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Cesare Cantù

Cesare Cantù nacque a Brivio il 5 dicembre del 1804 e compì gli studi a Milano, presso il Collegio barnabita di S. Alessandro.

A soli 17 anni, nel 1821, ottenne il posto di supplente di grammatica a Sondrio, dove resterà fino al 1827.

Dal 27 al 32 fu a Como e successivamente a Milano dove insegnò al collegio S. Alessandro.

Nel ‘32 pubblicò il suo primo volume Sulla storia lombarda del secolo XVII.

Con l’unità d’Italia iniziò la sua vita politica: venne eletto deputato e rappresentò in Parlamento l’opposizione clericale e conservatrice al nuovo Stato.

Fonte: https://www.cesarecantu.it/

Questa descrizione del Regno delle Due Sicilie è molto interessante sia per l'autore, un lombardo, sia per il periodo a cui risale, il 1841.

Era trascorso un decennio dall'insediamento del giovane Re Ferdinando II ed il Regno era un pullulare di iniziative, molte delle quali su impulso regio.  Nelle arti, nelle scienze, nella medicina, nell'architettura, nelle manifatture.

La descrizione non è una esaltazione delle qualità del regno, anzi ne sottolinea diversi lati negativi, ma un passaggio ci ha colpito, in quanto coglie un aspetto del fare meridionale, l'esaltazione di quanto accade all'estero e l'indifferenza se non la denigrazione per il paese in cui vivono. Cantù riporta quanto scriveva Niccola Santagelo nella introduzione agli Annali del 1833:

“La nostra ignavia è ora giunta al segno che spesso noi siamo istrutti delle nostre cose da autori stranieri, d quali non si può dar colpa di essere per noi assai parziali, ed a' quali nulla cale l'inspirare ne' cuori de' Vostri sudditi quel nobile sentimento che pone ogni sua gloria nella fede e nella gratitudine al Monarca.

E valga per tutto un solo esempio. La storia delle nostre belle manifatture, con insigne vergogna, fu per la prima volta non ha guari pubblicata in Napoli da uno scrittore francese. Forse senza quel libro molti ignorerebbero ancora i progressi dell'industria in questa terra die insegnò all'Europa moderna l'arte preziosa di tirare la seta, che tesse oggi drappi non men pregevoli di quelli di Francia, e che progredisce in ogni specie di arti con occulto movimento simile a quello onde la benefica natura riproduce in ogni anno le maraviglie della creazione."

Buona lettura.

Zenone di Elea – Aprile 2010

RIVISTA
EUROPEA

NUOVA SERIE
DEL
RICOGLITORE ITALIANO E STRANIERO
Anno IV, parte III.
MILANO
1841
(se vuoi, puoi scaricare il testo in formato ODT o PDF)


MEMORIE E SUNTI

I

IL REGNO DELLE DUE SICILIE (1)

Quell’adagio dell’oracolo greco CONOSCI TE STESSO, a nessuno importerebbe raccomandare maggiormente che all’Italia nostra. La conoscenza del passato è ottima scuola dell'avvenire, è un risparmio delle troppe care lezioni dell’esperienza, è l'unico modo di schivare sia il desolato abbandono di chi non vede che fatalità e disperanza, sia il precipitare di chi, persuaso che l'umanità procede, la vorrebbe cacciar a furia, e giungere alla meta senza scorrere la strada.

La conoscenza poi de’ presenti, oltre che diffonde l'amorevolezza e toglie le basse gelosie, svelle i superbi pregiudizii, e scema quelle nimicizie da terra e terra, che un tempo, risolvendosi colle spade, portarono movimento e civiltà ed esempio a’ forestieri; ora, agitandosi in basso dispregio, cagionano malevolenze e rancori e diffidenza di sé e d'altrui.

Fan 30 e più anni che il Foscolo esclamava alla gioventù: «Visitate questa sacra terra»; ma viaggiare alcuni non vogliono, molti nol possono, e non sempre per ragioni d'economia; e intanto profondano le radici queste siepi di spine che impediscono ai fratelli di tendersi la mano.

I giornali son per certo uno de’ migliori mezzi per diffondere la reciproca cognizione;


1) Annali civili del regno delle due Sicilie. — Napoli dalla tipografia del R. Ministero degli affari interni nel R. Albergo de’ poveri. — Un fascicolo ogni bimestre.


Rivista Europea, agosto e sctt.1841. Anno IV, parte III. M

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e il giustissimo lamento che suona contro la loro degradazione, viene dal giacer abbandonali in gran parte ai ciarlatani della letteratura, a gente abietta che vi cerca sfogo di abiette passioni, e che, diseredati dalla natura della capacità di far qualche cosa, o dalla propria inerzia resi inetti allo studio, buttansi alla facile opera del censurare, alla vigliacca di impacciare chi fa, alla satanica di calunniare chi non vuol lordarsi del fango in cui e per cui essi sono nati. Ma forse perché serve all'assassino, sarà condannata la spada che, in mano del prode redime o difende la patria indipendenza?

È dunque a dolere che non abbia la nostra Italia un giornale di riconosciuta, cioè meritata autorità, al quale lavorino i migliori d’ogni parte della penisola, e indichi i passi che si fanno nelle varie provincie fra cui essa è sbranata; e non lasci che più abbiamo ad arrossire allorché udiamo dalla ospitale Francia  (1) dalla dulia Germania esaltarsi patrioti nostri, di cui, non che le opere, noi ignoravamo il nome.

In questo desiderio, voglionsi almeno lodare i tentativi che qui e qua si fanno di giornali non serventi a basso guadagno o a più basse passioni, ma a porgere idea giusta delle condizioni d'un paese: giacché (se la frase non sa troppo di clinica), solo dalla diagnosi potrem dedurre la prognosi: sol dopo chiarite le condizioni presenti potremo misurare il merito nostro sopra i passati e verso gli avvenire. Erta montagna è questa perfezione sociale; e la cima sua, chi sa se Ha concesso mai alla stirpe nostra raggiungerla? Ma tutti i buoni vi s'affaticano intorno, gli uni ancora anelanti alle falde, altri avviati pei buoni sentieri, alcuni fortunatamente sorti già a bella altezza nell'aere puro e sereno.


1)È un'ultra delle mille ingiustizie de’ lamenti del dotto vulgo il dispregio che dicono far la Francia di ciò che non è lei. Si conti quanti Italiani sono ascritti all'Istituto o come membri o come corrispondenti; si veggano altri de’ nostri ogni anno insigniti della legion d'onore: altri chiamati alle cattedre, e poi, se non siam conosciuti fuori, imputiamlo a noi stessi che non poniamo nelle nostre scritture quel non so che, che ci vuole per farle degne d'essere conosciute.

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 Voi applaudite a questi, ma forse trovaronsi spianato il calle, e risparmiata metà della via da’ predecessori; mentre doppia gloria meriterebbe, perché doppia fatica sostenne, chi dai bassi fondi arrivò almeno ad accertare la via, su cui i posteri cammineranno.

E questo riguardo vorrebbesi ben raccomandare sia ai dispensieri della gloria, sia a quelli che anelano a novità, e non sanno che prima dote dei novatori è la pazienza, e conoscere le opportunità, e fabbricar su quelle; unico patto perché gli edifizii non vadano a fascio. Scostandosi dalla storia e dalla pazienza, terribile lezione ci fu data or fa 50 anni; ne abbiam fatto senno!

Ma di liete speranze deve certo confortarsi chi esamini il regno di Napoli. Le vicende che resero miserabile l'Italia in quello sciagurato secolo che pedantescamente continuiamo a chiamare d'oro, lo sbalzarono dalla prosperità ov'era salito ai tempi che Federigo II vi alattava le muse italiane, e Roberto e Giovanna vi invitavano Petrarca, Boccaccio, Giotto, Masaccio. Caduto nell'infelice condizione di provincia, né acquistando la pace col perdere la libertà, venne campo di guerre micidiali; poi strazio d’ingordi ministri, poi trastullo d’una politica sceverata dalla morale e dalle convenienze dei popoli; finché da guerre, agitate per tutt’altri interessi che i pubblici, riposò sotto il dominio dei Borboni. Fu un rivivere in ogni cosa; distrutta la tirannide dei viceré, svelti gli avanzi della feudalità, i baroni dalle ròcche selvaggie e minacciose, ove atterrivano tremando, richiamati alle pacifiche gioie della civile mansuetudine; l'amministrazione migliorata, ravviata la giustizia, incoraggite. le arti, protette le lettere, alzati edificii. «Se sotto gli Svevi ebbe nome Napoli per le sue seterie, e se al tempo degli Angioini, Aquila fu rinomata e ricca pei suoi lanificii... quelle antiche arti per mille cagioni erano andate in mina, e quasi ogni manifattura o lavoro ci veniva dagli stranieri. Non sono settant’anni che il celebre nostro abate Galiani commetteva a Parigi della cotonina per farne camicie da notte pel verno, ed il paese della seta e del cotone domandava a’ forestieri i tessuti e le opere di quelle materie, che, grezze ed a vil prezzo, con essi permutava.

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Se l'immortale Carlo Borbone mostrò la generosità e la magnificenza di un principe, indicò almeno quello che era per fare in favore delle arti nel real albergo dei poveri e nella reggia di Caserta. Ferdinando, suo figliuolo, alle virtù paterne volle difatto riunire quella di favoreggiare le arti e l'industria. Ad esso dobbiamo una fabbrica di porcellana, un grandioso setificio in San Leucio, e la protezione onde sorse la società Corallaria, ed i lavori di tanti pubblici stabilimenti di arti. Venne re Francesco; e con quale discernimento non giudicava egli i lavori, e con quanto studio nei brevi anni del suo regno non istudiossi perché ogni arte progredisse? Alle sue cure dobbiamo le migliorate seterie, le bambagine tessute, i pannilani immegliati, i merinos introdotti. Ma questi non furono che avviamenti e principii delle alte basi sulle quali Ferdinando li vide per sua opera sorgere in pochi anni il colosso dell’industria presente. Si moltiplicarono le fabbriche, s'ingrandirono i lavori: in ogni manifattura si contarono a più centinaia i lavoratori; si videro fonderie di ferro, cartiere, zucchero di barbabietole; le seterie di San Leucio, quelle del signor Matera, i panni di Sava, di Polsinelli, di Zino, le bambagine di Egg, di Scafati, dell’Irno; i cuoi, i guanti non solo bastarono al nostro bisogno, ma ne vendemmo a’ forestieri; anzi vedemmo i nostri artisti presentare ingegnose macchine come se volessero mostrarsi rivali degli esteri inventori, o almeno parteciparne la gloria.

