla sicurezza ed alla pacificazione delle provincie napolitane, secondo questi deputati l'ex-re di Napoli non uscirebbe da Roma fuorché quando vi entrassero le truppe italiane. Le risoluzioni adottate da quest'assemblea furono di ben lieve peso in faccia all'esigenze della diplomazia europea.

Tuttavolta la nostra cronaca deve constatare, che regnava a Roma nel partito liberale, sovrattutto nella parte detta a" azione un gran fermento, cagionato dagl'intrighi degli agenti borbonici, che secondati dai leggitimisti francesi avevano di recente creato due comitati sanfedisti sulle stesse basi di quelli che si formarono in Italia nel 1822. Uno di questi comitati s'era stabilito alla piazza di MonteCitorio; l'altro al Corso nella casa Ripari.

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Fu in quest'epoca, che cadde per un colpo di pistola sulla piazza Traiana un Zuavo pontificio d'origine Belga, chiamato il conte di Limmenghe. Questo giovane si recava in tale momento appresso del S. Padre per deporre a' suoi piedi una forte somma di danaro, e il modello d'una machina per fare i cannoni rigati, regalo del duca di Bisaccia. Si fece un gran funerale in S. Maria della Minerva alla quale ceremonia il comitato legitimista di Roma invitò la popolazione

per mezzo di cartelle che si diramavano per le strade in lingua francese

, cosi concepiti

M.

Vous êtes prie d'assister au service funèbre de Mr. le Comte Alfred de Limminghe, qui aura lieii le 49 Avril 1864. à 44 heures du matin à l'Église de Ste. Marie de la Minerve.

Vedremo nel seguente capitolo qual fosse la situazione delle provincie napolitane.

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CAPO VIII.

SOMMARlO

I. TUMULTI NELLE PROVINCIE NAPOLITANE - ORIGINE DEL BRIGANTAGGIO POLITICO COSPIRAZIONE REAZIONARIA A NAPOLI - DETTAGLI -AMMUTINAMENTO DEI COCHI E DELLA GUARDIA NAZIONALE - ORDINI DEL GIORNO DEL COMANDANTE TOPPUTTI - II. TUMULTI E BRIGANTAGGIO NELLA BASILICATA - CARMINE DONATELLI DETTO CROCCO E SUA BANDA - VENOSA E MELFI SACCHEGGIATE - ORDINE DEL GIORNO DEL PRINCIPE DI CARIGNANO LOCOTENENTE DEL RE ALL'OCCASIONE DI QUESTI DISORDINI - ESTRATTO DELLA GAZZETTA OFFICIALE DEL REGNO, CHE NE RENDI CONTO - TURBAMENTO A PALERMO, ORDINE DEL GIORNO DEL LOCOTENENTE REGIO IN SICILIA - III. UNIFICAZIONE DEL DEBITO PUBBLICO IN ITALIA - CREAZIONE DEL GRAN LIBRO PROPOSTO IN PARLAMENTO DAL MINISTRO DELLE FINANZE - PROPOSTA D'UN PRESTITO DI 500 MILIONI, ESPOSIZIONE DEI MOTIVI FATTA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI - CREAZIONE DI NUOVE MONETE COL CONIO DEL REGNO D' ITALIA - ISTITUZIONE DELLA FESTA NAZIONALE DELLO STATUTO - DECRETO - IV. VENEZIA RIFIUTA DI NOMINARE I DEPUTATI AL CONSIGLIO DELL'IMPERO NUOVAMENTE ISTITUITO DALL'IMPERATORE D'AUSTRIA - NUMEROSI DISERTORI AUSTRIACI PASSANO IN ITALIA - AVVISO PUBBLICATO DAL LOCOTENENTE GENERALE DELL'AUSTRIA IN VENEZIA - V. LA PRESENZA A ROMA DI FRANCESCO II É VIVAMENTE COMBATTUTA DAL GABINETTO DI TORINO - TENTATIVI DEL CONTE DI CAVOUR PER OTTENERE DAL GOVERNO FRANCESE CHE DECIDA IL S. PADRE AD ALLONTANARE DI ROMA L'EX RE DELLE DUE SICILIE - PRATICHE OFFICIALI TENTATE DALL'AMBASCIATORE DI FRANCIA A QUESTO PROPOSITO

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- RISPOSTA DEL CARDINALE ANTONELLI - SPIEGAZIONI DEL GIORNALE LA PATRIA RELATIVAMENTE ALLA SITUAZIONE DELLA FRANCIA CON ROMA - L'OBOLO DI S. PIETRO ALIMENTA E SOSTIENE LE FINANZE PONTIFICIE - ARTICOLO DEL GIORNALE DI ROMA SUL PRODOTTO D£L DANARO DI S. PIETRO - I GIORNALI ITALIANI SPERANO SEMPRE L'EVACUAZIONE DI ROMA DALLE TRUPPE FRANCESI.

CAPO VIII.

I.

Dopo la caduta di Gaeta due fatti si produssero, che esercitarono, come vedremo, la più grande influenza sulla situazione delle provincie napolitane. Il primo di questi fatti, cioè il licenziare dell'armata borbonica, gettò una turba di uomini oziosi e senza mezzi di sussistenza sulla strada a disposizione della reazione: il secondo fu la conseguenza del soggiorno in Roma di Francesco II, sua famiglia e la corte.

Là un gran numero d'emigrati avevano continuamente lo spirito rivolto con speranza sugli elementi che essi avevano lasciati in fermentazione entro il loro paese, dove sapevano che soprattutto gli abitanti delle montagne erano rimasti realisti, e quasi tutto il clero fedele al papa come alla dinastia decaduta.

Noi abbiamo di già veduto, a diverse riprese, dopo la ritirata di Francesco II a Gaeta dei movimenti insurrezionali scoppiare segnatamente il 19 ottobre, alla vigilia del plebiscito che chiamava i Napolitani a votare l'unione delle due Sicilie al Regno d'Italia.

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Ci ricordiamo che ad un segno dato dai gendarmi borbonici che uscivano da Ci vitella del Tronto con bandiere rosse, tutti i montagnoli della linea degli Appennini che separa Teramo dall'Aquila si precipitarono sul piano, invasero numerosi villaggi, li saccheggiarono, vi scannarono alcuni liberali, e rovesciarono le autorità. Arrivati vicino a Teramo, respinsero la guardia nazionale inviatavi dal governatore contro di loro. Fu mestieri ad arrestarli la legione dei volontari degli Abruzzi comandata dal Curci, e due battaglioni di linea, che li perseguitarono Pino a Valle Castellana, uno dei più alti fastigi degli Apennini, ove essi resisterono per alcun tempo. Ma colà, giunti allo stremo dei viveri commisero atti così atroci in quei contorni, ché trassero sopra di sé le sanguinose repressioni del general Pinelli, di cui abbiamo già fatto parola.

Nella terra di Lavoro e nell'altro Abruzzo, come ci ricordiamo,

Kleistche, detto de Lagrange

operava congiunto al generale Scotti,

percorreva il paese annunziando alle popolazioni, ch'un'armata d'Austriaci era di già entrata a Teramo per venire in suo soccorso

. Era in queste bande un vecchio generale Luvera ed un certo Giorgi: quest'ultimo marciava decorato del cordone di S. Gennaro.

Si poteva allora trovare una ragion politica in quegli atti d'insurrezione.

Il paese ancora non si era dichiarato per mezzo del suffragio universale, e il sovrano teneva fermo tuttavia in Gaeta.

Non dobbiamo confondere i partigiani con queste bande che hanno percorso dappoi e tuttavia percorrono le provincie napolitane, i cui fatti sono stati caratterizzati col nome di brigantaggio.

La presa di Gaeta aveva veramente troncata la strada alle spedizioni legittimiste, Francesco II aveva dichiarato in faccia all'Europa ch'egli rinunciava a turbare il suo paese con la guerra civile.

La Gazzetta di Francia pubblicava la seguente lettera, indirizzata dal ministro di Francesco Borbone a' suoi agenti diplomatici ancora accreditati presso le corti straniere:

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Signore,

Per ordine di Sua Maestà il re nostro augusto signore, io sto occupandomi d'un nuovo lavoro sullo stato attuale delle cose nel regno delle Due Sicilie; vi si tratterà anche della condotta tenuta da S. M., e dimostrerà, che, malgrado le sollecitazioni di gran numero de' suoi soggetti che gli rimasero inconcussa mente devoti, egli ha saputo astenersi da ogni tentativo di ristaurazione, che in questo momento crede inutile ed inefficace; frattanto io mi limito a farvi conoscere che in nessun periodo dell'istoria delle Due Sicilie, si è rimarcato un simile malcontento, una tanta irritazione, e tanta crudeltà nella repressione dei moti spontanei fra le popolazioni di que' paesi.

Mi basterà di dirvi, che in un sol giorno la direzione della polizia ha ricevuto 250 telegrammi concernenti i movimenti che ebbero luogo nelle provincie, che il governo usurpatore era stato anche obbligato di disarmare delle compagnie intere di guardie nazionali; che senza contare i morti nei differenti scontri, più di 200 prigionieri sono stati fucilati dai Piemontesi; che infine le prigioni, e alcuni conventi della capitale e delle provincie sono riempite dai sospetti:

Credetti dover mio mettervi al corrente di questi fatti sommari! perché voi possiate avere un esatto concetto in questo proposito.

DEL RE.

Francesco lI. aveva similmente ringraziato i suoi partigiani dei loro servigi ulteriori, massime il signor de Christen, la cui banda abbiamo ultimamente veduta inseguire dal general de Sonnaz fino agli Stati romani, e battere a Bauco, dove il medesimo consenti a negoziare coi Piemontesi, promettendo loro sul proprio onore di non prendere più servizio contro l'Italia, promessa che non mantenne lungo tempo.

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Ecco la lettera colla quale gli ufficiali borbonici notificaron la loro ritirata al generale piemontese:

«S. M. il re mio glorioso sovrano, per evitare una effusione di sangue che le circostanze hanno resa inutile, mi ha ordinato d'abbandonare gli Abruzzi e di partire immediatamente da Oricola.

«Non è senza dolore che io eseguisco quest'ordine, poiché i prodi che io comandava volevano ancora una volta mostrare ai vostri soldati come si difende la causa d're leggittimo ed italiano.

Domani, all'alba, voi gli avreste trovati pronti a sostenere l'assalto decisi a combattere sino all'ultim'ora. Ma è doloroso il far loro sgombrare il posto ove si erano allineati in battaglia per difendere il territorio del loro principe, divenuto l'oggetto della simpatia di tutta l'Europa civile. Ma essi non perdettero ciò non ostante la speranza di riprendere le armi, essi sanno pienamente che il giorno del trionfo della verità e della giustizia non è molto lontano, e che Dio riserba la gloria a quelli che combattono in nome suo. Allora noi accorreremo sul campo di battaglia per cacciarvi tutti negli abissi dell'empietà, dai quali siete usciti.

«Qui sotto troverete i nomi dei generali ed ufficiali che per due mesi hanno combattuto sempre vittoriosamente sul suolo degli Abruzzi, in mezzo a privazioni e sacrificii rari nella storia militare, contro la prepotenza, e la tirannia piemontese.

Confrontate questi coi nomi di quelli che vanno ogni giorno pel cammino della rivoluzione, spandendo racconti di assassinii, di brigantaggi, di rapine commesse dai nostri, poi lasciate il giudizio alla posterità.

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Oricola 22 febbbrajo 1860.

Il comandante la colonna conte de Coatandon, Ceccarelli colonnello, Rochette colonnello, Guerrieri maggiore, Piccolo capitano

All'epoca, nella quale ci troviamo col nostro racconto, cioè al mese d'Aprile 1861,

quasi tutti i malfattori che si aggiravano per le campagne, non avevano nulla di comune con i primi partigiani del re decaduto.

O erano la schiuma più immonda delle truppe borboniche licenziate dopo la caduta di Gaeta, o prigioni fuggiti dalle galere nell'entrata di Garibaldi in Napoli. Uno di questi galeotti, per nome Cipriano della Gala, s'era offerto per dare la caccia ai briganti, ma fu consegnato all'autorità giudiziaria. Allora tutti gli altri di simil fatta, galeotti evasi, malfattori in rottura di carcere, malandrini di vecchia data, vagabondi e antichi banditi delle montagne, che il caso aveva raccozzati insieme, formarono delle nuove bande, che si dierono a percorrere e sconvolgere il regno, ed a saccheggiare i casali. Questa si fu l'origine vera dell'attuale brigantaggio.

Frattanto le diverse bande marciavano senza meta e senza direzione, ed avrebbero dovuto disparire innanzi all'energiche misure di repressione del governo, so la politica, troppo spesso poco scrupolosa sulla scelta dei mezzi, non si fosse impadronita di questi elementi di calamità pubblica ch'ella teneva sotto le mani, e non si fosse fatto del brigantaggio istromento a' suoi fini. La reazione prese tutti questi uomini al suo soldo, e li trasformò in partigiani. Furono messi loro alle dita degli anelli di piombo o di zingo, furon loro inviati dei bottoni impressi di una corona e d'una mano tenente uno stilletto col motto: fac et spera. I comitati stabiliti a Roma ed a Marsiglia fecer loro pervenire delle somme di danaro con istruzioni particolari per la rivolta che dovean promuovere.

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Fu fatto coniar moneta a nome di Francesco II, e perché questa specie di moneta avesse corso nelle provincie meridionali, furono marcate col millesimo 1859, poi le si anneravano col mezzo di una preparazione, che le faceva somigliare alle vecchie.

Con siffatti clementi di disordine non tardarono molto a scoppiar nuovi tumulti in diverse parti del Napolitano. Si videro apparire le bande di Somma nelle vicinanze del Vesuvio, quella di Nola, quella di Gargano, quelle delle Calabrie, e finalmente della Basilicata, le quali ultime, all'epoca di cui trattiamo fecero i più funesti guasti nel paese.

Il 3 Aprile era giorno profetato dalla reazione per la restaurazione di Francesco II, mediante l'aiuto d'armata austriaca, la quale secondo che si diceva, era di già sbarcata a Manfredonia, e la popolazione delle provincie e tutto il basso popolo di Napoli era stato avvertito di trovarsi pronto.

Tutte le bande riunite dovevano marciare sulla capitale, e attaccare la guardia nazionale.

Nel medesimo tempo si doveva appiccar fuoco su diversi punti della città, schiudere le prigioni, cavarne i detenuti, sonar le campane a martello, e piombar sopra i Piemontesi e i liberali per tutto dove li trovassero.

Questa congiura cominciava a mettersi in atto, ma la vigilanza della polizia, e l'energia della guardia nazionale ne fece ben tosto abortire i funesti effetti.

Nella notte del 6, e nel momento che i detenuti erano in sul i evadere mediante la connivenza delle guardie con i cospiratori, vi si accorse come il fulmine e furono assicurati alla giustizia i custodi.

La sommossa de' villaggi avea già dato saggio: a Soccavo, a Massa di Somma ecc... si era fatto pronunziamento, il cui programma era come di dritto la carneficina, l'incendio e il saccheggio.

Una lettera scritta da Domenico Luciani al generale Bosco dice:

«La notte del 3 l'affare sarebbe riuscito magnificamente, ma una circostanza impreveduta l'ha impedito»

Il parroco di Cisterna (vicino a Napoli) stava la notte del 6 con la fune del prossimo campanile dentro la casa, per suonare a stormo, alla sommossa; la guardia Nazionale di Napoli lo sorprese in questa situazione.

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Il vescovo Trotta della diocesi di Cisterna e due suoi fratelli e il vescovo Trama furono arrestati in Napoli.

Il duca di Caianello, sorpreso in casa, rispose che egli l'attendeva; ed esibì una lettera dell'estero a lui diretta dove lo si avvertiva che doveva essere arrestato.

Cassoni di fucili sorpresi in casa del duca Cassano, assente da Napoli. La famiglia sostiene essere di quelli destinati, non so se alla Guardia Nazionale o al deposito.

A Foria sorpresi ed arrestati molti, componenti comitati reazionari. Uno di essi il medico Tacle, mentre cercava salvarsi, o usciva, nell'attraversare la strada visitato pugnale del popolo fu morto.

A Montecalvario Camorrista borbonico cadde fra le baionette Nazionali mentre cercava sottrarre collega prigioniero; egual fine vi trovò altro al Mercato.

Cassoni di polvere sorpresi dalla Guardia Nazionale di notte mentre attraversavano sopra carro le strade di Napoli.

E gran quantità di soldati ed ufficiali tradotti nelle carceri di Napoli da' vicini paesi.

Ognuno di questi soldati, ognuno degli ufficiali (questi ultimi vestiti alla borghese) aveva al dito

grosso anello di piombo, primo all'ultimo.

La polizia avvertita che cinquecento soldati, buona parte degli ex cacciatori a cavallo, doveano accorrere in Napoli nella notte del 7 all'8, si occuparono tutte le stazioni della strada ferrata e gli altri punti. I primi a venire in numero di quarantacinque furono sorpresi nel vagone da drappello di Guardie di Sicurezza; la Guardia Nazionale era stata anche chiamata. Qualcuno cercò indarno resistere. Tutti si resero immantinenti; aveano bastoni con quattro punte di ferro e senza; fiaschette, e carte di nomi, che dicevano essere dei conti.

Vi erano degli ufficiali che non aveano voluto fare atto di adesione. Avevano tutti i soliti anelli.

Da Napoli e da tutti i paesi che circondano Napoli doveansi recare i congiurati a Caserta ed a Cisterna; il parroco Manzi ne avrebbe preso il comando, e di là si sarebbero mossi verso Nola ovvero si sarebbero volti impetuosamente verso la capitale se i casi fossero proceduti loro favorevoli.

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I soldati borbonici che

Il Comitato Borbonico stabilito a Napoli era rappresentato da giornale che si pubblicava due volte la settimana, avea tratti nella cospirazione una buona parte de carcerieri. Ad segno convenuto, le porte delle prigioni si sarebbero aperte.

Il Ministero della Polizia avea da qualche tempo sentore della cospirazione, ma non avea potuto ancora saperne l'orditura. Tre casi avvenuti in pari tempo la discopersero. tal inquisito in Castel Capuano e chiamato a parte della congiura ne parlò col fratello, e questi rivelò per filo e per segno quanto gli era venuto fatto di sapere al Maggiore del 13 Battaglione della G. N. Gaetano Martinez:

una lettera di Francesco Borbone diretta al Duca di Cajanello capitava nelle mani del governo:

giovanetto rivelava che a S. Giovanni a Carbonara in casa di prete chiamato Luciani si faceano arruolamenti. Difatti essendosi nascosti in alcune stanze i carabinieri, arrestarono quanti ne capitarono il giorno seguente. A Cisterna le G. N. di Napoli recatesi di notte, guidato maggiore Martinez, corsero grave pericolo. Il parroco Manzi essendo avvertito che voleano arrestarlo, suonò a stormo le campane. Dalle case, da' campi accorrevano i contadini armati di ronche, e di zappe. Le Guardie nazionali si apparecchiarono arditamente alla difesa. militare si arrampicò con incredibile audacia al muro del Campanile, ne troncò la fune, o così cessò il suono terribile. Altri fecero stare a segno i canipagnuoli, e l'arresto del parroco seguì senza disordine alcuno. A Napoli in parecchie case furono trovate armi, in altre polvere e munizioni.

3 battaglione della guardia nazionale furono sorpresi seicento fucili in una stalla alle spalle della posta.

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Furono fatti altri arresti, e in palazzo sopra il ponte di Chiaja furono trovate armi e polvere - Come pure altra polvere fu sorpresa in una casa sita a S. Margherita a Fonzeca.

In una corrispondenza sorpresa dalla polizia si legge, che questo movimento reazionario era chiamato dai Borbonici: t nostri vesperi siciliani.

altro prete di nome Giuliani fu scoverto come distributore, e consegnatario di ducati seimila, ed in relazione con altri reazionarii sì di Napoli, che delle provincie. L'arresto del duca di Cajanello è degno di molta considerazione. Venne già nelle mani della polizia una lettera dello ex Re diretta al signor duca: si pensò non farne conto pel momento, che anzi fu consiglio suggellarla, e rimettergliela. Sappiamo che egli protestò contro il suo arresto per la inviolabilità del domicilio.

Venne arrestato prete travestito, anche con deposito di fucili a San Carlo all'Arena, e si venne a conoscenza di questo per mezzo di Garibaldino, di cui egli credea sicuramente servirsi.

Furono arrestate circa cinquanta persone armate di revolver, e di arme bianche. sesto battaglione della Guardia Nazionale erano state scoperte quattro cantaia di polvere in domicilio alle spalle del Teatro Nuovo:

e fu tradotto anche in prigione uffiziale borbonico di gendarmeria, sorpreso con alcune casse di pistole.

Il fatto dell'incendio all'Albergo de' Poveri si rannodò senza alcun dubbio alla presente trama reazionaria; esso fu da perversa mano destato ne' magazzini di grande edilizio, entro ai quali il governo suole aver depositato le sue ingenti provviste di foglie di tabacco. Oltre a duecento mila ducati si calcola il danno, perocchè ad onta dell'essersi giunto nel corso della notte stessa a circoscrivere le fiamme, la foglia scelta e secca, racchiusa nelle botti, divampò con una rapidità incredibile, ed appena 10 botti poteronsene salvare.

L'albergo propriamente, o ricetto degli orfani, non sofferse alcun danno.

La guardia nazionale vi prestò opera di soccorso e di tutela che nessun elogio ragguaglierebbe. Essa non tardò guari ad accorgersi dagl'insoliti ceffi che vi accorreano

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e dall'atteggiamento loro, non trattarsi sol

Tra i documenti che comprovano la congiura è notevole la seguente lettera al generale Bosco trovata in casa di Monsignor Trotta già fatto prigione.

Caro Generale

Le tengo ragguaglio della mia attività nella cooperazione della nostra santa causa. Sono giunto ad armare diecimila operai bravi, e volonterosi, e questo al modico prezzo di seimila ducati. A tale scopo ho venduto quanto mi apparteneva. Il movimento deve scoppiare li 3 del corrente mese. Io fo questo perché tanto esige la mia coscienza. Le raccomando la più stretta segretezza, e che non lo sappia neppure il nostro padrone.

Ma la Polizia, assai più vigile di che molti pensavano, non si lasciò cogliere alla soprovvista, ancorchè per caso Onora inesplicabile, né il dì 3 né il 4, né il 5 fosse nulla avvenuto. La notte del 5 al 6 cominciossi il movimento.

Le fiamme all'Albergo de Poveri, il tumulto alle prigioni ed una bandiera bianca piantata sulla specula del Salvatore segnalavano l'alba del giorno 6, ed eran segnali d'intelligenza ai cospiratori:

or chi può delineare la straordinaria attività del Dicastero di Polizia, e l'inestimabile coraggio della Guardia Nazionale da quell'ora in poi?

maggiore della Guardia Nazionale è stato colui che venne a capo di tutto il complotto della reazione, mediante rivelazioni di suo dipendente faciente parte della congiura.

Giunsero in Napoli nella notte del giorno 7 circa 10 mila

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Durante tutto il mese d'Aprile, Napoli fu agitato, e mentre che le bande agivano nelle provincie, Basilicata principalmente, la capitale veniva ogni momento disturbata con manifestazioni. Ora scoppiava grido di Viva Garibaldi! in via di Toledo: ora delle cartelle sediziose si vedevano affisse per la mura; altro giorno erano delle finte guardie nazionali, che gridavano viva Francesco II, e le quali venivano arrestate; ed una volta anche ammutinamento di cuochi. A proposito di siffatta strana insurrezione ecco che si legge nel giornale Il Paese.

Da due giorni l'ordine è turbato a Napoli da una curiosa sommossa, da una sommossa di cuochi.

Non sappiamo quale risoluzione sia accaduta nelle trattorie e negli alberghi di Napoli, ma sei o settecento cuochi si sono improvvisamente trovati in mezzo alla strada. Vedendosi tanto numerosi, han formato una coalizione.

Questa coalizione aveva per iscopo d'impedire ai trattori ed agli albergatori di mandare i pranzi fuori di casa.

Qualunque guattero che portasse sulla testa canestro, paniere o una cassa di latta era fermato, battuto senza pietà e, scrupolosamente svaligiato della sua colazione o del suo pranzo.

Due o tre coltellate sono anche state date durante il conflitto.

Le bastonate non si contano.

Siccome queste distribuzioni di viveri a domicilio erano, soprattutto, dirette agli ufficiali piemontesi o ungheresi, costoro dopo aver aspettato invano la loro colazione mangiata da' rivoltosi, han giudicato necessario di fare scortare il loro pranzo da soldati con la sciabola in mano, come si faceva una volta in Francia per la carne destinata al Re.

Mediante questa precauzione, i guatteri ed i pranzi, gli uni portando gli altri, son potuti giungere al loro destino.

Ma la sommossa dura ancora, e minaccia di prendere proporzioni colossali.

Ma la più grande sommossa fu quella provocata da cer

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COMANDO SUPERIORE

della Guardia Nazionale della Città di Napoli

Ordine del giorno del 27 Aprile 1861

La Guardia Nazionale di Napoli jeri, come sempre, tutelò l ordine pubblico e si mostrò meritevole della fiducia che ha in essa il Parlamento e la Nazione. Alcuni tristi ieri mattina per tuttaltra ragione che per quella che annunziavano, illudendo i meno accorti per cattivarsi seguaci, abusarono dell'onorata divisa la quale indossavano, e violentemente penetrando nella stanza del Segretario Generale del Dicastero dell'Interno e Polizia, osarono fino di rivolgergli alcune intimazioni e minacce. Non lo avrei mai creduto se non fossi staso spettatore del tristo avvenimento.

Con malizia iniqua si giovarono di alcune parole lette nel rapporto del Segretario Generale che precede il novello organamento della Guardia Nazionale per le Provincie Napoletane. Quelle parole non possono al certo offendere la benemerita Guardia Nazionale della città di Napoli. Il Segretario Generale dopo aver con generose parole lodata la Guardia Nazionale di queste Provincie Meridionali ed aver ricordati i segnalati servigi resi, si rivolge ai comandanti pregandoli di voler persuadere i militi

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L'enormità delle vie di fatto per nulla in proporzione della causa che si adduce per pretesto, ben dimostra che almeno i principali fra coloro che ieri irruppero nel Palazzo del Ministero e poscia perturbarono l'ordine pubblico non erano al certo amici dell'Italia, ma tristi reazionarii di cui alcuni già malauguratamente si nascondono sotto l'onorata divisa della Guardia Nazionale. Se la Guardia Nazionale di Napoli è giustamente superba nella gloria acquistata, bisogna che si mostri unanime nell'indegnazione contro que' pochissimi che jeri abusarono dell'onorata divisa, e mutarono l'uniforme dell'ordine in quello del disordine, tenendosi fermi i buoni e disingannandosi gl'illusi. Siffatti sciagurati disonorano il Corpo a cui appartengono e bisogna che ne vengano espulsi, al che mi adoprerò con ogni mezzo che è in mio potere.

Uffiziali sotto uffiziali e militi della Guardia Nazionale di Napoli, accorsi alla chiamata numerosi avete potuto sedare il tumulto e dar così una prova al paese ed al governo del vostro amato Re Vittorio Emanuele, che la Guardia Nazionale di Napoli è ben degna delle lodi avute, è ben degna della deliberazione con cui il Parlamento Italiano la dichiarò benemerita della patria.

Immenso numero di guardie nazionali alla mia voce, ripetuta dai comandanti dei battaglioni, si raccolse in grosse pattuglie percorrendo le vie della città, e tutelarono l'ordine pubblico. La cavalleria fu sollecita a dimostrare il suo consueto zelo: E questa una pagina novella della sua storia breve sì ma gloriosa. Conviene però non istancarsi: le mene dei tristi son sempre all'ordine, gli agenti borbonici credendo di aver causa vinta

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si stanno

agitando e forse da un momento all'altro può occorrere di dover fiaccare le loro trame baldanzose. Siano tutti pronti all'appello della causa patriottica e dell'ordine alla cui conservazione sono essi dedicati.

Il luogotenente Generale Senatore del Regno

Marchese O. TOPPUTI

Altro ordine del giorno del 27 Aprile 1861,

S. A. R. il Principe Luogotenente col mezzo del suo ajutante di campo marchese di Courtanze mi ha fatto tenere la nota che io credo di testualmente riportare a generale soddisfazione della Guardia Nazionale di Napoli:

«Il Principe Luogotenente è lieto di poter dir alla Guardia Nazionale di Napoli che è soddisfatto del suo contegno nel respingere ogni comunanza coi pochissimi tristi che si mostrarono indegni di vestire quella nobile divisa.

«La Guardia Nazionale di Napoli animata, come è, di sentimenti altamente Italiani, non ha mai cessato di meritare tutta la fiducia del Governo del Re a cui rese tanti servizi, e il Principe invita il generale Topputi a far ciò conoscere a tutta la benemerita Guardia Nazionale di Napoli.

Luogot. Gen. Senatore del Regno.

Marchese O. TOPPUTI

In seguito di questi accidenti la guardia nazionale di Napoli pubblicò una protesta, respingendo da sé ogni responsabilità dei vergognosi fatti che aveano avuto luogo a Napoli il 26.


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Essa reclamava la punizione dei colpevoli, ed esprimeva altamente la sua stima e simpatia verso l'armata, nella quale essa diceva, tanto valore è congiunto a tanta cortesia.

Questa protesta ristabilì la buona armonia fra il corpo d'officiali della guardia nazionale e dell'armata. Tutto giorno delle pattuglie percorrevano le strade, e la tranquillità fu ristabilita.

II.

Nel mentre che Napoli si trovava in preda a questi tumulti, le provincie seguendo il medesimo impulso che sospingeva la capitale, erano il teatro d'orribili disordini. Quelle, dove si produssero i fatti più gravi, furono la Basilicata, la Capitanata, e il Principato ulteriore.

Gettiamo uno sguardo rapido primieramente sulla Basilicata.

Già da qualche tempo questa provincia era invasa da malfattori, che non venivano perseguitati dalle autorità, per difetto di truppe disponibili.

Quelli aveano spinta la loro audacia fino a levare imposte sulle proprietà e sequestrare le genti agiate

che a Napoli si designano col nome di mezzi galantuomini e che non ricevevano la libertà primiera fuorché sborsando delle grosse somme.

Questi banditi avevano a capo un certo Carmine Donatelli di Rionero, soprannominato

Crocco, antico galeotto evaso, condannato per contumace 18 volte a causa di furti qualificati, o tentativi di furto, 4 volte per sequestrazione di persone, 5 volte per omicidi, o tentativi d'omicidio. Questo Carmine Donatelli, o

Crocco, assunse il titolo di generale.

Appresso lui veniva quel nominato Vincenzo Nardi o Ferrandina, che si dava il nome di Amati, e il grado di colonnello. La polizia napolitana non aveva altro a rimproverare a costui, che quindici furti e quattro assassini.

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Due altri capi di queste bande si decorarono di coccarde rosse, ed invasero il 7 Aprile, i possessi del Principe Doria a Lago pensile, forzarono i campagnoli a gridar Viva Francesco II, e ne armarono buon numero, promettendo loro 6 carlini al giorno e i vantaggi del sacco. Un' altra frazione di questi banditi si condusse la stessa notte del 7 Aprile su Ripacandida, assaltò il corpo di guardia, ed uccise il capitano Michele Anastasia, che teneva il comando di quel posto. Il villaggio fu ben tosto preso, allora le campane sonarono, fu inalberata la bandiera bianca, nominato un governo provvisorio, e cantato il Te Deum. Mentre che i partigiani di Francesco II erano in Chiesa, i banditi svaligiarono le case di Giuseppe Lorusso, ricco fittaiuolo ch'avean legato sulla porta di casa, onde assistesse alla propria rovina. La casa del capitano della guardia nazionale Anastasia, che era morto all'assalto del posto, egualmente saccheggiata. Furono levate imposte, e riscosse arbitrariamente durante i due giorni che Ripacandida fu al potere con Carmine Donatelli. Quando quest'ultimo fu ragguagliato che nel casale di Ginestra, e nella piccola città di Venosa la reazione era scoppiata. Egli vi si diresse senza perdere un momento di tempo: ma questa notizia non fu esatta fuorché riguardo a Ginestra; giacché per Venosa, questa patria d'Orazio, che monta a quattro in cinquemila anime, non vi era stato ancora altro che alcuni tentativi di reazione nella sua popolazione. Il Sig. Ricioppi, sottointendente della provincia, aveva fatto tutti gli sforzi per impedire che la sedizione scoppiasse, aveva convocate le guardie nazionali di tutti i communi circonvicini, aveva domandate truppe a Napoli. Aveva fatto barricare la città, ed arrestare alcuni abitanti dei più sospetti, e fra gli altri un fratello del Donatelli. Prese queste disposizioni, sarebbe stato possibile di resistere, se il 10 a mattina, allorché la banda composta di 6 a 700 uomini s'appresentò innanzi alla città, il terrore dei banditi e la connivenza d'una parte della plebe non avesse aperte loro le porte.

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Il primo atto del general Crocco Donatelli fu di ordinare il saccheggio, il quale ebbe principio dalla casa comunale dove tutto fu messo in pezzi. La cassa del comune fu forzata, e rapitone il danaro. La prigione fu aperta e i detenuti posti in libertà. Con questo rinforzo di malfattori furono saccheggiate le case dei canonici La Conca e Albano. La nipote d'uno di questi canonici, giovinetta di 20 anni fu sfigurata a colpi di sciabola. altra giovane assalita da brigante gli tirò contro di pistola il quale fallito, ebb'ella il coraggio per involarsi alla rabbia del brigante, di gettarsi d'una finestra. La casa d'orologiaio, di nome Raffaele Monterone fu svaligiata, e fu svenato il figlio del proprietario sotto gli occhi del padre: fanciullo di 10 anni. Il medico Sig. Francesco Nitti non fu risparmiato, malgrado la sua molta età; fu abbattuto con di sciabla sulla testa, e morto fu crivellato di palle.

Per far terminare il sacco della città, la guarnigione che nel castello teneva ancor fermo, offrì di rendersi.

parlamentario fu inviato da Crocco con questa promessa alle guardie nazionali, nondimeno il saccheggio fu continuato, e durò tre giorni, e tutti i liberali ne furon vittime, e quelli le cui magioni non ebbero il sacco, dovettero pagare ingenti somme sotto pena di estere fucilati.

Quando, nel giorno 14, la banda di Crocco Donatelli abbandonò Venosa, essa andava preceduta da nove muli carichi d'oro e d'argento per circa cento mila lire.

Dopo questa partenza, la popolazione onesta di Venosa si trovò ben lungi dalla tranquillità.

