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MEMORIE
PER LA
STORIA DE’ NOSTRI TEMPI
DAL
CONGRESSO DI PARIGI
NEL 1856
AI GIORNI NOSTRI
TERZA SERIE

TORINO
Dell'unione Tipografico-editrice
Via Carlo Alberto, casa Pomba, N. 33
1865
Volume Primo - (2)

Il libro di Margotti merita di essere diffuso e conosciuto. L'autore non è un volgare propangadista "reazionario", si tratta di persona dotata di una mente brillante e di una cultura sterminata.

Egli spulcia migliaia di pagine degli atti parlamentari, mettendo a nudo le falsità e il pressapochismo del gruppo di avventurieri che governa il nuovo regno d'Italia.

Se volete saperne di più leggete le note biografiche scritte da Angela Pellicciari.

Zenone di Elea, 18 gennaio 2009



(se vuoi, puoi scaricare il testo in formato ODT o PDF)


LA STRENNA DEGLI ITALIANISSIMI

AL BIMBO REGNO D'ITALIA

(Pubblicato il 20 e 21 dicembre 1861 ).

I.

Si avvicinano i giorni, in cui soglionsi regalare le strenne ai bimbi, e i nostri Ministri e i nostri onorevoli Deputati ne preparano per le feste natalizie e pel capo d'anno una ricca e solenne ai neonato regno d'Italia. Ohi gli italianissimi non seno come quell'avaro di Rennes,

Qui trépassa le dernier jour de l'an

De peur de donner les étrennes.

Essi amano il bimbo regnetto, la pupilla dei loro occhi, l'opera delle loro nani, e vogliono che incominci bene il 1862, e per gennaio gli avranno regalai certa imposte, delle quali si può dire col padre Dante: e mai non furo sirenne o che fosser di piacere a queste eguali! »

Cinque disegni di nuove tasse vennero già presentili alla Camera elettiva dai ministro sopra le finanze, il conte Bastogi, e fin dal 17 dicembre s'incominciava la discussione del progetto di legge sulle tasse di registro. In quest'articolo noi diremo agli Italiani in che cosa consiste la strenna che loro preparano gli italianissimi. Saremo obbligati a scrivere qualche cifra, ma abbiano pazienza i lettori, e badino che oggidì i numeri sono più eloquenti delle parole.

Le cinque tasse che formano la strenna delli signori Bastogi e compagnia da darsi, fra giorni, al bambino regno d'Italia, si chiamano così:

1° Tasse di registro, che comprendono le tasse sugli atti civili e sui contratti, le tasse sugli atti e sulle decisioni giudiziarie, le tasse sulle successioni;

2° Tasse di bollo;

3° Tasse sui beai dei corpi morali di mano-morta;

4° Tasse sulle società commerciali;

5° Tasse sugli atti amministrativi.

II Piemonte, che da tanto tempo gode la libertà, per le cosi dette tasse di registro pagava ogni anno la bagattella di quattordici milioni e ottocento venticinque mila lire. Bastogi trovò che il basto di Gianduia era insopportabile, e colla sua nuova legge lo alleggerisce di un milione e 92$ mila lire. E noi,- Piemontesi, gridiamo: viva Bastogi! Ora veggano gli altri Italiani, se possano ripetere l'evviva.

E prima i Lombardi tiranneggiati dall'Austria. Per le così dette tasse di registro essi già pagavano cinque milioni e 338m. lire. Dopo la legge pagheranno otto milioni e 27m. lire. Piacciono loro questa ciambelle, questi mostazzini alla lombarda, per le feste di Natale?

I Toscani setto il despotismo del Granduca pagavano per le tasse di registro due milioni. Il grande, generoso e liberale Bastogi farà loro pagare iinvece cinque Milioni e 460m. lire. Saranno contenti i Toscani di questo prime pizzico di confetti, di queste paste amatè alla pratese?

― 111 ―

E i Parmensi? Ah! i Parmensi sotto quella ferocissima tiranna, ch'era la Duchessa reggente, pagavano per le tasse di registra L. 756,000. Ma il conte Bastogi fa sedere i cittadini di quel Ducato al banchetto delle nazioni, e aumenta l'imposta ad un milione e 433m. lire. Non sono cari questi diavolini e queste morlacche?

E le Romagne? E le Marche? E l'Umbria? Le Romagne dissanguate da preti non pagavano per le tasse di registro che un milione e 428,981 lire; e fra breve, per bontà del signor Bastogi, pagheranno tre milioni e 10m. lire. E le Marche e l'Umbria che, smunte come sopra, pagavano un milione e 345,700 lire, rigenerate dal signor Bastogi pagheranno invece quattro milioni e 43m. lire. Non sono soavi questi zuccherini, questi confortelli alla borgognona?

Finalmente Napoli e Sicilia sotto il bastone dei Borboni pagavano per le tasse di registro tre milioni e 412,750 lire; fra pochi giorni, benedette dal signor Bastogi e dalla sua maggioranza, pagheranno invece venticinque milioni e 800 mila lire. Non è generoso il sig. Conte? Non è abbondante la sua strenna? Non sono squisite queste boracciate e zeppoloni alla napoletana, e queste castagnolette alla maltese?

Insomma per questa sola imposta intitolata tassa di registro, l'Italia barbara, insieme col Piemonte libero, pagavano ventinove milioni; e l'Italia rigenerata pagherà sessantadue milioni, coll'aumento di trentadue milioni su di una sola imposta! Vivano i torroncini all'indiana, i pan turchi e i biscottini all'anacleta!

Passiamo, se vi piace, ad un'altra tassa, a quella che vien dopo, ed è intitolata tassa sul bollo, e ripetiamo l'analisi, valendoci delle cifre officiali somministrateci dallo stesso sig. Bastogi, che ha preparato la strenna agl'Italiani.

Le tasse, sul bollo aggravavano, il Piemonte rigenerato di cinque milioni 175,800 lire. Il conte Bastogi trovò che il povero Piemonte non era ancora bollato abbastanza, e nella sua immense bontà gli pose sul gallone ancora 234,200 lire, sicché noi Piemontesi pagheremo all'anno pel bollo L. 5,400,000. Mille grazie, signor Conte, militi grazie delle vostre crochignolette!

La Lombardia così infelice ed impoverita dall'aquila grifagna ohe “per meglio divorar due becchi porta”, non pagava pel bollo che due milioni e 740,000 lire. Ma ora bollata italianamente coll'impronta della libertà, pagherà tre milioni e 860,000 lire, e sentirà fluirà con un aumento di L. 636,600. Evviva i coriandoli della libertà e i croatini alla mamalucca!

II Granduca non avea bollato i Toscani che per 800,000 Uro, e l'eroico Bastogi sarà più largo verso i suoi compatrioti, bollandoli invece per due milioni e 160,000 lire coll'aumento di un milione e 860,000 lire. E questi sono i marzapani di Siena e i biscotti alla faentina!

Il ducato di Parma vedrà raddoppiarsi la sua tassa sul bollo, perché mentre non pesava sui suoi cittadini che per L. 300,000, ora il signor Baslogi ne vuole estrarne invece in cifra rotonda 600,000 lire. Godetevi, o Parmigiani, questi bericoccoli, questi baffi mandorlati e questi cornetti!

― 112 ―

E qualche cosa di più pretende il Bastogi da quelle che egli chiama provincie modenesi giacchè prima non pagavano per tassa di bello che lire 300,000, e i sig. Bastogi ne vuoi cavare inveoe L. 720,000, e così un aumento di L. 420,000.

Deliziosa questa stiacciata, non è vero? Care queste sbragatine!

E di più ancora vuole il Bastogi dalle Romagne: sotto il governo del Papa pagavano per tasse di bollo L. 500,000, laddove oggidì le aggrava di un milione e 260 mila lire, aumentando l'antica imposta di L. 760,000. Cotesti sì che sano veri confetti di Tivoli e torroni di Benevento!

E di più ancora dalle Marche e dall'Umbria esige il Bastogi, che prima della libertà pagavano per tasse di bollo appena L. 586,000, e fra breve pagheranno un milione e 680 mila lire col piccolo aumento di un milione e 94 mila lire. Buon prò vi facciano, o Umbri e Marchigiani, cotesti coriandoli del progresso, coteste bracciatelle alla ferrarese!

Finalmente anche gli abitanti del regno delle Due Sicilie avranno dai conte Bastogi il pan pepato. Imperocché essi nelle tenebre dell'ignoranza e negli orrori del dispotismo pagavano per tasse sul bollo due milioni e 863 mila lire, mentre a giorni pagheranno dieci milioni e 800 mila lire, coll'aumento di quasi otto milioni. Superbe queste cocuzze di Messina, queste nocchiate di Salerno, questi cannelloni di Siracusa!

Noi potremmo proseguire ad esaminare le altre tre imposte enumerando i berlingozzi e i pan di Pavia che il Bastogi regala all'Italia, ma per non riuscire soverchiamente lunghi, piglieremo insieme tutte cinque le imposte, Registro, Bollo, Manimorte, Società e Tasse amministrative.

Per tutte queste imposte il Piemonte pagava L. 21,277,800, e dopo i progetti Bastogi non pagherà che L. 20,040,700. Dunque Gianduia avrà un po' di sollievo, ed era tempo! Ma ciò che non paga Gianduia pagheranno i suoi compagni. Procuriamo di compitare uno specchietto di queste strenne, affinché gli Italiani possano metterselo sotto gli occhi, e farci sopra un po' di meditazione.

Provincie

Pagavano

Pagheranno

Lombardia

L. 9,116,000

L. 12,517,050

Toscana

» 2,800,000

» 7,946,000

Parma

» 1,176,000

» 2,248,650

Modena

» 945,000

» 2,676,600

Ramagne

» 1,828,961

» 4,655,850

Marche ed Umbria

» 2,320,700

» 6,358,100

Due Sicilie

» 6,335,750

» 39,721,600

 

Per sole cinque imposte, che sono nulla in proporzione di quelle che hanno da venire, gli Italiani, sotto i loro rispettivi governi, pagavano quarantacinque milioni e 800,211 lire, e sotto le ali dell'intrepido signor Bastogi pagheranno invece novantasei milioni e 164,550 lire.

Di guisa chela strenna pel 1862 preparata dal signor Bastogi al bimbo regno d'Italia è una prima imposta di CINQUANTA MILIONI e 364,339 lire. Ah godi, o bimbo, godi di questo primo saggio! I banchieri non vogliono più imprestarci danaro, epperò è mestieri ricorrere alle strenne della libertà.

― 113 ―

Questa non ha mai dato ai popoli che imposte, e tu, o marmocchio regno d'Italia, tu vorresti altra cosa? Goditi questa strenna e preparati a goderne delle altre dello stesso genere. Bastogi te l'ha detto parlando alla Camera il 17 dicembre: «Chi vuole grandi imprese deve cominciare a raccogliere grandi mezzi, cioè sopportare grandi imposte» (Atti Uff. N°370, pagina 1432).

Capisci, o bimbo regno d'Italia? Capisci? GRANDI IMPOSTE. La Francia ha avuto Carte Magno, la Prussia Federico il Grande, la Chiesa il Magno Gregorio, è tu, o regno d'Italia, tu, povero bimbo, avrai grandi imposte. I tuoi uomini sono piccoli, le tue imprese meschine, il tuo sapere assai al disotto del necessario, microscopica la tua libertà, omeopatico il tuo progresso, nulla la tua indipendenza: una cosa sola sarà grande in te, o bambino regno d'Italia: Tu avrai grandi imposte. È questo il tu Marcellus eris, che ti dice il conte Bastogi.

Anzi questo caro conte ha annunciato alla Camera che bisogna dichiarare all'Europa che noi siamo concordi in tutto, e principalmente nell'addossarci grandi imposte. E sta sicuro, o bimbo regno d'Italia, sta sicuro che i ministri questa volta terranno la parola, e ti daranno le grandi imposte che ti promettono. Non ti daranno Rema, no, perché Dio la guarda; non ti daranno la Venezia no, perché l'Austria la custodisce; non ti renderanno Nizza, perché la Francia se la gode; non pacificheranno Napoli, non libereranno Bologna dai ladri, una cosa sola li daranno, o neonato regno d'Italia, ti daranno grandi imposte.

Ma che cosa dicono i Deputati? Che cosa fanno? Approvano ciò che Bastogi domanda? Conoscono lo stato delle nostre finanze, o votano alla cieca? Risponderemo domani a queste interrogazioni.

II.

Che cosa dicono i Deputati di cotesti disegni del ministro Bastogi, che vuoi regalare la strenna al neonato regno d'Italia, facendogli pagare in una volta sessanta milioni d'imposte? Con questa domanda noi chiudevamo l'articolo precedente. Ed eccoci ora a rispondere, citando alcune confessioni di Deputati, che leveremo dalla relazione ufficiale della tornata del 17 dicembre, in cui s'intavolò la discussione sulla tassa di registro.

II deputato Romano Giuseppe disse sottosopra che l'Italia era divorata dagl'italianissimi. Egli notò il prodigioso numero d'impiegati che abbiamo «numero che invece di diminuire aumenta tuttodì»; notò l'immenso stuolo d'impiegati messi in disponibilità, in aspettativa, in riposo, ecc., e governati da quelle mille foratole inventate della metafisica ministeriale, e che potrebbero ridursi ad una sola categoria, quella cioè d'innumerevole gente che depaupera le finanze dello Stato, e non presta ad esso alcun servizio(1)». E l'oratore soggiungeva:

«E vuoisi altresì por mente alle tante pensioni ai borbonici, ai martiri veri, ai martiri pretesi, al merito, al demerito. Fino a che tutte queste pensioni non iscompariscano, non saremo giammai al caso d'avere un bilancio,

Atti uff. 18 dicembre, N° 370, pag. 1431.

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il quale presenti ai nostri contribuenti ed all'Europa l'idea d'una buona amministrazione finanziera.

Né va infine taciuto, che nei nuovi bilanci si è introdotto l'abuso di certe spese di rappresentanza non mai conosciute per lo innanzi. Altre volte erano soltanto gli Ambasciatori ed i ministri quelli che avevano le spese di rappresentanza. Ora si danno spese di rappresentanza e di traslocamene agli officiali superiori ed anche agli ufficiali di secondo ordine; si danno spese di rappresentanza ad altri impiegati, il che sicuramente non conduce a stato florido le nostre finanze».

Vedete perché ci vogliono tanti danari? Perché tutti mangiano. E l'uno grida:

Viva l'Italia, e se ne ingoia un pezzo; e l'altro esclama: Fuori il barbaro! e da del dente nel bilancio; e questi predica: Vogliamo Roma, e s'insacca parecchie migliaia di lire, e quegli inneggia a Ricasoli e a Garibaldi, e si pappa un grasso stipendio, E poi allo stringere dei conti, sui bambina regno d'Italia piombano le strenne del ministro delle finanze che sono le imposte!

Il deputalo Romano Giuseppe piangeva sul nostro credito pubblico di molto degradato e scaduto: «Ed in vero, diceva egli, io non posso senza dolore osservare che laddove ai tempi della dittatura, tempi di un governo eccezionale, la rendita pubblica delle provincia meridionale valeva 90, adesso è ridotta miseramente a 70. Io non posso vedere senza dolore che, laddove il 3 per 0|0 dei consolidati inglesi corre al 90, laddove il 3 per 0|0 francese corre al 67, il nostro 5 per 0|0 è al disotto di quest'ultimo livello. Sappiano i banchieri d'Europa, che naturalmente sono diffidenti, la vera nostra posizione finanziaria, e la nettezza e la certezza della posizione ci concilieranno quella fiducia, la quale, è vano il dissimularcelo, nel momento attuale noi non godiamo, perché non abbiamo saputo inspirarla!».

Benissimo detto! Gli italianissimi non godono fiducia perché non hanno saputo inspirarla. Ed ora vorrebbero acquistar credito coll'accrescere straordinariamente le imposte? Oh tengono mala via! Essi non faranno che imbrogliare sempre più la matassa. Il deputato Romano Giuseppe, che citeremo questa volta ancora, ha giustamente avvertito, parlando di Napoli; «Vorremo noi, 0 signori, nello Stato di confusione e di rovina, in cui la rivoluzione e la successiva condizione delle cose hanno ridotto quelle provincia, nel momento in cui hanno ancora potuto fruire di alcuno dei benefizi della libertà, aggravarle ancora di nuove tasse, ed accrescere in esse il malcontento che sventuratamente vi regna? lo spero che no».

Il deputato De Blasiis invece la pensa tutto all'opposto. Egli dice: ― Fate pagare gli Italiani, e il più presto possibile. ― E! calcola quanto si perde se più si tarda ad applicare la strenna bastogiana! Questo discorso del De Blasiis è curiosissimo. Uditelo:

Il provento che, secondo le previsioni del signor Ministro di finanze avrà Io Stato dalle tasse contenute nella presente legge sul registro, sarà ai di là dei sessanta milioni, lo credo anzi che l'onorevole Ministro si sia prudentemente tenuto piuttosto al disotto che al disopra di ciò che veramente potrà produrre una simile imposta.

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Si badi adunque che si tratta di un'entrata di circa 20,000 lire al giorno, che entrerebbero nelle casse dello Stato con l'attuazione della presente legge.

«Ora, io spero che questa semplice osservazione varrà non solamente a farci respingere qualunque proposta di rigetto verso una legge di tanta importanza, non polo a farci rifiutare sospensione qualunque della medesima, ma varrà inoltre a rendere la nostra discussione tanto seria, tanto sobria, quanto si richiede per ritardare il meno possibile l'epoca, in cui una tale legge potrà essere in esecuzione; dappoiché ogni giorno che fosse inutilmente perduto in una discussione meno che sobria, meno che seria, porterebbe la perdita di 20, 000 franchi (1)».

Dopo il De Blasiis parto il deputato Ricciardi, il quale ricordò come già si fosse regalata ai Napoletani una nuova imposta sotto il titolo di di decimo di guerra, il cui effetto è stato pessimo. Inoltre aggiunse che cotesta tassa di registro fu già introdotta nel regno di Napoli da Gioacchino Murat, ma poi abolita nel 1815 «quando ebbe luogo la ristaurazione di Casa Borbonica. E da ultimo conchiuse che il ministero, prima di aggravare le imposte, dovrebbe pensare alle economie, e non venirci fuori ad ogni momento con ispese nuove e spese maggiori ».

«Durante le interpellanze, osservava il signor Ricciardi, si è parlato di queste spese maggiori, e l'onorevole signor Ministro non ha punto risposto; ed è questo un importantissimo capo, poiché, ripeto quello che ebbi l'onore di dire altra volta, noi camminiamo difilato alla bancarotta (Mormorio); e voler libera l'Italia mercé 300 o 400 mila soldati, ed aver le casse vuote, è certamente la massima delle assurdità (1) ».

E finalmente parlava il deputato Minervini, e pigliava le mosse dal lamentarsi che dopo l'imposta del decimo di guerra, votata quasi senza esame (notate bene queste parole!), si pensasse a regalare agl'Italiani nuove e gravissime tasse. «II dire: pagate (esclamava il sig. Minervini) è una cosa molto agevole, ma bisogna saperlo dire, sapere scegliere il momento ed i modi ». E l'oratore provava che questo non era il momento da mandare principalmente a Napoli le strenne del Bastogi. «Signori, questa tassa che voi andate a mettere è inopportuna fra un popolo contristato-dalla guerra civile». E più innanzi:

«Volere che un popolo perda la sua autonomia, che abbia il brigantaggio, che, dopo una prima tassa dovesse ancora in questo momento pagare la tassa che si propone, è tale inopportuna ed impolitica misura, da non parer vera, se non fosse oggetto dell'attuale discussione.

«Signori, la logica dei fatti, che tanto può sulle masse, è cosa più grave delle utopie dei filosofi. Per imporre nuove tasse, e tutte ad una volta, e senza consultare e senza sapere le condizioni dei luoghi e delle persone, è, a parer mio, opera vuota; che il sopperire alla finanza con mezzi né utili, né opportuni, né politici, sia grave e pericoloso ed assurdo esperimento (2)».

Tutte queste erano belle e buone ragioni non è vero?

(1) Atti uff. N° 370, pag 1432

(1) Atti uff. N. 371, pag. U33.

(2) Id. N. 371, pag. 1436.

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Belle e buone per gl'Italiani, ed anche pei rivoluzionari che non dovrebbero in questi momenti accrescere il malcontento.

Ma la maggioranza della Camera è bastogiana, e vota col ministro delle finanze. Laonde checché dicessero alcuni Deputali in contrario, si decise di votare la tassa sul registro, e si prese il galoppo, egli onorevoli sono già all'art. 48. È vero che il disegno di legge consta di ben 110 articoli, ma ai voteranno a vapore, come già si è votata l'imposta del decimo di guerra, e pel 1° bell'anno il bimbo regno d'Italia avrà certamente la strenna.

LA MASSONERIA ITALIANA

OVVERO

LA CHIAVE DELLA STORIA

Per comprendere molti fatti raccolti in queste Memorie conviene pensare alla Massoneria che agita, combina, impone, minaccia, regna e governa. A tal fine noi ristampiamo gli Statuti della Massoneria italiana, quali vennero stampati a Milano nel luglio del 1864 (Stab. tip. già Boniotti, dir. da F. Gareni, Corso di P. Ticinese, N. 15). Una parte di questi Statuti comparvero già nell'f/m'ià Cattolica. Qui si pubblicano nella loro integrità. Daremo in seguito altri documenti sui Massoni e sulla Massoneria in Italia.

STATUTI DELLA MASSONERIA ITALIANA

AL RITO SIMB.

discussi ed approvati dall'Assemblea di Milano

nelle sedute dal 2 al 5 del 5° mese, anno 5864 V. - L.

Capo I.

Natura, Fine e Mezzi.

Art. 1. La Mass. Italiana è una società di persone riunite insieme da un patto di fede comune nei principii universali della Mass. e di mutuo impegno a cooperare in comune al loro trionfo.

Art. 2. Questi principii, che formano la sua divisa, sono la Libertà, l'Eguaglianza, la Fratellanza; e praticamente si risolvono per essa nel rispetto alla dignità personale, nell'osservanza della giustizia, e nel riconoscimento della solidarietà fra tutti gli uomini.

Art. 3. Suo fine diretto e immediato si è di concorrere efficacemente all'attuazione progressiva di questi principii nell'Umanità, sì che divengano gradualmente legge effettiva e suprema di tutti gli atti della vita individuale, domestica e civile.

Art. 4. Riconosce il principio dell'ordine naturale e morale, sotto il simbolo di Grande Architetto dell'Universo.

Art. 5. Non prescrive alcuna professione particolare di fede religiosa, ma professa la massima tolleranza per tutto le credenze.

— 117 —

Art. 6. Il campo della sua azione abbraccia il progresso del bene sociale sotto tutte le condizioni e le forme, che possono convenire al suo fine; e quindi ogni progresso del bene economico, intellettuale, morale e politico, astenendosi però sempre da tutte le questioni e da tutti quei mezzi che verrebbero a darle il carattere di società politica propriamente detta.

Art. 7. A meta ultima de’ suoi lavori si prefigge di raccogliere tutti gli uomini liberi in una gran famiglia, la quale possa e debba a poco a poco succedere a tutte le sette, fondate su la fede cieca e l'autorità teocratica, a tutti i culti superstiziosi, intolleranti e nemici fra loro, per costituire la vera e sola chiesa dell'Umanità.

Art. 8. La Mass. Italiana consta di tre soli gradi, distinti col nome di Apprendista, Lavorante e Maestro; né riconosce per suoi membri se non coloro che accettano il presente Statuto e professano esclusivamente il Rito sim. Con gli altri Ordini mass. di qualsiasi rito essa cercherà di stringere amichevoli relazioni per il bene comune.

Capo II.

Ordinamento e Amministrazione.

Art. 9. L'ordinamento della Mass. Italiana risulta:

a) Da società locali, denominate Loggie;

b) Da un potere centrale, sotto il titolo di Grande Oriente d'Italia;

e) da Assemblee periodiche e straordinarie.

Art. 10. Il numero delle LL. è illimitato; quello dei loro membri potrà limitarsi dal Gr. O. per motivi d'ordine, o d'opportunità.

Possono farne parte persone d'ogni paese, d'ogni stirpe, e d'ogni credenza.

Il Grande Oriente d'Italia ha la sua sede nella Capitale del Regno; e può avere LL. in ogni parte del mondo.

1.

Delle Loggie

Art. 11. Ogni L. avrà:

Un presidente, detto il Venerabile;

Due vice-presidenti, denominati 1° e 2° Sorvegliante;

Un segretario;

Un oratore;

Un tesoriere;

Un ospitaliere;

Un architetto;

Un esperto;

Un bibliotecario archivista.

I primi cinque ufficiali della L. costituiscono il Consiglio delle Luci.

Art. 12. È obbligatoria almeno una tenuta al mese per ogni L. né potranno tenersi adunanze mass. fuori di L. eccetto il caso di banchetti o di funerali,

Art. 13. Le tenute sono di tre gradi:

Alla tenuta di 1° grado convengono tutti i FF. della L.

Alla tenuta di 2° grado, i soli Lavoranti e Maestri;

Alla tenuta di 3° grado, i soli Maestri.

Non verrà mai ammesso in L. nessun profano.

— 118 —

Art. 14. 1 lavori delle tenute di 1° grado sono:

a) L'accettazione e l'iniziazione di profani;

b) L'elezione degli ufficiali della L. ;

e) L'elezione del deputato alle Assemblee;

d) E tutte le pratiche e deliberazioni non riserbate alle tornile di grado superiore.

Art. 15. Le tenute di 2° grado sono dedicate all'iniziazione degli Apprendisti al grado di Lavoranti.

Art. 16. 1 lavori speciali per le tenute di 3° grado sono:

a) L'iniziazione dei Lavoranti al grado di Maestri;

b) Le relazioni col Grande Oriente;

c) 1 regolamenti interni delle LL.

d) E quei provvedimenti che il Consiglio delle Luci riserberà alla deliberazione dei Maestri.

Art. 17. Il suffragio non può essere segreto se non quando si riferisca A cose personali o venga domandato da cinque FF. v

Art. 18. In ogni tenuta di qualunque grado si farà sempre girare il sacco delle proposte e il tronco di beneficenza.

Art. 19. Tutte le LL. appartenenti ài Grande Oriente d'Italia sono eguali fra loro.

Art. 20. Le condizioni per esser membro della Mas. Italiana sono:

a) Età di 21 anni;

b) Costumi e riputazione allatto irreprensibili;

e) Istruzione sufficiente ad intendere i principii e riconoscere i doveri mass.

d) Dimora da un anno nella provincia, o altrimenti malleveria di selle FF.

Art. 21. Là proposta dì ogni candidato dev'esser fatta da un Fr. con una tavola da lui sottoscritta, contenente il nome, cognome, età, patria, stato, domicilio del candidato stesso, e deposta nel sacco delle proposte.

Art. 22. Il Venerabile dà lettura della tavola, tacendo il nome del Fr. proponente; e nomina in segreto, preferibilmente fra i Lavoranti, tre commissari, senza che l'uno sappia degli aliri, per prendere informazioni sul merito del candidato.

Art. 23. Ciascun commissario ne ragguaglia la L. con tav. deposta nel sacco delle proposte, che sarà comunicata dal Ven. tacendo il nome del riferente; ed inseguito la I. delibera a suffragio segreto dell'accettazione del candidato.

Se vi sono tre palle nere, la proposta è senz'altro rigettata.

Se ve n'ha solo una o due, si ripeterà nella tenuta seguente la votazione.

Ed ove si abbia ancora una o due palle nere, il Venerabile inviterà chi diede il suffragio contrario a comunicargli privatamente i motivi della sua opposizione; li esaminerà insieme con due Maestri di sua scelta, sempre io privato, e taciuto il nome del Fr. oppositore; ed annunzierà poi la loro decisione alla L. in questi termini:

«Tre maestri hanno giudicato sufficienti (od insufficienti) i motivi della «palla nera data al candidato e quindi dev'essere respinto (od accettato)».

— 118 —

Se i FF. oppositori non risponderanno all'invito del Ven. si terrà il loro voto per annullato.

Art. 24. Avanti che il profano sia ammesso all'iniziazione, il Fr. proponente dovrà aver depositata all'Oriente una modula a stampa, contenente:

a) Gli articoli dello Statuto che determinano i principii ed i doveri m'ass.

6) Un formulario, in cui il candidato dichiara il suo libero e pieno consentimento ai principii ed ai doveri della Mass. chiede di essere ammesso a farne parte, e scrive di propria mano il suo nome, cognome, età, patria, stato e domicilio.

La tav. sarà firmata anche dal Fr. proponente.

Art. 25. Si procederà allo stesso modo per le aggregazioni ed affigliazioni, con l'obbligo espresso ai commissari di chiedere informazioni del candidato alla L. di cui era membro.

Art. 26. Terminate le operazioni concernenti un candidato che siasi respinto, si brucerà tutto quanto si è scritto a suo proposito.

Art. 27. Non si può essere Maestro prima di avere 25 anni.

Nel grado di Apprendista si dee rimanere almeno un anno, e nel grado dì Lavorante non meno di due.

Art. 28. Ciascuna L. manderà al Grande Oriento ogni anno, nel mese di marzo, uno stato di tutti i suoi membri, ed ogni tre mesi una relazione de’ suoi lavori. Lo stato verrà compilato dal Segretario, eia relazione dall'Oratore, che sarà approvata dal Ven. dopo che ne sia stata data lettura alla L. in tenuta di terzo grado.

Art. 29. È in facoltà delle LL. . di farsi un Regolamento particolare di disciplina interna, a condizione che s'accordi con lo Statuto della Mass. Italiana, e riceva l'approvazione del Grande Oriente.

Art. 30. Per sopperire alle proprie spese le LL. faran pagare ad ogni Fr. una tassa mensile, non maggiore di lire 3.

Ciascun Fr. all'atto della sua iniziazione farà inoltre un'offerta alla cassa della L. e quegli che volesse il diploma pagherà L. 10 per ciascun grado.

Per le spese di fondazione ogni L. provvederà al modo di raccogliere il capitale necessario e di rimborsarlo a chi lo avrà fornito; e quanto ad ogni altra tassa che fosse intenzione della L. d'imporsi, dovrà questa essere stabilita per modo di Regolamento interno coll'approvazione del G. O.

Art. 31. Un Fr. che voglia cessare di far parte della Mass. annunzierà la sua rinuncia al Ven. con una tavola da lui sottoscritta.

Se la L. lo crede opportuno, elegge una Commissione di tre membri, incaricata di recarsi presso il Fr. dimissionario per dissuaderlo dal suo proposito.

Se egli persiste, la rinunci verrà accettata.

Egli però non andrà mai sciolto dall'obbligazione del suo giuramento al segreto, e dovrà pagaie la tassa dell'intero anno corrente.

2.

Del Grande Oriente.

Art. 32 Il Grande Oriente d'Italia si compone:

Di un Gran Maestro dell'Ordine.

— 119 —

E di un Gran Consiglio, che comprende due Gran Maestri aggiunti, 1° e 2°; due sorveglianti, 1° e 2°; egli altri ufficiali delle LL. segretario, oratore, tesoriere, ospitaliere, architetto, esperto, e bibliotecario archivista.

Art. 33. Il Gran Maestro è nominato dall'Assemblea Mass. per tre anni.

L'Assemblea elegge pure i FF. che devono comporre il Gran Consiglio; ma la distribuzione degli ufficii vien fatta da loro stessi a maggioranza di voti. Il Gran Consigliò si rinnova ogni anno per un terzo: le prime duo volte per estrazione a sorte, e poscia per anzianità.

Il Gran Maestro e i membri del Gran Consiglio sono sempre rieleggibili. Art. 34. Il Gran Maestro e il capo Supremo dell'Ordine, il suo rappresentante presso gli Ordini mass. stranieri, il suo organo ufficiale nelle sue relazioni politiche e civili; presiede tutte le adunanze mass. ; promulga i decreti e le decisioni dal Grande Oriente, e convoca le Assemblee ordinarie e straordinarie.

Art. 35. Il Gran Consiglio terrà una seduta ordinaria per settimana, e si radunerà anche straordinariamente ogni volta che lo convochi il Gran Maestro.

Art. 36. Il Grande Oriente, nei limiti dello Statuto e delle deliberazioni dell'Assemblea, a maggioranza di voti dei membri presenti alla tenuta, che per la validità degli atti dovranno essere almeno cinque:

a) Instituisce le LL. nuove;

b) Sospende o cancella dai ruoli della Mass. Italiana le LL. o i FF. che avessero violato lo Statuto dell'Ordine;

e) Decide le questioni che sorgessero tra L. e L. o tra L. e Venerabile.

d) Pronuncia in appello dalle decisioni delle I. I. su qualunque affare contenzioso dell'Ordine;

e) Risolve i dubbii e le questioni, su cui venisse consultato dalle LL. o dai FF.

f) Provvede a tutto quanto possa contribuire al bene generale e all'incremento regolare della Mass. -, Italiana.

Art. 37. Per la fondazione d'una Loggia, dove il numero dei FF. . fosse scarso, può il G. O. derogare dall'Art. 27, iniziando ai tre gradi in più breve intervallo i FF. fondatori.

Art. 38. È pure ufficio del G. O.

a) di pubblicare un Bollettino ufficiale della Mass. Ital. per notificare a tutte le LI. i documenti, gli atti, gli avvisi, i pezzi d'architettura ecc. di cui stimasse conveniente che i FF. abbiano cognizione.

b) Di tenere un Registro, dove sieno inscritti i nomi di tutti i FF. ed un altro detto il Libro d'Oro in cui si notino i nomi dei Gran Maestri, dei Membri del Gr. Cons. e dei Venerabili di tutte le LL.

Art. 39. Il Grande Oriente può ammettere nel suo seno quegli altri Maestri, della cui opera crederà potersi giovare.

Ogni Venerabile, segretario ed oratore, di L. vi sarà ammesso di pien diritto nelle tenute ordinarie.

Non avranno però voto deliberativo.

— 120 —

Art. 40. Ciascuna L. dee pagare al Grande Oriente la tassa fissa annua di lire 1 per ogni membro della I. stessa; e inoltre rimborsargli il costo dei libri, elenchi, diplomi, insegne, ecc. che avrà da esso ricevuto.

Art. 41. Il Grande Oriente d'Italia non riconoscerà nessun Ordine Mass. che faccia esclusioni di culto o di razza.

3.

Delle Assemblee.

Art. 42. L'Assemblea generale della Mass. Italiana è costituita dai deputati di tutte le LL. e dai membri effettivi del Grande Oriente. Questi però nelle qucstioni concernenti la loro amministrazione non han voto.

Art. 43. Ciascuna L. dee mandare un solo deputato all'Assemblea, scelto a maggioranza assoluta di voti fra i Maestri della L. stessa, o d'altre LL. appartenenti al Grande Oriente d'Italia.

La L. che non si facesse rappresentare all'Assemblea, sarà pur tenuta ad

osservarne i decreti; altrimenti potrà essere sospesa o cancellata dall'Ordine.

Art. 44. Ciascun deputato rappresenta la Mass. . Italiana, e non la propria L.

Art. 45. L'Assemblea è convocata di pien diritto una volta all'anno, il 24 giugno.

E sarà convocata straordinariamente sempre che il Grande Oriente lo stimi necessario, o gliene venga fatta instanza dalla pluralità delle 1. 1. a lui riunite.

Art. 46. In ogni tornata ordinaria l'Assemblea determina in quale città d'Italia si radunerà l'anno seguente.

Le Assemblee straordinarie si terranno nel luogo, dove le convocherà il Grande Oriente.

Art. 47. L'Assemblea ordinaria, a maggioranza assoluta di suffragii.

a) Rivede lo Statuto e il Rituale dell'Ordine;

b) Esamina i conti annuali del G. . Oriente;

e) Elegge il Gran Maestro o i membri del Gran Consiglio, a tenore dell'articolo 33;

d) E piglia tutte le deliberazioni che stimerà convenienti all'interesse comune della Mass. Italiana.

IV

Istituzione, Disciplina e Demolizione delle L. L.

Art. 48. Per fondare una L. devono riunirsi almeno 7 Maestri in uno stesso O. con una denominazione particolare, e costituirsi in L. provvisoria, sotto la presidenza di uno tra loro eletto a Venerabile, ed autorizzato ad assegnare agli altri l'ufficio di 1° e 2° sorvegliante, segretario, oratore, tesoriere e ospitaliere.

Art. 49. La L. provvisoria rivolge al Grande Oriente una domanda di costituzione, con l'elenco di tutti i suoi membri, indicante il nome, cognome, età, patria, domicilio, qualità mass. e civili, e sottoscritto da tutti i FF.

— 121 —

Art. 50. Il Grande Oriente, accolta che abbia la domanda, nomina un Commissario, il quale in una tenuta speciale consegnerà alla L. provvisoria la pergamena patente, lo Statuto, il Rituale e le insegne; riceverà il giuramento di tutti i FF. e dichiarerà instituita la L. e validi i suoi lavori.

Art. 51. Ogni L. così costituita ha il diritto di iniziare successivamente ai tre gradi mass.

Art. 52. Il numero dei FF. presenti alla tenuta di una L. dee constare da un registro speciale, dove ciascuno segnerà il proprio nome.

I lavori non possono aprirsi senza la presenza di almeno 7 membri effettivi della L.

Art. 53. L'ordine dei lavori per ogni tenuta si è:

a) Apertura della L.

b) Lettura e approvazione del processo verbale della tenuta precedente;

c) Lavori all'ordine del giorno;

d) Iniziazioni;

e) Invito del Venerabile ai FF. di leggere i loro pezzi d'architettura;

f) Circolazione del sacco delle proposte, e loro comunicazione;

g) Circolazione del tronco di beneficenza, ed annunzio del suo prodotto;

h) Clausura della L.

Arti 54. Non si potrà decidere sopra una proposti d'interesse generale nella tenuta stessa, in cui o fatta. Dovrà porsi all'ordine del giorno per la tenuta seguente.

Art. 55. Gli ufficiali della L. chiedono direttamente la parola al Venerabile, gli altri FF. devono chiederla al sorvegliante della rispettiva colonna, e questi per loro al Venerabile.

Art. 56. Il processo verbale di ogni tenuta, letto ed approvato che sia, deve essere sottoscritto dal Venerabile, dal segretario e dall'oratore.

Art. 57. Nessun F. può coprire il tempio senza la permissione del Venerabile o del sorvegliante della propria colonna, e senza aver deposto il 'suo obolo nel tronco di beneficenza.

Art. 58. Durante la tenuta, ogni F. deve osservare puntualmente l'ordine e la decenza, sotto pena di ammonizione o di ammenda, in caso di recidiva.

Art. 59. Ogni Mass. regolare, purchè faccia riconoscere i proprii titoli dall'Esperto, può venir ammesso come visitatore ad una tenuta del suo grado. Non avrà però voto deliberativo.

Art. 60; La demolizione d'una L. ha luogo o per deliberazione della L. stessa, o per il fatto della sua riduzione a meno di 7 membri, o per decreto del Grande Oriente, conforme all'art. 36.

Ne' primi due casi, la L. darà immediatamente avviso della sua dissoluzione al Grande Oriente.

Ogni L. demolita rimetterà al Grande Oriente la sua pergamena patente, Statuto, Rituale, insegne, suggello, e li atti tutti.

Art. 61. I membri della L. demolita, che ritenessero presso di sé alcuno degli oggetti mass. commetterebbero un reato di slealtà; e verrebbero tome infedeli cancellati fon nota di vitupero dal grande elenco dei Blass. Italiani.

— 122 —

Art. 62. Una L. demolita da per sé non può ricostituirsi se non in Seguito alla domanda di 7 Maestri, e all'approvazione del Grande Oriente.

La L. invece sospesa o demolita per decreto superiore, potrà essere ricostituita in forza di altro decreto del Grande Oriente.

5.

Uffici speciali.

Art. 63. Il Venerabile convoca la L. e presiede a tutte le tenùte, commissioni o deputazioni', apre, dirige e chiude i lavori, conferisce i tre gradi, sottoscrive le tavole e regola la corrispondenza, verifica i conti e ordina fe spese deliberate dalla L. e rappresenta la L. in tutte le cerimonie interne ed esterne.

Art. 64. I Sorveglianti hanno la direzione della loro colonna, le trasmettono gli annunzii del Venerabile, vi mantengono l'ordine e il silenzio, chiedono la parola per i FF. della propria colonna e sottoscrivono tutte le tavole officiali.

Art. 65. Al Segretario spelta di compilare il processo verbale delle tenute; di far la corrispondenza, sotto la direzione del Venerabile e di mandare gli avvisi di convocazione di FF. g.

Art. 66. L'Oratore veglia all'esecuzione dello Statuto e del Rituale, si oppone ad ogni deliberazione illegale, propone le Sue conclusioni in fine di ogni discussione, e dà un ragguaglio dei lavori della L. in ogni festa dell'Ordine.