»Converremo facilmente che ogni favore che vogliasi generosamente profondere nelle arti della mano, non sia altro che favorirle e proteggerle, ma non già un impulso che potentemente le spinga ad avanzare e progredire. L'efficace e valida forza che possa in fatto incoraggiarle egli è il lucro e l'interesse, potentissima molla del cuore umano. Or ogni utilità che ci sia dato sperare da quelle arti nasce dalla folla de’ compratori e dalle frequenti vendite che consumano le produzioni. Laonde se avviene che i nostri lavori empiano i magazzini ed ivi rimangansi, vani riescono ed inutili i nostri belli prodotti; ed essi, invece di accrescere il capitale, andranno anzi diminuendolo ogni giorno, e così ci costringeranno infine


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ad abbandonar quelle arti dalle quali speravasi e lucro e ricchezza. Or se lo spaccio e la vendita son l'anima della industria, vediamo se nella nostra posizione e nelle presenti nostre condizioni possiamo lusingarci di una facile e perenne vendita dei nostri lavori e manifatture.

»Spiegata una carta dell’Italia, vedremo che il regno di Napoli stassi come un capo che largamente avanzasi ne’ mari Adriatico, Jonio e Tirreno, che formano parte del Mediterraneo; che da un lato attaccasi al rimanente d'Europa, e ne forma come un ramo distaccato che avanzasi ad oriente ed a mezzogiorno. Il mare dunque ne cinge quasi per ogni dove, e dopo questo non largo mare incontransi l'Albania, l'Illirico, la Grecia, il lido dell'Asia e le coste dell'Africa, Schiavoni, Turchii Beduini. Siamo dunque a' confini del mondo incivilito, e dopo noi vengono popoli o incolti o barbari che sicuramente non vorranno de’ nostri squisiti lavori, contenti di grossolani e vili, e che dal solo basso prezzo lasciansi allettare. In tal situazione a chi venderemo le nostre manifatture? E potremo sperare che quelle nazioni che son già potenti nelle arti vorranno comprar da noi ciò che esse vendono a tutto il mondo? L'impero della moda, che tutti riconoscono starsi in Francia, farà sicuramente avere a vile que’  lavori che non hanno i bolli francesi. Che se l'Inghilterra nelle manifatture bilancia la Francia, lo dee alle sue macchine ed alla potente sua marina che va per tutto il globo in cerca di avventori che comprino le sue merci. Vorrem dire simili a queste le nostre condizioni? Potremo nudrir lusinga di spedire a Parigi, a Londra le nostre manifatture?

»Supplire a' nostri bisogni, francarci di comprare dagli esteri; tale debb'essere lo scopo delle arti nostre. Indi è che le grandiose e magnifiche fabbriche male a noi si convengano; anzi veramente più vantaggiose ci saranno le modeste ed economiche. Che se pure alcune grandiose ne vorremo, non potrem consigliarne altre che quelle della seta e del cotone, perché noi siamo ricchi di tali generi, ed invece di estrarli greggi, potremo farne di bei lavori che per il basso prezzo delle materie prime sostenendo la concorrenza colle forestiere, a noi saran per recare utilità c vantaggio.

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S'ingrandiscano esse sole dunque e le altre 1engansi a livello delle necessità nostre, nulla sperando dagli esteri. La copia del nostro olio potrebbe consigliare ancora d'ingrandire le saponerie; siccome l'uso di uccidere gli agnelli e i capretti, di estender l'arte de’ guanti e delle corde di minugia che già vendiamo a' forestieri. Dunque moderazione, giudizio, convenienza deggiono esser le guide e le norme delle nostre manifatture, se vorremo per esse acquistare ricchezze.

»La catena degli Appennini facendo il dorso della parte continentale del regno e scorrendone tutta la superficie, ne svaria il clima e fornisce di moderati fiumi e di copiose sorgenti tutto l'esteso suo territorio, rendendolo da per ogni dove ferace e coltivato; a tanti vantaggi si aggiungono ancora i vulcani, che con le loro ceneri e lave ne hanno tanto svariata la geologica costituzione. Questa fu quella terra che era popolata di dodici milioni di felici abitanti, che, straziata poi da civili guerre e da quella che sostenne per settanta anni contro i Romani, nella quale armò sino a 300,000 combattenti, pure lasciò memoria dell’aurum samniticum. Nondimeno essa non conosceva che il più meschino commercio, e le manifatture erano opere domestiche per l'uso delle famiglie. Le donzelle filavano, le madri tessevano e gli uomini impiegavansi nelle arti più laboriose e nella pastorizia. Ma queste provincie riunite all'impero di Roma, dopo aver tanto contribuito al suo ingrandimento, caddero con esso, e le devastazioni de’ Barbari, le guerre intestine le ridussero al misero stato in cui si videro nel IX e X secolo. Che se numerosi monaci non avessero salvata l’ombra della vecchia agricoltura, tutto sarebbe perito nella miseria e nella desolazione. Imperocchè que’ barbari amavano anzi vivere di rapina che di lavori; e se pure alcuno voleva coltivare qualche angolo di terreno, ne veniva distratto e svogliato, perché i frutti non erano premio del sudore, ma preda dell’ardire c della violenza. Tutto si rimase inculto e deserto, e quel popolo di dodici milioni, appena si vide contare due milioni di miserabili, oltre a pochi usurpatori che ponevano ogni giustizia nella punta della spada.

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Gli Svevi succeduti ai Normanni avrebbero voluto riparare a tanti disastri, ma le guerre ed altre gravi cure ne li distrassero. Gli Angioini, dati al bel tempo, poco curarono queste cose, e le sedizioni, i tumulti non ne diedero loro l'agio. Seguirono gli Aragonesi, e questi vedendo il regno ridotto a miseria, vollero almeno incoraggiare la pastorizia per trar vantaggio dall’erbe che ne coprivano le terre, ed ecco sorto il sistema del Tavoliere e degli Stucchi, delle Doganelle, che a que’ tempi recò qualche bene, ma che oggi, impedendo la coltivazione, si è riconosciuto nocivo ed ha meritato utili riforme. Seguirono i viceré, e per più di due secoli non fecero che ammiserirci, toglierci ogni principio di prosperità, negarci ogni miglioramento. Dopo costoro cominciarono le nostre coltivazioni a risorgere, e le vediamo con rapidi passi avanzarsi. La verità però ne costringe a confessare che, a paragone delle manifatture, trovavasi molto al disotto la coltivazione de’ nostri campi. Né vorremo maravigliarcene. La vita rustica, i lavori faticosi della campagna, le cure agrarie. gli stenti della vita de’ pastori non hanno certo quegli allettamenti che ci chiamano ad abitar le città: gli agi, le distrazioni, i piaceri delle numerose società fanno aborrire quel viver solitario e stentato; vediamo quindi a folla i nostri villici abbandonar le campagne per correre alle arti, a’ mestieri, ed anche alla servitù domestica; e quindi insuperbire del novello stato come più nobile e dignitoso, e credersi così da più del contadino che rimanesi avvilito e disprezzato. E questo stato di avvilimento e disprezzo in cui vediamo starsi l’uomo di contado è un male gravissimo, anzi il maggior torto che possa farsi alla buona agricoltura ed alle sue produzioni.

»Pure, non ostante tutto ciò, lieti osserviamo quanto in pochi anni siasi la nostra agricoltura migliorata. Già scorgiamo sorgere novelli boschi, moltiplicarsi l'olivo ed il gelso, introdotta la grossa coltivazione della robbia e del guado, la barbabietola, la medica, la scilla, estese a vasti campi: ma pur confesseremo ciò non accadere nell’universale del regno. Alcuni luoghi e rari mostrano tal progresso; ma nella gran parte o poco ne scorgi o nessuno.

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»Quella terra che ora abitiamo fu quella stessa che abitarono i Sabini, gli Etruschi, i Sanniti, i Lucani, i Campani; fu quella dove pochi coloni Fenici, Egiziani e Greci s'innalzarono a potenti e numerose nazioni. Tutte le loro arti erano solo una diligente agricoltura ed una saggia domestica economia: il commercio ristrettissimo e fra vicini; loro mezzi di trasporto, le schiene degli animali, o picciole e malcostrutte barchette incapaci di ogni altra navigazione all’infuori di quella lungo le coste, quasi non si attentassero che a tener con un piede la terra e coll'altro il mare. La natura avendo ad essi negato copia di preziosi metalli, pure col cambio delle derrate seppero aquistarne tanti onde giovarsene non solo a’ loro usi, ma per vanità ed ornamento. Questa cosa medesima accade anche oggi nel nostro incivilimento, nelle nostre dissipazioni, nej nostro lusso; noi non abbiamo miniere, non tributi, non conquiste; d’onde dunque que’ metalli si ammassano ne’ nostri banchi, nelle case de’ cittadini, nelle mani di ciascuno? Tutte le dobbiamo all'agricoltura ed alla pastorizia...