Il basso popolo allettato dall'esempio datogli dalla banda di Crocco, voleva continuare il saccheggio per suo proprio conto, ma per fortuna arrivò il 15 a sera una colonna di 400 guardie nazionali con 150 uomini di cavalleria col maggiore Errico alla testa.

Questi liberatori furono ricevuti con acclamazioni e suon di campane. Il governo di Vittorio Emanuele fu ristabilito, e l'ordine non fu più oltre perturbato.

Frattanto sul passaggio della banda di Crocco, che marciava a Melfi, insorgevano numerose borgate di questa provincia.

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Avegliano s'era sollevato per l'arciprete

Don Ferdinando Clapo

Pria di narrare le scene orribili, di cui fu teatro Melfi, riposiamo istante il nostro spirito sovra pietoso fatto di verace carità, ch'ebbe luogo a San Chiricio, e che è dovere di cronista il non passare sotto silenzio.

Ruoti, Caraguso, Calciano, Rapolla, Atella, Grascano, Barile Rionero, San Chiricio, s'erano sollevati,

e le guardie nazionali dei vicini comuni accorrevano in aiuto le une all'altre, quando quelle di Colreo si resero a Grassano vennero alle mani cogli abitanti di San Chiricio. Vi furono dei morti e dei feriti: fra i primi tal Lacave padre di 7 fanciulli. Ora, il capitano delle guardie nazionali per evitare una più grande effusione di sangue, avendo dato ordine di battere in ritirata, alcuni de suoi uomini restarono nel villaggio. Uno di loro fuggendo s'era ritirato a casa della donna Lacave, il cui marito era caduto sotto le palle della guardia nazionale. Ebbene! Questa nobil vedova nascose il fuggitivo, che la moltitudine cercava per massacrare, e dopo avergli dato mangiare, gli procacciò il modo di salvarsi.

Pria d'arrivare a Melfi la banda di Crocco Donatelli s'impadronì del villaggio di Lavillo, le cui porte gli furono aperte terrore che lo aveva preceduto, senz'alcuna resistenza. L'avanguardia entrò con la pistola alla mano, ed uno dei cavalieri che la componevano, uccise individuo ch'era per la strada. I briganti capi l'abbandonarono al saccheggio, e rapirono alle donne gli anelli, e strapparono i pendenti dalle orecchie.

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Quindi per amara derisione pubblicarono a suon di trombe, che

Operato questo disarmo generale, Crocco volò alla cassa del comune, che conteneva settemila ducati. Comandò al cassiera Palmieri di aprirla: o poiché questi esitava, gli uomini della scorta di Crocco fecero andare in ischeggo il coperchio.

Allora alle preghiere del cassiere onde lasciassero qualche cosa per i poveri, e di porre al sicuro la sua responsabilità, il Donatelli

(Crocco) non prese altro che 500 ducati, e segnò al processo verbale il proprio nome attestando che la cassa era stata forzata.

I liberali di Lavillo s'aspettavano più grandi sventure. Di fatto erano ventisette i designati a morir di fucile, quando per messaggi arrivati da Melfi il 15 Aprile la banda partì subitamente di Lavillo, dove immediatamente le autorità italiane furono ricostituite.

Già, 12 Aprile, Melfi era insorta.

Il popolo s'era riunito in folla sulla piazza del mercato alle grida di Viva Francesco II! Morte ai liberali! Erano state aperte le prigioni, e bruciati tutti i registri, e le carte della polizia e del municipio.

Quindi erano stati portati per la strada i busti di Garibaldi e di Vittorio Emanuele, e dopo averli insultati e coperti d'immondezze furono fatti in pezzi.

certo Ambrogio Patino antico soldato dell'armata borbonica fu eletto generale popolaccio; ma siccome alcune famiglie nobili della città e specialmente gli Aquilecchia, erano rimasi fedeli alla caduta dinastia, ed uno dei membri di questa famiglia fu nominato prodittatore, fu contenuto il popolo, e non furono poste a sacco fuor che poche abitazioni. Ben è vero però che non erano ancora apparse le bande di Crocco, e il governo insurrezionale s'era di già costituito, e questo governo aveva tenuto in calma la plebe spargendo oro a piene mani, e sodisfacendo le sue idee politiche per mezzo di pompose dimostrazioni.

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Furono coperte le mura di drappi,

Crocco adunque fece la sua entrata a Melfi il 15 a sera. Due carrozze erano uscite ad incontrarlo con guardie d'onore e numeroso clero preceduto da bandiere bianche di seta a frange l'oro.

La folla agitava delle torce. Alle porte della città il prodittatore Aquilecchia accompagnato nuovo sindaco Colabella ricevette il generale Crocco fra le acclamazioni, e lo condusse a piè di altare eretto all'entrata del palazzo municipale, dov'egli si inginocchiò (il Crocco) e ringraziò ad alta voce la Santissima Vergine dei successi dell'armi sue.

La sera stessa egli multò la popolazione, e levò delle imposte da vero dittatore.

Riempite che furono alcune casse, fu annunziato nel 18 Aprile, che i Piemontesi arrivavano.

Crocco non perse tempo, disparve con 3000 ducati, e lasciò la città senza difesa in balìa della repressione.

Alcune compagnie del secondo battaglione di Pisa si presentarono avanti alla città, e vi furono ricevute con esplosioni di gioja. La guardia nazionale si riorganizzò e si mise in pronto di dar la caccia ai briganti. Una parte della popolazione andò ad incontrare l'intendente italiano, che s'era allontanato nel turbamento ad evitare inutile morte.

Colabella ed Aquilecchia furono condotti per la città tra gli urli e i fischi di quella plebe che il giorno avanti l'avevano acclamati, quindi furono messi in prigione.

La banda di Crocco ingrossata da gran numero d'insorti, fu perseguitata dalle truppe, e dalle guardie nazionali. attacco vigoroso presso Barile e Rionero mise fuor di combattimento 150 insorti.

Il capitano David Mennuni di Genzano, distaccato dalla colonna del Maggiore Errico, inseguì i briganti per i boschi.

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Arrivato a Lagopesole egli sospettò che questi ultimi si fossero nascosi nella

Fu trovato sovr'uno dei cadaveri a Lagopesole una lettera indirizzata a sua Eccellenza Don Carmine Crocco da uno nominato Caputo Luigi di Rionero con queste parole:

«

Voi dovete accordarmi di congiungermi alla vostra santa bandiera del nostro padre Francesco II per la grazia di Dio di vostra Eccellenza, e delle vostre truppe.» Ma ecco altra lettera, la quale ci dà meglio il carattere delle disposizioni degl'insorti. Questa è di una donna di Ripacandida a suo marito;

Carissimo marito,

Io mi son rallegrata che voi vi troviate bene in salute, e che Dio vi abbia liberato da ogni disgrazia. Io prego a tutti i momenti Dio di liberarti, ma intanto si dice pubblicamente a Ripacandida, che voi siete stato coraggioso per la patria, o che il Signore vi accompagnò sino alla fine di riportare la vostra vittoria. Duna sola cosa io mi sento molto dispiacere, perché tutti i Ripacandidesi hanno riportate delle ricchezze alle loro famiglie: io piangendo e lagrimando dicevo: perché il marito mio non si ricorda di me? Povera donna, io non ho mai fortuna! E dicevo fra me stessa: mio marito aveva cuore largo; perché mostra adesso cuore di macigno? Io vi prego al più presto di levarmi la mia miseria. Vi salutano carissimamente i miei fratelli, e dicono che vonno ricordo:

- 588 -

regalate fucile a ognuno, acciocchè si ricordino del vostro buon cuore, e il fucile che avete mandato io non l'ho ricevuto. Vi abbraccio caramente.

Scritta da me Michele Guglielmucci, e a me pure mandatemi qualche piccolo fucile.

Vostra affezionatissima moglie

Teresa Sairna.

Gli avanzi delle bande di Crocco, battendo in ritirata, dierono il guasto a Monverde, Carbonara e Catetri: ma ben tosto scoraggiti e decimati si aggirarono per alcun tempo per le rive dell'Ofranto ove assassinavano i passeggieri finoattantochè le guardie nazionali delle vicinanze non vennero a snidarli.

In seguito di questa sconcia campagna, ove i migliori cittadini doverono spender la vita, il parlamento italiano, sotto la proposta del deputato Terenzio Mamiani, proclamò solennemente l'ordina del giorno che segue:

«Le guardie nazionali del mezzogiorno dell'Italia hanno negli ultimi avvenimenti ben meritato della Patria»

Vogliam terminare il racconto di questi fatti con estratto della Gazzetta Uffiziale del Regno d'Italia:

Riassumiamo le notizie pervenute al Governo sui passati tentativi di reazione e di brigantaggio nelle sedici provincie napolitane.

Le provincie che nel mese di aprile furono più minacciate,e in cui fu d'uopo usare buon nerbo di truppe e di guardie nazionali, furono quelle di Basilicata e Capitanata. Ma dopo la liberazione di Melfi, dove era stato momentaneamente proclamato governo dai briganti, come narrammo nei giorni addietro, null'altro di prave avvenne in quelle provincie. - Il comandante delle forze

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In tutti i Comuni nei quali si sono verificati indizi di brigantaggio, fu intimata la più severa esecuzione delle ultime disposizioni del Ministero della guerra intorno agli sbandati borboniani:

a Roseto in Capitanata, all'intimazione di quegli ordini, i borboniani tumultuarono; furono quindi tutti arrestati e scortati a Napoli.

Tra i fomentatori di reazione vi sono preti fanatici, capi della ex guardia urbana, e persone arrivate di fresco da Roma;

le bande si formano soltanto degli sbandati borbonici;

la Guardia Nazionale mostrasi dappertutto animata delle migliori disposizioni, e la massa della popolazione in generale prende anch'essa parte nella difesa dell'ordine pubblico.

Nel Principato Ulteriore si pose a capo della reazione monaco sfratato. Complice era parroco di Volturara. Costui predicando nella chiesa contro il Re ed il Governo nazionale, eccitava la reazione. Sopravvenne il governatore della provincia con certo numero di truppe e di guardie nazionali. Batte in uno scontro i briganti in numero di circa centinaio, che rimasero quasi tutti morti, feriti o prigionieri. Lo stesso parroco allora arringò il popolo colle lodi al Re d'Italia ed allo Statuto.

Anche a Sorbo fu tentato il brigantaggio, ma fu immediatamente compresso dalle guardie nazionali di Candida e di Bellizzi; promotore del brigantaggio era tale già spia della polizia borbonica, che fu con altri arrestato.

Nella Provincia di Principato Citeriore tre fratelli fuggiti dalle carceri di Salerno racimolarono fra gli ex soldati borbonici una banda di circa 50 individui che s'aggira nel territorio di Laviano. Truppe e guardie nazionali la circondano.

La banda dei superstiti di Melfi è dispersa.

Nei Comuni di Taviano e di Racale della provincia di terra d'Otranto parecchi sbandati borbonici si diedero a gridare:

Viva

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Il sindaco di Taviano, che voleva punirli, fu ucciso a colpi di stile. Accorso il giudice di Casarano con buon nerbo di guardie nazionali, trovò sedata la reazione; non pertanto eseguì perquisizioni ed arresti; e credesi che gli autori dell'uccisione del sindaco siano in mano della giustizia.

Nella Provincia di Terra di Bari fu prevenuto qualunque tentativo, coll'arresto di alcuni individui, che con false voci eccitavano la reazione.

Le provincie di Terra di Lavoro, Benevento e Molise si mantennero tranquille; dai tre Abbruzzi niun fatto fu segnalato dopo quello d'Introdacqua. Dalle tre Calabrie venne notizia d'un solo grave atto di brigantaggio, che fu commesso a Tiriolo nella Ulteriore II, e consisté nell'aggressione della diligenza, e nella taglia imposta ad alcuni individui.

Presso le G. C. criminali delle rispettive provincie si stanno istruendo i processi.

Rettificammo già le notizie che il telegrafo portava nei giorni testé scorsi da Napoli, e mostrammo il vero aspetto di quei disordini che erano stati grandemente esagerati.

I fatti che abbiamo riassunti avvennero tutti 6 al 20 Aprile, e può ora giudicarsi quanto esagerate siano le notizie, delle quali parecchi giornali si fanne eco.

Tutto si riduce ad atti solati di brigantaggio commessi dai soldati ex borbonici; e il più spesso sono delitti comuni nei quali non entra colore politico.

Ripetiamo che tale è lo spirito delle popolazioni, che le guardie nazionali e le truppe bastano a garantire l'ordine pubblico, ed a restituirlo prontamente dove venga turbato.

Dopo questi trambusti, il principe Eugenio di Carignano pubblicò a Napoli quest'ordine del giorno:

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Ufficiali, Sotto-Ufficiali e Militi

della Guardia Nazionale di Napoli

Alcuni tristi, vestiti del glorioso vostro uniforme che disonorano, facendo causa comune coi borbonici, commisero oggi al Dicastero dell'Interno e Polizia atti indegni d'ogni popolo civile.

Pigliando pretesto da alcune disposizioni recentemente pubblicate pel riordinamento della Guardia Nazionale, disposizioni universalmente osservate in tutto il resto d'Italia, non dubitarono di presentarsi armati e minacciosi, senza che valesse a contenerli l'autorevole voce del benemerito loro Generale, per protestare contro l'applicazione della Legge.

Ora le leggi debbono essere osservate qui come nel resto d'Italia, e voi dovete essere i primi a farle rispettare.

Io giurai, primo fra gli Italiani, lo Statuto che ci regge, e l'obbedienza al Re.

Venni qui deliberato a governarvi colla legge e colla libertà. Ma contai sul concorso vostro per compiere il difficile incarico.

Non fate che la seduzione di pochi fra voi sia la ingrata risposta al voto unanime con cui il Parlamento Nazionale vi acclamava pur ora benemeriti della patria.

Non permettete che sotto questa divisa si copra il cospiratore borbonico e il malfattore,

e non compromettete con insane dimostrazioni, che sarei forzato a reprimere, la santa causa d'Italia.

EUGENIO DI SAVOJA

Alla stessa epoca nuovo dimostrazioni avean luogo parimenti in Sicilia; ma carattere differente. La non il grido di viva Francesco II; ma viva Garibaldi! Il 27, e il 28 al teatro

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Furono lanciate delle pietre ai balconi ed allo finestre di alcune case, che non erano state illuminate. La guardia nazionale che perlustrava la città in fitte pattuglie, arrestò qualcuno degl'individui che lanciavano le pietre, e lo condusse in prigione. Allora fu una vera sedizione per far rilasciar l'individuo, il quale profittando del tumulto fuggì.

L'ordine del giorno che poniamo qui appresso, fu pubblicato allora locotenente gen. del re nelle provincie Siciliane:

Luogotenente generale del Re

nelle provincie italiane.

Alcuni assembramenti formatisi ieri sotto aspetto di una dimostrazione d'affetto al prode generale che redense la Sicilia, mantenutisi tranquilli nella giornata epperò lasciati liberi governo, presero verso notte aspetto inquietante per la tranquillità pubblica.

Mentre commendo il lodevole contegno della Guardia Nazionale in quell'emergenza, debbo altamente disapprovare la condotta di pochi fuorviati.

Il governo del Re è deciso a tutelare l'ordine e la tranquillità desiderata dalla gran massa dei buoni Cittadini di Palermo, epperò avverto a norma preventiva dei sovvertitori ad a tranquillità dei buoni Cittadini, che ho date le disposizioni opportune perché a seconda dello leggi siano sciolti quegli assembramenti che possono disturbare l'ordine pubblico in questa città.

Per l'esecuzione di tali disposizioni ho piena fiducia nell'ottima Guardia Nazionale e nella forza pubblica.

Palermo, 29 aprile 1861.

Il Luogotenente del Re.

DELLA ROVERE

- 593 -

Alla dimostrazione del disordine seguiva l'indomani quella dell'

ordine - Il capo del municipio, in adempimento della legge presentava alla guardia nazionale di Palermo il nuovo comandante, Maggior Generale Carini.

Finita la presentazione, la Guardia Nazionale, comandata nuovo Generale, recavasi in bell'ordinanza alle falde del Monte Pellegrino, ove S. E. il Luogotenente del Re, degnavasi di passarla in rivista.

Il rappresentante di S. M. rimase maravigliato della bella tenuta e dell'aria veramente militare della Guardia Nazionale, e con cortesissime parole ne esternò al generale Carini la sua soddisfazione.

Il Luogotenente sì all'andare che al ritorno fu segno alle più calorose testimonianze di simpatia per parte del popolo, che accalcavasi foltissimo lungo le vie che dovea percorrere.

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III.

L'agitazione delle provincie meridionali preoccupava il governo italiano, ma non assorbiva per questo la sua attività.

Già officialmente riconosciuto dalla Gran Brettagna, dalla Svizzera, e dalla Grecia, Marocco, Portogallo e Svezia, faceva proporre alle camere la più importante delle misure per ridurre a compimento l'annessione delle nuove provincie italiane.

Questa misura era l'unificazione del debito pubblico, vale a dire la fusione e la solidarietà di questo debito fra tutti gli Stati Italiani di fresco annessi, per mezzo della creazione di gran libro del debito publico d'Italia.

Crediamo utile pertanto di citare a questo proposito il preambolo dell'esposto dei motivi del

progetto di legge che fu presentato al parlamento nella seduta del 29 Aprile ministro delle finanze.

Signori:

L'istituzione del gran libro del debito pubblico del Regno d'Italia è l'oggetto della proposta di legge che ho l'onore di presentarvi.

L'unica politica del regno non deve essere disgiunta dalla unità finanziaria, perché le forze produttrici del Regno liberamente esplicate e insieme congiunte sono sorgente d'una grande potenza.

Una delle più grandi manifestazioni di questa è il credito pubblico:

L'unità del credito è fra le conseguenze più importanti dell'unità politica, od è una delle condizioni più valide por raffermarla e renderne più fruttuosi gli effetti nelle relazioni economiche, e civili.

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Lo Stato ed i cittadini ne conseguiranno grandissimi vantaggi.

Lo Stato perché l'interesse dei possessori delle rendite, pubbliche, sieno stranieri o nazionali, sarà più strettamente legato alla stabilità politica del regno d'Italia, la quale stabilita, sarà la causa più efficace della floridezza del credito pubblico.

I privati, perché l'Italia unita e forte offre maggiori guarentigie di quelle che potevano offrire le sue provincie divise e deboli, ed aprendo agli augusti mercati provinciali il vasto mercato italiano. E non è dubbio che il credito dovrà elevarsi gradatamente per l'inclusione nel gran libro dei debiti ora distinti delle diverso provincie.

Eccovi, o signori accennata la ragione principale politica ed economica della legge che ho l'onore di presentarvi. In essa troverete quelle disposizioni, le quali valgono a ben regolare il debito pubblico del Regno, e possono estendersi senza offesa di alcun diritto, alla maggior parte dei debiti già contratti per essere indistintamente inclusi nel gran libro.

Nella medesima seduta del Parlamento, egli stesso il ministro delle finanze propose prestito di 500 milioni, di cui ecco l'esposto dei motivi del progetto di legge:

Signori

bilancio del 1861, che il mio on. predecessore presentava alla Camera, si rileva che il disavanzo calcolato ascende a L. 267,383,128 72 comprese le spese della guerra, della marina o dell'estero anche per le provincie meridionali.

Dalla relazione premessa al detto bilancio, risulta che le cifre allora raccolte per gli altri servizi relativi alle medesime provincie meridionali

avrebbero dato per Napoli avanzo di

- 596 -

Per le indagini che in questi pochi giorni mi è stato dato di fare, potendo innanzi tutto meglio determinare alcune di quelle cifre, io mi reco a debito di esporle nell'allegato unito al presente rapporto, rendendosi per esso manifesto, che al disavanzo già preveduto occorre di aggiungere la somma di L. 4,608,006 17 per diverse passività verificatesi dopo la compilazione del bilancio e che, mentre per le provincie di Napoli si prevede disavanzo di L. 19,931,736 66, per quelle di Sicilia apparisce intanto disavanzo di L, 22,346,965 73.

Se la gravità degli avvenimenti ha condotto a queste conseguenze, se il bisogno e il dovere di costituire e di ordinare la nazione, di renderla forte, rispettata, sicura, e di prepararle avvenire di prosperità e di grandezza, rendono necessari nuovi e maggiori provvedimenti, non vengono però meno, anzi di gran lunga si accrescono il bisogno e il dovere di preoccuparsi fin d'ora dell'assesto dello pubbliche finanze.

É già nella mente di ognuno come si convenga soddisfare alla difesa degl'interessi più vitali della nazione, e di compiere le imprese di pubblica utilità, colle quali la sapienza del Parla mento intende di promuovere e di assicurare quei vantaggi economici, morali e politici che non tarderanno a svolgersi ad onore del nuovo ordino di cose, a profitto della patria comune.

Ma dovendosi ricorrere al credito pubblico per corrispondere alle nostre straordinarie condizioni, si vorrà tener modo da non essere costretti a ritentarne la prova, da essere pronti ad ogni evento e da porci in grado di coordinare efficacemente ogni possibile risparmio nelle spese ordinarie col naturale svolgimento nelle rendite ordinarie.

Per queste considerazioni non ho esitato a proporvi, o signori, progetto di legge perché sia data facoltà d'iscrivere nel gran libro del debito pubblico del Regno d'Italia tanta rendita quanto basti a far entrare nel pubblico tesoro nel modo e nel tempo che sarà più utile ed opportuno, la somma di lire 500,000,000.

- 597 -

Ma se per una nazione che si redime a libertà e che aspira al compiuto trionfo della propria indipendenza non sono mai troppo gravi i sacrifizi di denaro, e di sangue, e se la nazione italiana sa e vuole anche in questo mostrarsi degna di se medesima e de suoi alti destini, chi ha l'onore di sedere nei consigli del suo governo non può dimenticare quali doveri incombe ad esso di compiere rispetto all'ordinamento della pubblica finanza.

Il governo infatti si occupa colla maggiore alacrità perché, oltre le leggi di ordine amministrativo, sieno al più presto possibile sottoposte al vostro esame le leggi dell'ordine economico o finanziario.

E voi col vostro voto e coi miglioramenti che sarete per arrecarci, darete abilità al governo di preparare e raggiungere quell'equilibrio che è tanto desiderato quanto necessario fra le spese ordinarie e lo rendite ordinarie. E a noi sarà dato di conseguirlo colle riforme nelle diverse parti della pubblica amministrazione, coll'adeguata distribuzione delle pubbliche imposte, e con quei provvedimenti che valgono a sviluppare la pubblica ricchezza.

VITTORIO EMANUELE II.

RE D' ITALIA

Articolo unico.

E data facoltà al ministro delle finanze di alienare tanta rendita da iscriversi nel gran libro del debito pubblico quanta valga a far entrare nel tesoro cinquecento milioni di lire.

Si per l'uno che per l'altro domanda l'urgenza.

Quindi presso a poco continua: Signori, dalla relazione che

ebbi l'onore di leggere risulta come il disavanzo del bilancio 1861 presentato dal mio on. predecessore ascenda a 314 milioni.

- 598 -

Questo maggior disavanzo deriva dagli urgenti bisogni, ai quali si è dovuto provvedere specialmente in quanto all'esercito.

Per ciò che riguarda la Sicilia, dirò che questo disavanzo deriva per 3 milioni

dispendiati nella istruzione pubblica, per i milioni in compenso di danni cagionati dalle truppe borboniche,

e per altro ancora.

Il disavanzo è di 314 milioni ed il governo ve ne domanda 500, onde coprire codesto disavanzo, e in secondo luogo per apparecchiare que' mezzi che devono porsi in opera per l'adempimento di quei voti,

che tutti noi ardentemente desideriamo, e finalmente per condurre a fine grandiose opere di pubblica utilità, alle quali si apparecchia il mio collega l'on. ministro dei lavori pubblici.

Era necessario ricorrere al credito e quindi conveniva rialzarlo. Mezzo opportuno per rialzarlo era l'istituzione del gran Libro e l'unificazione del debito pubblico.

Per rialzare il credito bisogna assicurare i capitalisti esteri e noi porremo mano efficacemente onde avere un bilancio normale e regolare.

Il

bilancio normale

è una necessità di una buona amministrazione. Per raggiungere ciò, si deve sviluppare la ricchezza nazionale ed a questo sarà provveduto stabilendo facili comunicazioni. Si devono inoltre diminuire le spese, sempre però in proporzione delle esigenze del nuovo regno. Si devono per di più aumentare le entrate, cioè non tanto rendendole maggiori, quanto ben distribuendole.

A questo fine il ministro da lungo tempo si occupa per presentarvi una legge sopra l'imposta fondiaria, onde provvedere alle grandi disuguaglianze che sussistono in varie parti del regno tra l'imposta e la rendita.

Nessuna tassa sulla imposta mobiliare esiste in Sicilia e nel Napoletano:

nelle altre parti d'Italia è mal distribuita. A ciò provvederemo quanto prima, presentando opportuno progetto di legge.

- 599 -

Vi presenterò una legge sul bollo e registro. Questa legge occorre che sia ugualmente imposta, perché in Piemonte in Lombardia, in Toscana, in Parma, Modena e nelle altre provincia questa imposta è diversamente distribuita:

anzi in Sicilia e Napoli non viene pagata.

Vi presenterò una legge sui beni di mani morte, sul consumo delle bevande e sul sistema di percezione e di contabilità.

Il ministero sta studiando una legge per la facile circolazione dei buoni del tesoro.

Ha già in pronto un progetto di legge per le tasse dei depositi.

Questo sarà tutto ciò che si riferisce al credito e spero che noi lo consolideremo, dopo averlo rialzato.

Se non potremo raggiungere immediatamente il pareggio dell'entrata coll'uscita, nutro fiducia che molto ci avvicineremo.

L'impresa è difficile ed ho bisogno della cooperazione e dei lumi del Parlamento.

Poiché noi siamo su questo punto della questione delle finanze, constatiamo il decreto relativo alle nuove monete italiane

La Gazz. Uff. del Regno d'Italia in data 2 maggio:

Art. 1. A partire dal giorno della promulgazione del presente Decreto le monete d'oro e di argento che si conieranno, continuando per ora a portare l'impronta ed il contorno attualmente in uso,

avranno sul diritto, attorno l'effigie del Re, la leggenda VITTORIO EMANUELE II,

e sotto, l'indicazione dell'anno;

e sul rovescio, attorno allo stemma, la leggenda REGNO D'ITALIA,

e sotto, l'indicazione del valore della moneta.

Art. 2. Le varie leggende sinora usate sono abolite.

- 600 -

Art. 1. Le nuove monete di bronzo, del diametro e peso stabiliti nella legge del 20 novembre 1859, avranno da un lato la effigie del Re colla leggenda VITTORIO EMANUELE II, RE D'ITALIA, e dall'altra un ramo d'alloro ed uno di quercia intrecciati, con sopra una stella fiammeggiante; e nel centro la indicazione del valore della moneta e l'anno di fabbricazione.

Art. 2. L'articolo primo del Regio Decreto 15 dicembre 1860 è abrogato.

Finalmente un decreto Reale istituì la Festa nazionale dello Statuto in questi termini

VITTORIO EMANUELE II

per grazia di Dio, e per volontà della Nazione

RE D' ITALIA.

Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato;

Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:

Art. 1. La prima domenica del mese di giugno ogni anno è dichiarata FESTA NAZIONALE per celebrare l'

Unità d'Italia e lo

Statuto del Regno.

Art. 2. Tutti i Municipii del regno festeggieranno questo giorno, presi gli opportuni accordi colle Autorità Governative.

Art. 3. I Municipii stanzieranno nei loro bilanci le spese occorrenti alla celebrazione della festa.

Art. 4. Tutte le altre feste poste per disposizione di Legge o dal Governo a carico dei Municipii, cessano di essere obbligatorie.

Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato ecc. ecc.

Dat. in Torino, addì 5 maggio 1861.

VITTORIO EMANUELE.

M. MINGHETTI

- 601 -

IV.

Se l'unificazione del debito pubblico era un gran passo fatto verso l'unità nazionale del regno d'Italia, due grandi ostacoli restavano tuttavia a superare: Roma e Venezia. Malgrado il voto del Parlamento italiano,

il governo austriaco non voleva udir parlare di nessuno degli accomodamenti proposti dalla diplomazia per la cessione di Venezia;

e la S. Sede si rimaneva egualmente incrollabile sulla questione della sua sovranità temporale.

I Veneziani avevano molte volte manifestato le loro antipatie per l'Austria, ed avevano porta una novella prova di ciò nel rifiutare d'inviare i loro deputati al consiglio dell'impero, che veniva già costituito per seguito delle riforme dell'imperatore Francesco Giuseppe I.; ma il governo austriaco aveva troncato la difficoltà nominando i deputati ex officio. Ecco ciò che a questo proposito si leggeva nella Gazzetta di Genova del 2 Maggio.

Rappresentanza forzosa della Venezia

nel Parlamento Austriaco

'Tornate inutili le pressioni e le mene governativo per indurre i Veneti a mandare i loro deputati al Consiglio dell'impero austriaco, ora si vuole procedere d'ufficio a questa nomina, la quale risulterà una rappresentanza austriaca e non veneta. Arbitrio così assurdo e impudente comprova la impossibilità di una transazione fra i Veneti riluttanti e l'Austria illegittima dominante.

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Pubblichiamo il seguente documento ufficiale.

NOTIFICAZIONE

Essendosi verificato il caso previsto dall'art. VII della sovrana patente 26 febbraio a. c. per cui l'inviamento al Consiglio dell'Impero dei deputati rappresentanti il Regno Lombardo Veneto non poté effettuarsi per mezzo delle Congregazioni provinciali e centrale, l'I. R. ministero di Stato a ciò autorizzato da S. M. I. R. A. ha ordinato che in base al citato articolo di legge, l'inviamento dei deputati al Consiglio dell'impero proceda direttamente dalla già seguita votazione del maggior numero di Consigli comunali. A questo fine il Consiglio della luogotenenza è incaricato di divenire in pubblica seduta all'esame e spoglio degli atti consigliarii e a rilasciare il certificato di elezione ai candidati delle singole provincie assistiti dalla maggioranza assoluta o relativa dei voti dei comuni.

«Tale pubblica seduta seguirà il 1 maggio pr. v. e sono espressamente avvertiti i membri attuali delle Congregazioni provinciali e centrale del loro diritto d'intervenire.

«Venezia, 26 aprile 1861.

«TOGGENBURG.

Questo documento è la piena conferma della sconfitta morale subita nel Veneto da quel governo straniero.


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Torino 30 aprile 1861.

Comitato Veneto centrale

Nello stesso tempo siccome avvenivano quasi ogni giorno numerose diserzioni di soldati del Veneto dall'armata austriaca, il locotenente generale dell'Impero in Venezia pubblicò il seguente avviso.

Venezia, il 25 aprile 1861.

Dalla presidenza dell'i. r. luogotenenza

del regno Lombardo Veneto.

In seguito ad ordine pervenuto dall'eccelse i. r. ministero di Stato, con dispaccio 10 corrente, n. 1965, si trova di ricordare che le evasioni all'estero, in quanto abbiano per iscopo l'arrolamento a corpi armati presumibilmente ostili all'impero austriaco, sono contemplate dai §§ 321 e 327 del codice penale militare, combinatamente col § 67 del codice penale generale, restando devolute ai giudizi di guerra le relative pertrattazioni.

Tanto si porta a pubblica notizia per norma opportuna.

In quanto a Roma, dopo il voto del parlamento italiano, il capo del gabinetto Sig. Conte di Cavour non aveva niente lasciato addietro per ottenere dalla Francia, che ritirasse le sue truppe da questa capitale. Abbiamo veduto che si era stati sul di riuscire, quando l'Imperator Napoleone ricevette una nota del gabinetto austriaco, ed una lettera autografa dell'Imperatore Francesco Giuseppe I., il quale dichiarava nettamente, che il ritiro dello truppe francesi da Roma sarebbe considerato come casus belli, o almeno al partir di quelle truppe da Roma, vi sarebbero entrate le austriache immediatamente. Fu forza dunque d'attendere su questo e di seguitare i negoziati.

Allora il Sig. Di Cavour insistette presso il Governo francese per impegnarlo ad ottenere dalla Santa Sede l'allontanamento

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di Francesco II. da Roma, stantechè la presenza dell'ex re in vicinanza delle provincie napoletane vi manteneva una deplorabile agitazione.

Il Sig. Touvenel, ministro degli affari esteri, incaricò su questo proposito il Sig. di Gramont ambasciadore a Roma, di presentare alcune osservazioni al governo pontificio: ma il cardinale Antonelli rispose che il S. Padre aveva sempre accordata la più larga ospitalità a tutti coloro ch'avevano avuta la sventura di perdere il trono. L'ambasciatore dell'imperator francese si trovava allora già in questa difficile situazione, la quale alcun tempo appresso determinò il suo rimpiazzo, perché la parte della Francia ch'egli rappresentava era divenuta malagevole, e la presenza delle sue truppe, non era gradita né al partito liberale che si lagnava di quelle come d'ostacolo alla liberazione del loro paese né agli amici del poter temporale del Papa, che accusavano il governo francese d'aver permesso che il S. Padre fosso spogliato d'una parte de' suoi Stati, o che non facesse nulla perché gli fosse restituita. Francesco II, malgrado le attive pratiche del Conte di Cavour, si rimase adunque in Roma, e fermò per sei mesi abitazione in Albano per andarvi a passare l'estate. Ecco che leggemmo a quest'epoca e su questo proposito nell'Armonia di Torino.

Roma 27 aprile.

«Il giovane Re di Napoli ha preso in affitto fino a settembre il palazzo Feoli in Albano per passarvi l'estate. Questo palazzo è stato abitato da Carlo IV, re di Spagna, ed è di una magnificenza veramente reale. Tutto ciò fa sperare che il re di Napoli non parta da Roma, sebbene, il conte di Cavour mova cielo e terra per farlo allontanare. Si assicura che il duca di Gramont abbia a tal fine presentato una Nota al cardinale Antonelli: ma il primo ministro di Sua Santità avrebbe risposto che il Governo Pontificio ha sempre accordato la più larga ospitalità ai principi, specialmente quando furono dalle sventure sbalzati dai loro troni;

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Chi tale ospitalità è stata indistintamente accordata ai Re di

Il governo italiano dovette ancora rassegnarsi su questo articolo, e risolversi alla trista necessità di reprimere con la forza i movimenti insurrezionali, che la presenza di Francesco manteneva nelle provincie meridionali. I progetti della Francia relativamente al mantenimento dello statu quo apparivano chiaramente per gli articoli dei giornali francesi che rappresentano le idee del governo imperiale. Fra gli altri citeremo articolo della Patrie in risposta alle voci della futura evacuazione degli Stati della Santa Sede.

