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Di Piperno riportiamo anche un articolo pubblicato da LOOP del 19 febbraio 2011:

La retorica unitaria a 150 anni dalla conquista del sud di Franco Piperno

Zenone di Elea – 26 febbraio 2011



Fonte:
https://www.ilmanifesto.it/

Questione meridionale? Per salvarci toglieteci tutti i finanziamenti.

Intervista a Franco Piperno
di Eleonora Martini

Un Partito del Sud, non necessariamente quello di Miccichè, potrebbe essere un’opportunità per il meridione, come promozione dell’autogoverno territoriale, o non è altro che il rafforzamento delle reti clientelari che alimentano le mafie globali? 

La seconda che ha detto. Questo Partito del Sud, fondato dagli stessi che lo hanno portato nelle condizioni attuali, tende a conservare le cose come sono. È un partito trasversale – di destra e di sinistra – che esiste da quando arrivarono i piemontesi e che vive dei finanziamenti centrali e trova nella gestione di queste grandi risorse la legittimità del potere, creando consenso. Chi gestisce queste finanze ha tutto l’interesse a tenere il sud nell’arretratezza: fino a che sarà considerata una regione da modernizzare sarà la gallina delle uova d’oro, una litania che va avanti da 150 anni. Il problema è voler costringere il sud a industrializzarsi mentre chi come me ha vissuto anche in altre città del nord e del centro sa che per certi versi al sud si vive una vita urbana anche migliore che al nord e non per merito necessariamente dei meridionali. Quindi il problema non è che Cosenza deve diventare come Bergamo, sarebbe una sventura per entrambe le città. È un errore culturale affrontare il problema in termini di divario nel reddito pro-capite come se fosse l’unica fonte di felicità. Quello di cui soffre il sud è che gli si è strappata un’anima legata ai luoghi.

Quello che lei chiama lo spirito pubblico meridionale come opzione antiliberista, opposta alla modernità feticcio.

Esattamente. È un ricorso orgoglioso, ancorché minoritario, alla razionalità della vita urbana e contadina del Sud, antica di secoli. e diversa da quella del profitto capitalistico perché basata sull’autonomia e la sovranità alimentare e non sulla produzione finalizzata al mercato.

Si spieghi meglio.

Ogni volta che c’è un fenomeno di insorgenza nel sud come c’è stato a Scanzano, si vede affiorare uno spirito pubblico di democrazia diretta, in cui c’è una saldatura tra mezzi e fini. Un ritrovare lo spirito dei luoghi che significa riuscire a vivere una buona vita, non necessariamente legata all’aumento del reddito.

Quindi se Castelli parla di un Sud piagnone, per certi versi è vero?

È totalmente vero. Perché nel meridione c’è un elemento di auto disprezzo che esiste dall’unità d’Italia. Perciò il federalismo sarebbe un’ottima cosa per il Sud, soprattutto in forme radicali: non tra regioni, ma tra comuni, tra città. Questo vuol dire prendersi in mano il proprio destino. La mafia siciliana non è un problema che può risolvere il procuratore Caselli o le leggi speciali al limite della tortura: il problema della mafia è che gode del consenso popolare.

Sostiene ancora che non si è fatto abbastanza per favorire l’emersione dell’economia criminale? 

Le leggi anti-riciclaggio, di cui naturalmente capisco il senso etico, tuttavia impediscono nel sud la formazione di una nuova economia. E di una nuova borghesia. D’altra parte che la ‘ndrangheta possieda grande spirito imprenditoriale – a parte i crimini – si vede nelle pizzerie, aperte in Germania con i soldi sporchi, che funzionano bene. Metto solo in rilievo che in molti paesi si è ripulita la generazione successiva lasciando riciclare il denaro sporco dell’imprenditoria criminale. Da noi è come se tutto venisse ricacciato nello stadio dell’accumulazione primitiva, che si nutre spesso di illegalità.

Cosa pensa allora di associazioni come Libera, dei giovani siciliani, di Roberto Saviano…

No, guardi, riconosco le ottime intenzioni ma credo sinceramente che in tutte queste cose ci sia un terribile dose di ipocrisia. Perché non si traduce in denuncia vera ma in risposte astratte, in manifestazioni contro la mafia a cui non partecipa la popolazione locale ma i pionieri portati dal nord. I giovani invece si affiliano alle cosche non solo per convenienza ma anche per aderire ad un universo valoriale esistente, anche se deprecabile.

Cosa si dovrebbe fare, invece?

Credo ci sia bisogno di gesti drammatici, necessari per una catarsi. Penso per esempio che davanti al costituirsi di un Partito del Sud tutti gli amministratori di sinistra dovrebbero dimettersi perché non è possibile fare passare come nuovo ciò che è nel segno della continuazione col passato. E poi c’è bisogno di misure non declamatorie: il problema principale del sud è l’accesso al credito. Il prestito costa 3 o 4 punti in più che al nord, cosa tanto più grave perché il risparmio meridionale pro capite è alto e finisce nelle banche lombarde. L’usura ne è una conseguenza. Ma soprattutto è decisiva la partecipazione, la democrazia diretta che non sia costretta a passare attraverso le carriere politiche.

Meno che mai, dunque, occorre costituire una macro-regione del Sud?

Assolutamente no. Bisognerebbe invece lasciare le città libere di associarsi sulla base delle affinità culturali, come ho visto in Canada dove i comuni hanno molto più potere. Pensi che il metano estratto a Crotone non comporta alcun vantaggio per i crotonesi e lo stesso avviene in Calabria dove si produce tre volte l’energia elettrica utilizzata.

Eppure 50 anni di dominio Dc in Veneto e in Irpinia hanno portato risultati molto differenti, perché?

Credo sia perché il Veneto è stato protagonista dell’unità d’Italia e il sud la vittima. I meridionali ovviamente hanno una responsabilità di tutto questo che si esprima bene nel lamento continuo. Ora è dalle insorgenze delle comunità rurali del sud che credo possa venire fuori un altro ceto politico.

Ma il partito del Sud non è il corrispettivo della Lega?

Non ha nulla a che vedere, neanche per simmetria, con la Lega che è stato nel bene o nel male un effettivo fenomeno nato a livello molecolare, nei paesini della Brianza, legata alla gente, sia pure ai suoi pregiudizi. Una forza così sarebbe necessaria al Sud ma dovrebbe nascere spontaneamente attraverso il convergere delle attività urbane. Ma mai partendo dal reddito, perché questo vuol dire aspettarsi soldi da fuori, mentre invece conviene sviluppare le diversità dei "valori d’uso" quotidiani e ritrovare così la dignità del Mezzogiorno. Se dovessi lanciare uno slogan direi: stiamo bene così, non vogliamo soldi. Si tratta di gestirli in maniera diversa ma non chiederne altri. Questa sarebbe la mossa drammatica necessaria: aboliamo il Fas.

Stessa cosa per le università del sud?

Sì. Il problema da noi è che le università non hanno alcun rapporto con il territorio per cui ogni anno sfornano laureati in scienza della comunicazione. Dove vuole che vadano a lavorare? È come laurearsi in alpinismo e poi lamentarsi perché il lavoro è solo sulle Alpi.

Un pessimo bilancio dell’unità d’Italia, dopo 150 anni, dunque.

Ora che dal Risorgimento ad oggi abbiamo fatto gli italiani, attraverso la creazione di una lingua comune, direi che possiamo anche sciogliere l’Italia.






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