 Se tanto la protezione e gl’incoraggiamenti migliorarono le nostre arti e manifatture, facciamo lo stesso per l'agricoltura, chè a miglior ragione e con utilità maggiore il faremo, e pronte ne saranno e non lievi le conseguenze e piene ancora di alte speranze avvenire. Le nostre società economiche pongano studio particolare ne’ miglioramenti agrari più acconci a ciascuna provincia. e non con le sterili dottrine, ma dando l'esempio e l'istruzione a’ loro concittadini. Nelle esposizioni annuali che celebransi in ogni capoluogo non altro si mostrino che prodotti di coltivazione e di pastorizia, e non altri che questi sieno premiali e lodati. Le stesse società s'incarichino di acquistare le sementi più utili, ed i loro orti addivengano semenzai e vivai di belle pianticelle. Sono questi i mezzi provinciali. Lasciamo al governo in ogni anno dispensare premi maggiori e dare incoraggiamenti ed onorificenze al miglior agricoltore, all'ottimo pastore. In fine si onori in qualche maniera la professione del contadino, ed il pubblico disprezzo non insulti alle sue miserie ed alla sua ignoranza».

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Queste parole noi togliemmo da un Giornale, quale appunto si bramerebbe ad adempiere il voto che noi facevamo dal bel principio; voglio dire gli Annali civili del regno delle due Sicilie. Il ministro Niccola Santangelo (se ne taciano le lodi in parole, ove stanno quelle dei fatti) proponeva al re suo «la pubblicazione d'un’opera periodica, destinata a raccogliere i fasti del suo regno e a divulgarli col linguaggio ingenuo della verità, il solo che si addice al giovane monarca, dal quale le Sicilie oggi ricevono nuovo lustro e vigor nuovo di vita». E la necessità di tale pubblicazione l'illuminato ministro deduceva appunto dall'essere spesso ignorate le cose nostre, non solo per quel superbo fastidio delle cose domestiche di che già Cicerone appuntava i Romani, ma spesso perché i governi non si danno cura di farle conoscere; quasi la pubblicità non sia il miglior modo di cattivarsi l'opinione, e con questa il credito e l'amore, primo fondamento ai regni. «I più dei vostri sudditi (diceva egli al suo monarca) quasi stranieri nella terra natale, ignorano le ricchezze che essi posseggono, e più ancora i benefizii de’ quali fu con noi larga la provvidenza, soprattutto da che, venuto alla conquista del regno l'immortale Carlo III, fummo tolti dalla dura condizion di provincia; la quale ignoranza ci rende stolti ammiratori delle altre genti, ci fa poco affettuosi del nostro paese, oggetto delle maraviglie e della perpetua invidia di tutte le nazioni di Europa, e snerva in noi la virtù, figlia del forte sentire, che inspirava a’ nostri padri l'energia della propria dignità, avvivava il loro coraggio, e coll’amore e con la divozione al monarca rinnovava a Bitonto ed a Velletri i prodigi dell'antico valore.

»La nostra ignavia è ora giunta al segno che spesso noi siamo istrutti delle nostre cose da autori stranieri, a’ quali non si può dar colpa di essere per noi assai parziali, ed a' quali nulla cale d'inspirare ne’ cuori de’ vostri sudditi quel nobile sentimento che pone ogni sua gloria nella fede e nella gratitudine al monarca.

»E valga per tutto un solo esempio. La storia delle nostre belle manifatture, con insigne vergogna, fu per la prima volta, non ha guari, pubblicata in Napoli da uno scrittore francese.


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Forse senza quel libro molti ignorerebbero ancora i progressi dell’industria in questa terra che insegnò all’Europa moderna l'arte preziosa di tirare la seta, che tesse oggi drappi non men pregevoli di quelli di Francia, e che progredisce in ogni specie di arti con occulto movimento simile a quello onde la benefica natura riproduce in ogni anno le meraviglie della creazione.

»Da per tutto apronsi nuove strade al commercio, si costruiscono nobilissimi edifizii pubblici, sorgono ponti maravigliosi: ma per inconcepibile oscitanza, le opere comandate dalla vostra sapienza e dalla vostra provvidenza rimangono appena note fra brevi confini, o vengono solamente ricordate in libri che sono fra le mani di pochi.

»Ingegni chiarissimi in ogni parte dell’umano sapere traggono oggi fra noi vita ingloriosa, perché non sorge voce amorevole che renda conto delle loro scritture, e li conforti a durare nell’erto e faticoso cammino delle scienze.

»Intanto noi siamo creduti quasi direi i barbari dell’Europa: i giornali della licenza insultano il nostro nome: i meno audaci serbano a nostro riguardo il contegno della moderazione: e di qua e di là de' monti con infame pirateria si mettono a ruba ed a sacco i nostri pensieri. le nostre scoperte, i nostri utili trovati. Non ha guari, un agronomo della Francia pubblicava come sua novella invenzione l'uso antichissimo nel regno di serbare (1) i frumenti nelle fosse: e tanta impudenza era innalzata a cielo dalla turba sempre plaudente dei giornalisti!»

A rimedio di questi sconci proponeva dunque il savio ministro un'opera periodica, che mentre promoveva l'istruzione de’ regnicoli, fosse un archivio contemporaneo dei fasti del paese e di chi lo regge; fasti per certo di ben altra gloria che non le vittorie e le conquiste.


1) Allude ai silos, vantati per novità, mentre nel regno son antichissime le fosse per conservazione dei grani. Intorno a queste è un bel discorso del barone Durini negli Annali. A Foggia, centro della coltivazione di tutta Puglia, le fosse (che debbono essere in strati d'alluvione o di marna argillosa quarzifera) son unite in un luogo solo e commesse ad una fratria di fossaioli, che ripongono e levano il grano e lo guarentiscono.

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Re Ferdinando, che in giovane età recava sul trono de’ suoi padri un amore così vivo, così sincero. così efficace del meglio de’ sudditi; che al primo venire al trono prometteva medicar le piaghe delle Sicilie, concedeva larga amnistia, e dichiarava poter i sudditi tutti conseguire impieghi civili e militari, qualunque partito avessero mai seguitato, egli approvava l'istituzione, donde il ministro sapeva dedurre un'altra utilità, facendone un decoroso modo di premio e d'eccitamento ai begli ingegni napoletani, coll'eleggerli a collaboratori. assegnando uno stipendio abbastanza fruttuoso, senza servilmente costringerne la fatica.

Ha dunque quest'opera in buona parte un carattere ufficiale, consono a quello del Giornale di statistica della Sicilia, di cui altre volte ci accadde qui far menzione (1).

La prima parte è formata di documenti, forniti con liberalità dagli uffìcii e dai ministeri, massime da quel degli affari interni, della cui segreteria fa parte l'ufficio del giornale in discorso. Le varie accademie vi trasmettono il sunto dei loro atti. È a sapere che in ciascuna provincia di quel regno è istituita una società economica (salvo Napoli e Palermo che hanno in quella vece un istituto d'incoraggiamento). composta di 48 socii nominati dal re e 12 nelle provincie di là dal Faro, oltre un numero indeterminato di onorarii e corrispondenti; destinati a promovere la pubblica industria, corrispondendo con una commissione che esiste in ciascun comune. Ognuno vede come gli alti di queste società sieno buon testimonio della condizione economica di ciascuna provincia, ed ottimi materiali pel giornale.

Le mostre annuali delle manifatture e dei lavori d'arti belle dan nuovo tema a segnalare i progressi delle arti utili e delle ingenue. Le relazioni che il ministero fa al re sui lavori pubblici, o sulla popolazione, sulle dogane, sulle miniere, sulla marineria, qui vengono ad ora ad ora riprodotte.


(1) Ricoglitore, anno 1857.  P. II, p.290.

2) Del regio Istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli conosciamo 6 volumi di atti.

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In ciascuna provincia poi suole tenersi un consiglio generale, ove l'intendente, o chi ne sostiene le veci, espone ai congregati lo stato del paese, entrate e spese, miglioramenti ottenuti o da cercarsi, la leva militare, i mercati, lo stato della mendicità, degli ospedali, de’ monti frumentarii, delle scuole, dell'agricoltura, delle strade, dei boschi; domande fatte al governo, miniere aperte, industrie introdotte: e insieme si affatica all'opera di svellere i pregiudizii e insegnare le buone pratiche d'industria, d'economia, di igiene (1). Ecco in ciò un'altra fonte di notizie.


i) Niccola Nicolini. l'illustre autore del Comento al codice penale, di cui io ho parlato testè negli Annali di statistica, rispondendo all'intendente della provincia di Abruzzo citeriore, come presidente nel consiglio generale,. ne lodava lo zelo,  non quello che, sotto maschera di zelo, è piuttosto smania, ipocrisia, vanità. effetti spregevoli di ambizione e d'orgoglio; ma quello che spontaneo, e di sé conscio e sicuro, porta costantemente l'impronta della pura sua ragione, e meglio direbbesi tenerezza di amico, amor di fratello, sollecitudine di padre.

»E questo è il carattere dello zelo che conviene all’indole propria dei nostri concittadini: questo è quello cui l'istituzione de’ consigli generali di provincia è intesa;i mantener vivo e fecondare dov’è; e dove non è, ispirarlo. Né altro è il fine del conto morale che dovete esigere da’ vostri amministratori: ne altro è il sentimento che dee dirigere l'esposizione che farete de’ voti della provincia alla maestà del monarca...

»Noi dunque qui siamo come in un consiglio di famiglia. Non di vane astrattezze né di lunghe e fantastiche speranze ci pasceremo fra noi; ma i bisogni del pastore, quelli dell'agricoltore, quelli del commerciante, del proprietario, dell'artista, dell’uom di lettere, dell'idiota, i bisogni insomma del popolo entreremo a discutere; e più con ingenua ed amichevole franchezza, che per emulazioni ambiziose o con apparati ideologici di scienza. Cuore e buon volere, e nulla disforme dalla provincia e dall'indole de’ nostri concittadini, voglion costoro da noi; e ciò solo sarà l'anima, ciò solo la norma delle nostre discussioni.