«Rispondendo all'Indèpendence belge, abbiamo smentito la voce contenuta in molte corrispondenze estere, che la Francia lascerebbe le posizioni che occupa in Italia negli Stati della Chiesa. Lo stesso foglio ritorna sopra questa questione, che molti organi della stampa francese, credono dover affrontare da altro di vista. Crediamo che sia tempo spiegarci categoricamente sopra questo soggetto.

La presenza delle nostre truppe a Roma abbraccia tre questioni d'interesse capitale. La prima è la questione religiosa, la seconda la questione politica, e la terza la questione militare.

«Si conosce tutta la sollecitudine della Francia per gl'interessi cattolici, ch'essa proteggo non solo a Roma, ma in Cina, in Cocincina e in Siria. Ma la situazione delle cose non permette di tentare a Roma in questo momento la soluzione della questione religiosa, ed a questo riguardo dev'essere mantenuto lo statu quo. Questo fatto è fuori di contrasto.

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«La questione politica esige pure imperiosamente la prolungazione della nostra occupazione. L'Europa desidera la pace, la Francia la vuole; tutti, i suoi sforzi tendono a mantenerla, ed è evidente che perseverando nella via sì degna e leale da essa abbracciata, giungerà al suo scopo, che è quello di assicurare l'indipendenza dell'Italia per la via pacifica.

«Ora se noi abbandonassimo in questo momento gli Stati della Chiesa, lasceremmo in presenza due potenze profondamente ostili l'una verso dell'altra, e potrebbe nascere da questa situazione, malgrado la saviezza degli uomini, che diriggono gli affari di quegli Stati, una lotta le cui conseguenze sarebbero incalcolabili. Questo modo di vedere è incontestabile o tutti sanno per documenti pubblici che esso è diviso dai diversi governi, i quali apprezzano sì altamente gli sforzi che fa la Francia per assicurare all'Europa la pace e la tranquillità.

«In quanto alla quistione militare, parlando ad una popolazione come la nostra che possiede in sì alto grado l'intelligenza delle cose di guerra, appena ci occorre accennarlo che se la pace è assicurata buon accordo dei governi interessati negli affari italiani, lo è pure dai fatti. Diremo dunque che solo sotto il di vista della scienza militare, armata come quella che occupa il quadrilatero, è costretta di restare sulla difensiva quando anche per rivolgimento politico che non comprometterebbe la sua lealtà, il gabinetto di Vienna credesse dover ricorrere nuovamente alla sorte delle armi.

«Infatti l'armata che difende la Venezia non potrebbe ripigliar l'offensiva che sul Mincio o sul Po inferiore. Nel primo caso essa sguarnirebbe la linea del Po e lascierebbo il quadrilatero aperto da quella parte; e nel secondo caso sguarnendo la linea del Mincio aprirebbe il quadrilatero dalla parte del Nord.

«Il quadrilatero comprendere una serio di posizioni difensive formidabili, gli uomini di Stato eminenti che diriggono gli affari di Piemonte lo sanno, ed essi non banno l'ambizione, attaccandolo di compromettere la sorte del loro paese in una impresa che non presenta per essi alcuna probabilità di riuscita.

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L'occupazione della linea del Mincio

lato della Lombardia per parte degli

«Si vede dunque quanto sia cosa saggia e previdente la condotta della Francia. Non solo coi nostri consigli, colle nostre buone relazioni coi governi interessati, noi impediamo una conflagrazione in Italia, ma ancora, con disposizioni che non offendono alcuno e che rispettano tutti i diritti, noi rendiamo questa conflagrazione materialmente impossibile»

Si sperava a Torino, che la quistione finanziaria del governo pontificio ben tosto provocherebbe delle concessioni da parte del S. Padre, ma su questo ancora vi fu disinganno, perché l'obolo di S Pietro veniva ad alimentare le risorse del poter temporale e riempiere il voto cagionato dalla mancanza delle rendite delle provincie perdute, ed annesse al regno d'Italia. Il giornale di Roma pubblicava nelle sue colonne, a questo soggetto, quanto segue:

«Vogliamo far conoscere al Pubblico e specialmente ai fedeli oblatori dell'Obolo di San Pietro che la cifra offerta fino a questo giorno giunge a poco meno di tre milioni di scudi. La esattezza colla quale sono pagati tanto i militari quanto gl'impiegati civili, e fra questi ultimi anche tutti quelli, e sono moltissimi, che ricusandosi di servire il Governo usurpatore, hanno preferito alla fellonia la fedeltà; i frutti del Debito pubblico soddisfatti alla loro scadenza, e molti altri impegni del Governo della Santa Sede adempiti, debbono in gran parte attribuirsi alla generosità dei Cattolici che da ogni parte dell'Orbe mandano spontanee le loro offerte.

«Non sappiamo se colle risa o colla compassione abbiano ad accogliersi certe assertive dei giornali rivoluzionarii i quali affermano che l'obolo di S. Pietro si estorce dai Cattolici di oltre monte e di oltre mari per preparare una guerra civile. Grandi forze dovrebbe avere il Governo Pontificio per estorcere, non solo dalla Europa, ma anche dalle Americhe, dall'Australia e dalle Indie somme così vistose, le quali se bastano a sostenere i gravi impegni sopra accennati,

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sarebbero oltre ogni dire insufficienti

a fomentare guerre civili. Si assicurino pertanto tutti quelli che deplorano le estorsioni e temono la guerra civile, che il Sommo Pontefice non estorce, ma lascia i cattolici nella piena libertà di offrire, non prepara guerre civili ma prega il Dio della pace a volerla concedere al mondo sconvolto e messo in confusione da quelli stessi che fingono di credere quanto asseriscono, e scrivono solo per non perdere il malvezzo di calunniare.

«Aggiungono ancora questi stessi fabbricatori di menzogne che nuove proposte di conciliazione furono fatte dal Governo Italiano a questa S. Sede; al che rispondiamo che un tal Governo ha saputo e sa usurpare; ha saputo e sa distruggere ma non ha mai saputo o voluto formulare progetto alcuno, né ora, né mai, di conciliazione; giacché è troppo raro trovare fra coloro che assaliscono e spogliano, qualcuno che si presenti coll'animo di restituire quanto ha involato.»

A quest'articolo del giornale officiale di Roma, la Gazzetta di Torino rispose con una corrispondenza di Torino. Noi ne porgiamo un estratto, in cui si annunciava la prossima evacuazione di Roma dallo truppe francesi.

Parigi 11 maggio (più tardi).

Ieri non ho insistito a parlarvi della evacuazione di Roma - ma oggi ebbi comunicazioni tali che credo poterlo fare senza tema di essere di nuovo smentito.

«Ora quindi vi accerto che in un brevissimo termine - non fissorovvene la data, ma sarà certo prima della fine del mese - saranno prese su ciò decisive risoluzioni.

«Il richiamo delle nostre truppe sarà proceduto da una specie di manifesto, che spiegherà i motivi di questa determinazione.

«Questo manifesto non sarà forse che una lettera al Papa, che verrà poi riferita nel Moniteur.

«Le ragioni che l'imperatore addurrà in essa onde spiegare il richiamo delle nostre truppe, saranno precisamente le mene e i complotti di Francesco II.

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Non potendo contestare al governo pontificio il diritto di accordare ospitalità ad un re proscritto, e d'altra parte non potendo opporsi a che questa ospitalità divenga un pericolo per un sovrano alleato della Francia, il governo imperiale si trova nella necessità di togliere a questi complotti e a questi intrighi la protezione della bandiera francese.

«Ecco, se sono ben informato, le basi di questa dichiarazione - dopo di cui le nostre truppe abbandoneranno Roma.

«Ciò non vuol dire però ch'esse abbiano a ritornarsene in Francia. Dalle mie informazioni risulta altresì ch'esse non abbandoneranno il territorio italiano e che resteranno a Civitavecchia per aspettarvi gli avvenimenti.»

Sì vede da questi estratti de' giornali, come la questiono romana continuava ad essere circondata di nuvole, a traverso le quali la nostra cronaca dovrà contentarsi, come i nostri lettori, di procedere brancolando.

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CAPO IX.

SOMMARIO

I. IL CONTE PONZA SAN MASTINO É NOMINATO LOCOTENENTE DEL RE NELLE PROVINCIE NAPOLITANE IN RIMPIAZZO DEL PRINCIPE DI CARIGNANO - ORDINE DEL GIORNO DEL PRINCIPE PER ANNUNZIARE LA SUA PARTENZA - PROCLAMI DEL NUOVO LOCOTENENTE AI NAPOLITANI - ESTRATTO DEL RAPPORTO DEL CONTE NIGRA SULLA GESTIONE DEL PRINCIPE CARIGNANO - CIRCOLARI INDIRIZZATE DAL CONTE SAN MARTINO AI DIVERSI FUNZIONARI - SISTEMA DI CONCILIAZIONE - II. COMITATI BORBONICI, LORO COSTITUZIONE E LORO CORRISPONDENZE - FORMOLA DI GIURAMENTO DEGLI AFFIGLIATI - OSTILITÀ' DEL CLERO NAPOLITANO CONTRO IL GOVERNO ITALIANO - CHIAVONE E LA SUA BANDA - SACCO DI MONTICELLI E DI FONDI - BRIGANTI POSTI IN FUGA DALLE FORZE ITALIANE - BRIGANTAGGIO A SANTA MARIA DI CAPUA - BOMBA INCENDIARIA SCOPERTA PRESSO IL TEATRO S. CARLO - III. DISORDINI A MILANO PROCLAMA DEL SINDACO DI QUESTA CITTÀ - ARRESTI DEI PERTURBATORI - LA CORTE CRIMINALE PROCEDE SU QUEST'AFFARE DETTAGLI - IV. DISORDINI A CATANIA - SITUAZIONE GENERALE DELLA SICILIA - UNA BANDA DI BRIGANTI APPARISCE NELLE UMBRIE, ED É SUBITO DISCACCIATA DALLA PARTE DEGLI APENNINI, E DISPERSA.

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CAPO IX.

I.

La situazione delle provincie meridionali occupava quasi al pari della quistione romana il governo del re Vittorio Emanuele.

I disordini dell'amministrazione tenevano i napoletani malcontenti più che le perturbazioni reazionarie.

Noi abbiamo di già veduta l'attitudine che aveva presa il consiglio di locotenenza in faccia al principe di Carignano. Per la discussione in massa di tutti i membri di questo consiglio l'andamento degli affari si trovava quasi paralizzato.

Fu dunque deciso a Torino d'inviare a Napoli il Conte Ponza di San Martino, eccellente amministratore, dopo d'avergli tracciato un programma, ed avere regolato con un decreto reale in data del 6 Maggio il sistema amministrativo delle provincie napolitano.

Questo decreto e le suo istruzioni governative sono troppo utili per dare un vero concetto della condotta politica del nuovo locotenente del re, e noi crediamo di doverle riportare per intiero. Ecco sul principio il decreto, estratto dalla Gazzetta del Regno.

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VITTORIO EMANUELE II.

per gratia di Dio t per volontà della Nazione

RE D' ITALIA

Visti i nostri Decreti delli 7 gennaio, 14 febbraio e 29 marzo scorsi, coi quali venne stabilita una Luogotenenza nelle Provincie napolitano, e fu divisa l'amministrazione centrale presso la medesima in quattro dicasteri retti da segretarii generali dipendenti da un segretario generale di Stato,

Visti gli articoli 9 del primo Decreto del 3, di quello del 29 marzo con cui si dichiarò che sarebbero con particolari istruzioni determinati i rapporti tra il luogotenente generale ed il Nostro Governo centrale, non che gli affari che devono essere deferiti all'amministrazione centrale o spediti dalla luogotenenza generale;

Volendo Noi provvedere al riguardo,

Sulla proposta del presidente del Consiglio dei ministri;

Sentito il Consiglio stesso,

Abbiamo determinato e determiniamo quanto segue:

Art. 1 La luogotenenza gen. per le provincie anzidette continuerà in tutti gli affari non avocati al Governo, ad esercitare i poteri e le attribuzioni ad essa conferite coi Decreti suddetti, in tutto ciò e in quanto non sia con queste istruzioni, o con altre successive fatte e deliberate in Consiglio dei Ministri e da Noi approvate, altrimenti disposto.

Art. 2 Sono fin d'ora esclusivamente riservati al Governo Centrale:

I Regolamenti per la esecuzione delle Leggi o Decreti relativi.

Le concessioni di cittadinanza e di nobiltà:

Le amnistie;

L'organizzazione giudiziaria e le altre che siano ulteriormente determinate;

- 613 -

I provvedimenti relativi ai servizii assunti direttamente dai nostri Ministri e le nomine e revoche dei funzionarii relativi;

Lo storno in qualunque modo abbia luogo da articolo ad articolo, o da capitolo a capitolo, nei bilanci o stati discussi, le maggiori o minori spese e l'impiego delle economie;

L'emissione di rendite e qualunque alienazione di beni dello Stato.

Art. 3: In coerenza alle disposizioni dell'articolo precedente» ed al Decreto suddetto del 29 marzo, apparterranno pure fin d'ora al Re le nomine e revoche:

Dei Governatori ed Intendenti;

Dei Segretarii Generali e Consiglieri di Governo;

Dei Membri del Supremo Consiglio amministrativo;

Dei Vescovi ed Arcivescovi;

Dei Magistrati componenti i Collegi giudiziarii civili e penali, e dei Funzionarii del Pubblico Ministero presso i medesimi; Dei Membri della Gran Corte dei Conti; Del Direttore della Cassa Ecclesiastica; Dell'Agente del Contenzioso;

Degli Ispettori Generali e dei Capi di tutti gli stabilimenti che dipendono Ministero dell'Istruzione Pubblica:

Del Vice Presidente e dei Membri del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione;

Dei Professori di Università;

Degl'Ispettori Generali, Ispettori ed Ingegneri Capi di prima e seconda classe;

Dei Presidenti e Governatori di banco e dei Direttori Generali.

Art. 4. Non ostante il disposto dagli articoli precedenti, la nostra Luogotenenza generale potrà sempre dare e prendere quei provvedimenti temporarii e di urgenza, che siano di competenza del potere esecutivo, e richiesti dalle circostanze, riferendone però

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Art. 5. Nell'assenza del Luogotenente Generale delle provincie napolitano, i provvedimenti per cui fosse richiesto il Decreto o l'assenso sovrano, saranno sempre devoluti e riservati a noi ed al nostro Governo centrale in quanto non vengano specialmente ad altri da noi delegati.

Art. 6 Alle ulteriori e particolari relazioni tra la Luogotenenza, i Dicasteri stabiliti colle anzidette provincie e i Nostri Ministeri verrà in quanto occorra, provveduto con determinazioni od istruzioni speciali.

Ordiniamo che il presente Decreto, munito del sigillo dello Stato ecc.

Dat. Torino, addì 3 maggio 1861.

VITTORIO EMANUELE

C. Cavour

(analogo Decreto venne pubblicato per la Sicilia.)

Le istruzioni date al conte di San Martino erano contenute nella circolare seguente del Ministro dell'Interno Minghetti.

Torino 16 maggio 1861.

Preg. sig. Conte,

Le conferenze, ch'ella ha avuto co ministri, gli accordi insieme presi e le istruzioni successive ch'ella riceverà da ciascuno di essi sui metodi da tenersi in ogni ramo di pubblico servizio, renderebbero per avventura soverchia la presente lettera; non di meno il Consiglio vuole che, all'atto di sua partenza, io riassuma brevemente alcuni fra i punti principali e pratici da esso unanimamente approvati.

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Le elezioni comunali e provinciali stanno per compiersi nelle provincie napoletane colla legge 23 ottobre 1859. Io le raccomando vivissimamente d'invigilare acciò che l'istallazione dei Consigli e le elezioni della Giunta Municipale e delle Deputazioni Provinciali abbiano luogo immediatamente, e quei cittadini ai quali il suffragio pubblico affidò l'amministrazione locale possano mettersi all'opera senza indugio e dare sollecito assetto alla organizzazione comunale e provinciale. Io spero che ella troverà già bene avviata l'organizzazione della Guardia Nazionale, al qual fine il Governo centralo mandò come ispettore il general Cosenz e diversi organizzatori scelti tra i più abili e più operosi ufficiali. Altri ne manderà senza indugio, in guisa che, in breve tempo, io fo assegnamento, mediante la sua cooperazione, che la guardia nazionale, sia dovunque ricomposta o ben ordinata secondo la legge generale del regno.

Uno dei primi suoi pensieri sarà quello di compilare una relaziono informativa sullo stato dei pubblici servizi per ciascun ramo, la quale relazione ne costituisca per così dire l'inventario, e sia accompagnata dalle proposte dello opportune riforme. L'invio di due governatori delle provincie settentrionali nella Basilicata e nella Calabria Citeriore non è che il principio di sistema di promiscuità specialmente degl'impiegati superiori che io verrò continuando grado a grado colla maggior diligenza ed imparzialità. E poichè son venuto a questo argomento del personale che è il più scabroso, ed il più difficile dovunque, ma specialmente nelle provincie meridionali, entrerò in esso alquanto più partitamente.

Prima di tutto, nel più breve termine, ella farà preparar© elenco ripartito per Ministeri e per rami di servizio di tutti gl'impiegati a carico dello Stato coi lori stipendi ed indennità,

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Non ho d'uopo dirle che il Governo è risolutissimo di non assegnare a carico del bilancio alcun nuovo stipendio e di non dar affidamento ad alcuno per l'avvenire. Giova su questo che la sua intenzione sia chiaramente palesata; ma ella andrà anche più oltre, voglio dire che si guarderà surrogare impiegati nuovi a quelli che mancassero, senza che le sia provata la impossibilità di far procedere altrimenti il servizio pubblico in modo regolare.

Finalmente quanto agl'impiegati in pensione od aspettativa, ne farò soggetto di altra mia lettera.

Tornando ora agl'impiegati che si trovano in ufficio, io mi riferisco per le massime generali a quanto ebbi ad esporre nel Parlamento. Qui soggiungerò che mentre ella ha espresso incarico di conservare nei loro posti e tutelare quelli che compiono il debito loro con rettitudine, con zelo e con assoluta regolarità sarà inesorabile nel purgare gli uffizi da chiunque desse prova di negligenza o d'incapacità. Non parlo di prevaricazione, perché in tal caso oltre la destituzione ella procederà a rigorosa azione contro chi se ne rendesse colpevole. Questa vergognosa piaga che io amo credere sia molto rara, è tempo che cessi del tutto sotto governo onesto e liberale. Il Consiglio le raccomanda in ispecial modo di rivolgere la sua attenzione alla imparziale, pronta ed impavida amministrazione della giustizia.

Nei governi liberi di quanto scema la prevenzione, di tanto cresce l'opera e l'importanza della Magistratura; e ad essa può dirsi che rimane affidata principalmente la tutela sociale. Ella dovrà quindi invigilare colla massima severità su questo ramo di servizio pubblico, curerà che tutti i magistrati siano sempre al loro posto, e potrà farsi render conto, ogniqualvolta lo creda, da ogni Tribunale dello stato di spedizione delle cause sì civili che criminali.

Ove ella creda opportuno di fare nelle provincie ispezioni generali o parziali potrà spedirvi suoi delegati favoriti di speciale incarico e dei poteri necessari al fine.

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Non le parlo della sicurezza pubblica; troppo è evidente, come già più volte abbiamo insieme discorso, che questo è il capitale al quale ella deve indirizzare le sue sollecitudini. I popoli delle provincie meridionali, dopo aver trapassato per una serie di rivolgimenti, d'angustie, di pericoli, anelano ed hanno diritto di conseguire questa tranquillità che permette ad ogni libero cittadino di svolgere le facoltà proprie, che trae capitali in circolazione, che ravviva il lavoro, che diffonde il buon essere in tutte le classi e dà agio ai privati ed al Governo d'intendere l'animo ai miglioramenti.

Mano a mano che dalla Legione degli allievi escano Carabinieri formati, o ch'io possa altronde ritrarne, non mancherò d'inviarli costi. Ma intanto alla deficienza inevitabile di numero proporzionato di essi, ella potrà supplire, richiedendo opportuna truppe al comando militare, colle quali e con guardie nazionali unite si possa supplire all'importantissimo servizio, e metterà in opera tutti quei mezzi che in luogo ella ravviserà necessari.

Non ho mestieri di spiegarle i principii politici che informano il Governo di S. M. poiché Ella troppo bene li conosce. Lo Statuto costituzionale che ci regge informar deve tutte le disposizioni e gli atti della Luogotenenza. Ma secondo lo spirito di esso, ella avrà per norma constante di sua condotta di prenderò tutti i provvedimenti necessarii, perché in ogni caso l'ordine pubblico sia mantenuto, e forza rimanga alla legge quand'anche debba farsi uso delle armi. E come, trattando cogl'impiegati civili, ella non mancherà di dar loro quelle istruzioni ben definite per le quali cessi ogni esitazione e titubanza nel loro contegno; così e maggiormente nel dar ordine agli Ufficiali di Pubblica sicurezza, o nel fare le richieste di forza armata, ella avrà cura che le sue direzioni siano dettate in termini precisi, da escludere ogni indecisione per parte di chi lo debba eseguire.

Queste sono parecchie tra le molte avvertenze pratiche le quali verbalmente tanto io che i miei colleghi le abbiamo significate. Le nostre relazioni dovendo essere frequentissime, anzi quotidiane, non mancherò di tornare su tali ed altri argomenti ogniqualvolta occorra.

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L'unità italiana politicamente consacrata dai voti del popolo e dalle leggi del Parlamento dee ottenersi in ogni parte della pubblica amministrazione. Procedere a questa unificazione gradatamente ma francamente, senza scosse, ma senza sosta, tale è l'indirizzo generale della nostra politica, tale sarà la regola dei suoi atti.

Mi è grato di esprimere alla S. V. Ill.ma i sentimenti della mia profonda stima ed osservanza.

M. MINGHETTI

Il 21 Maggio si leggeva nella Gazzetta ufficiale del regno:

«S. A. R. il principe di Savoia Carignano, avendo replicata mente manifestato il desiderio di riposarsi dalle funzioni di luogotenente generale delle provincie napolitane, funzioni da S. A. esercitate con pieno sovrano aggradimento, Sua Maestà vi ba graziosamente aderito e ha conferito con decreto del giorno 16 corrente la carica suddetta al Conte Gustavo Ponza di S. Martino, consigliere di Stato e senatore del regno.»

Il medesimo giorno 21 Maggio il principe di Carignano lasciava Napoli per tornare a Torino, e il conte Ponza di San Martino giungeva a Napoli. In questo giorno si pubblicarono in questa città i proclami seguenti.

Italiani delle Provincie Napolitane,

Parto da questa bella e nobile parte d'Italia colla coscienza d'aver voluto e d'aver operato quanto per me si poteva a vantaggio vostro e nell'interesse del Re e della Patria. Non ho certamente potuto compiere tutto quello che avrei desiderato. Ma lascio il paese in condizioni materiali, morali e politiche migliori, e colla speranza di più prospero avvenire. Lascio importanti riforme bene avviate, le elezioni municipali compiute, prossima ad intraprendersi una grande linea di Strade ferrate, rinvigorita

- 619 -

rispettata l'Autorità del Governo, frenati i partiti estremi e repressi i loro colpevoli tentativi, compiuta più che a metà la importante e difficile opera dell'unificazione nazionale.

Tutto ciò potei attuare o iniziare, mercé l'appoggio che ho trovato nella grande maggioranza delle popolazioni napolitano e mercé il loro buon senso, il loro patriottismo, la loro devozione al Re ed alla causa italiana. Accettate l'espressione sincera della mia riconoscenza. Date il vostro concorso all'egregio Personaggio a cui viene ora affidata l'amministrazione di queste provincie. Pensate a quanto ancora rimane a fare per l'unificazione completa della gran patria italiana, e agevolate al Governo l'armamento nazionale rispondendo con alacrità alla chiamata delle leve di terra e di mare.

Al rincrescimento ch'io provo nell'allontanarmi da questo nobile paese è di qualche conforto la speranza di lasciare non ingrata memoria di me, e il pensiero di potermi rendere l'interprete fedele dei generosi sentimenti vostri e dei vostri desiderii patriottici presso il glorioso nostro Re Vittorio Emanuele.

EUGENIO DI SAVOIA

Ufficiali. Graduati e Militi

della Guardia Nazionale

Nel prender commiato da voi sento il dovere di ringraziarvi della cordiale accoglienza che mi avete fatto, dell'efficace concorso che mi avete prestato, e del patriottismo con cui voi sapeste vegliare alla pubblica salvezza ed al mantenimento dell'ordine. Io sono lieto di poter confermare al Re l'alto concetto ch'Esso ha del vostro attaccamento alla sua Persona ed alle istituzioni costituzionali

- 620 -

EUGENIO DI SAVOIA

Ufficiali, Sotto uffiziali e Soldati delle truppe

stanziate nel sesto dipartimento militare

Dopo le splendide vittorie della scorsa campagna, vi toccò di compiere in queste provincie una non men difficile e non meno gloriosa impresa, quella di reprimere il brigantaggio e la reazione, e di concorrere colla guardia nazionale al mantenimento dell'ordine. Le fatiche, le marce, le privazioni, i pericoli aumentarono in voi l'antico coraggio, la costanza eroica ed il patriottismo che resero ammirato dovunque l'esercito italiano. Il vostro prudente e dignitoso contegno, nelle difficili circostanze in cui vi trovaste fu superiore ad ogni elogio.

Io sono orgoglioso d'avervi avuto sotto il mio comando, e sarò fortunato di poter ripetere al Re, che con tali soldati i futuri destini d'Italia sono per sempre assicurati.

EUGENIO DI SAVOJA

Questi furono i commiati del principe di Carignano ai Napolitani, ai quali il medesimo giorno si vide per le. mura di Napoli diretto il proclama del nuovo locotenente del re in queste parole.

- 621 -

Italiani delle Provincie napolitane!

Onorato dalla fiducia del Re, io assumo sotto le direzioni del suo governo l'amministrazione di queste Provincie.

Dopo che avete ricuperato una Patria degna di tal nome, a mentre vi ha ancora chi ci contesta il diritto di essere Italiani, vengo tra voi col proposito di dar forza, energia ed unita all'azione di tutti quei buoni cittadini che intendono di consolidare e di rendere durevole l'unione dei popoli italiani.

La forza di magistrato costituzionale sta essenzialmente nel concorso che gli prestano coloro stessi, nel cui interesse deve far rispettare ed eseguire le Leggi.

Questo concorso io lo invoco, e spero mi sia universalmente prestato colla franchezza e colla dignità che debbono presiedere alle relazioni di popolo libero coi suoi magistrati.

E con particolare fiducia invoco la cooperazione di tutte le Guardie Nazionali, le quali tanto nella città di Napoli come nelle Provincie diedero moltiplici luminose provo di amore alla patria alla libertà ed alle leggi.

I rapidi e radicali mutamenti nella nostra rivoluzione hanno inevitabilmente rallentato i pubblici servizii, e prodotto nei medesimi qualche confusione. Grandemente importa pel nostro comune interesse di rinfrancare con prontezza l'andamento, ed io assumendo personalmente la superiore direzione di tutte le amministrazioni, procurerò di compiere il mio dovere, accertandomi che in tutti gli uffizii pubblici regni immancabilmente quella vita d'ordine e lavoro regolare che sono necessarii per dare all'azione del Governo carattere calmo ed energico ad tempo, e per soddisfare le legittime esigenze dei cittadini.

Confido che ognuna di coteste amministrazioni vorrà concorrere efficacemente nella sfera dello proprie attribuzioni alla piena ed intiera osservanza delle leggi, cosicché io debba andar superbo di esser a capo del Governo.

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Sarà mio studio costante di promuovere nel miglior modo lo sviluppo della prosperità morale e materiale di queste provincie, con che io seguirò li generosi intendimenti di quell'Augusto Principe, di cui il patriottismo e l'alta intelligenza cotanto giovarono all'amministrazione dell'Italia nostra ne' più difficili momenti della sua rigenerazione, e che stette poc'anzi con voi Rappresentante del magnanimo nostro Re.

Fedele osservatore delle leggi e delle intenzioni del Governo sarà mia cura di rispettare e proteggere senza passioni o debolezze le libertà ed i diritti di tutti, e spero che, quando la mia delicata missione sia cessata, dobbiate riconoscere aver io sempre onestamente e coscienziosamente adempiuto al mio mandato, lavorando per voi, pel Re e per l'Italia.

Napoli, addì 21 maggio 1861.

DI S. MARTINO.

Per giudicare dell'opportunità di questo cangiamento fatto nella locotenenza del re a Napoli basta leggere il rapporto che fu, indirizzato al governo Italiano Cavalier Nigra nel suo ritorno a Torino col principii di Carignano. Da questo lungo ed interessante documento noi estragghiamo ciò che è più idoneo ad illuminare il giudizio dei nostri lettori intorno le provincie napolitane. Non seguiteremo il Commendatore Nigra nel sunto ch'egli presentò al Governo del Re Vittorio Emanuele di tutti i particolari dei quali ha dovuto occuparsi la Luogotenenza, dall'arrivo del Principe Eugenio a Napoli fino alla rimessione dei suoi poteri nelle mani del Conte di S. Martino.

Ciò che ci sembra maggiormente importante nella relazione è quanto riguarda la questione generale, ossia la serie degli ostacoli che trovò nell'esercizio delle sue funzioni la Luogotenenza, e ciò non solamente in ordine agli amministratori che si sono ritirati,

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ma tanto più in ordine a coloro che devono seguitarne l'opere e generalmente in ordine al governo centrale che si troverà fino ad una trasformazione di fronte alle medesime difficoltà.

Il Nigra non ha dissimulato, come del rimanente era naturale, la numerosa schiera dello contrarietà che si affacciarono alla Luogotenenza.

Egli incomincia mettere a nudo i difetti e lo colpe dell'amministrazione da cui fu retto il reame delle Due Sicilie, porgendo sopra una materia già sì conosciuta particolari che non erano ancora stati intieramente manifestati.

Ma per togliere di mezzo gli abusi in modo radicale egli osserva che il governo di Vittorio Emanuele non aveva a sua disposizione i mezzi più facili quali sarebbero stati i mezzi rivoluzionarii. «Procedendo rivoluzionariamente, oso dice, si poteva far tavola rasa di tutto per riedificare tutto più tardi con modi pure rivoluzionarii. Ma per operare questo rivolgimento conveniva, sottoporsi a tutti i pericoli della rivoluzione, e quindi alla probabilità di lotte sanguinose interne ed anche esterne. Per tal modo veniva a compromettersi con la pace d'Europa la soluzione della questiono italiana.»

All'altro partito doveva appigliarsi e si appigliò il governo del re. Ma questo sistema non era senza inconvenienti, né senza pericoli. Il governo accettava tutta l'eredità della rivoluzione senza potersi valere dei mezzi rivoluzionarii. Potevasi fin d'allora prevedere che agli antichi mali si sarebbero aggiunte lo deluse speranze dei partiti estremi, il malcontento di quanti si promettevano favori e fortune del nuovo ordine di cose, l'ostilità d'infinite suscettibilità offese, lo spostamento di molti interessi, e la difficoltà gravissima di rimettere al posto loro tutti i bassi elementi che ogni violenta commozione dagl'infimi fondi sociali fa venire a galla.

Lamenta poscia il Consigliere della Luogotenenza che, veduta la temperanza del governo, ordine rispettabile di persone siasi mostrato ostile; che l'aristocrazia, senza rendersi conto dei rischi a cui la sottrasse, tenne il broncio al governo stesso o l'osteggiò


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Seguita la relazione ridonando il loro carattere di piaga sociale e di brigantaggio a certi moti armati ch'erano stati dipinti come politici, particolareggiando circa certi capi di questi movimenti.

Ma ciò che maggiormente tocca al vivo le difficoltà interne è quanto si riferisce ai rimedii che venivano suggeriti in diversi modi dalla stampa napolitana e dai supposti portavoce di opinione pubblica che non è ancora formata, giornali però ed uomini che non cessavano e non cessano di proclamarsi ben affetti al principio dell'unità.

Circa questi eccitamenti e questi reclami che riflettono i miglioramenti e le innovazioni da portarsi nell'amministrazione il Consigliere della Locotenenza comincia dall'osservare che, ufficio assuntosi da coloro che gridavano più forte era generalmente quello d'indicare i mali spesso esagerandoli, di accusare gli uomini ed i sistemi senza indicare i rimedii, ovvero indicando tutto al più alcuni rimedii generali senza rendersi conto della possibilità della loro attuazione.

Indi soggiunge: «Si è gridato e si grida continuamente che si migliori, si semplifichi, si moralizzi l'amministrazione, si caccino gl'impiegati borbonici, si mettano al loro posto le vittime del passato dispotismo; si dia pane e lavoro al popolo, si facciano strade ferrate, si fondino scuole, asili e licei, si crei P industria e il commercio, si reprimano le ostilità clericali e borboniche, si organizzino i municipii, si diano armi alla Guardia Nazionale, si mandino truppe e gendarmi nelle provincie, si compensino i martiri e i danni sofferti.

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- Da altri si grida: Si cammini speditamente nell'unificazione, si distrugga ogni vestigio di autonomia,

«Alcuni di questi consigli si escludono a vicenda, altri non si possono attuare immediatamente, altri non si possono seguire senza i temperamenti che la pratica delle cose dello Stato indica indispensabili. Non s'improvvisa in pochi mesi sistema di strade ferrate, non si creano scuole senza maestri, e nemmeno questi s'improvvisano: le industrie e i commerci non si fondano con la fiducia, con azione lenta delle libere istituzioni, collo spirito di associazione e della iniziativa privata;

non si muta in istante popolo soggetto da tempo lunghissimo alla servitù e all'ignoranza in popolo colto e civile:

l'opinione pubblica non si crea che coll'esercizio della libertà, non si cancellano ad tratto le vestigia profonde d'una secolare oppressione;

non si possono mandar truppe in numero maggiore di quelle che si hanno; né in pochi mesi si può centuplicare il numero dei carabinieri la cui istituzione esige tempo e disciplina.»

Abbiamo voluto riferire il sunto della relazione che ha trattato alla quistione generale napoletana, perché a malgrado del molto che abbiam veduto fare agli uomini che si sono succeduti nel rappresentare la Corona in quelle provincie, lo stesse lagnanze sonosi sinora sempre prodotte, e so la loro confusione non ha permesso di farsi idea esatta di ciò che vogliano tanto gli uni che gli altri fra coloro che si lamentano, non fu men vero che l'andamento del governo dovette sempre risentirsi del concorso o piuttosto del dissenso di questi varii elementi.