Art. 67. Il Tesoriere tiene i conti della L. è responsabile della cassa comune, riscuote le tasse, fa i pagamenti ordinati dalla L. e ogni trimestre presenta un ragguaglio del suo stato finanziario.

Art. 68. L'Ospitaliere visita i FF. ammalati, procura loro lutti i conforti che può, rende conto del loro stato alla L. e raccoglie ed amministra le offerte del tronco di beneficenza.

Art. 69. L'Architetto ha in custodia tutti i mobili ed arredi della L. ed è responsabile della loro conservazione.

Art. 70. L'Esperto verifica i titoli mass. dei visitatori, introduce gli iniziandi, raccoglie i suffragii e fa girare il sacco delle proposte.

Art. 71. Il Bibliotecario ha in cura l'Archivio della L. tiene un catalogo dei giornali e dei libri ch'essa possiede, e propone di acquistare a mano a mano quegli altri che possono meglio giovare all'instruzione mass. dei FF.

Art. 72. Ogni L. può, ove creda espediente, nominare un aggiuntò al titolare di ogni ufficiò, tranne quello del Venerabile. L'aggiunto surroga il titolare in caso d'assenza.

Art. 73. Il Fr. servente, nominato e pagato dalla L. per eseguire gli ordini del Venerabile e degli ufficiali in quanto richiede il servizio della L. dovrà sempre esser trattato con urbanità e cortesia.

6.

Delle elezioni.

Art. 74. Tutti e soli i Maestri sono eleggibili ad ogni ufficio.

Non sono però eleggibili quelli che fossero debitori verso la cassa della L.

Art. 75. Le LL. eleggono tutti i loro ufficiali ogni anno nel mese di marzo, a maggioranza di voti.

— 123 —

Art. 76. Il nuovo Venerabile è proclamato ed insediato dal suo predecessore o da chi ne fa le veci; e questi riceve il suo giuramento.

Tutti gli altri nuovi ufficiali prestano giuramento nelle inani del Venerabile, e vengono da lui insediati con le batterie d'uso.

Art. 77. Le L. spediscono subito una copia del processo verbale dell'elezione e installazione de’ nuovi ufficiali al Grande Oriente, il quale, riconosciuta la regolarità degli atti, farà inscrivere il nome del Venerabile al libro d'oro.

7.

Doveri, colpe e pene.

Art. 78. Tutte le LL. e tutti i FF. hanno il dovere:

a) Di osservare lo Statuto e il Rituale dell'Ordine, eseguire le deliberazioni dell'Assemblea e i decreti del Grande Oriente;

b) Di serbare inviolabilmente il segreto su tutto quanto siasi fatto e trattato nel Grande Oriente e nelle LL. e su i nomi dei FF.

e) Di soccorrersi tra loro in tutte le Decorrenze anche con pericolo della vita, e trattarsi con benevolenza fraterna così in L come fuori di L.

Art. 79. Le colpe dei Liberi Muratori si distinguono in semplici mancanze ed in delitti; e questi o sono delitti contro i costumi, o delitti contro l'onore.

Art. 80. Per le semplici mancanze il Venerabile potrà punire il colpevole con un'ammonizione, da notarsi o no nel processo verbale secondo i casi, ed anche con leggiera ammenda a pro del tronco di beneficenza.

Art. 81. I delitti contro i costumi saran puniti con la sospensione; e quelli contro l'onore con l'espulsione dall'Ordine.

Art. 82. La denuncia di un delitto mass. dee farsi con tavola sottoscritta, suggellata, indirizzata all'Oratore, e deposta nel sacco delle proposte.

Art. 83. L'Oratore informerà tosto della denuncia il Venerabile. Se tra loro vi sia dissenso intorno al partito da prendere, il Venerabile consulterà due altre Luci, per decidere a pluralità di voti, se vi sia luogo a procedimento.

Art. 84. Nel caso che debba procedersi contro il denunciato, l'Oratore compilerà l'atto d'accusa, e il Venerabile lo notificherà all'accusato, invitandolo a scegliersi un difensore fra i M. della L.

Art. 85. Il tribunale mass. sarà composto delle tre prime Luci, con un giurì di cinque giudici scelti fra i Maestri, in tenuta di terzo grado, a suffragio segreto.

L'Oratore è incaricato di sostenere l'accusa, e di proporre le conclusioni, Il difensore e l'accusato avranno ultimi la parola.

Art. 86. Il giurì pronuncia se l'accusato sia colpevole o non colpevole.

La dichiarazione d'innocenza pronunciata dal giurì varrà come assolutoria definitiva.

Pronunciata invece la dichiarazione di colpa, il Venerabile e le altre due Luci determineranno la pena da applicarsi, e daranno lettura della sentenza all'imputato.

Art. 87. L'accusato che non si presenta, e non giustifica la sua assenza verrà considerato e giudicato in contumacia.

— 124 —

Art. 88. Il condannato ha diritto di opposizione alla sentenza contumaciale e di appello al Grande Oriente dalla sentenza del tribunale di L. entro un mese dalla notificazione della sentenza medesima.

Art. 89. La stessa procedura sarà praticata dal Gr. 0. verso le LL. senza pregiudizio anche per queste al diritto di opposizione al Gr. O. e di appello alla più prossima Assemblea, con facoltà al Gr. O. stesso di sospendere i lavori in caso d'urgenza.

Art. 90. Le prime cinque Luci di una L. non possono essere poste in istato d'accusa, se non per ordine del Grande Oriente.

1 membri del Gr. O. non possono essere processati fuorché dal Gr. O. stesso. Essi potranno appellarsi all'Assemblea.

Art. 91. La sentenza definitiva, che condanna un Libero Muratore all'espulsione dall'Ordine, dovrà essere motivata e notificata dal Gr. O. a tutti gli altri Gr. O. ed a tutte le LL. verrà letta dal Ven. in tenuta di 1° grado. Le sentenze definitive, che portano pene minori dell'espulsione, Terranno pubblicate dal Venerabile nella L. a cui appartiene il condannato, in tenuta di 1° grado, escluso ogni visitatore.

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ROMA MASSONICA E ROMA CATTOLICA

(Pubblicato il 30 maggio 1861}.

La Rome calviniste aspire, a devenir aussi la la Rome maconique. (PÉRUSSON, 1856).

Chi vuoi conoscere le cause più prossime degli sconvolgimenti presenti dee, a nostro parere, rintracciarle in un gran fatto compiutosi a Ginevra nel 1857 e i 858; fatto da molti allora non avvertito, ma di cui ora raccogliamo le conseguenze. In quei due anni si compì un grande accordo delle loggie massoniche che, come tutte le sette, erano scinte fra loro, e l'accordo venne sancito coll'erezione di un tempio unico dell'Oriente Massonico, che si vede sorgere presso alla Roma di Calvino. La fusione delle loggie avvenne il 21 di giugno del 1857, e la prima pietra del tempio unico della massoneria fu posta il 19 di luglio del 1858. In occasione di questi due avvenimenti i framassoni di tutta Europa congregati a Ginevra fecero parecchi banchetti, recitarono molti discorsi, e noi abbiamo sotto gli occhi le relazioni di que' discorsi e di que' banchetti, e vogliamo dirne alcune parole a' nostri lettori per loro ammaestramento.

I documenti raccolti da noi nella stessa Ginevra, durante l'anno 1859, risalgono al 4856, quando appunto s'incominciò la proposta di riunire insieme tutte le fazioni massoniche, e di erigere un tempio unico. In quell'anno il sig. Pérusson, antico Venerabile della perfetta eguaglianza, pubblicava in Ginevra uno scritto sullo scopo morate, incivilitore, industriale, scientifico, politico, umanitario e progressivo della framassoneria (I). Il sig. Pérusson non è ginevrino, ma francese; però a que' di Napoleone III non avrebbe tollerato che a Parigi i framassoni aprissero francamente l'animo loro. Correvano ancora i tempi, in cui il Bonaparte inchina vasi al Papa. lo supplicava di levare dal fonte battesimale il proprio figlio, e il 13 di giugno pubblicamente ringraziavate di questa garanzia, che doveva «chiamare in modo speciale sopra suo figlio e sulla Francia la procione del cielo».

II signor Pérusson adunque parlava e scriveva a Ginevra, e diceva: «La Roma calvinista aspira a divenire eziandio la Roma massonica. Il disegno di erezione d'un tempio unico, centro di riunioni più imponenti, più maestose, in cui tutte le forze convergeranno verso un punto centrale, in cui tutti i lumi si rifletteranno in un più vasto fuoco, in cui tutte le verità morali e scientifiche saranno ripercosse da mille eco, in cui tutte le riforme massoniche si lavoreranno con maturità, mi sembra dover essere incoraggiato da tutti gli amici del progresso, della libertà, della tolleranza e dell'umanità (2)».

(1) A propos de, l'éréction d'un temple unique a la franche madonnine. Genove, imprimerle C. L. Sabot, 1856.

(2) Perusson, loc. cit. pag. 6. I più caldi protestanti furono sempre ferventissimi massonici; cosi Fischcr, diacono protestante; Draeseke, vescovo protestante; Gieseler, dottore protestante; Mess, predicante evangelico, ecc. Riccardo Fisclicr, diacono protestante a Lipsia, nelta festa della loggia d'Apollo, celebrata net 1849, recitava un discorso pubblicato di poi nel Giornale massonico manoscritto dai fratelli. Tra te altre cose diceva clic i trionfi nella massoneria non debbono sorprendere i giacché le Università e la Chiesa evangelica le hanno apportato il loro potente contingente». Parleremo un'altra volta delle attinenze fra la frammassoneria e il protestantesimo.

— 126 —

La framassoneria volea unirsi per rompere guerra a Roma cattolica. Il signor Pérusson parlava delle esecratili persecuzioni del Papismo contro la framassoneria, djceva che Roma cattolica non potea approvare e tollerare i frammassoni, e quindi ne veniva la conseguenza del doversi combattere e distruggere la Roma del Papa. «Forse clic Roma, domandava il signor Pérusson potea sopportare un'istituzione di luce e di tolleranza, che fonda la fede sulla scienza e la felicità sulla fratellanza e sulla libertà? Forse che Roma potea tollerare un colto, una religione che non ammette nemmeno le principali basi del cristianesimo in quanto a dogmi? Non era l'abominazione della desolazione? (1)».

Ed è vero, Roma Papale non poteva tollerare e non ha tollerato mai la framassoneria. Clemente XII l'ha condannata nel 1738 colla costituzione In eminenti, Benedetto XIV nel 1751 colla costituzione Providas, Pio VII nel 1821 colla costituzione Ecclesiam, Leone XII nel 1825 colla costituzione Qua graviorà mala, Gregorio XVI coll'Enciclica Inter praecipuas machinationes. E finalmente Pio IX fin dal< 846 coll'Enciclica Qui pluribus. Queste continue condanne dei Papi hanno provato alla framassoneria, che Roma massonica non può elevarsi che sulle rovine di Roma cattolica.

Il signor Pérusson nel citato opuscolo asseriva che preti e Re non poterono^ riuscire a soffocare la framassoneria. «Ma i re stabilirono con lei una specie di concordati come con Roma, affine di restringere, per quanto fosse possibile, la forza de’ liberi pensatori, riconoscendo ad un tempo la legittimità e la santità dpi loro scopo. Alcuni governi, segue a dire il sig. Pérusson, non si credettero sicuri contro l'influenza razionale dulia framassoneria, se non ponendo alla sua testa qualche personaggio importante, ed anche principi della famiglia regnante; e si è un curioso spettacolo vedere questi stessi altri personaggi strascinati in mezzo ai framassoni dove figurano, gelosi di mostrarsi degni di così bella istituzione, e degli uomini intelligenti che li circondano, professare le idee più larghe e più generose in religione ed in politica, idee che disgraziatamente dimenticano troppo presto fuori del tempio (2)».

Sicché la framassoneria potea vivere e collegarsi con qualche Re e lasciarlo sul trono, ma sentiva di non poter vivere né esser tollerata dal Papa, epperò conchiudeva adagiandosi coi Monarchi che sottoscrivevano Concordati con lei, e dichiarando guerra a morte alla Roma cattolica, per fondare sulle sue rovine la Roma massonica. L'arenir ne saurait nous echapper, erano le ultime parole del signor Pérusson; e l'avvenire del 1856 è appunto il presente, in cui la massoneria trionfa, si scuopre, e presentasi al mondo dicendo: Eccomi qui; tutto ciò che è avveduto fu l'opera mia.

Coi fatti importanti di Roma massonica vediamo procedere paralleli altri fatti capitali della politica contro Roma cattolica. Enumeriamone alcuni. Mentre il sig. Pérusson nel 1856 proclama in Ginevra la guerra della framassoneria contro Roma Papale, si tiene in Parigi un Congresso europeo, dove il conte di Cavour, il ministro francese Walewski e il ministro inglese

Clarendon assalgono la S. Sede colle più spudorate calunnie, e colle più assurde menzogne, e lavorano diplomaticamente

(1) Pérusson, A propos de l'éréction d'un temple unique, ecc. pag. 5.

(2) Pérusson, loc. cit. pag. 6.

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al trionfo di Roma massonica. Gli atti del Congresso di Parigi rendonsi di pubblica ragione, e i diplomatici combattono il Papa alla maniera dei libellisti,

II 21 di giugno del 1857 hanno luogo in Ginevra dei grandi banchetti per celebrare la fusione di tutte le Loggie massoniche. Il venerabile Plìster della Loggia La Fedeltà è sulla punta del Triangolo: il ven. Vielle dell'Amicizia, il yen. Flantet della Fraternità stanno ai due capi della base. Il ven. Elia Duconimun della Prudenza prepara la traccia dei lavori. I framassoni di tutte lo Loggie bevono, mangiano, parlano, giurano di combattere il fanatismo, cioè Roma cattolica (1).

Fin dal i856 si domanda al gran Consiglio di Ginevra un terreno per fabbricarvi un tempio unico alla frammassoneria; e il gran Consiglio lo nega. Nel 1857 si ripete la domanda, si apre ai 13 di ottobre una gran discussione nel gran Consiglio di Roma calvinista, e la framassoneria trionfa, e il terreno è accordato. «Si tratta di elevare un tempio alle grandi verità umane», dice I. L. Fazy, fratello di James Fazy, Roma cattolica promulga le grandi verità divine, e la framassoneria vuole atterrarla per surrogare a queste grandi verità umane! «Se noi favoriamo l'elezione d'un tempio massonico. faremo un centro di Ginevra sotto un nuovo punto di vista», soggiunse nel gran Consiglio il signor Marco Viridet. E il signor Corsat: «I fratelli sono divisi in sette Loggie, e se il tempio può riunirli, io l'approvo senza esigere che le porte sieno aperte a tutti (2)».

Il 19 iii luglio del 1858 si pone la prima pietra del tempio unico della massoneria, si beve alla fratellanza massonica, perché dessa è fìglia del ciclo, sorella della libertà, e si canta — Franche maconerie — Grandis par le progrès! — La terre est la patrie — Elle suit tes arret — (3).

Ora notate un'eloquentissima coincidenza! Nel luglio del 1858 Napoleone III trovasi ai bagni di Plombières e manda a chiamare il conte di Cavour. Prima, sul cominciare del 1858 Napoleone III è minacciato colle bombe di Felice Orsini, e Felice Orsini era un illustre franco muratore, come dice un giornale di Firenze, la Nuova Europa (4). Orsini sale sul patibolo dopo d'aver tracciato al Buonaparte in una lettera ciò che egli doveva fare. Il Buonaparte, come dicevamo parecchi mesi dopo è a Plombières e manda a chiamare Camillo Cavour! Credete che costui vada direttamente a Plombières? Oh no, davvero! Egli recasi prima a Ginevra, e parla, e ascolta, e s'intende, ed è festeggiato ed applaudito (5).

(1) Comptes-rendus des banquets ma? qui ont en lieu en Genéve, le 21 juin 1857, a l'occasionn de la fusion de II. ecc. Genere, imprimerie Vaney, 1856.

(2) Memorial de séances du grand Cunseil, N. 6, octobre 1853. Vedi pure Annalés catholiqucs de Gcnéve, N. 3, janvier 1857.

(3) Cantique adressé par le F. V. Remond a l'occasion de la première pierre du temple unique. Geneve 1858.

(4) Nuova Europa, giornale fiorentino, N. 10, del 25 di maggio 1861. L'articolo incomincia così: «Oggi la massoneria italiana risorge». E termina: «Ha i suoi segreti la religione, li hanno i gabinetti, li hanno le famiglie, e si vede che non li abbia la politica liberale?».

(5) Nell'offìciale Gazzetta Piemontese del 19 luglio 1858 leggevasi: «I giornali svizzeri nell'annunziare che da alcuni giorni S. E. il conte di Cavour trovasi a Ginevra, soggiungono che in quella città è stata fatta all'Eccellenza Sua un'accoglienza cordiale, e che una Deputazione del Consiglio di Stato andò all'albergo a fargli visita». Vedi l'Armonia del 1858, 20 luglio, N. 162.

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Il primo passo fatto da Cavour fu nella Roma massonica per intendere dai fratelli come si dovesse dirigere la guerra cancro Roma cattolica. Ricevute le istruzioni dei Venerabili del Grand'Oriente, va a passare le 30 ore a Plombières (6).

Che cosa s'è detto e combinato in quello trentasei ore non s'ha più da congetturare, giacché i fatti lo proclamano solennemente. Vedete in che stato trovasi oggidì la Roma cattolica! Ebbene fu l'opera di Roma massonica e de" suoi apostoli. E il lavoro non è ancora finito, perché Roma cattolica sta tuttavia in piedi. Ed ecco Roma massonica prepararsi a nuovi assalti. Abbiamo altri viaggi a Ginevra; non ci va più il conte di Cavour, ma il principe Napoleone Bonaparte, e ci va misteriosamente, vi resta per pochi giorni, e questo viaggio lo fa dopo di aver detto nel Senato dell'Impero francese un empio e rabbioso discorso contro Roma cattolica (1). Reduce da Ginevra, il principe Napoleone vien nominato Gran Mastro dell'Ordine massonico, e la massoneria si mostra liberamente, impudentemente a Parigi ed a Torino. A Parigi tiene adunanze, promulga decreti, scrive articoli; a Torino celebra funerali, recita orazioni, e mostrale sue loggie, fra le quali l’Ausonia (2). I conseguiti trionfi rendono meno necessaria la prudenza. Roma massonica preparò nelle tenebre il primo assalto contro Roma cattolica; oggidì getta la maschera, e le dichiara apertamente la seconda guerra (3).

Questi fatti capitali vorrebbero un più lungo svolgimento; ma un articolo di giornale non cel consente. Bastino tuttavia le accennate circostanze per mettere in sugli avvisi i nostri concittadini. Alfonso La. Martino scrisse: «Ho la convinzione che si è dal seno della frammassoneria che sgorgarono le grandi idee che gettarono il fondamento delle rivoluzioni del 1789, del 1830 e del 1848 (4)». Or bene la rivoluzione presente non è che il riassunto di tutte tre quelle rivoluzioni. Essa può definirsi: un duello all'ultimo sangue fra Roma massonica e Roma cattolica. Un avvocato protestante di Dresda, il sig. Eckert, ha provato che lord Palmerston è il patriarca della massoneria universale, e che il principio del non intervento è una teoria dei framassoni. Col consiglio di questo patriarca, e coll'aiuto di questo principio s'è combattuto fin qui il Papa e Roma cattolica. Oggidì Roma massonica, superba dei conseguiti trionfi, vuoi intervenire in Roma cattolica, vuol distruggere il Cattolicismo, vuoi levare la croce e mettere il triangolo sulla cima dell'obelisco di S. Pietro. Ma sulla base di quell'obelisco sta scritto: Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat. E Gesù Cristo vincerà, e per Gesù Cristo Pio IX saprà sconfiggere gli attentati della massoneria, come già ne seppe gloriosamente smascherare le schifose ipocrisie.

(6) Il conte di Cavour arrivò a Plombières il 22 di luglio 1858, e ne partì il 23. Prima andò a passare alcuni giorni a Ginevra. Come mai il conte di Cavour, chiamato da Napoleone III a Plombières, non vi si reca direttamente, ma devia e passa alcuni giorni a Ginevra? Ciò si spiega benissimo, sapendo che a Ginevra sorge il tempio unico della massoneria.

(1) Il 2 di maggio 1861, un laconico dispaccio telegrafico annunziava: i II principe Napoleone è arrivato a Ginevra». E poi silenzio perfetto sii questo misterioso viaggio!

(2) Nella Gazzetta del Popolo di Torino, N° 144 del 25 di maggio 1861, leggevasi: La massoneria italiana ha accolto con gioia l'elezione del principe Napoleone a Gran Mastro dell'Oriente di Francia».

(3) A Firenze si pubblica un giornale intitolato la Nazione. Esso è tulio del conte di Cavour, e nel suo N° 184 del 28 di maggio scrive così: Le Loggie massoniche esistenti in Italia, le quali, sebbene invitate ad esprimere il loro voto nella questione dell'elezione del nuovo Gran Mastro, non avevano creduto ben fatto di prevenire il giudizio delle Loggie francesi; ora clic questo è stato solennemente proclamato, hanno immediatamente aderito alla nomina del principe Napoleone e ai principii che le dettero origine, come quelli che sono veramente degni di popolo amante della libertà e della religione vera».

(4) Latomia, 1848, voi. ix, pag. 284.

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LETTERA DEL S. PADRE PIO IX

AL COMPILATORE DI QUESTE HISTORIE

PIUS P. P. IX

Dilecte Fili salutem et apostolicam benediclionem. Utilem piane operam te posteris impendisse ccnsuimus, dura monumenta perituris tradita ephemeridibus congessisti, ut iis, qui nostrorum temporum hisloriam scripturi sunt, germana praesto esset factorum nolitia atque indoles. Nani si magistra vitae esse debeai historia, nulla (orlasse aetas prae nostra clariora documenta praebere poterit quae ostendant, eo longius aberrare populos a felicitate, quo pervicacius a Deo recedentes iverint in adinvenliones suas. Libenlissime proinde et grato animo excepimus voluuiina tua, nec facere poluimus, quin eorum propositum summoperc probaremus. Ut autem palernae noslrac benevolcntiae pignus babeas indubium, aposlolicam benediclionem Ubi peramauter impertimus.

Datum Homac apud S. Pelrum die 25 februarii 1865. Ponlificalus nostri Anno XIX.

PIUS P. P. IX.

Dilecto Filio

Equiti STEPHANO MARGOTTI

Augustam Taurinornm

(Traduzione itàliana).

PIO PAPA IX

Diletto figlio, salute ed apostolica benedizione. Giudicammo che tu intraprendessi un'Opera assai utile ai posteri quando togliesti a radunare i documenti registrali nei labili giornali, affinchè coloro i quali scriveranno la Storia de’ nostri tempi avessero alla mano la genuina notizia e indole dei falli. Imperocché se l'istoria deve essere la Maestra della vita, forse nessuna età come la nostra potrà offerire più chiari documenti per dimostrare che i popoli tanto maggiormente si allontanano dalla felicità, quanto più ostinatamente ritirandosi da Dio, camminano secondo i vani loro consigli. Assai di buon grado perciò e con grato animo abbiamo ricevuto i tuoi volumi, e non potemmo a meno di approvarne sommamente il divisamente. Affinchè poi tu abbia un indubbio pegno della paterna nostra benevolenza, ti compartiamo amorevolmente l'apostolica benedizione.

Dato a Roma presso S. Pietro, il 25 febbraio 1865, Anno XIX del Nostro Pontificalo.

PIO PAPA IX.

Al Diletto Figlio,

il cavaliere STEFANO MARGOTTI

Torino.

Di grandissima consolazione ci fu questa lettera preziosa che ci conforta a proseguire nell'Opera incominciata. Il Santo Padre Pio IX ci dichiara quale debba essere lo scopo e il metodo delle nostre Memorie e in generale della storia. Il metodo. è di esporre i fatti con somma sincerità, e confermarli cogli autentici documenti. Lo scopo, è di mostrare che solo è beato il popolo che per suo Dio ha il Signore. Laonde non sono né le riforme né gli statuti, né i parlamenti, né le libertà che rendono il popolo felice, ma soltanto la Religione, la fede, la carità.

Di che lo storico futuro de’ nostri tempi, nella veneratissima lettera scrittaci dall'immortale Pontefice, potrà rinvenire l'idea capitale, e come a dire la filosofia cattolica dei fatti che noi raccogliamo.

Dell'utilità poi, anzi necessità di raccoglierli abbiamo sempre nuovi argomenti. La rivoluzione dapprima ci fura le mosse, e bisogna confessare che i figli delle tenebre sono più prudenti dei figli della luce. Si potrebbe dire che non passano mesi senza che comparisca in pubblico qualche storia dei fatti contemporanei e sempre in senso rivoluzionario, e con intendimenti ostili alla Chiesa. Sono dieci o dodici le Storie del Risorgimento italiano che già ci vennero sotto gli occhi, ed ognuno vede come siamo risorti! A Milano si è pubblicata una Storia del Risorgimento d'Italia dalla rotta di Novara alla proclamazione del Regno d'Italia, cioè dal 1849 al 1861. E sono quattro grossi volumi: Dio sa di quale storia! Poi comparvero nella stessa città tre altri volumi di così detta Storia del Risorgimento d'Italia da Villafranca ad Aspromonte, e l'opera è illustrata con incisioni eseguite da valenti artisti perché si cerca di parlare in tutti i modi e cogli scritti, e coi ritratti. In fin dei conti noi ci troveremo inondati di romanzi, di favole, di libelli, e la storia di ciò che veggiamo e sentiamo sarà scritta su tali libri!

Pare a noi che ogni buon cittadino ed ogni cattolico abbia un grande dovere, ed è quello di legare ai posteri le solenni lezioni dell'esperienza. La storia, come ricorda il nostro Santo Padre Pio IX, ha da essere la Maestra della vita, e bisogna insegnare a coloro che verranno quali vantaggi recano le rivoluzioni, dove conducono i primi passi nella carriera dei tradimenti e dulie fellonie, e quale felicità sanno dare ai popoli coloro che con sonanti parole promettono di rigenerarli. Quanto a noi, raccogliendo queste Memorie abbiamo inteso di compiere appunto questo dovere, e già ce ne venne quel solo premio che potevamo desiderare quaggiù, la benedizione del Vicario di Gesti Cristo.

STORIA DELLA FORMOLA

LIBERA CHIESA IN LIBERO STATO

Questa formola ormai famosa di libera Chiesa in libero Stato nasceva in Francia il 22 di ottobre dell'anno 1800. Carlo di Montalembert mandavate in Italia da La Roche en Breny, villaggio di duemila cinquecento abitanti, nello spartimento Cóte-d'Or. Il conte di Cavour l'11 di ottobre del 1860 avea detto nella Camera dei deputati: «lo credo che la soluzione della questione Romana debba essere prodotta dalla convinzione che andrà sempre più crescendo nella società moderna, ed anche nella grande società cattolica, essere la libertà altamente favorevole allo sviluppo del vero sentimento religioso. Io porto ferma opinione, che questa verità trionferà fra poco. Noi l'abbiamo già vista riconoscere anche dai più appassionati sostenitori delle idee cattoliche: noi abbiam veduto un illustre scrittore in un lucido intervallo dimostrare all'Europa con un libro che ha menato gran rumore, che la libertà era stata molto utile al ridestamento dello spirito religioso (1)».

Il conte di Montalembert veniva assicurato che il conte di Cavour parlando dell'illustre scrittore aveva inteso di alludere a lui, epperò gli scriveva una lettera sotto la data citata di La Roche en Breny 22 ottobre 1860 (2). In questa lettera il Montalembert diceva: «Tutte le libertà civili e politiche che costituiscono il reggime normale d'una società incivilita, ben lungi dal nuocere alla Chiesa, aiutano i suoi progressi e la sua gloria. Essa vi trova bensì rivalità, ma anche diritti; lotte, ma anche armi, e quelle che le convengono per eccellenza, la parola, l'associazione, la carità. Ma la libertà non conviene alla Chiesa, che sotto una principale condizione, cioè che essa stessa goda della libertà. Parlo qui in mio nome, senza missione, senz'autorità, appoggiato solamente su di un'esperienza già lunga e singolarmente rischiarata dallo stato della Francia dopo dieci anni. Ma dico senza esitare, la Chiesa libera in seno di uno Stato libero, ecco il mio ideale».

Con queste parole la famosa formola veniva alla luce. Non è il conte di Cavour che l'inventasse come sempre si dice e generalmente si crede, ma egli invece la rubava al conte di Montalembert (1).

(1) Atti uff. della Cam. dei dep. anno 1860, N. 153, pag. 594, col. 2.

(2) Vedi più innanzi la traduzione italiana di questa lettera.

(1) Il conte di Montalembert recitava più tardi due discorsi nel Congresso dei Cattolici che i i-uno a Matines, nel Belgio, dal 18 al 22 di agosto del 1863, e i discorsi avevano per tema la Chiesa libera nello Stato libero. Il Montalembert dichiarava di avere imparato dal Belgio «une formule deja célèbre: l'eglise libre dans l'etat libre, et qui pour nous avoir ete derobée et mise en circulation par un gran coupable, n'en reste pas moins le symbole de nos convictions et de nos esperances». Vedi Correspondant del 25 di agosto 1803.

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Olfatto il 27 di marzo 1861, quando i deputati in Torino dichiaravano Roma capitale d'Italia, il conte di Cavour così favellava: Rimane a persuadere il Pontefice che la Chiesa può essere indipendente perdendo il potere temporale. Ma qui mi pare, che quando noi ci presentiamo al Sommo Pontefice e gli diciamo: Santo Padre, il potere temporale per voi non è più garanzia d'indipendenza, rinunziate ad esso e noi vi daremo quella libertà che avete invano chiesta da tre secoli a tutte le grandi Potenze cattoliche: di questa libertà voi avete cercato strapparne alcune porzioni per mezzo di concordati, con cui voi, o Santo Padre, eravate costretto a concedere in compenso dei privilegi, anzi peggio che dei privilegi, a concedere l'uso delle armi spirituali alle potenze temporali che vi accordavano un po' di libertà; ebbene quello che voi non avete mai potuto ottenere da quelle potenze che si vantavano di essere i vostri alleati, i vostri figli devoti, noi veniamo ad offrir velo in tutta la sua pienezza; noi siamo pronti a proclamare nell'Italia questo gran principio: Libera Chiesa in libero Stato (Bene) (2)».

È vero, il conte Cavour prometteva libertà alla Chiesa condizionatamente, se il Papa Abbandonasse il potere temporale, e volea stringere con Pio IX un contratto do ut des, uno di que' contratti che già Satana proponeva nel deserto a nostro Signor Gesù Cristo. Tuttavia bisogna avvertire che il conte di Cavour arrecava il suo sistema, e quello de’ suoi amici come pegno che le sue proposte erano sincere. Continuiamo a trascrivere dalla stessa tornata del 87 di marzo 1861: «Che queste nostre proposte sieno sincere non può essere messo in dubbio. Io non parlo delle persone: tuttavia io potrei ricordare a quelli fra i miei colleghi che faceano parte degli altri parlamenti, io potrei ricordare che fin dall'anno 1850, pochi giorni dopo essere stato assunto a membro del Consiglio della Corona, io francamente proclamava questo principio, quando respingeva la proposta d'incamerare i beni del Clero e di renderlo salariato e dipendente dallo Stato. lo ricorderò a sostegno della sincerità delle nostre proposte, che esse sono conformi a tutto il nostro sistema. Noi crediamo che si debba introdurre il sistema della libertà in tutte le par«i della società religiosa... e civile e quindi come conseguenza necessaria di quest'ordine di cose, noi crediamo necessario all'armonia dell'edilizio che vogliamo innalzare, che il principio di libertà sia applicato ai rapporti della Chiesa e dello Stato. (Bene!) (3)».

Nell'aprile dello stesso anno il conte di Montalembert scriveva una seconda lettera al conte di Cavour (4) e dicevagli: «Annunziate che giunto a Roma voi proclamerete questo grande principio: La Chiesa libera in libero Stato, e così mi fate l'onore inaspettato di adoperare la formola onde mi sono servito scrivendovi, è qualche mese, e con questa compendiate quello che voi promettete al mondo cattolico ed al Papato, invece della loro capitale profanata e del loro patrimonio conquistato».

Atti uff. della Cam. Anno 1861, N. 43, pag. 156, col. 1°

Atti uff. della Cam. loc. cit.

La ristampiamo più innanzi.

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E il conte di Montalembert proseguiva: «Voi ci dite: abbiate confidenza in me. Io vi rispondo: no. Voi vi vantate di ottenere tardi o tosto il concorso dell'opinione dominante presso i fedeli; ed io vi dichiaro che non lo avrete giammai».

A que' di noi abbiamo pubblicato il seguente articolo sugli Italianissimi che guarentiscono l'indipendenza spirituale del Papa.

Il conte di Cavour avea detto il 25 di marzo 1861: «Noi dobbiamo andare a Roma senza che l'autorità civile estenda il suo potere all'ordine spiritate».

E prometteva al Papa e al Cattolicismo parecchie guarentigie, garanzie potenti nette condizioni stesse delle popolazioni taitiani, e garanzie potentissime «nei principii di libertà iscritti in modo formale net nostro Statuto».

Coerentemente a queste promesse il deputato BonCompagni propose che la Camera dichiarasse Roma per capitale, dopo avere però assicurata la dignità, il decoro e l'indipendenza del Pontefice.

Il deputato Ricciardi propose semplicemente che la Camera affermasse innanzi al mondo questo solenne diritto la sede del Parlamento e del Governo italiano dover essere in Roma».

Il deputato di Greco (badate che nome quando si tratta di dare una guarentigia al mondo cattolico!) il deputato di Greco ha compiuto la proposta del Ricciardi, aggiungendo che la Camera guarentiva la podestà spirituale del Pontefice.

Se un deputato, che si chiama di Greco, insieme con una Camera come la nostra guarentiscono la podestà spirituale del Papa, può il mondo cattolico temere ancora elio il Papa non resti libero?

Oh buon Dio a quai terapici avete riservato! E possiamo noi ridere quando trattati d'un fatto cosi enorme, qual è quello di togliere anche Roma al Papa, sinché egli debba dire fra poco col Divin Maestro: «Le volpi hanno le loro tane, e gli uccelli dall'aria i loro nidi; ma il Vicario di Gesù Cristo non ha dove posare la testa?»

E possiamo dall'altra parte esaminare seriamente una guarentigia offerta al Capo del Cattolicismo ed al mondo cattolico da coloro che inimicano il Papa, che l'offendono in Parlamento e fuori, che deridono la sua parola, che conquistano te sue città?

Tra il serio ed il bernesco, ridendo e piangendo, noi dobbiamo scrivere questo articolo.

E dapprima vuoisi avvertire che i deputati, offerendo una guarentigia del potere spirituale del Papa, indirettamente confessano che sono giusti i timori de’ cattolici sui pericoli che corre il medesimo.

Di poi chi offre la guarentigia, e in che cosa la guarentigia consiste? Offrono la guarentigia coloro che hanno violato il Concordato a Torino, e distratto un Concordato a Napoli; coloro che hanno esiliato Monsignor Frausoni e Monsignor Marongiu, imprigionato il Cardinale Corsi, il Cardinale De-Angelis, il Vescovo di Piacenza a d'Avattino, e processato tanti altri Vescovi; coloro che hanno negato a Pio IX il tributo che gli dovevano in forza di un contratto, e che dopo di aver promesso solennemente d'impedire un'invasione delle Marche e dell'Umbria hanno invaso l'Umbria e le Marche!

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La podestà temporale del Pontefice sarà dunque guarentita da un conte di Cavour, che ha guarentito cosi bene il Re di Napoli dai Garibaldini! Sarà guarentita da un BonCompagni, che si è comportato cosi lealmente col Granduca di Toscana! Sarà guarentita da un Pepoli, che si mostrò a Bologna suddito cosi fedele verso il propria Sovrano! Sarà guarentita da un Liborio Romano, che die sì potenti guarentigie a Francesco II!

Giuseppe Ferrari, che ognuno sa che cosa pensi del Cattolicismo, guarentirà al. mondo cattolico la podestà spirituale del Papa! La guarentirà il signor Macchi, antico scrittore della Nazione, e grande amico di Mazzini! La guarentirà Angioto Brofferio, che i suoi Tempi dimostrano quanto sia pio!

Uno di coloro che debbono guarentire la podestà spirituale del Papa è il deputato Ricciardi, che scrisse le Memorie autografe d'un ribelle (Parigi, 1857), dove professa grande antipatia contro il Cattoticismo (pag. 64), e ingenito abbonimento per quanto putisce di preti (pag. 96}.

Un altro, è il celebre Paternostro, divenuto bey, e famoso per le sue supplicazioni al Re di Napoli, che poi ha trattato così bene in Sicilia!

Un terzo, è Amedeo Melegari, un quarto Gallenga, un quinto Nino Bixio, un sesto Giuseppe Garibaldi, tutti nomi che dicono eloquentemente quanto sarà sicura la podestà spirituale del Papa, guarentita da costoro, e come il mondo cattolico potrà riposarsi tranquillamente su questa guarentigia!

Coloro che vogliono guarentire oggidì la podestà spirituale del Papa, guarentirono nel 1847 e 48 la sua podestà temporale. Camillo Cavour proclamava i suoi diritti a Ferrara, Don-Compagni gridava contro le prepotenze di chi tentava di togliere a Pio IX le sue città, Farini levavasi contro l'indegno calunnia che si volessero togliere le Legazioni al papa; e un nostro ministro dell'interno il 1° agosto del 1848 protestava che, diminuito il potere temporale del Pontefice, si «distruggerebbe la sua indipendenza politica con grave danno della libertà ecclesiastica».

Chi non ricorda come gli amnistiati giurassero sulla croce d'oro di Pio IX di volerlo difendere fino all'ultimo sangue, e dicessero con Filippo De-Boni: «Gli Italiani debbono concedere, se fa di mestieri, la vita per onorare di non domabile difesa la costanza di Pio, le ragioni del suo Principato?»

A che cosa riuscisse la guarentigia accordata da costoro atla podestà temporale del Papa, ognuno sei vede oggidì. E varrà di più la guarentigia che promettono ora al mondo cattolico della spirituale podestà del Romano Pontefice? Non abbiamo qualche ragione di dubitarne?

Ma vien fuori il conte di Cavour, e dice che questa guarentigia i dee essere inscritta in modo formale nel nostro Statuto, dee far parte integrante del patto fondamentale del nuovo regno d'Italia». Ebbene veggiamo come si osservino le guarentigie scritte negli Statuti, e ci serva d'esempio il patto fondamentale dell'antico regno di Sardegna.

Lo statuto portava inscritto che «la religione cattolica apostolica e romana era la sola religione dello Stato», ed abbiam visto come fosse trattata questa religione. Portava che gli altri culti erano semplicemente tollerati e vedemmo sorgere tempii valdesi a Torino ed a Genova, e dominare tra noi la propaganda protestante.

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Portava che tutte le proprietà erano inviolabili senza alcuna eccezione, e fu violata la proprietà della Chiesa, de’ conventi e de’ monasteri. Portava: «la libertà individuate è guarentita» e centinaia di preti vennero arrestati quantunque innocenti. Portava: «II domicilio è inviolabile». E furono fatte visite domiciliari a Vescovi, a preti, a frati, e perfino a rispettabilissime matrone. Portava: «La stampa sarà libera», e sequestri, processi, condanne furono il pane quotidiano dei giornali conservatori. Portava: «E riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente». E i conventi e i monasteri furono conquistati e disperse le monache ed i religiosi.

Da questa rapida rassegna risulta che il mondo cattolico non ha guari ragione di riporre la menoma confidenza in ciò che potesse scriversi nel patto fondamentale del nuovo regno d'Italia. Tutti sanno come il conte di Cavour osservi i patti: tutti sanno come egli approvi ed abbracci misure estralegati, tutti sanno come egli abbia inaugurato un nuovo diritto pubblico, che non ha nulla di comune col diritto antico.

Sicché gli italianissimi pensino ad un altro mezzo, e lascino in disparte la guarentigia che vogliono dare della podestà spirituale del Papa, la quale è ridicola e per le persone che vogliono darla, e pel modo con cui si vuoi dare. Essi non si fidano delle guarentigie che accordano! Principi, e che può dare il Papa stesso, e pretendono che il mondo cattolico riponga confidenza nelle loro proprie assicurazioni?

Questo nostro articolo ci procacciava una lettera d'un deputato, lettera che qui ristampiamo coi commenti pubblicati allora:

II deputato Ricciardi ci ha scritto una lettera, nella quale dichiara che «se Pio IX fosse mai per consentire a rimaner contento alla podestà spirituale, o non si avrebbe nel Parlamento difensore più caldo di me».