»Intanto, o colleghi, se lo spirito d’ordine è un elemento ingenito del carattere morale de’ vostri committenti, questo solo può render facili tutti i nostri lavori. Essi v. m distinti per legge in due classi; L’una di uffizi in tutto amministrativi; l'altra di semplici rappresentazioni al governo.

»Sotto il primo aspetto, vera magistratura è la nostra... Ma. sotto il secondo, qual vasto campo ci si offre al pensiero! Come il nostro amor proprio debb’esserne lusingato! Il consiglio. dice la legge, dà il suo parere sullo stato della provincia e dell'amministrazione pubblica, particolarmente

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Aggiungetevi le relazioni degli spedali; aggiungete i progressi ordinarii delle arti, dell’industria; le tavole delle osservazioni meteorologiche,


sulla condotta e sulla opinione generale de’ pubblici funzionari, e propone i mezzi che crederà più conducenti a renderlo migliore: parole gravi, che c’indicano quattro grandi rami d’indagini profonde e di provvedimenti utilissimi.

»Vengono in primo luogo gli oggetti di necessità, d'utile, di comodo; quelli che debbono riguardarsi come essenziali e primari, perché senza di essi niun popolo mai potrebbe dirsi civile. Tal è l'agricoltura, la pastorizia, il commercio: primi fonti di vita, non che di proprietà individuale e pubblica. Dobbiam dunque indagare quali incoraggiamenti possan essi ricevere; dove dissodarsi il terreno, dove rimboscarlo, dove difenderlo da torrenti, dove renderlo irriguo, quali coltivazioni debban essere più protette, quali surrogate ad antiche per la loro soprabbondanza avvilite; come migliorar gli armenti, le greggi ed i pascoli; quali manifatture debban essere introdotte, quali protette; quali strade interne riparate, quali continuate ed aperte.

»In secondo luogo convien rivolgerci agli oggetti di umanità, di ornamento, di decoro, a quelli cioè che indicano la perfezione delle istituzioni, e rivelano al di fuori la bontà dell’architettura interna dell’edilìzio civile. Alla prima classe appartengono lo spedale delle prigioni, gli ospizi, gli orfanotrofi, i luoghi tutti di beneficenza, asilo ultimo della povertà e spesso della virtù sventurata; istituzioni ignote alla virtù feroce degli antichi, e che si debbono tutte alla influenza benefica della nostra sacrosanta religione, che gli aspri dritti di dura padronanza ed i pregiudizi municipali di cittadinanze particolari rivolse benigna in uffìzi pietosi di umanità universale.

»Ma il soddisfacimento delle necessità prime, l'utile, il comodo, il decoro non possono mai pienamente ottenersi senza educazione, né senza rettificar con le lettere la maniera generale di vedere e sentire. Degno dunque in terzo luogo è di voi, degno del capo illustre di tutta l’amministrazione civile del regno, rivolgerci alla istruzione pubblica, prendere in cura il collegio, animare principalmente le scuole primarie, aprir quelle delle fanciulle; e considerare che la pace e la quiete, frutto benefico delle cure di un re magnanimo, hanno solo delle buone arti bisogno; e che cara, quanto ingenua, è la bontà nativa di un popolo; ma se questa non è coltivata né rinforzala da diligente ed uniforme instituzione, ritien sempre un non so che di rustico e di selvaggio, facile a diventare egoista, più facile a farsi idolo d'un pregiudizio intollerante e spesso sensitivo a segno, ch'ella in fine, degenere dalla sua origine. cade ne’ vizi contrari, e giunge a tramutarsi in ferità e in odi funesti. L’elenco de’ colpevoli, de’ misfatti e de’ delitti avvenuti in questa provincia, comechè brevissimo in confronto delle altre, offre la proporzione di 93 a 2 fra gli analfabeti ed i scribenti.

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la condizione della pubblica istruzione, le nascite, morti e matrimonii. Qui ritrovi esatto ragguaglio delle forze di terra e di mare; qui dei legni mercantili, qui delle produzioni delle miniere; talvolta una voce esperta ed amorévole esce ad indicarti gli uffizii e i doveri dei sindaci. quai principali magistrati del comune e quali amministratori delle rendite di esso.

Invitato a collaborarvi ogni cittadino, ne son i lavori sottoposti ad una commissione, che sceglie i degni di pubblicità; e il migliore articolo propone per un premio al Re, il quale ha così un altro mezzo onde conoscere i letterati più meritevoli d'esser assunti a giovare il pubblico negli impieghi.

Perché la cosa non diventasse meramente municipale, né crescesse quello spirito di superbo isolamento che troppo nocque al sentimento italiano, promisero i collaboratori tener informati delle opere di maggior grido, e delle scoperte e miglioramenti che nel resto d'Italia e d'Europa si facciano, ottimo spediente ad incitar l'emulazione nazionale.

È d'antica fama rinomata la Società Borbonica, distribuita in tre accademie;


»Viene in quarto luogo la direzione degli effetti ultimi di ogni retta amministrazione, i quali ne sono il frutto e ne formano il compimento e la perfezione. Perfezione sì fatta produce in fine quel sentimento unanime di tranquillo benessere, il quale riunisce tutti come in Famiglia intorno al sovrano, tutti fa andar spontanei alla osservazione delle leggi. Di questi effetti il segno esterno, e quai la espressione, è nella ricchezza pubblica e nella popolazione. Quindi, perché il buon frutto corrisponda pienamente alla buona coltura, dovete rivolgervi alle cause dell’accrescimento o scadimento della ricchezza pubblica e della popolazione, onde migliorare in modo tutte le parti della vita civile, che si possa mostrar la provincia degna de’ nostri antichi e dell'ottimo principe che ne governa.! Ne dobbiamo omettere d'indagar le cagioni o personali o locali della esecuzione più o meno esatta, più o meno rapida che le leggi ricevono: termometro infallibile della loro bontà relativa, e dell'attività, dell'integrità, dell'idoneità de’ magistrati. Questo è il genere di censura che dobbiamo esercitare. Cosi potrà il governo proporzionare al bisogno la prudenza della vigilanza, la forza della repressione, la magnanimità della protezione, onde prevenir gli abusi uffiziali. regolare il costume pubblico, senza di cui a nulla valgon le leggi».


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la Ercolanese, quella delle scienze, quella di belle arti; e tutte contribuiscono messe abbondante agli Annali Civili, massime le relazioni annuali, che son capolavori, quali possono aspettarsi dalla penna d'un Monticelli, d'un Avellino, d’un Flauti.

Quivi anche si registrano man mano le scoperte che si van facendo a Pompei, a Capua la vecchia, a Pozzuoli, in fine per tutto; giacché per tutto si può dire che il Regno sia una miniera di antichità, donde gli eruditi vennero ad apprendere, ben meglio che dai libri, la civiltà, e massime la vita interna dei popoli che ci precedettero su questa cara patria.

E qui è bello, sull’orma degli Annali stessi. ricordare il prezioso trovato di rapire al fuoco i rotoli di papiro, scavati ad Ercolano. Quando quella città, per meravigliosi accidenti che tutti sanno, venne scoperta, trovaronsi molti cilindri, che dapprima furono gettati come carbone; dappoi si scopri essere papiri avvoltolati. Rise dunque la speranza di recuperare altre parti della eredità intellettuale degli antichi; ma ohimè! il fuoco gli avea carbonizzati; né le fatiche de’ chimici, o le diligenze dell’insigne Mazocchi giunsero a svolgerli, non che a leggerli. Se non che a forza di studio v'arrivò Antonio Piaggi delle scuole pie. Prepara egli una tavola di legno che somiglia al panchino di un legatore di libri in cui sia posto un volume da legarsi, insieme co’ suoi legacci. È appoggiata ad un piede con vite per alzarlo ed abbassarlo a piacere, e su questo piede è un’asse lunga, mobile, dalle cui estremità sorgono due bastoncini rotondi con viti, per poter con essi alzare ed abbassare un’altra asse sovrastante. In mezzo all'asse inferiore, discoste l'una dall'altra quasi un palmo, sono collocate perpendicolarmente due spranghette d'acciajo che di sopra hanno una mezza luna pure di acciaio e mobile, dalla cui parte concava si pone il papiro; e per maggior precauzione quelle mezze lune sono fasciate di bambagia. Queste spranghette possono avvitarsi più alto e più basso sollo all'asse, secondo piace allo svolgitore. Inoltre il rotolo è sospeso a due nastri larghi un dito, i quali, raccomandati all’asse superiore, passano per varie aperture lunghe praticate nell’asse, ad ognuna delle quali è due bischeri come quelli dei violini,

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che servono ad alzare ed abbassare il rotolo, acciò questo si possa volgere e girare dilicatamente da tutte parti senza toccarlo. Tra un’apertura e l'altra dell’asse sono altri piccoli bischeri per far girare de’ fili di seta. Quando un rotolo è sospeso per essere svolto, se non se n'è trovala l'estremità esteriore. si comincia a bagnare un picciolo spazio della grandezza di un cece, con un pennello morbido intinto in una colla di pesce purificata, che ha la proprietà d'intenerire e distaccare. Indi allo spazio bagnalo della parte esteriore del papiro non scritto, poiché lo scritto è nell'interno, s'incolla una sottilissima pellicola diafana, della grandezza dello spazio bagnato, o anche vari pezzetti di essa, il che aiuta a distaccare il pezzo del bagnato papiro dal foglio che gli sta sotto, e lascia trasparir benissimo le tracce de’ sottoposti caratteri. Queste pellicole sono di porco o di pecora, e propriamente quelle di cui valgousi i battiloro; e sebbene sottili, pure a foderare i papiri si sfogliano ancora e si tagliano in picciolissimi pezzetti. Cosi a poco a poco si va bagnando e foderando il papiro, e quando si è fatto ciò per la larghezza di un dito su tutta la lunghezza del rotolo, allora con la stessa colla si attaccano alla parte foderata i predetti fili di seta, che poi per via de’ bischeri si tirano l'un dopo l'altro dolcemente. La striscia di papiro foderalo, aiutala eziandio da una pillila d'ago, si distacca pian piano dal rotolo. e resta sollevata per mezzo di questi fili. I quali tengono il papiro distaccalo sempre in posizione perpendicolare, e quando se n’è staccalo tanto, che divenga necessario dargli maggior sostegno che i fili, allora la parte spiccata si fa passare per una delle aperture dell'asse superiore, ed a poco a poco, via via misura che il lavoro avanza, si fa girare, sottoponendovi della bambagia intorno ad un bastone o cilindro mobile. che sta sopra l'asse superiore, sicché svolto interamente il rotolo, si trova tulio il papiro avvolto al cilindro. Restano però sempre necessarii i fili di seta, che servono a separare la parie di fresco incollata dal foglio disotto.

