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Fonte:
https://www.ondadelsud.it/

Dduve nasce viatu chine more! E nnue raminghi ninne sinu juti!

in Quaderni del Sud

Dove nasce beato chi muore! E noi raminghi ce ne siamo andati!

Farina-Salvatore

A Bari nell’ambito della manifestazioni precongressuali del Partito Per Il Sud, sabato 6 novembre 2010 alle ore 10 presso l’Hotel Palace in Bari si terrà un convegno sul tema “Emigrazione meridionale di ieri e di oggi” –Interverranno:

Salvatore Farina – presidente dei COMITES (Comitati degli italiani all’estero) di Norimberga.

Fernando Martella – presidente dell’Associazione Emigranti Sanpaolesi (S.Paolo Civitate) nel mondo

In vista del convegno, la nostra testata pubblicherà ampi stralci del libro di Salvatore Farina “Storia di un emigrante” Ed. QUALECULTURA Jaca Book.

Iniziamo con

NOTA DI EDIZIONE

Questo non è un libro sull’emigrazione ma dell’emigrazione: attraverso la voce di un emigrato è l’emigrazione stessa ad esprimere in modo diretto la condizione e la causa del suo essere. Nello scrivere la sua storia, rubando il tempo al sonno ed al riposo come per tutti gli altri suoi impegni sociali e politici, Salvatore Farina non pensava certo di immettere sul mercato edito­riale un nuovo prodotto, né pensava di aggiungere ai vari mestieri da lui acquisiti anche quello di scrittore. Egli obbediva alla convinzione del valore oggettivo delle vicende da lui vissute, della necessità di consegnarle ad altri a cui possono essere utili. Non che egli faccia leva sull’esemplarità dei fatti, egli ci consegna le vicende del suo proprio tempo umano e storico, la sua storia personale così com’è con tutta la sua inconfondibile carica individuale, poiché non ci è dato parlare agli altri con verità se non attraverso noi stessi.

Da parte nostra questo libro è espressione di un lavoro per la ricostruzione di un legame reale tra la cultura meridionale e gli emigrati, il che significa per la formazione di un terreno non alienato di conoscenza reciproca, per la formazione di un lin­guaggio comune. Il Meridione, come ogni altra situazione di emigrazione, è marchiato dalla separazione da sé e dal drenaggio altrove — delle risorse materiali, umane, culturali di cui dispone: separazione che si traduce in un processo globale di disgregazione che porta alla inevitabile corruzione delle sue classi: così la sua guida politico-culturale diventa ascarismo, le sue vocazioni imprenditoriali vengono sospinte verso i pantani della corruzione mafiosa e della subordinazione clientelare, la ricchezza del suo lavoro si trasforma nell’inedia della disoccupazione o nella fuga dell’emigrazione. La categoria della divisione divide e descrive la società meridionale: da una parte gli indigeni, la cui esistenza trae ancora alimento e significato dalle risorse del proprio territorio; dall’altra gli italiani del mezzogiorno, che vivono, spesso ben nutriti, di un’impalcatura burocratico-economica introdotta dall’esterno, da una parte la cultura popolare (che forse è più esatto definire meridionale), dall’altra la cultura colta e italiana, tra di loro non in rapporto di integrazione, ma di negazione.

Vi è, come conseguenza, che viviamo, come classe dirigente meridionale culturalmente italiana, in mezzo ad un mondo reale e insieme ignorato, rimosso o comunque ritenuto inessenziale; e ciò malgrado gli spaccati che di tanto in tanto si aprono su di esso, per esempio con i libri come Cristo si e fermato ad Eboli o con film quali Banditi ad Orgosolo, La terra trema, Salvatore Giuliano. Sono spaccati che restano spaccati. Su tale mondo reale la cultura colta meridionale nel suo complesso, come si­sterna globale di consenso ad una situazione data, passa planando silenziosamente o, se non può evitare gli ostacoli, si impenna in ricami e acrobazie, avvolgendosi ed avvolgendosi nelle sue costruzioni che non prenderanno mai contatto con il territorio sottostante. Il processo di riappropriazione della propria identità una espressione che e diventata ormai un luogo comune un processo lungo, che richiede di colmare la divisione con un lavoro di unità, ricostruendo linguaggio e ascolto tra i tronconi separati.

Questo parimenti non è un libro sul meridione, ma un libro che nasce dall’interno della condizione meridionale, fornendo un quadro immediato delle sue drammatiche conseguenze sulle condizioni di lavoro dei ceti popolari meridionali: ma anche un documento del loro modo di sentire e di vivere e delle loro aspi­razioni. La stessa vicenda dell’emigrazione ne costituisce un capitolo, ed anche, nella prospettiva dell’autore, una parentesi.

Salvatore Farina non parla mai del ritorno degli emigranti, ma l’ idea del ritorno compenetra l’intera vicenda, personale e collettiva — i due termini non sono in lui mai staccati — con la necessità propria di una legge storica e morale. Forse per questa sua caratteristica — quella di nascere dal vivo dell’esperienza e quasi dettato da essa — il libro sfugge ai pericoli ricorrenti nel lamento meridionale e nei comuni interventi sul meridione, do­minati da un’immaginazione pessimista, che in questa terra vede solo miserie, sopraffazioni di vita; o all’opposto da un’immaginazione idilliaca, che evoca un passato di solidarietà e di buoni sentimenti, che sarebbe stato turbato solo dalla cattiveria degli altri.

E contemporaneamente è un libro di lunga prospettiva. « In Calabria — scrive Farina — c’e ancora Calabria e Calabresi». Al di là della durezza delle condizioni di esistenza e di lavoro, delle ingiustizie e delle sofferenze che hanno reso invivibile questa terra e costretto i suoi figli alla fuga disordinata dell’emigrazione, c’e la certezza e la nostalgia di una condizione culturale che rende, malgrado tutto, umana la vita. L’amicizia, la solidarietà, la

litorale calabrese

continuità delle generazioni, l’ospitalità sono beni reali che danno senso e gusto alla vita, sono valori preziosi di cui è legittimo l’orgoglio, sono quanto di meglio possiamo dare e insegnare agli altri. <<C’e ancora Calabria…>>, tutto quanto non è morto: c’è ancora una vita, sulla quale è ancora possibile lavorare e costruire la casa, per tutti.

Al testo sono state apportate su richiesta dell’autore correzioni di ortografia e di punteggiatura. Queste ultime hanno comportato non poche difficoltà, avvertendo spesso che esse potevano essere estranee al ritmo interno del discorso, che non obbe­disce alle regole rigide del periodo costruito. Anche l’ortografia è stata toccata in modo moderato. Le note 1, 2, 3, 4, 5 sono della redazione, mentre  le note 6, 7, 8, 9 e10 sono dell’autore.











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