Veggiamo l'uomo che ora si offre a caldo difensore del Papa! L'onorevole Ricciardi dice nella sua lettera che noi abbiamo omesso molte citazioni delle sue opere, ed è vero. Ne aggiungeremo perciò alcune in quest'articolo.

«Lode ai Persiani ed ai Peruviani adoratori del ministro del maggior pianeta (il sole). Gli è questo, a mio senno, il solo culto che tenga del ragionevole» (Ricciardi, Memorie d'un ribelle, pag. 201). Il caldo difensore degli adoratori del sole si offre a caldo difensore del Papa!

«Nessun libro mai mi parve più sciocco e più tristo insieme di quel della Bibbia» (Ricciardi, /oc. di. , pag. 362). E chi giudica a questo modo la parola di Dio vuoi essere il caldo difensore del Papa!

Più di tutte m'andava a sangue la dottrina di Baboeuf siccome quella che fondasi sugli eterni dettami della giustizia e della ragione» (Ricciardi, loc. cit., pag, 138). Il panegirista di Baboeuf si offre a caldo difensore del Papa!

Oltre alle Memorie d'un ribelle, il Ricciardi ha scritto una Storta d'Italia dal 1850 ai 1900, nella quale, conforme a' suoi desiderii, profetizza ciò che dee avvenire, alla maniera de’ profeti considera il futuro come se fosse presente.

In questa storia, a pag. 40, vuoi bensì che la libertà religiosa sia piena, «ma con la condizione che il Papa ed il Papato sieno esclusi per sempre da ogni provincia italiana». Oh che caldo difensore!

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E poi a pagina 56 ci dice che cosa diverrà la Basilica di San Pietro quando il Papa non avrà più caldo difensore del dep. Ricciardi. Leggete:

«L'aspetto di S. Pietro era non poco mutato, e facendoci dal peristilio diremo lo statue di Costantino e Carlomagno (flagelli entrambi della misera Italia) essere state atterrate. Nello entrare il gran tempio non più ti offendeva la vista degli avelli papali, a mano a mano sorgenti, che l'ira del popolo ne aveva rotta la pietra e data ai venti le ceneri. Le cappelle erano state nudate d'ogni arredo chiesastico, e sull'altare maggiore, in cambio della croce sorgeva l'insegna dei nostri padri, alla quale' erano state aggiunte in sull'alto le seguenti parole in lettere cubitali: In hoc signor si vince. Il pulpito era stato cangiato in tribuna, e tutto il tempio spirava un non so che di severo, contrario affatto a quel tanto di molle, e quasi diremo teatrale, che i i sensi e l'immaginazione alleta nelle chiese cattoliche. Gli ori e gli argenti, nè del solo San Pietro, ma d'ogni tempio di Roma e d'Italia, erano stati convertiti in i moneta, da sovvenire ai bisogni della guerra, e gli altri metalli, quello della statua di S. Pietro fra i primi, in proiettili ed armi. In luogo sì degno, qual era la Basilica Vaticana, purgata d'ogni levitica peste, adunavasi la prima Assemblea Nazionale Italiana» (Storia d'Italia, pag. 56).

Premesse queste poche citazioni, che si potrebbero prolungare, ecco la lettera che il Ricciardi ci scrisse:

Torino, al 28 marzo del 1861.

Reverendissimo Signore,

Ella mi fa l'alto onore di annoverarmi fra gli italianissimi del Parlamento italiano, che hanno l'uffizio di guarentire l'indipendenza spirituale del Papa, e nella sua ironia cita due luoghi delle mie Memorie autografi d'un ribelle, in cui mi dichiaro avverso al Cattolicismo e abborrente da tutto che pute di superstizioni e di preti. E sta bene; ma le dirò che altri luoghi rinvengonsi nel volume da lei citato, in cui io difendo l'assoluta libertà di coscienza e predico con parole ferventi la tolleranza delle altrui opinioni superstiziose. Il perché, se Pio IX fosse mai per consentire a rimanere contento alla potestà spirituale, e' non si avrebbe nel Parlamento difensore più caldo di me, di me che non per altro gli fui e sono tuttora nemico, che per esser ei stato ed esser tuttora acerbo nemico dell'indipendenza, dell'unità nazionale e della libertà dell'Italia.

Nella fidanza ch'ella sia tanto leale da accogliere questo mio richiamo, la prego di gradire i miei complimenti.

G. RICCIARDI.

Non tardarono i fatti a dar ragione al conte di Montalembert, ed a tutti coloro i quali ridevano della formola libera Chiesa in libero Stato, in quella stessa Camera dove il 27 di marzo 1861 il conte di Cavour l'avea proclamata, il 46 aprile dello stesso anno 1861 il dep. Petruccelli della Gattinà diceva, rispondendo a coloro i quali volevano che Vittorio Emanuele II si dichiarasse Re d'Italia per la grazia di Dio: «se voi intendete il Dio del cardinale Antonelli, il Dio di Pio IX, io vi prego, o signori, di ricordarvi che questo non può essere il Dio di Vittorio Emanuele (1)». E tre anni dopo, nella stessa Camera il deputato Bellazzi, invocando le vendette ministeriali contro i vescovi ed i sacerdoti, avvertiva:

«Il Governo dirà che fu fatto in alcuni casi, dirà per esempio che agì contro cinque vescovi, ventidue parroci, tre vicarii, tre guardiani di cappuccini, quattro arcipreti, due predicatori, due direttori spirituali, venti o trenta semplici preti (2)». Ma questo non bastava al Bellazzi, e' volea nuovi processi e nuove condanne contro la Casta sacerdotale, contro l'opera tenebrosa dell'Episcopato. E questi discorsi de due deputati, dicono bellamente i fratti della formola libera Chiesa in libero Stato dal 1861 al 1864.

Il Senato del Regno proclamò esso pure la formola libera Chiesa in libero Stato nella tornata del 9 di aprile 1861, in occasione d'un interpellanza dej senatore Vacca sulle cose di Roma. Il Vacca diceva allora «le vere glorie, la vere grandezze del papato» e ricordava «l'esempio di un gran papa, il quale colla potenza inerme dell'idea disarmò un feroce condottiero di orde barbaricbe, Leone I»; ricordava «un altro gran papa che si fece promotore della famosa lega Lombarda, che suggellò la pace di Costanza, Alessandro III»; ricordava «quella solenne figura d'Ildebrando che diede il nome al suo secolo». Ma non voleva che il papa continuasse ad essere re, come era stato appunto, quando quelle grandi cose operava, e supplicava Pio IX cosi: «smettete Santo Padre, la podestà temporale, questo inutile fardello, riconciliatevi coll'Italia». Intanto il Vacca proponeva di i restituire pienezza d'indipendenza al papa e di libertà alla Chiesa (Bene! Sene.) Epperò d'ora innanzi cesseranno.

(1) Atti uff. della Cam. anno 1861, N. 72, pag. 255, col. 1°

(2) Atti uff. della Caro. anno 1864, N° 605, pag. 2344, col. 1°

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gli Exequatur, gli appelli ab abuses, la presentazione e la nomina dei vescovi ed in genere tutti i diritti di regalia, che si traducono in servitù imposte alla Chiesa. Così adunque la Chiesa verrebbe a riconquistare le più ampie libertà, ed il papa la più piena e vera indipendenza (1)». Vedremo quattr'anni dopo questo medesimo Vacca assoggettare all'Exequatur perfino le lettere apostolici» di Pio IX che concedono il Giubileo, far condannare il vescovo di Mondovì dio annunziò il Giubileo senza il permesso del Vacca, e finalmente lo stesso signore, divenuto ministro guardasigilli il 12 novembre 1864 presentare alla Camera dei deputati un progetto di legge per la soppressione degli ordini religiosi e l'incameramento dei beni ecclesiastici, affermando «corre oggi una stagione in cui bisogna postergare ogni cosa, ed anche il culto delle dottrine più consentite, anche l'ossequio delle tradizioni più predilette, alle supreme necessità della patria (2)».

Il conte di Cavour nella stessa tornata del 9 aprile 1861 rispondendo ai senatore Vacca tornava a ripetere la formola di Chiesa libera in libero Stato, e riconosceva che i cattolici avevano buone ragioni per temere della sincerità di questa promessa dalla parte dei liberali: «Noi abbiamo visto, così il Cavour, per esempio in Francia nel secolo scorso, quegli uomini illustri, quei benefattori dell'umanità (sic) che fecero trionfare nell'assemblea costituente i principii del l'89, un anno dopo, nel 1790, applicare al clero un decreto improntato dello spirito di dispotismo; abbiamo visto un anno dopo imporre una costituzione civile al clero in opposizione assoluta ai grandi principii della libertà della Chiesa; abbiamo visto usurpare i diritti del sommo pontefice, negare ai papi il diritto d'investitura, e richiedere dai membri del sacerdozio un giuramento contrario alla loro coscienza. Tali fatti, o signori, e molti altri mi spiegano fino ad un certo punto questa esitazione, questo timore della Chiesa (3). » E proprio avvenne in Italia ciò che è avvenuto in Francia, e invece di libertà il cattolicismo s'ebbe la più dura e sacrilega tirannia.

Il senatore di Campello allora proponeva ai senatori di associarsi e ai voti degli eletti della nazione che proclamarono Roma capitale d'Italia, e dichiararono volere libera e indipendente la Chiesa [4)». Ed il senatore Matteucci proponeva quest'ordine del giorno: «Il Senato confidando che le dichiarazioni del governo del re per la piena e leale applicazione del principio della libertà religiosa faranno fede alla Francia ed all'intera società cattolica, che l'unione dell'Italia in Roma sua naturale capitale si compierà, assicurando nel tempo stesso il decoro e l'indipendenza della Chiesa e del pontefice, passa all'ordine del giorno (5)», E questa proposta del Matteucci veniva sancita dal Senato.

Quattordici mesi dopo, il 20 luglio del 1862 si parlava nuovamente della libera Chiesa in libero Stato nella Camera dei deputati e ne parlava Petruccelli della Gattina. Il quale ridevasi della famosa formola ed invocava Garibaldi «questo pontefice del popolo che scaccerà il pontefice di Cristo (Applausi dalla sinistra, e dalle gallerie)» e conchiudcva:

Atti uff. drl Senato, anno 1861. N. 32, pag. 101.

Relazione del guardasigilli Vacca, N» 159, pag. 2.

Atti uff. del Senato, anno 1861, N. 32, pag. 106.

Atti uff. del Senato, anno 1864, N. 33, pag. 107.

Atti uff. del Senato, loc. cit.

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«Noi vediamo che questo cattolicismo è un istrumento di dissidio, di sventura e dobbiamo distruggerlo!! (1)».

Per non dilungarci soverchiamente ci restringeremo a citare qualche sentenza profferita dai deputati nell'aprile del 1863 sulla formola libera Chiesa in libero Stato. Pisanelli ministro allora di grazia e giustizia diceva il 22 aprile 1863 ai deputati: «Dopo lunghe lotte e brevi paci si travide il vero e si cominciò a presentire che la vera concordia tra lo Stato e la Chiesa si sarebbe attuata mercé la loro compiuta separazione. E noi questa dottrina vedemmo inaugurata in questa stessa Camera con una formola precisa, nella quale era scolpita, con una formola che pronunziò il conte di Cavour: Libera Chiesa in libero Stato». Il deputato Nichelini interruppe il ministro soggiungendo che la formola «non dice niente». E Pisanelli proseguiva: t Mentre il conte di Cavour pronunziava quella formola, il conte Nichelini esclama che quella formola non dice niente (Si ride). Non dice ancor nulla perché con una formola non si può vincere d'un tratto la realtà (2). Due anni dopo che era stata proclamata la libera Chiesa in libero Stato sorgeva adunque tra coloro stessi che aveano fatto la proclamazione una vivissima lite intorno a questi due punti: 1° Se libera Chiesa in libero Stato significasse qualche cosa; 2° Nel caso che avesse un significato quale fosse il suo vero senso. Ed ecco alcune delle opinioni manifestate dai ministri e dai deputati.

Pisanelli, ministro di grazia e giustizia (Tornata del 22 aprile 1863). «Coloro, che hanno con pieno ardore abbracciato il concetto della formola Libera Chiesa in libero Stato, ingannando quasi se medesimi, traducono il loro pensiero in realtà, o del loro pensiero almeno fanno un velo sui fatti.

«Il sistema di costoro non sarebbe che il sistema dell'abbandono. Lo Stato ha alcuni diritti, che ha ereditati dal passato; ebbene si spogli di questi diritti, ne faccia gettito, li abbandoni. Signori io credo, che questo sistema, in questo punto non sarebbe senza pericolo. Nessuno più di me desidera il momento, in cui Io Stato sia in grado, senza detrimento alcuno, di rinunciare a tutti i diritti che ha ereditali dal passato. Ma finché dura la guerra che una parte del sacerdozio muove alla libertà, al paese, ed all'Italia, finché questa parte del sacerdozio insidia in tutte le guise, e con tutti i mezzi il nostro avvenire, io credo, che sarebbe altamente risponsabile quel ministro che permettesse, che il Governo fosse spogliato dei diritti che gli danno le leggi, lasciando trionfare le arti, le macchinazioni, i raggiri, che a danno dello Stato, a danno della libertà, a danno dell'Italia potrebbe usare una parte del sacerdozio (Benissimo).

«Io dunque credo che mantenere gli exequatur, gli appelli di abuso, i diritti che ha il potere regio nella provvisione dei benefizii, sia un debito del governo.

«È un debito doloroso del quale nessuno, lo ripeto, più di me desidererebbe che il governo fosse liberato, ma, che ora deve pure adempiere (Benissimo)». (Alti Uff. n° 4198, pag. 4664).

Deputato Sineo (tornata del 22 aprile i863). «Libera Chiesa in libero Stato si è molte volte ripetuto in quest'aula. L'onorevole mio amico Nichelini

Atti uff. della Camera, anno 1862, N° 772 pag. 2994.

Atti uff. della Camera, anno 1863, N°1198, pag. 4061.

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diceva, che con questo non si definiva niente, lo non sono di questo avviso: «Libera Chiesa in libero Stato, secondo il nostro Statuto, è precisamente il libero esercizio della libertà individuale guarentita dallo Statuto; libertà di agire, libertà di pensare, libertà anche di discutere; tuttavolta, che voi non offendete la legge, tuttavolta, che non avete contro di voi il Codice penale siete liberi di agire, di pensare, di parlare, di scrivere. Ebbene, si faccia, e faccia il Governo, che è suo dovere, che questa libertà sia rigorosamente mantenuta, ed allora, perché non ci sarà il libero Stato davanti alla libera Chiesa?

«Ma si dice, e la Chiesa la lascieremo perfettamente libera? Lascieremo, che dei prelati, i quali dispongono d'immense ricchezze, possano osteggiare palesemente le nostre istituzioni? Possano persino insultare ed al Governo, ed e ai cittadini? ma Dio buono! Il Codice penale è fatto per tutti; è fatto pei prelati, come pei semplici cittadini.

E poi quando noi diciamo Libera Chiesa, noi non possiamo concepirla diversamento da quello, cui avvisava l'onorevole guardasigilli, almeno secondo che suonavano le sue parole nell'ultima parte di questo periodo del suo discorso. Libera è la Chiesa sintantochè essa ripudia, come debbe ripudiare, ogni consorzio colla potestà civile». (Atti Uff. n. 1299, pag. 4668). Deputato Cruves (tornata del 23 aprile 1863). «Io sono lieto che l'onorevole deputato Passaglia venga ad illuminare la Camera perché egli riescirà forse a farmi comprendere ciò che io non sono mai riuscito a capire, voglio dire della celebre formola: Libera Chiesa in libero Stato. Signori, io lo confesso, ho udito da molti enunciarsi questa formola, vi ho anche per la mia parte applicato un po' di studio, ma non ho mai capito che cosa volesse significare. Libera Chiesa in libero Stato esige naturalmente prima di tutto che la Chiesa sia libera, e che la Chiesa sia nello Stato; finché la Chiesa non riformi le sue e discipline in modo che ella adotti quei principii di libertà su cui si fonda lo Stato, io non posso farmi idea di libera Chiesa in libero Stato, imperocchè libera Chiesa la intendo non soltanto rimpetto allo Stato, ma libera Chiesa in e sé. Certo che se per avventura si riformassero le discipline della Chiesa in modo che il basso clero avesse diritto di eleggere egli i suoi prelati, oh! in allora comincerei a capire libera Chiesa in libero Stato, ma finchè la Chiesa è costituita disciplinarmente, qual è, io veggo Chiesa dispotica in libero Stato. Però soggiungo: sarebbe necessario che la Chiesa fosse nello Stato. Ora nessuno potrà ciò sostenermi, quando il capo della Chiesa è fuori dello Stato. Ritenete poi, o signori, le condizioni del nostro paese quali sono; ritenuti i rapporti, e non dirò altro, del nostro Governo colla S. Sede, dello Stato nostro i colla Chiesa, io penso che intanto si farebbe molto meglio ad adottare quest'altra formola: ben vigilata Chiesa in libero Stato (Ilarità e segni d'approvazione». (Alti Uff. n. 1202, pag. 4678).

Deputato Passaglia (tornata del 23 aprile 1863). «Possiamo volgerci a considerare la formola di libera Chiesa in libero Stato.

«Questa formola, signori, grammaticalmente io non l'ho mai adottata, perché grammaticalmente presenta una difficoltà, e può togliersi in fallacissima significazione. Voi mi insegnate, che i Fcbroniani, i Tanucciani e i Regalisti dei secoli decimosettimo e decimottavo proclamarono la formola

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di Chiesa in Stato, ed a confortarla si valsero della sentenza di un grande scrittore cattolico del secolo quarto, di sant'Oliato di Milevi, il quale discorrendo contro i Donatisti, che spregiali i doni, e non curata la benevolenza dell'Imperatore, ingrati e superbi erano usi dire: Che ha a che fare l'imperatore colla Chiesa, fra le altre ragioni oppose loro anche questa: ignorate voi forse, che la Chiesa o nella repubblica, e non la repubblica nella Chiesa? Vedete, ripigliarono i Febroniani, i Tanucciani, i Regalisti, ed altri di simil fatta, vedete? La Chiesa e è nello Stato, e se o nello Stato, che ne conseguita? Senza fallo essere un'attinenza del medesimo, e perciò doversi modificare, e temperare conforme alle sue esigenze.

«Signori, io vi dirò inni quello che privatamente penso, che poco varrebbe, e ma dirovvi qual sia la credenza cattolica, della quale mi stimo interprete non affatto incompetente. La credenza cattolica è questa, la Chiesa non è nello Stato. E perché la Chiesa non è nello Stato? Perché la Chiesa o in se medesima, ed al di là di ogni Stato; perché ha in se medesima tutto ciò che è necessario, e basta renderla una perfettissima società soprannaturale e religiosa; perché nella circonferenza delle cose sacre e divine è autonoma; e perché essendo tutte le politiche società etnograficamente, e geograficamente circoscritte, essa, la Chiesa, abbraccia tutti i popoli, ed è cosmopolitica, e e quindi grammaticalmente parlando è falsa la formola libera Chiesa in libero Stato. Sapete quale sia la formola genuina ed esatta? E' la seguente: libera e Chiesa e libero Stato. L'egregio dep. Chiaves ci diceva: potremmo ammettere la formola libera Chiesa in libero Stato se la Chiesa potesse esser libera. Ma affinchè lo potesse essere con verrebbe che abbracciasse teoricamente le nostre dottrine giuridicbe, sociali, nazionali ed internazionali, e praticamente non vi si opponesse, non le osteggiasse, ma piuttosto le sostenesse e le sorreggesse. Ma la Chiesa né lo ha fatto, né lo farà essendo despotica. Laonde anzi che dire: Libera Chiesa e libero Stato a suo giudizio dovrebbe dirsi: Chiesa ben vegliata in libero Stato. Signori, io vi rispetto, ma siete troppo piccoli per vigilare sulla Chiesa. La Chiesa è grande quanto il mondo, la Chiesa è santa ed immortale. Sapete chi veglia sulla Chiesa? La Chiesa prima di tutto è guardala e custodita dal suo capo invisibile, Cristo; è guardata e custodita dai legittimi successori di Pietro; è guardata e custodita dal ceto dei pastori e dei dottori, che non hanno per eredità l'amen dell'idiota, ma cattedra ed autentico magistero; ed è pure guardata e custodita, giusta la propria misura, dal secondo grado della gerarchia divinamente istituii (Rumori e risa a sinistra)». (Atti Uff. n.1203, pag. 4080).

Deputalo Michelimi (tornata del 24 aprile 1863). «Come ho detto nell'interruzione che m'é sfuggita allorquando parlava il signor ministro di grazia e giustizia, non approvo la formola Libera Chiesa in libero Stato. Questa formola è elastica; essa dice troppo o dice niente, dice troppo se ammettendo nello Stato la Chiesa qual è attualmente colle sue esagerate pretese le concede ampia libertà; o dice niente se non concede alla Chiesa che tutte le liberti che hanno gli altri cittadini. Allora tanto varrebbe dire: Libero ramaglia in libero Stato» (Bisbiglio). (Atti Uff. n° 4205, pag. 4690)

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Che Babilonia! i deputati gridano Libera Chiesa in libero Stato, o poi non sanno che cosa vogliano significare queste parole.

Chi dice la formola un'arte di governo, chi la proclama una verità, chi un non senso. Questi protesta che non dice nulla; quegli dichiara che dice troppo; l'uno la trova grammaticalmente erronea, l'altro politicamente rovinosa, o intanto la Chiesa che si volea libera è insultala, spogliata, perseguitata, e sarebbe distrutta se il braccio di Dio per conservarla non fosse più polente del braccio de’ rivoluzionarii nell'atterrare e nel distruggere.

PRIMA LETTERA DEL CONTE DI MONTALEMBERT

AL CONTE DI CAVOUR

(Pubblicata il 28 ottobre 1861).

Signor Conte,

Leggo nella relazione della tornata del Parlamento di Torino, del 12 di ottobre, queste parole dette da voi: «lo credo che la soluzione della questione romana debba essere prodotta dalla convinzione che andrà sempre più crescendo nella società moderna, ed anche nella grande società cattolica, essere la libertà altamente favorevole allo sviluppo del vero sentimento religioso. Io porto ferma opinione che questa verità trionferà fra poco. Noi l'abbiamo già vista riconoscere anche dai più appassionali sostenitori delle idee cattoliche; noi abbiamo veduto un illustre scrittore, in un lucido intervallo, dimostrare all'Europa, con un libro che ha menato gran rumore, che la libertà era stata molto utile al ridestamento dello spirito religioso».

Sono assicurato che voi avete inteso di alludere a me, Se le vostre parole non contenessero che un elogio, non oserei considerarle come delle di me; ma siccome racchiudono eziandio un'ingiuria, così la mia modestia vi si può acconciare.

Voi m'interpellate davanti il pubblico, epperò mi date il diritto di rispondervi davanti a lui. Nel farlo provo una ripugnanza che duro fatica a sormontare. Il sangue francese venne sparso per ordine vostro; l'onore cattolico fu insultato dai vostri luogotenenti, il secolare asilo, l'ultimo rifugio del Padre comune dei fedeli fu minacciato dalle vostre parole. Non v'ha uno degli atti vostri che non m'offenda e rivolti. Ed ora voi recate un nuovo colpo a tutto ciò che io amo, ravvolgendo i vostri perversi disegni sotto il velo di un accordo bugiardo tra la religione e la libertà, e in appoggio do' vostri detti invocate la mia testimonianza!

Debbo a me stesso il protestare che non sono d'accordo con voi, signor Conte, in nessun punto. Grazie a Dio la vostra politica non o la mia. Voi siete pei grandi Stati incentrali, io sono pei piccoli Stati indipendenti. Voi disprezzate in Italia ]e tradizioni locali, ed io le amo dappertutto. Voi siete per l'Italia unitaria, ed io per l'Italia confederata. Voi violate i trattali e il diritto delle genti, io li rispetto, perché sono tra gli Stati ciò che sono tra gli uomini i contratti e la probità.

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Voi sacrificate al vostro scopo le obbligazioni, le promesse, i giuramenti, io vi rispondo col generoso Manin: «Que' mezzi che la morale riprova, sieno pure materialmente utili, uccidono moralmente. Nessuna vittoria merita d'essere messa sulla bilancia col disprezzo di se medesimo (1)».

Voi distruggete il potere temporale del Romano Pontefice, ed io lo difendo con tutta l'energia della mia ragione e della mia tenerezza. Voi riprovate la politica che ha prodotta la spedizione della Francia a Roma nel 1849, ed io mi glorio d'averla sostenuta. Malgrado le crudeli e inescusabili smentite che ha ricevute di poi, io la ringrazio ancora, perché è l'ultima e vacillante conseguenza di questa spedizione, che oggidì costringe la Francia e il Piemonte a ritrovarsi a faccia a faccia davanti il Campidoglio.

Voi date agli eroi di Garibaldi gli elogi ch'io riservo ai mercenarii dell'immortale Pimodan. Voi siete con Cialdini, io sono con Lamoricière. Voi siete col P. Gavazzi, io sono con i Vescovi d'Orléans, di Poitiers, di Tours, di Nantes, con tutte quelle voci cattoliche, che nei due mondi protestarono e protesteranno contro di voi. Io sono sopratutto con Pio IX, che fu il primo amico dell'indipendenza italiana fino al giorno, in cui questa gran causa passò nelle mani dell'ingratitudine, della violenza e dell'impostura.

Dalla nostra parte, ardisco dirlo, sta la coscienza; dalla vostra, lo credo, il trionfo. Il Piemonte osa tutto, la Francia permette tutto, l'Italia accetta tutto, l'Europa subisce tutto. Il vostro trionfo, lo ripeto, mi pare certo.

Tuttavia due ostacoli si levano contro di voi, Roma e Venezia; a Roma la Francia, a Venezia la Germania. Sono stranieri, ma son forti. A Napoli gli Italiani non vi fermarono; a Castelfidardo eravate dieci contro uno; avevate, è vero, da vincere diritti, trattati, obbligazioni, onore, giustizia, debolezza; ma sono cose astratte, che non resistono alla mitraglia. A Roma vi sono battaglioni francesi; a Venezia e a Verona cannoni rigati. Davanti il diritto passaste oltre, ed esitate davanti la forza.

Questa forza, Io riconosco, non difende cause eguali. A Venezia sostenete una causa giusta. Venezia fu odiosamente tradita da noi nel 1797, tristamente consegnata da voi nel 1849, ingiustamente abbandonata da voi e da noi nel 1859. La sua liberazione è giusta.

A Roma sostenete una causa ingiusta sotto tutti i rispetti, ed anche, voi lo sapete, rispetto all'Italia. Noi Francesi, noi cattolici del mondo intero facciamo un gran sacrifizio all'indipendenza del potere Pontificio, accettando che posto in Italia sia abitualmente servito da mani italiane. Ma, Italiani, ve l'han detto cento volte, che sarà la vostra patria senza il Papato? Che figura faranno le vostre piccole Maestà Piemontesi nel centro della cattolicità divenuto l'albergo degli uffizi de’ vostri ministri? Pensate che l'umanità sia per continuare il suo pellegrinaggio a' piedi del trono de’ vostri Sovrani? Avete la gloria incomparabile di possedere la Capitale di ducento milioni d'anime, e ogni vostra ambizione è di ridurla ad essere il capoluogo dell'ultimo venuto dei Re della terra!

Pretendete conquistare la Venezia persuadendo l'Austria e l'Europa. Vedremo: quanto a me ve l'auguro sinceramente. Si è colla persuasione, coll'esempio della sua prosperità all'ombra delle libere istituzioni che il

(1) Documents ecc. publiès par M. Planai de la Faye, tom, II, pag. 420.

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Piemonte dal 1847 in poi avrebbe dovuto, avrebbe potato assicurare il trionfo e l'onore della sua politica. E da ciò deriva clic tra tutti i colpevoli, tra' quali sarà divisa la risponsabilità del male che si commette in Italia, forse il pili grande colpevole siete voi. Imperocchè voi avevate tutto ciò che potea condurre a bene un'opera ammirabile colla simpatia degli onesti di tutto il mondo. Non vi mancavano né patriottismo, né eloquenza, né audacia, né perseveranza, né destrezza: non vi mancò che una cosa sola, la coscienza e il rispetto della coscienza altrui.

Voi ora pretendete di sciogliere la questione romana provando al mondo i benefizi dell'alleanza tra la libertà e la religione. Clic cosa volete dire? lo servo da trent'anni questa nobile alleanza, e ne credo il trionfo indispensabile alla salvezza della società, o si è perciò che vi combatto, imperocchè nessuna politica ha mai reso difficile questo trionfo come la vostra. Le vostre parole che io accetto sono assolutamente smentite dagli atti vostri che riprovo.

Resto più che mai fedele alla convinzione che avete notata ne' miei scritti. Tutte le libertà civili e politiche che costituiscono il reggime normale d'una società incivilita ben lungi dal nuocere alla Chiesa aiutano i suoi progressi e la sua gloria. Essa vi trova bensì delle rivalità, ma anche dei diritti; delle lotte, ma anche delle armi, e quelle che le vengono per eccellenza, la parola, l'associazione, la carità. Ma la libertà non conviene alla Chiesa che sotto una principale condizione, cioè ch'essa stessa goda dulia libertà. Parlo qui in mio nome, senza missione, senza autorità, appoggiato solamente su di un'esperienza già lunga e singolarmente rischiarata dallo stato della Francia dopo dieci anni. Ma dico senza esitare: — La Chiesa libera in seno d'uno Stato libero, ecco per me l'ideale. —

Soggiungo che nella società moderna la Chiesa non può essere libera che dove tutti lo sono. Agli occhi miei è un gran bene e un gran progresso; in ogni caso è un fatto.

Non si rimproveri alla Chiesa di non accettare tutte le libertà che gli Stati si danno. In tutti i paesi essa le accetta, e ciò che è più essa se ne serve, in Inghilterra come negli Stati Uniti, in Prussia come in Olanda, dappertutto insomma quando non le mettono il bavaglio, o degli incagli specialmente inventati per lei.

L'accordo sarebbe completo se, alla loro volta, gli Stati accettassero tutte le libertà, di cui la Chiesa ha bisogno, invece di mercanteggiarle con leggi stantie come in Francia; di confiscarle con odiose vessazioni, come in Russia; o di calpestarle con brutali iniquità, come in Italia.

Ora l'indipendenza della Chiesa riposa, anzitutto, sulla libertà assoluta del suo Capo, datore e custode della fede, e questa libertà da dieci secoli ha per iscudo una sovranità temporale indipendente da tutti gli Stati. Essa riposa inoltre nell'interno di ciascuno Stato, sulla libertà d'associazione, sulla libertà d'insegnamento, sulla libertà della carità, diritti che ogni uomo sensato non pretende riservare alla Chiesa sola, ma che non sono diritti se vengono impediti da ostacoli preventivi, invece d'essere semplicemente sommessi alla repressione nei casi definiti dulie leggi e giudicati dai tribunali indipendenti con pubblicità e con appello.

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Ecco le guarentigie e le condizioni della libertà della Chiesa. Ora voi le violate tutte insieme; la prima sopprimendo il potere temporale del Papa; la seconda disperdendo i religiosi; la terza violentando i Vescovi; la fjuarta confiscando il loro patrimonio.

Come volete dunque che la religione vada di accordo con una libertà, che comincia dal sopprimere la sua?

Siete voi pronto a rendere al Sommo Pontefice la sua sovranità temporale, quella sovranità che gli assicura tale potenza e tali mezzi, affinché, libero da ogni pressione e da ogni obbligazione, non abbia a tendere le mani che verso Dio?

Siete pronto a ricevere l'intiera libertà della Chiesa ne' vostri Stati ingranditi?

Siete pronto ne' sei mesi che ci volete concedere, a dimandare ai Sovrani dell'Europa di assicurare questa libertà nei loro Stati, in Francia, in Russia, in Prussia, in Austria, in Inghilterra? — Allora potrete parlare di riconciliare la religione colla libertà.

Ma, in luogo di tutto ciò, da dieci anni avete violato con nessun altro pretesto, fuorchè col diritto del più forte, tutti i trattati, tutte le obbligazioni, solennemente stipulate tra il Piemonte e la Santa Sede. Di più avete denunziato il Sommo Pontefice al Congresso di Parigi, avete calunniate le sue intenzioni, avete svisati i suoi atti, avete esiliato i suoi Vescovi avete derise le sue sentenze, avete violato i suoi confini, avete invaso i suoi Stati, avete imprigionato i suoi difensori, avete insultati, schiacciati, bombardati i suoi soldati, e date a Garibaldi l'appuntamento di trovarsi fra sei mesi sulle tombe degli Apostoli! Poi dite ai cattolici:» Io sono la libertà, e vi porgo la mano».

No, no, non siete la libertà, non siete altro che la violenza! Non condannateci ad aggiungere che siete la menzogna! Noi siamo le vostro vittime, sia pure-, ma non saremo il vostro zimbello. Potete annettere al Piemonte regni ed imperi, ma vi sfido di annettere ai vostri atti una sola coscienza onesta. Il fortunato e necessario accordo della religione colla libertà verrà a suo tempo; ma se per isventura fosse per lungo tempo ritardato, sarà vostra colpa e vostro eterno disonore.

La Roche en Breny, 22 ottobre 1860.

CB. DE MONTALEMBERT.

SECONDA LETTERA DEL CONTE DI MONTALEMBERT

AL SIG. CONTE DI CAVUOR

(Pubblicata il 23 aprile 1861).

Signor Conte

Nel vostro discorso del 27 di marzo e del 9 di aprile voi mi mettete in causa. Nel primo annunziate che giunto a Roma voi proclamerete questo grande principio: La Chiesa libera in libero Stato; e cosi mi fate l'onore inaspettato di adoperare la formola onde mi sono servito scrivendovi, è qualche mese, o con questa compendiate quello che voi promettete al mondo cattolico ed al Papato, invece della loro capitale profanata e del loro patrimonio conquistato.

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Nel secondo mi citate tra i precursori del liberalismo che voi augurate ai cattolici. Laonde voi mi conferite il diritto di rispondervi, anzi m'imponete il dovere di strapparvi di mano un'arma che mi avete tolta, e di non lasciarvi a basare d'una dottrina che io amo, per fini che io detesto. Vedendovi spiegare questa bandiera così nuova nelle vostre mani, riconosco la mia, e me ne sento commosso. Ma considerando chi la porta e la tattica che rìcuopre, mi sento ingannato e me ne sdegno. Tuttavia vi so grado d'aver portato la questione su di un nuovo terreno

Voi dite: Se noi arriviamo a persuadere ai cattolici che la riunione di Roma al resto d'Italia non può essere per la Chiosa una causa di dipendenza, la questione avrà fatto un gran passo (1)». E soggiungete: «Si è persuadendo i cattolici di buona fede di questa verità, che Roma imita all'Italia non sarà una causa d'oppressione per la Chiesa; si è persuadendo loro che l'indipendenza di questa ne sarà per contrario accresciuta, si è cosi dico, che noi finiremo per arrivare ad un accordo colla Francia rappresentante naturale della società cattolica in questo grande dibattimento (2). Arrivati a Roma noi proclameremo

la separazione della Chiesa dallo Stato. Ciò fatto la gran maggioranza dei

cattolici d'Europa ci approverà e farà ricadere su chi di diritto la risponsabilità della lotta che la Corte di Roma avrà voluto ingaggiare colla nazione (3)».

Voi sentite adunque che trattasi innanzi tuttodì quella risponsabìlità morale, onde Iddio, e dopo di lui il genere umano sono i soli giudici. Voi scendete su di un campo in cui non tocca solo al cannone il decidere, in cui i congressi medesimi sono incompetenti. Riconoscete d'aver bisogno del consenso dei cattolici, e anticipatamente vi calcolale.

Ebbene, sono io uno di questi cattolici di buona fede che voi invocate. Io difendo da trent'anni questa indipendenza della Chiesa, di cui voi parlate per la prima volta. E sotto questo duplice titolo, in nome di tutti i milioni di cattolici, dei quali reclamate il suffragio, non temo di rispondervi: — La nostra adesione voi non l'avrete. — Voi ci dite: — Abbiate confidenza in me. — Io Vi rispondo arditamente: No. Voi vi vantate di ottenere tardi o tosto il concorso dell'opinione dominante presso i fedeli, ed io vi dichiaro che voi non lo avrete giammai. — Voi ne appellate alla maggioranza de’ cattolici, ed io sostengo, che tra i veri cattolici, i soli che valgano qualche cosa, i soli la cui adesione abbia una forza in materia religiosa, sieno preti, sieno laici, voi non ne avrete nessuno. Vi rispondo adunque in tre parole: No! Giammai! Nessuno!

II.

Mi domanderete con quale diritto io parli in nome di tutti. Forse voi confidaste sulle nostre dissensioni. Sì, noi siamo e noi resteremo discordi su molte questioni. Ma la Francia ed il Piemonte sembrano essersi accordati per ravvicinarci. Non vi hanno più che i ciechi ed i complici che possano,

(1) Moniteur del 88 di marzo 1861.

(2) Moniteur M 30 marzo 1861.

(3) Moniteur del 28 marzo 1861.

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davanti la politica francese, negare i vantaggi della libertà, e davanti la politica piemontese imporre silenzio ai richiami della coscienza.

Voi speculaste sugli impicci di noi cattolici liberali. Altri burlossi del fatto nostro supponendoci singolarmente imbrogliati tra il conte di Cavour che finge d'invocarci, e il Sovrano Pontefice a cui si fa dire che ci condanna. Confusione puerile! Per me sono sì altiero da credere, ed ho la coscienza d'aver provato che il vostro liberalismo non ha nulla di comune col mio, e per conseguenza ho la dolcezza di credere e la confidenza di affermare che il mio liberalismo piti perseverante e più convinto che mai, non ha nulla di comune con quello sì giustamente condannato dal Romano Pontefice.

Abbiamo noi dunque perduto ogni abitudine delle discussioni per dimenticare il processo oratorio che consiste nel prevalersi delle idee che si combattono? In nome della giustizia si viola la giustizia, in nome della libertà si soffoca la libertà; si è per ristabilire l'ordine morale che Cialdini fu mandato nelle Marche; si è per rispetto verso la religione che il sig. Billault durante tre mesi proibisce la pubblicazione dei mandamenti vescovili; si è pel bene della Chiesa che il Piemonte toglie alla Chiesa i suoi beni; si è nell'interesse dell'umanità che gli Stati del Sud dell'Unione conservano la schiavitù; si è per amore dell'ordine che a Varsavia si pigliano le donne a sciabolate; si è per salvare i Martini ti che la Turchia esige l'allontanamento dei Francesi dalla Siria! Impariamo adunque ad investigare sotto le parole, per iscoprirci le intenzioni; leviamo la pelle dell'agnello per mettere a nudo il lupo. Smascheriamo il procedere vulgato che copre coi colori della libertà le intraprese della violenza. Questo procedere ha un nome nella lingua marittima: esso consiste nel coprire la mercanzia illecita con una falsa bandiera, e si chiama pirateria.

Per guadagnarci voi ci promettete con un ordine del giorno «la piena ed assoluta libertà della Chiesa», e voi vi vantate di «segnare la pace tra lo spirito religioso e i grandi principii della libertà». Ma questa promessa voi non la manterrete. Io non parlo della vostra buona fede, e solo dichiaro la vostra impotenza. E questa impotenza la dimostrano i vostri antenati, i vostri ausiliarii, i vostri antecedenti.

III.

Chi siete dunque voi? E quali sono i vostri antenati? Così io chiamo coloro di cui invocate il nome e l'autorità, di cui vi costituite l'erede, di cui pretendete di continuare l'opera. Voi volete, avete detto, la riforma della Chiesa, come Arnaldo da Brescia, come Dante, come Savonarola, come Sarpi, come Giannone. Lasciamo, in grazia, da parte Savonarola; permettetemi di credere che non l'avete mai letto; perché egli amava tutto ciò che voi distruggete, e abbominava tutto ciò che voi servite. Lasciamo Dante [che forse avete letto, ma che non avete capito; Dante che, sovente e giustamente severo verso certi Papi, non lasciò tuttavia di bollare in Filippo il Bello un delitto simile a quello che voi ed i vostri alleati avete commesso o state per commettere; Dante che fu il primo a riconoscere tra la Passione di Cristo e la Passione del suo Vicario Bonifazio VIII quella rassomiglianza, che sembra una profanazione ai puritani della democrazia imperiale:

— 145 —

Veggio in Magna entrar lo fiordaliso

E nel Vicario suo Cristo esser catto.

Veggiol un'altra votta esser deriso,

Veggio rinnovcllar l'aceto e 'l fele,

E tra vivi ladroni esser anciso.