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Quindi con diligenza si toglie il papiro dal cilindro, si distende, e si copia: operazione così penosa, che in quattro o cinque ore di lavoro non si viene a capo di foderare o distaccare più di un dito di larghezza di papiro dalla lunghezza del rotolo, e per farne un pezzo largo un palmo si vuole un mese intero.

Per meglio formarsi un'idea di questo lavoro, conviene indicarne le difficoltà, le quali stanno e nella natura della carta e nelle vicende sofferte. In molti luoghi, guardata contro il lume, ella rassomiglia ad un cencio liscio, e questo deriva dall'umidità e principalmente da torrenti di pioggia che, Ercolano, quando fu sepolta la inondarono e la riempirono di cenere. Quell’acqua penetrò ne’ papiri ed in molti rimase, e coll’andare del tempo non solo li carbonizzò, ma ne fece marcire i fogli o li corrose. Se questo danno si potesse conoscere prima dello svolgimento, svolgerebbonsi que’ soli papiri che avessero sofferto meno. I fogli sono talmente sottili, che quando in uno vi è un buco, il foglio seguente sembra non formare con quello che un foglio solo, e nello stesso tempo riempie ed appiana il buco. Nasce da ciò che, quando si bagna con la colla il luogo forato, essendo questo ben di raro visibile, si stacchi dal foglio di sotto tutto il pezzo bagnato dalla colla e prenda tutto il luogo del buco. Questo produce necessariamente confusione, e nel foglio di sotto, dove lo spazio probabilmente era intero, si forma una lacuna. Non meno pericoloso è il lavoro alle commessure de’ pezzi di papiro incollati un su l'altro; poiché quando la commessura vien separata mediante la colla, può facilmente accadere che questa filtri di mezzo alle commessure fino al foglio seguente, e ne attacchi un pezzo al foglio superiore su cui si lavora, e lo disgiunga dal foglio cui appartiene. Vedete se sia possibile il far presto.

Una delle più malagevoli operazioni è pure il fissare una linea lungo il carbonizzato papiro, donde fatta un’incisione, cominciare lo svolgimento. Questo si fa tenendo conto delle parti più o meno consistenti; che se per mala ventura quel taglio giungesse a danneggiare la scrittura, allora la scissa pagina debbesi incollare, in guisa che combaci perfettamente, o lasci almeno abbastanza vedere come camminino i tratti alfabetici.


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Spesso ancora trovasi o qualche pezzetto così fragile da svanire all’istante, o qualche picciolissima lacuna, ed in tal caso è duopo somma destrezza nell'incollar le pellicole per modo, che non si appiglino al sottoposto foglio. E nell’incollamento istesso grande esser debbe il giudizio ed il sapere dello svolgitore per accorgersi dove convenga più o meno di colla usare; il che vale soprattutto quando i diversi strati del papiro s'incontrano agglutinati già anticamente per comporre il foglio; sì che somma sciagura sarebbe se, in vece di staccare un foglio dall’altro, restassero divise le parti che un foglio medesimo compongono. Pure talvolta tutte queste operazioni escono indarno, quando il papiro al menomo tocco cada in polvere, o quando sia del tutto impietrito. Al descritto congegno, e a certi suffumigi introdotti dal Lapira siam debitori di scoperte letterarie ed archeologiche.

Diversi tentativi fece far Napoleone da Davy e dall’orientalista Sickler; ma uscirono a vuoto, e si tornò sul metodo antico. Che se a dir vero non uscirono finora opere capitali, che gran fatto crescessero le cognizioni intorno al sapere od allo incivilimento antico, ingiusto sarebbe il disperare (1). Altrettanto non fu sinora degli studii attorno all’etrusco e alle vetuste lingue italiche? non siam ancora al buio di ciò che riguarda i geroglifici egizii, malgrado i tre o quattro sistemi di spiegazione proposti?

E giovi sperare che a Pompei abbiasi pure a disotterrare una biblioteca pubblica, o qualche bottega di libraio, la quale basterà bene a compensare le insistenti fatiche e la continua spesa che si fa attorno al resuscitare quella città da i 8 secoli di sepoltura (2). E già compensati furono i danari spesi per isgombrare il maraviglioso anfiteatro di Capua, degno riscontro al Coliseo


1) l’opera ch’io credo più importante è il «Libro di Filodemo per conghietturare in qual modo vivano gli dei secondo Zenone», edito per le cure del dottissimo monsignore Scotti, prefetto alla biblioteca borbonica.

2) Veramente la scoperta del musaico più magnifico dell'antichità e del bellissimo vaso di vetro storiato, bastano a ristorar di qualunque fatica, e crescono lode all’architetto Bianchi, sotto la cui direzione furono trovati.

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di Roma, e che anzi colpisce di maggior meraviglia perché trovasi in una città provinciale, non nella metropoli del mondo, e che fornì agli archeologi nuovi argomenti a conoscere, meglio che non si potesse dal romano, la distribuzione degli anfiteatri antichi, massime rispetto agli ipogei, mancanti nel Flavio. Altrettanto potremmo dire dell'anfiteatro di Pozznoli che si viene discoprendo (1), e del vicino tempio di Serapide, indagine curiosa per gli antiquarii, ed ancor più pei naturalisti, che non convengono del come dar ragione dell'esistenza delle conchiglie marittime che forarono le colonne ad altezza tanto superiore al mare (2).

Ma nuovo genere di ricerche e scoperte in questi ultimi anni sono i vasi, che vollero dire etruschi, poi campani, poi italogreci, o siculi. Le prime scoperte del principe di Cimino fecero stupir il mondo; e le deduzioni ch’egli s'affrettò a trarne non contentarono se non la turba degli eruditi di seconda mano, che ne fecero fondamento di aerei edifizii intorno alle origini italiche e alla primitiva civiltà della patria nostra. Ecco intanto nuovi ipogei fornirne ben tosto altri, e non più in Etruria (3); e le forme simili e non eguali, e le nuove storie, e le mitologie nuove, recar l'uomo a tempi anteriori alla greca civiltà, e dar un significato di più solida espressione al nome di Magna Grecia. I  tesori di Canino andarono dispersi (4); ma si arricchì invece straordinariamente il Museo Borbonico, il più dovizioso certo del mondo; e alcuni vasi della collezione di Canino qui posti


1) Questo tempio fu scoperto quando già entrava in onore l'archeologia: eppure, invece di conservarlo gelosamente come si farebbe ora, venne dilapidato per ornarne edifizii nuovi, e massime la reggia di Caserta, ove Vanvitelli fu ben lieto di recare le bellissime colonne alabastrine che oggi adornano il teatro di legno.

2) Il mio illustre amico Carlo Babbage, un de’ più grandi matematici del mondo, recò un'opinione nuova intorno a quello strano fenomeno. Vedi «abstract of a paper entitled Observations on the temple of Serapis at Pozzuoli, with remarti* on certain causes which may produce geolical cycles of great extent. by Charles Babbage, esq».

3) Un ipogeo appena dischiuso ho veduto a Perugia, intorno al quale ha scritto il Vermiglioli.

4) La più parte ne fu recata al musco britannico.

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per confronto, cedono la mano ai nolani ed agli altri scoperti nel regno. Una lautissima raccolta se n’era fatta da un privato; ed una corte straniera era riuscita ad accaparrarsela a grosso prezzo; quando il ministro accorse, e volle che questo nuovo crescesse il tesoro del museo pubblico, il quale or vanta certo i vasi più grandi e più belli del mondo, come già aveva la maggiore, se non la migliore quantità, di statue, e specialmente di bronzi.

È quel ministro stesso (1) cui è dovuta la creazione degli Annali, e che nella propria casa raccoglie e quadri d'immenso prezzo (basti accennare un disegno originale del Giudizio di Michelangelo), e una stupenda serie di vasi, olle, lampade, coppe, non seconda che alla borbonica; ciò poi che è unico, una collezione di medaglie italiote, che sarà un immenso arricchimento non all’Italia solo, ma alla universale erudizione, quand'esso ne vorrà pubblicare la descrizione.

Noi andiam via via recitando quel che alla memoria e alla penna ci corre; ma chi di queste e d'assai più cose volesse avere contezza piena e precisa, ricorra agli Annali Civili, documento ormai indispensabile alla storia di quel regno. Ivi si troveranno distese informazioni sull’origine e sui procedimenti degli scavi di Ercolano e Pompei, e degli altri che seguirono; ivi le preziose disquisizioni del cavalier Tenore, intorno a vegetali o nuovi o non più descritti dell'orto botanico cui con tanta lode presiede: i vi una relazione sui tremuoti di Calabria del 1838 ricorda quell'estesa che dagli antichi fu fatta, e che il Botta travasò nella sua storia d'Italia. E vi fa bella compagnia la dottrinale e pittoresca contezza sulle eruzioni del Vesuvio, fattura del signor F. V. (2). Or dalla colonna dei venti Formiana si toglie occasione di discorrere sulla invenzione della bussola:


1) D. Niccola Santangelo.