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Il nuovo locotenente del re credette dunque di dovere adottare sistema di conciliazione dei più larghi. Egli indirizzò delle circolari ai governatori e procuratori generali, e capi

LUOGOTENENZA GENERALE

DEL RE

DELLE PROVINCIE NAPOLETANE

Nell'assumere l'amministrazione delle Provincie napoletane credo opportuno di dare a tutti i Capi di pubblici uffizi ed anche a tutti gli Impiegati alcune brevi direzioni a norma della loro condotta.

Il maggiore impedimento che ogni paese ha sempre provato a costituirsi regolarmente nei mutamenti radicali della sua esistenza provenne sempre da ciò che in tali contigenze facilmente si improntano di colore politico anche gli atti delle varie amministrazioni. Io deggio quindi prima di ogni cosa avvertire che in tutta la gerarchia governativa l'indirizzo politico appartiene esclusivamente al Parlamento ed al Governo del Re, e che nei gradi subalterni non è lecito entrare in questo campo, salvo a chi ne abbia, sotto la dipendenza Governativa, l'obbligo espresso dalla natura del suo impiego.

Dichiaro pertanto che mancherebbero gravemente al loro dovere quegl'impiegati i quali dimostrando passioni politiche dessero ragione ai cittadini di dubitare che gli uffizi del Governo non tengano nel compimento del loro mandato e nell'applicazione delle leggi assoluta rettitudine e la più stretta imparzialità.

Ciascuno si persuada che la miglior politica di impiegato quella si è che consiste nel promuovere con costante fermezza l'osservanza e l'esecuzione delle leggi. Con ciò verrà ad infondersi nell'animo di tutti i cittadini,

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qualunque sia la loro condizione, il convincimento di trovar sempre in chi serve il Re ed il

Avvertirò in secondo luogo come una delle principali condizioni di vitalità de' servizi pubblici stia nell'assoluta e rigorosa osservanza delle regole della gerarchia.

Prego quindi tutti i capi delle amministrazioni pubbliche di portare attenzione speciale a ciò che si rispettino sempre le attribuzioni de' capi degli uffizii subordinati, nell'invigilare onde ciascuno eserciti la propria autorità e si faccia obbedire, e nel promovere

tutte le disposizioni necessarie a reprimere ogni abuso. Osservando puntualmente queste prescrizioni i capi di ogni uffizio vengono a tenere mezzo sicuro e sufficiente per accertarsi della moralità e della regolarità del servizio, ed io formalmente dichiaro che intendo di renderli risponsabili personalmente ogni qual volta avvenisse di riconoscere in modo certo che sianvi nei loro uffizi abusi che essi non abbiano denunziato, ed ai quali non abbiano cercato di porre riparo.

So quanto sia delicato e difficile quest'assunto, ma so del pari che il paese con una generale uniformità di sentimenti vuole che il governo faccia rigorosamente sentire la sua azione; e siccome mi è noto per lunga esperienza che questa non altrimenti si sviluppa salvo nella regolarità dell'andamento dei pubblici uffizi, quindi, mentre da canto mi ricuserò ricisamente di prendere disposizioni troppo improvvise e facili ad essere ingiuste, avverto che è mia intenzione di compiere questo mio mandato assoggettando continuamente tutti gli uffizi a minutissime ispezioni le quali valgano ad illuminare l'opinione pubblica sulle loro condizioni e porgano l'occasione di prendere in caso di bisogno i provvedimenti che ho indicati.

I doveri di chi amministra la cosa pubblica crescono in ragione della libertà di cui godono i cittadini perché è solo col pieno adempimento di tali doveri che gli uffici pubblici vengono ad acquistare quella stabile autorità morale, senza la quale ogni governo libero è impossibile.

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Gradisca Vostra Signoria Ill.ma gli atti della mia distinta considerazione.

Napoli, li 22 maggio 1861.

Il luogotenente generale del re

DI SAN MARTINO

LUOGOTENENZA GENERALE DEL RE

DELLE PROVINCIE INDOLITANE

Doppio è il mandato che le leggi affidane a V. S. Ill.ma. uno interamente amministrativo, l'altro principalmente politico.

Le direzioni che ho date a tutti gli uffizii pubblici con altra lettera circolare in data d'oggi non bastano ad indicarlo tutte le intenzioni del governo rispetto al modo col quale sono da compiere i doveri politici, ed in aggiunta alla medesima le osservo:

Che opera del governo deve essere quella di stare anche in politica talmente sul terreno della legalità che esso venga col fatto a trovarsi al di sopra de' partiti.

Quindi Ella farà opera molto opportuna quando ottenga che tutte le principali persone di diversa opinione vengano francamente a presentarle ed i desiderii e le lagnanze loro, perché è impossibile di non trovare in queste comunicazioni elementi di cui convenga tener conto.

Ma nel tempo stesso l'avverto di stare molto in sulla guardia pur non prendere con chicchessia impegni atti a smuoverla da quella via prudente, imparziale e ferma che è nelle mire del governo del Re.

Sarà bene ch'Ella per mezzo di continue informazioni si tenga al fatto delle persone che nella sua circoscrizione godono maggior fiducia per probità, per disinteresse e per intelligenza;

che procuri di mettersi con loro in relazione sia per indurle a coadiuvare il Governo nelle amministrazioni locali ed altre, quant'anche per ricercarne i consigli nelle occasioni difficili.

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Sarà pure necessario di tenersi bene informati di quelle persone che o per abuso d'influenza sotto il cessato Governo, o per altri titoli siano gravemente compromesse colle popolazioni acciocchè in ogni circostanza il Governo sappia subito quali sono le condizioni dell'opinione pubblica rispetto alle medesime.

Ma La prego di tener bene in mente di non accogliere mai né elogi né accuse vaghe; per le accuse principalmente converrò sempre ricercarne accuratamente le prove e dichiarare recisamente che senza prova non si può fondare alcun provvedimento.

Nelle cose di sicurezza e di ordine pubblico converrà usare risolutamente di tutt'i mezzi che le leggi mettono a disposizione del Governo, e sarà opportuno che l'azione delle autorità politiche proceda d'accordo col Ministero Pubblico:

E quindi intenzione del Governo del Re che i signori Governatori, Intendenti, Questori, e Delegati di Pubblica sicurezza abbiano quotidiane relazioni personali co' rappresentanti del Pubblico Ministero, i quali presa in queste conferenze minuta conoscenza de' fatti che nuociono alla sicurezza ed all'ordine, concertino li modi di provvedimento.

Tutte le autorità investite dalle leggi del diritto di richiedere la forza pubblica dovranno poi avvertire di concepire le loro richieste in modo che non lascino mai dubbio né altra risponsabilità in chi le deve eseguire, fuori che quella della esecuzione.

Ed io intanto le assicuro che provvedendo esse con energia e sincero intendimento alla conservazione dell'ordine, sarò lieto di far risalire a me stesso la responsabilità degli atti loro.

Abbia poi Ella sempre presente, che, se conviene di andar guardinghi nel dar ordini, e di restringersi ai soli provvedimenti di comprovata necessità e di assoluta legalità, è altrettanto indispensabile che, dati una volta, in alcun modo non si ceda nella esecuzione, poiché la forza deve sempre rimanere alla legge.

La Guardia Nazionale sarà oggetto di tutte le possibili di lei cure. Ella deve occuparsene con tanto maggior desiderio

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e compiacenza, in quanto che i fatti già dimostrano come il Paese si possa ripromettere dalla medesima i maggiori elementi d'ordine e di prospero avvenire. Ella procurerà pertanto che in ogni luogo se ne compia l'organizzazione giusta il prescritto della legge. Che se ne formino i battaglioni. Che se ne spinga l'istruzione colla maggior possibile celerità affinché essa possa nel più breve termine bastare da sola alla custodia interna, quando eventi guerreschi ci mettessero nella necessità di disporre altrimenti delle truppe stanziali.

É particolare di Lei ufficio di provvedere a che penetri nella Guardia medesima il sentimento della legalità del servizio.

Questa legalità principalmente consiste in ciò che, salvo il caso di flagrante reato,

non si proceda mai dalla Guardia Nazionale ad alcun arresto se non in esecuzione di mandati regolari dell'autorità giudiziaria

o di formali ed esplicite consegne dell'autorità di Sicurezza Pubblica.

Ora avvertirò come fra le più importanti missioni che abbia presentemente l'autorità politica siavi quella di estendere col massimo zelo e con incessante attività la sua vigilanza sui fatti d'ogni natura che si riferiscono alla regolarità dei pubblici servizi, ed intendo che di questi mi sia sempre fatta relazione diretta, onde per mezzo de' Dicasteri competenti io possa infondere in tutto le amministrazioni quello spirito e quella unità di azione, che sono la principale necessità di ogni ben ordinato Governo. E da ciò ne verrà ai pubblici uffici meritata fama di utili servigi, od io sarò meglio in grado di conoscere quali tra detti uffici debbano preferibilmente essere assoggettati ad ispezione.

Mi riservo di dare col mezzo de' diversi Dicasteri quegli ordini più minuti che sono necessarii all'andamento di tutti i servigi.

Gradisca la S. V. Ill.ma gli atti della mia distinta considerazione.

Napoli, 22 maggio 1861.

Il Luogotenente generale del Re

DI SAN MARTINO

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Il conte di San Martino diè delle serate al palazzo reale dove invitò i partigiani del governo caduto.

Questi vi convennero in gran numero, ed accolsero con soddisfazione l'espressione delle disposizioni, che la nuova amministrazione veniva ad adottare.

Disgraziatamente i circoli borbonici messi per questa via al giorno delle idee del governo, ne profittarono a raddoppiare la loro attività per i progetti di reazione.

Ben tosto vedremo come il conte di San Martino si trovasse disingannato delle sue speranze di conciliazione.

II.

I comitati borbonici residenti a Marsiglia e a Roma, la cui esistenza abbiam noi segnalata in uno dei precedenti capitoli, avevano avuto tempo di porre in regola il loro organamento e le loro corrispondenze con le segrete associazioni di simil genere stabilite a Napoli e nelle sue provincie.

Tuttavia il comitato di Roma era divenuto il punto centrale, e se Francesco II, il quale aveva promesso all'Europa, ne' suoi manifesti segnati di M. del Re, di non provarsi a turbar il paese con la guerra civile, s asteneva da ogni cooperazione,

il conte di Trapani, principe del sangue e suo zio, era alla testa del comitato generale, formatosi nei primi giorni di Maggio sotto il pseudonimo di

associazioni religiosa.

Dalle corrispondenze sorprese per il governo italiano, e messe a luce sotto la locotenenza del generale Lamarmora, risulta che a questo comitato presieduto dal conte di Trapani, assisteva un fratello del re, il conte di Trani in qualità di ministro della guerra, e che sotto di questi due personaggi si trovava il general Clary rivestito delle attribuzioni di segretario generale.

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Questo comitato di Roma si corrispondeva direttamente con un altro comitato centrale residente a Napoli, il quale comunicava con quelli delle provincie, i quali si componevano d'un delegato e d'un segretario di confidenza; d'un presidente munito di estesi poteri numerati in un diploma stampato, speditogli dal comitato generale di Roma; d'un altro segretario incaricato delle corrispondenze cogli altri comitati; d'una specie di cancelliere che segnava per copia conforme; di otto decurioni; d'un cassiere; di quattro censori preti per sorvegliare l'amministrazione della cassa e la condotta degli affigliati; finalmente di

otto deputati incaricati della distribuzione del danaro, e dei soccorsi ai poveri.

Questi deputati arruolavano quanti uomini potevano, e questi uomini dovevano esser condotti da un comandante in capo e dagli ufficiali che dovevano esser muniti di brevetti per farsi riconoscere.

In conseguenza dei numerosi documenti caduti in potere della polizia italiana si sono ottenuti dei completi dettagli sulle operazioni dei comitati, ed è stato persino una specie di rituale contenente la formola del giuramento, che prestano gli adepti, e il quale ci crediamo in dovere di riprodurre secondo il testo.

Noi giuriamo avanti a Dio ed avanti al mondo intero di essere fedeli al nostro sovrano augustissimo e religiosissimo Francesco II. (che Dio guardi sempre,) e promettiamo di concorrere, con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze al suo ritorno nel nostro regno, ad obbedire ciecamente a tutti i suoi ordini, a tutti i comandi che verranno sia direttamente, sia dai suoi delegati, o dal comitato centrale residente a Roma, e giuriamo di mantenere il segreto affinchè la giusta causa voluta da Dio, che è il governatore dei sovrani, trionfi col ritorno di Francesco II. re per la grazia di Dio difensore della religione e figlio amatissimo del nostro S. Padre Pio IX che lo tiene nelle sue braccia per non lasciarlo cadere nelle mani degli increduli e dei perversi e pretesi liberali, i quali hanno per principio la distruzione della religione, dopo avere cacciato il nostro amato Sovrano dal seggio de' suoi antichi.

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Noi promettiamo anche con l'aiuto di Dio di rivendicare tutti i diritti della Santa Sede e di abbattere il Lucifero infernale: Vittorio Emanuele ed i suoi complici.

Noi lo promettiamo e lo giuriamo.

Per mezzo di questa organizzazione la cospirazione era sparsa per tutto nelle provincie napolitane.

Il comitato di Napoli dietro i motti d'ordine che gli venivano trasmessi, operava nell'ombra, e i conciliaboli degli affigliati si tenevano vigilanti e preparati in buon numero di posti.

Il Clero napolitano, fedele al Papa ed ostile al governo italiano appoggiava energicamente gli sforzi dei comitati. Il cardinale arcivescovo di Napoli Riario Sforza dava nel suo palazzo delle serate, ch'erano il contrario di quelle che si tenevano nel palazzo reale dal conte Ponza di San Martino locotenente del re, il cui sistema di dolcezza e di conciliazione aveva autorizzato il prelato fino a sospendere

a divinis i preti che cantavano il

Te Deum, o che pregavano per l'Italia.

Fu in questo periodo di tempo, in cui sembrava che non vi fosse nulla a temere per i nemici del nuovo governo, che si diè a conoscere il capo di masnada Chiavone. Giunto dal 3 di Maggio con 300 uomini nei dintorni di Monticelli, provincia della terra di lavoro, presso le frontiere romane, egli era stato raggiunto da una banda partita di Termina ove era sbarcata, e dove aspettava un secondo sbarco di circa altri 400 avventurieri. Dopo di aver saccheggiato Monticelli, Chiavone si diresse a Fondi, che per tutta guarnigione non aveva che cinquanta uomini comandati da un ufficiale.

Dopo una difesa ostinata, alla quale cooperò la porzione di guardia nazionale rimasta fedele al governo italiano, e dopo la morte dell'officiale di linea e d'un caporale, Chiavone ed i suoi invasero il villaggio, e lo posero a sacco.

Il Sindaco fu scannato e rimpiazzato con uno dei partigiani borbonici.

Il giorno appresso, 4 Maggio, giunsero le forze italiane con cannoni, ma gli aggressori, avvisati senza dubbio, erano già fuggiti col bottino. Nella loro fuga verso la frontiera romana, essi saccheggiarono altri paesi, cangiarono le autorità, ed incontratisi nel loro passaggio con alcuni operaj,

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che lavoravano ad una nuova strada,

Chiavone li gratificò di un decreto che aumentava di mezza lira al giorno il loro salario.

In questo punto, che vediamo entrare in scena questo capo di briganti, il cui nome ha risonato così spesso nei giornali, non sarà fuor di luogo di farne qualche parola. Diciamo da principio che gli è stata attribuita un'importanza che esso non meritava punto.

Egli non s'è mai sognato di avere le passioni fanatiche di un partigiano, ne l'audacia fiera d'un brigante.

Amante del danaro, e della piccola gloria, trovava i modi di procacciarsi l'uno e l'altra percorrendo e mettendo a ruba i paesi vicini della frontiera; poscia ritiravasi negli stati romani tosto che si vedeva inseguito dai soldati del governo italiano o dalle guardie nazionali, perché non gli talentava gran fatto di battersi.

Quando perveniva a Roma, narrava con enfasi al comitato le imprese, esagerandolo a proprio talento senza tema di mentite.

Cosi per ciascun viaggio egli saliva di grado: al primo non era altro che capitano, dopo il saccheggio di Monticelli e di Fondi: al secondo si chiamò colonnello, poi generale, e finalmente generalissimo delle armate di S. M. Francesco II.

Ciò che ha più di strano nei fatti e nelle geste di Chiavone non sono già le sue fanfaronate, ma la credulità del partito, in cui nome egli le faceva. Un tempo guarda boschi a Sora, egli si era acquistato una certa influenza sui campagnoli in gran parte cacciatori e carbonari. All'occasione dei movimenti insurrezionali del 1860 egli si presentò alle autorità offrendosi per mantenere l'ordine pubblico con alcuni legnaiuoli che aveva a sua disposizione. Esso fu accettato, ma al ritorno dei patriotti fu cacciato via.

Costretto di fuggire nelle montagne co' suoi carbonari e taglialegna s'incontrò col capo dei partigiani

Klilcher de Lagrange

, e corse il paese con lui.

Ma ben tosto quest'ultimo lo ebbe abbandonato per rientrare a Roma, e Chiavone occupò le montagne d'intorno a Sora. Di là egli discese il 3 Maggio per fare il colpo di mano sopra Monticelli e Fondi. Non si creda pertanto che il capo di masnada si compromettesse mai coll'entrare nei paesi o nei borghi, ove si lanciavano i suoi briganti a depredare. No: egli si rimaneva sempre addietro por proteggere, com'egli altamente diceva, le sue genti.

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Né si asteneva però di pubblicare proclami e ordini del giorno come degl'intimi ai Piemontesi, datandoli da quella contrada o da quel paese, ai confini o alla porta dei quali egli s'era arrestato. Un giorno mentre ch'ei si rimpiattava a Roma, pubblicò un decreto dal quartier generale di Sora per dare ad intendere ch'egli si fosse stabilito in questa città. Dentro lo stesso mese di Maggio egli spedì alla guarnigione italiana di questa medesima località un parlamentario per intimarle di capitolare, assicurandole la vita libera, ed un salvacondotto fino a Torino.

Gl'italiani risposero recandosi dalla parte della montagna di Sora, ove supponevano essere la banda,

ma questa n'era di già ben lontana e il suo capo s'era diretto a Roma per quivi riscuotere le sue paghe in buone piastre che gli venivano pagate dal comitato borbonico.

Questo era tutto quel che voleva Chiavone, il quale né partigiano era, né un brigante, ma semplicemente ciò che si chiama un uomo d'industria, spazzando le proprietà dei piccoli villaggi della frontiera, valendosi sovratutto del re e de' suoi amici.

La mania suprema di Chiavone era d'imitar Garibaldi, e di rappresentare la dittatura. Egli aveva per costume dei sandali, panciotto e calzoni di velluto nero, una veste del medesimo colore, cravatta variegata, una sciarpa rossa aggirata ai reni, e grave di pugnali e pistole: in capo un cappello nero alla spagnola, ll suo gesto era enfatico; s'accigliava sovente, ma non era un profondo scellerato. Le crudeltà di cui s'è lordata la sua banda non furono comandate da lui. Ci venne affermato che egli non ha mai fatto fucilare tranne alcuni innocenti muli per farne un rancio. Il proprietario di queste bestie ricusando di riscattarle, un consiglio di guerra fu riunito e i muli furono condannati ad essere uccisi. Ad esecuzione di questa sentenza, i Cbìavonisti tirarono, dice un testimonio oculare, dieciassette volte, accompagnando ciascuna scarica col grido: Viva il re! viva Chiavone!

Si dice che quando dei soldati piemontesi venivano nelle sue mani, anziché farli fucilare, li colmava di cortesie; se non che proponeva loro di arrollarsi al servizio di Francesco II, o del Papa.

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Dov'essi rifiutavano, il che avveniva sempre naturalmente, li lasciava liberi, e li rimandava con un salvocondotto presso a poco in questi termini:

«

A tutte le autorità civili e militari»

«Lasciate passare questi uomini»

«

general Chiavone.»

Questa manifestazione della sua autorità gli bastava, e si può anche dire, che fosse questo l'ideale della sua dittatura. Cosi, benché egli scrivesse come un guarda boschi, lanciava tutto il giorno proclami ed intimi come generale dell'armata napolitana. Sono state trovate una quantità di queste produzioni la cui ortografia ha bisogno d'innumerevoli correzioni perché possano intendersi.

Quest'uomo non aveva dunque l'importanza, che gli hanno voluto attribuire i giornali stranieri. Nelle provincie napolitane si era ben lungi dallo spaventarsi del generalissimo degl'insortì, delle truppe dell'armata napolitana. Vi erano altre bande ben più spaventevoli che non fosse quella di Chiavone, e le quali noi vedremo moltiplicarsi sotto il sistema di locotenenza conciliativo del conte di San Martino. Il 6 Maggio d'altronde innanzi alla partenza del Principe di Carignano si manifestò il brigantaggio a Santa Maria, alcune miglia da Napoli, come vien costatato dalla lettera seguente:

Santamaria 11.

La sera del 6 il Delegato di Polizia di Santamaria riceveva un telegramma, in cui veniagli significato che alcuni moti reazionari erano scoppiati a S. Prisco. Il Delegato avea da qualche giorno avuto sentore che in una casa posta sui monti Rifali quella notte vi sarebbe stato convegno di briganti. Subitamente avvertitone il capitano comandante la G. N. di Santamaria, furono presi i provvedimenti più opportuni per impedire che quel movimento reazionario si dilatasse.

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Intanto un 30 circa malviventi assalirono il posto della G. N. del villaggio di S. Angelo in Formis, e, giovandosi del numero, posero in fuga i pochi militi che vi stavano a difesa ferendone malamente un solo. Lieti del trionfo e brandendo le armi strappate ai militi irruppero quei tristi nelle pubbliche vie gridando viva Francesco II. Ma niuno si mosse e quei pacifici cittadini atterriti chiusero le porte delle loro case.

Raccoltasi in gran fretta la Guardia Nazionale di Santamaria, guidata da' suoi capitani, celeremente muovea alla volta di quella casa, in coi era il convegno de' reazionari. Avvisati a tempo, coloro fuggirono sparpagliandosi pe' monti; animosi gli assalitori, da ogni banda tentavano stringerli, ed un vivo combattimento ne nasceva.

Accorrevano da Capua due compagnie di bersaglieri e da Caserta uno squadrone di Lancieri, pel ridosso del monte cercando di riuscire alle spalle di que' ladroni. Quattro di que' malviventi caddero nelle mani delle Guardie Nazionali, ed un altro fu arrestato da un bersagliere, e nella loro precipitosa fuga abbandonarono fucili ed armi.

Gli arrestati confessarono che capo della banda sia un tal Giuseppe Papa, caffettiere di Santamaria ed ex soldato borbonico.

Lo zelo patriottico mostrato dalla Guardia Nazionale di Santamaria fu veramente lodevole. Ben 400 ne partirono, ed erano tutti infervorati dal magnanimo proposito di sperdere quella masnada di ladroni.

Santamaria ha vanto di essere tra le prime città patriottiche delle provincie del Napoletano.

Alcuni giorni appresso, cioè l'11 Maggio, mentre che gli ufficiali della guardia nazionale e dell'armata celebravano un banchetto al teatro S. Carlo, fu discoperta verso le 10 ore della sera per la più avventurosa combinazione una bomba enorme, carica e vicina ad essere accesa.

Un individuo armato d'una miccia ardente si teneva di fianco al proiettile. Appena scoperto, si die' alla fuga, e non fu potuto raggiungere. Trasportata la bomba alla prefettura, il conte Nigra, il general Turr e il Signor Spaventa, assisterono all'esame del proiettile, il quale dovea senza dubbio scoppiare nel momento che uscirebbero gli ufficiali.

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III.

Mentre che il turbine della reazione sollevava dei gravi disordini nelle provincia napolitane, sconturbamenti di un'altra natura si videro scoppiare nella Lombardia e nella Sicilia.

Da qualche tempo il prezzo del pane aveva aumentato a Milano per la scarsezza dei ricolti. Questa circostanza che aveva prodotto alcun malcontento negli animi servì di pretesto ai nemici del governo italiano per sollevare in questa città una parte della popolazione operaia.

Il 22 una folla numerosa si trasportò alla fabbrica di spiriti dei Signori Sessa e Fumagalli, in contrada di Viarenna, e dopo aver fatto violenza allo porte si abbandonarono ai più ributtevoli atti di barbarie.

Ecco come il giornale la Lombardia diè conto di questo fatto:

Ieri nella edizione della sera, mancando di sicuro notizie non abbiamo fatto che un breve cenno dei deplorabili avvenimenti occorsi alla fabbrica di spiriti dei Signori Sessa e Fumagalli in Viarenna. Accennammo a maligne insinuazioni corse tra il popolo; il proclama d'oggi del Municipio, che qui sotto riproduciamo conferma le nostre parole, e molto assennatamente spiega alla popolazione l'errore imperdonabile a cui s'è lasciata indurre, facendosi forse stromento di reazioni ordite dai perpetui nemici della nostra indipendenza.

Noi non abbiamo parole abbastanza severe per riprovare codesti atti, ingiustificabili in un paese civile com'è il nostro. Non è degno di libertà chi non rispetta la proprietà e l'ordine pubblico, chi si lascia correre a dimostrazioni tumultuose, chi resiste alle intimazioni della pubblica forza; le vittime degli sciagurati disordini di ieri hanno immerso alcune famiglie nel dolore, e sono un acerbo rimprovero ai forsennati che cedettero alle suggestioni di tristi e misteriosi agitatori.

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Il popolo ha troppo buon senso per non comprendere che degli intrighi di reazionarii ed austriacanti egli non dev'essere vittima e stromento a nessun costo; e noi confidiamo che basterà avergli additato la fonte dei disordini di ieri, perch'egli ne respinga ogni solidarietà, e si adoperi concorde a ristabilire la quiete. Per l'onore del paese è indispensabile che più non si rinnovino di questi scandali, de' quali sono sempre gravissime le conseguenze.

E pur troppo abbiamo a deplorarne non poche dei fatti di ieri.

L'abitazione dei signori Sessa e Fumagalli fu devastata vandalicamente, e messo in pericolo di gravi danni qualche centinaio di operai che ne ritraggono il pane per sé e per le loro famiglie. Fortunatamente però la fabbrica rimase illesa.

Ma quel che è peggio, sono da lamentarsi parecchi feriti. Sappiamo di nove che furono accolti all'Ospedale Maggiore, due o tre dei quali per arma da fuoco, la maggior parte per arma da taglio, pochissimi i gravi, due soli finora in pericolo: Sono quasi tutti giovani, ciere sinistre; ad uno si trovarono piene le tasche di zuccaro ed un bell'orologio che diceva suo. La Questura diede ordine di tenerli a sua disposizione. Un padre venne ieri a trovare suo figlio ferito in San Filippo, e lo assalì furiosamente chiamandolo disonore della famiglia e della città, e che sarebbe stata fortuna che una palla nel petto lo avesse ucciso al momento. Prontissima fu la medicazione che trovarono questi disgraziati nel nostro grande Ospedale, che non manca mai nelle occasioni a se stesso.

La Guardia nazionale accorse pronta alla chiamata, ma non fu posta in condizione di spiegare subito tutta l'energia che avrebbe voluto.

La truppa si condusse con prudenza ed energia nell'istesso tempo; nulla abbiamo a deplorare a suo riguardo, ed abbiamo invece a lodarci grandemente del suo fermo contegno.

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Stamane fino a mezzogiorno, ora in cui scriviamo, non si ebbe più a lamentare alcun disordine, e speriamo che tutto sia finito, quantunque gli attruppamenti non siano ancora dappertutto disciolti. Ieri e oggi si sono fatti e si vengono facendo numerosi arresti.

Il giorno appresso la municipalità di Milano pubblicò il seguente proclama:

Milano 23 maggio 1861.

Cittadini!

La nostra città fu ieri testimonio d'un fatto che l'ha fortemente conturbata e commossa.

Una fabbrica attiva e fiorente, che pone il paese nostro in concorrenza coll'industria straniera, fu manomessa per mal consiglio di gente illusa, che ne trae timore d'incarimento nel prezzo del pane e pretesto al disordine.

La Giunta, cui stanno a cuore gl'interessi del popolo, non crede di dover usare molte parole a dissuadere i suoi concittadini da codesto mal fondato timore. Il grano guasto per la massima parte, usato nella fabbricazione dello acquavite e degli spiriti, non lascia nei nostri magazzini tal vuoto che non sia tosto riempito dal gran movimento del commercio continentale e marittimo e questo vuoto d'altronde non contribuisce in alcun modo al rialzo nel valore dei grani, dovuto evidentemente a cause atmosferiche. All'incontro coll'impedire l'esercizio di un'industria che alimenta molte centinaia di operai, si toglie ad essi di certo il pane necessario al sostentamento quotidiano delle loro famiglie si dà inoltre argomento a' nostri nemici di ordire trame a danno d'Italia.

Se v'ha momento in cui la patria reclami senno e concordia da' suoi figli, si è codesto. La giunta si rivolge ai propri concittadini fiduciosa che,

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sapendo essi come le persone e le proprietà debbano essere sacre ovunque e por tutti, sappiano altresì con

tribuire coll'opera e col consiglio alla tutela dell'ordine; riguardato fin qui con invidiosa meraviglia dai nostri nemici.

Sindaco BERETTA.

Gli Assessori

P. BELGIOJOSO - A. CAGNONI -

G. B: MARZORATI - L. SALA -

G. TERZAGGI - L. TROTTI -

G. VISCONTI VENOSTA.

SILVA, Segretario

gran numero di arresti furono eseguiti, e la popolazione restò in calma non solo; ma faceva anche ben chiara mostra di deplorare gli avvenimenti ch'erano seguiti. gran numero di delinquenti ebbero tempo di sfuggirsene per mezzo del convoglio di notte della strada di ferro, altri si studiarono con ogni cura di non risvegliare sospetti e andarono a piedi fino alla stazione di Limito dove presero il treno.

Si vociferava a Milano che questi disordini fossero stati promossi da segreti agenti dell'Austria.

Il generale Lamarmora fu investito del comando generale della guardia nazionale, e l'autorità giudiziale procedette alle ricerche. Una commissione criminale fu stabilita in permanenza sul luogo del fatto a fine di proseguire con maggiore prontezza e sicurezza lo scoprimento della verità, mentre che alla questura e alla corte di giustizia si dava corso agl'interrogatorii dei prevenuti, in numero di 80, dei quali furono 40 rilasciati in libertà per difetto di prove. Undici fra gli incolpati detenuti si trovavano allo spedale a causa di ferite riportate. Tutti erano stati ritrovati forniti di gravi somme di danaro. Dimandati dalla giustizia di render conto del possesso di tali somme, tutti risposero invariabilmente, essere frutti di loro risparmi.

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La Gazzetta di Milano

IV.

Lo stesso giorno, 22 Maggio, in cui gli operai di Milano s'abbandonarono a questi eccessi, la classe operaia a Catania sembrò volere obbedire alle stesse influenze, che avevano sollevata quella della Capitalo di Lombardia.

Già da qualche tempo esisteva tra la classe operaia una specie di malcontento che proveniva rallentarsi del lavoro in parecchie manifatture, segnatamente in filatoio di seta che occupava più di 300 operai, i quali perciò erano stati congedati.

Lo spirito di partito si è naturalmente impadronito di questa situazione per volgerla a suo profitto. complotto, che doveva scoppiare il mercoledì 22, giorno in cui si tiene a Catania (città di 80 mila anime) importante mercato, era stato preparato.

Infatti; individuo portante, non già una bandiera rossa, ma una bandiera tricolore, percorse le strade gridando Viva l'Italia, abbasso gl'infami, ma il grido di Viva la Repubblica non fu proferito.

A questi gridi la popolazione si tenne tranquilla e l'individuo che gridava, poté essere facilmente arrestato, in quell'indifferenza generale, dagli agenti di polizia, e condotto alla questura. Quindi egli fece intera confessione. Egli rivelò da chi era


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Intantochè si conducevano i prigionieri dalla questura alle carceri, dei parenti, senza dubbio, e degli amici ammutinati pel loro arresto, cominciarono a mandar grida o cercarono anche di liberarli colla forza. I prigionieri vollero profittare della circostanza e del piccolo numero di guardie nazionali e di agenti che li conducevano. Taluni anche erano già riusciti ad evadersi.

Allora, la guardia nazionale, provocata da queste violenza e temendo di vedere tutti i suoi prigionieri sfuggirle, dopo aver minacciato inutilmente gli ammutinati di far uso delle sue armi, spinta agli estremi, ha fatto fuoco, e 6 o 7 di costoro furono colpiti.

A partir da momento il convoglio di prigionieri potò esser condotto senza nuovo impedimento fino alle prigioni. Il tribunale si stabilì in permanenza.

Quanto alla popolazione, lungi dall'attestare alcuna simpatia per gli autori di questi tentativi, essa ne sentiva tutta la colpevole gravità, e capiva perfettamente non essere in tal modo che si riconduca il lavoro in una città ove circostanze eccezionali lo hanno rallentato.

Ecco del resto sullo stato generale della Sicilia a questa epoca che riferiva

La Gazzetta del popolo.

Palermo 16, Maggio

Qua lo stato della pubblica sicurezza è veramente deplorevole, e desta le più gravi inquietudini per l'avvenire.

Anche nel personale dell'alta e bassa magistratura vi sono grandi pecche; i migliori sono dominati dalla paura.

È enorme la massa dei malviventi disseminati nell'isola.

Battono la campagna, o si organizzano nelle città in modo da sfidare la più svegliata oculatezza dei tribunali. A Palermo incutono vero terrore, nelle vicinanze niuno più osa andare nella aperta campagna per affari o per diporto. Nei villaggi alle sette di sera non trovereste pacifico abitante fuori della sua casa.

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Le più strane e false idee s'insinuarono nel popolo rispetto alla intelligenza del decreto di Garibaldi sul riparto dei beni comunali, si teme quindi moltissimo per l'epoca del nuovo raccolto.

A Palermo vi fu qualche caso di intimo di pagamento di una somma con minacce di morte, vi fu anche caso di riscatto, che è sequestro di persona, allo stesso fine. A Partinico si provò difficoltà a riscuotere le imposte, a Terranova non si vollero pagare le tasse doganali: nel distretto di Termini una banda armata commise parecchie grassazioni,

nel distretto di Cefalù vi hanno dei tristi che eccitano la plebe contro supposti spargitori del tifo, che disgraziatamente vi domina, e tenterebbero di rinnovare i sanguinosi eccessi del 1837 nell'epoca del cholera.

I pericoli dell'ordine pubblico nella provincia di Catania hanno determinato governatore a dimettersi, perché non aveva, secondo lui, forza e facoltà sufficienti a mantenerlo.

Bande armate di ladri sono nei dintorni di Corleone, di Caltanissetta e di Trapani.