Veggio 'l nuovo Pilato si crudele,

Che ciò noi sazia, ma senza decreto

Porta nel tempio le cupide vele

Ma pigliamo gli altri. Arnaldo da Brescia, il quale contestava ai successori degli Apostoli il potere di legare e di sciogliere; che negava al Clero il diritto di possedere, sola guarentigia in quei tempi del diritto di vivere e di agire (1); che predicava specialmente la sommissione assoluta dei preti e dei laici alla tirannia dello Stato:

Omnia principibus terrenis subdita sunto!

Fra Paolo Sarpi, eretico e servile, il cortigiano di Filippo II, il panegirista assoldato del dispotismo oligarchico di Venezia, il bestemmiatore del Concilio di Trento, della grande assemblea riformatrice, delle ultime grandi assise della cristianità! Giannone, l'apologista dei viceré spagnuoli a Napoli, il tipo e l'oracolo di quei giureconsulti oppressori, i quali non sognano e non predicano che una Chiesa imbavagliata, incatenata, assoldata. Ecco belle autorità in fatto di libertà, di giustizia, di coscienza!

Ma andiamo innanzi: di tutti i Sovrani che regnarono sui popoli cristiani, voi non ne citate che un solo, Carlo V, di cui fate il vostro precursore, e il cui esempio vi incoraggisce, perché, voi dite: «La storia ci mostra che Roma invasa dagli Spagnuoli di Carlo V, vide il Papa, qualche tempo dopo, consacrare Carlo e collegarsi con esso lui (2)». La storia, scritta questa volta da un Bonaparte (3), non dice già Roma invasa, essa dice Roma presa d'assalto, saccheggiata, incendiata; i Romani scannati e torturati, i Romani abbandonati ad inenarrabili oltraggi. Questa schifosa rimembranza dovreste seppellirla in una notte profonda. Ma no, voi l'invocate, ne fate un'arma contro il Papato, a cui voi divisate altresì di chiedere che consacri i vostri sacrilegi. Voi dimenticate del resto, che se Clemente VII perdonò a Carlo V, non fu che dopo la restituzione di Roma e di tutto lo Stato Pontificio. Vorreste voi riconciliarvi a questa condizione?

Il vostro avvocato, Giulio Favre, completò la serie dei vostri precursori facendo il panegirico della opera vostra e proponendo al Corpo legislativo di votare l'abbandono di Roma alla vostra politica. Ha citato, evocato, vantato da prima Filippo il Bello, che fece abbruciare per mano del carnefice le Bolle del Vicario di Gesù Cristo, poi Napoleone, come già aveva fatto in Senato suo nipote, il quale vi chiama suo amico (4). E qual è il Napoleone che i vostri panegirici

Nil proprium cleri, fundos et praedio nullo — Iure sequi monacos (GUNTHER, De rebus gestis Federici I, lib. m, ap. Muratori).

Moniteur del 28 marzo 1861.

Sac de Rome écrit en 1557 par Jaques Bonaparte, tèmoin oculaire. Traduzione dall'italiano di Napoleone Luigi Bonaparte. Firenze, tipografia granducale, 1830.

Moniteur del 2 mano 1864

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francesi evocano in tal modo parlando di voi? Il Napoleone del concordato? No, mille volte no; ma si il Napoleone di Tolentino, il quale nello stesso giorno e colla stessa penna il 19 febbraio 1797 scriveva a Pio VI: «La Repubblica francese sarà, spero, una delle più vere amiche del Papa»; e al Direttorio: «Roma privata delle Legazioni non può più sussistere; questa vecchia macchina si sfascierà da sola (1)». Quindi il Napoleone del 1809, cioè colui che spogliò ed incarcerò il Papa, da cui aveva ricevuto la sacra unzione; e finalmente il Napoleone del 1813, quello che a Fontainebleau costrinse con odiosa violenza Pio VII prigioniero a sottoscrivere un Concordato disdetto il giorno dopo, e gli fece accettare (è il sig. Giulio Favre che lo dice) la qualità di funzionario dell'Impero francese (2).

A sì, son ben questi i vostri precursori; i vostri avvocati francesi hanno mille ragioni di citarli a vantaggio della vostra causa. Lo schiaffo del signor di Nogaret, il pugno di ferro di Napoleone, che serra la mano disarmata di Pio VII per fargli sottoscrivere la sua umiliazione e la sua abdicazione, sono proprio gli atti che servono di precedenti agli atti vostri. Ma che siate voi il successore naturale e legittimo di questi uomini nefasti, che siate stato scelto da Dio per dare alla sua Chiesa la completa libertà che essa non ha mai ottenuto, ah certamente nessuno lo crederà, nessuno lo vedrà, nessuno!

IV.

Passiamo ai vostri ausiliArt. Questi sono dapertutto i nemici implicabili della libertà dei cattolici. In Alemagna è il sig. di Vincke ed il suo partito sempre in prima schiera per soffocare i più giusti richiami delle minoranze cattoliche, come quelle dei Polacchi annessi alla Prussia, per il solo motivo che sono cattolici. Sono tutti quei piccoli falsi liberali che fanno violenza ai Sovrani per costringerli a rompere tutti i contratti e violare tutti i trattati quando per essi sono stipulati o guarentiti i diritti della Chiesa. È l'Inghilterra, non più ahimè, quella gloriosa Inghilterra liberale e conservatrice che noi abbiamo vantata, amata, ammirata, imitata; ma una Inghilterra degenerata, da non potersi più riconoscere almeno per ora, infedele a' suoi veri interessi, al suo buon senso, alla sua equità naturale, alle sue migliori tradizioni, alle sue più pure glorie; un'Inghilterra ove l'intolleranza è spinta a segno che il primo ministro dichiara altamente che un cattolico sincero è incapace di compiere le funzioni di semplice archivista (3); un'Inghilterra che a Suez sacrifica al suo egoismo mercantile gli interessi del genere umano; che in Siria sacrifica alla sua gelosia contro la Francia l'umanità, la compassione, la giustizia, ed «ama meglio di vedere scannati trentamila cristiani che di lasciarli salvare da noi»; che in Italia sacrifica alla recrudescenza del suo vecchio fanatismo protestante il diritto delle genti e tutto ciò che essa medesima ha guarentito o fondato; che loda e provoca in casa nostra tutte le oppressioni che le sue leggi le proibiscono in casa sua; che fomenta e incoraggisee contro il Papa ed i Principi cattolici gli atti e le idee

(1) Correspondance de Napoléon publiée par ordre de Napolèvn III, tom. II, pag, 342 e seguenti.

(2) Moniteur M 22 roano 1861.

(3) Vedi la risposta di lord Palmerston a lord Normanby nell'affare del sig. Tumbay.

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che essa ha affogato nel sangue degli Irlandesi, degli Indiani e degli Jonii; il quale, dacché si tratta di nuocere alla Chiesa, ha danaro per tutti i filibustieri, connivenza per tutte le invasioni, simpatia per lutti i delitti; un Palmerslon per fare le esequie, ridendosene, del diritto europeo, come dell'antico onor britannico; e lo constato col più doloroso disinganno, un Gladstone per insultare al pudor filiale di tutti i cattolici, chiamando il loro Pontefice e Padre col nome di mendicante sanguinario (1).

I vostri ausiliari in Francia sono tutti gli scrittori della stampa democratica, che vi approvano, che vi ammirano, vi difendono, vi eccitano e vi ripetono, o di cui piuttosto voi ripetete e praticate le lezioni. Essi hanno detto prima di voi che t l'autorità spirituale del Papa si aumenterà a misura che egli si sbrigherà delle miserabili cure temporali, e che il Capo della Religione cattolica guadagnerà in rispetto quanto perderà in territorio (2)». Tutti i giorni essi protestano il loro profondo rispetto per la religione e perla persona del Pepa. Ma tutti i giorni altresì denunziano al potere tutti gli atti e tutte le parole del Pontefici e dei difensori della Chiesa. Tutti i giorni essi diseppelliscono penalità obbliate, tutti i giorni reclamano misure di esclusione e di proscrizione contro le istituzioni cattoliche, contro le associazioni monastiche. Tutti i giorni essi sollecitano la distruzione di questa libertà d'insegnamento conquistata a gran fatica sotto il reggime parlamentare. Tutti i giorni essi invocano Io scioglimento di queste comunità religiose e di carità, figlie del sacrifizio e della libertà, e la cui moltiplicazione è il segno più generoso e più consolante del nostro tempo (3). Tutti i giorni essi si lagnano che la mano della polizia non chiuda la bocca dei Vescovi che non si sottomettano alle forbici della censura le Encicliche e le Allocuzioni. Dietro la preghiera e la carità essi con un gesto servile mostrano al potere congiure e rivolte. Essi denunziano le conferenze di S. Vincenzo de Paoli alla vendetta delle leggi ad un tempo e ai furori popolArt. Essi paragonano le Piccole suore dei Poveri, questa creazione maravigliosa della povertà medesima, essi le paragonano, dovrò io dirlo? a schifosi animali (vermine infecto), a un immondo formicolaio di pidocchi (4).

Aprite a caso uno dei loro fogli, voi ci vedrete sempre delle mani e delle penne tese verso Cesare per offrirgli museruole ed impacci da usare contro i cattolici. Sorveglianza, autorizzazione, proibizione, repressione, compressione, soppressione, questa è l'eco perpetua che esce da queste officine di servitù. Essi mendicano, come il più prezioso dei favori, la persecuzione dei loro avversari.

(1) Discorso sulla mozione di Lord Elche alla fine della sessione del 1859. Qual contrasto e qual decadimento dopo il tempo in cui il gran ministro Pitt diceva, parlando dei primi assalti mussi alla Sovranità Pontificia dal generale Bonaparte: È uno dei più atroci delitti che abbiano mai disonorato una rivoluzione. Questo insulto fatto a un pio e venerabile Pontefice sembra a me protestante presso che un sacrilegio» (Hansard, Parlamentary history, tom. XXXIV, pag. 1316 e 1338).

(2) Siede del 13 settembre e del 1° ottobre 1860.

(3) «Noi domandiamo instantemente, nell'interesse del principio sacro della famiglia, che ogni corporazione od associazione non autorizzata sia disciolta, e che la sorveglianza dell'amministrazione si eserciti sulla durata e la gestione d'ogni stabilimento clericale». Siede del 10 marzo 1861. Si sa come queste provocazioni sortirono puscia il loro effetto.

(4) Opinion Nationale 9 marzo 1861.

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Ieri ancora essi salutavano col trasporto d'una gioia codarda la risurrezione d'una penalità infamante contro la semplice critica degli atti del potere. L'ultima loro parola si trova in quegli scritti, appena disapprovati, i quali reclamano apertamente che l'Imperatore si faccia Papa «in nome dei principii umanitarii inaugurati nel 1789». La libertà della parola è loro così odiosa come la libertà della preghiera e della carità. Se un Vescovo generoso raccoglie di passaggio il guanto che essi gettano ogni mattino all'Episcopato, questi diffamatori quotidiani gli rispondono con un processo di diffamazione. Se la porta semiaperta delle Assemblee lascia risuonar nel cuore della Francia assopita gli accenti di un'eloquenza inusitata, e rivela l'esistenza di un'opposizione sì coscienziosa come imprevista, questi fieri patrioti provocano all'istante la dissoluzione immediata d'un corpo così colpevole da dire ciò che pensa, così ardito da ascoltare e ammirare i difensori della Santa Sede. Ogni resistenza come ogni indipendenza è loro insopportabile. La Chiesa che resiste sempre e che non dipende da alcuno, inspira loro un'antipatia pari all'orrore.

E a questo proposito, lasciate che io vel dica, signor Conte; voi avete ben torto a credere che siano questi cattolici coloro che han bisogno di essere convertiti alla vostra nuova teoria sulle relazioni della Chiesa e dello Stato. Chi dunque fra di loro non sarebbe fortunatissimo di ricevere la libertà della Chiesa? Pel corso di vent'anni, dal 1830 al 1850, noi tutti l'abbiamo desiderata e domandata come una naturale conseguenza della libertà gonfiale. D'allora in poi parecchi hanno follemente stimato di ottenerla dal potere come un favore e un privilegio; tristo errore che ha posto contro essi il loro passato, i loro antichi ausiliari e l'opinione pubblica, senza strappare un solo articolo a una sola legge ristrettiva, e senza raggiunger altro che l'evocazione di una penalità eccezionale. Ma in sostanza, essi volevano come noi la libertà della Chiesa. I cattolici adunque sono tutti convertiti. Sono i liberali che bisogna oggidì convenire alla libertà; sono i ministri, i quali riservano a tulii i sermoni dei curati il commentario di un processo verbale dello sbirro; sono i procuratori generali, che pretendono di registrare le bolle e rassicurare le coscienze; sono i prefetti, che credono di salvar lo Stato, disciogliendo società così poco secreta, che i loro membri portano le proprie opinioni scritte nel colore del loro abito; sono i giornalisti, i quali vogliono bensì che alcune religiose abbiano il diritto di dare, purché si neghi loro quello di ricevere; sono gli scrittori, che detestano i monaci, perché non sono laici, e perseguitano i laici caritatevoli, quantunque non siano monaci.

E voi credete che questi scrittori vi lascieranno adottare e compiere il vostro nuovo programma? Se vi credessero sincero, voi cessereste di essere il loro eroe, e perdereste il loro appoggio che vi e indispensabile. Uditeli a dichiarar già che essi non accetteranno mai una sovranità spirituale che non fosse mitigata dalle leggi civili e dai concordati», e protestare «che vi ha una certa libertà della Chiesa assolutamente incompatibile colla civiltà (i)». Timori vani, vani come le vostre promesse, degni entrambi di eccitare i vostri reciproci sorrisi. E che? Voi che siete il braccio armato dal loro pensiero, vi rivolgereste contro di esso? No, uo; essi ben sanno, e lo sappiamo noi pure, che voi tentereste invano di contraddirli o di disgustarli.

(1) Siecle del 6 aprile 1861.

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Loro mercé, voi avete ottenuto il soccorso della Francia, senza di cui nulla potevate; vostra mercé, essi hanno trionfato dei nostri dolori e dei nostri diritti. Voi siete solidari}, o porterete persin nella storia il peso di questa indelebile solidarietà.

V.

ficco i vostri ausiliari. Ma voi direte senza dubbio che avete il diritto di essere giudicato da voi stesso. Vediamo adunque quai sono i vostri antecedenti. Voi pretendete di provare sino all'evidenza ai più increduli «la sincerità delle vostre proposizioni». Voi dite che il vostro sistema vuole «la libertà in tutto la libertà completa nelle relazioni della Chiosa e dello Stato (1)».

Voi promettete al Papa, al Vescovo dei Vescovi, il rispetto e la libertà, alla sola condizione di spogliarlo prima del suo temporale. Ma come avete voi trattati i Vescovi suoi fratelli, che non hanno temporale, e che sono già vostri sudditi, come voi pretendete che egli divenga? Voi avevate un Arcivescovo a Torino; che ne avete fatto? Voi l'avete strappato dalla sua sede, e deportato con misure estralegali in Francia. Voi ne avevate uno a Cagliari, dov'è egli? Deportato a Roma. Voi avevate un Cardinale Arcivescovo a Pisa; io lo cerco e lo trovo deportato in Piemonte. Voi avevate un Cardinale Arcivescovo a Napoli; qual rispetto, qual libertà egli gode? (2) Noi lo vediamo ogni giorno oltraggiato impunemente nel suo palazzo da orde di ammutinati, e quando egli interdice la parola a preti che giudica indegni, la vostra autorità civile li fa risalire in pulpito. Sono questi i pegni che debbono rassicurare i fedeli del mondo intiero sulla sorte avvenire del loro Padre, e il Papa medesimo sulla futura libertà del suo ministero? Voi avevate dei monasteri che erano sopravvissuti alla bufera rivoluzionaria; che sono essi divenuti? Io li vedo ovunque spopolati, profanati, confiscali. Le vostre religiose non furono esse espulse violentemente dal loro verginale santuario e gettate sulla strada? Voi che agognale la tomba di San Pietro, che cosa avete fatto della tomba dei vostri antichi Re? La loro spoglia dormiva in Altacomba sotto la guardia dei figli di San Bernardo che voi avete secolarizzati, cioè compresi nella spogliazione universale. Nelle Marche, nell'Umbria, nelle Due Sicilie la soppressione della vita religiosa, la confisca dei beni monastici non seguì dappertutto, come una conseguenza necessaria ed immediata, la comparsa della bandiera piemontese?...

Voi avete dei giornali cattolici; che cosa ne fate? Ogni corriere ci reca la nuova d'una persecuzione, d'un sequestro, d'un promesso, d'una condanna alla prigione e alla multa, e contro chi? contro i cattolici, contro di loro unicamente. Eppure voi avete scritto nelle vostre leggi la libertà della stampa: tutti appo voi possono usarne e abusarne impunemente, eccetto i cattolici. Voi ben vedete che siete d'accordo co’ vostri ausiliari di Francia e di altrove, e che praticate com'essi la libertà per tutti, eccello per la Chiesa. In tutti i paesi del vostro dominio, la Chiesa impastoiala, insultata e spogliata, i Vescovi esigliati, gli scrittori incarcerati, i giornali cattolici rovinati, i preti oltraggiati e inseguiti, i monasteri chiusi e profanati,

(1) Moniteur del 30 marzo 1861.

(2) II Cardinale Arcivescovo di Fermo, ed il Vescovo d'Avellino, e il Vescovo di Piacenza, ecc. ecc! (Nota dell'Armonia).

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le religiose strappate dalle loro celle violate: ecco i vostri titoli alla nostra fiducia e alla nostra riconoscenza. Da dieci anni voi siete l'autore o l'agente della persecuzione, della spogliazione, dell'incarceramento, dell'usurpazione e della violenza, e così grondante di oppressione e d'iniquità, voi osate mirarci in viso e tenderci la mano gridando: Ecco la libertà!

Ma da chi adunque sperate d'essere creduto? Dove adunque avete voi trovata una» credulità tanto robusta da essere sciocca a tal segno? Non certo tra i vostri fidi della stampa francese: come l'ho già detto poc'anzi, essi non vi perdonerebbero se vi credessero sincero. Ma quel che voi faceste fin qui li assicura abbastanza che voi non farete altrimenti in avvenire. Or ciò che li rassicura c'illumina; ciò che vi stringe con essi ci separa per sempre da voi. Nessuno, sappiatelo, nessuno di quelli che hanno autorità o missione di parlare al mondo cattolico non contesterà il sommo disprezzo che c'inspirano tali promesse dopo tali oltraggi. Ma ciò è forse tutto? Basta egli per giudicarvi considerare solo i fatti e le gesta della vostra amministrazione civile? Non bisogna pur ricordare la buona fede e l'equità che presiedono alle vostre relazioni internazionali? Eccone il quadro assai moderato dipinto dal Times, dal più potente, cioè, e pili appassionato de’ vostri ammiratori. «La Sardegna ha preso parte alla guerra contro la Russia senza essere parte dei trattati relativi alla Porta. La Sardegna ha provocato l'Austria di proposito deliberato, e l'Austria è caduta nel laccio. La Sardegna si valse delle commozioni popolari per annettersi la Toscana e le Legazioni, quantunque il Granduca e il Papa non avessero preso alcuna parte alla guerra del 1859. La Sardegna ha invaso gli Stati del Papa senza dichiarazione di guerra e sotto un futile pretesto. La Sardegna è stata di connivenza con Garibaldi ed ha profittato dei frutti della sua audace intrapresa (I)».

E per mostrare il valore di certe parole e di certe promesse nella vostra bocca, è egli necessario, dopo tante voci più eloquenti e più autorevoli della mia ricordarvi ancora una volta l'attentato, con cui non potendo riuscire a far ribellare le popolazioni dello Stato Pontificio, voi avete fatto violare il suo territorio in piena pace, senza dichiarazione di guerra «senza alcuno di quei riguardi, che sono l'ultimo riparo dell'onore (2)», contro tutte le regole del diritto delle genti e della lealtà militare? Bisogna egli riporvi sotto gli occhi il proclama controsegnato da voi, il quale nel momento in cui le truppe si gettavano dieci contro uno sulla nobile armata di Lamoricière, diceva, che -calca rispettare sempre la sede del Capo della Chiesa e dargli tutte le guarentigie d'indipendenza e di sicurezza? (3).

Anche questo proclama prometteva al Papa l'indipendenza! Nel punto stesso che si compieva il vostro divisamente, voi dichiaravate di non aver altra ambizione che quella di ristaurare i principii dell'ordine morate in Italia. Ed alcuni giorni dopo quando il fatto è compiuto, quando Ancona è caduta voi pigliate atto innanzi alienazioni che Dio ricompensa coloro che combattono per Ivi (4)! Quando i terroristi francesi mettevano a soqquadro e spogliavano

(1) Times del 2 marze i 861.

(2) Monsignor Dupanloup, Oraison funébre des martyrs de Castelfidardo.

(3) Proclama dell'11 di settembre 1860, controsegnato Cavour e Farini.

(4) Ordine del giorno del 4 ottobre 1860.

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l'Europa, avevano almeno il merito di non contaminare il nome di Dio facendogli fare a mezzo nelle loro imprese. Per trovare una profanazione ed un'ipocrisia di questa risma, bisogna risalito fino ai manifesti, in cui gli spogliatoti della Polonia proclamavano lo spirito filantropico e liberalo che doveva presiedere alla divisione d'un regno secolare ed all'assassinio d'una grande nazione cristiana.

Ecco le vostre opere, ecco Io vostre parole. Ma per poco dimenticava il vostro capolavoro. Non è forse vero che alla vigilia della grande impresa mandaste i vostri degni luogotenenti Cialdini e Farmi incontro all'Imperatore dei Francesi, per assicurarlo che voi entravate nelle Marche e nell'Umbria per ristabilirvi l'ordine senta toccare l'autorità del Papa, e per dare battaglia, se facesse bisogno, alla rivoluzione sul territorio napoletano? (1) voi dite oggi che da dodici anni cospirate per conquistare l'unità dell'Italia, e che l'occupazione di Roma per farne la splendida capitale della vostra Italia fu la stella della politica piemontese. E sono appunto dodici anni che il vostro predecessore Gioberti riprovava come un'infamia, sono sue parole, il solo pensiero d'annettere le Legazioni. E con questo sangue nelle mani, con queste menzogne sulla fronte, voi venite ad offrirvi al mondo cattolico per «riconciliare il Papato coll'autorità civile, la religione colla libertà!».

Ma il Papa vi aveva già risposto nell'Allocuzione del 18 mezzo, miseramente tradotta nello stesso numero del Moniteur che pubblica il vostro discorso, e più miseramente travisata in tanti altri giornali. «A certi uomini che gli chieggono di riconciliarsi col progresso, col liberalismo e colla civiltà moderna dicendosi i veri o sinceri amici della religione a, risponde: «Noi vorremmo prestar fede alle loro parole se i tristissimi fatti che sono ogni giorno Rotto gli occhi di tutti, non provassero evidentemente il contrario (2)». Quindi enumera, come ho fatto io, alcuni de’ vostri misfatti; nota la violazione del tutto recente del concordato di Napoli che è l'ultima delle vostre valenterio in questo genere; constata che da per tutto gli uomini del vostro calibro non si sono occupati che di spogliare la Chiesa de’ suoi beni e della sua autorità, e non accordano la libertà a nemici di lei, che per negarla a lei stessa. «A siffatta civiltà, dice con ragione, huius modi igitur civilitate, a quello che ha per sistema premeditato di indebolire e forse anche distruggere la Chiesa (3), chi può pretendere che la Santa Sede, madre e nutrice d'ogni vera civiltà, tenda la mano e faccia con esso alleanza?»

Ricorda quindi senza né biasimare, né disdirle le istituzioni liberali che erano desiderate e che egli avea accordate (4) fino a quel dì che la rivoluzione si è messa in luogo della riforma, e quando il pugnale surrogò Io scrutinio.

Circolare del sig, Thouvenel, ministro degli affari esteri, del 18 ottobre 1860, libro giallo, pag. 163.

Ac no fldem eis adhibere vellemus, nisi tristissima sane facta, quae ante oninium oculos quotidie versantur contrarium prorsum ostenderent.

At cum clvilìtatis nomine velit intelligi systema apposite comparatimi ad debititandum e fortaasc etitm delendam Curiati Ecclesiam. Egli avee già detto: QUADAM moderna, ut appellam rivintatis piacita.

Liberiorera ailmimstratimiem liberiorea institutionem. Nos filiorum parlem pontificiae nostrae ditionis in civilem administrationem cooptavimus.

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Ricorda ancora i consigli clic gli hanno dato, e che ha tutti messi in pratica, eccetto quelli che gli imponevano la sanzione della spogliazione (1). Egli si sente autorizzato a infliggere il marchio d'infamia «all'ipocrisia di coloro che, dopo aver insultato ed oppresso la religione, l'invitano a riconciliarsi colla civiltà come lo invitano a riconciliarsi coll'Italia». Dice con nobile confidenza che colui, il quale non fece mai torto a nessuno, non ha motivo alcuno di conciliarsi con chicchessia. Ed aggiunge con un magnifico linguaggio che voi non potrete mai adoprare: «Come mai il Romano Pontefice, che attinge tutta la sua forza dai principii dell'eterna giustizia, potrebbe tradirla? Come si osa chiedere a questa Sede Apostolica, che fu sempre e che sempre sarà il propugnacolo della giustizia e della verità, di proclamare che una cosa ingiustamente e violentemente rapita può essere tranquillamente e onestamente posseduta da un ingiusto oppressore, e di erigere così in principio che un'iniquità fortunata non porta alcuna lesione alla santità del diritto? (2)». Dopo ciò egli ha ben diritto di ricordare, dopo averla corroborata con questa nuova prova, la bella sentenza del signor Barthe al Senato francese: «Che il Papa è il principale rappresentante della forza morale, nel mondo».

Ed è per questo che alcuni commentatori infedeli tra voi, e sventuratamente anche tra noi, dando alle parole di Pio IX un senso che è disdetto da tutti gli atti e da tutti i giorni della sua vita, non si peritarono a rappresentarle come una dichiarazione di guerra allo spirito moderno. È finita! gridano ogni giorno costoro: il Papa ha condannato la società moderna, il progresso, la libertà; tra queste grandi cose di divorzio è completo.

Bella scoperta e bel profitto davvero! Fatemi dunque, dirò a' vostri amici, fatemi la confidenza dei mezzi che tenete in serbo per fondare la civiltà, il progresso, la libertà senza la religione. Ignorate voi che a dispetto di tanti sforzi per distruggerla, la religione dei popoli è tutta la loro morale; che il cristianesimo fa tutta la superiorità dell'Occidente, che questo gran fiume diviso non ha che una sorgente pura od un serbatoio inesauribile, il Cattolicismo? Qual religione avete voi da sostituire al cristianesimo? E dove troverete voi il cristianesimo puro, immacolato, completo fuori del Cattolicismo? Lo chieggo a tutti gli uomini di buona fede, che hanno qualche nozione della vita morale delle società sparse oggidì sulla terra; senza la Chiesa i protestanti stessi avrebbero mai conservato l'idea della divinità di Gesù Cristo? Che dico? Senza la Chiesa i filosofi avrebbero stabilito l'idea pratica di un Dio vivente? Coprite d'una nube di più questa gran fede, oscurate col vostro soffio, rimovete dalla vostra mano la face principale che rischiara le profonde tenebre onde i poveri mortali vivono avviluppati, e poi parlate ancor loro di civiltà, di progresso, di libertà! Ah voi avete scoperto che la nostra Chiesa e la vostra libertà si separano; piangete adunque sulla

(1) Cum usurpationum moderatos atta voce profiterentur se non quidem reformationes, scd absolutam rebellionem, omnemque a legitimo principe sunjunctionem omnino velle.

(2) Hic ehim, qui suam omnem visu haurit ex aeternae justitiae principiis. Ut ab hac Apostolica Sede, quae semper fuit et crii veritatis justitiaeque propognacuhim, sanciretur rem injuste violenterque direptam posse tranquille honesteque possideri ab iniquo aggressore; atque ita falsum constitueretur principùm, fortunatam nempe facti injustitiam nullum juris sanctitati detrimentum afferre.

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vostra civiltà, perché essa non sopravvivrà certamente a sua madre, che è la Chiesa cattolica. O piuttosto non ischerzate con queste grandi cose, e nemmeno colle parole che le esprimono. Non ve ne servite per coprire disegni, che perciò solo che ripugnano alla giustizia ed alla buona fede, non hanno nulla di comune colla vera civiltà, col vero progresso, colla vera libertà.

Sì, ripetiamolo col R. Pontefice: «Bisogna restituire alle parole il loro significato». Non è la Chiesa solamente, si è l'onestà medesima che ha orrore di veder chiedere alla lingua umana le sue più alte espressioni per coprire le azioni più basse. La lingua degli uomini è senza difesa; ben si vede che anch'essa non è che una potenza spirituale; perciò si saccheggiano i suoi tesori, si rubano i suoi più nobili ornamenti, e, con un travestimento quasi sacrilego, comei pagani chiamavano le furie angeli di pace, si chiama civiltà la menzogna, e la violenza libertà.

Quanto a noi ammiriamo l'opportunità della risposta che vi indirizzava, otto giorni prima del vostro primo discorso, il Pontefice che voi andate a spogliare, e che di più vi giudicava e vi condannava non solo in nome della Chiesa, di cui è Capo, ma ancora e sopratutto in nome del principio dell'eterna giustizia (1). Noi siamo altieri d'aver per capo un vecchio Sacerdote che tiene pel diritto, e che non vuole mentire in un tempo, nel quale la menzogna è divenuta il primo elemento della politica e la prima condizione del successo. E poiché voi citate Dante, permettetemi d'invitarvi a riconoscere in Pio IX il modello del giusto, tal quale il poeta l'ha inciso in un verso immortalo.

E il giusto Mardocheo

Che fu al dire ed al far cosi'ntero.

Ecco come conchiude il conte di Montalembert: Tutto è possibile oggidì, io lo so, e voi lo sapete meglio di me, perché tutto, fin l'impossibile vi riuscì bene. Ma voi non riuscirete già nel vostro nuovo disegno. Voi potrete spogliare il Papa di tutto ciò che non gli avete ancor tolto, ma non già strappargli la sanzione della vostra ingiustizia. Voi potrete prendergli tutto, tutto, fuorché il suo diritto. Voi non lo indurrete giammai a dirvi che avete ragione. E senza di questo, voi avete nulla. No, il vostro disegno non si colorirà. Non sarà dato ai pigmei del secolo decimonono di riuscir là dove han fallito tutti i giganti del passato. Dopoché cessarono le persecuzioni dei Cesari pagani, nessuno fra i padroni del mondo, nessuno fra i Sovrani d'Italia ebbe l'ardire di coabitare a Roma col Papa. Nessuno, intendetelo bene; Costantino indietreggiò davanti a questa maestà inerme che avea appena riconosciuta, e trasportò a Costantinopoli la sua potenza eclissata. Carlomagno, padrone di tutto l'Occidente, benefattore della Sede Apostolica, Carlomagno chiamato dallo stesso Papato a prendere il posto degl'imperatori romani, Carlomagno appena coronato a San Pietro, tornò verso il Nord come allontanato da una forza invincibile e secreta dai luoghi, in cui s'innalzava il solo trono che fosse più sublime del suo. Dopo di esso, nell'epoca triste e confusa, in cui il Papato fu avvilito e disistimato più che in qualsiasi altro tempo, nell'epoca in cui per la prima volta furonvi re d'Italia, Guido, Ugo, Berengario, nessuno osò stabilirsi a Roma.

(1) Hint moralis disciplinae, cuius veluti prima forma et imago dignoscitur.

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Più tardi, e attraverso dei secoli, accadde il medesimo. Gli Ottoni, i Barbarossa, Carlo l’e Napoleone non ci pensarono nemmeno. E voi credete che sarà dato a voi di mettervi sotto i piedi questa legge provvidenziale davanti a cui s'inchinarono silenziosamente tutte queste grandezze e queste forze?

No, voi potrete essere padrone di Roma come lo furono tutti i barbari e tutti i persecutori da Alarico sino a Napoleone; ma voi non sarete il Sovrano, né il collega del Papa. Pio IX sarà forse vostro prigioniero, vostra vittima, ma non mai vostro complice. Egli non capitolerà né coll'intrigo, né colla spogliazione. . . Prigioniero, egli sarà per voi il più crudele impiccio, il più spietato castigo; esiliato, egli sarà contro di voi, senza nemmeno aprir bocca, il più formidabile accusatore ohe mai popolo libero abbia incontrato sulla terra.

Lo spettacolo di questo vegliardo spogliato di un patrimonio quindici volte secolare, vittima della più nera perfidia, errante pel mondo, in cerca di un asilo che gli tenga luogo degli splendori del Vaticano, in cerca di un tetto, sotto cui possa suggellare coll'anello del pescatore leggi obbedite in tutte le nazioni della terra, questo spettacolo solleverà contro di voi e de’ vostri complici nell'anima del mondo una tempesta che vi inghiottirà dopo avervi per sempre disonorato. Badate che gli Italiani non diventino gli ebrei della cristianità futura! Badate che, dagli estremi d'Irlanda sino a quelli dell'Australia, i nostri figli non apprendano fin dalla culla a maledirli, e che la tiara oltraggiata non divenga come il crocifisso un simbolo di dolore e d'amore pei fedeli, ma altresì una rimembranza incancellabile della libertà o dell'ingratitudine italiana.

Il quale ragguaglio non sia a' vostri occhi un oltraggio gratuito. È cosa ridicola, il so, secondo i nostri usi moderni, citare in una discussione pubblica la Santa Scrittura. Tuttavia i vostri amici, gli Inglesi, tutti occupati in questo momento a inondare delle loro Bibbie mutilate le provincie da voi conquistate, v'impegneranno forse a perdonarmelo. lo vi domando adunque se in queste parole che Dio indirizzava ai Giudei colla penna del Profeta, voi non troviate qualche tratto acconcio a farvi riflettere su ciò che penserà il mondo cattolico quando avrete messa in trono a Roma la rivoluzione italiana.

«Ecco avete confidato nella menzogna, la quale non vi servì a nulla. Voi sapeste uccidere, rubare, spergiurare, sacrificare a Baal ed agli Dei stranieri che vi erano sconosciuti. Poi siete venuti, e ritti innanzi a me, nella casa in cui il mio nome era invocato, avete detto: Perché noi abbiamo fatto tutte quoste abbonii nazioni, eccoci liberi. Ma io, dice il Signore, son qui: Ego, ego sum: ego vidi, dicit Dominus Et nunc qui fecistis omnìa opera haec proficiam vos a facie meo. (Jeremias VII, 8 seg.)». Non lasciatevi illudere. Vi pare di toccar la meta: non ne foste mai tanto lontano. Voi accendete ogni dì più l'attenzione, l'afflizione, lo sdegno dei cristiani cattolici, cioè della comunità più numerosa, pili radicata, più tenace che esista sotto il sole. Il Papa darà conto della sua indipendenza, della sua dignità, del suo onore a noi, capite bene, a noi suoi figli sommessi e fedeli. A voi che l'avete oltraggiato, tradito, spogliato non deve null'altro chela compassione ed il perdono quando ne sarete degni.

— 155 —

Né vi offenda, o vi sorprenda questa parola perdono. Prima di conoscere le vostre ultime decisioni, l'augusto e sventurato Pontefice, che voi invitate a discendere dal trono per cedere a voi il posto, ve lo aveva riserbato. «So ci viene chiesto, dice egli terminando la sua allocuzione, ciò che è ingiusto, non possiamo accordarlo; ma, se si vuole il perdono, noi l'accordiamo volentieri e di gran cuore. Noi preghiamo con tutto il cuore per coloro che ci odiano, e siamo pronti, se si pentiranno, a perdonarli e benedirli»

Signor Conte, voi siete un grande trionfatore. Voi avete l'esito felice, avete la popolarità, avete l'ingegno, avete la potenza. Che vi manca dunque? Non avete bisogno né di aiuto, né di consiglio; ma l'istoria dirà come Pio IX, che voi avete bisogno di perdono. Finché voi non abbiate meritato e sollecitato questo perdono, che vi attende, la storia vi assegnerà un posto particolare nella riprovazione dei cristiani. Dirà che, qualunque sia la vostra riuscita, i vostri mezzi hanno disonorato lo scopo a cui tendete. Ve lo dico semplicemente con molto maggior dolore, che collera: siete un gran colpevole. Voi lo siete più che Mazzini, che fa il suo mestiere di cospiratore e di regicida, laddove voi non fate il vostro di uomo di. Stato, di grande cittadino, di gran ministro. Lo siete più che Garibaldi, la cui stessa inimicizia non potrebbe giustificarvi. Garibaldi est un forbon, ce n'est pas un fourbe: dice schiettamente che il Papato è un cancro, e che l'Italia, tale quale egli la sogna, deve essere protestante; non pretende di «servire agli interessi veri e più duraturi del Cattolicismo (1). Investito per il vostro ingegno, per la vostra audacia, per la vostra posizione della gloriosa missione d'iniziare l'Italia alla vita pubblica, e d'esercitare, coll'esempio d'un Governo libero e regolare, un'invincibile attrazione sulla Penisola, conquistando la rispettosa simpatia dell'Europa, voi amaste meglio di precipitarvi verso uno scopo equivoco e forse chimerico, violando il diritto naturale, il diritto pubblico e il diritto cristiano.

L'Europa, lasciandovi impunemente percorrere questa carriera, non vi ha dato l'amnistia. Non sono solamente i cattolici, né i liberali conservatori di Francia che vi hanno negato il loro assenso: il più imparziale dei protestanti, il signor Guizot, additò in voi la risurrezione dello spirilo d'usurpazione e di conquista che aveva sollevato tutto il mondo contro il primo Napoleone (i). Il decano dei liberali della Spagna e dell'Europa, il signor Martinez de la Rosa, ha bollato la vostra politica con non minore energia che il giovane ed eloquente oratore, le cui prime prove hanno illustrato il nostro Corpo legislativo (Keller). Né gli applausi di 20 milioni d'Italiani, supponendoli tutti conquistati alla vostra causa, né le simpatie appassionate dei rivoluzionari di tutto il mondo che vi acclamano come loro capo, non basteranno a spegnere la voce della giustizia. La coscienza del genere umano vi rimprovererà fino alla fine dei secoli il sangue innocente che avete versato, i trattati che avete violato, le rovine che avete ammonticchiate.

Quanto a me, ve lo giuro, è meno il cattolico che l'onest'uomo in me che vi teme e vi condanna. Il mio animo è pieno d'una calma ed imperturbabile confidenza nell'avvenire di quella Chiesa, di cui voi rovesciate la cittadella e di cui confiscate il patrimonio.

(1) Discorso del conte di Cavour, il 20 ottobre 1860.

(2) Risposta al discorso del P. Lacordairc all'Accademia francese.

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Grazie a voi ed a' vostri alleati, la Chiesa sta per passare nel crogiuolo in cui si purifica sempre di tutti gli accasciamenti effimeri, di tutte le solidarietà pericolose, di tutte le debolezze apparenti.

Credo alle promesse eterne; ma quand'anche non vi credessi, e credessi al trionfo definitivo di Machiavelli ed al vostro, non perciò cesserei di protestare, e sempre, ed anche solo. No, non sono i pericoli della Chiesa che mi fanno panra, o sdegno. Ciò che mi fa sdegno si è lo spettacolo che oggidì presenta l'Italia al genere umano; si è ciò che havvi di nobile, d'integro, di delicato, sacrificato a grossolani istinti della folla; si è la debolezza vilmente oppressa dalla forza: si è la verità vilmente soffocata dalla menzogna; si è il diritto schiacciato dal numero; si è il libero arbitrio delle popolazioni confiscato dai cospiratori; si è la libertà delle anime annegata nel tumulto della piazza; si è l'onore annegato nel tradimento. Fossi anche, non già cattolico e francese, ma inglese, cinese, pagano, mi basterebbe il levar gli occhi verso quei principii d'eterna giustizia generosamente invocati da Pio IX, audacemente violati da voi, per sentirmi sdegnato contro di voi e invincibilmente incredulo alle vostre promesse.

Il conte di Montalembert.

PROGETTO DI LEGGE

DEL MINISTRO GUARDASIGILLI RAFFAELE CONFORTI

CONTRO IL CLERO

(Presentato alla Camera dei deputati nella tornata del 24 di luglio 1862).

Pubblichiamo i sei articoli del disegno di legge, che il guardasigilli Raffaele Conforti ha presentalo alla Camera dei Deputati e commenta bellamente la formola libera Chiesa in libero Stato!

Articolo primo. Non saranno ammessi e riconosciuti nel regno, né potranno produrre effetto civile e nemmanco avere esterna esecuzione i decreti degli Ordinarii e delle loro Curie portanti sospensioni o destituzioni da uffici o da funzioni ecclesiastiche, se non sieno slati emessi in iscritto e non contengano la esposizione delle ragioni e dei l'alti che vi diedero argomento. Il modo di procedere detto: ex informata conscientia, od altro di simil natura, non è ammesso nel regno.

