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CIVILTÀ' CATTOLICA – XVIII 1867 (Pag. 612-617)
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CRONACA CONTEMPORANEA

Roma 23 Febbraro 1867.
COSE ITALIANE.
3. Comitali istituiti sotto la tutela del Governo di Firenze, per gettare
la rivoluzione in Roma; dichiarazione di guerra ai Zuavi pontificii


3. A Parigi si vanta molto, e si magnifica ufficialmente, la lealtà del Governo rivoluzionario di Firenze nel rispettare gli obblighi assunti verso la Francia, quanto al non assalire né lasciare assalire armata mano i quattro palmi di terra, che, dopo gli assassinii del 1839 e 1860, la Frammassoneria giudicò spediente restassero ancora per qualche tempo sotto la sovranità temporale della Santa Sede, affinché i fedeli si avvezzassero a poco a poco a vedere il Papa essere ridotto a condizione di suddito. Onde si possa valutare giustamente codesta decantata lealtà, importa mettere; in nota certi fatti, registrati nei diarii del Ministero di Firenze e diretti nella forma più evidente ed efficace a sommovere Roma, ad eccitarvi la ribellione, ed a rendere impossibile alla Santa Sede l'esercizio della legittima sua autorità sui pochi sudditi, che ancora non le furono violentemente sottratti.

È noto a tutti in qual modo si adoperi a questo effetto un cotale, che di mercante di campagna fu creato Sottoprefetto, e collocato dal Governo di Firenze quasi sulle porte di Roma; appunto perché e serva di veicolo alle corrispondenze, e sia distributore dei sussidii che si mandano ai satelliti mantenuti in Roma, e faccia da revisore a certi giornaluzzi serpentosi, che si stampano in una supposta tipografia nazionale di Roma, e che in realtà si fabbricano di tutto punto quale a Firenze e quale a Rieti, e quindi si distribuiscono clandestinamente in Roma e nelle vicine province.

Ma dove pure i novelli Pilati si lavassero le mani, chiamandosi innocenti di tale birbonata, perché non può essere comprovata da documenti ufficiali come legalmente imputabile a loro; resterebbero troppe altre dimostrazioni della loro lealtà. Tanto fa chi tiene, come chi scortica, dice il proverbio; e le leggi criminali fanno partecipare alla pena dell'assassino i complici che lo ricettano, lo tutelano, e, potendo e dovendo impedire il misfatto, lo lasciano compiere sotto gli occhi loro.

Orbene. Ecco istituiti pubblicamente in Firenze, sotto gli occhi del Governo e delle Camere, in Bologna, in Genova, più Comitati, che altamente professano per le stampe di volersi adoperare con ogni mezzo, per fas et nefas, non solo ad usare contro la Santa Sede i mezzi morali per soppiantarla, ma eziandio, appena potranno, i mezzi violenti della rivoluzione, della invasione a mano armata di fuori in aiuto dei felloni che si sollevassero di dentro; e per giunta danno chiaramente ad intendere che, colto il momento opportuno, son certi di non incontrare ostacoli da parte del Governo fiorentino, e son risoluti di passarvi sopra, se per cerimonia si tornasse a simulare una opposizione diplomatica ed ufficiale, come fu fatto nel 1859 dal Cavour per l'invasione della Sicilia, e da altri nel 1860 per l'invasione delle Marche e dell'Umbria. E di questi intendimenti professati nel modo più esplicito sovrabbondano le prove. Basta citarne alcune più espressive e recenti.

Abbiamo recitato a pag. 217-21 il Memorandum mandato adorno, e ristampato eziandio dai giornali più privilegiati del Ministero, con cui il Comitato di Bologna bandì, che i suoi satelliti accorrerebbero, pronti ad immolarsi, in aiuto dei ribelli che insorgessero in Roma. Pochi giorni dopo la Nazione di Firenze, organo riconosciuto del sig. Ricasoli, e così privilegiato, che può aver il testo delle leggi e dei documenti diplomatici anche prima del Senato e della Camera elettiva, la Nazione del 3 Febbraio ristampava per disteso un lunghissimo articolo del giornale clandestino Roma dei Romani, pieno zeppo di calunnie contro il Governo pontificio e di eccitamenti a ribellione; il quale articolo pare che fosse scritto da qualche infimo arnese di Polizia, tanto si mostra sperto conoscitore dei più abbietti ricettacoli, in cui questa dee pur troppo discendere. Quindi, nello stesso n. 34 recitava un Indirizzo della Unione liberale italiana di Bologna al Comitato nazionale romano, e diretto pure ai Romani ancora governati dalla S. Sede; nel quale si fanno a questi promesse larghe ed offerte di aiuto anche armato, dicendo: «Ci dirigiamo a voi per offrire tutti i mezzi di cui possiamo disporre, e che riteniate efficaci alla vostra liberazione». Ed è manifesto che il cantar canzoni, il portare corvatte tricolori, l'imbrattare i muri nelle tenebre della notte, lo spandere polveri venefiche o lordure sulle folle dei teatri, e simili spedienti fin qui messi in uso dal Comitato, non sono i più efficaci all’intento; e perciò si promette qualche cosa più concludente.