Per odii personali sono agitate le popolazioni di Alcamo, di Piazza, Valguarnera, Castrogiovanni, Tusa ed altri luoghi.

Nello stesso mese di Maggio si vide apparire nell'Umbria una banda di malfattori che percorrevano il paese, portando la rovina e il terrore sul suo passaggio, lungo gli Apennini.

Le truppe mandate sulle loro peste non tardarono a disperdere quest'orda di briganti. Sulla quale si leggeva nella Perseveranza, in data del 29 Maggio:

L'operosità instancabile dei nostri nemici è pure riuscita ad

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Il Governo ha date le opportune disposizioni per l'accrescimento delle forze militari nelle regioni minacciate. Egli ha fatto appello altresì alle milizie nazionali di quelle provincie che riunito alle truppe e a buon numero di carabinieri, non tarderanno a snidare i malfattori dai monti Apennini, ove han cercato ricovero.

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CAPITOLO X.

SOMMARIO

I. IL MINISTRO DELL'INTERRO MINGHETTI OFFRE LA DIMISSIONE PERCHÉ LA COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI NON APPROVATA IL SUO PROGETTO DI LEGGE SULLE CIRCOSCRIZIONI AMMINISTRATIVE - RITIRO DELL'EXEQUATUR AI CONSOLI DI BAVIERA, DI WURTEMBERG, E DI MECKLEMBOURK - NOTA DIPLOMATICA DEL CONTE DI CAVOUR A QUESTO PROPOSITO - FESTA DELLO STATUTO ITALIANO - RIFIUTO DI COOPERAZIONE DELL'ALTO CLERO - AVVISO DELLA CORTE DI ROMA - PARTICOLARI DELLA FESTA - II. MALATTIA ED ULTIMI MOMENTI DEL CONTE DI CAVOUR - SUOI FUNERALI - OPINIONE DELLA STAMPA EUROPEA SU QUESTO TRISTO AVVENIMENTO - III. IL MINISTERO DI CUI FACEVA PARTE IL CONTE DI CAVOUR, RITIENE LE SUE FUNZIONI FINO ALLA FORMAZIONE DI UN NUOVO GABINETTO - NUOVO MINISTERO - IL BARONE BETTINO RICASOLI É NOMINATO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO - ESPOSIZIONE DEL SUO PROGRAMMA POLITICO AL PARLAMENTO - IV. DIMOSTRAZIONI DI LUTTO IN TUTTE LE CITTÀ ITALIANI ALLA NOTIZIA DELLA MORTE DI CAVOUR - CERIMONIA FUNEBRE A QUESTO EFFETTO CELEBRATA IN PARIGI ALLA CHIESA DELLA MADDALENA - L'IMPERATOR NAPOLEONE FA PORRE IL BUSTO DI CAVOUR NELLE GALLERIE DI VERSAILLES - NOTA DEL MINISTRO DELL'ESTERO DI FRANCIA AL PROPOSITO DELLA QUESTIONE ROMANA - PRESENTAZIONE DELL'INDIRIZZO DEGLI ABITANTI DI ROMA A S. M. VITTORIO EMANUELE - RISPOSTA DEL RE ALLA DEPUTAZIONE INCARICATA DI PRESENTARGLI QUEST'INDIRIZZO.

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CAPITOLO X.

I.

Appresso il voto del plebiscito, che aveva annessi i diversi stati della Penisola al Piemonte per formarne il regno d'Italia, il gabinetto di Torino si travagliava senza riposo sulla difficile organizzazione amministrativa unitaria. In uno dei capi precedenti abbiamo presentato ai nostri lettori il progetto che il ministro dell'interno Minghetti aveva offerto alla camera dei deputati. Ma la commissione che doveva esaminare la legge da proporsi al parlamento su questa materia, dopo aver lungamente discusso, si dichiarò nell'impossibilità di formulare un rapporto nel corso della sessione legislativa. Oltreacciò la maggioranza di questa commissione non era di parere di stabilire in una maniera definitiva e generale la circoscrizione delle regioni come centri governativi, ed aveva manifestato il voto, che il prefetto stesse in modo assoluto sotto l'immediata dipendenza del ministro dell'interno.

Riconoscendo pertanto l'urgenza di una organizzazione amministrativa temporari a nelle provincie meridionali, come di qualche spediente di discentramento nelle altre provincie per agevolar l'andamento degli affari essa chiamò nel suo seno il ministro dell'interno per intendersi con esso lui sulle disposizioni transitorie da sottoporsi immediatamente alla camera.

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Questa decisione della commissione parve nel primo momento ferir la suscettibilità del ministro Minghetti a segno ch'ei dichiarò a' suoi colleghi non voler più oltre conservare il portafoglio atteso che non poteva egli dissimulare a se stesso nella sua delicatezza, che il rifiuto del suo progetto implicava contro di lai un voto di sfiducia personale. Intanto fu fatto comprendere al ministro ch'egli non poteva posare il suo sistema regionale come una questione di gabinetto, e cedere innanzi all'opposizione d'una debole parte della maggioranza ispirata da Giuseppe La farina, presidente della Società nazionale. Dietro queste osservazioni il ministro dell'interno si recò appresso la commissione, e senza pregiudicare in nulla le questioni di principio, che dovevano essere decise dal parlamento, si mostrò disposto ad entrare nelle vedute della maggioranza.

A quest'epoca il Conte di Cavour, presidente del consiglio, e ministro degli esteri sosteneva vigorosamente una questione di dignità nazionale contro i Consoli di Baviera, Wurtemberg, e di Mecklembourg, che si erano rifiutati dal ricevere alcuni dispacci dal gabinetto di Torino sotto il pretesto che quelli erano improntati nella sopraccarta col sigillo della legazione di S. M. il re d'Italia.

Dopo uno scambio di note diplomatiche, il governo di Vittorio Emanuele credette di dovere, con Decreto del 26 Maggio ritirar l'exequatur a questi consoli ed accompagnò questa misura con la nota seguente, indirizzata al conte Brassier de S. Simon:

Torino 29 maggio.

Signor Conte,

Il ministro del Re presso la Dieta germanica s'è trovato, or non è molto, nel caso di dover dirigere: per ordine del governo di S. M., alcune lettere rogatorie ed altri documenti giudiziarii, concernenti faccende private, ai signori ministri di Baviera, Wurtemberg e Mecklenburg accreditati a Francoforte, con preghiera di volervi dar corso nei loro Stati rispettivi.

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Gli inviati di quelle potenze rifiutarono di acconsentire alla dimanda del sig. conte di Barral e si affrettarono a rimandargli i documenti sovraccennati, allegando come cagione del loro rifiuto la circostanza che l'involto in cui erano chiusi, portava il suggello della Legazione di S. M. il Re d'Italia, titolo che è il solo possibile pei nostri rappresentanti all'estero, dacché fu loro prescritto da una legge sancita dai poteri costituzionali del loro paese.

Il signor ministro di Baviera non volle pure aprire la comunicazione che gli era diretta, e in cambio di esporne per lettera e in maniera cortese le cagioni, si ritenne a far dire dal suo segretario al ministro di S. M. com'egli non conoscesse veruna Legazione d'Italia a Francoforte.

Dal canto loro gli inviati di Wurtemberg e di Mecklenburg, dando pur tuttavia una forma più dicevole alla loro risposta negativa, non addussero pretesti diversi da quelli del loro collega di Baviera. quest'atto cui la natura medesima della comunicazione che ne era l'oggetto, non avrebbe in alcun modo consentito di prevedere, ebbe necessariamente a recarci una giusta e penosa meraviglia.

Il governo del Re, - voi ne siete informato signor conte - si è severamente astenuto dal fare presso le potenze tedesche alcun passo che accennasse invitarle a riconoscere il Regno d'Italia. Tanto meno egli vorrebbe provare di ottenerne il riconoscimento d'un modo surrettizio.

Mettendo un gran pregio alla loro amicizia, confidando nel tempo stesso nella loro lealtà, nella loro saviezza, dichiarò anzi com'ei lo lasciasse pienamente arbitre del momento in cui esse divisassero poter riconoscere il nuove titolo del Re, e riconoscerlo in quella sola guisa che potesse convenire alla loro dignità ed alla nostra, cioè apertamente ed ufficialmente.

Questa via di deferenza e di riserbo noi l'avevamo tenuta ed eravamo disposti a tenerla ancora, sopra a tutto verso i governi di cui si tratta e segnatamente verso la Baviera, per testimoniar loro il conto che noi facevamo, sia delle circostanze della loro politica sia de' loro vincoli di parentado.

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Ma se non pretendiamo in guisa alcuna di impor loro una deliberazione qualsiasi, non sapremmo patir tuttavia ch'essi rispondano al nostro riserbo con diportamenti in cui si cercherebbe indarno il rispetto delle convenienze.

Questi modi; d'altronde, son tanto meno giustificabili in quanto che l'Austria medesima, la quale aveva non solo ricisamente significato di non riconoscer punto il nuovo Regno, ma formalmente protestato contro tutti i mutamenti occorsi in Italia dopo la pace di Villafranca, tuttavia nell'intento di non turbare le relazioni individuali e commerciali tra i due paesi, avea preso l'iniziativa di permettere ai suoi agenti di segnare i passaporti e altri documenti usciti dalle nostre cancellerie, ancorchè portassero l'intitolazione di Re d'Italia.

Non potendo per conseguenza rimanerci muti innanzi ad atti offensivi che costituiscono evidentemente un insulto alla dignità della corona, il Re, mio augusto sovrano, ha tolto la risoluzione di ritirare l'exequatur ai signori agenti consolari di Baviera, Wurtenberg è Mecklenburg in Italia.

Io penso di dover recare questa decisione a conoscenza di Vostra Eccellenza, poiché dalle informazioni che in altre circostanze Ella ha pur voluto darmi risulterebbe che Vostra Eccellenza fu autorizzata ad incaricarsi della protezione officiosa dei sudditi delle potenze che formano parte della Confederazione germanica, quando per una ragione qualsiasi, elleno rimanessero senza agente diplomatico o consolare in Italia.

Pregandovi, signor conte, di voler informare il vostro governo amo nutrir la fiducia che il Gabinetto di Berlino saprà giudicare convenevolmente la condotta degli Stati che ho indicati, e la misura che i loro diportamenti ri costrinsero a prendere.

Ho l'onore di rinnovare a V. E. ecc.

CAVOUR.

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Frattanto il tempo passava frammezzo a queste difficoltà inerenti alla costituzione d'nuovo regno, e il giorno della festa nazionale proposta governo, e votata parlamento e Senato, arrivava. Seguendo le tradizioni delle solennità di questo genere, si sperava che il clero vi concorrerebbe con l'opera sua; ma gran numero di vescovi avendo espressa opinione contraria, la corte romana ne fu da loro consultata, ed ecco, secondo il giornale l'Armonia, la risposta della Santa Sede e la lettera che l'aveva provocata:

«Beatissimo Padre,

» Da diversi Pastori di anime esistenti nelle provincie del regno Sardo è stato proposto il seguente dubbio sopra di cui per norma delle coscienze chiedono l'oracolo della S. Sede; se cioè sia lecito al Clero delle stesse Provincie prender parte alla festa recentemente decretata per celebrare nella prima domenica di giugno l'unità italiana e lo Statuto esteso alle provincie governo Sardo.

Sacra Poenitentiaria, mature considerato proposito dubio, respondet. NEGATIVE.

Datum Romae in S. Poenitentiaria, die 18 maii 1861.

A. M. Card. CACIANO M. P.

L. PEIRANO S. P. secr.

Avuta notizia di questa risoluzione, il capo del gabinetto italiano pubblicò l'avviso seguente nella Gazzetta Ufficiale del Regno.

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19 maggio

Quando il Governo propose al Parlamento la istituzione di una nuova Festa nazionale per celebrare la Unità d'Italia e lo Statuto del Regno, esso intese di dare a questa Festa carattere essenzialmente civile, togliendone ogni obbligo di religiosa funzione. Non già che il Governo volesse respingere il concorso del Clero da questa popolare solennità; ma reputava che tale concorso dovesse essere effetto di spontanea deliberazione. Le istruzioni date Governo ai Sindaci furono dettate in questo senso.

Ora non pochi Vescovi credettero di esprimere anticipatamente la loro opinione contraria, imponendo ai proprii subordinati di rifiutare l'invito. Con ciò naturalmente non è più il caso per le Autorità municipali di quei luoghi di rivolgersi a chi già notoriamente è stato messo nell'impossibilità di aderirvi.

Il Clero legalmente è nel suo diritto, ed al Governo spetta la difesa di tutti i diritti. Però confida che il popolo italiano mostrerà anche questa volta di saper esercitare degnamente le libertà.

Ciò nonostante in molti luoghi l'autorità ecclesiastica si fu associata alla festa, come si vedrà racconto che faremo della sua celebrazione in alcune delle prime città d'Italia.

A Torino, fin dalle prime ore del mattino che si presentò ridente, la città era in movimento; immensa folla occupava la vasta piazza d'Armi, ove dovevansi benedire e dispensare alle truppe i nuovi vessilli.

Alle 5 1/2 ant. il ministro della guerra, per cui mano doveva aver luogo la dispensa degli stessi, entrava nel campo di Marte accompagnato suo stato maggiore.

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Su di altare appositamente cretto fu celebrata la Messa fra il suono delle musiche militari e quindi sulle bandiere spiegate il sacerdote impetrava la celeste benedizione.

Di già S. M. Vittorio Emanuele aveva indirizzato

al l'esercito in occasione della distribuzione

delle nuove bandiere quest'ordine del giorno

Ufficiali, Sott'Ufficiali e Soldati!

Volgono ora tredici anni che il mio Augusto Genitore, varcando il Ticino per combattere la guerra della patria indipendenza, vi consegnava la bandiera tricolore colla Croce di Savoja, pronunciando le fatidiche parole: destini d'Italia si maturano.

Con quella bandiera voi rispondeste all'augurio con brillanti vittorie arrestate per momento da contraria fortuna:

Ma la forza delle virtù e la costanza nei propositi la fecero sventolare nuovamente gloriosa in lontane regioni accanto alle insegne dei più potenti eserciti d'Europa.

Poscia ricalcando i campi lombardi, memori ancora di Goito e di Pastrengo, voi coglieste splendidi allori insieme alle illustri Aquile Francesi.

Nuova luce di gloria rifulse allora sulla intiera Penisola, ed i Popoli d'Italia stringendosi con voi intorno al vessillo dell'Indipendenza Nazionale, compierono opere e fatti che i più tardi nepoti ricorderanno con riconoscenza ed amore.

Oggi i destini d'Italia sono maturi.

Soldati!

A voi consegno le nuove bandiere in nome dell'Italia redenta.

Sulle loro freccio sono scolpiti i nomi delle combattute battaglie.

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Alle vostre virtù affido questi segni di lealtà e di onore, in cui lo scudo della Mia Famiglia glorioso per otto secoli di valore, è innestato al simbolo del Nazionale riscatto.

Compita la cerimonia, ogni uffiziale portabandiera consegnò la sua al generale ministro, il quale successivamente la passò ai colonnelli di ogni reggimento. Poco dopo l'aria echeggiò del giuramento dei soldati e della fanteria reale. I colonnelli nel trasmettere il vessillo ai singoli uffiziali, pronunciarono parole di circostanza.

Il gen. Fanti vide quindi sfilare innanzi a sé la truppa della guarnigione, nonché il bel reggimento Guide ed il primo reggimento zappatori del Genio, fatti a bella posta venire, il primo da Pinerolo, l'altro da Casale.

Alle 10 precise la torre del palazzo Madama annunciava che il Re muoveva dalla sua residenza, e tuonarono le artiglierie.

Era accompagnato da numeroso, ricco e brillante stato maggioro, quale si addice al primo Re d'Italia. La bardatura del suo cavallo era quella che ad esso venne offerta in dono dalle donne bolognesi. Percorse tra le grida di Viva il Re d'Italia i lunghi tratti di via ove stavano schierate la guardia nazionale e le truppe e quindi fermatosi in piazza Castello assisté allo sfilare delle stesse fra lo sparo dello artiglierie ed il suono della musica.

Prima fu la guardia nazionale in numero di ottomila, di cui la prima legione era comandata da S. A. R. il principe Umberto suo colonnello; poi i Reali Carabinieri, quindi il reggimento dei Zappatori poi gli allievi della scuola militare successivamente i bersaglieri di guarnigione, al passo di corsa; indi il 46 ed il 66 di linea; in seguito sci batterie di artiglieria ed infine i reggimenti di cavalleria lancieri Vittorio Emanuele, gli usseri Piacenza e le Guide.

Mano mano che sfilavano i soldati gridavano: Viva il Re. La rassegna terminò al mezzogiorno. Alla qual ora si apersero i viali del regio giardino per la fiera di beneficenza.

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Spettacolo veramente bello! Al rezzo di quei viali stanno

La immensa folla di gente che convenne a codesto ritrovo era rallegrata da parecchie bando militari collocato qua e cola nel giardino. In fondo ad viale stava il caffè. Sebbene il sole fosse cocente al di fuori, pure in luogo delizioso si stava bene, oltre che per gli alberi fronzuti anche per le molte bandiera ed orifiamme che gli impedivano di penetrarvi.

Fuori del viale espressamente destinato alle graziose venditrici, eranvene altri dei pubblici divertimenti, che consistevano nella giostra e in giuochi di ginnastica.

Alla sera vi fu pubblica luminaria. Brillavano in ispecial modo lo scalo della strada ferrata dello Stato e quello di Novara, il palazzo Municipale, quelli del Senato e della Camera dei deputati, l'arsenale. Moltissime case private illuminarono. Nello piazze eranvi bande musicali. Una folla immensa percorreva le vie principali sino ad ora tarda.

Così terminava questo giorno di festa nazionale, che la pioggia minacciò per istante, dopo te corso, di turbare. In mezzo a tanta moltitudine esultante si ebbe ad ammirare l'ordine più esemplare.

Il 3 Giugno fu il secondo giorno dedicato alla celebrazione della festa nazionale.

Alle ore 10 antimeridiane, nella corte del Seminario, elegantemente addobbata, vi fu la solenne distribuzione dei premii agli operai allievi delle scuole serali.

Vi assisteva il sig. ministro dell'istruzione pubblica. La cerimonia fu aperta da patriottico discorso di circostanza, pronunciato teologo cav. Pietro Baricco. Gl'intermezzi erano alternati dalla musica della guardia nazionale e da altra distinta orchestra che accompagnò parecchi canti eseguiti da coro di 150 alunni, appartenenti alla scuola municipale diretta maestro L. D. De Macchi.

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Fra i pezzi di canto vi fu inno a Vittorio Emanuele Re d'Italia, del cav. Mercadante, l'antico inno nazionale dei Sardi e la Giornata dell'operaio, divisa in tre parti: il Mattino, il Mezzogiorno e la Sera, del predetto maestro De Macchi.

Parecchi dilettanti prestarono la loro cooperazione per le voci di tenore e di basso. Immenso fu il concorso, abbellito dalla presenza di molte gentili signore.

Alle 12 si apersero i viali del regio giardino per la fiera di beneficenza, collo stesso concorso di gente.

Alle 6 vi fu in gara dei birocciai a cui assisté S. M. il Re e tutta la regal famiglia salutati da fragorosi ed entusiastici evviva tanto alla venuta come alla partenza.

Sull'imbrunire cominciò la illuminazione delle circostanti colline del viale lungo il Po che offersero magnifico spettacolo specialmente la chiesa della Gran Madre di Dio e il convento dei Cappuccini, nonché il viale anzidetto che presentava l'aspetto di magnifico giardino d'inverno.

Mercé l'opera del sig. Godard che piazzale di S. Massimo innalzò quaranta circa palloncini a gaz che infiammandosi scoppiarono ad una determinata altezza, e mercé la valentia dei piroteenici sigg. Ardenti e Bordino, i quali Poligono, Monte, e fianco della strada della Regina accesero svariati fuochi artificiali, taluni dei quali imitavano il fragoroso tuonar del cannone, la popolazione affollata in piazza Vittorio Emanuele e lungo i viali che fiancheggiano il Po, si ebbe uno spettacolo veramente degno della circostanza che si volle festeggiare.

Tutto il giorno divise pel suo splendore il giubilo della città, e sebbene in sulla sera leggero soffio di vento minacciasse d'impedire il bello effetto della luminaria, pure fu così gentile da cessare d'tratto.

Parecchio musiche militari intervennero a render più gaio il ritrovo.

La folla continuò fino ad ora tardissima ed anche in oggi tutto progredisce regolarmente, come si addice ad popolo avverso al regime liberale.

In Napoli il popolo solennizzò con ordine,

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con conte

Alle 9 del mattino in sulla piazza del regio palazzo furono benedette le bandiere de nuovi reggimenti italiani. Le milizie spiegate con bell'ordine ripeterono il loro giuramento al Re d'Italia e poscia sfilarono dinanzi al generale Durando. Il popolo accorso non si saziava di ammirare il nobile contegno, e la marziale fierezza del prode esercito italiano.

Parecchi Napoletani distinguevansi nelle file di que' battaglioni; e pur nel loro volto si leggea la gioia.

A festeggiare il giorno solenne, il Luogotenente del re, i segretarii generali, il municipio napoletano, i generali della Guardia Nazionale, parecchi deputati e notabili signore in toelette elegantissime si riunirono nel tempio di S. Lorenzo. E quella la chiesa nazionale, chiesa che ricorda i varii fasti della storia napoletana e la prima scintilla che accese l'ingegno di Giovanni Boccaccio.

Era opera del Mercadante la musica che accompagnava la messa solenne, di Mercadante che è l'onore della Melpomene italiana. Poche ed acconce parole disse il sacerdote Maione, indi l'inno ambrosiano echeggiò per le volte del tempio.

Poscia il Luogotenente del re, seguito da' generali della Guardia Nazionale e dell'esercito, passò a rassegna nella Piazza delle Pigne i 12 battaglioni della Guardia Nazionale di Napoli. Fu accolto grido concorde di viva il Re, viva l'Italia. Ed il Luogotenente del re rivolse al generale Tupputi debite parole di encomio della bella Guardia Nazionale napoletana.

Il giorno verso le 5 il popolo accalcavasi per le piazzo destinate alla lotteria, e ben 800 premii venivano sorteggiati; e poscia diffondeasi numeroso e tranquillo per la via di Toledo.

Splendidamente illuminati erano i frontespizi de' pubblici palazzi; e quando sulla prima ora della sera ad tratto la gran piazza del regio palazzo e quella del Mercatello venne da mille e ben disposte fiaccole rischiarata, proruppe da quella immensa folla grido universale ad alto, viva l'Italia.

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Ma il fiore della cittadinanza napoletana era raccolto la sera nel teatro di San Carlo. Terminata l'ultima nota del Barbiere di Siviglia, il sipario si alzò e venne eseguito l'Inno a Vittorio Emanuele, al re d'Italia.

L'inaugurazione della ferrovia dell'Adriatico fu uno degli episodii della festa. Essa ebbe luogo alle 4 pom. sul terreno destinato alla costruzione della stazione generale su cui si era disposto modesto padiglione con bandiere nazionali pel ricevimento dei Luogotenenti e degl'inviati.

La compagnia Talabot e comp. era rappresentata Sig. Augusto Craven e dagli ingegneri signori Hemeri e Amiot. Questo ultimo al momento della cerimonia del collocamento della prima pietra pronunciò alcune parole in francese dichiaranti che la inaugurazione delle ferrovie dell'Italia Meridionale, nel giorno della festa nazionale era argomento della confidenza che si ha sul prospero avvenire.

Che la ferrovia dell'Adriatico, col diffondere nello nostre provincie le ricchezze del commercio e coll'attivare le industrie, ne renderà ricche e prospere le sorti avvenire.

Il Luogotenente sig. di S. Martino rispose che le condizioni di queste provincie meridionali,

inferiori per progresso pubblico

al resto d'Italia sono causa di rammarico, al governo non solo, ma alle stesse provincie sorelle. ch'egli avendo a cuore unicamente gl'interessi napoletani farebbe ogni opera per rimediare ai mali presenti.

Che senza dubbio mercé le ferrovie e gli altri benefizii della libertà le provincie meridionali tra breve non solo uguaglieranno, ma sorpasseranno ancora in civiltà il resto d'Italia.

Dopo che il Luogotenente ebbe collocata la pietra, il general Tupputi emise con giovanile ardore il grido patriottico di Viva il Re d'Italia, a cui i circostanti e la guardia nazionale fecero eco di gran cuore, chiudendo in tal guisa la interessante cerimonia.

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COMANDO GENERALE

DELLA GUARDIA NAZIONALE

Ieri la prima festa nazionale Italiana riuscì splendidissima.

Questo buon popolo napoletano, come per ismentire le invereconde accuso de' suoi nemici che sono pure i nemici d'Italia, festeggiò con ordine, con una tranquillità ammirevole, il primo giorno in cui fu dato a 22 milioni d'Italiani di solennizzare la loro unione in regno solo. L'Italia è nel consenso universale de' suoi figli.

La bella Guardia Nazionale con quella solerzia, con zelo, in cui si può sicuramente confidare, concorse alla conservazione della pubblica tranquillità; e ieri, come sempre, nuovi titoli acquistò alla lode del nostro magnanimo re e della nazione. Sua Eccellenza il Luogotenente del Re Conte Ponza di San Martino nel passarvi a rassegna nella gran piazza delle Pigne, ammirò ed encomiò non poco il contegno militare e le splendide vostre divise. La Guardia Nazionale è l'onore della cittadinanza napolitana.

Maggiori, Uffiziali, Sott'uffiziali e militi della Guardia Nazionale di Napoli, io sono soddisfattissimo di voi; ieri vi prestaste volonterosi ad servizio penoso, e dimostraste così quanto la patria nostra in ogni occasione si possa ripromettere da voi.

Né meno contento io sono della brillante Guardia a cavallo, che riscuote la comune ammirazione. Possiamo dire con orgoglio l'Italia è! La giornata di ieri rinnovò il gran patto che riunì in regno solo 22 milioni d'Italiani, arra e promessa del riscatto compiuto di tutta la generosa Penisola.

Il Luogotenente generale

Marchese O. TUPPUTl

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Ragguagli giunti dalle provincie recano che a Cosenza, Salerno, Caserta, Lecce, Teramo, Potenza, Chieti, Foggia, Aquila Campobasso, Avellino, Taranto, Sanseverino, Isernia, Amantea, Lagonegro, Vasto, Campagna, Sala, Lucera, Trani, Brindisi, Castrovillari, Monteleone ed Eboli la festa è parimenti seguita con zelo religioso,

esultanza ed ordine perfetto

.

In Genova nel giorno della festa nazionale, alle ore 11 antimeridiane si radunava sulla spianata dell'Acquasola con tutte le autorità civili e militari, e coi corpi insegnanti una numerosissima folla di cittadini per assistere alla Messa militare ed alla Benedizione delle Bandiere che per cura del nostro Municipio, si solennizzava in quell'amena località. altare a cui facevano ala numerosi trofei di bandiere nazionali portanti le armi delle principali città italiane era stato disposto inferiormente al bastione della Villetta Di Negro, e prendevano posto ai due lati di esso le Autorità e la Magistratura, mentre una popolazione numerosa che potevasi far ascendere a 20 mila persone ne coronava le adiacenze.

Dopo la messa si avanzarono gli ufficiali portabandiera del 3. e del 4 reggimento (brigata Piemonte) con le nuove bandiere che furono benedette sacerdote celebrante. A mezzo giorno sfilavano dinanzi il signor vice-Governatore Commendatore Magenta, accanto al quale si tenevano il signor Comandante Generale della divisione territoriale, il Sindaco Marchese Gavotti, ed il Comandante Generale della Guardia Nazionale, le tre legioni della guardia medesima, e dopo di esse gli alunni del Collegio Nazionale vestiti militarmente ed armati di carabina.

Dopo di questi erano pure passati in rassegna i due reggimenti cui erano state consegnate le bandiere benedette e che aveano prestato il giuramento dopo una breve e bella allocuzione del Comandante Generale della Divisione marchese Bovi, e per ultimi i battaglioni di depositi stanziati in questa città non che battaglione d'artiglieria e il primo reggimento fanteria di marina.

Ecco le parole del sig. Luogotenente Generale conte di Bovi comandante la Divisione militare di Genova:

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Ufficiali sott'ufficiali e soldati

della Brigata Piemonte

In questo giorno così mai sacro alla Nazione Italiana, vado superbo dell'onore di consegnarvi le nuove bandiere simbolo di fede e di gloria al Re ed alla Patria.

Benedette Dio degli eserciti, e delle vittorie, rafforzate dalla religione del vostro giuramento, sventolando tra di voi avide di maggiori trionfi ripeteranno le gesta di Calmasino, e di Novara pegno indelebile di tante gloriose tradizioni all'esercito nostro.

Emule generose del valore di tutta P armata sarà all'ombra di esse che a prezzo del più duro cimento l'augusta Croce di Savoia apparirà astro di compiuta vittoria.

Giurate adunque ai nuovi stendardi l'antica fede, ed accolgano securi il Re e la Patria le vostre promesse già suggellate dalla vita e sangue di tanti prodi!!

W il Re W la Patria W lo Statuto!

Finita all'una dopo mezzogiorno la commovente solennità eh' era stata favorita da tempo né sereno né piovoso ma piacevolmente ombreggiato, la guardia nazionale e i corpi militari si ridussero rispettivamente ai luoghi di scioglimento ed ai quartieri e la folla si disperse allegramente non senza avere applaudito ai Corpi delle varie armi, alle bandiere benedette, al Re ed allo Statuto.

Non ostante il vento e il tempo piovigginoso la illuminazione riuscì molto splendida. Le strade e le piazze erano percorse da gran numero di persone che si compiacevano di concorrere colla loro presenza a rendere omaggio alla solennità che si compiva. La festa si chiudeva nel ballo notturno con maschere che aveva luogo nel teatro Carlo Felice e che si protraeva sino a questa mattina.

Da tutte le parti del regno giungono a Torino notizie della festa, celebrata dappertutto col massimo entusiasmo e nel più perfetto ordine.

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In Palermo, la solennità ebbe luogo con ordine e tranquillità. Tedeum alla cattedrale coll'arcivescovo e cappella reale. Distribuzione delle bandiere alla truppa con rivista. Guardia nazionale e truppa schierate. Collocata la prima pietra alla stazione della ferrovia in Palermo con solennità o benedizione dell'arcivescovo.

In Milano la festa nazionale ebbe luogo col massimo ordine e col massimo entusiasmo.

In Bologna grande parata ai prati Caprara. Guardia nazionale numerosissima. Consegna delle bandiere alle truppe plaudite con immenso entusiasmo. Fuochi artificiali la sera. Il Municipio ha distribuito larghe beneficenze.

Firenze. Benedizione delle bandiere e consegna a Piemonte reale compiuta a mezzodì con rassegna in bellissimo ordine della guardia nazionale toscana e napolitana e della truppa. Tedeum con intervento di tutto le autorità sul gran prato Cascine fra concorso immenso di popolazione. Ordine del giorno di S. M. letto Generale fra le acclamazioni unanimi della truppa e del popolo. Il tempo ha favorito l'imponente cerimonia.

Perugia. Festa nazionale in tutta Umbria splendidissima. Entusiasmo e gioia non mai visti, ordine il più perfetto e dignitoso. Nessun conflitto col Clero.

Notizie uguali da Orvieto, Foligno, Terni, Spoleto, Rieti, Gubbio.

Illuminazione splendidissima. Luoghi di beneficenza inaugurati. Festa dovunque degna di popolo civile.

Ancona. Festa nazionale con benedizione delle bandiere, messa e Tedeum in padiglione sul campo di Marte, splendidissima. Concorso di popolo immenso ed entusiasmo. Rivista della Guardia Nazionale e delle truppe e loro sfilamento dinanzi alle Autorità. La sera regata in mare, grande illuminazione interna ed esterna della città, con fuochi artificiali. Le autorità e il fiore della popolazione a bordo della fregata Costituzione.

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Anche a Loreto festa brillantissima in perfetto ordine; Funzione religiosa, sussidii caritativi. Entusiasmo.

Roma e Venezia altresì vollero dar segno di vita italiana, associandosi alla festa nazionale. Fuochi di bengala tricolore furono accesi in Roma su differenti punti della città. La gioventù liberale non aveva aspettato il 2 Giugno per manifestare i suoi patriottici sentimenti. La società filarmonica era stata disciolta a cagion delle dimostrazioni liberali nella primavera; e perché fu detto pubblico, che i membri della società filodrammatica erano d'opinion differente, questi si risolvettero a dare una pubblica smentita a simili voci. Il 25 Maggio aveva luogo una rappresentazione nel palazzo Braschi, alla quale assisteva, o piuttosto presiedeva il cardinale Altieri, protettore della medesima società. Verso la metà del primo atto del dramma che si rappresentava, la sala dello spettacolo fu di repente ingombra da una moltitudine di rondini, dalle cui ali sventolavano fettucce di colori nazionali, e che si dispersero svolazzando per tutto il vano dell'aula. Alla vista di questi uccelli, che attraevano gli altrui sguardi da tutte le parti, e che furono da gran parte degli spettatori salutati con forti grida di Viva l'Italia, Viva Vittorio Emanuele, il tumulto fu tale, che il Cardinale Altieri, e quanto altro v'era d'autorità pontificia, si levarono in piedi, e comandarono, che fosse sgombrata la sala. Durante questo disordine, le balaustrate, e le mura furono tutte cosparse di croci di Savoia, di cartelle, e il suolo di mazzi di fiori rossi e verdi. Al semplice invito dei pompieri di servizio, il pubblico si ritirò, lasciando per le scale, e per gli anditi altre croci e nastri di colore italiano.

Il giornale di Roma nel suo N. 28 Maggio, rese conto di questa dimostrazione in tali parole:

Usi, come siamo, a leggere tuttodì ne' giornali della rivoluzione, racconti o falsi o esagerati intorno a quanto accade in questa capitale, crediamo d'antivenire, quantunque a nostro malgrado, le maligne versioni di quelli, circa a avvenimento, verificatosi la sera del 25 nel palazzo Rraschi, durante esercizio drammatico eseguito dalla Società Filodrammatica Romana.


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In quella sera gruppo di otto a dieci giovinastri, abusando della cortesia di invito o fatti baldi dall'indole privata del convegno, in sul terminare del primo atto, fondo della sala in cui s'erano ristretti, sprigionarono alcune rondini con al collo nastri tricolori, rompendo in pari tempo in clamori, frammisti a grida o inopportune o sediziose.