Articolo secondo. Dovendo i decreti, di cui sopra è parola, essere motivali da fatti deducibili innanzi ai tribunali, gli Ordinarii comunicheranno in iscritto al tribunale competente i falli, che han dato motivo al loro decreto, affinché il Magistrato secolare pronunci sui medesimi; dopo di che l'Ordinario potrà procedere all'applicazione della pena ecclesiastica, che dalle leggi del regno è riconosciuta di sua competenza.

Se il fatto sarà così grave da richiedere l'immediata applicazione della pena ecclesiastica, gli Ordinarii potranno ciò fare, col voto del Capitolo della cattedrale, in seguilo di che comunicheranno al tribunale competente i motivi del decreto col voto del capitolo in iscritto.

Articolo terzo. La pena pronunciata dall'Ordinario contro un beneficiato porterà la sola privazione dell'ufficio.

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Per produrre le privazione o sospensione del godimento delle temperatità del beneficio, sarà mestieri d'un provvedimento governativo, che l'Ordinario dovrà provocare per mezzo del ministero di grazia e giustizia e dei culti.

Articolo quarto. L'inosservanza dei precedenti articoli, costituendo un conflitto fra l'autorità civile e l'ecclesiastica, sarà deferita al Consiglio di Stato a sensi dell'Art. 19 della legge 30 ottobre 1859.

Articolo quinto. Tutti gli Ordinarii del regno dovranno presentare al ministero di grazia e giustizia e dei culti le pastorali, istruzioni, circolari e in genere tutte le loro scritture destinate ad essere pubblicate nelle loro diocesi o in parte delle medesime. Essi non potranno pubblicarle colla stampa o in qualsivoglia altro modo, se prima non sieno state approvate dal ministro guardasigilli.

Articolo sesto. Qualunque contravvenzione alla disposizione precedente sarà deferita al tribunale del circondario e punita, secondo i casi, col carcere estensibile a sci mesi o con multa estensibile a lire cinquecento.

LA LIBERTÀ DELLA CHIESA

E LA CONDANNA DEL VESCOVO DI ALMIRA

MONSIGNOR CARLI

(Pubblicato il 18 dicembre 1861).

(Corrispondenza particolare de l'Armonia). Lessi non ha guari nell'armonia del 28 testé scaduto novembre la sentenza pronunciata contro Monsignor Gaetano Carli, per cui questo Prelato viene condannato a 50 giorni di carcere e 27 lire per le spese del processo, essendo tenuto colpevole di avere «diffusi scritti a stampa contro il governo del Re, tendenti, dice la Nazione, ad inspirare sentimenti reazionari nelle popolazioni».

Lo stesso egregio foglio del 15 ottobre prossimo passato ci aveva informati, essere Monsignor Carli stato citato a quel tribunale, per aver amministrato i' Sacramento della Conformazione senza il Placet regio, ed anteriormente la gentil Nazione fregiò il prelodato Vescovo del titolo niente meno che di Missionario di reazione, con quel più di denigranti epiteti, che l'odio poté suggerire a quei collarini pistoiesi, collaboratori assidui e zelanti della giudaica Nazione.

Sicchè a Monsignor Carli, non un solo delitto venne imputato: ma accusa verunt eum in nullis, per avvilirlo innanzi al pubblico, incutergli timore e farlo emigrare dalla diocesi pistoiese, ove gli zelatori delle acattoliche novità lo vedevano di mal occhio.

La diffusione perciò dei Dommi e verità cattoliche contenute negli scritti, appellati sediziosi, fu un mero pretesto che offriva a quei liberali di nuovo conio un'ombra di legalità, a cui per dare ogni possibile solennità svolsero tarlati Codici penali, e chiamarono a nuova vita odiose leggi che insultano a quella libertà, dalla quale tanti benefizi si attendono!

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Sono però assicurato che Monsignor Carli, non mai si dette per inteso del processo intentato contro di lui, e che ora tranquillo aspetta l'esecuzione della sentenza, quale ho l'onore di trasmettere a V. S. unita a questo mio foglio per informazione sua propria, e de’ suoi numerosi abbonati, onde questi con più di evidenza arguiscano, quale sarebbe la libertà che aspettarsi potrebbe «la Chiesa libera in libero Stato».

Non le sarà forse discaro di sapere, che anche il Pievano don Raffaello Damerini, nominato nella qui annessa sentenza, era stato condannato dallo stesso tribunale a 40 giorni di prigione; ma quella sentenza venne annullata dalla Corte di Cassazione di Firenze, a cui il dotto Pievano aveva appellato.

I due casi sono identici; ora vedremo come vorranno trattare il Vescovo Carli.

Ho l'onore di protestarmi dì V. S.

Livorno, 12 dicembre 1861.

Devotissimo Servitore

Indifferente.

VITTORIO EMANUELE II

per la grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d'Italia, l'anno mille ottocento sessantuno, e questo di venticinque del mese di novembre.

II Tribunale di Prima Istanza di Pistola, turno criminale decidente, nella causa contro Monsignor Gaetano Carli, Vescovo in partibus, ultimamente dimorante a Casale, contumace al giudizio per manifestazioni sediziose a forma dell'Art. 128, lettera B del Codice Penale.

Udita la lettura dell'ordinanza d'aggiornamento del 28 ottobre 1861; uditi i testimoni ed il Pubblico Ministero nelle sue conclusioni; ritiene in fatto pei risultati dell'orale giudizio che l'imputato Monsignor Gaetano Carli, che nel 25 agosto ultimo perduto ministrò il sacramento della Cresima nella Chiesa di Tizzana, e dopo d'aver compiuta quella sacra funzione consegnò al pievano della Chiesa stessa, don Raffaello Damerini, un pacco di foglietti a stampa del numero di 50 in 60 circa, incaricandolo di distribuirli ai cresimati; i quali foglietti portavano per titolo — Avvertimenti ai cattolici. —

Che il medesimo Monsignor Gaetano Carli fece consegna degl'istessi identici toglietti e sotto la stessa ingiunzione al titolare della parrocchia di Colonica ed ài titolare della parrocchia are. G. Borghini di S. Biagio a Vignole nell'occasione in cui trovavasi in quella località nell'estate passata.

Che il contenuto di detti foglietti a stampa è del seguente tenore:

«1° La Chiesa insegnante, alla quale per divina instituzione appartengono il Sommo Pontefice come Capo, Maestro e Pastore, ed i Vescovi secoliti uniti in comunione, è infallibile nel definire ciò che spetta alla fede ed ai costami) e questo o domimi,

«2° La Chiesa adunque è infallibile nel definire se un'azione sia giusta o in giusta, turpe od onesta, giacchè questo concerne i costumi; e questo è domma.

«3° La Chiesa ba definito essere ingiusta, inonesta e sacrilega l'usurpazione dei beni e territorii a sé spettanti; ed in questo la Chiesa è infallibile.

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«4° La Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo la piena potestà di giudicare e punire le azioni criminose de’ suoi figli; e sarebbe eretico chi dicesse il contrario.

«5° La Chiesa, valendosi dell'autorità ricevuta da Gesù Cristo, ha fulminato la pena di scomunica contro gli usurpatori dei beni ecclesiastici (Concilio Indentino, sessione 22, De Riform, cap. XI); e sarebbe da reputarsi eretico chi dicesse che la Chiesa in ciò ha errato ed ha sorpassati i limiti dei propri poteri.

«6° Anche secondo i più severi Gallicani il giudizio del Romano Pontefice è irreformabile, cioè infallibile, quando vi si unisce il consenso della Chiesa insegnante; e nel caso nostro, cioè nel condannare l'usurpazione dei dominii temporali della Santa Sede, tutti i Vescovi dell'orbe cattolico fecero eco al giudizio ed alla sentenza del Supremo Gerarca.

«In ciò avete, o cattolici, con che regolarvi nelle presenti circostanze. Non vi seduca il numero e l'autorità di chi pensa o parla altrimenti. Non vi seduca il numero. Il numero non salvò i delinquenti al tempo di Noè e di Lot. Non vi seduca l'autorità. All'inferno v'è anche Giuda che pure era uno dei 12. Ascoltate la voce di coloro cui Dio pose a maestri e pastori della sua Chiesa (ad Api. ir, li), e dei quali ha detto: Chi ascolta voi, ascolta me, e chi voi disprezza, disprezza me (Luca. X, 16). Questi sono i precetti di Gesù Cristo, e se alcuno non si acquieta alle sane parole di nostro Signore Gesti Cristo, egli è un superbo che nulla sa (1^ ad Tim. , VI, 4)».

Che il detto D. Raffaello Damerini nel 27 e 28 di agosto ultimo perduto diffuse i detti foglietti consegnandoti a diversi giovanetti che avevano conseguito il Sacramento della Cresima con preghiera di comunicarne la lettura anche ad altri.

Che non è risultato che lo stesso Monsignor Carli facesse al detto Damerini o ad altre persone consegna dell'opuscolo, che porta per titolo: «La Potestà temporale del Papa difesa con ragioni naturali».

Dichiara pertanto constare del delitto di manifestazioni operato per via di diffusione di scrittura a stampa di facile e spedita circolazione, diretto a screditare il governo, e ad eccitare odio e disprezzo contro il medesimo e contro le leggi dello Stato, imputando ad usurpazione la spontanea dedizione della massima parte degli Stati Pontificii, avvenuta per suffragio universale sanzionato dal Parlamento italiano, e qualificando come eretici e scomunicati tutti coloro che pensano diversamente, qualunque sia il loro numero e la loro autorità con le circostanze di tempo, di modo e di luogo surriferite.

Constare che l'imputato Monsignor Gaetano Carli ha scientemente servito di semplice istrumento a diffondere, propalare, e portare a notizia comune detta scrittura a stampa, senza aver partecipato alla formazione della medesima con le circostanze di tempo, di modo e di luogo surriferite.

Constare consegueùtemente che esso, Monsignor Gaetano Carli si rese colpevole del delitto di manifestazioni contro il governo previsto dall'Art. 128, Leti. B. del Codice penale. Non constare che Monsignore Carli diffondesse e propalasse l'opuscolo incriminato avente per titolo: «La Potestà temporale del Papa».

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Atteso che il delitto, come sopra dichiarato costante, si punisce pel combinato disposto degli articoli 126, 127 e 128, Lett. B. del Codice penalo.

«Art. 126. Chiunque per mezzo... di scritture a mano o stampate»... diffuse... o in altro modo portate a notizia comune;

«Art. 127. Chiunque con uno dei modi indicati nell'articolo precedente ba cercato di screditare il governo e di eccitare odio e disprezzo contro il medesimo o contro le leggi dello Stato, è punito col carcere;

«Art. 128. Coloro per altro che senza avere partecipato alla formazione delle scritture... contemplate nei due precedenti articoli hanno scientemente servito di semplici strumenti a diffonderle... o altrimenti propalate, soggiacciono:

A) Nei casi dell'Art. 126 al carcere da uno a cinque anni.

B) Nei casi dell'Art. 127 alla medesima pena da uno a sei mesi.

P. Q. M.

Visto l'art. 33 del Codice penale;

Condanna l'imputato, Monsignor Gadano Carli, contumace al giudizio, come colpevole dell'obbiettatogli delitto di manifestazioni per mezzo di diffusione di scritture stampate, intese a screditare il governo, nella pena di cinquanta giorni di carcere. Lo condanna inoltre nelle indennità dovute a chi di ragione, e nelle spese degli atti e del giudizio, che compresa copia della presente sentenza e atti relativi, tassa in ital. lire 27.

Addì 27 novembre 1861.

C. G. Agnelli— C. A. Baldini —C. D. Gaer.

Camici, supplente — C. Giuli Borghim, coad.

Per copia conforme sab.

G. BORGHINI

Affissa alla porta del convento esterna dei Padri Cappuccini per non essere Monsignor Carli esso reperibile.

GERENTI

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CINQUE DISEGNI DI LEGGE

CHE SERVONO A COMMENTARE LA FORMOLA

LIBERA CHIESA IN LIBEBO STATO

Ci sembra opportuno riunire insieme cinque disegni di legge presentati alla Camera da due ministri, da due deputati, e da una Giunta Parlamentare. Sono la miglior prova della sincerità della formola libera Chiesa in libero Stato, e la più bella dimostrazione della sapienza legislativa dei membri che compongono il primo Parlamento italiano. Lo storico che avrà la pazienza di esaminare un po' tritamente queste cinque proposte, potrà dimostrare come si confutino a vicenda, e Pisanelli combatta Vacca, e Vacca combatta Catucci, e Ricasoli combatta Passaglia, Vacca e Pisanelli. Povera Italia, se simili proposte si potessero fare in Campidoglio! Ma grazie a Dio passò il tempo in cui ci stavano le oche.

DISEGNO DI LEGGE

PROPOSTO DA DON PASSAGLIA

SUL GIURAMENTO DEL CLERO

Pubblichiamo il seguente documento, da cui apparisce in quale abisso sia caduto lo sciagurato Passaglia! Questo disegno di legge fu letto nella Camera dei Deputati sabato, 25 aprile dell'anno 1863.

Art 1. Non verrà riconosciuta dalla legge la qualità di ecclesiastico, né consentita virtù civile agli atti in tale qualità esercitati:

1° Da persone ecclesiastiche, le quali non abbiano prestato giuramento di essere fedeli al Re ed allo Statuto, e di non osteggiare né direttamente, né indirettamente l'unità indipendente d'Italia;

2° Ha persone che, dopo la promulgazione di questa legge, ricevendo gli ordini sacri non possano con autentici documenti provare di avere compiuto un corso universitario od almeno di avere con approvazione sostenuti conforme alle leggi vigenti gli esami ginnasiali e liceali.

Art. 2. Il giuramento, di cui si è detto nell'articolo precedente, dovrà essere tema distinzione prestato da tutti gli ecclesiastici, i quali vorranno, non meno a proprio vantaggio, riconosciuta dalla legge la sacra loro qualità, che attribuito valore civile agli atti in tale qualità esercitati.

Il giuramento dovrà prestarsi in mano del prefetto o del sotto-prefetto delle rispettive provincia o circondarii, o alla presenza almeno di persone a tal uopo dai medesimi delegate.

Del giuramento dai singoli ecclesiastici prestato dovrà stendersi atto pubblico, il quale si conserverà negli archivii della provincia o del circondario.

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Art. 3. Tutte le persone ecclesiastiche mancanti delle sovra esposte condizioni, saranno nella guisa stessa che gli altri cittadini soggetti al servizio militare ed ai pesi comuni, non potranno intentare presso i tribunali azione nessuna per diritti inerenti alla propria qualità di ecclesiastici, né potranno dai tribunali essere uditi in codesta loro qualità, se non previa la presentazione dei documenti, i quali provino essersi dal comparente satisfatto alle due prestabilite condizioni.

Art. 4. Tutti i benefizi di regio patronato e tutte le cariche ecclesiastiche dipendenti dal governo o da corpi morali governativi verranno conferite per pubblico concorso.

Quelli che nei singoli concorsi saranno dichiarati più idonei, conseguiranno senza ulteriore formalità governativa il possesso del benefizio o della carica ed il diritto alla percezione dei frutti. Sono eccettuati dalle disposizioni del presente articolo gli arcivescovati e vescovati, pel conferimento dei quali non s'intende innovata cosa alcuna.

Art. 5. Si negherà il possesso delle temporalità per qualsiaai beneficio ecclesiastico che in forza dei canoni debba conferirsi per concorso, se questo non sia pubblico o dato coll'assistenza di un regio commissario, il quale accerti il governo che tutto si è compiuto regolarmente, e che il prescelto, essendo il più degno, ed in sé riunendo le due condizioni stanziate nell'Art. 1, merita il regio exequatur.

Art. 6. l. e collazioni delle cappellanie ecclesiastiche o laicali delle pensioni e dei benefizi di libera collazione ecclesiastica o privata, saranno nulle dinanzi la legge, né produrranno alcun effetto civile prima che siasi ottenuto l'exequatur governativo.

Il governo non concederà l'exequatur se non verificati ed approvatii titoli, che presentati dalle parti interessate, provino concorrere nel candidato prescelto le condizioni volute dalla legge presente e lui essere il più degno,

Art. 7. 1 proventi di qualunque benefizio maggiore o minore, semplice o con cura d'anime, le pensioni e gli stipendi adossati all'erario dello Stato o di qualsivoglia corpo morale dipendente nella sua amministrazione dal governo, a favore di qualsiasi ecclesiastico, che dopo un anno dalla promulgazione di questa legge non avrà adempiute le condizioni nella medesima stabilite saranno di pien diritto devoluti alla Cassa ecclesiastica, onde venire adoperati al miglioramento della condizione dei parrochi, e ad. onesto vantaggio degli ecclesiastici che abbiano meglio meritato della Chiesa e della patria.

Ogni ecclesiastico, che, decorso l'anno dalla promulgazione di questa legge, si conformerà alle disposizioni della medesima, ricupererà il diritto alla decorrenza dei proventi del benefizio, dell pensione, dello stipendio, in modo però che tale decorrenza non cominci che sei mesi dopo di avere presentaci al direttorio della Cassa ecclesiastica, ed al ministero dei culti i titoli valevoli a dimostrare l'adempimento delle fissate condizioni.

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Art. 8. Qualunque censura o pena ecclesiastica che venga inflitta, trascurate le disposizioni canoniche e non curata la legittima e regolare procedura, non sortiranno giammai effetto civile, né cagioneranno decadenza dai benefici), dalla percezione dei loro frutti e di qualsiasi altra temporalità.

Se la censura o pena venga in tal modo inflitta contro un semplice sacerdote, avrà egli il diritto ad una pensione annua di lire cinquecento sui beni ecclesiastici e privati del superiore, e ciò fintantoché sia sciolto dalla censura e liberato dalla pena.

S'intende però salvo sempre il diritto contro il superiore al risarcimento di danni maggiori, che dalla censura o dalla pena fossero per avventura al semplice sacerdote o al beneficiario derivati.

Art. 9. Le disposizioni della presente legge spellanti al giuramento, s'intendono eziandio estese ai ministri dei diversi culti tollerati nello Stato, i quali mancando alle medesime, rimarranno perciò privi siccome della personalità politico civile, loro inerente, in quanto ministri di cullo, così di ogni stipendio governativo, o proveniente da corpi morali governativi.

All'originate firmato deputato Passaglia.

PROGETTO DI LEGGE

CONTRO IL DANARO DI S. PIETRO

E L'INFLUENZA CLERICALE

II signor Francesco Catucci, deputato di Àtripalda (Principato Ulteriore), ha presentato alla Camera un disegno di legge, che egli stesso definì «progetto importante ed eminentemente politico», il quale «riguarda il modo come distruggere il così detto Obolo di S. Pietro e l'influenza clericale».Tre uffizi della Camera autorizzarono la lettura di questo progetto, e fu letto nella tornata del 2 di giugno 1864. È un progetto empio e sciocco ad un tempo, eminentemente ridicolo, eminentemente scismatico, eminentemente tirannico. Eccolo come sta scritto negli Atti uff. della Camera, n° 715, pag. 2783, col. 3.

«Art. i. Tutti i Vescovi che hanno abbandonato la propria diocesi senza permesso sovrano, o ne fossero stati amossi per misura di ordine pubblico, non potranno più avere ingerenza alcuna nel governo delle loro diocesi.

«Le rendite di queste mense sono devolute all'Economato generale.

«Art. 2. Una Commissione composta di tre Vescovi nominati con decreto reale è incaricata di destinare un Vicario generale per ogni diocesi vacante, il quale non potrà mettersi nell'esercizio delle sue funzioni senza il regio placito, che sarà dimandato per mezzo del procuratore generale della Corte d'Appello.

«Art. 3. I vicarii generali saranno scelti fra gli ecclesiastici che abbiano un merito distinto tanto del clero secolare, che regolare soppresso.

«Non potranno essere nativi o prebendati della diocesi ove saranno destinati, ed avranno l'obbligo della residenza nel capoluogo di essa.

— 164 —

«Art. 4. Costoro hanno la missione principale di vigilare sulla disciplina del clero ed impedire tutto ciò che sotto l'apparente aspetto di religione possa servire di ostacolo al consolidamento dell'unità d'Italia e delle sue libere istituzioni.

«Art. 5. Tutti i vicarii attualmente esistenti, e che non saranno confermati, se dopo la pubblicazione della presente legge e nomina dei novelli vicarii, non desistessero dalle loro fonzioni, saranno considerati come colpevoli del reato preveduto dall'Art. 268 del Codice penale.

Art. 6. Le regole della cancelleria apostolica riguardanti le provviste dei benefizi sono abolite.

«Come pure cessano di aver vigore nel regno le decretali ed ogni altra disposizione pontificia riflettente la collazione dei benefizi.

«Nei casi di devoluzione alla Santa Sede, la Commissione suddetta conferirà il benefizio devoluto, e provvederà le dignità, i canonicati, le parrocchie ed i benefizi di ogni grado e nomenclatura vacanti nelle diocesi del regno.

«I procuratori generali d'ora innanzi non daranno il regio Exequatur a bolle pontificie di collazione emesse in virtù di tali regole e decretali.

«Art. 7. La Commissione dei Vescovi conoscerà di tutte le cause che per lo innanzi erano di competenza della Curia romana, salvo il ricorso al Re.

«Art. 8. È vietato aprire od annunciare sottoscrizioni o collette sotto qualunque denominazione aventi uno scopo religioso.

«La trasgressione al prescritto in questo articolo sarà punita col carcere da quattro a dieci mesi e con multa di lire 100 a lire 1000.

«Art. 9. Lo stipendio annuale dovuto ai Vicari generali sarà non minore di lire 2000, né maggiore di lire 3000.

«Un apposito regolamento stabilirà le norme per la pronta e facile esecuzione della presente».

Pres. A tenore dell'Art. 43 del regolatnento invito il deputato Catucci a voìef dichiarare quale sarebbe il giorno nel quale desidererebbe di Sviluppare la Sua proposta.

Il deputato Catucci voleva che il suo progetto si discutesse di giorno e non di notte. La Camera decise che si discuterebbe di notte e non di giorno. Ottima decisione, perché il Catucci 6 un di coloro a cui si fa notte innanzi sera!

PROGETTI

DEL GUARDASIGILLI GUSEPPE PISANELLI

PER LA SOPPRESSIONE DI CORPORAZIONI RELIGIOSE

E DISPOSIZIONI SULL'ASSE ECCLESIASTICO

(Presentati alla Camera dei deputati il 18 gennaio 1849).

I.

Soppressione delle corporazioni religiose e d'altri enti morati ecclesiastici.

Art. 1. Cessano di esistere nel Regno, quali enti morali riconosciuti dalla legge civile, tutte le case degli ordini religiosi-e tutte le congregazioni regolari e secolari.

Art. 2. I membri delle corporazioni soppresse acquisteranno il pieno esercizio dei diritti civili e politici dall'istante della loro uscita dal chiostro.

Art. 3. Alle monache ed ai membri professi degli ordini mendicanti è fatta facoltà di continuare a vivere nel chiostro. Nondimeno, quando siano ridotti a numero minore di sei, potranno venire concentrati in altra casa dello stesso ordine, posto nel distretto economale.

Potrà ancora il Governo, per motivi di pubblica sicurezza o per esigenze di pubblico servizio, operare in ogni tempo il detto concentramento per decreto reale previo il parere del Consiglio di Stato.

Art. 4. Ai religiosi, i quali avessero fatta regolare professione prima della presentazione di questa legge, è concesso un annuo assegnamento, che sarà ragguagliato al reddito netto della casa a cui appartenevano.

Questo assegnamento non potrà mai eccedere la somma di lire 600 per Ogni religioso, e di lire 300 per ogni laico o conversa; né essere minore di lire 300 per i primi, e di lire 450 per i secondi.

Ai religiosi che avranno pagata una determinata somma per il loro ingresso nell'ordine, è concesso di scegliere tra lo assegnamento di cui sovra ed una pensione vitalizia regolata sul capitale pagato, in ragione della loro età, a norma della tabella A, quando il capitale stesso sia stato incorporato nel patrimonio di alcune delle case colpite da soppressione.

Ai terziarii o serventi dell'uno o dell'altro sesso che, dopo aver compiuto l'età d'anni 40 e servito da 10 anni in un convento, dovessero abbandonarlo per effetto di questa legge, potrà essere concesso annualmente un sussidio non maggiore di lire 150.

Art. 5. Dalla disposizione dell'articolo primo potranno essere eccettuate, con regio decreto da pubblicarsi contemporaneamente alla presente legge, speciali case, per ragioni di pubblica utilità.

Con regio decreto saranno pure determinatela facoltà di ricevere novizi e le altre condizioni per la conservazione delle case eccettuate.

Art. 6. Cessano parimente di esistere come enti morali riconosciuti dalla legge civile;

1. I capitoli delle chieste collegiale, che, per regio decreto da pubblicarsi contemporaneamente alla legge, non siano eccettuali come monumenti e ricordi della storia nazionale;

— 165 —

2. Le abbazie ed i benefizi, ai quali non sia annessa cura d'anime attuale o l'obbligazione di coadiuvare al parroco nell'esercizio della medesima, ed in generale tutte le fondazioni perpetue, che abbiano carattere ecclesiastico;

3. Le cappellate laicali e tutte le altre Fondazioni di eguale natura, alle quali sia annesso un peso o servizio ecclesiastico.

Art. 7. I canonici delle collegiate e gli odierni investili di abbazie o dei benefizii indicati nei numeri 1 e 2 dell'articolo precedente riceveranno, vita durante e dal dì delta presa di possesso dei beni che costituiscono la dotazione rispettiva, un assegnamento annuo corrispondente al reddito netto della dotazione stessa, purché continuino a sostenere i pesi inerenti all'ente morale soppresso.

L'assegnamento anzidetto non potrà mai essere accresciuto per la mancanza o la morte di alcuno tra i membri della collegiata, e cesserà se l'investito più non possa ritenere il primo beneficio per collazione di un secondo o per altra qualsivoglia ragione.

Art. 8. Però se si tratti di canonicati, di abbazie o d'altri benefizii soggetti a patronato laicale o misto, oppure di cappellate laicali e di altre fondazioni analoghe, sarà in facoltà del patrono laicale di scegliere, entro un anno dalla pubblicazione della legge, tra l'usufrutto a favore dell'investito odierno, Vita durante, ed il pagamento dell'assegnamento annuo anzidetto, per il quale dovrà in tal caso prestare le necessario guarentigie.

II.

Fondo pel culto — Abolizione della Cassa ecclesiastica.

Art. 9. I beni appartenenti agli enti morali, indicati negli articoli 1 e 6, sono destinati a formare un fondo speciale pel culto.

A questo fondo si applicano eziandio i beni già devoluti, in viriti di leggi preesistenti, alla Cassa ecclesiastica, che rimane abolita.

Art. 10. L'amministrazione del fondo anzidetto sarà tenuta sotto la direzione del Ministro dei culti e coll'assistenza di un apposito Consiglio locale, dall'economato generale del distretto dove avevano sede gli enti morali soppressi, in modo distinto e separato dalla gestione dei fondi attribuiti all'economato stesso per effetto del R. decreto 26 settembre 1860 (num. 43H).

Tre membri del Consiglio potranno essere eletti dai parroci, giusta le norme che verranno stabilite nel regolamento.

Art. 11. Il fondo pel cullo, dopo il pagamento delle pensioni ed assegnamenti indicati agli articoli 4 e 7, e dopo l'adempimento dei pesi speciali, sarà erogato:

1. Nella soddisfazione dei carichi che gravano il bilancio dello Stato per spese di culto e per somme già assegnate con legge al clero in surrogazione di decime abolite;

2. Nel miglioramento della condizione dei parroci, che non abbiano una rendita netta di lire 1000;

— 167 —

3. In sussidii a' membri del clero più bisognosi e benemeriti della Chiesa e dello Stato; in assegni per esercizio del culto: in ristauri a chiese povere e monumentali: in incoraggiamento di studii ecclesiastici ed in altri analoghi usi di beneficenza, compresa l'istruzione popolare.

Art. 12. Una Commissione di vigilanza composta di tre senatori e di tre de. fiutati, eletti ogni anno dalle rispettive Camere, e di tre membri nominati, sovra proposta del Ministro dei culti, dal Re, che ne designerà pure il Presidente, avrà l'alta ispezione delle operazioni concernenti il fondo pel culto e sulle medesime rassegnerà annualmente al Re una relazione che verrà distribuita al Parlamento e pubblicata nel giornale ufficiale del Regno.

Art. 13. 1 beni mobili appartenenti agli enti morali, indicati agli articoli 1 e6, passano direttamente all'economato generale del distretto dove erano posti gli enti morali anzidetti, salve le eccezioni che fossero convenienti per l'efìettodell'articolo 3 della legge presente.

I beni immobili passano immediatamente, per effetto della pubblicazione della legge stessa, al demanio dello Stato, il quale avrà obbligo di rappresentare, dal di della effettiva presa di possesso dei medesimi, in cartelle iscritte sul Gran Libro del debito pubblico a favore dell'economato generale del distretto cui appartenevano gli enti morali, una rendita 5 per <00 equivalente al reddito netto dei beni stessi, da accertarsi in quel modo che verrà determinato da apposito regolamento.

Art. 14. Sono eccettuati da tali disposizioni:.

1. I fabbricati dei conventi soppressi, i quali, quando rimangano sgombri dai religiosi e non siano altrimenti assegnati a pubblico servizio, saranno concessi ai comuni, che ne facciano domanda, per usi di pubblica utilità, entro il termine di sei mesi dallo avvenuto sgombro, e che godranno della ottenuta concessione finchè duri tale destinazione;

2. 1 beni oggidì posseduti da enti morali soppressi e soggetti, per patto o disposizione qualunque che possa avere effetto a termini di legge, a riversibilità a favore di comuni, stabilimenti o privati, ai quali ne sarà immediatamente devoluta la proprietà, se assumano con opportune guarentie il carico di corrispondere la rendita netta di tali beni fino alla morte dei singoli provvisti od alla estinzione totale dei componenti la casa religiosa o l'ente morale cui appartenessero i beni stessi.

Se però trascorrano sei mesi dalla pubblicazione della legge senza che gli aventi diritto alla devoluzione abbiano prodotto i documenti necessari ad accertare il diritto stesso, od abbiano prestata l'anzidetta guarentia, essi più non potranno conseguire altro che la rendita corrispondente, inscritta sul Gran Libro del debito pubblico a tenore dell'articolo 13, dopo avvenuta la morte od estinzione suaccennata, e purché facciano valere le loro ragioni entro il triennio susseguente tale epoca;

3. I beni costituenti la dotazione di canonicati, abbazie o benefizi di patronato laicale o misto, oppure di cappellani laicali ed altre fondazioni analoghe, i quali, salvo il vincolo dell'usufrutto od il peso dell'assegnamento indicati all'articolo 8, si devolveranno in proprietà a coloro che al momento della pubblicazione della legge avranno il diritto di patronato, dividendosi tra i due patroni, se il patronato attivo si trovi separato dal passivo.

— 168 —

Art. 15. Cessato l'usufrutto o lo assegnamento annuo a favore degli odierni investiti secondo il disposto dell'articolo 8, i patroni corrisponderanno all'economato generale del distretto una somma eguale al terzo del valore dei beni dei quali andranno al possesso, e questa somma sarà aumentata di un altro terzo corrispondente alla porzione del patrono ecclesiastico, ove si tratti di beneficio di patronato misto.

Questo contributo sarà soltanto di una somma corrispondente al quadruplo delle tasse ed imposte gravanti i detti beni al tempo della devoluzione, se si tratti della dotazione di cappellani laicali e di altre fondazioni analoghe.

Dal valore intiero dei beni sarà però sempre, nei casi previsti dai due capoversi precedenti e dal numero 2 dell'articolo 14, prelevato, per lo adempimento dei pesi religiosi, un capitale, di cui il frutto corrisponda in ragione del 5 per cento al cumulo dei pesi stessi.

III.

Quota di concorso.

Art. i6. A provvedere fin d'ora efficacemente al miglioramento della condizione dei parroci è imposta un'annua quota di concorso, il provento della quale, per cura dell'economato generale, sarà ripartito a favore esclusivamente dei parroci del distretto economale, di guisa che, incominciando dai meno retribuiti, si abbia un aumento progressivo delle congrue rispettive.

Art. 17. Sono soggetti alla quota di concorso, nei modi e nelle proporzioni ivi designate, gli enti morali, indicati nell'articolo 25 della legge 29 maggio 1855 (numero 878), che verrà perciò esteso a tutto il Regno con abrogazione del capoverso del numero 4.

Art. 18. Per la liquidazione, lo stabilimento e la riscossione delle quote di concorso, si seguiranno le basi, i modi e le norme delle leggi e regolamenti relativi alla tassa di manomorta, che vorrà pure essere detratta, senza che si ammetta altra deduzione oltre quelle ivi determinate.

Art. 19. Alla morte di ciascun vescovo o arcivescovo, il Governo, sentito il Consiglio economale di cui è cenno nell'articolo 10, ridurrà di quella parte che sia riconosciuta eccedente la dote del beneficio, addicendola al fondo per il culto.

Art. 20. È sospesa ogni provvista di canonicati, che non abbiano annessa la dignità od officio o non siano soggetti a patronato laicale o misto, non che di beneficiature, mansionariati o cappellanie nei capitoli esenti da soppressione, infino a che i capitoli delle metropolitane non siano ridotti al numero di quindici canonici e di dieci beneficiati o cappellani, ed i capitoli delle cattedrali o collegiate al numero di dodici canonici e sei beneficiati o cappellani, inchiudendo nel numero soprafisso i canonicati di dignità o d'ufficio ed i canonicati soggetti a patronato laicale o misto.

Art. 21. Si terrà conto separato e distinto per ciascun capitolo delle rendite provenienti dai canonicati lasciati in tal guisa vacanti, e sovra esse si corrisponderà in quote eguali ai singoli canonici, conservati nello stesso capitolo

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e non investiti di canonicato di patronato laicale o misto, un supplemento di assegno fino alla misura stabilita dalla tabella B unita alla legge.

Ogni sopravanzo dall'uso anzidetto è devoluto al fondo perij culto e sarà applicato allo scopo voluto dall'articolo 16.

IV.

Conversione dell'asse ecclesiastico

Art. 22. Tutti i beni rurali ed urbani appartenenti agli Arcivescovadi e Vescovadi, ai canonicati ed agli altri beneficii non soppressi dovranno, a misura clic ne cessi il godimento negli odierni investiti, essere convertiti, per cura dell'economato generale del distretto, in rendita sul debito pubblico dello Stato od in rendita fondiaria, oppure, dove le leggi lo consentano, essere concessi ad enfiteusi, la quale però sarà sempre affrancarle.

Sono eccettuati gli edilìzi attigui alle Chiese ed abitati in tutto od in parte dell'investito, coi giardini ed orti annessi, nonché le villeggiature di suo uso.

Art. 23. Eguale conversione dovrà farsi dei beni rurali ed urbani appartenenti ai capitoli, ai seminari, alle fabbricerie, alle case religiose esenti da soppressione ed a qualunque altro stabilimento od ecclesiastico o servente al culto, eccettuate pur sempre le case e le villeggiature cogli orti e giardini annessi.

I beni anzidetti saranno posti a licitazione pubblica a misura che ne sia fatta richiesta da compratori, e trascorrendo un quinquennio dalla pubblicazione della presente legge senza che siasi compiuta la conversione, questa sarà eseguita a cura dell'economato generale.

Art. 24. È vietato quind'innanzi agli enti morali, dei quali è cenno nei due articoli precedenti, lo acquistare beni urbani o rurali se non nei limiti assegnati dalle eccezioni poste negli articoli medesimi.

A quelli tra gli anzidetti enti morali, ai quali fossero devoluti di tali beni per aggiudicazione o per altra ragione di legge, sarà concesso il termine di Ire anni per farne la conversione nei modi sopra indicati.

Nel decreto reale che, a sensi della legge 5 giugno 1850, assenta a Ulano degli enti morali anzidetti l'accettazione di donazioni o di disposizioni testamentarie, verrà assegnato un termine adeguato, che in verun caso non potrà eccedere il triennio, per procedere alla conversione degl'immobili non compresi nelle eccezioni summenzionate.

Art. 25. Quind'innanzi non saranno valide senza l'approvazione governativa le permute, le censuazioni e qualsivoglia alienazione di beni immobili e di rendite di ogni specie appartenenti agli enti morali indicati negli articoli 22 e 23. È delegato agli economi generali l'incarico di concedere siffatta approvazione sopra voto favorevole del Consiglio istituito presso gli economati generali a senso dell'articolo 10 di questa legge.

Art. 26. Nulla è innovato nelle provincie siciliane circa le disposizioni della legge 10 agosto 1862 (numero 743).

Una parte della rendita resultante dai canoni per concessioni enfiteutiche, fatte nelle provincie siciliane in virtù della suddetta legge, potrà essere destinata ad opere di pubblica utilità in vantaggio delle provincie stesse per decreti reali sovra proposta del Consiglio dei ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato.

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V

Disposizioni transitorie.

Art. 27. Dal giorno della pubblicazione di questa legge gli economati generali assumeranno le attribuzioni affidate loro dalla medesima.

Un regolamento da pubblicarsi con decreto reale determinerà le norme che gli economati generali dovranno tenere per l'amministrazione del fondo pel culto, la composizione e le attribuzioni del Consiglio locale indicato all'Art. 10, il modo e il termine, ne' quali debba recarsi ad effetto il passaggio negli economati stessi delle attribuzioni fino ad ora esercitate dalla Cassa ecclesiastica, non che la divisione, in ragione della provenienza, delle rendite spettanti a ciascun distretto economale.

Art. 28. I superiori delle case religiose e delle congregazioni regolari e secolari, e gli investiti od amministratori degli altri enti morali indicati nella legge presente dovranno intervenire agli atti d'inventario, e presentare tutti i documenti, le consegne e gli schiarimenti che saranno richiesti dagli agenti incaricati dell'esecuzione della legge stessa secondo il regolamento anzidetto.

Il rifiuto e la inosservanza di tali obblighi, l'altenamento delle indicazioni richieste, il trafugamento o la sottrazione di documenti od altro oggetto qualunque spettante alle case, congregazioni od enti morali sovraindicati, sarà punito con una multa da lire 100 a 500, e colla perdita dell'assegnamento od usufrutto, ai quali avessero diritto, «tenore degli articoli 4, 7 ed 8 della legge, oltre alle pene stabilite dalle leggi vigenti.

Art. 29. Il calcolo della rendita netta per l'effetto degli articoli 4, 7 e 14. sarà ragguagliato sulla media dell'ultimo decennio, tenuto calcolo d'ogni indicazione che risulti da contratti, da registri regolari, da catasti o dalle consegne fatte in eseguimento della legge 21 aprile 1862, numero 587, e fatta sottrazione delle spese di conservazione e ristauro dei conventi e delle Chiese.

Art. 30. Non si riconosceranno i debiti e le altre passività a carico degli enti morali soppressi, che eccedano il valore dei beni medesimi.

Art. 31. Per il conseguimento di quanto è attribuito al fondo pel culto dall'articolo 15 della legge, l'economato generale avrà un diritto di privilegio sui beni relativi, di cui potrà giovarsi entro il termine di due anni dal dì della cessazione dell'usufrutto o dell'assegnamento a favore dell'odierno investito.

Art. 32. Sovra proposta dell'economato generale, previi gli opportuni accordi col ministero della Pubblica Istruzione, e sentila la Commissione di vigilanza, saranno dati gli opportuni provvedimenti per la devoluzione a pubbliche biblioteche dei libri, manoscritti e documenti scientifici posseduti da case religiose o da altri enti morali e per tutto ciò che riguarda i monumenti, oggetti d'arte, mobili preziosi ed archivi, che si trovino nelle Chiese e negli edifizi delle case religiose e degli altri enti colpiti da questo o dalle precedenti leggi di soppressione.

Art. 33. Quando per morte, concentramento od altra causa, le Chiese annesse ai Conventi, alle Collegiate od ai benefici soppressi non possano pili o sere ufficiate da coloro che oggi vi attendono, sarà provveduto

— 170 —

all'ufficiatura delle medesime a carico del fondo pel culto nei modi richiesti dalle discipline vigenti ed a seconda delle circostanze e dei bisogni delle popolazioni.

Dove alla casa religiosa od alla collegiata soppressa sia congiunta cura d'anime, sarà provveduto, nelle forme di diritto, allo assegnamento di una congrua e di una decente abitazione a favore del Parroco o dei coadiutori che gli occorrano....

L'adempimento dei pesi religiosi, ai quali per l'avvenuta soppressione più non possano attendere i religiosi, i canonici, ed altri beneficiati, sarà trasferito per cura dell'economato generale nelle amministrazioni delle chiese parrocchiali dei luoghi, ove sono stabilite le pie fondazioni, mercé la rimessione d'una rendita corrispondente ai pesi.