L'Indirizzo di cui parliamo, in data 2 Gennaio 1867 da Bologna, fu sottoscritto dai membri del Comitato centrale, che sono Rinaldo Simonetti, Senatore del Regno, Presidente; Augusto Aglebert; Ferdinando Berti; Federico Amici; C. Albicini; 0. P. Vitali; A. Marescotti; L. Berti; G. Rossi. E notisi bene che il personaggio che presiede al Comitato, si fregia del suo titolo ufficiale di Senatore del Regno. Tutto questo fracasso parve all’Opinione che fosse imprudenza, e biascicò alcune parole di biasimo. Ed ecco da capo il Filopanti, Presidente del Comitato degli emigrati romani in Bologna, darle sulla voce, e ribadire più alto i già annunziati propositi, mandando stampare sul Diritto del 16 Gennaro una sua lettera, dalla quale ci par bene trascrivere i brani seguenti:

«Non possiamo, non vogliamo, e non dobbiamo aver tanta pazienza rispetto agli abusi del temporale. Ciò che dee farsi è di distruggerlo nettamente e subito. So bene che quasi tutti i Deputati agognano in cuor loro la stessa cosa, benché non istimino opportuno di confessarlo. Ma come intendono essi che si ottenga?

«Se i signori Ministri e Deputati, diversamente da me, si lusingano di poter ottenere qualche cosa di buono dai signori in abito rosso o violetto, prendono una falsa strada, assicurandoli che non han nulla da temere, eccettochè dalla pienezza dei tempi. Li troverebbero probabilmente più arrendevoli, se sussurrassero loro pegli orecchi: «ossequenti al nostro magnanimo alleato, noi abbiamo ben posto un cordone di truppe per proteggere i vostri confini; ma in quella guisa che non abbiam saputo prevenire la rivolta di Palermo intesa contro di noi, così, malgrado la nostra buona volontà, saremo forse impotenti a prevenire una rivoluzione in Roma a favor nostro. Forse i diecimila romani, che voi avete fatto emigrare, e ben anche quell'uomo pericoloso di Garibaldi, potrebbero, con grande nostro rammarico, sfuggire alla vigilanza del nostro cordone sanitario, ed accorrere in aiuto delle guerriglie romane. A tale infausto evento, non mancheremmo al dover nostro di mandare le truppe nostre di linea a ristabilire l'ordine in Roma, e di lasciacele per mantenere l'ordine ristabilito. Che se per mala ventura i Romani, dietro ciò, volessero procedere ad un plebiscito, e riunirsi all'Italia, noi, sempre con nostro dolore, non potremmo impedirlo». Chi è che in queste beffarde dichiarazioni di rammarico e di impotenza, messe dai Mazziniani in bocca ai Moderati, non vegga scolpito il disegno a cui eseguire già si accingono; e pel quale, probabilmente, sono raunati in più città dell’Umbria, e vestiti a nuovo di tutto punto, con la loro propria divisa, e stipendiati a più centinaia i Garibaldini?

Il Governo di Firenze guarda e lascia fare, e benignamente assiste impassibile spettatore ai preparativi del masnadiere, che accumula paglia, fascine, legna, combustibili d'ogni maniera intorno alla casa del vicino, per mandarla a fuoco. Ecco la lealtà che eccita l'entusiasmo ufficiale a Parigi! E per virtù di questa stessa lealtà il Governo di Firenze guarda e lascia fare, anche in Genova, quel che pare e piace ad un altro Comitato; il quale mandò pubblicare nel Popolo d'Italia un altro indirizzo, che supera di gran lunga in fervore di spiriti e chiarezza di propositi quello di Bologna; imperocchè, dopo aver vuotato il sacco dei vituperii più orribili contro il Governo pontificio, appellandolo nemico di Dio e della civiltà, il bando così conchiude: «Nel seno dell'emigrazione romana residente in Genova, città delle iniziative liberali, si è formato un centro insurrezionale, che si prefigge il compito supremo, di aiutare a tempo opportuno i insurrezione del popolo romano. Questo centro ha una organizzazione ben definita ed un Comitato, dal quale per primo atto emana questo proclama d'invito alla vostra adesione, alla vostra coordinata e simultanea cooperazione. Per ragioni facili ad intendersi il Comitato si nasconde nell'ombra del segreto, e di quest'ombra avvolge tutte le sue azioni successive dirette allo scopo delineato. Emigrati! Il Comitato da voi aspetta annuenza alla sua iniziativa, fiducia cieca nella sua direzione, subordinazione a' suoi ordini, attività instancabile. Il Comitato da sua parte penserà al modo, e troverà i mezzi per porsi in relazione col popolo romano, e con i centri principali della nostra emigrazione. Viva l'unità d'Italia! Viva Roma capitale della nazione italiana! Genova, 13 Gennaro 1867. Il Comitato».