2) Gli articoli sono anonimi, o segnati di iniziali, che fuor del regno e talora nel regno stesso, sono un problema e spesso un indovinello. Articoli semiufficiali vorrebbero avere anche la garanzia d'un nome riverito e fédedegno. Chi sappia che il B. Q. è l'insigne archeologo Quaranta, quanta fede non acquista al modo suo di vedere i monumenti antichi e alle spiegazioni che ne dà? Notabilissimo è il suo Viaggio archeologico sulla parte meridionale d'Italia, inserito in questi medesimi Annali.


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ora l'illustre Salvatore de’ Rienzi ed altri medici ragionano le malattie del regno e la condizione degli spedali, degli orfanotrofi, del famoso manicomio di Aversa. Capi d'arte ci parvero i discorsi di Giovanni Manna, ove si raffronta la legislazione napoletana ne’ suoi varii stadii coll’altre contemporanee, o i varii storici del regno, e quello di V. D. R. ove si discorrono i titoli e le denominazioni delle varie monete uscite dalle zecche del regno, e l'altro intorno alle acque pubbliche di Napoli. Insigni pure le dissertazioni del Nobili sul modo di determinare la differenza di longitudine geografica per via delle stelle cadenti, e del Melloni sulla diatermansia, o sulla colorazione calorifica de’ corpi.

Argomento di tanto interesse quanto è quello delle prigioni e del sistema penitenziale, qui è più volte trattato con mano maestra e con profonda e pratica cognizione di causa e, ciò che importa, con cuore: onde versando fra quelle miserie, l'animo si riconforta pensando ai miglioramenti che la filantropia propone in un libro che porta in fronte il nome d'un Re, il quale s'adopra ad effettuare i consigli de’ savii, dell'esperienza altrui, della propria osservazione e della carità.

Ed a chiunque è animato dalla filantropia, come dicevasi nel secolo passato. o dalla carità come diciam ora francamente, deve commoversi il cuore nel leggere le descrizioni del Campo Santo a Poggio Reale; e dell'Albergo dei Poveri, istituzione che difficilmente troverà riscontro altrove. Poiché questo non è soltanto un ricovero alla mendicità per liberare quella città immensa da uno sconcio comune a tutti i porti di mare, e qui forse più sensibile: ma insieme è una scuola d'arti e manifatture, ove s'insegnano lettere e scienze e belle arti, si educano sordimuti e cantanti; qui stamperia, qui litografia e fabbrica di punzoni d'acciaio e di matrici; qui una di spilli, una di chiodetti e di viti; una di piastre da fucile; di lime; di minuterie in bronzo e in lava;qui lavorii di lana, di tele; e cosi di sartore, calzolaio, fabbro, mastro da muro, tornitore, falegname; qui pratica per barbieri e flebotomi; a tacere ogni sorta di lavorii femminili.

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Ed oltre le private, nuovo incoraggiamento ricevono dalle commissioni che dà il governo, e per dirne una, la sala del trono è tutta a ricami fatti dalle donne dell’ospizio.

Non è prezioso simbolo la sala del trono ornata coll’industria dell’educata povertà?

Il quale incoraggiamento è poi più immediato nella fabbrica delle seterie a San Leucio, quella famosa colonia, dove un re amante del bene voleva far esperienza de’ civili riordinamenti allora predicati in Europa; e che tuttavia sussiste come il più bell’annesso de’ magnifici giardini e boschi di Caserta, secondando il progresso dell’industria col munirsi de’ nuovi trovati e de’ telai alla jaquart, e fabbricando arazzi che vanno a gara coi francesi.

Noi udimmo non è guari il Lerminier pronunziare che «col Pagano s’estinsero nel Regno le faville dell’ardore scientifico, e languore e silenzio occupa le scuole»; lo diceva egli nel paese, il cui Istituto voleva onorarsi coll'ascrivere fra' suoi un Serradifalco, un Galuppi, un Agresti, un Nicolini; lo diceva del paese dove il Piazzi appena cessava di seguitar per l'immenso vano gli astri di cui egli primo aveva additato l'esistenza, o assegnato la posizione; dove avvocati insigni tuonano potenti dalla tribuna; dove un Monticelli raccoglie il più ricco museo delle eruzioni e sublimazioni vulcaniche, e prepara la storia naturale del Vesuvio, e nella gravissima, eppur vegeta età, ottiene venerazione dai re d'Europa e dai liberi d'America; dove un Lombardo è chiamato ad erigere in pochi anni un tempio di un costo che eguaglia le più ardite imprese di popoli e di secoli (1), e dove i migliori artisti gareggiano, da Canova a Tenerani e Finelli e Camuccini; dove un fisico che solleva il nome italiano a gareggiare con quanti n'han di più illustri gli stranieri, è invitato ad una specola già insigne per matematici che non


1) S. Francesco di Paola costò un milione e mezzo di scudi romani. L'architetto Bianchi, concittadino del Fontana, oltre il merito del disegno, ha quello d'avere scoperto nel Regno, o messo in credito bei marmi per quell'edifizio, come quelli di Mondragone (il M. Falerno degli antichi), e delle cave basaltine della Solfatara a Pozzuoli. È desiderabile che l'illustre Ticinese pubblichi le sue memorie relative a quell'insigne creazione.

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sdegnano associare agli studii di Urania quelli di Talia (1); dove le scoperte di Champollion e di Grottefend trovano e severi disaminatori ed emuli potenti (2); ove il Melloni è chiesto a dirigere un istituto tecnico, con un gabinetto di macchine ch'egli medesimo è spedito a raccogliere ne’ regni lontani; ove s'é impreso il dizionario più vasto della lingua italiana, ornai ridotto a fine, per merito particolare del signor Liberatore e di quel Pasquale Borelli che sa tutto di tutto: dove si pubblicano forse 30 giornali letterarii, alcuni buoni, alcuni tristi, mediocri i più, come accade, ma seminatori di cognizioni: dove sotto un presidente, il quale su questi allori riposa dalle lunghe cure civili, la trifaria società borbonica3) riunisce un'eletta di ingegni che, o s'applichino ad illustrar le cose antiche, o indaghino gli arcani di natura, o cerchino sollievo all’egra umanità, o studiano il cuore e la ragione umana, segnano orme che solo al genio sono concesse (4).

Oh, io non voglio adulare, ma credo anch'io che «dalla supina inerzia poco disti la celala virtù (5)»; ma io penso che all'orgoglioso


1) Macedonie Melloni, Capocci, Nobili, Del Re....

2) Basti nominare quel potente ingegno di Cataldo Janelli.

3) È divisa in tre classi: Ercolanense d'archeologia con venti socii; delle scienze con trenta; di belle arti con dieci. S'aggiunga l'accademia Pontaniana cui fu riunita la Sebezia; l'accademia medico chirurgica diretta alle osservazioni cliniche; poi in Palermo un'altra accademia medica, ed una di scienze lettere ed arti; in Messina la Pelloritana, in Catania la Gioenin: e di più una commissione d’antichità e belle arti diftus;i per tutta Sicilia.

4) Oltre gli accennati e il presidente Ricciardi, posso nominare il matematico Flauti, di cui il mondo scientifico sa la recente discussione intorno al merito comparativo degli antichi e de’ moderni nelle matematiche; il marchese di Villarosa, monsignore Scotti bibliotecario, Raimondo Guarini indomito interprete degli antichi linguaggi italioti, il principe di San Giorgio che aduna una ricchissima raccolta delle medaglie arabe sicule; il poeta Gargallo, il commendatore Capone, l'arcidiacono Cagnazzi, un de’ primi e più retti propagatori delle scienze economiche; il colonnello Visconti, e l'architetto Nicolini, e il De Cesare, e il Macri, e il delle Ghiaie; ed altri che ora la memoria non mi suggerisce.

5) Panium sepuliae distat inertiae celata virtus. Horat. È l’epigrafe del giornale.

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insulto degli stranieri e alla ingrata noncuranza dei nostri convenga opporre «la superbia generata dal merito (1)». E come si torrebbe in pace d’udire citar sempre intrepidamente maccheroni e lazzaroni quando si parla di Napoli? Rancide ingiurie, da collocar cogli stiletti rinfacciatici da una gente fra cui, per uccidere un re, si pianta una macchina infernale, che senza pericolo trucidi una folla innocente; da collocare co’ cicisbei rinfacciatici dal paese de’ Sansimonisti, di Sand e Balzac.

Tali pregiudizii devono cascare appena uno veda (e sia pur superficialmente) i grandi incrementi di quel regno. Delle sucide nudità, della turba dormente alla stella, dell’insistenza ribalda de’ paltonieri, chi cerchi più orma in Napoli, farebbe come chi cercasse masnadieri pel Lazio; e ne udrebbe racconti storici, come quelli dei briganti che una tranquilla forosetta od un robusto mandriano vi ripetono tranquillamente sulle silenziose rovine di Sonnino o nelle alture dell'infamata Palestrina. In Napoli invece deve destare meraviglia un arsenale de’ meglio forniti che prepara armi ad una bella flottiglia e all’esercito più pittoresco che possa vedersi; se anche il più valoroso, può mostrarlo solo l'occasione in cui esso combatta per una causa di cui sia convinto. Il pubblico dibattimento ne’ tribunali, non solo garantisce la società che non le è tolto nessun suo membro senza ragione, ma educa all’argomentare, e sgomenta col veder come il reo avviluppi sé stesso nelle proprie reti. Un banco nazionale ed una cassa di sconto offrono quelle comodità di deposito e di giro che sono un desiderio in paesi di più vantata regolarità. All'agricoltura si provede dalle società economiche, e si van introducendo i merini di Spagna, i tori di Svizzera, i gelsi di Lombardia, e pur ora furono chiamati agricoli nostri per piantarvi prati e cascine al modo lodigiano.