Art. 34. Le possidenze delle corporazioni religiose, oggidì esistenti in Lombardia, alle quali sia applicabile la disposizione dell'articolo 16 del trattato di Zurigo, si devolveranno alle case delle corporazioni stesse che ivi potessero per avventura andare «senti da soppressione a tenore dell'articolo 5 della presente legge.

Art. 35. Restano ferme le pensioni già effettivamente assegnate a religiosi e religiose, in esecuzione delle leggi di soppressione anteriormente emanate in alcune provincie del regno.

Però cessa il diritto al godimento tanto delle pensioni ed assegnamenti anteriori, quanto di quelli determinati dalla legge presente, nonché dello usufrutto indicato all'articolo 8, per coloro che dimorino fuori dello Stato, senza avere ottenuto dal governo speciale facoltà di continuare a goderne.

Art. 36. Finché non sia estinto il debito delle pensioni ed assegnamenti concessi dalla legge presente ai religiosi ed ai provvisti di canonicati, abbazie ed altri benefizi soppressi, le rendite, applicate al fondo per il culto, saranno esonerate dalla tassa imposta in virtù, della legge 21 aprile 1862 (N» 587), egli economati generali andranno esenti da tassa di registro e bollo, come le amministrazioni dello Stato, per gli atti che si compiono nell'interesse del fondo per il culto.

Art. 37. È abrogata ogni disposizione contraria a questa legge.

Tabella A.

(Pensioni vitalizie, articolo 4)

Età sino a 30 anni

6 per cento

da 30 a 35

6

da 35 a 40

7

da 40 a 45

7

da 45 a 50

8

da 50 a 55

9

da 55 a 60

10

da 60 a 65

18

da 65 a 70

16

da 70 a 75

22

da 75 a 80


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Tabella B.

(Articolo 21)

Canonicati senza ufficio o dignità.

Nelle metropolitane

L. 2,500

Nelle cattedrali

2,200

Nelle collegiate

1,800


Canonicati d'ufficio o dignità.


Nelle metropolitane

L. 1,800

Nelle cattedrali

1,500

Nelle collegiate

1,200


Beneficiati o cappellani.


Nelle metropolitane

L. 1,000

Nelle cattedrali

900

Nelle collegiate

800

 

SOPPRESSIONE DELLE DECIME ECCLESIASTICRE

Art. 1. Le decime e primizie che si pagano al clero pei servizi religiosi, sono abolite in tutto il Regno.

Art. 2. I parroci, acuì mancasse la congrua di L. 600, avranno diritto fino a tal somma, ed a carico del rispettivo comune, ad un assegnamento annuo, che però non potrà eccedere la somma delle prestazioni abolite.

Art. 3. L'ammontare dell'assegnamento anzidetto sarà determinato dal Consiglio comunale nei modi e colle norme che verranno stabilite da apposito regolamento.

Contro la deliberazione del Consiglio comunale è ammesso il ricorso alla deputazione provinciale.

Art. 4. In difetto delle rendite ordinarie del Comune per sostenere il carico dell'assegnamento anzidetto, sarà provveduto alla spesa relativa mercè sovrimposta alle contribuzioni dirette.

Art. 5. La metà del fondo, che rimanga in ogni anno disponibile per cessazione di pensioni a favore di membri delle corporazioni religiose soppresse a tenore della legge relativa, verrà gradatamente assegnato, fino a totale discarico dei Comuni, prima ai parroci che godono dell'assegnamento indicato all'articolo 2, poscia a quelli che abbiano diritto ad annualità fisse, surrogate già dai Comuni stessi ad antiche prestazioni decimali ecclesiastiche.

Art. 6. È derogato ai decreti 19 gennaio 1860 e 7 gennaio 1861 del governatore dell'Emilia e del luogotenente di S. M. nelle provincie napolitano, in quanto possano essere contrari alle disposizioni della legge presente.

— 173 —

PROGETTO VACCA

CONTRO GLI ORDINI RELIGIOSI ED I BENI ECCLESIASTICI

II 18 gennaio del 1864 il guardasigilli Pisanelli presentava alla Camera tra disegno di legge per la soppressione degli Ordini religiosi, e disposizioni sull'asse ecclesiastico; ma prima che quel disegno potesse venire esaminato dai deputati, il povero Pisanelli precipitava dal Ministero. Giuseppe Vacca raccoglieva il portafoglio del Pisanelli, ritirava il suo progetto di legge, ed iM2 di novembre 1864 ne presentava un nuovo, con conseguenze di maggior portata, com'egli dice nella relazione. La principale differenza tra i due progetti è questa: il progetto Pisanelli considerava i beni ecclesiastici come cose che erano consecrate al culto, e doveano a questo servire esclusivamente; laddove il progetto Vacca «si prefigge di volgere a profitto dello Stato una ragguardevole parte di beni ecclesiastici». In altri termini il progetto Vacca è più ladro del progetto Pisanelli. Eccolo

I.

Soppressione delle corporazioni religiose e di altri enti morali ecclesiastici od inservienti al cullo.

Art. 1. Dal giorno della pubblicazione della presente legge non saranno più riconosciuti nello Stato gli ordini e le congregazioni religiose regolari e secolari, e le congregazioni, comuni e ed associazioni di qualsiasi natura che importino vita comune ed abbiano un carattere ecclesiastico, sebbene siano soggette all'ingerenza o tutela dell'autorità laicale.

Le case e stabilimenti appartenenti agli ordini e alle congregazioni anzidetto sono soppressi, ed i beni ne sono immediatamente devoluti al demanio dello Stato.

Art. 2. I membri delle corporazioni soppresse acquisteranno il pieno esercizio dei diritti civili e politici dal giorno della pubblicazione della presente legge.

Art. 3. Ai religiosi ed allo religiose degli ordini possidenti, i quali avessero fatta regolare professione religiosa prima del 18 gennaio 1864, è concesso un annuo assegnamento di lire 500 per ogni religioso sacerdote o religiosa corista, e di lire 250 per ogni laico o conversa.

Ai terziarii o serventi dell'uno e dell'altro sesso che, dopo di aver compiuto l'età di anni 60 e servito da un decennio in alcuno dei monasteri degli ordini possidenti, dovessero abbandonare il loro posto per effetto della presente legge, potrà essere concesso un sussidio annuale non maggiore di lire 120.

Art. 4. Gli assegnamenti anzidetti verranno ridotti proporzionalmente, quando la rendita netta dei beni delle corporazioni e congregazioni religiose soppresse non presenti un'attività sufficiente a sostenere la spesa degli assegnamenti stessi.

Art. 5. Saranno assegnati dal Governo alcuni chiostri, nei quali i religiosi dei diversi Ordini contemplati negli articoli precedenti potranno rispettivamente convivere secondo le regole del loro istituto fino a che non siano ridotti a numero minore di sei.

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Eguale assegnamento di chiostri verrà fatto per rispetto ai religiosi regolarmente professi negli Ordini mendicanti prima del 18 gennaio 1864, ai quali sarà pure concessa la facoltà di continuare la questua, sotto l'osservanza però delle disciplina speciali che, a regolarne l'esercizio, il Governo credesse di adottare per ragioni d'ordine pubblico.

Art. 6. Cessano parimente di esistere come enti morali riconosciuti dallo Stato e sono soppressi:

1° 1 capitoli delle chiese collegiate;

2° Le abazie;

3° I benefizii, ai quali non sia annessa cura d'anime attuale;

4° Le chiese ricettizie;

5° Le cappellate laicali;

6° Le confraternite, ed in generale tutte le fondazioni alle quali sia annesso un peso o servizio ecclesiastico;

7° Le istituzioni designate col nome generico di fondazioni o legati pii, patrimoni i ecclesiastici e simili, quando abbiano un reddito eccedente l'ammontare dell'adempimento dei pesi che vi sono inerenti.

Art. 7. 1 canonici attuali delle collegiate soppresse, gl'investiti delle abazie e dei benefizii indicati nel numero 3 dell'articolo precedente e gli odierni partecipanti delle chiese ricettizie regolarmente provvisti di un titolo di partecipazione riceveranno, vita durante e dal dì della presa di possesso dei beni che costituiscono la dotazione rispettiva, un assegnamento annuo corrispondente al reddito netto della dotazione stessa, purché continuino a sostenere i pesi inerenti all'ente morale soppresso.

L'assegnamento anzidetto non potrà mai essere accresciuto per la mancanza o la morte di alcuno tra i membri d'una collegiata o ricettila, e cesserà, se l'investito più non possa ritenere il primo benefizio per collazione d'un secondo o per altra qualsivoglia ragione.

Art. 8, Però, se si tratti di canonicati, di abazie e di benefizii soggetti a patronato laicale o misto, oppure di cappellanie laicali, sarà in facoltà del patrono laico di scegliere, entro sei mesi dalla pubblicazione della legge, tra l'usufrutto a favore dell'investito odierno, vita durante, e la prestazione dell'annuo assegnamento anzidetto, per il quale dovrà in tal caso porgere le necessario guarrentie.

Art. 9. 1 beni appartenenti agli enti morali indicati all'articolo 6 passano al demanio dello Stato, col carico di inscrivere a nome del fondo, per il culto una rendita del 5 per cento sul Gran libro del debito pubblico uguale alla rendita accertata dei beni stessi a norma delle disposizioni dell'articolo 3 della legge 21 agosto 1862, n. 704.

Art, 10. Sono eccettuati dalla devoluzione o dal passaggio di cui nel capo dell'articolo 1° e nell'articolo precedente;

1° I fabbricati dei conventi soppressi, i quali, quando non siano designati ad abitazione dei religiosi od altrimenti assegnali a pubblico servizio, saranno concessi ai comuni, clic ne facciano domanda entro il termine di sei mesi dallo avvenuto sgombro per uso di scuole, di asili infantili e di ricoveri di mendicità, e che godranno dell'ottenuta concessione, finché duri tale destinazione;

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2° I beni posseduti da enti morali soppressi e soggetti, per disposizione qualunque che possa avere effetto a termini delle rispettive leggi civili sulle sostituzioni fìdeicommissarie, a favore di privati, a riversibilità o devoluzione, che avrà luogo immediatamente, se questi assumano con opportune guarentie il carico di corrispondere la rendita netta di tali beni fino alla morte dei singoli provvisti od alla estinzione totale dei componenti l'ente morale, cui appartenessero i beni stessi;

3° I beni costituenti la dotazione di canonicati, abazie e benefizi di patronato laicale o misto, oppure di cappellanie laicali, che, salvo il vincolo dell'usufrutto od il peso dell'assegnamento indicati all'articolo 8, si devolveranno in proprietà a coloro che al momento della pubblicazione della legge avranno il diritto di patronato, dividendosi tra i due patroni se il patronato attivo si trovi separato dal passivo.

4° I libri, manoscritti, documenti scientifici, monumenti ed oggetti d'arte ed i mobili preziosi ed archivi che si trovino nelle Chiese e negli uffizi delle case religiose e degli altri enti morali colpiti da questa o da precedenti leggi di soppressione, per rispetto ai quali oggetti sarà provveduto od alla devoluzione a pubbliche biblioteche od a musei od alla loro migliore conservazione, previi accordi da pigliarsi dal Ministero dei culli coi Ministeri competenti, sentito il voto delle rispettive deputazioni provinciali.

Art. 11. Cessato l'usufrutto o l'assegnamento annuo a favore degli odierni investiti secondo la disposizione dell'articolo 8, i patroni corrisponderanno al fondo per il culto una somma uguale al terzo del valore dei beni dei quali andranno al possesso, e questa somma sarà aumentata di un altro terzo, corrispondente alla porzione del patrono ecclesiastico, ove si tratti di benefizio di patronato misto.

Questo contributo sarà soltanto di una somma corrispondente al quadruplo delle tasse ed imposte gravanti i detti beni al tempo della devoluzione, se si tratti della dotazione di cappellanie laicali.

Dal valore intero dei beni sarà però sempre, nei casi previsti dai due capoversi precedenti e dal n° 2 dell'articolo i O prelevato, per lo adempimento dei pesi inerenti all'ente morale soppresso, un capitale di cui il frutto corrisponda in ragione del 5 per cento al cumulo dei pesi stessi.

II.

Ordinamento dell'asse ecclesiastico.

Art. 12. Tutti i beni appartenenti agli arcivescovadi e vescovadi, ai capitoli,

ai seminari, alle fabbricerie ed a qualunque siasi altro stabilimento od ecclesiastico od inserviente al culto, passane) al demanio dello Stato, col carico d'inscrivere, a nome dell'ente morale cui appartenevano i beni anzidetti, una rendita del $ per cento sul Gran Libro del Debito pubblico a norma di quanto o prescritto dall'Art. 9 della presente legge.

Sono eccettuati gli edifizi abitati dagli investiti od inservienti di villeggiatura agli Arcivescovi, Vescovi e seminari, in un coi giardini ed orti immediatamente annessi od aventi una speciale destinazione necessaria all'esistenza e scopo dell'ente morale.

Art. 13. Per i beni costituenti la dotazione di benefizi parrocchiali, il passaggio al demanio non accadrà fuorché a misura che ne cessi il

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godimento dal canto degli odierni investiti, rendendosi vacante il benefizio per morte o per qualsiasi altra cagione.

Art. 14. È vietato quind'innanzi agli enti morali contemplati nei due articoli precedenti l'acquisto di beni urbani e rurali, se non nei limiti assegnati dall'eccezione posta al capoverso dell'Art. 12. : A quelli tra gli anzidetti enti morali, ai quali fossero quind'innanzi devoluti di tali beni per aggiudicazione o per altra ragione di legge, sarà concesso il termine di un anno per farne la conversione nell'acquisto di rendita inscritta nominativamente sul Gran Libro del Debito pubblico dello Stato.

Nel decreto reale che, a sensi della legge 5 giugno 1850, assenta a taluno degli enti morali anzidetti l'accettazione di donazioni o di disposizioni testamentario, verrà assegnato un termine adeguato che in vermi caso non potrà eccedere l'anno dalla immissione in possesso di beni rustici ed urbani, per farne la conversione nel modo sovraindicato.

Art. 15. Non saranno valide senza l'approvazione governativa le permute, le censuazioni e qualsivoglia alienazione di beni e di rendite di ogni specie appartenenti agli enti morali sovradetti.

È delegato agli economi generali l'incarico di concedere siffatta approvazione.

Art. 16. In caso di vacanza degli arcivescovadi e dei vescovadi, la dotazione rispettiva sarà ridotta ad una rendita di lire 15,000 poi primi, e di lire 10,000 pei secondi.

Art. 17. Eguale riduzione sarà fatta, alla evenienza di vacanza, delle prebende parrocchiali, in quanto eccedano la rendita determinata dalla tabella A annessa alla presente legge.

Art. 48. I capitoli delle chiese metropolitane e cattedrali saranno ridotti, col sospendersi ogni nuova provvista di canonicati che ivi si facciano vacanti, al numero di dieci canonici e sei beneficiati nelle cattedrali; e le dotazioni rispettive saranno pure ridotte alla misura determinata dalla tabella B.

Ai canonicati di patronato laicale non governativo oggidì esistenti nelle cattedrali sono applicate, in caso di vacanza, le disposizioni dell'Art. Il della legge, devolvendosi ai patroni, dopo le deduzioni indicate nell'articolo stesso, la rendita inscritta sul Debito pubblico dello Stato a favore del beneficio.

Art. 19. Gli enti morali indicati nell'Art. 25 della legge 29 maggio 4855, né 878, che viene perciò esteso a tutto il Regno con abrogazione del capoverso del n. 4, sono soggetti alla quota di Concorso nei modi e nelle proporzioni ivi designate.

Per gli enti morali, dei quali è cenno negli articoli 16, 17 e 18, la quota di concorso è dovuta finché non accadano le riduzioni di prebenda prescritte negli articoli stessi.

Per i canonici ed altri provvisti di benefizii ed enti morali soppressi contemplati nell'articolo 17 della legge, la quota di concorso dovuta a senso della legge 19 marzo 1855 sarà dedotta dall'assegnamento di reddito netto cui hanno diritto. Sarà invece corrisposta direttamente dagli investili nel caso previsto dall'articolo 8.

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Art. 20. Per la liquidazione, lo stabilimento e la riscossione delle quote di concorso si seguiranno lo basi, i modi o le norme delle leggi e regolamenti relativi alla tassa di manomorta, che vorrà pure essere detratta, senza che si ammetta altra deduzione, oltre quelle ivi determinate.

Art. 21. I proventi ritratti dall'esecuzione delle disposizioni degli articoli 9, 11, 16, 17, 18 e 19 sono destinati a formare un fondo speciale per il culto che sarà amministrato sotto la direzione del ministero dei culti dagli economati generali dei benefici! vacanti.

Art. 22. Le rendite attribuite al fondo per il culto verranno assegnate a misura che siano disponibili, ai parroci in guisa da accrescerne le fisse prebende entro i limiti designati dalla tabella A.

Verranno pure fatti sul fondo stesso speciali assegnamenti per il mantenimento di vice-parroci entro i limiti e sotto le condizioni notate nella stessa tabella A.

Sarà devoluto alle finanze dello Stato ogni sopravanzo delle rendite del fondo per il culto, dopo soddisfatti i carichi imposti al medesimo dall'articolo presente.

Art. 23. Sull'amministrazione ed erogazione del fondo per il culto sarà annualmente fatta dal ministero dei culti una relazione al Re, che verrà distribuita al Parlamento e pubblicata nel foglio ufficiale.

III.

Disposizioni transitorie.

Art. 24. La Cassa ecclesiastica è soppressa, ed all'asse patrimoniale della medesima, secondo la diversa provenienza, saranno applicate le disposizioni dell'articolo primo o dell'articolo 9 della legge presente.

Art. 25. Passano a carico del demanio dello Stato gli oneri imposti alla Cassa ecclesiastica dal n° 1° dell'articolo 25 del decreto 17 febbraio 1861 per le provincie napoletane, dal capoverso a dell'articolo 17 dei decreti Il dicembre 1860 del regio commissario straordinario nelle provincie dell'Umbria, e 3 gennaio 1861 del regio commissario straordinario nelle provincie delle Marche, come pure le pensioni assegnate ai religiosi e religiose in dipendenza delle leggi di soppressione anteriormente emanate.

Sarà provveduto dal fondo per il culto agli oneri imposti alla Cassa ecclesiastica dai numeri 1° e 28 dell'Art. 2-1 della legge 29 maggio 1855, ed assegnamenti di culto iscritti sul bilancio del Ministero di grazia e giustizia e dei culti.

Art. 26. Gl'impiegati addetti alla Cassa ecclesiastica godranno il favore delle disposizioni contenute negli articoli 13, 14 e 15 della legge Il ottobre 1863, n° 1500, e l'anno indicato dall'articolo 13 della legge stessa dalla pubblicazione della legge presente.

Saranno però tenuti detti impiegati a prestare servizio presso gli ufficii, ai quali Fossero applicati dal Governo, sotto pena della perdita della qualità d'impiegato e dello stipendio.

Art. 27. I superiori od amministratori delle case religiose, delle congregazioni regolari e secolari, od altre associazioni ecclesiastiche, e gl'investiti ed amministratori degli altri enti morali, ai quali si riferiscono le disposizioni della presente legge, dovranno denunziare all'autorità

— 178 —

demaniale, entro il termine di tre mesi dalla pubblicazione della legge medesima, l'esistenza dell'ente, e notificare tutti i beni stabili e mobili ad esso spettanti.

Dovranno altresì intervenire agli atti d'inventario, e presentare tutti i documenti e le notizie che saranno richieste dagli agenti incaricati dell'esecuzione della presente legge, secondo il regolamento relativo.

Per i beni situati nello Stato e spettanti ad enti posti in Stato estero, la denuncia dovrà essere fatta da coloro che ne hanno nello Stato l'amministrazione, quando venisse ommessa dai superiori, dagli inveititi o dagli amministratori esteri.

Il rifiuto, il ritardo o l'inosservanza di questi obblighi, l'alteramento delie indicazioni richieste, il trafugamento, la sottrazione o l'occultamento di qualunque oggetto o documento spettante alle case religiose, congregazioni od enti morali sovraindicati, sarà punito con una multa da lire 100 a lire 1000, e colla perdita dell'assegnamento, della pensione, dell'usufruito e delta porzione di proprietà che potesse spettare al contravventore, oltre altre pene stabilita dalle leggi vigenti.

Art. 28. Indipendentemente dalle denuncio indicale nel precedente articolo, gli agenti incaricati dell'esecuzione della legge potranno prendere possesso definitivo di tutti i beni spettanti agli enti morali contemplati nella medesima, o, dove non si potesse avere l'intervento del rappresentante dell'ente morale, vi sarà sostituito l'intervento del giudice, o d'un suo delegato, od in mancanza del medesimo, del sindaco.

Art. 29. Per il pagamento dei debiti, oneri e di qualsiasi altra passività a carico degli enti morali soppressi, il demanio od il fondo por il culto non saranno mai tenuti ad un ammontare maggiore a quello risultante, o dalla rendita accertata definitivamente nella prete di possesso o dal capitale formato dal cento per cinque della rendita medesima.

Art. 30. tanto a fronte del fondo per il culto, quanto a fronte degl'iuvestiti, si farà luogo alla liquidazione dei compensi reciprocamente dovuti per l'entità dei frutti pendenti appresi dal demanio nell'atto della presa di possesso, in confronto alla decorrenza della rendita da inscriversi sul Debito pubblico, o della prestazione vitalizia.

Art. 31. 1 diritti di devoluzione e riversibilità riservati dall'Art. 10, n. 2, dovranno essere fatti valere entro sei mesi dalla pubblicazione della presente legge.

I beni saranno amministrati dal demanio per conto degli aventi diritto durante il detto periodo; trascorso il quale, la proprietà dei beni si devolve al demanio, salvo l'obbligo, di liberare agli aventi diritto una rendita del debito pubblico dello Stato corrispondente al reddito netto dei beni stessi, qualora il diritto sia fatto valere entro il triennio susseguente alla pubblicazione della legge.

Art. 32. È concesso un termine di due anni alle Corporazioni religiose oggidì esistenti in Lombardia, alle quali sia applicabile l'articolo 16 del trattato di Zurigo, per disporre liberamente dei loro beni mobili ed immobili. Passato questo termine, i beni stessi saranno devoluti al demanio dello Stato.

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Art. 33. Fino a diversa disposizione di legge i beni stabili che perverranno al demanio in virtù della presente legge saranno alienati colle norme della legge 21 agosto 1862, n° 793.

Art. 34. Nulla è innovato nelle provincie siciliane circa le disposizioni della legge 10 agosto 1862, n° 743. Le relative operazioni potranno essere compiute in contesto, col demanio dello stato.

Art. 35. Il calcolo della rendita netta per l'effetto degli articoli 3, 7, 8 e 10 (numeri 2 e 3), sarà ragguagliato sulla media dell'ultimo decennio, tenuto conto di ogni indicazione risultante regolarmente da contralti, da registri, da catasti e dalle consegne fatte in eseguimento della legge 21 aprile 1862, num. 587.

Art. 36. Per il conseguimento di quanto è attribuito al fondo per il culto dell'articolo il della legge presente gli economati generali avranno un diritto di privilegio sui beni corrispondenti, di cui vorrà essere Tatto esperimento entro il termine di due anni dal dì della cessione dell'usufrutto o dell'assegnamento a favore dell'odierno investito.

Art. 37. Cessa il diritto al godimento delle pensioni, assegnamenti ed usufruiti concessi tanto dalle leggi di soppressioni anteriori quanto dalla presente, per coloro che dimorino fuori dello Stato senza avere ottenuto dal Governo speciale facoltà di goderne.

Art. 38. Sarà provveduto, nei modi richiesti dalle discipline vigenti ed a seconda delle circostanze e dei bisogni delle popolazioni, all'ufficiatura delle chiesa annesse ai conventi e benefizi soppressi, all'adempimento degli oneri parrocchiali inerenti alle collegiate, abazie e chiese ricettizie soppresse, e ad ogni altro peso e legato pio o di beneficenza inerenti agli enti morali soppressi, in quanto corrispondano alle fatte dotazioni i proventi odierni.

Art. 39. È eccettuata per ora da soppressione, a senso dell'articolo 6, n° 2, della presente legge, l'abazia di Santa Maria Terrana, in Caltagirone, come inserviente di titolo prelatizio al giudice della regia monarchia ed apostolica legazia in Sicilia.

Art. 40. Con regolamenti approvati dal Re sarà provveduto a quanto occorra per l'esecuzione della presente legge.

Art. 41. E' abrogata ogni disposizione contraria alla presente legge.

Tabella A1

 


Assegno

al parroco

Numero del vice-parr. (1)

 Assegno al vice-parr.

Parrocchie sotto i 1000 abitanti

800

1

400

Id. da 1000 a 1999 id.

1000

1

400

Id. da 2000 a 2999 id.

1100

2

500

Id. da 3000 a 3999 id.

1200

2

500

Id. da 4000 ad oltre id.

1300

2

500


L'assegno per i vice-parroci non è ammesso fuorché dove, non avendosi fondazioni speciali per il mantenimento dei vice-parroci, siano questi a carico della prebenda parrocchiale e già esistessero fissamente nel numero stabilito dalla tabella prima della presentazione della legge.

179 —


Tabella B.



(Assegno (1)

Canonici d'ufficio

L. 2500

Canonici senza ufficio

L. 2000

Beneficiati e cappellani

L. 1000



 

PROGETTO DI LEGGE

PER RENDERE L'ITALIA SCISMATICA

Il Guardasigilli Vacca, nella tornata del 12 novembre 1864, presentava alla Camera dei deputati un progetto di legge, in cui, per sua medesima confessione e postergavasi anco il culto delle dottrine più consentite, l'ossequio alle tradizioni più predilette». Quel progetto venne affidato all'esame d'una Commissione parlamentare composta dei deputaci Borgatti, Cordova, Corsi, Mordini, Ugdulena, Biancheri, Giorgini, Ricasoli Bettino, De Luca. Ricasoli era l'anima, e il presidente di questa Commissione, la quale rigettò il progetto Vacca, e ne formò uno alla sua maniera, affidandone la relazione al Corsi. Questi presentò il suo lavoro fin dal 7 di febbraio 1865, e consegnato alle stampe, si distribuiva il 15 ai deputati. La Commissione propone in Italia la scismatica costituzione civile del Clero, già promulgata in Francia, distratta poi dal prima Bonaparte col Concordato del 1801 -, e il Corsi a pag. 46 della sua relazione confessa la brutta ed empia servilità.

Si vogliono sradicare «le istituzioni chiesastiche» perché spargono dannose superstizioni». Ed i volteriani sotto il nome di superstizione intendono il Cattolicismo. Si vuole compiere un totale divorzio dal Papa, e si pianta tutto n sistema sulla separazione, ossia sullo scisma. Si aboliscono centosettanta vescovati, e si riducono a cinquantanove, a cui la Camera dei deputati dà la giurisdizione.

Non mai s'ebbe esempio in Italia di simile attentato, che la Relazione osa chiamare «una nuova vittoria della civiltà». È una vendetta contro il Papa, e il deputato Corsi non lo dissimula, quando a pag. 9 dice del Papa che parla «col tuono del padrone allo schiavo nelle Encicliche e nei Sillabi diffusi e sostenuti da mille braccia, delle quali dispone». Ma chi getta sassi contro il cielo se li vedrà ricadere sul capo.

Gli spropositi e lo contraddizioni della Relazione e del progetto sono a migliaia. Il primo titolo tratta dell'amministrazione civile del cullo cattolico, ed ecco subito una contraddizione ne' termini. Il culto cattolico non si può civilmente amministrare, come l'amministrazione civile non può riguardare il culto cattolico.

Né sarà dovuto l'assegno che quando risutti non ammontare i redditi avventizi della parrocchia al doppio della somma stabilita per il numero di vice-parroci o prefisso dalla tabella od esistente in numero minore oggidì.

Nella somma sovraindicata sono da imputarsi le quote normali di distribuzione corale e di partecipazione a massa comune.

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Il Corsi dice che il progetto della Commissione si fonda sul canone fondamentale di libera Chiesa in libero Stato, e poi assoggetta il culto cattolico all'amministrazione civile. Più innanzi dichiara che il patrimonio della Chiesa appartiene allo Stato, e poi che è dei fedeli soltanto, e non del Clero, come se i preti, i frati, i Vescovi non entrassero nel novero dei fedeli!

Leggete come la relazione a pag. 9 discorre del Capo della Chiesa: «L'Italia, che non riconosce il potere temporale del Pontefice, non ha ragione né per accettare un suo rappresentante, né per fare seco trattati. E quale ragione vi sarebbe per trattare con una autorità tutta spirituale?».

Con simili argomenti procede la relazione. La Chiesa o spirito, il Papa è spirito, il culto cattolico è spirito. E intanto si convertono in carta tutti i beni della Chiesa, e si vuoi «procedere animosamente alla riforma dell'amministrazione civile del culto cattolico!».

Lo Stato si separa dal Papa, e i preti si separano dai Vescovi, dicendo che «le leggi della Chiesa danno facoltà ai parrochi di nominarsi il Pastore!». Poi Vescovi e preti si sottomettono a ricevere il tozzo da certe Congregazioni che saranno come i meetings che oggidì si radunano in Italia.

Piangiamo sul male, ma rallegriamoci, perché la rivoluzione è giunta agli estremi. L'anno del giubileo sarà l'anno delle grandi lotte, ma l'anno eziandio delle grandi vittorie. Ogni giorno abbiamo ormai una novità, un nuovo errore, un grande misfatto.

Non si può meglio difendere il Papa-Re che dimostrando, come i rivoluzionari dimostrano, dove conduce la guerra mossa al dominio temporale del Papa. Coraggio e preghiera. Preghiera per avere nel bene quel coraggio che gli empi dimostrano nel male.

TITOLO PRIMO

Della proprietà dei beni e dell'amministrazione civile del culto cattolico.

Art. 1. La proprietà dei beni destinati al culto cattolico è riconosciuta nella comunione cattolica delle diocesi e delle parrocchie, rappresentata da una congregazione diocesana o parrocchiale.

Essa avrà l'esercizio di ogni diritto civile relativo all'opera locale, alla quale presiede.

Art. 2. Le opere ecclesiastiche diocesane o parrocchiali saranno amministrate da una congregazione eletta dalla universalità dei cattolici maschi aventi 30 anni di età, domiciliati da sei mesi nella diocesi o nella parrocchia, nel modo che sarà determinato per legge.

Fino alla costituzione definitiva della suddetta congregazione, le sue attribuzioni saranno affidate a Commissioni nominate dal Ministro dei culti sulla proposta dei Consigli municipali.

Art. 3. La proposta ad uffici ecclesiastici di libera collazione, o di prerogativa regia, ed alle parrocchie e cappellate degli ordini religiosi soppressi con la presente legge spetterà alle opero diocesane e parrocchiali secondo che l'ufficio da provvedersi si riferirà alla diocesi o alla parrocchia, salvo per quelle di prerogativa regia l'assenso reale innanzi l'investitura.

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Quelle di collazione privata spetteranno ugualmente ad esse quando i patroni vorranno farne loro la cessione, o quando per qualsivoglia ragione cessino nei terzi i diritti di patronato,

Art. i. Le rendile ed i beni delle diocesi e delle parrocchie, cessando gli attuali investiti, saranno voltati impone rispettivamente delle opere ecclesiastiche diocesane o parrocchiali.

Ogni dono o lascito fatto a diocesi o parrocchia, o ad alcuno dei titolari delle medesime, s'intenderà fatto all'opera ecclesiastica e sarà conseguito da essa.

Art. 5. Saranno egualmente devoluti alle opere ecclesiastiche e distribuiti fra le diocesane e parrocchiali, secondo la rispettiva provenienza:

1° I beni e le rendite di quelle istituzioni e corpi morali secolari che secondo le disposizioni della presente legge non dovranno essere provvisti all'epoca della vacanza, o di quelli aboliti;

2° I beni e le rendite delle fabbriche e dei seminarii;

3° I beni e le amministrazioni esistenti presso la cassa ecclesiastica, gli economati generali o altre amministrazioni di vacanti, che sono perciò soppressi;

4° Le quote di concorso stabilite dalla presente legge e dalle precedenti;

5° E finalmente quelle rendite che potessero (oro pervenire dalla soppressione degli ordini religiosi, come verrà detto in appresso.

Art. 6. I beni dei vescovati e arcivescovati di ciascuna diocesi che non dovranno essere provvisti alla vacanza loro, passeranno all'opera diocesana di Duelli rimasti.

Quelli degli arcivescovati e vescovati attualmente vacanti, da non provvedersi, vi passeranno tosto eseguita la conversione di che in appresso.

Art. 7. Passeranno a carico delle opere diocesane o parrocchiali tutte le spese attualmente sopportate dallo Stato o dai comuni e dalle amministrazioni soppresse per qualsivoglia titolo relativo al culto.

Art. 8. Sono poste a carico dell'opera diocesana e dichiarate obbligatorie le spese occorrenti:

1° Per la dotazione degli arcivescovi e vescovi, e dei canonicati e cappellanie cattedrali di libera collazione o di prerogativa regia;.

2° Per la conservazione ed ufficiatura della chiesa cattedrale e fabbriche annesse;

3° Per il mantenimento del seminario dove sarà conservata la sede vescovile;

4° Per il mantenimento delle chiese monumentali esistenti nella circoscrizione della diocesi.

Art. 9. Le dotazioni degli arcivescovi e vescovi e dei canonici di libera collazione o di data regia, e dei cappellani o altri aventi uffizi corali, saranno alla loro vacanza ridotte dentro i limiti indicati dalla tabella A.

Art. 10. Sono poste a carico dell'opera parrocchiale e dichiarate obbligatorie le spese occorrenti:

1° Per la dotazione dei parrochi, vice-parrochi o loro coadiutori;

2° Per la conservazione e l'uffiziatura della chiesa parrocchiale e delle sussidiarie, e delle fabbriche annesso.

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Art. 11. La congrua minima dei parrochi sarà di lire 1000 annue; quella dei vice-parrochi o cappellani, ove il servizio religioso li richiederà, sarà di lire 600 annue.

Nelle parrocchie, ove le congrue attuali saranno minori della cifra indicata per gli uni e per gli altri, le congregazioni parrocchiali non potranno disporre delle rendite ad oggetti diversi, finché la congrua non avrà raggiunto quelle cifre.

Art. 12. Ogni avanzo di rendita delle opere diocesane o parrocchiali, dopo soddisfatti gli oneri di che agli articoli 7, 8 e 10, sarà erogato in nuovi aumenti di congrua ai parrochi e vice-parrochi, spese di culto, beneficenza ed istruzione.

Art. 13. Sono applicabili alle opere diocesane e parrocchiali le disposizioni della legge 5 agosto 1850 concernenti le capacità di possedere, acquistare ed alienare delle cause pie. Esse avranno però l'obbligo di convenire in rendita pubblica entro il termine di un anno i beni che potranno legittimamente pervenirli.

TITOLO SECONDO.

Della conversione ed ordinamento del patrimonio del clero secolare.

Art. 14. Tutti i beni di qualunque specie costituenti il patrimonio del clero secolare, saranno alienati, ed il prezzo convertito in rendita pubblica dello

Art. 15. Al verificarsi delle rispettive vacanze non saranno ulteriormente provvisti:

1° I capitoli delle collegiate;

2° Le abbazie ed i benefizi ecclesiastici di ogni specie ai quali non sia annessa cura di anime abituale ed attuale, le cappellanie laicali proprie, le prelature ed altre istituzioni gentilizie non erette in titolo ecclesiastico;

3° Le investiture in commenda di benefizi o rendite ecclesiastiche;

4° Gli arcivescovati o vescovati, tranne uno per ogni provincia amministrativa scelto tra quelli aventi maggiore dignità per la fondazione, e designate con decreto reale da pubblicarsi entro sei mesi dalla emanazione della presente legge;

5° I canonicati di libera collaziono o di data regia, finché il loro numero non sia ridotto a 16 nei capitoli metropolitani, e 12 nei vescovili, compresi quelli di gius-patronato laicale, gli uffizi e le dignità capitolari.

Art. 16. I canonici attuali delle collegiate abolite, gl'investiti dell'abazie, benefizi e simili fondazioni, indicati nel 1 e 2 dell'Art. 15 riceveranno al momento della conversione dei beni in rendita pubblica, vtta dorante, e dal dì della presa di possesso dei beni che costituiscono la dotazione rispettiva, un assegnamento annuo corrispondente alla rendita netta della dotazione stessa.

L'assegnamento anzidetto non potrà mai essere accresciuto per la mancanza o la morte di niuno tra i membri di una collegiata, e cesserà se l'investito non potrà più ritenere il benefizio per collazione di un secondo, o per altra qualsivoglia ragione indipendente da fisica impotenza.

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Art. 17. Verificata la vacanza dei benefizi ed enti morali specificati all'Art. 15, i patrimoni speciali di quelli compresi sotto i numeri 1 e 2 passeranno alle congregazioni parrocchiali locali; quelli dei benefizi e corpi morali specificati ai numeri 3 e 4, alle congregazioni diocesane. I patrimoni soggetti a reversibilità passeranno ai patroni, i quali però dovranno corrispondere alla congregazione locale una somma eguale al terzo del valore dei beni, dei quali anderanno al possesso.

Per i patronati misti la prelevazione sarà di due terzi, calcolata la porzione già spettante al patrono ecclesiastico.

Per le cappellanie laicali o simili fondazioni, il proprietario dovrà pagare per una sol volta una somma corrispondente al quadruplo di un'annata delle tasse gravanti i beni al tempo della devoluzione. Quest'ultima prelevazione sarà dovuta alla congregazione parrocchiale del domicilio del patrono.

Art. 18. Le opere diocesane e parrocchiali avranno un diritto di privilegio sui beni degli enti morali soppressi, sui quali dovrà farsi luogo alla quota attribuita alle congregazioni dell'articolo precedente. Tal diritto dovrà essere esercitato entro due anni dalla vacanza, o, quando essa sussista fin d'ora, dalla promulgazione della presente legge.

Art. 19. È imposta sugli enti e corpi morali ecclesiastici secolari una quota di concorso a favore delle congregazioni diocesane o parrocchiali, prelevabile sulla differenza tra la rendita minima di che in appresso, e la rendita effettiva, nei modi e nelle proporzioni seguenti:

1° Abazie, benefizi, sagrestie, opere di esercizi spirituali, santuari, e qualunque altro beneficio di natura ecclesiastica od inserviente al culto non compreso nei paragrafi seguenti:

Il 5 per cento della rendita netta che sorpasserà le lire 1000 e non oltrepasserà le 5000 e sul di più;

Il 12 per cento dalle lire 5000 alle 12,000;

Il 20 per cento per ogni rendita maggiore;

2° Canonicati delle metropolitane:

Il 5 per cento sopra le rendite nette eccedenti le lire 2500 per quelli con dignità, e lire 1800 per i canonici;

Il 10 per cento per ogni rendita superiore alle lire 3500 per i primi, e lire 2800 per i secondi;

3° Canonici delle cattedrali vescovili:

Il 5 per cento per ogni rendita netta superiore a lire 2000 per quelli con dignità, e lire 1500 pei canonici;

Il 10 per cento per ogni rendita netta superiore a lire 3000 per i primi, e lire 2500 pei secondi;

4° Seminari e fabbricerie:

Il 5 per cento sopra la rendita netta eccedente le lire 10,000 sino a lire 15,000.

Il 15 per cento per una rendita maggiore;

5° Arcivescovati e vescovati:

Il terzo sopra le rendite nette eccedenti le lire 15,000 pei vescovi e 20,000 per gli arcivescovi delle città di 100 mila anime o meno, od eccedenti le lire 25,000 per gli uni, e per gli altri nelle città superiori a 100 mila anime;

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La metà sopra le rendite eccedenti le lire 20,000 pei vescovi, e 25,000 per gli arcivescovi nel primo caso, e lire 30,000 per il secondo.

Art. 20. Per la liquidazione, lo stabilimento e la riscossione delle quote di concorso saranno seguite le basi, i modi e le norme delle leggi e regolamenti relativi alla tassa di manomorta, che verrà pure detratta senza altre deduzioni, oltre quelle ivi determinate.

TITOLO TERZO.

Velia soppressione degli Ordini religiosi.

Art. 21. Non sono più riconosciuti nello Stato gli ordini e le congregazioni religiose regolari e secolari che importino vita comune ed abbiano un carattere ecclesiastico.

Le case e stabilimenti ecclesiastici appartenenti agli ordini ed alle congregazioni anzidette sono aboliti.

Art. 22. I membri delle corporazioni abolite in Forza della presente legge e delle precedenti, acquistano il pieno esercizio dei diritti civili e politici.