Costoro, che così apertamente si allestiscono a rinnovare contro Roma gli attentati compiuti nel 1860 contro la Sicilia ed il Regno di Napoli, sono in gran parte mantenuti sul bilancio delle spese segrete, o coi sussidii dati dal Governo all’emigrazione, od eziandio godono cariche, onori, stipendii del Governo stesso; il quale con solo alzare un dito, o negare loro la profenda, potrebbe farli star zitti e cessare da' loro scellerati maneggi; ed il Governo li lascia fare impunemente I Hanno dunque veramente bel garbo que' Signori, che, malgrado di questa manifesta complicità del Governo di Firenze con quanto v'ha di più scellerato e ribaldo nella setta massonica, pure non si ristanno dal magnificarne la lealtà e le ottime disposizioni verso la Santa Sede, e gettano sull'ostinazione di questa la colpa del non essersi ancora compiuta la bramata conciliazione, ed insistono perché il Papa si affidi interamente alla tutela dei suoi oppressori, commettendo ad essi la custodia armata delle sue province, la guarnigione della sua Capitale, la difesa della sua indipendenza e libertà!

Havvi però di quelli che sono, o si credono furbi, e si beffano di chi mostra di fare qualche caso di codesti Comitati, e con magnanimo disdegno van gridando: «Lasciate un po' i cani abbaiare alla luna, e non date corpo alle ombre! I Mazziniani da sé soli nulla possono, né oseranno mai da sé soli cimentarsi a violenze aperte contro Roma; ora è indubitato che il Governo di Firenze, per buoni motivi, né può né vuole discostarsi d'un apice dall'esatta osservanza della Convenzione del 15 Settembre; dunque tutto finirà in un po' di chiasso, in quattro spampanate da ciarlatani. Cose da ridere!» Affè che costoro mostrano d'aver dimenticato o di dissimulare a bella posta l'effetto, che i Mazziniani ottennero con simiglianti mezzi. Dalle bombe di Felice Orsini uscì la guerra del 1859, il non intervento del 1860 e la schiavitù di tutta Italia sotto il giogo settario. Chi vi assicura che la setta non sia disposta a ritentare, in diverse congiunture e contro altre persone, l'efficacia di cotali ammonimenti? 0 credete voi, che tra i Mazziniani non possa trovarsi un altro Felice Orsini, che debba essere incaricato di far risolvere qualche altro Sovrano a sdebitarsi delle fatte promesse, ed appagare i voli della setta anche contro Roma?

Intanto i giornali del Governo di Firenze, di quel Governo cioè che colla Convenzione del 15 Settembre riconobbe formalmente al Santo Padre il diritto di procacciarsi difesa armata con truppe di volontarii cattolici di qualsiasi nazione, non lasciano passare giorno alcuno senza rovesciare su questi, e specialmente sugli Zuavi pontificii, un nembo di atroci calunnie, per renderli odiosi, e per eccitare contro di essi il furore dei settarii. E con questo non fanno altro che eseguire gli ordini che il Comitato nazionale va promulgando. Infatti ecco quel che si legge in uno dei bandi da esso pubblicati, e stampato nel Nuovo Diritto del 15 Gennaio: «Una dimostrazione è al tutto sacrosanta e irrefrenabile, quella del più severo contegno contro agli stranieri, e, primi fra tutti, al corpo esecrato degli Zuavi. Questo corpo rappresenta la più lambiccata espressione del fanatismo religioso, è l'alleato e lo sgherro più fidato del dispotismo sacerdotale, è l'ultimo braccio armato del prete tiranno.

Fra questa ciurmaglia e noi nient' altro deve passare di comune, tranne una lotta a morte, che presto o tardi si combatterà. Non dobbiamo con essi avere comune nulla, né il tetto che ci ricopre, né l'aria che si respira». E qui intimalo l'ordine di astenersi «dai teatri e da ogni pubblico ritrovo, dove la odiata divisa comparisse».

Questo bando di guerra agli Zuavi fu spacciato clandestinamente dal Comitato nazionale alli 7 Gennaio. La sera del mercoldì 16 Gennaio se ne ricoglieva un primo frutto. Uno Zuavo dalla caserma di S. Calisto usciva sulle ore 7 e mezzo pomeridiane, ed erasi di poco innoltrato sulla piazza, quando un sicario ivi appostato gli si accostò, come una iena, dietro le spalle, e da perfetto traditore gli vibrò un colpo di pugnale al collo, che gli troncò la carotide, come un suo degno collega avea fatto al ministro Pellegrino Rossi. Lo Zuavo pochi istanti dopo fu morto.













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