Napoli poi, quell’immensa città di settecento mila abitanti, che dalle deliziose alture di sant'Elmo e di Capodimonte,


1) Sume superbiam quaesitam meritis. Horat.

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chinasi fin a bagnarsi nel mare sul lido più bello che natura creasse (1), basta vederla per restar incantati a quella folla, a quel tumulto, a quell'affaccendamento di tutti, cosi vivo e cosi vario, dal pescatore di s. Lucia al guidatore dei cinquecento fìacres; dal porto che li rimembra Marsiglia, alla via Toledo che ti fa credere in Parigi; dalle anguste vie attornianti il Carmine, alla deliziosa Villa e all'inenarrabile Mergellina; dalla strada di ferro che in un batter d'occhi ti porta a pie’ del Vesuvio, sin al lento camminare dei somieri che ti conducono ai Camaldoli.

Per promovere e dirigere gli abbellimenti di questa città fu eletto un magistrato edilizio, del quale è bello qui riprodurre un rapporto.

«1.° Installato al dì primo giugno di questo anno (1839) per eseguire il decreto che lo creava, volle il consiglio osservare quella parte di Pianta sotterranea che necessariamente dovea essere pure superficiale. Il direttore di essa, cavaliere Luigi Giura, ne presentò le porzioni compiute; fu creduta utile la scala di un millesimo, e l'approvazione sovrana aggiungendosi al voto del consiglio, ha abbrevialo di qualche anno il lungo e penoso lavoro.


1) La situazione di Napoli è ben indicata nell'esordio d'una descrizione del real orto botanico. «Dei tre crateri, alle cui degradate falde siede la città nostra, quello di levante in vaga prospettiva può scorgere chi dal ponte della Maddalena si faccia ad osservarlo. Il lato meridionale è affatto crollato. Quel che rimane e le alture compone di Poggio reale, vedrà dall’oriente distendersi e ripiegarsi al settentrione pel campo di Marte dalla chiesa di nostra Donna del Pianto a Capo Chino: poi dirigersi in lunga curva verso l'occaso, per terminare la più elevata cresta ove torreggia il reale osservatorio: e di là declinando ritorcere a mezzogiorno per quelle eminenze che di Montagnuola prendono il nome. Quivi la pietà da' Napoletani la chiesa costruiva e il convento di Nostra Donna degli Angeli, detta delle croci da quelle che vi si ersero ai conforti del padre Ignazio Savino, frate francescano dell'osservanza ed oratore di gran fama, pel divoto esercizio delle stazioni, lungo quell'erta che dal canto sinistro della chiesa al sottoposto borgo di s. Antonio discende. E là, da dove appunto quelle croci sorgevano al lato occidentale del magnifico regio albergo de’ poveri, il real orto botanico si protrae, lungo la maestosa via che si apri dal gran Carlo Borbone nell'ingresso della sua reale donna la regina Amalia, e cui di strada di Foria restò il nome».


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 L'edile cavaliere Stefano Gasse ha frattanto segnato su quella del 1775 il circuito del muro finanziero, ed egli stesso co’ suoi colleghi architetti, cavalieri Niccolini e Malesci, han cominciato a notar su di essa i possibili miglioramenti.

2.° Volendo trar profitto dalla sperienza delle altre città, ha procurato tutto quello che di norme o leggi di polizia e salubrità è stato pubblicato altrove, per farne tesoro a pro della bella e sinora poco curata Napoli.

3.° Ha confidate al vicepresidente e la direzione delle acque pubbliche, per la parte che concerne il distribuirle ai privati, e l'accordar permessi dopo che nelle cose rilevanti abbia pronunziato il consiglio. Cosi facendo il vicepresidente, nella qualità di sindaco, domanda agli eletti, prima autorità di ciascuna sezione, il lor parere, utilissimo, perciocché è da supporre in essi l'affetto chiaroveggente del padre di famiglia che sa e deve coordinare il piacere de’ figli al loro ben essere.

4.° Ha stabilito che, sino al momento in cui vorrà il sovrano abolire le grondaie esistenti, non se ne appongano in quelle case dove i battuti delle terrazze superiori sono rinnovati, e dove vanno le facciate ad esser rifatte, volendo che l'acqua si versi per tubi chiusi sino al livello delle vie, allorché sotto di esse non esistono condotti, o sia immessa in questi se ve ne ha. Intanto prepara all'approvazione del monarca le tariffe e l'editto che col minore incomodo pecuniario de’ cittadini facciano scomparir tutte le grondaie.

5.° Considerando che gli architravi di legno son poco solidi, e col volger degli anni producono lesioni ne’ muri dove sono intromessi, proibisce l'apporne nelle case nuove, e vuole che ad essi suppliscano gli archivolti o piani di pietra o mattoni.

6.° Ha richiamato in vigore l'osservanza della legge caduta in desuetudine che ordina dovere spiegare all’interno le imposte delle stanze terrene, messe su la via meno ampia di ventidue palmi.

7.° Ha deliberato giovarsi dell’opera de’ deputati di Rioni

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stabiliti con saggezza dall'odierno sindaco di Napoli duca di Bagnoli, perché ciascuno di essi, vigilando la sesta parie di ciascuna sezione, può agevolmente guardare che le prescrizioni ed i divieti del consiglio siano osservali scrupolosamente; e per mezzo del vicepresidente li ha invitati a ragguagliare il consiglio di tutte le cose sconce, luride, pericolose, indecenti, che potranno osservare.

8.° Ha commesso al vicepresidente obbligar gli appaltatori delle strade a fornire i loro lavoratori di ripari portatili di legno, acciò le schegge non arrechino danno ai passeggieri ed alle botteghe.

9.° Ha preparato i disegni per varii mercati da stabilirsi in diversi luoghi di Napoli. Di questi alcuno è già sottomesso al re, ed attende l'approvazione.

10.° Ha pregato il sovrano voler proibire i fuochi artifiziati mollo romorosi, come quelli che, oltre l'incomodo, il pericolo e talvolta il danno che arrecano agli uomini ed agli animali, sono di nocumento agli edificii della città.

11.° Ha presentato un disegno di macello per tutt’i maiali, per una metà degli animali lanuti, da essere eretto verso il ponte di Casanova, guardando in tal modo al doppio oggetto di non veder vaganti per le vie i porci, e di non tormentar gli uomini con la morte degli animali che ora si vede in tutt'i luoghi della città. E per compiere l'opera, prepara il disegno degli altri tre macelli minori per comodo de’ beccai di bestie lanute.

12.° Ha domandato ed ottenuto dal sovrano che vengano tolti tutt'ì balconi di legno ancora esistenti nella città.

13.° Ha sottoposto all’approvazione regia il RegoIamento ordinato dal decreto del 22 marzo 1839. In esso ha cercato separare dalle proprie facoltà quelle del corpo municipale, per togliere i confluii di giurisdizione; ha distinto l'occupazione di suolo temporanea dalla diuturna; questa ha ritenuta per sè; ha confermato al sindaco la potestà di governar le acque di Napoli, serbandosi la cura di accrescerne la quantità, regolarne il corso, dirigerne le concessioni;

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ha stabililo che gli architetti municipali sian fatti per concorso, e che vi debban essere architetti revisori di opere quanto all'estimazione di esse, i quali, durante l'incarico triennale, non abhian facoltà di dirigerle o farle eseguire.

14.° Ha preparato il modo da render simmetrico e decoroso il largo Cappella, e ne ha commesso il disegno ad un architetto.

15.° Senza guastar la chiesa di s. Pietro a Maiella nel suo tutto, ha ampliata quella via, e si apparecchia ad accrescerne ancora l'ampiezza con la demolizione di alquanti edificii. tosto che sarà piaciuto al sovrano darvi il suo consentimento.

16.° Ha commesso un programma affin di ottenere le migliori idee per rendere meno malagevole la Salita Infrascata.

17.° Vuole che le leggende delle botteghe siano corrette nell’ortografia e sempre italiane, quantunque permetta aggiungervi ogni lingua estera.

18.° Non v'ha casa di cui voglia il padrone decorar la facciata, non v'ha edificio che debba essere eretto, senza che il consiglio non ne esamini ed approvi la pianta, l'elevazione e gli ornamenti esteriori. Per qualunque uscio o finestra voglia aprir taluno, non viene accordato permesso senza che sia guardata con esattezza l'euritmia.

19.° Fa demolire le case rovinate e deserte; e sgombrandone i rottami, produce man mano alquanti spazii vuoti, necessarii soprattutto a Napoli antica.

20.° Ha stabilito che nelle vie ampie e nelle piazze il colore esterno degli edifìzii non possa esser bianco, permettendolo soltanto in que’ luoghi dove l'angustia delle strade e l'altezza degli edificii rende utile una luce più viva.

24.° E finalmente, acciò possa presentare una specie di codice che sia indiritto al quadruplice scopo proposto dal legislatore, stabilisce man mano le massime alle quali debbono uniformarsi i cittadini nell’edificare (1)».

Queste cure parran minute solo a chi non ricordi che sono nuove;


1) Rapporto 31 dicembre 1839 del cavaliere R. Quattromani.

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ma alcune sarebbero imitabili in paesi di vantata superiore civiltà; poi conviene por loro a fronte l'erezione d'un immenso palazzo che basta a tutti i ministeri e al gran libro, e che con un passaggio vetriato dà comunicazione fra due importanti punti della città; convien porvi a fronte una nuova via lungo il porto, fondata nel mare e chiusa da cancelli, e che fronteggia una darsena di mirabile comodità.