Art. 23. Ai religiosi e religiose professe degli ordini soppressi, i quali avessero fatta regolare professione religiosa nello Stato, è concesso un annuo assegnamento di:

Lire 600 dall'età di 60 anni in su;

Lire 500 da 41 a 60;

Lire 400 fino ai 41;

Ai laici e converse:

L. 250 annue, qualunque sia l'età.

Ai terziari e terziarie che abbiano servito per 10 anni in alcuno dei monasteri soppressi, lire 200 annue dall'età di 60 anni in su: lire 100 annue fino a 60 anni.

Art. il. Coloro i quali all'epoca dell'attuazione della presente legge giustificheranno di essere colpiti da grave ed incurabile infermità che impedisca loro ogni occupazione avranno il maximum della pensione.

Art. 25. Le monache le quali all'epoca della loro professione religiosa avranno portata una dote al monastero, avranno la scelta tra il conseguimento della dote o la pensione, purché però la dote esista in crediti o beni stabili.

Art. 26. Il governo, se ne sarà richiesto in un termine non maggiore di tre mesi dall'emanazione della presente legge, potrà assegnare alle monache alcuni locali ove potranno convivere distinte per ordini o no, secondo la loro domanda fino a che non siano ridotte in numero minore di set.

Art. 27. Cesserà ogni diritto al godimento delle pensioni, assegnamenti, e usufrutti, concessi tanto dalle leggi di soppressioni anteriori, quanto dalla presente per coloro che dimoreranno fuori dello Stato, senza averne ottenuta dal Governo speciale facoltà.

Coloro che fossero già fuori dello Stato, dovranno chiedere tal facoltà entro il termine di quattro mesi dalla promulgazione della presente legge, trascorsi i quali sarà senz'altro incorsa la decadenza.

Art. 28. Contemporaneamente all'uscita dei religiosi e religiose dai chiostri, dovrà essere accertato il titolo alla pensione e rilasciato loro

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un certificato, il quale dovrà contenere l'elezione di domicilio del pensionato, l'indicazione della tesoreria incaricata di pagare la pensione (che sarà quella situata nel capoluogo del domicilio stesso), ed in nota la formalità da compiersi per ottenere il pagamento.

Le pensioni accertate decorreranno dalla uscita dal chiostro; dovranno pagarsi ogni eccezione rimossa, e non potranno sospendersi che con ordine del Ministero di grazia, giustizia e culti.

Art. 29. Sarà inoltre prelevata dai patrimoni'! delle case che avevano parrocchia tanta rendita quanta sia necessaria per Ja congrua del»parroco, e per il mantenimento delle fabbriche, la quale verrà iscritta a nome dell'opera ecclesiastica parrocchiale.

Art. 30. Se i religiosi o religiose conseguiranno in progresso di tempo qualche ufficio che importi aggravio sul bilancio dei comuni, delle provincie, dello Stato o del fondo del culto, la pensione sarà diminuita di una somma eguale al terzo del nuovo assegno.

Art. 31. Dalla disposizione dell'Art. 21 potranno per ora essere eccettuate con regio decreto speciali case per ragioni di pubblica utilità da scegliersi fra quelle comprese nell'annessa tabella B.

Con regio decreto saranno pure determinate le facoltà di ricevere novizi, e le altre condizioni per la conservazione delle case eccettuate.

Queste case saranno abolite per regio decreto, previo il parere del Consiglio dei ministri, ove cessi la causa per cui furono conservate.

Art. 32. È concesso un termine di due anni alle corporazioni religiose esistenti in Lombardia per disporre liberamente dei loro beni mobili e immobili. Passato questo tempo, i beni stessi saranno devoluti alla causa pia.

Gl'individui componenti lo dette congregazioni non avranno diritto alle pensioni concesse dall'articolo 23, ma se il patrimonio loro sarà nel caso che sopra devoluto alla causa pia, avranno tanta rendita pubblica vitalizia 5 per cento quanta corrisponda al prezzo ricavato dai loro beni.

La rendita sarà data secondo il patrimonio di ogni singola casa, e distribuita ai singoli componenti. Cesserà in ragione della morte di ciascun individuo.

TITOLO QUARTO.

Della amministrazione temporanea,

conversione ed erogazione del fondo del culto.

Art. 33. Tutti i beni ecclesiastici sia che appartengano al clero secolare o regolare soppresso, dovranno essere alienati, ed il loro ricavato convertito in rendita, pubblica, la quale verrà in seguito ripartita nei modi e con le forme della presente legge.

Sarà perciò formata un'amministrazione temporaria del fondo del culto che terrà per separate scritture l'amministrazione del patrimonio del clero secolare, e quella del patrimonio del clero regolare.

Art. 34. Durante l'amministrazione temporaria, di che nell'articolo dente, dovrà essere annualmente presentato alla Camera dei deputati un rapporto, il quale dovrà contenere distinti nei due patrimoni:

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1° L'inventario sommario dei beni dell'asse secolare e regolare;

2° II bilancio preventivo ed il consuntivo di ciascuna amministrazione;

3° Lo stato delle pensioni liquidate, distinte per età e per grado, quelle in eorso e quelle estinte o ridotto;

4° L'elenco ed ammontare dei beni venduti e quello sommario dei beni da vendere con l'indicazione delle provenienze;

5° La rendita inscritta sul bilancio in correlazione delle somme riscosse;

6° Lo stato di quella consegnata alle opere diocesane o parrocchiali, con indicazione di quelle, alle quali sarà stato completato il patrimonio, e di quelle alle quali rimarrà da completare;

7° I crediti acquistati con le vendite o altrimenti appurati, con le loro scadenze.

Capitolo I.

Beni del clero regolare.

Art, 35. Tutti i beni provenienti dalle corporazioni religiose soppresse saranno consegnati immediatamente al demanio, al quale ne verrà affidata la vendita: esso assumerà gli oneri che vi sono inerenti ed il pagamento delle pensioni; di tutto dovrà tenere un conto separato col titolo di: Amministrazione temporanei dei beni provenienti dal clero regolare.

La contabilità dovrà essere tenuta per modo, da servire alle prescrizioni della presente legge.

I beni già lasciati ad alcun titolare delle corporazioni soppresse s'intenderanno far parte del patrimonio della corporazione o casa, cui il titolare apparteneva. Art. 36. Sono eccettuati dal passaggio che sopra:

1° I conventi e patrimonii di quelle case che si occupano d'istruzione e beneficenza, i quali potranno essere passati ai comuni che vorranno assumere gli obblighi relativi, compreso quello delle pensioni degli addetti alla casa o case, purché ne facciano domanda entro sei mesi dalla pubblicazione della presente legge.

2° I fabbricati dei conventi soppressi, richiesti dai comuni per uso di scuole di ogni specie, di asili infantili e di ricoveri di mendicità per goderne finché durerà tale destinazione, i quali saranno concessi ai richiedenti, quando non sieno assegnati a religiose, od a pubblico servizio.

3° Le chiese di regolari attualmente destinate e che dovranno rimanere parrocchie con arredi sacri, quadri, e tutto quanto le istruisce, e con quella parte di locali che potrà necessitare al parroco e vice-parrochi se vi saranno necessarii, le quali passeranno alla congregazione parrocchiale;

4° Le chiese monumentali non parrocchiali con gli arredi, quadri e quanto altro le istruisce, che passeranno alle congregazioni diocesane;

5° I beni posseduti da enti morali, soggetti a devoluzioni per qualsivoglia titolo a favore di privati, i quali, quando il titolo sia abbastanza accertato, potranno essere consegnati ai privati, purché essi con opportuna garanzia si obblighino a dare tanta rendita netta, quanto corrisponda agli oneri che li gravano, da corrispondersi finché l'onere perseveri;

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6° I libri, manoscritti, documenti scientifici, monumenti ed oggetti d'arte, e mobili preziosi, ed archivi che si troveranno nelle chiese e negli edifizi delle case religiose, rispetto ai quali oggetti sarà provveduto od alla devoluzione a pubbliche biblioteche od a musei, od alla loro migliore conservazione, previi accordi da prendersi tra il Ministero della pubblica istruzione e quello dei culti, sentito il voto delle deputazioni provinciali.

Art. 37. 1 diritti di devoluzione e riversibilità riservati dall'articolo 36, n. 4, dovranno essere fatti valere entro un anno dalla pubblicazione della legge presente.

I beni saranno amministrati dal demanio per conto degli aventi diritto durante il detto periodo, trascorso il quale la proprietà dei beni si devolverà alle opere ecclesiastiche, salvo l'obbligo di dare agli aventi diritto una rendita sul debito pubblico dello Stato, corrispondente alla rendita netta dei beni stessi, qualora il diritto sia fatto valere entro un quinquennio susseguente alla pubblicazione della legge.

Art. 38. La rendita, che supererà il necessario ai pesi ed alle pensioni e che si renderà in appresso disponibile coll'estinguerei degli uni e delle altre, sarà distribuita per un terzo del suo ammontare coll'ordine di priorità seguente:

1° Alle congregazioni parrocchiali, che dimostreranno di non avere mezzi sufficienti per portare la congrua dei parrochi o vice-parrochi al minimum stabilito dalla presente legge;

2° Alle medesime per far fronte agli altri oneri parrocchiali.

Gli altri due terzi saranno consegnati ai comuni, ove le singole case avevano la loro sede per essere destinati ad opere di beneficenza ed istruzione esistenti o da crearsi.

Art. 39. Mancando mezzi attuali, per fare fronte alle pensioni, si aprirà un conto corrente Ira le rendite del clero secolare non immediatamente disponibili e quelle del clero regolare, o tra queste e lo Stato, da ripianarsi sulle maggiori rendite degli anni successivi del patrimonio dei regolari soppressi.

Capitolo li.

Beni del clero secolare.

Art. 40. Sono messi a disposizione del Ministero delle finanze per essere alie-. nati col mezzo del demanio e secondo le norme stabilite nella presente legge tutti i beni costituenti la dotazione degli arcivescovati, vescovati, canonicati, benefizi non soppressi, capitoli, fabbriche, seminari, parrocchie e di ogni altro titolo o benefizio ecclesiastico secolare. Art. 41. Sono eccettuati dalle disposizioni dell'articolo precedente:

1° Gli edifizi ad uso di culto e d'istruzione con gli orti e giardini che vi sono annessi;

2° Gli arredi sacri ed ogni altro oggetto inserviente al culto;

3° I libri, quadri ed altri oggetti preziosi;

4° I beni soggetti a reversibilità in favore di terzi chiamati;

5° Quelli delle cappellanie laicali ed altre fondazioni analoghe.

Art. 42. La vendita dovrà eseguirsi col mezzo del demanio.

Esso ne terrà un conto separato col titolo di: Amministrazione temporaria dei beni del clero secolare.

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La contabilità sarà tenuta per modo da servire allo prescrizioni della presente legge.

Art. 43. 1 beni dei quali è disposto nell'articolo 40 resteranno a custodia degli odierni investiti, i quali ne conserveranno il possesso ed il godimento, ne. risponderanno ai termini di un inventario da compilarsi entro due mesi dalla data della presente legge, e dovranno farne la consegna ad ogni richiesta dell'agente demaniale incaricato della vendita.

Art. 44. Nell'atto di prendere possesso dei fondi spettanti ad attuali investiti, il demanio assumerà i pesi che vi saranno inerenti e si farà luogo alla liquidazione dei frutti pendenti e degli oneri per appurare la precisa quantità della rendita da iscriversi.

Art. 45. La rendita ottenuta dalla vendita dei beni del Clero secolare verrà consegnata alle congregazioni diocesane o parrocchiali, alle quali spettano i beni in ordine alla presente legge. Nell'eseguire questo passaggio saranno mantenuti gli aumenti di doti e congrue già accordate dulie amministrazioni precedenti. Quella ottenuta da benefizi, nei quali vi sia un investito attuale, sarà iscritta a favore dell'odierno investito.

Capitolo III

Forme e modi di alienazione.

Art. 46. I beni immobili messi a disposizione del Ministero delle finanze per effetto della presente legge saranno posti in vendita ai pubblici incanti secondo le norme dell'amministrazione e contabilità generale del Regno, previa la pubblicazione di uno stato descrittivo del fondo; il prezzo sarà determinato sulla base del valore desunto dalla contribuzione fondiaria retribuita allo Stato, moltiplicata per 125, o dai contratti di vendita, o dalla rendita resultante da' due ultimi contratti di locazione, capitalizzata al 5 per cento, dovendo fra questi dati preferirsi quello che dà il valore massimo, e con le seguenti regole particolari:

Quando lo stato descrittivo non corrisponderà ai dati catastali, potrà essere fatta una perizia sommaria.

Gl'immobili rurali non superiori al valore di lire 1000 saranno venduti nella loro integrità.

I fondi di valore superiore saranno divisi, sempre che non vi si oppongano le condizioni agrarie o le circostanze locali, e ne sarà pubblicata la descrizione per elenchi; gli avvisi di vendita saranno pubblicati nel luogo della vendita, nel capoluogo del Comune, e nel giornale ufficiale della provincia ove sono situati i beni ed anche in quello del regno se si tratterà di fondi o di grandi lotti superiori alle lire 40,000.

Art. 47. Gl'incanti di grandi lotti si apriranno nella città capoluogo di provincia, e quelli di valore inferiore nel capoluogo di residenza del ricevitore demaniale.

Sé resterà deserta la prima prova, ne sarà tentata una seconda, nella quale potrà essere ribassato il prezzo del 10 per cento, coll'intervallo non minore di un mese, né maggiore di sci. Quando anco questa non abbia effetto si potrà procedere alla vendita per trattative private, ma senza variare le condizioni e sul prezzo dell'ultimo incanto. L'incanto per schede segrete è proibito.

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L'aggiudicazione al maggiore offerente nel primo e riel secondo incanto sarà definitiva.

Art. 48. Per essere ammessi agl'incanti sarà fatto nn deposito in danaro o in titoli di credito di una somma corrispondente al ventesimo del valore di stima.

Art. 49. In ogni provincia ove vi sieno beni da vendere vi sarà una Commissione presieduta dal prefetto e composta del direttore del demanio, dal regio procuratore presso il tribunale del circondario e di un deputato provinciale.

Essa dovrà deliberare sulle stime, elenchi, quaderni di oneri, sulla divisione in lotti, sui progetti di contratti, sull'approvazione di essi, e generalmente su tutte le operazioni della vendita. Convertirà sul prezzo i diritti liquidi e certi dei terzi sugl'immobili, e rinvierà ai tribunali competenti l'esame di quelli litigiosi che sospendano la vendita.

Le sue deliberazioni saranno riparabili unicamente per ricorso al Governo in via gerarchica.

Gli elenchi dovranno essere approvati dal ministro di finanze al quale dovranno essere inviati tutti gli atti ed i provvedimenti relativi alla stima di poderi e di lotti superiori alle lire 30,000 per essere approvati sentito il Consiglio di Stato.

Art. 50. Apparterrà al ministro, previo il parere che sopra, l'approvare le vendite superiori alle lire 30,000 sui verbali di aggiudicazione definitiva, e sui contratti ove ne sieno richiesti; le alienazioni di lire 30,000 o meno potranno essere approvate dal prefetto in Consiglio di prefettura.

Art. 51. Saranno estinti i diritti di prelazione appartenenti a qualsiasi persona o corpo morale ove non sieno esercitati nel termine di tre mesi dalla pubblicazione dell'elenco nel quale è compreso l'immobile a coi si riferiscono.

Art. 52. I canoni di qualunque natura per i quali l'utilista non avrà esercitato, nel termine di sei mesi dalla pubblicazione dell'elenco di diritto di affrancazione con le condizioni stabilite nella legge 24 gennaio 1864, saranno venduti ai pubblici incanti, salva agli utilisti la facoltà di redimerli, ma a nonna dei rispettivi titoli.

Art. 53. Il pagamento del prezzo dovrà farsi in rate di 15 anni pei piccoli lotti, di 10 pei grandi.

Saranno comuni alle vendite dei beni indicati nei precedenti articoli le disposizioni degli articoli 10, 11, 12 e 15 della legge 21 agosto 1862 (n. 793) sull'alienazione dei beni demaniali.

L'abbandono di che all'Art. 5 di detta legge sarà del 5 per cento.

TITOLO QUINTO.

Disposizioni generali e transitorie.

Art. 54. Il demanio e le opere ecclesiastiche non saranno mai tonati per i debiti, oneri o altra qualsiasi passività a somma maggiore di quella risultante dalla rendita accertata definitivamente nella presa di possesso di ciascun patrimonio o dal capitale rinvestito in debito pubblico 5 per cento.

Art. 55. Passano a carico del patrimonio temporale del clero regolare le pensioni assegnate ai religiosi e religiose dipendenti dalle leggi

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di soppressione anteriormente emanate.

Vi passano altresì per essere in seguito ripartiti a quelle congregazioni alle quali dovranno far carico definitivamente gli oneri imposti alla Cassa ecclesiastica dal n° 1 dell'Art. 25 del decreto 17 febbraio 1861, per le provincie napolitano; del paragrafo a dell'Art. 17 dei decreti Il dicembre 1860 del regio commissario straordinario delle provincie dell'Umbria, e 3 gennaio 1861 del regio commissario per le Marche.

Sarà provveduto dal fondo per il culto agli oneri imposti alla Cassa ecclesiastica dai numeri 1 e 2 dell'Art. 24 della legge 29 maggio 4855, e dagli assegnamenti di culto inscritti sul bilancio della spesa del Ministero di grazia e giustizia e dei culti.

Art. 56. I superiori e amministratori delle case religiose, delle congregazioni regolari e secolari e di ogni altra associazione ecclesiastica, e gl'investiti ed amministratori degli altri enti murali, ai quali si riferiscono le disposizioni della presente legge, dovranno denunziare all'autorità demaniale entro il termine di tre mesi dalla pubblicazione della legge medesima l'esistenza dell'ente, ed i beni stabili e mobili ad esso spettanti.

Dovranno altresì intervenire agli atti d'inventario e presentare tutti i documenti e notizie occorrenti e che saranno richieste dagli agenti incaricati della esecuzione della presente legge secondo il regolamento relativo.

Per i beni situati nello Stato e spettanti ad enti posti in Stato estero la denunzia dovrà essere falla da coloro che ne hanno l'amministrazione nello Stato, quando venisse omessa dai superiori, dagl'investiti e dagli amministralo esteri.

Il rifiuto, il ritardo e l'inosservanza di questi obblighi, l'alterazione delle Indicazioni date o richieste, il trafugamento, la sottrazione e l'occultamento di qualunque oggetto o documento spellanti alle case religiose, congregazioni od enti morali sopra indicati, sarà punito con una multa da lire 100 a lire 1000, e con la perdita dell'assegnamento della pensione, dell'usufrutto, o della porzione di proprietà che potesse spellare al contravventore oltre le altre pene stabilile dalle leggi vigenti.

Art. 57. Indipendentemente dalle denunce indicale nel precedente articolo, gli agenti incaricati dell'esecuzione della legge potranno prendere possesso definitivo di tutti i beni spettanti agli enti morali contemplati nella medesima, e dove non si potesse avere l'intervento del rappresentante dell'ente morale vi sarà sostituito l'intervento del sindaco o di un consigliere municipale.

Art. 58. Gl'impiegati addetti alla Cassa ecclesiastica, agli economati ed alle amministrazioni dei vacanti godranno sul fondo pel culto delle disposizioni contenute negli articoli 13, 14 e 15 della legge H ottobre i 863 (n° 1500); l'anno indicato dall'Art. 13 della legge decorrerà dalla pubblicazione della presente legge.

Saranno però tenuti i detti impiegati a prestare servizio presso gli uffizi ai quali verranno destinati dal Governo, sotto pena della perdita della qualità di impiegato e dello stipendio. Art. 59. Nulla è innovato nelle provincie siciliane circa le disposizioni della legge del 10 agosto 1862 (n» 743). Le relative operazioni potranno essere compiute di fronte al demanio.

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Art. 60. Con regolamenti approvati dal Re e compilati dai ministri del culto e delle finanze sarà provveduto a quanto occorrerà per l'esecuzione della presente legge. È abrogata ogni disposizione contraria alla presente legge.

Tabella A.



Città di 100,000 abitanti

o meno

Città superiori

a 100,000

abitanti

Vescovi.

L. 15,000

L. 25,000

Arcivescovi

L. 20,000

L. 25,000


Chiese

metropolitane

Chiese

cattedrali

Canonicati di uffizio o dignità.

L. 2500

L. 2000

Canonici

L. 1800

L. 1500

Cappellani ed altri aventi uffizi curati

L. 1000

L. 1000


Tabella B.

1. Gli Eremi degli ordini non mendicanti.

2. Gli ospizi e case di Certosini.

3. La Badia di Montecassino.

4. La Badia della Casa dei Tirreni.

5. San Martino delle Scale.

6. L'Abbazia di Santa Maria Terrana in Caltagirone.

 

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MARTIROLOGIO DELL'EPISCOPATO ITALIANO

«Celle formule célèbre, l'Eglise libre dans l'Etat libre est le plus grand de tous les mensonges. J'ai vu moi-méme comment est traitè l'Eglise en Italie». Cauli. De Bonnecose nel Senato Francese, tornata del 16 marzo 1865.

«La formula libera Chiesa in libero Stato fu qualificata l'ironia dei nostri tempi». Senatore Mameli, tornata del 17 marzo 1865 (Atti uff. del Senato del Regno d'Italia, N° 404, pagina 1424.

DIOCESI DEI. PlEMONTE.

Alba. Vacante per In morte di Monsignor Fea Costanze Michele, avvenuta il 9 novembre 1853.

Alessandria. Vacante per la morte di Monsignor Dionigi Andrea Pasio, avvenuta il 29 di novembre 1854.

Aosta. Vacante per la morte di Monsignor Andrea Jourdain, avvenuta addì 29 maggio 1859.

Asti. Vacante. Monsignor Artico morì di crepacuore a Roma il 21 dicembre 1859, espulso dalla sua sede e vittima della calunnia.

Possano. Vacante per la morte di Monsignor Luigi Carlo Fantini, avvenuta il 28 agosto 1852.

Torino. Vacante. Monsignor Franzoni morì in esilio a Lione il 26 marzo del 1862 dopo di essere stato cacciato dalla sua Diocesi fin dal 1850.

Mondavi. Monsignor Ghirardi fu processato e condannalo per aver citato un decreto della Sacra Penitenziera e poi di nuovo processato e condannato nel febbraio del 1865 per aver pubblicato il Giubileo!

Saluzzo. Monsignor Giannotti fu processato e condannalo per lo stesso motivo. Oggidì la sede è vacante per la morte del Vescovo, avvenuta il 29 ottobre 1862.

Vigevano. Vacante per la morte di Monsignor Pio Vincenzo Forzani, avvenuta

il 15 dicembre 1859.

Cuneo. Vacante per la morte di Monsignor Fr, Clemente Manzini di S. Teresa, avvenuta in Genova il 31 di marzo del 1865, in seguito ad una violenta malattia di cuore.

Diocesi Di Liguria E Isola Di Sardegna.

Luni-Sarsana e Brugnato. Vacante per la morte di Monsignor Francesco Agnini, avvenuta addì 8 marzo 1853.

Cagliari. Monsignor Marongiu-Nurra è esiliato in Roma fin dal 1850, e spogliato di tutti i suoi beni.

Oristano. L'Arcivescovado è? vacaste fin dal 1860.

Ampitrias e tempio. il Vescovado è vacante dal'1854.

Castelly-Nuoro. Il Vescovado è vacante dal 1857.

Ogliastra. Il Vescovado è vacante dal 1853.

Basa. Il Vescovado è vacante dal 1845.

Bisaroio. Il Vescovado è vacante dal 1847.

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Sassari. L'Arcivescovo Monsignor Alessandro Domenico Varesini è morto a Quargento in Piemonte addì 22 di settembre 1861. Egli avea raccolto i primi frutti della libertà negli Stati Sardi, essendo stato condannato fin dal 1850 ad un mese di prigione per avere protestato contro le leggi Siccardi che abolivano il foro ecclesiastico.

Alghero. Monsignor Pietro Raffaele Arduino è morto il 12 di novembre del 1863, epperò la Diocesi è vacante.

N. B. Delle undici diocesi della vasta Isola di Sardegna, otto sono vacanti, ed una, quella di Cagliari, è priva del suo Arcivescovo condannato da quattordici anni all'esilio: sicché in tutta l'Isola non si trovano che due soli Vescovi, il Vescovo d'Ales e Terralba Monsignor Pietro Vargiu, nato il 19 di ottobre del. 1792, e il Vescovo d'Iglesias, Monsignor Giovanni Battigia Montisi, nato il 17 febbraio del 1792. Non più amministrazione della sacra Confermazione, non più sacre Ordinazioni, non più visite pastorali. Dove però non sono che due Vescovi, trovansi due prefetti, e sette sotto-prefetti. Non premono al Governo i bisogni religiosi della popolazione, magli sta molto a cuore di poterla dirigere coi suoi rappresentanti, e squattrinare co’ suoi esattori.

DIOCESI DI LOMBARDIA.

Milano. Monsignor Paolo Ballerini fn preconizzato Arcivescovo il 20 giugno 1859, ma non poté finora prendere possesso. Monsignor Caccia, vicario capitolare, è esule a Monza, e nel gennaio del 1864 fu costretto di recarsi in Torino ad audiendum verbum dal Ministero. E di questo si scandalizzò la stessa Opinione (Né del 15 gennaio 1864).

Brescia. Monsignor Vèrzeri dovette subire molte persecuzioni.

Bergamo. Monsignor Speranza fu insultato, perseguitato, denigrato perfino nel Senato del Regno e nella Camera dei Deputati.

Pavia. Monsignor Pier Maria Ferrò fu traslato da Crema a Pavia il 20 giugno del 1859, ma finora non poté ancora prendere possesso della sua nuova sede

DIOCESI PARMENSI.

Borgo S. Domino. Monsignor Francesco conte Benazzi fu preconizzato Vescovo fin dal 20 di giugno del 1859, ma nel 1865 non avea ancora potuto prendere possesso della sua Diocesi.

Parma. Monsignor Cantimorri fu espulso dalla sua sede dove è presentemente ritornato. Patì processi e soffrì contumelie nella Camera dei deputati, massime nella tornata del 2 di marzo 1863 (Vedi Atti ufficiali della Camera, N. 1054, pag. 4097).

Piacenza. Monsignor Ranza venne processato, incarcerato, tradotto a viva forza in Torino, e condannato per non aver voluto cantare h Te Deum nella festa della Rivoluzione italiana.

DIOCESI MODENESI.

Modena. Monsignor Cugini Francesco Emilio fu spesse volte insultato, e denunziato il suo Vicario Generale per aver negato la licenza di celebrare ad un membro dell'Economato.

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Carpi. Monsignor Cattani Gaetano fu processato per non aver voluto cantare il Te Deum nella festa della Rivoluzione italiana.

Guastatici. Monsignor Pietro Rota è da più anni esule dalla sua sede, e venne condannato in contumacia per una sua pastorale. La città di Guastalla è invasa e tormentata dagli empii, dai protestanti e dai rivoltosi.

DIOCESI TOSCANE.

Firenze. Monsignor Umberti Gioachino fu pubblicamente insultato, mentre

portava in processione il SS. Sacramento.

Pisa. Il Cardinale Cosimo Corsi fu arrestato nel 1860, e senza processo, senza giudizio tradotto in Torino, dove fu sostenuto in prigione per oltre quaranta giorni.

Arazzo (vacante).

Siena. Monsignor Badaluzzi Ferdinando dovette richiamarsi parecchie volte ed inutilmente contro le angherie del governo.

Fiesole. (vacante).

Grosseto. (vacante).

Livorno (vacante).

Pistoia e Prato (vacante).

Sovana e Pitigliano (vacante).

Modigliana (vacante). Monsignor Mario Melimi moriva il 9 marzo del 1865, e si toglieva il batocchio alle campane perché non ne annunziassero la morte! Monsignor Mellini fu il primo Vescovo della città di Modigliana, che ebbe l'onore della Cattedra episcopale dalla Santità di Pio IX.

DIOCESI PONTIFICIE.

Bologna. Il Cardinale Arcivescovo Viale Prelà morì di crepacuore; il suo Vicario Generale fu processato e condannato; il Vicario Capitolare Monsignor Canzi è oggidì prigioniero a Pallenza. Il 21 dicembre 1863 fu preconizzato Arcivescovo di Bologna il Cardinale Filippo Maria Guidi, ma non può prendere possesso della sua sede.

Faenza. Monsignor Folicaldi fu processato e condannato per non aver voluto cantare il Te Deum.

Ravenna. All'Arcivescovato di Ravenna fu promosso dalla Chiesa di Cesena, fin dal 28 di marzo 1860, l'eminentissima signor Cardinale Enrico Orfei; ma finora non poté prendere possesso della sua nuova sede.

Cesena. Monsignor Vincenzo Moretti fu trasferito da; Comacchio a Cesena fin dal 23 marzo 1860; ma ristabilito l'ordine morale Sa quelle contrade non potò ancora prendere possesso.

Cornacchia. Monsignor Fedele Buffarmi fu trasferito a Comacchia il 23 marza 1860; ma non potò prendere possesso.

Cervia (vacante).

Imola. Il Cardinale Baluffi fu processato e incarcerato per non avere voluto cantare il Te Deum.

Rimini. A questa sede Pio IX il 21 dicembre 1863 trasferì Monsignor Luigi Clementi, che non poté da due anni prendere possesso.

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Fermo. Il Cardinale De Angelis fu arrestato il 28 di settembre del 1860 per or dine del Generale Fami, e tradotto sotto scorta militare giunge a Torino il 4 del susseguente ottobre, assegnandogli a dimora la Casa dei signori della Missione. Nel gennaio del 1861, ossia circa quattro mesi dopo il suo arresto, il Commissario delle Marche, Valerio, appose sequestro ai beni della Mensa Arcivescovile e a tutte le proprietà particolari del Cardinale, nominando in Amministratore degli uni e delle altre il Sotto-Economo de Benefici vacanti nel Circondario di Fermo. Quale fosse la causa che provocò la carcerazione e il sequestro, non si conobbe mai, il Conte di Cavour soltanto accennò sulle prime esser effetto di una misura di precauzione, la quale dovea cessare dopo introdotto nelle Marche l'ordine morale. L'arcivescovo fu atrocemente insidiato, vituperato e calunniato dai fogli ministeriali, ed egli imitando il silenzio del Divin Salvatore si tacque sempre. Parlarono per esso, oltre i giornali cattolici, i suoi amati diocesani or col prenderne aperta difesa, or con l'invio a Torino di ripetute Deputazioni, ed ora con frequenti e preziosi doni. Nel maggio del 1862 un Deputato si richiamò in Parlamento dell'ingiusto ed illegale trattamento fatto al Cardinale di Fermo, e il Guardasigilli, vinto l'imbarazzo della prima domanda, il giorno appresso dichiarò che il Cardinale era libero di andare dovunque. Avvertito poté che l'Arcivescovo voleva tornare alla sua Diocesi, gli se ne fece formale divieto, e corre già il quinto anno, da che rimane chiuso in quella Casa ove una forza brutale lo condusse.

Ancona. Il Cardinale Antonucci fu arrestato e rilegato in un suo casino di campagna, affinché Lorenzo Valerio potesse stabilire l'ordine morale nelle Marche.

Cagli e Pergola. Monsignor Bonifacio Caiani fu malmenato, perquisito, angariato. Il Vescovo-è morto e la sede è vacante.

Fano. Monsignor Vespasiani Filippo fu processato o incarcerato il giovedì santo.

Fossombrone. Monsignor Fratellini fu processato per aver risposto alla circolare del Guardasigilli Miglietti, piena zeppa d'insulti contro l'Episcopato. (Vedi questa circolare nel 1 volume della 1 serie delle Memorie, pag. 292).

Jesi. Il Cardinale Moricchini venne rilegato a Foligno per poter stabilire l'ordine morale nella sua diocesi. Poi nel 1861 fu imprigionato in Ancona, perché un canonico della sua cattedrale non volle confessare un giudice di mandamento!

Loreto e Recanati. Vacante, perché il Vescovo morì di crepacuore a Bologna. Il 21 dicembre del 1863 la Santità di Pio IX trasferiva Monsignor Giuseppe Curdoni dalla sede di Caristo in partibus a quella di Loreto e Recanati, ma il nuovo Vescovo non poté prendere possesso, opponendovisi il Governo della libera Chiesa in libero Stato.

Osimo e Cingoli. Vacante, perché il Vescovo morì di crepacuore. A questa sede la Santità di Pio IX trasferiva, 5121 dicembre 1863, Monsignor Salvatore dei Marchesi Nobili-Vitelleschi, Arcivescovo di Seleucia in partibus, ma come i suoi colleghi, l'illustre Arcivescovo, alla fine di marzo del 1865, nonavea potuto ancora prendere possesso per opposizione del Governo.

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Pesaro. Monsignor Farez Clemente fu processato come la maggior parte de’ suoi colleghi.

Ripatranzone. È Vescovo Monsignor Alessandro Spoglia preconizzato il 23 di marzo del 1860; ma il Calendario generale del Regno d'Italia non vuole riconoscerlo, e mette la Diocesi vacante.

Montefeltro. Il Calendario del Regno d'Italia non vuole riconoscere per Vescovo Monsignor Luigi Mariotti preconizzato il 23 marzo del 1860.

Sinigaglia. Il Cardinale Luciardi fu a sua volta bistratta to e processato. È morto e la sede è vacante. .

Amelia. Monsignor Pace Nicola, espulso e perseguitato, morì a Roma di crepacuore.

Orvieto. Monsignor Vespignani fu processato e messo hi carcere per aver nominato il Sovrano Pontefice. È morto e la sua sede è vacante.

Perugia. Il Cardinale Pecci fu insultato e processato.

Nocera. A questa sede vacante fu preconizzato, fin dal 21 dicembre 1863, Monsignor Anton Maria Pettinari, il quale, nel marzo dei 1865, non avea potuto ancora prendere possesso.

Città di Castello. Fu preconizzato a questa sede fin dal 21 dicembre 1863 Monsignor Paolo Micaleff, ma alla fine di marzo 1865 non avea ancora potuto prendere possesso.

Macerata (vacante). Monsignor Zangari mori di dolore nel maggio del 1864.

DIOCESI DELLE DUE SICILIE.

Acerenza e Matera. Monsignor Rossini Cadano fu cacciato dalla sua Diocesi, e dovette fuggire a Napoli.

Amalfi. Monsignor Domenico Ventura morì o Napoli in seguito a morti patimenti.

BArt. Monsignor Francesco Pedicini è esule dalla sua Diocesi.

Benevento. Il Cardinale Carafa di Traetto è esule a Roma.

Brindisi. Monsignor Raffaele Ferrigno fu perseguitato ed espulso dalla Diocesi.

Chieti. Monsignor Luigi Maria De Marini è esulo dalla sua Diocesi.

Conza. Monsignor Gregorio De Luca fu due volte processato.

Gaeta. Monsignor Cammarota Filippo è esule a Roma.

Lanciano. Monsignor Giacomo De Vincentiis fu espulso dalla sua Diocesi.

Manfredonia. Monsignor Vincenzo Tagliatetela è esule dalla Diocesi.

Napoli. Il Cardinale Riario Sforza venne due volte espulso, ed è esule in Roma.

Reggio. Monsignor Ricciardi Mariano fu esule prima in Francia ed ora in Roma.

Rossano. Monsignor Pietro Cilento fu carcerato, poi espulso dalla Diocesi, ed ora trovasi a Napoli.

Salerno. Monsignor Salomone per non aver voluto secondare le pretensioni dei rivoluzionarii, questi gli aizzarono contro il popolaccio, o la notte seguente all'arrivo di Garibaldi in Napoli dovette fuggire travestito. — Riparò in Napoli.

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— Qui fu assalito da 30 ladri, che simulando essere guardie di pubblica sicurezza, preceduti da tamburi, invasero il suo alloggio, e legati l'Arcivescovo, col fratello sacerdote e cameriere, rapinarono tuttoché Vera di prezioso, fino la lingeria. — Di là dove riparar io luoghi diversi a campar la vita. — Ora si. trova in Napoli.

Sorrento, Monsignor Saverio Apuzzo fu carceralo, poi esiliato in Francia; ora trovasi in Roma.

Taranto. Monsignor Giuseppe Rotondo fu espulso dalla sua, Diocesi. È un anno e poco più, da che fece ritorno nella sua Diocesi; ove ha sull'erto novelle persecuzioni.

Trani. Monsignor Biancbi-Dotlola fu espulso dalla mariqaglia prezzolata, e visse nascosto perché minacciato d'arresto.

Acerra. Monsignor Gennaro Romano venne espulso dalla sua Diocesi. È morto e la sede trovasi vacante.

Andria. Monsignor Longobardi Giovanni Giuseppe è esule dalla sua Diocesi.

Anglona e Twsi. Monsignor Acciardi Gennaro fu carcerato, e non gli permisero di farsi trasportare in prigione il proprio letto, ora è esule dalla Diocesi.

Aquila. Monsignor Filippi Luigi è esule in Roma.

Aquino, Pontecorvo e Sora. Mons. Giuseppe Montieri esule in Roma. È morto e la sede trovasi vacante.

Ariano (vacante).

Ascoli e Cerignola. Monsignor Todisco Grande Leonardo venne espulso dalla sua Diocesi.

Ari-nino. Monsignor Francesco Gallo fu arrestato dal Generale Tuppeti addì 22 febbraio 1861 e fu deportato da un capitano dei Carabinieri in Torino, ove tuttora si trova. Si fa notare che la spesa occorsa pel viaggio da Napoli a Livorno (di più centinaia dì ducati, ossia L. 1300!) fu prelevata dalla mensa, e dovette proprio pagare la spesa di viaggio da Livorno a Torino).

Aversa. Monsignor Zelo Domenico si vide in vaso e manomesso l'Episcopio, e fu espulso due volte.

Bitonto e Ruvo. Monsignor Materozzi Vincenzo fu espulso dalla sua Diocesi.

Boiano (vacante).

Bava. Monsignor Di Audrea Dalmazio fu espulso dalla sua Diocesi.

Bovino. Monsignor Montuoro Giovanni morì in esilio a Roma di crepacuore.

Caiazzo. Monsignor Luigi Riccio venne espulso dalla sua Diocesi.

Calvi e Teano. Monsignor Bartolomeo D'Avanzo fu traslato in questa. Diocesi da quella di Castellaneta il 13 luglio del 1860; ma non poté mai recarvisi a prenderne possesso. Per giunta fu cacciato a fucilate da Castellaneta, ove era Vescovo e venne colpito; ma per grazia speciale non ebbe gran male.

Caserta. Monsignor de’ marchesi De Rossi venne espulso dalla propria Diocesi.

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Castellammare. Monsignor Petagna Francesco è esule in Francia.

Catanzaro. Monsignor De Franco Raffaele venne espulso dalla propria Diocesi.

Cerreto. Monsignor Sodo Luigi venne espulso dalla propria Diocesi.

Cotrone. Monsignor La Terza Luigi fu espulso dalla propria Diocesi.

Foggia. Monsignor Frascolla Bernardino Maria fu espulso dalla propria Diocesi,

e gettato in prigione, poi ritenuto in Como a domicilio coatto.

Gerace (vacante).

Gravina e Montepeloso. Monsignor Cappetta Alfonso Maria fu espulso dalla sua

Diocesi.

Ischia. Monsignor Romano Felice fu espulso dalla propria Diocesi, ma poi vi poté ritornare.

Isernia e Venafro (vacante).

Lacedonia. Monsignor Majorsini Francesco fu espulso dalla propria Diocesi.

Morsico Nuovo e Potenza. Monsignor Pieramico Michelangelo, espulsi dalla propria Diocesi, morì di stenti e di crepacuore.

Melfi e Rapolla. Monsignor Sellini Ignazio fu espulso dalla propria Diocesi.

Mileto. Monsignor Mingione Filippo fu espulso dalla propria Diocesi.

Molfetta, Giovenazzo e Terlizzi. Monsignor Guida Nicola venne espulso, dalla sua Diocesi. È morto e la sede trovasi vacante.

Muro. Monsignor Fr. Francesco Saverio d'Ambrosio da Sant'Erasmo venne, espulso dalla sua Diocesi.

Nardò. Monsignor Luigi Vetta fu espulso dalla Diocesi. —Si ebbe poi deputazioni dai suoi diocesani, ed ora Monsignor Luigi Vetta si trova in residenza, non senza aver sofferto e soffrire presentemente continue amarezze.

Nicastro. Monsignor Barberi Giacinto Maria fu espulso dalla propria Diocesi.

Nìcotera e Tropea. Monsignor De Simone Filippo fu espulso dalla propria Diocesi.

Nola. Monsignor Formisano Giuseppe In espulso dalla propria Diocesi.