Sua Eminenza R.ma il signor Cardinale de Principi Altieri Protettore dell'Accademia, il quale circondato da uno sceltissimo numero di persone assisteva alla rappresentanza, sperando in sulle prime fosse per cessare il mal talento di quegli sconsigliati, vi oppose, in una alla quasi totalità dell'adunanza, contegno indifferente. Ma que' giovinastri prendendo da ciò argomento a raddoppiare la loro sfrenatezza, l'Emo Protettore credè della propria dignità ritirarsi dalla sala, invitando a seguirlo i distinti personaggi intervenuti, tra cui erano eziandio parecchi stranieri, sospendendosi immediatamente la rappresentazione.

La sala fu immediatamente evacuata dagli accorsi, e primi fra tutti s'affrettarono ad abbandonarla gli autori stessi del disordine, i quali usarono la precauzione di gittare a terra nel sortirne, alquante coccarde, nastri e mazzolini tricolori, non che varie copie d'uno scritto sedizioso, cose tutte che furono spazzate e raccolte dagl'inservienti. Anche per la scala furono trovati affissi alcuni stemmi del Piemonte che vennero nel momento staccati dai Vigili che guarnivano, come di costume, quei locali.

Tali sono le vere ed esatte dimensioni di quesla invereconda puerilità.

A Venezia, seguendo varie corrispondenze, la festa dello Statuto non passò in silenzio. Si leggeva nella Perseveranza la seguente lettera.

Venezia, 3 giugno, alla Perseveranza:

Venezia ha festeggiato la giornata d'ieri colle solite dimostrazioni: e gli Austriaci la segnalarono aumentando la loro vigilanza. Come fu suggerito Comitato centrale Veneto,

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molte beneficenze furono fatte, e principalmente a quelle famiglie di mise

Gli Austriaci poi raddoppiarono le pattuglie, consegnarono in caserma le truppe, arrestarono o perquisirono per istrada la gente. Oltre i molti arrestati del popolo, lo furono anche il signor Carri e il signor Casagranda.

II.

Sic vobis non vobis nidificatis aves!

Questa frase della Storia d'Italia che siam per narrare di presente, contiene fatto, ché giudicato dalla filosofia della storia darà luogo a ben grandi e profonde riflessioni.

Appena gli ultimi rumori della festa dello Statuto italiano si furono acquetati con gli ultimi fuochi delle illuminazioni, s'udì risuonare grido lugubre, grido che portò lo spavento e la costernazione in tutti i cuori italiani. Il Conte di Cavour muore! Il conte di Cavour... è morto! Il Come già disse, centocinquantaa anni or sono grand'orator sacro nel panegirico d'una principessa di Francia.

Il Sig. Conte Camillo Benso di Cavour che agonizzava mentre l'Italia andava effettuando la sua indipendenza, spirò il 7 Giugno, a 7 ore del mattino senz'aver potuto godere gli effetti di questa rigenerazione della sua Patria, scopo di tutti i sogni della sua vita.

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Perciò abbiam noi posto il racconto di questo avvenimento sotto verso di Virgilio: Sic vos non vobis nidifìcatis aves! perché so il grand'uomo di stato aveva faticato con ardore o perseveranza a questa grand'opera, egli non ne dovea godere personalmente, come Giuseppe Garibaldi, il gran patriota, che aveva veduto rapire a Nizza, sua terra natale, il titolo di città italiana collo stesso voto di annessione che andava costituendo l'Italia! Gran documento della Provvidenza, per il quale ci è mostrato come son piccoli anche i più grandi uomini in faccia a quo grandi esseri morali che si chiamano popoli e nazioni!

Fin dai primi giorni di Giugno la salute del conte di Cavour s'era alterata a segno che la notte del 2 essendo stato fortemente agitato, fu il dottor Maffoni chiamato a consulto Dottor Rossi medico ordinario della famiglia. sesto salasso fu praticato sull'illustre infermo, che si sentì più calmo. Intanto nella notte del 5 al 6 cadde nel delirio della febbre, e fece chiedere il Padre Giacomo, curato della parrocchia di Santa Maria degli Angeli, ch'egli onorava di una particolare amicizia. Si narra che questo curato essendosi condotto a Roma alcune settimane innanzi per suoi particolari affari, il conte di Cavour gli ebbe detto:

«Se voi avete occasione di parlare col Papa, domandate a Lui di qual maniera dovreste regolarvi nel caso che io vostro parrocchiano pervenissi in di morte».

Si aggiunge che essendo stata indirizzata questa domanda al Santo Padre, questi rispondesse:

«Se viene richiesta la vostra assistenza, voi non dovete ricusarvi.»

Tornato il curato a Torino, trasmise questa risposta all'onorevole Conte, il quale ne rimase pienamente soddisfatto.

Si dovrà a questa circostanza che l'opera del ministro della Religione si compié senza indugio né difficoltà? Non possiamo dirlo: ma il fatto è che gli ultimi sacramenti furono amministrati all'infermo R. P. Giacomo nel giorno 6 Giugno, che fu segnato di alcuni momenti di calma, se non che verso la notte più forte delirio cominciò a travagliarlo, e in quegli accessi furono udite queste parole.

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I Napolitani! Ma essi sono dotati di una

Finalmente verso le 7 ore del mattino il gran ministro rendeva il suo spirito a Dio, ucciso il corpo da una malattia, che la scienza aveva qualificata per infiammazione da principio, poi febbre periodica, indi perniciosa, e finalmente encefalite, e di gotta. Ai Medici Maffoni e Rossi s'aggiunse per desiderio del re Vittorio Emanuele il Dottore Riberi, poscia il Couneau medico particolare di S. M. l'imperatore Napoleone III, che l'aveva di tutta fretta spedito a Torino.

Nella giornata del 5 Giugno il re si era portato a visitare il conte di Cavour, che l'avea riconosciuto, e con cui egli conversò effettivamente. Il principe di Carignano e il Cav. Farini rimasero appo il malato fino al suo ultimo sospiro. Una ben numerosa folla s'accalcava dinanzi all'abitazione e per le strade adiacenti, aspettando nuove continuamente della saluto del ministro con una inenarrabile ansietà. Spirato che fu, una costernazione profonda e generale s'impadronì della moltitudine, che più e più si veniva affollando crescendo colla speranza di poter penetrare nella cappella illuminata, ch'era stata acconcia nel salone del suo palazzo.

Il giorno appresso del funesto avvenimento la Gazzetta di Torino s'esprimeva in questi termini:

TORINO 7 giugno.

Malgrado la dolorosissima impressione che ce ne aspettavamo, ieri sera non fu in poter nostro resistere alla tentazione di vedere e riverire anche una volta i resti mortali dell'illustre uomo di Stato che con immensa sciagura ci fu or ora rapito tanto precocemente e così inaspettatamente.

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Ci trovammo dinanzi alla salma di chi seppe volere e rappresentare così maestosamente la rigenerazione dell'Italia. La prima nostra impressione fu come di religiosa paura e di affannoso stringimento al cuore. Lo sguardo impedito dalle lacrime quasi falliva al suo ufficio. Tutto intorno i muri coperti di drapperie nere con traccie d'oro; dieci, o dodici ceri ardenti con appeso lo stemma comitale della famiglia Benso di Cavour e quasi nel centro della stanza il piccolo letto in ferro con padiglione di seta cilestre nel quale il cadavere era disposto in atto di uomo che riposa, e la fisionomia dell'illustre estinto era composta ad una calma quasi serena benché la morte vi avesse già profondamente impresse le sue traccie; le mani avea ricoperte di guanti e congiunte sopra crocifisso. Nel ravvisare quei lineamenti, che non ha guari vedevamo animati più potante spiro, che Dio avesse conceduto a questa povera Italia, per compiere la gloriosa opera del suo risorgimento, nel ravvisare quei lineamenti, ora fatti inerti gelo della morte, né noi né quanti altri erano in luogo di desolazione, si poteva frenare le lacrime.

Una folla di popolo si accalcava questa mane sulla via, per poter dare l'estremo sguardo alle sembianze di quest'uomo tanto amato.

Il tutto era sui volti nel mesto contegno di tutti.

All'uscire del convoglio palazzo tuonerà il cannone, e lo sparo non cesserà che all'entrare della salma nella chiesa.

Il corpo diplomatico entrerà in chiesa prima del convoglio funebre.

I commercianti, preceduti dalla loro bandiera coperta dalla gramaglia, interverranno ai funerali coi segnali di tutto al braccio.

Nel suo testamento dell'8 Novembre 1857 il conte di Cavour ha legato la somma di L. 50 mila alla città di Torino per la fondazione di asilo infantile nella sezione di Porta Nuova.

La tassa per diritto di successione di tal legato è posta a carico dell'erede universale.

Le decorazioni e doni dell'imperatore di Francia al conte di Cavour sono legati alla contessa Alfieri di Magliano.

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Oltre le deliberazioni prese ieri dalla Giunta municipale in occasione della morte del conte di Cavour, sappiamo oggi che in massima ha pur deciso di prendere l'iniziativa di una sottoscrizione per innalzare in questa città monumento al grande Concittadino.

Alle 6 1/4 precise del giorno 8, la salma discendeva le scale del palazzo e fra mesto silenzio dei numerosissimi astanti e il battere scordato dei tamburi, coperti di panno nero, veniva collocata sul carro funebre.

Il convoglio funebre procedette nell'ordine seguente:

Truppe della guarnigione;

drappello di 100 marinai;

drappello del reggimento fanteria di marina;

Due legioni di guardia nazionale;

Tutta l'ufficialità senza truppa;

Della guarnigione, della marina, della guardia nazionale e dell'esercito dei volontarii italiani;

Le figlie dell'Istituto della Sacra famiglia Borgo S. Donato;

La Compagnia di Donne della parrocchia della B. V. degli Angeli.

La Compagnia della Basilica di S. Croce;

Parecchie signore vestite a tutto con velo nero in capo;

Tre diverse corporazioni di frati;

Il carro funebre formato ila una magnifica carrozza di corte, e da sci cavalli bardati di nero;

I lembi del panno mortuario erano sostenuti generale Fanti, ministro della guerra, ministro guardasigilli, comm. Cassinis, presidente della Camera dei deputati, vice presidente del Senato, S. E. il conte Sclopis, e dai due cavalieri dell'ordine supremo della SS. Annunziata generale d'armata cav. De Sonnaz e conte Grotti.

Seguiva l'araldo portante sopra cuscino il collare supremo del defunto.

Altri cavalieri dell'Ordine dell'Annunziata,

Aiutanti di campo di S. M. il Re e dei RR. Principi;

I ministri;

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I grandi ufficiali dello Stato;

I senatori ed i deputati;

Il consiglio di Stato; La Corte dei Conti; La Corte d'appello;

Il municipio di Torino, e deputazioni del municipio di Alessandria e di altre città;

Gli impiegati del ministero degli esteri seguivano il convoglio a destra in una sola riga;

A sinistra quelli del ministero di marina;

Gli impiegati di tutti i ministeri;

Il corpo universatario e gli studenti;

Il rabbino maggiore e il consiglio israelitico di Torino;

I direttori e redattori di giornali;

L'emigrazione veneta, romana, ungherese e polacca, alla cui testa erano Kossuth ed il generale Klapka; Volontarii dell'esercito meridionale;

Deputazione della Banca nazionale, banchieri, agenti di cambio, negozianti ccc;

Le corporazioni tutte di arti, mestieri, e le società operaie di Torino;

Tutti i contadini e le contadine in abito di tutto dei tenimenti di S. E.

numero grandissimo di domestici; Chiudeva il convoglio drappello di usseri.

Due legioni della Guardia Nazionale e metà della guarnigione facevano ala lungo il passaggio del funebre convoglio.

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ECCO IL QUADRO DI QUESTO CONVOGLIO

FUNEBRE

Truppa

Guardia Nazionale

Ufficialità

Corporazioni Religiose

Ministro

CARRO

FUNEBRE

A

QUATTRO

CAVALLI

Ministro

Presidente della Camera dei Deputati Presidente

del

Senato

Cavaliere dell'Ordine Supr. Cavaliere dell'Ordine Supr.

Araldo portante sopra un cuscino

il Collare Supremo del Defunto

Cavalieri dell'Ordine Supremo

Aiutanti di campo del Re e dei RR. Principi

Ministri

Grandi Ufficiali dello Stato

Senatori e Deputati

Consiglio di Stato

Corte dei Conti

Corte d'Appello

Municipio

Corpo Universitario

Corporazioni diverse di arti e mestieri

I balconi e lo finestre delle vie percorse dal convoglio erano parati a bruno. Molti fiori e corone d'alloro furono gittati sul carro funebre.

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Senatori, deputati e corpo diplomatico fecero a gara in chiesa, dopo la funzione religiosa, di raccogliere quei fiori e quelle corone quale prezioso ricordo dell'illustre defunto.

Essendo stato osservato che non v'era nel funebre corteo il clero secolare, dobbiamo far avvertire che la chiesa parrochiale della B.V. degli Angeli è uffiziata da frati, per cui nelle sepolture della parrocchia intervengono essi solo.

Il convoglio percorse la via Cavour, entrò in via Porta Nuova, passò la piazza S. Carlo, via Nuova, piazza Castello, rasente il ministero degli esteri, la via Po. e quindi prendendo per la via di S. Francesco di Paola, arrestossi innanzi alla chiesa della Madonna degli Angeli, ove fu collocato il cadavere.

Tutte le vie erano parate a gramiglia.

Il palazzo reale presentava una solitudine significante: il ministero degli esteri era chiuso da fittissime cortine; i balconi di tutti i ministeri coperti di panno nero.

Durante la processione dal colle dei Cappuccini tuonò l'artiglieria, che si protrasse sino ad ora avanzata. Salve di moschetto eseguite dalla linea resero l'estremo saluto al venerando uomo di Stato.

Il cielo parve volesse dividere il tutto cogli Italiani mescendo le sue alle lagrime di tutti, perché una continua pioggia accompagnò il convoglio durante quasi tutto il cammino, e tuttavia la popolazione si premeva per le vie affine di rendere al suo grande cittadino l'estremo saluto.

S. M. il Re, volendo dare un pubblico tributo di onoranza al gran concittadino, fece offerta alla sua famiglia di farlo seppellire, come principe del sangue, a Superga nelle tombe dei reali di Savoia.

Mentre In città di Torino intiera si stava immersa nel tutto, e la Borsa, i Tribunali, i teatri, i magazzeni erano chiusi, il telegrafo aveva annunziato la perdita a tutta l'Europa. Subitamente la stampa europea risuonò di questa grande notizia, di cui ci par debito dare un'eco nella nostra cronaca, ponendovi le opinioni dei principali giornali.

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La morte di questo uomo di Stato rileva una importanza eccezionale dalle presenti circostanze. Essa importa all'Italia un vuoto immenso, e la causa Italiana perde nel signor di Cavour il suo più abile promotore, l'uomo a cui dovevasi la maggiore autorità per il mantenimento dei principii monarchici.

Il gran compito di Cavour è cominciato all'epoca in cui egli è stato chiamato a sedere nel congresso di Parigi come plenipotenziario del Piemonte; e gli avvenimenti che d'allora in poi sono succeduti lo hanno trovato sempre all'altezza delle speranze che fin da principio aveva fatte concepire. Al dolore che produrrà la sua perdita fra i suoi compatriotti, al duolo di cui essi onoreranno la di lui tomba, l'Europa, indipendentemente dalla maniera di giudicare gli atti del grand'uomo di Stato, vi aggiungerà quelle vive attestazioni di stima e di rispetto che sono inspirate sempre da convinzioni forti, da un talento superiore, e da un carattere energico.

Leggevasi nel Pays:

Le forze della rivoluzione Italiana erano concentrate nella mano potente del sig. di Cavour. Da cinque anni il conte di Cavour lavorava senza posa a regolarizzarla, a dirigerla, a moderarla. Non havvi organizzazione umana che possa resistere a queste lotte incessanti, a queste inquietudini senza tregua.

Quale sarà l'influenza di questo avvenimento sulle sorti dell'Italia? Dio lo sa. Oggi piucchè mai è agli Italiani che la Provvidenza consegna il destino dell'Italia. Se l'uomo politico è morto, si faccia rivivere il suo pensiero. La mente che ha cosi bene preparata l'emancipazione del suo paese lascierà dietro di sé delle utili tradizioni, delle preziose memorie, tutta una vita politica da studiarsi e consultarsi.

Quando la morte colpì il cardinale di Richelieu la sua politica gli sopravvisse e la Francia poté raccoglierne i beneficii almeno in parte. Che questo esempio non vada perduto per l'Italia. Che essa cammini risolutamente nella via che il sig. di Cavour ha tracciata; ma la risoluzioue non escluda la prudenza.

La prima legge d'ogni progresso è la moderazione.

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La rivoluzione contenuta sia qui spererà senza dubbio che le dighe ormai siano rotte; essa vorrà precipitare gli avvenimenti e far ricorso alla forza. Tocca agli animi onesti il collegarsi per evitare un tale disastro.

Ogni violenza sarebbe la perdita della libertà italiana.

Le Temps così si esprimeva

Il conte di Cavour soccombette stamane a sette ore, in seguito alla malattia che lo affliggeva da parecchi giorni, e di cui gli amici d'Italia seguivano l'andamento con un ansioso interesse ed una dolorosa simpatia.

Questa funebre notizia avrà un eco immenso pel mondo. I nemici dell'Indipendenza italiana ne gioiranno forse come d'un successo decisivo.

Tocca all'Italia dar loro una smentita. I suoi più cari interessi, il suo onoro e la gloria stessa dell'uomo di Stato che l'ha illustrata, le impongono il dovere di ben progredire nell'opera incominciata e condotta quasi al suo termino con una abilità così rara e con una così patriottica perseveranza.

Sì, la gloria 'stessa del conte di Cavour sarebbe diminuita, perché la chiaroveggenza di un uomo di stato fa parte della sua gloria, se gli avvenimenti dimostrassero che esso presumeva troppo da' suoi compatrioti e che troppo richiedesse dal valore del suo popolo.

Il supremo omaggio che possano rendere gli Italiani al loro grande ministro, al fondatore della loro unità, si è quello di mostrare che essi possono far senza di lui. Non si è una nazione, se non che a patto di non dipendere da un uomo solo, e gli Italiani terranno ad onore di far vedere che essi sono una nazione. I partiti dovranno mostrare che erano contenuti dal loro patriottismo e non dall'ascendente o dall'abilità del conte di Cavour. Che questo doloroso avvenimento in luogo di ritardarlo, affretti il compimento dell'unità Italiana, con l'intima unione di tutte le forze morali, di tutte le energie del paese. L'opinione, questa grande potenza moderna, che il conte di Cavour contribuì tanto a conciliarle, non l'abbandonerà purché l'Italia non voglia abbandonarsi da se medesima.

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L'Opinion Nationale dopo aver dato un rapido sguardo ai principali avvenimenti della vita politica del Conte di Cavour, così conchiudeva

Il Conte di Cavour molto fece, ma esso muore lasciando incompiuta quell'opera, a cui si era dedicato.

Manca all'Italia la sua capitale; le manca una delle sue provincie le più importanti, e per realizzare la completa unità, Vittorio Emanuele da un lato si trova di fronte al Papa ed a tutto il partito cattolico e dall'altro al cospetto dell'Austria.

In tale situazione, la morte del Conte di Cavour è un avvenimento sfortunato. L'illustre uomo di Stato lascia un vuoto difficile a riempirsi; ma un pensiero ci consola e deve consolare il suo paese; i destini dei popoli non dipendono dalla vita di un uomo per quanto grande esser possa. L'Italia raggiungerà adunque lo scopo supremo delle sue speranze; ma forse non vi perverrà che con isforzi pericolosi che il Conte di Cavour avrebbe potuto meglio che qualunque altro, schivare col mezzo di transazioni profondamente calcolate.

Il Siècle ci porgeva questi affettuosi consigli;

Per quanto vasto sia il moto lasciato dalla subitanea disparizione del gran ministro che è morto testé, la causa italiana non può, non deve soffrirne.

Piucchè mai in presenza di questa tomba aperta, noi scongiuriamo tutti i patrioti italiani, senza distinzione di partiti, di gradazione, d'opinioni, di dimenticare quello per cui vanno divisi, e non pensare che a quello che li unisce, di continuare in comune la gloriosa impresa a cui il signor di Cavour collegò il suo nome immortale.

Il rappresentante più eminente dell'indipendenza, dell'unità, della nazionalità italiana vive ancora, Dio mercé! Che tutti gli uomini di cuore, che tutti i cittadini italiani si stringano attorno a Vittorio Emanuele. Che gli porgano, col tributo della loro devozione e de' loro lumi, quello spirito di conciliazione e di concordia senza cui tutto quanto si è fatto ed ottenuto fin qui potrebbe esser rimesso in forse.

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L'Italia fece una perdita crudele; nessuno meglio di noi può misurarne l'estensione; ma la causa italiana sopravvive, il principio non muore

La Francia che tanto fece per questa sacra causa, che così potentemente aiutò l'emancipazione di questo popolo amico, che versò per lui tanto sangue glorioso a Magenta e Solferino, la Francia può oggidì con motto salvare l'Italia, ch'essa riconosca alla faccia dell'Europa il regno italiano.

Bando allo scoramento. Non lasciamoci domare a nessuna delle apprensioni e dei terrori che i nemici della nazionalità italiana non mancheranno di accreditare.

Nulla è disperato se dinnanzi a questa calamità pubblica che la colpisce, l'Italia ed i suoi più grandi cittadini fanno tacere le loro divisioni o collegansi attorno di Vittorio Emanuele e lo secondano nel compimento dell'opera immensa che gl'incombe.

Così la Presse si esprimeva sulla perdita del conte di Cavour:

«Morendo il conte di Cavour ha potuto sentire che, s'egli lasciava il suo compito imperfetto, nulla però potea più d'ora in poi comprometterne il successo. Dalle sue finestre aperte i suoi ultimi sguardi hanno potuto vedere l'affanno e il dolore di tutto il popolo. Gli è a questo popolo, alla sua fermezza, alla sua moderazione, alle sue virtù cittadine, ch'egli ha legato la gloria e il compito di terminar l'opera da lui cominciata. L'Italia tutta quanta sarà erede dell'anima del grande patriotta.

«Oggidì, non vi possono essere né partiti, né divisioni. Non v'ha che uno scopo, non dev'esservi che azione: la discordia diventa tradimento. Quando la patria è in pericolo, non vi sono per essa che difensori o traditori.

«Noi non sappiamo per qual uomo si deciderà Vittorio Emanuele, se per Rattazzi o per Ricasoli. Chiunque egli sia; è somma importanza che l'Italia intera, intelligenza e forza, gli uomini di pensiero e quelli di spada, si raccolgano intorno a lui. Quanto al futuro capo del gabinetto, il conte Cavour gli ha tracciato una via ch'egli non ha che a seguitare. Egli dovrà percor

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e non indietreggiar mai davanti a nessuna delle necessità che gli imporrà la salvezza dell'indipendenza e dell'affrancamento assoluto della patria.»

Lo spirito di grand'uomo di Stato, dice la Patrie, e il cuore d'gran patriotta si spensero nel conte di Cavour. La vera parte importante di questo illustre Italiano cominciò nel 1849, quando il Piemonte tentò di rialzarsi disastro di Novara.

Partigiano delle idee economiche moderne, ammiratore di Roberto Peel, egli arricchiva il Piemonte prima di aprirgli quella via piena di grandezza e di pericoli in cui procede ogni giorno.

L'alleanza del Piemonte colla Francia e l'Inghilterra nella guerra d'oriente fu tratto di genio. Da questo momento la indipendenza italiana era possibile.

Si può anche dire ch'era nata e ricevette il battesimo al Congresso di Parigi. Tutti sanno dopo tempo, quale energia, quale moderazione, quale patriottismo e quale altezza di viste Cavour mettesse al servizio del suo sovrano e del suo paese.

Qualunque sia il seguito degli avvenimenti iniziati, la parte di Cavour è cosi grande che il suo nome è imperituro. Se l'Italia esce trionfante della lotta, qual gloria pel sig. Cavour nella posterità! e se l'opera fosse impedita ancora, se tutte le speranze non si avverassero, se i partiti estremi compromettessero la più nobile delle cause, si direbbe certamente che ciò non sarebbe ac caduto senza la morte di Cavour.

Quale più bello elogio ancora per uomo di Stato! Il conte di Cavour morendo lega all'Italia avvenire una illustre memoria di più e a' suoi successori del domani dei grandi esempi.

Ecco le parole del Constitutionnel sullo stesso argomento: È giusto il riconoscere che, in questi ultimi tempi, il conto di Cavour, per l'ascendente da lui acquistato, aveva dominato la influenze avventate che, senza di lui, avrebbero forse condotto l'Italia ai casi più perigliosi turbando profondamente l'Europa. La missione conservatrice che egli ha adempiuta, a questo

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Questa morte, senza dubbio, sarà una prova crudele per l'Italia. Ma se havvi ora nella Penisola grand'uomo di meno, havvi, la Dio mercé, gran popolo dippiù; e questo popolo liberato dalla Francia non potrebbe ormai ricadere nel servaggio. Al suo letto di morte, il conte di Cavour ha potute dire a se stesso che so quest'opera gloriosa dell'Italia indipendente non era ancora assodata, almeno la dominazione straniera che gravitava sul suo paese era per sempre condannata.

L'illustre uomo di Stato Italiano ebbe la consolazione suprema di morire da cristiano. Ieri sera, alle sette, egli riceveva gli ultimi sacramenti, e tutta la popolazione di Torino, compresa da costernazione e dolore, accompagnava pietosamente il ministro di Dio che portava al conte di Cavour la preghiera e la benedizione della Chiesa.

Ecco lo parole del Dèbats

Di tutte le prove che la fortuna potava infliggere all'Italia, nello presenti circostanze, quella con cui l'ha teste colpita è certamente la più crudele e la più dolorosa. Chiunque può misurare l'immensa perdita che la nazione italiana ha fatto, e le diverse conseguenze che possono risultare non solo per i destini della Penisola, ma eziandio per gl'interessi generali dell'Europa. Noi compendiamo le tristi riflessioni che questo inaspettato avvenimento deve inspirare a tutti gli amici della causa italiana.

Qualunque sia la gravità del che li percuote togliendo loro uomo ch'era l'anima, il braccio destro e il più fermo

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sostegno dell'indipendenza, noi vogliam credere eh' essi

La stampa di Londra non potea mancare d'associarsi a questo cordoglio. Noi crediamo dover riprodurre alcuni de' suoi giudizi, giacché la morto del Conte di Cavour, assorbe oggi tutte le preoccupazioni.

Si legge nell'Express:

«La morte ha colpito improvvisamente il più fortunato uomo di Stato della nostra epoca. Le prove spontanee d'affetto dategli, nell'ultim'ora della sua malattia, dalla popolazione di Torino ricordano ciò che successe il memorabile giorno in cui credevasi che il sig. Canning fosse per morire, e molto più ancora ciò che avvenne a Parigi qualche tempo prima della morte di Mirabeau.

La vista del sacerdote che, attraversando la calca, recava al moribondo gli ultimi sacramenti della Chiesa, ha esaltato il dolore del popolo ad parossismo di cui non possiamo farci idea. Il cuore degli Italiani è caldo come il loro clima. Questa morte è gran tutto per l'Italia; è per essa una perdita irreparabile.

Il Sun, dopo aver espresso il timore che il conte di Cavour sia stato mal salassato e che sia stato ucciso dottore Sangrado, aggiunge.

V'era uomo che avrebbe potuto sciogliere il nodo gordiano della questione italiana. quest'uomo è morto, bisognerà troncarlo colla spada. Chi sarà il nuovo Alessandro? Vittorio Emanuele, Francesco Giuseppe, o Napoleone? Iddio solo lo sa. I destini d'Italia tremano ora nella bilancia. La sua critica posizione ci ricorda che avvenne alla morte di Mirabeau all'epoca della più grande crisi della rivoluziono francese.

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Il Globe domandava chi guiderà ora gl'Italiani.

Quando noi riflettiamo, il nostro dolore è dieci volte più grande. La morte del conte di Cavour è per l'Italia ciò che sarebbe stata per la grande armata la perdita di Napoleone in giorno di battaglia. Wellington diceva che la presenza dell'Imperatore valeva più di 40,000 uomini: il conte di Cavour valeva meglio, per l'Italia, che venti de' suoi migliori uomini di Stato.

In questo momento, non vediamo alcuno che possa essere il suo successore efficace. Con regno che non è consolidato, con questioni politiche estere che non sono risolte, con nemici che guatano senza posa, la morte del conte di Cavour è la più grande sventura che potesse arrivare a questo paese che egli ha così abilmente e così potentemente aiutato a costituirsi in nazione.

Ecco con quali sensi il Giornale di Verona parla della morte di Cavour:

A noi che fummo in ogni epoca suoi accaniti avversarii e che ne combattemmo gl'intenti e le opere con virile costanza, a noi sarà concesso nel giorno solenne della sua morte di scrivere poche e sincere parole intorno a quella intelligenza straordinaria, cui pareva ristretto campo l'Italia, di versare una lacrima sull'immaturo fine di chi col potente ingegno ricordava le grandi individualità che onorarono il nostro passato e compendiava in sé le forti aspirazioni di Machiavelli ed Alfieri:

Fiore pellegrino è il genio sulla terra; ed è nostro dovere, per questo appunto, di onorarlo ed esaltarlo, anche quando si trova in campo opposto a quello in cui combattiamo. Al dì là della tomba non vive ira di parte; ond'è perciò che, pure spassionatamente parlando della carriera politica del ministro piemontese, noi ci associamo a quanti ne compiangono il fine, sciogliendo con solenne mestizia sul suo avello, la prece dell'eterno riposo.

In ogni modo la sua tomba rimarrà illustre come quella di Dante, Macchiavelli, dei nostri più famosi connazionali, e non vi sarà alcuno dei nipoti nostri, che fermandosi ad onorarla, non sentirà trascorrere per l'ossa, quell'arcano fremito, che ci prende quando sostiamo sulle ceneri degli uomini grandi!

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Leggesi nel Times:

«Cavour non è più. La mente rifiuta quasi di credere quello che alcune settimane innanzi sarebbe sembrato dubitare della Provvidenza l'averlo temuto. E avvenuto siccome succede a colui il quale entrato improvvisamente nell'oscurità, ha tuttavia innanzi a sè visibile l'oggetto di cui era poc'anzi compreso. Son poche ore che tutte le menti erano rivolte a Cavour. Tutti s'attendevano a vedere in qual forma avrebb'egli gettata l'effigie dell'Italia, tuttavia incompiuta?, scomposta e fremente; come avrebbe tolto Roma e Venezia allo straniero ricalcitrante; come avrebbe vinto le difficoltà di razza, di gelosie, di tradizioni fra loro opposte. Queste e somiglianti domande si facevano, allorché credevasi che avrebbero esse ben tosto avuto una risposta decisiva; che gli affari non languivano mai fra le mani di Cavour.

«Da piccola città, attorniata da giogaie di monti e posta sopra fiume angusto, egli parlava con ogni sovrano, senza mai compromettersi con alcuno, a pro della più grande causa che fosse mai stata trattata da uomo di Stato. L'Italia conquistò il mondo, e l'Italia cadde sotto il peso della sua conquista; non mai però solo intelletto, contendendo con amici e con nemici, innalzò più grande baluardo contro tutti, qual è quello delle Alpi. Non v'era corte europea che non dovesse venire fronte a fronte con Cavour. Con tutti egli aveva da sostenere una controversia per l'Italia. Il raccolto ara pronto; la festa che doveva celebrarlo era imminente; rimaneva l'opera dello spigolamento. Tutto ad tratto lo spirito sublimo, il condottiero stesso sparisce. Gli affari rimangono; l'uomo che li guidava non è più. É l'anima istessa dell'Italia che s'è involata. Noi possiamo rovistare tutte lo storie, e troveremo a fare ben pochi paralleli. conquistatore muore lasciando impero non bene rassodato o diviso; giovine principe muore senz'avere compiuto la riforma; il figliuol unico d'principe impopolare o l'erede d'una nuova dinastia è tolto via da fatale; una nazione

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Nel caso presente l'opera che, testimone tutta la storia, era la più nobile e insieme la più malagevole a farsi, fu cominciata e quasi compiuta da solo uomo. Cavour tenne afferrate nel suo ferreo pugno quello italiane repubbliche che non peteronsi mai insieme congiungere, se non per conquistare il mondo e per essere mondo conquistate. E quest'unità d'Italia sopravviverà essa alla mano che la formò? L'Italia rimarrà in fatto quello che fu nell'intelletto il più potente, nella volontà la più risoluta? Per vincere la prova richiedevasi una riunione singolare di qualità diverse in solo uomo. Se tale riunione è tuttavia necessaria per continuare e coronare l'impresa, questa riunione si potrà in altri rinvenire? Certo non mancano uomini di Stato, e diplomatici, e sapienti, ed eroi: ma vi sarà cosi presto altro che comprenda tutti e pure sia più grande di tutti? «

Raccomandato agl'Italiani di non per ciò disperare, ricordando che anche dopo Novara o dopo la morte di Carlo Alberto le loro sorti parevano per sempre cadute e pur risorsero, il Times segue a dire.

«La politica che levò la Sardegna quasi dalla polvere, che la feco collegata alle potenze occidentali, che trascinò l'Austria a farsi invaditrice, che ottenne per l'Italia provincie dopo provincie; quella politica che rese gl'Italiani sicuri di loro stessi, che scacciò sovrani dinanzi a manifestazioni di popolo, che sciolse eserciti innanzi a pugno di volontarii; quella politica era la creazione di Cavour. Egli era la mente che divisava tutto; il cuore che dava a tutto vita, il braccio che faceva eseguire ogni cosa. E Cavour sarebbe andato innanzi colla sua opera; avrebbe riformato amministrazioni, rassomigliato fra loro Stati, messo l'ordine nel caos, costituito assemblee legislative costringendole a fare il loro debito; e avrebbe in pari tempo apparecchiato materia per lavori più ardui. Tale è l'uomo tolto via in mezzo al fervore della sua opera.


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Mentre noi scriviamo, sono appena scorse poche ore dacchè egli spendeva gli ultimi aneliti a raccomandare, ad incoraggiar l'unione dell'Italia. Egli è caduto in mezzo alla lotta del pensiero e della parola, tanto valorosamente quanto prode soldato sul campo di battaglia.

L'unità italiana ha ora la consacrazione di una gran morte, che degnamente chiude una vita piena di ansia e di lavoro. Gli clementi discordanti d'Italia forse non armonizzeranno così bene in alcuno degli uomini di Stato viventi; ma e' devono pur riconoscere l'autorità di chi parla dalla tomba. Non è umiliazione il piegarsi innanzi a coloro la cui forza è ne' nostri stessi petti, e i quali possono avvalorare le loro opinioni col rendere amichevoli i nostri stessi istinti. Cavour sarà grande nella tomba, come lo era nella Camera del Consiglio a Torino. Forse, sebbene ciò sia più incerto, la sua morto disarmerà la gelosia di coloro che reputavano la Sardegna troppo potente nella rivoluzione italiana. I viventi non invidiano i morti; almeno per motivi terreni. La Francia o l'Austria s'inchineranno innanzi ombra illustre, che non può più suscitare lo loro gare. Anche il grande liberatore sentirà ora rispetto per l'uomo che morì per la sua lealtà.»