Ho sott’occhio il Giornale dell’intendenza della provincia di Napoli pel 1840, che è una pubblicazione delle leggi, decreti e circolari degli intendenti ai loro subalterni, ordinata con legge 22 dicembre 1816, e nella quale debbesi pure render conto delle operazioni del governo e della pubblica amministrazione. Quivi sono indicate a disteso le opere fatte a sole spese della città dal 1832 in poi, ove, a tacer le molte chiese restaurate od abbellite, vediamo allontanati i conciapelli dalla città, collocandoli in un luogo solo presso il ponte della Maddalena; la strada della riviera di Chiaia fu resa più ampia, e sicura dal sudiciume delle cloache e dallo sfranamento de’ terreni sovrapposti, col costo di cento cinquanta mila ducali; abbellita e prolungata la Villa Reale, o vogliam dire giardino pubblico, reso bello dalle migliori statue antiche e magnifico dal mare; migliorata l'ampia strada che dal ponte dell’Immacolatella porta a quel della Maddalenella; così quella di Porto; infine tutte le vie, con marciapiedi, e basolato nuovo, e panchine e parapetti ovunque occorra; ornato il semicircolo del largo di Mercatello; spianato quel di s. Domenico maggiore, delle Crocelle, di s. Maria degli Angeli, del Palazzo reale, delle Pigne, il Dattilo di Mergellina; rasciutto e uguagliato il largo davanti ai Granili; nuovi larghi aperti fra gli andirivieni; restaurato il bellissimo arco di marmo di porta Capuana; ornato quel che cavalca la via di Chiaja; migliorati tutti gli acquedotti e fatte nuove fontane; stabilito un servizio per giornalmente spazzare la città di notte, e cresciuta l'illuminazione.

Quest’ultima ora offre uno spettacolo meraviglioso pel gas che già rischiara la lunghissima via Toledo. È questo opera d'una compagnia; una delle ventidue anonime commerciali, che già nel 1833 si contavano nel Regno, protette o favorite.

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E già in quell'anno si erano stabiliti i pompieri; e uno specchio della marina mercantile offeriva ben 3283 navi di commercio, delle quali 3193 erano costruite nel Regno; né vuolsi tacere il Camposanto, certo per la posizione, fors'anche per l'arte, il più bello del mondo; ove al cospetto del mare, del Vesuvio e di Napoli, vengono i pii a cercare le ceneri dei loro cari fra l'amenità di fiorenti giardini e la varietà di chiesuole, cippi, grotte, monumenti; oltre il vasto peristilio che gli fa corona.

Intanto alla città fu tolto Io spettacolo del sangue, col raccoglier in uno tutti i macelli; scemato, finché non si levi del tutto, l'ingombro delle vie, col raccogliere i trecconi e pescivendoli in un solo edilizio. Intanto la casa dei pazzi di Aversa è un modello che l’Europa viene ad ammirare. Un progetto ha già presentato monsignor Giuseppe Mazzetti (1) per riformare gli studii in maniera che si concatenino dall'alfabeto sino ai gradi accademici; e già v'é introdotto un miglioramento, che altre università vagheggiano e non osano, cioè il libero insegnamento, che lascia agli scolari la scelta del professore, della cui scienza e virtù hanno maggiore fiducia, e ai giovani laureati un bel campo ove mostrar alla patria il frutto dei loro studii e la confidenza che meritano dai concittadini (2). A Napoli ho veduto l'unica scuola di chinese, in un collegio ove si adunano Chinesi e Levantini per prepararne apostoli e spesso martiri della fede.


1) Progetto di riforma pel regolamento della pubblica istruzione. Napoli, 1840. Ivi egli proclama la libertà dell'insegnamento: i letterati cui questo fruttò in gioventù, trovano di poi riposo comodo entrando nel corpo degli esaminatori. Con ciò, dic'egli, l'insegnamento darebbe risultati assai migliori che dar non possano le scuole pagate dal governo, languide, inceppate dai mezzi non sufficienti sebben pingui, rese nulle da mortal torpore in mano di professori, che, ascesi una volta alla cattedra, vi possono colla sicurezza d’un pane a vita trovare la dimenticanza dei propri doveri e l'idea di non aver più nulla a sperare e a temere». Molti giornali forestieri lodarono questo progetto.

2) Fra i maestri vuoisi ricordare specialmente il marchese Basilio Puoti.  quel filologo che ognuno sa, e che per puro amore delle lettere e della lingua nostra, raccoglie talvolta fin ducento giovani, cui gratuitamente dà lezioni di teorica e pratica intorno ai classici.

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 A Napoli le scuole del mutuo insegnamento e gli asili dell’infanzia intaccano nella radice i vizii dello scompiglio e dell’infingardaggine.

Contemporaneamente fu misurata appunto la differenza tra le specole di Napoli, Palermo e Roma; e si lavora per ridurre all'uniformità i pesi e le misure senza di pianta sconvolgere le esistenti; al qual uopo il colonnello Ferdinando Visconti divise un quarto del meridiano in 90 gradi da 60 minuti l'uno, sicché il minuto equivale ad un miglio, e la sua millesima parte ad un passo.

Appena i telai alla jaquart furono conosciuti, s'applicarono alle fabbriche di santo Leucio. Appena si intese dei ponti di ferro, il cavaliere Giura ebbe incarico di farne uno sul Garigliano, che, lungo 286 palmi, al costo di settantacinque mila ducati, fu compiuto pel fin d'aprile del 1832, in meno di quattro anni, ed ora altri due già ne son finiti, e un quarto si porrà sul Sarno per agevolare la via a quelli che recansi a venerare i superbi avanzi dei tempii di Pesto. Appena s'introducono i battelli a vapore, eccone un numero sempre crescente solcar il Mediterraneo, e congiungendo la Sicilia, scemare gli sconci d'un governo lontano; poi quell’immensa forza fu applicata alle operazioni dell'arsenale, e singolarmente ad un meraviglioso trapano, che fora e leviga tre cannoni ad un tratto. Le strade di ferro non poteano tardare a introdurvisi; e quella che ora giunge fino a Torre del Greco e ben presto fin a Castellamare, diverrà d'incalcolabile importanza ove si spinga fin a Manfredonia, congiungendo i due mari; al che grande impulso diede or ora quel Re, assicurando alla compagnia il 4 Va di vantaggio sui capitali impiegati. Si pensa pure a trasportar gli arsenali a Castellamare, divisamento magnanimo che ci reca ai tempi quando Carlo III, un piccolo re, sviluppatosi allor allora da quelle guerre, abiette nel fine quanto disastrose nei modi,


Ottimo modo d'estirpare l'infranciosamento lasciato dal governo anteriore: nella qual fatica pur sudano e il Figlioli e il Liberatore, e gli altri collaboratori di questo nel Dizionario universale. Né voglio scompagnar da essi il mio Carlo Trova. il cui nome è una lode.

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onde fu tristo il secolo passato, apriva le strade a Portici, a Caserta, a Venafro, a Persano, alle Puglie; restaurava i porti di Trapani, di Taranto, di Salerno, di Brindisi, di Molfetta; ampliava le due stupende vie che ai lati opposti di Napoli costeggiano il golfo; costruiva l'Albergo dei poveri, i granili, i quartieri militari, il teatro San Carlo; e pei ponti di Maddaloni, opera cui i Romani non fecero la pari, da un monte all’altro trasportava un fiume perché abbellisse a Caserta una reggia, emula di quella di Versailles. Tanto può l'Italia! tanto vale la volontà d'un uomo (2)!


A niuno parrà che noi ci siamo scostati dall’opera che die’ motivo alle nostre parole; giacché su queste materie tutte vanno fermandosi ad ora ad ora gli Annali Civili. Ed è certo un bel che un giornale, parlando del quale si debba passare in rassegna quanto ha di meglio d'uomini e di cose nel Regno. E di gratissima compiacenza è tocca un'anima italiana quando, nello scorrerli, si vede invitala ad assistere al miglioramento di sì bella porzione della patria comune, ed applaudire a chi lo promove e dirige.

Ma nel regno di Napoli è tutto così bene?

Nol diremo noi; e perché abbiam udito e veduto, non ci sarebbe difficile il raccorre una serie di abusi, minori certo di quei che rinfacciano gli stranieri, ma che aspettano e domandano una riforma. Il censurare è tanto facile! tanto facile il dar pareri ai governi! tanto solito il pretendere che in un giorno s'abbatta l'edifizio vecchio e si ponga il tetto al nuovo! Ma la fronda che in una notte era cresciuta sopra la testa del profeta, fu trovata arida al domani;


1) Que’ ponti, sovrapposii in triplice ordine, son lunghi un terzo di miglio, quanto i granili e la grotta di Posillipo. A proposito della quale menzionerò l'altra più lunga che si scoperse sotto al Vomere e che ore si sta sgomberando.

2) Sulle pubbliche opere, stampò savie e profonde considerazioni il marchese di Pietra-Catella, presidente al consiglio de’ ministri. un degli economisti più profondi, come il mostra l'operetta sua Sulla Conversione delle Rendite.

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e a Giona intimato, A che li duoli sopra l’edera cui non faticasti perché crescesse? nata in una notte, in una notte perì: ma il legislatore d'Israele menò quarant’anni errabondi i suoi redenti, prima di toccar una meta cui bastava il viaggio di pochi giorni. Con vera compiacenza italiana ci siam noi fermati a contemplare i progressi avviati, le basi gettate, i miglioramenti addotti nelle scoperte straniere, il nobile orgoglio di patria che non degenera in quella superbia per cui si disprezza ciò che fu fatto di fuori. La speranza ci fa assistere con ansietà a quegl’incrementi, ma insieme con pazienza; non applaudendo a chi con passo di ferro conculca ogni ostacolo, ma a chi sa valutare la ineluttabile possanza del tempo. E quanto agli abusi, nessun modo più utile di conoscerli che questo aprire un campo alla stampa per rivelare quel che è, onde si vegga quel che non é; e nell'esame delle cose quali sono, e nell'eloquenza dei fatti che non piaggiano né re, né ministri. né sacerdoti, né opinione, né volgo, né pedanti antichi né pedanti moderni, apprendere quel che rimane a desiderare e a compire.

Cesare Cantù.

Rivista Europea. Anno IV, Parte III.










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