Il Morning Post annunziata la nuova funesta, segue col dire:

» Per tutta Europa, per tutto il mondo civile, proromperà uno sfogo di dolore e di ammirazione, maggiore di quanto fu mai manifestato, dacchè Canning fu colpito in cima alla sua potenza e alla sua fama. I successi meravigliosi compiuti da Cavour, non meno che la vastità dell'opera che rimaneva tuttavia a compiersi; la fiducia de' suoi nazionali nella sua singolare riunione di audacia e di circospezione; il potere da lui acquistato e sopra i conservatori italiani, e sopra i caldi partigiani della libertà e dell'indipendenza; la sua autorità, feconda di si grandi risultati presso una corte europea, e il rispetto in cui egli era tenuto presso tutte le altre, ed oltre a ciò e più di ciò, l'affezione verso sé ch'egli ispirava a tutti coloro che a lui s'accostavano per le suo maniero piacevoli e magnanimo; tutto insomma cospira per costituire questa

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«È malagevole dire dove la sua perdita sarà più crudelmente sentita. Il monarca italiano, la cui onestà ed energia fa sempre temperata e illuminata dalla sagacia del suo ministro, che a tutto bastava, deve ora considerarsi come capitano di nave che d'tratto vede rapito dalle onde il nocchiero in cui più confidava, prima che la tempesta sia interamente cessata. Il Parlamento italiano, di cui egli era il condottiero e l'idolo, il quale traeva tanto vantaggio dalla sua conoscenza delle usanze e forme costituzionali, Parlamento vede il faro che guidava il suo corso improvvisamente estinto. Quell'accorto e operoso corpo diplomatico, di cui egli era il capo, e i cui atti, mercé i suoi consigli, erano mossi retto senso e da sani propositi, tutti eseguendo i disegni della mente magistrale, è sbigottito, prostrato, e in mezzo al corrente degli eventi è dubbio ed incerto qual direzione prendere. In mezzo a suoi nazionali la sua morte dee suscitare dolore e sgomento. L'Italia non è ancor tutta fatta; e se il grande assioma di Carlo Alberto, l'Italia farà da si, era tanto vicino a compiersi, il Conte Cavour aveva condotto a si gran risultato. La parola impossibile era cancellata suo vocabolario.

Egli era riguardato quasi come il possessore di misterioso talismano,, con cui egli, ed egli solo, poteva informare la politica de sovrani potenti secondo l'utile dell'Italia e del suo re.

«Cavour poteva invigilare alleati pericolosi, fossero essi potenti stranieri o patriotti nazionali. Siccome Luigi il Moro, poté chiamare eserciti di Franchi a combattere le battaglie italiane; ma più avventurato che il sig. di Milano, poté far rivalicare le Alpi allo armi straniere che aveva invocato.

«Ma il talismano che abbiam detto ch'egli pareva possedesse, non era misterioso, o almeno non lo era per chi ha compreso la sublime sentenza del segretario fiorentino, che è vera follia dei principi il fabbricar fortezze per difendersi dai loro soggetti; e che l'affezione, la reverenza è il loro più sicuro e saldo

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Il conte Cavour era uomo sommamente pratico, ma in pari tempo non sprezzava lo studio profondo della mente umana, né delle forti passioni del cuore umano. Egli si era proposto di fare la sua nazione grande gloriosa e libera, ma nella vastità del suo disegno, studiava i numerosi, gli avviluppati e talvolta gli opposti mezzi per i quali il suo fine doveva essere conseguito.

Dopo aver ricordato parecchi fra i grandi fatti operati conte Cavour nella sua lunga carriera politica, il Morning Post termina con queste parole;

Tale era l'uomo di Stato la cui perdita l'Italia, l'Europa e tutto il mondo lamenta. Egli lascia la sua grande opera in parte incompiuta. Ma nessuno successore ardirà togliergli la gloria d'essere stato il più grand'uomo di Stato che l'Italia abbia mai dato. Ma è pur vero che assai rimane a farsi. Chiunque raccoglierà le redini cadute da quelle possenti mani, dovrebbe avere bene in pensiero, che se forte era il conte Cavour, la sua forza derivava dalla chiarezza della sua mente, e che se la fortuna lo favoreggiò con tanta costanza, ciò fu non solo perché egli era coraggioso, ma perché il suo coraggio andava sempre accompagnato dall'avvedimento e dalla prudenza.»

Leggesi nel Nord:

Spetta alla nazione italiana il continuare l'opera del conte di Cavour: spetta 'all'Italia unita di mostrare che essa è degna di lui, che lui se è grande lo fu perché era il rappresentante di gran principio, dell'idea nazionale. Fra i reazionarii che vorrebbero veder rientrar i principi spossessati nell'Italia, vinta e divisa, il partito sedicente dell'azione, che vuole precipitare il paese nella lotta col pericolo di lavorare per la reazione, fra questi due partiti, havvi la massa degli Italiani sensati e calmi, che si studieranno di provare all'Europa, che l'idea che viveva in Cavour, e per la quale egli è morto, è la loro idea. Gli Italiani devono essere gelosi della purezza di questa grande illustrazione costituzionale.

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Anche morendo, Cavour, non deve avere commesso per gl'Italiani una colpa, perocchè ha sigillato l'unità italiana, facendo giurare sulla tomba all'Italia intiera di non compromettere la realizzazione della grande idea dell'unità, sia con timori, sia con inopportuno ardimento. Il conto di Cavour, nella sua troppo breve carriera, ha mostrato al suo paese come bisogna saper temporeggiare ed agire in proposito. Bisogna che nella sua morte l'Italia attinga una forza o una nuova saggezza, affinché questa morte sia utile al suo paese consolidando l'idea unitaria.

«Tale è il dovere che incombe all'Italia; e noi siamo certi ch'essa lo compirà. Riparleremo di questa morte che è il più grande avvenimento dell'anno.»

Anche la stampa spagnuola si unisce alla nostra ed a quella del resto d'Europa per portare il suo tributo di lodi al grand'uomo.

Las Novedades, foglio liberalo di Madrid, dopo aver lamentata la perdita di uomo così eminente, d'averne esaltate le virtù, d'aver diviso cogl'Italiani il dolore di tanta sciagura, cosi si esprime:

Pel bene d'Italia desideriamo che quello spirito di moderazione che condusse sempre tutti gli atti del conte di Cavour, viva e si trasmetta ne' suoi successori, che invece di servire ad interessi di partiti, essi pensino soltanto al massimo fine, all'oggetto più santo, il bene della patria; che non vacillanti mai, frenino egualmente ogni impazienza che possa compromettere l'esito, o ritardarlo. In questo modo solamente stabiliranno sovra solide basi l'avvenire della penisola; in questo modo soltanto potrà l'Italia compiere il suo glorioso destino. Se l'opera è difficile, non si scoraggino, la gloria acquistata da tanto uomo di Stato rifletterà su di essi, e so cingere non potranno il lauro inapprezza bile che appartiene all'iniziatore di opera così gigantesca, otterranno quello, non meno invidiabile, che debbesi a coloro i quali la proseguono e la portano a compimento.

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Anche la Discussion, giornale democratico di Madrid, il quale fu avverso alla politica di Cavour, per gli speciosi motivi per cui l'avversarono i nostri partiti estremi, dice:

Sia o non sia nello nostre viste il conto Cavour, non possiamo negargli talento eminente, e non possiamo a meno di sentire la sua perdita, come sentiamo la perdita di tutti gli uomini che onorano l'umanità.

Il sogno di tanti poeti, l'ideale a cui si sono sacrificati tanti eroi, il legato che si trasmisero di generazione in generazione tanti artisti; pensiero che pareva impossibile a realizzare, mercé il talento, la perseveranza, l'abilità del conte Cavour ha ottenuta una splendida realizzazione, ed oggi i popoli possono vedere come si levi, scuotendo lo suo rotto, o si formi e si costituisca una grande nazione.

La Discussion ci volge quindi una parola di conforto e di coraggio, che noi raccogliamo con gratitudine.

Siamo sicuri, essa dice, che alcuni spiriti deboli, di quelli cho credono che la vita dello nazioni dipenda dalla vita di uomo, crederanno che l'Italia sia morta con Cavour. Oh quanto son lontani vero! La vita di uomo non può togliere la vita ad popolo. L'Italia ha perduto uno de' suoi migliori figli; ma non per questo si è perduta l'Italia. No, la tomba di Cavour, sebbene grande, è anco troppo piccola per rinchiudere questo gran popolo.

Da lungo articolo della Gazzetta di Colonia prendiamo il seguente brano sulla morte di Cavour:

Il conte di Cavour è morto I Colla celerità della scintilla elettrica questa luttuosa novella fu sparsa per quanto va lungi la rete dei telegrafi europei, e i vapori la porteranno ancora nelle più lontane regioni della civiltà. Molti occhi manderanno una lagrima pel grand'uomo, che possedeva una fiducia della sua nazione di cui nessuno poté andar superbo prima di lui, che anche i più accesi rivali erano costretti a invidiare;l suo partito ed al suo paese, o al quale anche i nemici più offesi, dei quali aveva abbondanza in Roma come a Napoli, a Parigi del pari che a Vienna, confessavano non potersi rinfacciare alcun basso motivo, alcuna smania di popolarità.

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Poiché egli rimase perpetuamente fedele a se stesso dai primi anni della sua operosità fino in cima

L'Italia unita, e più ancora condotta a grande potenza, non doveva essergli conceduto di veder tocco questo scopo de' suoi pensieri. Pure egli visse abbastanza per formare una scuola di uomini di Stato, che lo seguono nella stampa, alla tribuna, nel gabinetto.

Egli conosceva il suo popolo ed era conosciuto da esso; egli sapeva ciò che voleva ciò che da esso poteva volere, e ciò che può; non era utopista; contava e calcolava continuamente con sangue freddo, pesava le forze sue proprie e quelle degli altri, e, ove il bisogno lo imponeva, sapeva far sacrifici con cuore oppresso, ma con volto fermo e con mano sicura.

Dopo avere riferito in breve gli atti principali della sua vita politica, il citato giornale conchiude colle seguenti parole:

Cavour era anche nel 1848 convinto, che l'Italia aveva bisogno della mano straniera per liberarsi; ma questa necessità era il suo fato; nel buono come nel cattivo significato, questa parola, è il lato tragico nella sua carriera.

Cavour con la sua volontà ferrea sapeva piegarsi alle necessità; egli ardiva molto fidando in se stesso e nella sua nazione, ma sapeva misurare con tutta la prudenza il tempo e l'ora. Il tempo è danaro; e il tempo e il danaro sono la forza. Con questa massima si guidava e come privato e come uomo di Stato. Egli era di umore festevole e gioviale, ma schietto e deciso; era nemico dei complimenti e delle vuote frasi; vivace e pronto nella conversazione; nelle orazioni parlamentari potente,

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senza aiuto di frasi, abile nel maneggio della penna in guisa da potergli»

Terminiamo questo citazioni con estratto notabile della cronaca politica

Rivista dei due mondi.

Intorno alla morte di Cavour quanto si poteva dire fu detto. Considerando la commozione che questo funesto avvenimento produsse in Francia, si può facilmente presumere l'acuta angoscia che deve aver cagionato agl'Italiani. La fine del grande uomo di Stato dell'indipendenza italiana eccitò fra noi sincero e profondo dolore. In faccia all'improvvisa estinzione di questo genio, vedemmo sparire tutti i dissensi politici: quelli stessi che combattevano la politica del conte di Cavour non dissimularono la tristezza e, per così esprimerci, la pietà che sentivano al subito sparire mondo di uomo che vi occupava sì largo posto. E bello il congiungere la propria vita ai destini di popolo, in modo che i casi naturali ed inevitabili della nostra esistenza divengano causa di pubblico tutto. Chi n' è l'oggetto ottiene ciò che chiamasi gloria; ma la simpatia instintiva che unisce i popoli a queste grandi sventure, l'omaggio spontaneo di dolore che i cuori rendono ai morii illustri che ben meritarono dei loro simili, è fatto che onora l'umanità, e che non si può osservare senza consolazione, poiché appunto in questi momenti solenni e fuggitivi si scorge la verità del detto di Bossuet: «Quando Dio creò il cuore dell'uomo, v'infuse primieramente la bontà. «

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Tutto concorreva a rendere il signor Cavour popolare nella Francia liberale: la gran causa cui serviva: il movimento delle idee, il signor di Cavour apparteneva a una generazione liberale, ch'ebbe l'onore di annoverare dei rappresentanti anche fuori di Francia

Il signor Cavour in pochi anni rese l'Italia indipendente, e fe' della penisola gran regno. Como sarebbesi detto nel reggime antico, egli ha prodigiosamente ingrandito la casa di Savoja, e trasformato sovrano di terz'ordine nel capo di gran regno. Ma qual differenza e qual novità nei procedimenti! Il sig. Cavour partì da idea patriottica; la sua causa era quella dell'indipendenza nazionale. Da quell'uomo pratico ch'egli era sentì che bisognava porre al servigio di questa causa una forza organizzata e regolare; la trovò nel Piemonte, la preso nella solidarietà storica che congiunge l'antica casa di Savoja alla fortuna d'Italia.

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Ministro del re di Sardegna, egli non cercò asilo nei ministeri del dispotismo, non domandò la sua forza al potere arbitrario d'una dittatura, non fece calare le baionette contro il Parlamento del suo paese. La sua gloriosa innovazione, quella per cui non solamente gl'Italiani, ma tutti quanti sono i liberali d'Europa, non recheranno mai alla sua memoria sufficiente tributo di ammirazione e di riconoscenza, sta nel non aver egli voluto altronde, che dalla libertà, trarre le forze di espansione e di coazione, che gli erano necessarie. Assiso sullo statuto, trincierato nel Parlamento, egli diffuse nel Piemonte la libertà a larga mano.

Certamente altri avevano avuto il concetto dell'indipendenza e dell'unità d'Italia; ma con quale destrezza e con quanta fortuna non seppe egli togliere ai partiti di opposizione e allo spirito di setta, e far proprie così da renderle applicabili col mezzo di una forza organizzata e regolare, le idee veramente nazionali e tutte lo parole d'ordine giustamente popolari che le sette e le opposizioni avrebbero compromesso, se loro ne fosse rimasto il monolopio pericoloso? Nell'azione nessuno del nostro tempo possedette in pari grado l'istinto dell'opportunità, nessuno riunì tanta pieghevolezza a sì ferme risoluzioni. quest'arte, da lui applicata dapprima all'interno per fondere nella sua politica tutti gli elementi nazionali e popolari, seppe spiegarla al di fuori, coll'esito inaudito onde l'Europa è ancora stupita, per cogliere le occasioni favorevoli all'effettuazione dei suoi disegni ed a spingere sino all'estremo le buone probabilità che la fortuna gli offriva. E per questo ch'egli fu, si può dirlo, per tre anni l'uomo di Stato che dirigeva l'Europa. Egli avea d'altra parto tutte le qualità amabili d'uno spirito disposto a tutto comprendere e d'carattere tranquillo e risoluto. Lo preoccupazioni personali non offuscavano mai la sua spiritosa bonomia: nessuna pedantaria, nessuna presunzione, nessuna di quelle irabilità nervose che sì spesso fanno apparire il potere, nella persona di coloro che lo possiedono, sotto forme molto odiose o molte ridicole, e in tutti i casi assai meschine. Non si potrebbe essere più tollerante né più naturalmente indulgente di lui.

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Egli entrava nelle ragioni e nello necessità di posizione do' suoi avversarii; non serbava il ricordo di quelle critiche alle quali gli uomini pubblici sono esposti, e che, nel cozzo delle libere polemiche, prendono accento di vivacità spesso spiacevole. Per dir tutto in una parola,

La morte del conte di Cavour è una perdita dolorosa per la causa liberale europea. Cosa sarà per l'Italia! Non si consolerà questa rinascente nazione colle declamazioni bancali e colle democratiche adulazioni; non v'hanno uomini necessarii; è morto il grand'uomo di Stato, ma rimane popolo. perché d'altronde affaccendarsi a distrarre una nazione suo dolore nel momento in cui dispare colui nel quale erano incarnati tutti i suoi interessi I Senza dubbio la breve carriera di uomo conta poco nella esistenza di popolo: ma grazie a Dio, non sono astrazioni, pensano, sentono e il sentimento è il più forte vincolo delle umane associazioni. Piangendo uomo che l'ha servito, popolo fa più che riempire dovere e dare uno spettacolo morale e salutare; egli giova a se medesimo. Più esso misura o vede il vuoto lasciato nel suo seno dalla grande anima rapita, e più s'incoraggia agli sforzi che occorrono per riparare tanta perdita.

Sarebbe ingratitudine e fanciullaggine il dissimulare l'indebolimento cagionato all'Italia dalla morte di Cavour. È mai possibile di rimpiazzare prontamente ciò che era il frutto non solo delle grandi qualità personali, ma dei lavori e dei trionfi d'una carriera di più anni? Se l'Italia avesse secondo Cavour, ci vorrebbe del tempo al successore per collocarsi nella vacillante eredità. Non si acquista in giorno quel misto d'ascendente e d'impero col quale il conte di Cavour aggruppava sotto la stessa politica il fiore della società, delle masse italiane. Per quanto ingegno s'abbia, ci vuol tempo per farsi conoscere e per riprendere in Europa l'immensa autorità del conte di Cavour. Gl'Italiani devono confessarsi il male in tutta la sua estensione. Per loro la morte del conte di Cavour è doppio indebolimento; gli indebolisce di dentro e di fronte allo straniero.

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Apprezzando il male, gli Italiani comprenderanno meglio ciò che sia da fare per scongiurare le conseguenze, e scopriranno i compensi che loro è permesso di sperare

La morte di Cavour impone agl'Italiani il primo dovere dell'unione e della prudenza. Bisogna convenire che si sono apparecchiati a compirlo. Gl'Italiani da tre anni maravigliarono il mondo colla loro saggezza e di già si preparano a nuove sorprese di questo genere. Morto Cavour, la pubblica voce, con unanimità che rivela negl'Italiani istinto politico, chiamò al potere il barone Ricasoli. Ognuno comprese che il primo bisogno dell'Italia era che il governo fosse in mano ferma. All'astuto, tenace, ardito e valoroso Piemontese, si è dato per successore Fiorentino che l'immaginazione vede quasi disceso dalla forte repubblica dell'evo medio. Si crede il Ricasoli meno arrendevole del Cavour: gli si attribuisce una certa durezza, ostinazione che non si acconcia ai compromessi; si esagerano senza dubbio i difetti del carattere di Ricasoli; ma, sintomo rimarchevole delie attuali disposizioni degl'Italiani, la pubblica acclamazione attribuì il potere al Ricasoli, appunto perché possiede le qualità a difetti attribuitigli.

L'unità italiana non ha più energico fautore dell'antico dittatore toscano; ci ricordiamo che ad esso, alla sua inflessibile risoluzione si deve la prima annessione della Toscana, che determinò l'esito e la forza del movimento unitario. Si sa che nessun uomo di Stato italiano si mostrerebbe così deciso nel caso a reprimere ogni moto intempestivo e temerario che potrebbe cimentare i risultati ottenuti e compromettere il compimento della opera intrapresa in Italia

Chiamando al ministero Ricasoli, gl'Italiani prendono, per così dire, delle precauzioni contro so medesimi, cercando una garantia contro se medesimi, cercando una garantia contro le temerità delle teste cattive. Il ripetiamo, s'ingrandisce troppo ciò che può esservi di rigido nel carattere del Ricasoli; ma gli Italiani adesso ameranno meglio potere che mantenga l'ordine con eccesso di rigore, che ministero che li ponga in pericolo con eccesso di mollezza e con uno spirito di conciliazione che degenera in debolezza.

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Si direbbe che gl'Italiani non affidano più ai ministri la cura di conciliarli, e fanno della concordia loro affare personale.

Per una strana coincidenza, ove l'azzardo ha gran parie, Napoli e Sicilia mandano a Torino, dopo la morte di Cavour, le migliori notizie che s'abbiano mai ricevute dopo l'annessione. A Napoli Ponza di S. Martino, che in Italia passa per il più capace degli amministratori, riesce a maraviglia. I Napoletani sono contenti di veder a capo del governo il Ricasoli, che ai loro occhi al merito di non esser Piemontese aggiungo quello d'essere unitario gettato in bronzo. I Siciliani sono così contenti del governo del Della Rovere, che a Torino ne sono sorpresi. Per cedere ai loro voti, si dovette aggiornare l'entrata del signor Della Rovere al ministero della guerra; bisognerò lasciar ancora due mesi in Sicilia il ministro designato, di cui il giovine ed abile generale Cugia farà l'interim. Si può dunque sperare che gli affari interni della Penisola non si guasteranno e che al contrario gl'Italiani, con quella intelligenza politica di cui diedero già tante prove, ascriveranno ad onore il mostrare all'Europa che son capaci di compiere l'opera da loro incominciata sotto la condotta del conte Cavour.

Nello stesso grado che l'unione, la prudenza è al presente il dovere degl'Italiani. Quale che sia l'opinione che gl'Italiani hanno di loro stessi, gli uomini savii fra loro non potrebbero disconoscere che l'Italia ha ora bisogno d'alleanze attivo, e che fra queste amicizie straniere la più efficace, la più decisiva è per essi quella della Francia. Per compiere la sua indipendenza e costituire la sua unità, l'Italia ha due questioni difficili a sciogliere la quistione di Roma e la questione della Venezia. Nè nel presente, né nell'avvenire l'Italia può sperare di sciogliere queste questioni senza il concorso, o almeno contro il volere della Francia. Noi non dobbiamo certo domandare all'Italia di dimenticare tali quistioni per lei vitali. Non potremmo pretendere ch'ella cessasse d'apparecchiarsi al compimento della sua indipendenza e della sua unità.

La Francia disconoscerebbe che ha fatto per l'Italia, mentirebbe a se stessa, cambierebbe la sua alleanza in ingerimento nocevole, se assumesse siffatte pretese;

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ma attenendosi all'alleanza, noi possiamo dimostrare all'Italia ch'essa deve, per reciprocità

Quanto alla questione romana, è chiaro che essa non può essere troncata colla forza, fin che la Francia rimarrà a Roma. Oltracciò ò chiaro che ogni soluzione ottenuta per via della forza sarebbe cattiva, ove anche la Francia sgombrasse il patrimonio della Chiesa.

La questione romana appartiene all'ordine morale; è nella sfera morale che il conte Cavour l'avea collocata, ponendo la libertà della Chiesa come il compenso magnifico dell'abdicazione del poter temporale. In questi termini stessi, la questione può esser proseguita più efficacemente che non si creda generalmente, o per lo meno può essere lasciata maturare. Si vede che gl'interessi stessi dell'Italia invitano gl'Italiani alla prudenza negli affari di Roma e della Venezia, e che so i consigli della Francia - non diciamo le condizioni da lei imposte raccomandano loro la saviezza, essi non fanno cho aggiungere ai consigli che dà già loro il giusto sentimento della loro situazione.

Abbiamo parlato con tutta quella delicatezza che ci era possibile della reciprocità che ci debbono gl'Italiani; ora ci distenderemo di miglior grado sugli obblighi che la morte del conte Cavour c'impone.

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Il conte di Cavour muore, noi non possiamo più differire di riconoscere il regno d'Italia. Finché il genio del grand'uomo di stato presiedeva al governo della Penisola, il nostro temporeggiare poteva essere coperto di pretesti che oggidì dispaiono. Potevasi dire che attestato così decisivo del concorso morale della Francia non era indispensabile all'Italia; potevasi far vista di temere che il conte di Cavour o spinto dalla concorrenza de' suoi rivali, o cedendo alle ispirazioni del suo ardire naturale, non traesse partito da quest'attestato della Francia per ispingere più innanzi i suoi disegni e le sue imprese. Dopo il fatto lamentevole che affievolisce l'Italia, né l'una ne l'altra scusa han più valore. Non solo l'Italia è affievolita dalla morte del conte Cavour, ma il rifiuto della Francia di riconoscerla la getterebbe in una crisi finanziaria che avrebbe inevitabilmente le più funeste conseguenze politiche.

É noto aver l'Italia bisogno per porre in equilibrio le sue finanze prestito di 500 milioni, assorbiti anticipatamente da disavanzo di 320 milioni. Il mercato francese è divenuto il mercato finanziario più grande dell'Europa. I valori piemontesi vi si sono naturalizzati da lungo tempo, e la rendita piemontese, oggidì divenuta rendita italiana, vi è stata sempre accolta con favore. Rifiutare di riconoscere il regno d'Italia, sarebbe chiudere il mercato francese al futuro prestito italiano, sarebbe dar funesto al credito dell'Italia, sarebbe gettar la Penisola in tutti i disordini rivoluzionarii, ai colpi della disperazione in cui è strascinato uno Stato o una nazione dalla ruina delle sue finanze. In qual tempo abbandonerebbe la Francia l'Italia ai suoi pericoli? Al tempo in cui essa è colpita da grande sciagura, al tempo in cui le più semplici considerazioni di giustizia e di politica comandano a alleato di dare soccorso al suo alleato.

Noi non abbiamo mai obbliato, per parte nostra, le risponsabilità che la Francia ha assunto verso l'Italia. Le invocammo fin giorno appresso alla pace di Villafranca, onde si lasciassero i ducati e la Romagna liberi di rifiutare impossibili restaurazioni e potessero regolar da se stessi la loro sorte. Noi le invochiamo ancor oggidì. Né gli avvenimenti hanno da tre anni cambiato la sorte d'Italia;

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vi sono state delle grandi risponsabilità assunte

Noi ci daremmo da noi stessi la più terribile smentita, diverremmo lo scherno e lo scandalo del mondo, noi daremmo l'apparenza di fare in mezzo al secolo XIX le guerre scucite e contraddittorie del regno di Luigi XV, se lasciassimo andar l'Italia verso l'abisso e se rifiutassimo di riconoscere - che cosa? - il nostro stesso lavoro. Noi lo speriamo fermamente, quest'errore non sarà commesso. Noi riconosceremo il regno d'Italia, lo riconosceremo quanto prima; lo riconosceremo congiungendo a quest'atto d'amicizia utili consigli, - noi lo vogliam bene - che provocheranno risposte rassicuranti, ma non subbordinandoli a condizioni che sarebbero crudeli all'onore italiano, e che sarebbero altamante impolitiche, poiché se fossero assolute, creerebbero impegni contrarii alla natura delle coso e impossibili a mantenere.

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III.

Dai primi giorni della malattia del conte di Cavour il re Vittorio Emanuele aveva spedito a Parigi il conte Vimercati appresso l'Imperatore per conoscere l'intenzioni di questo monarca sulle difficili circostanze in cui avrebbe potuto trovarsi l'Italia. A Fontainebleau giunse la notizia di questa morte all'imperatore, il quale si diè sollecita cura d'indirizzare al re d'Italia una lettera autografa piena di simpatia, e di consolatrici parole. In questo mezzo il ministero, di cui era stato a capo il conte di Cavour era rimasto tutto al suo posto accettando la responsabilità amministrativa e politica dello stato fino ad avviso che avrebbe dato il re. Questa assicurazione fu data al parlamento Ministro Mughetti mentre in questa assemblea si formava terzo partito, frazione della sinistra, a cui capo era il Depretis. Il suo programma era questo che segue:

Il terzo partito desidererebbe di riordinare l'Italia in grandi provincie, quasi come le regioni di Minghetti, che il Parlamento respinse ne suoi uffìcj. Esso darebbe una grande autonomia ai comuni ed alle provincie. E ciò che proponeva presso a poco il gabinetto attuale nelle leggi presentate ministro Minghetti che stavano per essere discusse dall'assemblea.

Il terzo partito domandava armamento militare nelle proporzioni di una grande nazione ciò che il ministro Fanti stava mettendo in esecuzione. Esso voleva una marina potente; e ciò che il conte di Cavour si occupava di creare. Il terzo partito darebbe inoltre grande impulso alla mobilitazione delle milizie nazionali. É ciò che il Parlamento sta per fare a proposito del progetto di Garibaldi.

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Il terzo partito farebbe in modo da presentare sempre il bilancio a tempo, affine di discuterlo seriamente prima di metterlo in azione. E questa una cosa a cui non credo che voglia opporsi il conte di Cavour, giacché egli ha promesso che il bilancio dell'anno venturo si troverebbe pronto nel mese di settembre.

Ma il terzo partito assicurava che andrebbe adagio nella creazione di nuove tasse. E questa, bisogna confessarlo, una magnifica promessa so potesse venir effettuata, a meno che questo buon terzo partito non abbia trovato il segreto dei cinque pani e dei tre pesci dell'Evangelio. A questa promessa stereotipata dì tutti i governi, bisogna aggiungere quella d'grande impulso da darsi ai lavori pubblici, la prosperità dell'industria e del commercio ed il resto che si dice nei programmi di tutti i governi.

Il terzo partito non insegnava le alleanze; ma voleva una buona amicizia con tutti senza essere vassallo di alcuno. Eccone il programma del sig. Depretis, uno dei principali capi del partito.

Pepoli vi aggiungeva il suffragio universale L'alleanza offensiva colla Francia. Lamarmora ne toglieva la mobilitazione della guardia nazionale. E Rattazzi addolciva tutto con tatto che danno la pratica e la comprensione, degli affari.

In somma questo terzo partito non aveva nulla inventato, e soprattutto che era troppo rivoluzionario.

Intanto noi dobbiam dire a lode del patriottismo italiano, che tutte le questioni personali, tutte le divisioni d'opinione si tacquero in faccia al feretro del conte di Cavour, e si aspettava in silenzio il risultato della decisione reale per la composizione d'nuovo ministero.

Fu il giorno 11 a sera che apparve il testo definitivo e completo del nuovo gabinetto così concepito:

Presidenza del Consiglio ed affari esteri, Ricasoli.

Interno, M in ghetti.

Finanze, Bastogi.

Guerra, Della Rovere.

Marina, Menabrea.

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Grazia e Giustizia, Miglietti.

Istruziune pubblica, De Sanctis.

Lavori pubblici, Peruzzi

Agricoltura e commercio, Cordova.

Non potendo il generale Della Rovere assentarsi dalla Sicilia il ministero della guerra viene retto per due mesi presidente del Consiglio. Il generale Cugia fu nominato segretario generale del ministero della guerra.

I ministri si radunarono la stessa sera a consiglio.

Il barone Ricasoli era additato a formare il gabinetto dalla situazione stessa e dalla sua propria posizione.

L'onorevole Minghetti aveva dapprima chiesto di ritirarsi, ma ha poscia ceduto alle istanze del barone Ricasoli e rimase al suo posto. I dissensi che erano tra lui ed il barone Ricasoli rispetto all'amministrazione interna, non riguardavano che alcune particolarità, intorno alle quali la Commissione della Camera ed il ministro dell'interno si erano messi d'accordo, ed il commendatore Minghetti, ritenendo il portafoglio, è nel consiglio il rappresentante meglio informato della politica del conte di Cavour ed il continuatore delle suo tradizioni.

La

Gazzetta del Popolo, parlando del nuovo ministero, diceva:

Salvo Ricasoli che aveva una personalità sua propria, e disgiunta (non però discorde) da quella di Cavour, il ministero può considerarsi composto di compagni politici del ministro estinto.

Cosicchè la politica cavouriana continuerà a reggere i destini d'Italia, con solo divario che vi potrà introdurre il nuovo elemento aggregato che si riassume in Ricasoli.

Se l'ingegno d'ogni singolo membro basta a rendere forte ministero, il gabinetto Ricasoli sarà fortissimo.

Bene spesso negli anni addietro rimproverossi a Cavour di circondarsi ad arte d'uomini di Stato secondarii per esser egli solo il vero ministro, e per potere in tal guisa con unità di pensiero imprimere maggior forza al movimento nazionale ed evitare quegl'interni dissidii, quelle influenze rivali che sono

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dapprima la debolezza, poi la rovina dei ministeri.

Non sappiamo se veramente Cavour abbia mai seguito di proposito un tale sistema, poiché la superiorità gli assicurava l'influenza anche fra colleghi di gran merito.

Certo è che ora col ministero nuovo faremo uno sperimento di diverso genere.

Ogni ministro ha una riputazione sua propria, e non potrà certo considerarsi come un commesso di qualsiasi de' suoi colleghi.

Le difficoltà sono gravi, ma grande è pure l'appoggio cho tutti i partiti costituzionali, parte per convinzione, parte per conciliazione, sono deliberati di dare ai nuovi ministri.

Dunque avanti e coraggio.

Il 12 Giugno il ministro Ricasoli, capo del gabinetto si presentò alla camera dei deputati, e fece, come segue, l'esposizione del programma politico del nuovo ministero:

Ricasoli bar. Bettino (presidente del Consiglio). Ho l'onore di partecipare alla Camera come la sera di sabbato decorso S.M. il Re credesse opportuno di appellarmi a sé onde affidarmi il difficile incarico di completare il ministero.

In breve fui in grado di presentare alla Maestà Sua una nota di egregi cittadini, la quale è stata approvata e mi pone oggi in caso di annunziare il ministero sostituito nelle persone che mi faccio ad indicare alla Camera:

Interni, comm. Minghetti; finanze, cav. Bastogi; marina, stata separata dal ministero degli affari esteri col quale era unita in passato, il gen. Menabrea; grazia e giustizia, l'avv. Miglietti; lavori pubblici, comm. Peruzzi; istruzione pubblica, cav. Desanctis; agricoltura e commercio, l'avv. Cordova.

Alla presidenza ed agli affari esteri, me stesso.

Avrei desiderato di annunziare pure definitivamente costituito il ministero della guerra. Questo ministero è così importante che certamente si sentiva da tutti la necessità di bene affidarlo.

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Questo stesso desiderio, questo stesso bisogno è causa che tuttora sia mantenuto vacante. Provvisoriamente saranno disimpegnati gli affari dal presidente del Consiglio, assistito dal gen. Cugia.

Signori deputati, chiamati dalla fiducia del Re a succedere nel governo dello Stato a quell'uomo illustre, che morte prematura tolse all'Europa con grave danno e con immensa sciagura all'Italia, noi accettammo per sentimento di dovere anziché per presunzione nelle nostre forze.

Nell'immensa sciagura che ci ha colpiti, noi non dubitiamo di affermare che nessuno ha piegato sotto il peso del dolore; nessuno ha dubitato delle sorti della patria.

No, o signori, il vasto concetto di quel grande uomo di Stato non periva con lui; quand'egli discese nella tomba, quel concetto era già fatto anima e vita d'un'intiera nazione. (Bravo Bene) Ora il compito nostro sarà di continuare quella opera, con ardimento, sapiente condotta già si presso al suo termine. In faccia all'Europa noi dobbiamo mantenere e propugnare il diritto che ha l'Italia di costituirsi e di comporsi.

La potenza ognor crescente della pubblica opinione, la saviezza, l'interesse dei governi, il bisogno generalmente sentito di por fine ad uno stato di cose dannoso per tutti ed anche pericoloso per molti, l'assistenza benevola dei potentati alleati, ai quali è chiaro come sia necessaria l'Italia unita e forte, ci fan sentire la fiducia che Europa non tarderà a riconoscere il nostro diritto. (Benissimo) Ma per qualunque fiducia che noi abbiamo nel cuore, l'Italia dev'esser apparecchiata ad ogni evento, dev'esser pronta a tutte le occasioni. (Viva approvazione della Camera ed applausi dalle tribune). Prima cura del governo, anzi primo suo debito adunque sarà di proseguire con alacrità indefessa l'armamento nazionale. (Bene)

Le somme necessarie agli apparecchi militari, quelle pure necessarie al compimento delle grandi opere pubbliche dalle quali deve svolgersi la potenza economica della nazione (bravo) non possono raccogliersi colle imposte. Voi signori siete chiamati a votare una legge, che autorizzi il governo a contrarre un prestito col quale far fronte alle necessità presenti.


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Nel tempo che ricorriamo al credito, noi non dimentichiamo come sia importante di provvedere ai modi di stabilire l'equilibrio tra lo entrate e lo spese, quest'equilibrio essendo la base del credito degli Stati. Tale scopo si può raggiungere per diverse vie, le quali opportunamente forse possono essere contemporaneamente esperimentate. Economie savie e graduate in ogni modo dell'amministrazione dello Stato; però l'effetto di questo provvedimento non può esser immediatamente sentito, inquantochè occorre che sia accompagnato dagli ordinamenti coi quali il Parlamento crederà di stabilire la nuova amministrazione del regno. Altro modo; l'aumento delle pubbliche imposte egualmente ripartite. Progressivamente anche le entrate pubbliche cresceranno in grazia delle nuove istituzioni, in grazia dei provvedimenti saggi che il Parlamento ha già adottati, che in seguito anche adotterà sulle proposizioni del governo.

Noi vogliamo procedere il più rapidamente che sia possibile all'unificazione governativa; l'unificazione legislativa spetta particolarmente al Parlamento. Il discentramento amministrativo deve principalmente conseguirsi con libertà comunali e provinciali.

Il ministero precedente riconobbe d'accordo colla Commissione chiamata allo studio delle leggi amministrative, che non sarebbe possibile in questo scorcio di sessione di votare quelle leggi; venne però d'accordo nelle necessità di alcuni provvedimenti di urgenza i quali in breve saranno presentati alla Camera nella cui saggezza confida il governo che saranno accolti con favore nell'interesse delle popolazioni.

Infine gli è nello statuto, gli é nelle leggi che fanno corona allo statuto che il governo cercherà sempre la forza, il vigore per mantenere l'ordine pubblico. Il più solido fondamento della autorità governativa è il rispetto allo statuto ed alle leggi. (Bravo) Imperocchè le leggi, segnando i limiti rispettivi e della autorità governativa e delle libertà pubbliche, fanno certi che sia del pari utile e necessario alla felicità dello Stato tanto il diretto esercizio del governo, quanto il pieno svolgimento della libertà, (Bravo)

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Quindi il governo a mantenere l'ordine, non come negazione di libertà, ma come garanzia (vivi segni di approvazione), come conciliazione di tutte le libertà, darà mano ferma e vigorosa.(Bene)

Signori, questi sono gli intendimenti precipui che il ministero intende adoperare a guida del suo governo. Fedele ai grandi principi! che il Parlamento ha consacrato in tante occasioni solenni, il ministero confida nella continuazione dell'appoggio dei rappresentanti della nazione; confida nel senno, nel patriottismo di tutti gli Italiani; confida in quella concordia civile che nei momenti perigliosi e decisivi fa salve le sorti di una nazione. (Applausi nella Camera e dalle tribune).

IV.

Rendendo conto ai nostri lettori dell'opinion della stampa europea sulla morte di Cavour, abbiam creduto superfluo il far menzione di quella dei giornali italiani. E di vero tutti erano stati unanimi nel dolore per la perdita del grand'uomo di Stato, a cui l'Italia deve una si grande riconoscenza: ed in ciò essi non hanno fatto ch'essere gl'interpreti dei sentimenti delle popolazioni, alle quali s'indirizzavano, e le cui manifestazioni di cordoglio giungevano da tutte le parti per mezzo del telegrafo al governo italiano come una conciliazione e come un raddoppiamento di speranze. Forse non fu mai che la storia abbia constatato un tutto così spontaneo, così verace ed universale per tutta l'estensione d'un regno. A Torino, a Genova, a Milano, a Livorno a Firenze, a Napoli, era per tutto non solamente una funebre cerimonia, ma un deliberare dei corpi municipali per innalzar monumenti alla memoria dell'illustre defunto. Né dei loro sentimenti gli furono tacite Venezia o Roma, che pur manifestarono la loro pia riconoscenza. NeIl'italiana città, regina dell'Adriatico,

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non si mostrarono i cittadini per tre giorni, fuorché in abito di tutto. Così fu a Mantova malgrado la seguente circolare emanata dalle autorità austriache.

ALLE DEPUTAZIONI COMUNALI

N. 599 P. S.

Mantova 7 Giugno

Ella sarà già a cognizione dietro notizia recata dai pubblici fogli, come il presidente del ministero sardo in Torino il conte Camillo di Cavour sia ieri mattina mancato ai vivi.

Essendo più che probabile che il partito esaltato approffitti di tale occasione per nuove pubbliche dimostrazioni, la interesso ad emettere ancora in tempo utile le occorrenti disposizioni onde impedire e prevenire qualsiasi dimostrazione antipolitica.

A tal uopo vorrà richiamare tutti i parrochi delle parrocchie onde, sotto la propria loro responsabilità, non abbiano a celebrare messa o funerali in memoria dell'estinto ministro, riferendomi ogni interessante emergenza e l'impressione prodotta nel pubblico da tale notizia.

Alla deputazione comunale

di......

L'imp. r. comm. sup. di polizia,

RESMINI

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Ma nulla valse ad impedire clic l8 corrente tutta la popolazione fosse a bruno vestita, e che si facessero celebrare con grande concorso di popolo messe funebri nella chiesa di S. Andrea, ed in quella della Madonna del Terremoto.

A Roma, siccome sarebbe stato impossibile al partito liberale di trovar pur una chiesa che s'aprisse alla celebrazione d'un tal funerale, si ebbe ricorso alla scelta di un teatro per manifestarvi il sentimento comune.

Dopo aver tenuto il corrotto di tre giorni per la morte del ministro Cavour, col non frequentare i teatri, martedì 11 Giugno approfittò della beneficiata della ballerina Ernesta Wultier, per fare una clamorosa manifestazione, che riuscì nell'intento.

Il teatro Alibert che è il più vasto di Roma, riboccava di gente, tutti i palchi e la platea erano stipati. Non s'ignorava che dovea farsi una qualche dimostrazione: perciò molti e molti furono solleciti di procurarsi un biglietto d'ingresso pagandolo a caro prezzo a quella nefanda classe che ne fa incetta e che in Roma viene designata col nome di bagberini. Al primo presentarsi della ballerina, il pubblico l'accolse con battimani; ma quando ella bellissima com'è ebbe eseguita una parte del ballo, fu salutata da fragorosi applausi, e regalata di grossi mazzi di fiori. Un immenso mazzo era stato intrecciato in modo che formava la bianca croce di Savoia, circondata dai tre colori nazionali, e a quella vista il pubblico, o meglio dirò il partito liberale, che si era riunito in platea e in alcuni palchi, cominciò a gridare: Viva Vittorio Emanuele! Viva ' Italia I e di mezzo a questi viva, altri mazzi di fiori venivano gettati alla bellerina: tre ghirlande furono gettate, ciascuna di un sol colore, che raccolte e tenute in mano dalla Wultier, formavano i tre colori nazionali. Quindi nuovi e crescenti applausi.

Alcuni tentarono dal loro palco di paralizzare questa manifestazione, col gettare fiori bianchi, ma non riuscirono; vennero accolti a fischiate. Stavano al Teatro Alibert S. A. il conte di Trapani, il generale conte Govon, comandante l'armata francese, e altri distinti personaggi. Vi si trovava vestito alla borghese, anche il colonnello Rossi, comandante la legione romana della

gendarmeria; ed egli rimase stordito,

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perché si era recato al teatro senza sapere che si dovea fare la dimostrazione! Sei soli gendarmi stavano all'ingresso del teatro, e il colonnello Rossi, dopo quello ch'era accaduto, uscì e ne fece entrare dodici. A quella vista la platea si vuotò, e anche da molti palchi partirono gli spettatori. Così da 300 e più persone si schierarono fuori del teatro; ma subito partirono, quando videro che la forza dei gendarmi cresciuta frugò addosso a due, fra quali certo Massi: però nulla trovò, e li dimise. Il teatro fu chiuso.

Parigi, questo centro della civilizzazione moderna non volle rimanere insensibile alla perdita del grand'uomo di Stato, del primo ministro del nuovo regno d'Italia, cementato sangue della Francia.

funerale fu celebrato nella chiesa della Maddalena da Monsignor Deguerry. paramento nero ad argento che ricuopriva tutta la navata e il coro, era rilevato da fasci di bandiere italiane. Una folla numerosa rifluiva sino alla strada reale. Il generale Vaillant, Touvenel, Persignv, Mornv, Magnan, Laguerroniere, e molti altri illustri personaggi assistevano a questa cerimonia. L'imperatore e i principi vi erano rappresentati, ed a fianco della legazione di Torino si vedevano officiali polacchi, ed ungaresi, deputazioni dei giornali francesi, e studenti di diverse facoltà, come anche degli ufficiali garibaldini.

All'uscir della chiesa s'udivano delle grida di Viva l'Italia! e gli ufficiali garibaldini furono salutati grido di Viva Garibaldi!

L'Imperatore che portava all'illustre defunto amicizia particolare, ordinò che il busto di Cavour fosso collocato in segno d'onore nella galleria di Versailles, e per più onorar degnamente la sua memoria si preparò a fare riconoscere officialmente dalla Francia il nuovo regno d'Italia.

Già fin dai primi giorni di Giugno egli aveva fatto rispondere ai governi spagnuolo ed austriaco, che sollecitavano una lega in favore del poter temporale del Papa la nota seguente del ministro degli affari esteri.

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«Parigi 6 giugno,

«Signore,

«Ho ricevuto la nota che V. E. mi ha fatto l'onore d'indirizzarmi in data del 28 maggio, e nella quale essa mi esprime il desiderio del suo governo intendersi col governo dell'imperatore per assicurare, in modo definitivo e mercé l'accordo delle potenze cattoliche, il mantenimento del potere temporale della Santa Sede.

«Dalla parte sua, F ambasciatore.... si è disimpegnato presso di me d'una pratica tendente al medesimo scopo. Il mio primo dovere era di mettere sotto gli occhi di S, M. queste im portanti comunicazioni, ed io mi trovo oggi in grado di rispondervi.

«I sentimenti ispirati al governo di.... dalla posizione del S. Padre sono intieramente conformi a quelli che prova lo stesso governo dell'imperatore. Esso ha deplorato, come ha biasimato F aggressione diretta contro gli Stati pontificj; e se le gravi considerazioni politiche di cui l'Austria e la Spagna tennero egualmente conto a quell'epoca, non permisero maggiormente ad esso di reagire contro gli avvenimenti compiuti, esso però nulla trascurò per limitarne le conseguenze. Il corpo d'occupazione a Roma fu senza ritardo aumentato, ed il Papa potendo restare con sicurezza nella sua capitale, in mezzo al turbine che agitava l'Italia ha dovuto alla presenza delle truppe francesi la conservazione di una parte del suo territorio.

«Il governo dell'imperatore, con atti ai quali, io lo constato con soddisfazione, il governo di... non esita a rendere omaggio, ha così mostrato e mostra sempre profonde ed invariabili simpatie che lo animano riguardo al capo della Chiesa. La situazione precaria che le circostanze hanno fatta al potere temporale della

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«Non crederei utile, tuttavia, signor, di discutere qui, col necessario sviluppo, il sistema secondo il quale gli Stati del Papa e la città di Roma costituirebbero, per così dire, una proprietà di mano morta, appartenente alla cattolicità tutta intiera e collocata, in virtù d'diritto che non è scritto in alcun luogo, al disopra dei diritti che regolano la sorte delle altro sovranità. Io mi limito solamente a rammentare che le più antiche come le più recenti tradizioni storiche non sembrano sanzionare questa dottrina, e che l'Inghilterra, la Prussia, la Russia e la Svezia, potenze separate dalla Chiesa, hanno firmato a Vienna, allo stesso titolo che la Francia, l'Austria, la Spagna ed il Portogallo, i trattati che restituivano al Papa i possedimenti da lui perduti.

«Le più alte convenienze, mi affretto di proclamarlo, si accordano coi più grandi interessi sociali, per esigere che il capo della Chiesa possa mantenersi sul trono che i suoi predecessori occuparono da tanti secoli; l'opinione del governo dell'imperatore è fermissima a questo riguardo, ma egli pensa pure che il savio esercizio dell'autorità suprema e il consenso delle popolazioni siano, negli Stati romani, come altrove, le prime condizioni della solidità del potere. I pericoli più gravi che minacciano oggi il dominio temporale della Santa Sede, provengono, è vero, di fuori, e se l'occupazione di Roma provvede alle necessità del presente, l'avvenire rimane esposto ad eventualità che noi vorremmo sinceramente scongiurare.

«L'Austria e la Spagna, signor, convengono con noi in questo compito, ma esse non indicano l'insieme dei mezzi da porre in opera per effettuarlo; eppure alcune spiegazioni da parte loro sarebbero tanto più necessarie in quanto che la loro posizione rimpetto all'Italia, diversifichi sotto certo aspetto, da quella della Francia.

«Noi vedemmo con rammarico le stipulazioni di Villafranca e di Zurigo non ricevere la loro completa esecuzione, e avremmo desiderato che la monarchia delle Due Sicilie non fosse rovesciata.

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Nulladimeno il corso degli avvenimenti, mentre contrariava i suoi voti, non ha colpito il governo dell'Imperatore in modo così diretto come le corti di Vienna e di Madrid.

«Senza accordar la nostra approvazione a quanto è avvenuto, senza voler coprire della nostra garantia l'esistenza del nuovo stato di cose, nessun interesse dinastico c' impedisce di annodare relazioni normali col regno d'Italia, e l'ostacolo al suo riconoscimento non risiede per noi che nelle difficoltà inerenti agli affari di Roma.

«Ci è egli permesso di sperare che l'Austria e la Spagna siano, fin presente, disposte a collocarsi a questo di vista, e che la loro sollecitudine per la Santa Sede la vinca sovra qualunque altra particolare considerazione?

«Ecco una domanda ch'io faccio a me stesso, piuttosto di rivolgerla all'E. V.; il dubbio stesso però ch'essa solleva e le conseguenze che ne derivano non mi permettono d''apprezzare con tanta esattezza quanta ne farebbe mestieri la natura dell'azione comune proposta governo di

«Io non dissimulerò, sig...., che col principio di non intervento il quale ha salvato la paco dell'Europa escludendo oggi, come anno fa, l'uso della forza, esiste, a' nostri occhi, una stretta connessità tra le regolarizzazioni dei fatti che hanno così considerevolmente 'modificata la situazione della Penisola e lo scioglimento da darsi alla questione romana, Il governo dell'Imperatore sarebbe dunque felicissimo d'intendere che l'Austria e la Spagna giudicassero possibile d'entrare pure nella sola via che gli sembra dover condurre, senza nuove scosse, ad pratico risultamento; esso però non esita, in ogni ipotesi, a dar L' assicurazione che non aderirà, per parte sua, ad alcuna combinazione incompatibile col rispetto che esso professa per l'indipendenza e la dignità della Santa Sede, e che sarebbe in disaccordo coll'oggetto della presenza delle sue truppe a Roma.

«Gradite ce.

«THOUVENEL «

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Tuttavia egli rifiutò di ricevere la deputazione romana incaricata di presentargli, come al Re d'Italia, l'indirizzo degli abitanti di Roma segnato da 10,000 firme: il quale indirizzo il conte Lorenzini, e il Sig. Silvestrelli, membro della camera dei deputati, avevano avuto l'onore di presentare il 22 Giugno a S. M. Vittorio Emanuele, che rispose loro in queste parole:

«Sospiro che i voti espressi dai romani non tarderanno ad essere esauditi. Fu sempre mio pensiero di costituire l'Italia in nazione una e per giungere a questo fine Roma è necessaria. Lo scioglimento delle questioni è ormai a buon porto, ma si tratta essenzialmente di ottenere una vittoria morale. Sono certo della riuscita e fra poco. Non bisogna guardare alle apparenze.

Il re parlò in seguito della Venezia.

» Qui la faccenda è più seria. A suo tempo si tratterà di chiamare e di mettere in opera tutte le forze della nazione. Nonostante ho fede e piena fede negli italiani che hanno risposto sempre al mio appello; ne ho avuto prove bastanti.

«Nei tempi di suprema difficoltà l'Italia ebbe fede nel suo re quando tutta l'Europa era contraria all'Italia e l'Austria, vittoriosa a Novara, ci minacciava sempre: Essa darà certamente tutte le sue forze nella lotta suprema alla quale sarà chiamata per il riscatto della Venezia.»

Il re soggiunse che vedeva con piacero gli omaggi che l'Europa intera rendeva al sig. di Cavour, ma non doversi dimenticare ch'egli aveva preso l'iniziativa e che prima dell'entrata di Cavour al ministero aveva resistito per tre anni interi alle pressioni interne ed esterne e si era mantenuto nella via liberale nazionale.

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deputato disse poi al re che dove iscoppiasse la guerra egli dovrebbe risparmiar la sua vita.» Che importa? rispose Vittorio Emanuele, sarà l'ultima guerra d'Italia: d'altronde ho dei figli.

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INDICE

DELLA

PARTE QUARTA

CAPO I.

Pagine

I. Attedio di Gaeta -Descrizione topografica della città e dei dintorni - Cenno storico - Fortificazioni della piazza, dalla parte di terra e di mare - Situazione materiale e morale della guarnigione - Personale dell'armata al servizio di Francesco II. - II Posizioni occupate, dall'armata Piemontese - Il generale Cialdini al comando dell'assedio - Il general Menabrea dirige le operazioni del genio - Le truppe borboniche, le quali non erano state situate nella piazza, accampate al borgo- Ass alto del borgo per le truppe piemontesi che se ne impadroniscono. III. Cattivo approvigionamento della piazza e degli ospedali - Il S. pozzo di borgo è inviato parlamentario al general Cialdini - Suo abboccamento col general sardo - Sortita fatta dalla guarnigione, e diretta general Bosco - II capitano Ming rimane ucciso - Altra sortita della piazza per fare saltar via tre case del borgo - Ordine del giorno di Francesco II alle sue truppe IV. Opere degli asssediati II numero delle loro batterie a' accresce ogni giorno - V. Progetto fatto alla corte di Gaeta di una spedizione alle Calabrie - Questa spedizione, più volte aggiornata, non ha luogo cagion d'esitanza per parte dei capi - Indirizzo degli

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CAPO II.

Il principe di Carignano arriva a Napoli - come è accolto - suo proclama ai napolitani - Proclama di Vittorio Emanuele all'occasione della nomina del principe alla locotenenza di Napoli - Primi atti del principe locotenente generale - Egli incarica Liborio Romano del ministero dell'interno - Reazione nelle provincie napolitano - Manifestazione a Napoli contro il ministro Spaventa - Comitati elettorali stabiliti a Napoli - i. Sicilia - Agitazione a Palermo e a Girgenti contro la Farina e Cordova - Ristabilita la calma, si prende cura dell'elezioni generali. - III. Garibaldi riceve a Caprera la Stella dei Mille, che gli va ad offrire il general Turr nel medesimo tempo eh' una collana di diamanti, presente di Vittorio Emanuele per la figlia dell'ex-Dittatore - Descrizione della Stella dei Mille - Garibaldi accetta la presidenza dei comitati di provvedimento - Decreto del Governo Sardo relativo ai volontari

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- Il governo Sardo pubblica la legge relativa alla soppressione delle comunità religiose - Protesta dei membri dell'alto clero contro questa legge - Circolare del ministro della guerra per la incorporazione nell'armata, dei prigionieri fatti nelle ultime campagne - Arrivo a Genova di 20,000 uomini avanzi dell'esercito napolitano - 1 general Fanti pubblica il decreto relativo alla coscrizione militare nelle Marche e nell'Umbria - Destituzione dell'Intendente militare di Modena - V. Roma - general De Govon e il corpo d'ufficiali dell'armata d'occupazione vanno a complimentare il Papa per f anno nuovo - Risposta del Papa alle parole del general francese - 85 Nobili volontarii arrivano di Francia a Roma - Risposta del general Lamoriciere ai legittimisti francesi, che volevano offrirgli una spada di onore - Alcune bande della reazione si rifugiano net territorio pontificio - I Zuavi del Papa attaccano il posto Sardo di ponte Corese, e se n' impadroniscono.- L'autorità militare francese s'intromette per impedire che le truppe Piemontesi non cerchino di vendicare questa aggressione - Rapporto del locotenente colonnello Reedelievre sopra quei? affare.

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CAPO III.

La Flotta francese s'allontana da Gaeta, il 19 allo spirare dell'armistizio - Francesco II invita gli agenti diplomatici accreditati presso di lui a fermarsi nella piazza - Esitazione dalla parte di questi ultimi

- lì Ministro Casella rimette loro una nota, nella quale é rinnovato il medesimo invito - Il nunzio, l'ambasciator d'Austria, e il ministro di Sassonia e di Raviera

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- l'ammiraglio Persano con la sua marina - Guasti e perdite in Gaeta e fra gli assediami - Nella piazza ti manifesta il tifo - . Sforzi degli assediami per provarsi a controbilanciare quelli dell'artiglieria sarda - Si fonde qualche cannone rigato e se ne riga dei lisci. La fase critica dell'assedio comincia il A febbraio per l'esplosione di deposito di polvere - Il 5 grande esplosione della polveriera, delle batterie Cittadella e S. Antonio - Guasti enormi - Il generale del genio Traversi è fra le vittime di questo disastro La piazza chiede al general Cialdini una tregua di 48 ore per cavar fuori dalle rovine quelle vittime - La tregua è accordata- consiglio di guerra adunato a Gaeta per deliberare se la resistenza è ancora possibile - Questa questione è decisa affermativamente - Domanda d'una nuova tregua di 2 ore con autorizzazione di evacuare i malati su Terracina - Cialdini accorda guest altro tempo e fa egli stesso trasportare i malati a Napoli - IV. Spirata la tregua gli assediati ricominciano il fuoco - La città ne va in rovina - Uno scudiero dell'Imperatore Napoleone porta a Maria Sofia una lettera della Imperatrice Eugenia - Una nuova tregua di 45 giorni è domandata dagli assediati per trattare della dedizione della piazza - Rifiuto del general Cialdini, Il quale ti dichiara disposto a trattare della capitolazione

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- Abboccamenti - L'esplosione della polveriera Transilvania decide Francesco II a segnare la capitolazione - Testo - Partenza di Francesco II, e di sua corte sul vapore Francese la Mouette - Suo proclama all'armata - Le truppe Piemontesi prendono possesso - Ordine del giorno del generale Cialdini - Effetto prodotto in Europa dalla notizia della capitolazione di Gaeta - V. le cittadelle di Civitella del Tronto e Messina rifiutano di arrendersi - Gioja degli abitanti di Messina risapendo la presa di Gaeta - II general Cialdini si reca sotto le mura di Messina, e fa degl'intimi più energici al general Fergola, governatore di questa fortezza.

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CAPITOLO IV.

I. Apertura delle camere legislative in Francia - ti aspettano degli schiarimenti sulla questione italiana nel discorso dell'Imperatore napoleone - Nota del Moniteur Universel a questo soggetto - Analisi del discorso imperiale - Opinione della stampa su questo discorso - II. La regina d'Inghilterra apre ta sessione del parlamento - Estratto del suo discorso - Spiegazioni di Lord Russel - . Apertura del nuovo parlamento Italiano - Dettagli sulla nuova sala dei deputati - La città di Torino, per rendere omaggio al re Vittorio Emanuele, gli offre ima corona f oro, ed una statua di marmo - Viaggio del re a Milano - Decreto che abolisce l'autonomia della toscana - IV. Francesco II sbarca a Terracina - suo viaggio, e suo arrivo a Roma - suo ricevimento - Sua protesta alle potenze V. Riunione del parlamento italiano - Discorso di apertura, pronunciato re Vittorio Emanuele - Opinione della stampa sopra questo discorso - Appendice.

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CAPO V.

A Torino il senato vota l'indirizzo al re - Il testo - Discorso del presidente Zanolini alla camera dei deputati Progetto di legge per dare a Vittorio Emanuele il titolo di re d'Italia - La città di Torino offre al re una corona d'oro - Indirizzo del cav. Cibrario- II. Dimostrazioni in Roma alla notizia della presa di Gaeta - Ordine del giorno del general de Govon: -Agitazione anche in Venezia - Severi provvedimenti presi general comandante delle truppe austriache - Opuscolo pubblicato a Parigi col titolo. La Francia, Roma, e l'Italia. - Sunto - Nota del cardinale Antonelli contro quest'opuscolo - Papa e la Diplomazia, del S. Veuillot - padre Passaglia chiede udienza al S. padre, la quale gli viene negata - Nota segreta del gabinetto austriaco a quello francese sul proposito di Roma - III. discussione del paragrafo dell'indirizzo riguardante la quistione italiana, al senato francese - occhio sulla composizione di quest'assemblea - Discorsi dei signori Larochejaquelin, Pietri, e il Principe Napoleone, del cardinale Mathieu, e del Cardinal Donnet - Discorso del sig. Billaut ministro senia portafoglio, e del Baron de Boissv - L'Imperatore complimenta il suo cugino, Principe. Napoleone, sul suo discorso - Il re Vittorio Emanuele scrive al medesimo una lettera di ringraziamento -IV. Napoli - Dimissione di Liborio Romano - Partenza della (lotta britannica - Banchetto e congedi di simpatia verso la causa italiana per parte dei Marinai inglesi - Palermo - Nomina di comandante militare - suo proclama - Provvedimenti presi dalle autorità per assicurare la tranquillità pubblica sanguinosi avvenimenti a s. Margherita.

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CAPO VI

I. Il parlamento italiano discute e vota la legge che conferisce a Vittorio Emanuele, e a' suoi successori il titolo di re d'Italia - Rapporto sulla nuova organizzazione amministrativa del regno - Quadro della forma sione dell'armata italiana - II. Assedio della cittadella di Messina - Capitolazione di questa piazza - Civitella del Tronto parimenti assediata persiste nella sua resistenza - Circolare di Francesco II alle potenze - Assalto dato generale Mezzacapo al forte di Civitella. che si arrende il 27 Marzo - III. Paragrafo dell'indirizzo relativo all'Italia, discusso al corpo legislativo francese - Rendiconto delle sedute, in cui ebbe luogo questa discussione - Allocuzione del Papa al concistoro segreto del 48 Marzo - IV. Discussione della questione italiana ai parlamenti inglese e spagnolo - Sunto di queste discussioni- V. Le interpellanze dirette al ministero italiano circa la situazione delle provincie napoletane provoca la dimissione in corpo del gabinetto - Discorso del conte Cavour presidente del consiglio, che annunzia alla camera questa determinazione - nuovo ministero è composto - Sua composizione - VI. interpellanze sull'Italia Meridionale - Sedute della camera dei deputati - Testo dei discorsi - l'ordine del giorno Boncompagni sulla questione Romana è adottato.

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CAPO VII

Governo francese invita il Gabinetto di Torino a sospendere la soluzione della questione Romana - Risposta del signor di Cavour - Attitudine minacciosa dell'Austria in faccia all'Italia - Proteste dei Duchi di Toscana, e di Modena, e della duchessa di Parma - Nota del Conte di Rechberg - Lettera del principe L. Murat, disapprovata dall'imperatore Napoleone III

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- Provvedimenti militari presi Governo Italiano per l'attitudine minacciosa dell'Austria: - II. Garibaldi lascia Caprera, e giunge a Torino nel momento che si discuteva nel parlamento la situazione delle provincie Meridionali - Diversi ordini del giorno proposti in questa discussione - II. Garibaldi si presenta alla camera dei deputati vi presta giuramento - Sua lettera al presidente di questa assemblea - Decreto del governo italiano sui volontari dell'armata meridionale - Proposizione di Garibaldi per l'armamento generale della nazione - Difficoltà economiche - estratto del preventivo - Mota delle spese di guerra 1859 al 1864 - Discussione parlamentare della proposta di Garibaldi - Dibattimenti clamorosi - Lettera del general Cialdini - Risposte di Garibaldi e del general Sirtori a questa lettera - Rivolta di una porzione dei volontari in guarnigione a Mondovì - Garibaldi fa domandare abboccamento al sig. Di Cavour - Riconciliazione di Garibaldi con Cavour e il general Cialdini - IV. Questione Romana portata innanzi al senato italiano - Interpellanze del senatore Vacca - Risposta del presidente del consiglio - Ordine del giorno del senator Mattaieci - ministro dell'interno Minghetti propone al senato l'istituzione d'una nuova festa nazionale - V. Dopo i dibattimenti della questione romana, il governo pontificio protesta contro il titolo di re d'Italia conferito a Vittorio Emanuele dai rappresentanti della nazione - Nota del Cardinale Antonelli - deputati delle provincie Meridionali si riuniscono per invitare il governo italiano a protestare contro la corte romana - II partito liberale s'agita a Roma - partito borbonico unito a quello dei leggitimisti ti stabilisce due comitati - conte di Limmenge, Zuavo del papa è assassinato sulla piazza di colonna Troiana.

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CAPO VII.

I. Tumulti delle provincie napolitane - Origine del brigantaggio politico - Cospirazione reazionaria a Napoli - Dettagli - Ammutinamento dei cochi - E della guardia nazionale - Ordini del giorno del generale comandante Topputi - . Tumulti e brigantaggio nella Basilicata - Carmine Donatelli detto Crocco e sua banda - Venosa e Melfi saccheggiate -. Ordine del giorno del principe di Carignano locotenente [del re all'occasione di questi disordini - Estratto della gazzetta officiale del regno, che ne rende conto -Turbamento a Palermo, ordine del giorno del locotenente regio in Sicilia - III Unificazione del debito pubblico in Italia Creazione del gran libro proposto in parlamento ministro delle finanze - Proposta d'prestito di 500 milioni, esposizione dei motivi fatta alla camera dei deputati Creazione di nuove monete col conio del regno d'Italia Istituzione della festa Nazionale dello statuto - Decreto IV. Venezia rifiuta di nominare i deputati al consiglio dell'impero nuovamente istituito dall'Imperatore d'Austria - Numerosi Austriaci passano in Italia - Avviso pubblicato locotenente generale dell'Austria in Venezia - V. La presenza a Roma di Francesco II é vivamente combattuta gabinetto di Torino - Tentativi del conte di Cavour per ottenere governo francese che decida il S. padre ad allontanare di Roma l'ex re delle due Sicilie - Pratiche officiali tentate dall'ambasciatore di Francia a questo proposito - Risposta del cardinale Antonelli - Spiegazioni del giornale la patria relativamente alla situazione della Francia con Roma - L'obolo di S. Pietro alimenta e sostiene le finanze pontificie - Articolo del giornale di Roma sul prodotto del danaro di S. Pietro - giornali italiani sperano sempre l'evacuazione di Roma dalle truppe francesi.

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CAPO IX

I. conte Ponza san Martino è nominato locotenente del re nelle provincie napolitane in rimpiazzo del Principe di Carignano - Ordine del giorni del principe per annunziare la sua partenza - proclami del nuovo locotenente ai napolitani - Estratto del rapporto del conte Nigra sulla gestione del principe Carignano - Circolari indirizzate conte San Martino ai diversi funzionari - Sistema di conciliazione - II. comitati borbonici, loro Costituzione, e loro corrispondenze - Formolo di giuramento degli affigliati - Ostilità del clero napolitano contro il governo italiano. Chiavone e la sua banda - Sacco di Monticelli e di Fondi - Briganti posti in fuga dalle forze italiane - Brigantaggio a S. Maria di Capua- Bomba incendiaria scoperta presso il teatro S. Carlo - III. Disordini a Milano - Proclama del sindaco di questa città - Arresti dei perturbatori - La corte criminale procede su quest'affare - Dettagli IV. Disordini a Catania -Situazione generale della Sicilia - Una banda di briganti apparisce nell'Umbria, ed è subito discacciata dalla parte degli Appenini, e dispersa.

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CAPO X.

I. Il ministro dell'interno Minghetti offre la dimissione perché la commissione della camera dei deputati non approvava il suo progetto di legge sulle circoscrizioni amministrative - Ritiro dell'Exequatur ai consoli di Baviera, di Wurtemberg, e di Mecklembourk - Nota diplomatica del conte di Cavour a questo proposito - Festa dello Statuto italiano - Rifiuto di cooperazione del Clero avviso della Corte di Roma Particolari della festa II. Malattia ed ultimi momenti del conte Cavour suoi

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- Cerimonia funebre a questo effetto celebrata in Parigi alla chiesa della Maddalena - L'imperator Napoleone fa porre il busto di Cavour nelle gallerie di Versailles - Nota del ministero estero di Francia al proposito della questione Romana - Presentazione dell'indirizzo degli abitanti di Roma S. M. Vittorio Emanuele - Risposta del re alla deputazione incaricata di presentargli quest'indirizzo.

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AVVISO

Si avvertono i Sig. Associati alla Cronaca della guerra di Italia, che la nota per la distribuzione dei ritratti del presente IV Tomo sarà data alla fine del quinto volume. E ciò stante che alcuni ritratti che apparterranno al quarto, verranno stampati e dati nel corso del quinto; come appartengono al quinto alcuni di quelli che già abbiamo pubblicati. Di questo è causa la difficoltà del provvedere i medesimi da diverse parti d'Italia e di Francia: al quale inconveniente si ripara col non legare i volumi prima che non sia terminato il quinto.







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