Oria. Monsignor Margarita Luigi venne espulso dalla sua Diocesi, e benché ancora vivente, fu sostituito da un Vicario Capitolare creato per ordine del

Policastro. (vacante).

Sant'Agata dei Goti. Monsignor Lettieri Francesco Paolo fu espulso dalla propria Diocesi dove poi fece ritorno.

Sanza. Monsignor Girardi Francesco è esule in Genova.

Teramo. Monsignor Milella Michele è esule in Genova.

Termoli. Monsignor Bisceglia Vincenzo venne espulso dalla sua Diocesi.

Troja. Monsignor Passerò Tommaso venne espulso dalla sua Diocesi.

Vallo. Monsignor Siciliani Giovanni espulso dalla propria Diocesi, fu carcerato per più mesi in Napoli.

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Gallipoli. Il Calendario del regno d'Italia omette totalmente la Diocesi di Gallipoli. Noi riparando a tale omissione, diremo che il suo Vescovo Monsignor Laspro venne anch'egli espulso dalla propria sede.

Messina (vacante).

Catania (vacante).

APPENDICE SULLE DIOCESI NAPOLETANE

Aggiungiamo alla precedente statistica alcune notizie sui patimenti del Clero nelle Diocesi del reame di Napoli, notizie che ci vennero trasmesse da quella città sotto la data del 18 di marzo 1863.

1° L'operoso e generosissimo Cardinale Riario, Arcivescovo di Napoli, si udì intimato l'arresto e l'esilio dal deputato sciagurato Vescovo d' Ariano, cui Dio speriamo abbia perdonato, e da quel mostro di V. Pantaleo, e costretto a riparare prima a Marsiglia, e poi a Roma, fu poi richiamato nella sua sede dal governo. Festeggiato il suo ritorno in diocesi con ovazioni, chela penna non saprebbe delineare, e rimastovi alcuni mesi, dopo una prudentissima condotta, che neppure dal nemico governo poté appuntarsi, fu obbligato nuovamente ad esulare, ed ora trovasi nella capitale, non d'Italia, ma dc l mondo cattolico, a dispetto degli empii.

2° Monsignor Apuzzo, Arcivescovo, pia, dotto ed operoso, di Sorrento, dopo visita domiciliare nell'Episcopio, tradotto in prigione in Napoli, prima alla Prefettura, poi alla Concordia, ebbe a grazia di poter esulare, prima in Marsiglia, d'onde poi si trasferì in Roma.

3° L'instancabile, dotto, santo, e generoso Monsignor Ricciardi, Arcivescovo di Reggio di Calabria, dopo di avere sofferto le più orrende persecuzioni, fu esiliato dalla sua arcidiocesi, che lo adora, e riparava prima a Marsiglia, d'onde poi poté recarsi in Roma.

4° Il santo e zelante Vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo, Monsignor Montieri, accusato ingiustamente di essere un po' rigoroso, ma amato anche dai tristi, i quali non potevano non confessare i loro torti, e la generosità del Prelato, dopo i più cattivi trattamenti, e di avere per miracolo evitato la morte, si rifugiò in Roma, dove morì nella povertà, ma nell'esercizio delle più eroiche virtù.

5° Monsignor Saladino, Vescovo di Isernia e Venafro, il quale per sapere, per zelo e per dolcezza poteva rassomigliarsi al Sales e colla sua operosità aveva quasi rigenerate le sue due diocesi ed era amato da tutti, ebbe a miracolo di evitare la morie, che andò ad incontrare in Roma, dove fini i suoi giorni veramente da Santo.

6° Monsignor Montuori, Vescovo di Bovino, uomo di non volgari talenti, di una pietà rara e di una dolcezza di maniere mista a naturale gravità, avendo dovuto trafugarsi dalla diocesi travestito da villico, dovette tenersi nascosto prima in Napoli, dove fu processato, poi fuggI in Roma, e morì di disagi e tristezza in un luogo dei pontificii dominii, dove disimpegnava un ufficio affidatogli dal Papa.

7° Il santo, dotto ed operoso Vescovo di Aquila Monsignor Filippi, dopo te più gravi persecuzioni e maltrattamenti, prese stanza in Roma, dove non cessa di operare per la gloria di Dio.

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8° Monsignor Gallo, piissimo e generoso Vescovo di Avellino, dopo persecuzioni, carceri e patimenti, sta esiliato a Torino, dove da anni soffre in pace.

9° Monsignor Girardi pio ed esemplare Vescovo di Sessa, dopo di essersi tenuto chiuso per varii mesi tra i signori della Missione, suoi confratelli, fa arrestato, tradotto nelle carceri di S. Francesco, donde poi fu esiliato a Genova, dove si trova attualmente.

10. Il dotto, e operoso Monsignor Francesco Petagna, Vescovo di Castellamare, fu obbligato dalla persecuzione a riparare in Francia di celato, dove ora è costretto a vivere col sudore di sua fronte, facendo da maestro di scuola.

11. Il dotto, piissimo ed infaticabile Monsignor Acciardi, Vescovo d'Anglona e Tursi, fu arrestato per la prima volta e tradotto alle carceri della Concordia, dove fu tenuto per presso ad un mese: quindi scarcerato, perché nulla vi era di incriminabile in lui, fu assoggettato a varie visite domiciliari e ad altre angarie. In seguito ai 6 gennaio 1863 imprigionato di bel nuovo e ritenuto nella stessa prigione della Concordia, ne fu poi liberato, ma con obbligo di andare in esilio a Sorrento. Quivi il buon Prelato costretto a non potere esercitare nemmeno il ministero episcopale e sacerdotale, e quasi espulso dal convento, dove aveva preso stanza, per opera di qualche frate della risma di Fr. Pantaleo, fu per ordine del governo esiliato nel villaggio di Marano, dove mena ora vita dì tristezza per la inoperosità e di privazioni.

12. Il dotto, pio e zelante Vescovo di Capaccio-Vallo, Monsignor Siciliano, venne arrestato e tradotto nelle prigioni di S. Francesco, dove fu sostenuto per circa un mese ed alimentato dalla generosità di buoni cattolici, per essere egli un frate conventuale recentemente promosso al vescovado; e quindi senza mezzi, uscito di prigione, ha dovuto riparare in un convento fuori di città, dove mena vita nascosta, povera e disagiata.

13. Il piissimo e zelantissimo Vescovo di Ceretta, Mons. Sodo, nei giorno della Epifania (1863) veniva tradotto in carcere alla Concordia, dove è stato trattenuto per circa un mese e mezzo. Dopo qualche giorno ne fu stato liberato provvisoriamente, die«ro guarentigia di cinquecento lire, che vanno in saeculum pertusum. Egli era imputato di cospirazione e di idee enti-unitarie III Basta solo mirare in volto quel Vescovo per formarsi una idea della sua santità, ed assicurarsi che egli, anche volendolo non saprebbe cospirate.

14. Monsignor Pedicini, ottimo Arci vescovo di Bari, anche Imprigionato nella sua patria, è stato poi liberato, per quanto ci viene riferito.

15. Nulla diciamo del dotto, pio e generoso Vescovo di Foggia, Monsignor Frascolla, carcerato e condannato; nulla di Monsignor Grande, Arcivescovo di Otranto; nulla di Monsignor Vetta, Vescovo di Nardo, anche condannati a carcere ed a multa. Nulla di Monsignor Maresca, vicario generale di Napoli, carcerato nel Castello dell'Ovo, e morto pochi giorni dopo la sua liberazione, in seguito di malattia contratta pei disagi della prigionia. Nulla dei tanti processi aperti contro l'attuale vicario di Napoli, Mons. Tipaldi.

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Nulla delle carcerazioni del pio canonico penitenziere di Napoli, Pica, dei sacerdoti D. Gennaro Trama, promotor fiscale della Curia di Napoli, del 'parroco Mancinelli, del parroco di Angelo, del sacerdote don Giuseppe Pelella e di altri immensi. Nulla delle visite domiciliari e delle vessazioni sofferte da prelati, da parrochi, da sacerdoti del clero secolare e regolare.

16. Monsignor Salomone, pio, dotto e benemerito Arcivescovo di Salerno, fu uno dei primi sette Prelati cacciati contemporaneamente dalle loro diocesi in conseguenza di barbaro motto fattone precorrere dalla rivoluzione: Fuori i Vescovi! Egli riparò prima in un angolo della sua archidiocesi, indi in Napoli, dove si ebbe perquisizioni e vessazioni di ogni fatta. Finalmente rifiutato dai suoi ospiti, i quali si vedevano minacciati per sua cagione, si raccolse in Avellino, dove piange sulle rovine della sua greggia, senza potervi rientrare.

47. Monsignor Zelo, operoso e zelante Vescovo d'Aversa, dopo ripetuti assalti alla rocca della sua coscienza, respinti con foraggio pastorale, dopo lunghe e minute perquisizioni domiciliari, nelle quali mai nulla fu trovato meritevole di processo, e dopo replicate turpitudini consumate a sfregio della sua persona, fu ignominiosamente cacciatostatistica di città ira le incomposte grida del popolaccio aizzato a disegno contro di lui. L'espulso Prelato ricoverassi in Napoli, dove si trova sotto processo per aver negato l'ordinazione ad un indegno, e vive lontano dal gregge, di cui è padre e pastore.

18. Monsignor Ricci, Vescovo di Cajazzo, fu aggredito nei penetrali della casa vescovile, spogliato di quanto avea, anche di pertinenza della sua famiglia colà rifugiata da Napoli, fu cacciato a mezzo svenuto lasciato fuori di città. Riavutosi pei soccorsi ricevuti dai Cappuccini del vicino convento, presso cui fu condotto, essendogli preclusa ogni altra via, prese quella di Gaeta, indi recossi in Napoli, dove vive tuttora in doloroso esilio dalla sua diocesi.

19. Monsignor D'Ambrosio, Min. Cappuccino instancabile Vescovo di Muro, fu un altro dei sette accennati nel num. 16. Ai replicati rifiuti da lui dati, alle pretese della rivoluzione venne violentemente privato delle persone che lo aiutavano nel governo della sua diocesi: indi tenuto a vista nell'Episcopio perché nessuno lo avvicinasse, pena disastri di ogni fatta: finalmente fu fatto segno ad assalti violenti anche notturni per farne vacillare la fermezza. Scoperto irremovibile, fu obbligato ad uscir di notte dalla città e dalla diocesi, e riparare in Sorrento, dove ora trovasi spogliato bensì di tutto, ma non del suo zelo ch'esercita indefesso in servizio di quella archidiocesi.

20. Monsignor Formisano, benemerito Vescovo di Nola, fu ignominiosamente; cacciato dalla città e diocesi per roano di abietta canaglia, che, lo affogava nelle contumelie; gli fu bruciata la Cattedrale, profanato l'Episcopio, e convertito in caserma militare. Il ramingo prelato si salvò in Napoli presso i P.P. della Missione, donde fu poi congedato insieme ad altri confratelli quivi ricoverati, perché tale riunione metteva la tremerella alla Questura. Al presente egli è in casa privata nella stessa Napoli, proibito però di ritornare al suo gregge.

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21. Monsignor D'Avanzo Vescovo di Calvi e Teano, uomo rinomato pel suo sapere, pietà e zelo, nell'uscire, da Castellaneta, sua prima diocesi, e muover verso Calvi, nuova diocesi, a lui assegnata da Pio IX, si ebbe dalla rivoluzione, due fucilate, i cui proiettili lo colpirono nel fianco, nel braccio e nel petto. Non senza visibile protezione del cielo il terzo proiettile, che dovea freddarlo, cadde, sulla croce pettorale, ne svoltò alquanto la cima, ed arrestossi sul sacro scapolare del Carmine, sottoposto a tutti i vestiti del prelato. Guarito nel fianco e nel braccio Monsignor D'Avanzo si ebbe in compenso tre processi in conseguenza di denunzie false o di pastorali empiamente interpretate, il cui esito menò sempre alla conclusione — Non esservi luogo a procedimento — Egli andò ramingo in Napoli, poi in Sorrento, indi in Avella, dove trovasi obbligato a non accedere alla sua diocesi.

22. Monsignor Laspro, Vescovo di Gallipoli, dovette anch'egli uscire dalla sua diocesi, e così mettere in salvo la sua esistenza. Ricoverato in Balvano, sua patria, dovette ben presto sloggiarne, perché perseguitato dai rivoluzionaci, e Cercare asilo in Napoli, dove ora vive sconosciuto ed esiliato dalla sua diocesi.

23. D. Raffaele teologo Maresca, vicario generale di Sorrento, poco dopo l'esilio del suo Arcivescovo, fu obbligato ad esulare anch'egli, e trovasi in Londra, da più di 2 anni, dove vive facendo la scuola, e servendo in spiritualibus un monastero di Monache. — II suo successore nella carica di Vicario D. Giuseppe canonico Guida si ebbe l'onore di essere arrestato contemporaneamente ad altri 24 ecclesiastici della stessa diocesi, e tutti dovettero la loro liberazione ad un inglese; il quale commosso dalla brutalità dell'atto e dal terrore incusso alle popolazioni, presentossi al proconsole Cialdini, chiedendogli in nome dell'umanità o il regolare processo (che non potea farsi) o la immediata libertà degli arrestati.

Napoli, 18 marzo 1863.

Devot. mo ed Obbl. mo

D. Dolce.

IL VESCOVO D'AVELLINO IN TORINO

E SULL'EMANCIPAZIONE DEI VESCOVI

(Pubblicato il 12 marzo 1861).

È giunto in Torino, sotto buona scorta, l'illustre Monsignor Francesco Gallo, Vescovo d'Avellino, arrestato in Napoli il 24 di febbraio, e trascinato al tribunale di Cavour e di Cassinis. Egli trovasi nella Casa dei Signori della Missione, dove sta da sei mesi il grande, virtuoso, pazientissimo Cardinale De Angelis, Arcivescovo di Fermo. Monsignor d'Avellino continua quella nobilissima serie di vittime fatte dalla rivoluzione, e il suo nome resterà nei dittici della Chiesa con quelli del Cardinale di Pisa, del Vescovo di Piacenza, e di tanti altri illustri Prelati, Arcivescovi e Vescovi processati, bistrattati, incatenati in nome della libertà.

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Speriamo che i cattolici di Torino si recheranno a fare omaggio a Monsignor Gallo, come già praticarono cogli altri illustri prigionieri giunti nella nostra Capitale. Monsignore patì assai il lungo e faticoso viaggio, ma la grazia di Dio lo sostenne, lo sostiene e lo sosterrà, e satis suaviter equitat quem gratta Dei pentat.

Quando noi tornammo ieri dal visitare il Vescovo d'Avellino, ci avvenne un caso singolare. Messa la mano in certi nostri opuscoli, elio conserviamo pei presenti bisogni, ne esci uno tutto al caso nostro. Era un'operetta pubblicata a Firenze nel 1848 da Massimo d'Azeglio, col titolo Sull'emancipazione civile degli israeliti. E gettativi sopra gli occhi, chiedemmo: E perché Massimo d'Azeglio non pubblica oggidì un nuovo volume intitolato dell'emancipazione religiosa dei Vescovi?

Oh i Vescovi sono, a' giorni nostri, trattati assai peggio degli ebrei! Prima del 1848 nessuno imponeva agli ebrei di operare contro la loro coscienza e di riconoscere il Messia. Eppure, perché non erano ammessi a tutti i diritti civili, Massimo d'Azeglio-ne sentiva grande compassione! Noi cristiani scriveva il d'Azeglio, che ci travagliamo onde ottener giustizia per noi, rendiamola agli Uri; e non tormentiamo gli Israeliti, come non vorremmo essere noi tormentati ed oppressi».

Perché il nostro Massimo non indirizza oggidì simili parole a Cavour e a Cassinis? Perché non dice loro: «Non tormentiamo il Cardinale Arcivescovo di Fermo e il Vescovo d'Avellino, come non vorremmo noi essere tormentati ed oppressi?»

Massimo d'Azeglio scriveva per epigrafe al suo libro due dimando e due risposte della Dottrina Cristiana della diocesi di Torino, nelle quali dicevasi che tutti gli uomini del mondo sono nostro prossimo, e che dobbiamo amarli, perché Dio ce lo comanda. Quindi emancipare gli ebrei. .

Ma questo argomento non può servire anche pei Vescovi, per gli Arcivescovi e pei Cardinali? Non sono essi nostro prossimo? E come li ama il giornalismo, come li amano i Cavour ed i Cassinis?

A chi sorridendo m'interrogasse, dicea Massimo d'Azeglio, se io intendo di fare il Catechismo pei fanciulli; io risponderci, che se mi bastassero le forze vorrei non tanto far questo, quanto trovar modo onde quel Catechismo che gli uomini appresero quando erano fanciulli, lo rammentassero talvolta allorché, fatti adulti, vien loro data podestà di promulgar leggi e farle eseguire.

Suvvia, Massimo d'Azeglio, fatevi animo, pigliate il vostro Catechismo, e recatevi nel gabinetto del conte di Cavour per ricordarglielo. Ricordategli chi è il Papa, ricordategli che i Vescovi sono il nostro prossimo, ricordategli che bisogna rispettare la roba d'altri, ricordategli che bisogna onorare il Padre e la Madre per vivere lungamente su questa terra; che la nostra Madre è la Chiesa; il nostro Padre è il Romano Pontefice, ricordategli il non ammazzare; il non dire falso testimonio, e sopratutto quel grande principio, non fare ad altri ciò che non vorremmo che fosse fatto a noi; principio che saggiamente nel 1848 proponevate come cardine della politica cristiana.

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Col Catechismo alla mano dite, signor d'Azeglio, all'onorevole conte di Cavour; — Vorreste voi che vi spogliassero? — No. — E perché avete spogliato il Re di Napoli? — Vorreste che vi uccidessero? — No. — E perché avete fatto uccidere i soldati del Papa? — Vorreste che vi tradissero? — No. — E perché avete tradito i legati napoletani? — Vorreste che v'imprigionassero? —No. — E perché imprigionaste il Cardinale Arcivescovo di Fermo e il Vescovo d'Avellino?

E Massimo d'Azeglio potrebbe dir questo al conte di Cavour dinanzi al Senato del Regno, giacché la lezione di Catechismo riuscirebbe utile anche ai Senatori, e conchiudere poi il suo discorso con una proposta di legge sull'emancipazione religiosa dei Vescovi, proposta che si potrebbe formulare coi seguenti articoli:

Art. 1. Si dichiarano i Vescovi emancipati dalla volontà del Ministero.

Art. 2. I Vescovi sono liberi di obbedire al Papa ed alle leggi dulia Chiesa.

Art. 3. Como non si obbligano gli ebrei ad andare a Messa così non si obbligheranno i Vescovi a cantare Te Deum contro la propria coscienza.

PROTESTA DEL VESCOVO D'AVELLINO

Monsignor Francesco Gallo, Vescovo d'Avellino, al momento del suo arresto scriveva e spediva la seguente bellissima protesta al signor Consigliere degli affari ecclesiastici in Napoli:

Signor Consigliere,

Napoli, li 24 febbraio 1861.

Le catene, l'esilio, la morte stessa non faranno mai obbliare ad un Vescovo della Chiesa cattolica quello che deve a Dio, ed alla sua dignità. Questa protesta da me fatta in risposta alle prime minacce direttemi nel dicembre ultimo da cotesto Dicastero, son lieto oggi di poter ripetere a lei nel momento di partire prigioniero ed esiliato per Torino. Contento di questa sorte, di che il Signore Dio mi fa degno, io porto meco la calma dell'innocenza, la intrepidezza della giustizia, e rassegnato corro sicuro ad incontrare quale sarà per essere il destino che mi è riservato. A non preterire però alcuno dei miei doveri, ed a smentire per quanto è da me ogni sinistra interpretazione, che potrebbe alterare la verità dell'accaduto che mi riguarda, io protesto novellamente contro quest'ultimo atto, che nel mio arresto lede ogni diritto di legalità e di giustizia, in onta dei sacri canoni e delle leggi della Chiesa.

L'ordine da lei comunicatomi, signor Consigliere, non dice altro se non che è volontà del Re e del suo Governo che io mi recassi sollecitamente in Torino per sentire la parola del Re. Era quindi necessario che pria mi fossi io negato a quell'onorevole invito, perché si avesse dritto di procedere al mio arresto.

Il di lei uffizio mi premurava ad affrettare la mia partenza; ma non dava alcun termine perentorio all'oggetto; mentre il sig. generale Tupputi mi intimava di partire nel momento, ed a grazia mi era concesso un giorno e poco più per provvedermi del più necessario per sì precipitosa partenza. Pare che non vi fosse stato bisogno di venire a questi estremi; anzi pare che mancasse ogni diritto per contestare una simile condotta.

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Appena mi veniva significato la prima volta, che il sullodato generale si travagliava da più giorni per iscoprire il luogo del mio ritiro, mi affrettai a fargli sentire che, risparmiandosi da ulteriore imbarazzo, mi avesse dato ora per ricevermi in casa sua, e di favorire in quella del Principe di Fondi, ove io mi trovava. Egli prescelse questa, dopo avere assicurato che la sua missione limitavasi a l'accomandarmi per parte del Governo una moderazione, sulla quale per altro io ho coscienza di non avere a rimproverarmi. Al primo incontro però il generale..... m'intimava l'arresto, e dopo mi comunicava il di lei uffizio, che da me venne pacatamente accolto.

Da sé il sig. generale proponeva quindi di venire ad una transazione, invitandomi a fare atto dì adesione al Governo; e quando alla proposta io mi esibivo pronto, qualora fosse espressa in termini da non compromettere la mia coscienza è i miei doveri verso Dio e la Chiesa; imperiosamente il generale mi rispondeva: — O adesione illimitata, o esilio: il Governo non deve venire a patti con voi altri Vescovi, e che non è più il tempo, nel quale i Re s'inchinavano dinanzi al Papa.

Dopa tale formale dichiarazione, sulla quale io non vengo a Care ulteriore riflessione, rimettendola al giudizio di Dio ed al buon senso di quanti ne avranno notizia, io sentii allora il dovere di rispondere, e quindi manifestare a lei, signor Consigliere, solennemente la stessa mia risposta, cioè che un Vescovo non può, né deve venire a patti con Dio e colla sua coscienza; che se deve ubbidienza alle autorità costituite, deve a tutte preferire l'autorità di Dio: che se i l!r si credono autorizzati a non più inchinarsi oggi innanzi «I Vicario di Gesti Cristo, per lo contrario i Vescovi si reputano onorati di prostrarsi ai Vice-Dio in terra, e baciare la polvere che egli calpesta: e che fino al loro fiato supremo sapranno affrontare eziandio la morte per rivendicare i sacri ed inviolabili diritti della Sede Apostolica, e preferire ad ogni riguardo -terreno l'obbedienza e soggezione alle leggi della Chiesa.

Sarà compiacente, sig. Consigliere, di trasmettere uftìzialmente a Torino questi miei sensi, che mi onoravo significarle; che colà io spero mi avvalori Dio colla sua grazia a sostenerli col fatto e colle voce, né smentirli mentre mi dura la vita.

Francesco Gallo, Vescovo di Avellino.

L'ESILIO DEI VESCOVI NAPOLETANI

E L'IPOCRISIA DEL MINISTERO

(Pubblicato il 3 luglio 1863)

Uno dei più eloquenti commentarii alla famigerata massima: Chiesa libera in libero Stato, si è lo stato in cui si trovano le diocesi delle provincie napoletane. Il così detto ministro dei culti dichiarava l'anno scorso che tra 65 Vescovi delle provincie meridionali, cinquantaquattro sono lontani dalle loro diocesi.

Se il governo avesse potuto, anche cercando col fuscellino, trovare qualche colpa da apporre ai Vescovi, per cui questi debbono vivere lontani dalle loro diocesi, non avrebbe mancato di farne pompa.

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Ma in tre anni dacché la libertà piemontese lavora ad annettere le provincie napoletano col bel esito che tutti sanno, non si è potuto scoprire un solo reato in uno dei 54 Vescovi esulanti dalle loro diocesi, per cui questo scandalo del governo potesse essere menomamente giustificato. Il Vescovo d'Avellino è sostenuto da tanti mesi in carcere, si pensò u, ili dal ministero di fargli il processo, o si poté almeno in modo estragiudiziale apporgli qualche colpa?

Non è a dire come questo fatto solo screditi il governo italiano presso gli stranieri. Coloro stessi che nutrono tutt'altro che tenerezza per il Cattolicismo 0 per l'Episcopato, condannano altamente quest'errore gravissimo del ministero, che per tal guisa si accatta odio e taccia di persecutore e di tiranno mentre affetta di essere apostolo e mantenitore di libertà e di tolleranza. I giornali stessi volterriani e protestanti di Francia, come il Sieele e il Tèmps, per tacere di altri meno ostili ai Cattolicismo, biasimarono questo modo di procedere del nostro governo.

Recentemente una Commissione parlamentare recossi in quelle provincie per indagare la cause del brigantaggio e i rimedi onde estirparlo. Ma dite un po' se i Commissari trovarono l'ombra sola di una cooperazione a quella tremenda sciagura del nostro paese nei Vescovi! Pensate se avrebbero serbato silenzio riguardo ad una scoperta così preziosa, se mai avessero potuto aver buono in mano, non diciamo di provare, ma di sospettare che i Vescovi, anzi che un Vescovo solo fosse complice dei briganti! Il silenzio dei commissari è una pruova splendida dell'innocenza dei Vescovi. E aggiungeremo che lo stesso vuoi dirsi di tutto il Clero di quelle provincie, giacché la Commissione se nulla avesse scoperto a carico di quegli ecclesiastici, non avrebbe certamente serbato il segreto.

Anzi si è annunziato dai giornali stessi ministeriali, che tra i rimedi suggeriti in confidenza ai ministri dai commissari per reprimere il brigantaggio, uno dei principali era quello di richiamare i Vescovi nelle loro diocesi. Di fatto è incontestato che uno dei motivi più potenti di avversione nei Meridionali contro il Piemonte si è la persecuzione contro i Vescovi. Quelle popolazioni sono ancora scevre e pure dall'influenza volterriana dei nostri rivoluzionari; e quindi stimano sopra ogni altra cosa la religione cattolica, e sono svisceratamente affezionati ai loro Vescovi, ai loro sacerdoti. Della qual cosa rendono testimonianza gli stessi giornali rivoluzionari, i quali fremono e arrabbiano, e bestemmiano, perché quei popoli sono ancora sepolti nella superstizione. Superstizione quanto vorrete: ma il fatto è che il popolo ama i suoi Vescovi, i suoi sacerdoti, e che Talleyrand direbbe: C'est plus qu'un crine e' est une faule quello di toccare un popolo nella parte più delicata!

Quale dunque è il motivo, per cui i Vescovi sono costretti ad esulare dalle loro diocesi? Si è che il governo o per impotenza, ovvero per connivenza lascia che quella mano di bricconi, che si trovano in ogni città, si rechino in mano il mestolo, e dispongano a loro talento della libertà, ed aneli. delle sostanze e delle vite dei cittadini. Que' tristi per prima cosa sfogano i loro rancori contro il Clero, e specialmente contro i Vescovi, contro cui aizzano e sguinzagliano la feccia della marmaglia a cui danno nome di popolo.

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I Vescovi si trovano nell'alternativa o di lasciare svillaneggiare ed insultare la loro dignità, che loro sta a cuore più. che la propria vita, ovvero essere occasione di lotte, e forse anche di spargimento di sangue; giacché il popolo vero, levandosi contro il popolo canaglia a difesa dei suoi Pastori, facilmente ai verrebbe a scene luttuose; massime in quei paesi, dove gli spiriti sono vivaci, e il sangue è bollente nelle vene.

L'enormità di questo scandalo fece onta persino al ministero: il quale pure in fatto d'onte non patisce scrupoli!

Quindi fece correre la voce che il guardasigilli aveva invitato i Vescovi esuli napoletani a ritornare alle proprie sedi, promettendo loro che avrebbe adoperato tutti i mezzi, affinchè non fossero più disturbati dalle sommosse popolari. Il Monitore, eccellente giornale di Napoli, avendo accolto quella notizia con piacere, . come è naturale, ricevette una lettera di Monsignor Laspro, Vescovo di Gallipoli, il quale smentisce quella diceria. Ecco la lettera dell'egregio Prelato.

Napoli, 25 giugno.

Egregio Signor Direttore,

Il suo pregiato giornale, in data del 24, riferisce da una corrispondenza torinese, che il ministro Guardasigilli ferisse: «Molli Vescovi esuli dalle loro diocesi, del Napoletano specialmente, pregandoli di ritornare alle proprie Sedi, e di riaprire i Seminari, al qual fine il signor Pisanelli prometteva di adoperare tutti i mezzi giusti e leciti, affinchè, ritornati al loro posto, come fece F Arcivescovo di Troni, in seguito all'invito ministeriale, non fossero disturbali dalla ciurmaglia rivoluzionaria.

Tralascio le saggio riflessioni soggiunte dal corrispondente; oltre le quali mi preme significarle, che una tale notizia è falsa, od almeno inesatta; e potrebbe confermare nell'errore, o nell'avversione quelli, i quali, sia di buona, sia di mala fede, si permettono di tacciare i Vescovi, quasichè fosse nel loro arbitrio il ritornare alle Diocesi, a cui si sentono legati per molti sacri vincoli di dovere e di affetto.

Il signor Guardasigilli non ha mai rivolto ai Vescovi siffatto invito, e, Io so certo, nemmeno al lodato Monsignor Arcivescovo di Trani. Gode invece dell'illegale sequestro apposto alle rendite delle loro Mense, e né una porzione sola delle medesime viene spesa per quel fine a cui la destinarono i pii benefattori e le leggi canoniche. Oh i miei poverelli! E in che mai si può dire di avere essi peccato contro l'Italia. per essere cosi defraudati del loro patrimonio?!!

La vera e principale causa della forzata assenza dei Vescovi, signor Direttore, è per non trovarsi tuttora abbandonati in balìa di pochi tristi, senza che il governo li guarentisca in quei diritti che qualsiasi governo crederebbesi obbligato di guarentire all'ultimo dei cittadini. Per qual cosa i Prelati incontrerebbero di nuovo la dura alternativa, o di vedere impunemente insultata la loro dignità più che la persona, o di mettere a rischio il vero popolo, che vorrebbe assumerne la difesa.

Intorno ai Seminari, è vero che il signor ministro, compreso dalle rimostranze dell'Episcopato napoletano, emanò la circolare del 20 di marzo passato; ma è vero altresì, che ci lascia ancora desiderarne il sincero adempimento.

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Piacciale, signor Direttore, ridurre la detta corrispondenza al senso della verità sopra espressa; gradisca per questo favore i miei distinti ringraziamenti.

Valerio, Vescovo di Gallipoli.

Da questa lettera veniamo a conoscere un'altra enormità del ministero. Esso sequestra i beni delle Mense dei Vescovi, costretti a vivere fuori di diocesi! Questo vuoi dire che il ministero fa comunella colla marmaglia; giacché questa caccia i Vescovi, e il ministero ne arraffa i beni! Che bella coppia!

E qui nuova fonte di mal umore nel popolo. I Vescovi, tolto il puro e pretto necessario al loro sostentamento, profondono il rimanente a favore dei poveri o colla limosina, o facendo lavorare al restauro delle chiese o per altra opera di beneficenza. Ora cacciati i Vescovi e sequestrati i loro beni, con cui s'impinguano i preti apostati, i frati sfratati, fannulloni, scandalosi, il popolo si rimane a denti asciutti. E non volete che imprechi ai Piemontesi?

Quanto è giusta e tenera l'esclamazione di Monsignor di Gallipoli: «Oh i miei poverelli 1 E in che mai si può dire di aver essi peccato contro l'Italia, per essere così defraudati del loro patrimonio!» Sì i beni dei Vescovi sono il patrimonio dei poveretti, come dicono i canoni (1), E quindi il signor Pisanelli, togliendo i beni ai 50 Vescovi che tiene lontani dalle loro diocesi, defrauda migliaia e migliaia di poveri del loro patrimonio! E pensiamo che benedizioni manderanno quei meschinelli contro il Piemonte! E il savio ci avverte che «l'imprecazione del povero, il quale amareggiato di cuore ti maledice, sarà esaudita, ed esaudirallo Colui che lo creò» (Eccles. , cap. IV, 6).

L'altra cosa che ci vini fatto conoscere dalla lettera di Monsignor di Gallipoli sicché il ministro dei culti diede buone parole e tristi fatti riguardo ai seminari, come accade sempre al ministero quando trattasi della Chiesa e dei suoi ministri. Allora il ministro aveva bisogno di farsi vedere ben disposto a favorire l'insegnamento teologico nei pubblici seminarle voleva persino prestar la mano ai Vescovi per aiutarli nell'esigere l'osservanza della disciplina ecclesiastica. Ma delle sue parole fece fango! È un'ipocrisia di più; e null'altro!

Insomma è inutile farsi illusione! i nostri ministri non sono mai di parola colla Chiesa che quando si tratta di vessarla. Non sono mai fermi che quando si tratta di tormentare i Vescovi, i preti, i frati! Continuano per anni ed anni a tenere esiliati i Vescovi, imprigionati i Cardinali. In questo anno una perseveranza mirabile! Ma se stringono un concordato, se fanno una promessa, se si esibiscono a compiere qualche atto di giustizia a favore dei preti, dei Vescovi, siate sicuri che ogni cosa si porta il vento.

(1) Molto opportunamente la Calzetta del Popolo del 2 luglio ci da la traduzione di una parte del capo xx, sezione xxv del Concilia di Trento: noi la riferiremo qui in servigio del signor Pisanelli. Eccola: «Il Sacro Sinodo ammonisce inoltre l'Imperatore, il Re, le Repubbliche, i Principi, e tutti i singoli d'ogni Stato e dignità siano, perché quanto più essi sono potenti e autorevoli, tanto più santamente venerino le cose spettanti al diritto ecclesiastico, come cose di Dio, e poste sotto il suo patrocinio, e non permettano ch'esse patiscano danno per colpa di baroni, vassalli, rettori od altri signori laici, di magistrati, e specialmente di ministri degli stessi Principi; ma attendono severamente contro coloro che impediscono la libertà del Clero, le sue immunità, e la sua giurisdizione. Siano essi (Imperatore e Re) esempio ai loro subalterni con la pietà, la religione, e la protezione della Chiesa, imitando i loro ottimi e religiosissimi antecessori, che aumentarono con la loro autorità e munificenza le cose della Chiesa, e vendicarono le offese fatte ad esse, ecc. ecc.».

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Gli incameratori nel 1861 occuparono nelle Marche e nell'Umbria cento ventidue monasteri, dispersero ottocento settantasette religiosi, e concentrarono, ossia amalgamarono l'una su l'altra diciassette corporazioni, due di monache, quindici di frati. A tutto il 1861 s'erano distrutti in Italia settecento ventuno conventi, e dispersi undicimila ottocento tra monache e frati. Nei solo anno 1861 s'incamerarono i beni di centoquattro collegiate colla rendita totale di L. 524, 801, 39. Eppure la così detta Cassa ecclesiastica con tanti incameramenti ha un bilancio simile a quello del governo. La contabilità del 1861 non è ancora in ordine, sebbene siamo già nel 1863! Si conoscono i conti del 1860, e questi danno una rendita di L. 5,066, 245 e una spesa di L. 6, 805, 412. E perché? Perché si debbono mantenere i frati della Cassa che mangiano a due palmenti!

LE RIVINCITE DEL GUARDASIGILLI

E LA PERSECUZIONE DELLA CHIESA

(Pubblicato il 6 febbraio 1863).

Come ci raccontano dei briganti, che arrestano, squattrinano, schiaffeggiano i liberali per non poterli cacciare dal reame di Napoli, così il ministro di grazia e giustizia tartassa, tormenta, processa i Vescovi, non potendo fare altrettanto col Vescovo dei Vescovi, e vedendosi costretto a riconoscerlo e a venerarlo trionfante e glorioso nella sua Roma.

Enumeriamo semplicemente i fatti che si raccolgono dai giornali d'oggi. La Corte di Cassazione di Napoli confermò la condanna del Vescovo di Nardò, reo di non aver detto un Oremus. E uno. — Fu condannato il can. Siciliani, reo perimenti dell'ommissione di un Oremus, E due. — L'abate Cesare de Pascalis, curato di S. Mafia della Porta a Lecce, fu messo in prigione. E tre. -Monsignor Melimi, Vescovo di Modigliana, fu processato per aver favorito la diserzione. Ma la Corte reale di Firenze lo dichiarò innocente. E quattro. — Vennero minacciati i Domenicani di Bologna se continuavano le loro prediche contro i protestanti. E cinque. — Fu insultato il Cardinale Arcivescovo di Ancona. E sei. — La salute di Monsignor Canzi, Vicario Capitolare a Bologna, imprigionato a Pallanza, soffre ogni giorno, e i libertini ne godono. E sette. — Furono invasi il convento dei Crociferi, l'ospizio di S. Maria, e l'ospizio dei Cappuccini di Castellammare. E otto. — Si insulta da un deputato il Cardinale De Angelis, da trenta mesi prigioniero in Torino per la sua devozione al Papa (Casa del Popolo, 5 febbraio). E nove. Si fa un processo a Monsignor Vespasiano, Vescovo di Fano. La Corte d'Assise di Pesaro lo assolve. E dieci. — Il procuratore generale del Re scrive una circolare sotto la data di Torino, 16 gennaio, contro il Papa e i Vescovi, e in favore de’ passagliani. E undici. — Monsignor Limberti, Arcivescovo di Firenze, è tormentato per aver sospeso alcuni preti. E dodici.

Il decimoterzo caso cel annunzia l'Opinione del 5 di febbraio. Monsignor Caccia, Vicario Capitolare di Milano, nominò tre canonici, che non piacquero al ministro Pisanelli. Il ministro Pisanelli nominò altri tre canonici, che non piacquero a Monsignor Caccia. Ora credereste?

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Si vuoi procedere contro Monsignor Caccia, reo di non avere accettato i canonici Pisanelliani. E il Consiglio di Stato, ci dice l'Opinione, il Consiglio di Stato approva!

Per condannare. questi procedimenti, e dimostrare che sono proprio tirannie, non abbiamo da far altro che ricorrere alle tornate del Parlamento, e invocare l'autorità dei deputati e de’ senatori. A voi, Gioacchino Napoleone Pepoli, a voi che andate a rappresentare l'Italia presso la Corte di Pietroburgo. Che cosa vi sembra del sig. Pisanelli?

Il Pepoli ha parlato nella tornata della Camera dei Deputati del 26 di marzo 1861, ed ha detto: «Abbiamo usato le mille volte dire ai nostri avversar!, anzi abbiamo loro rammentato quelle parole del Vangelo: Rendete a Cesare ciò che è di Cesare; ma io credo che, perché la soluzione sia completa, bisogna rammentarsi anche dell'altra parte, cioè: Rendete a Dio ciò che è di Dio. Purtroppo esistono dei governi; vi sono dei ministeri vi sono degli uomini liberali, i quali stimano utili alla libertà le leggi che vincolano l'autorità religiosa, che credono utile il Clero salariato, a cui aggrada far cantare colla violenza il Te Deum ai Vescovi ed agli Arcivescovi; vi sono dei governi, infine, degli uomini liberali, i quali credono che il modello d'un governo liberale sia quello che colloca il gendarme accanto all'altare «(Atti Uff. n.40, pag. 141).

E nella stessa tornata del 26 di marzo il deputato BonCompagni facea larghe promesse, e dicea ai cattolici del mondo civile, che sotto il reggime dei Farini, dei Pisanelli, dei Peruzzi «potrà una volta essere esaudita la prece che la Chiesa Cattolica innalza a Dio: secura tibi serviat libertate» (Atti Uff. n. 40, p. 144).

E siccome il Pisanelli prediligo i Napoletani, così noi gli citeremo l'autorità del senatore Vacca; il quale nella tornata del 9 aprile 1861 diceva: «Voi lo sapete, o signori, il Gallicanismo, il Giuseppismo, il Giannonismo non furono che servitù imposte dalla podestà civile al Papa». E parlava di gravezze, di servitù che la podestà civile avea imposto alla Chiesa, mettendo tra queste «gli exequatur, gli appelli ab abusu, la presentazione e la nomina dei Vescovi, ed in genere tutti i diritti di regalia, che si traducono in servitù imposte alla Chiesa» (Atti Uff. del Senato, n. 32, pag. 104).

Il conte Camillo di Cavour nella stessa tornata del Senato riprovava solennemente i rivoluzionari francesi, che dopo i principii dell'ottantanove osarono «imporre una costituzione civile al Clero in opposizione assoluta ai grandi principii della libertà della Chiesa»; che ardirono «usurpare i diritti del Sovrano Pontefice, negare ai Papi il diritto d'investitura, e richiedete dai membri del sacerdozio un giuramento contrario alla loro coscienza». E il conte di Cavour soggiungeva: «Dobbiamo dichiarare non più conformi allo spirito dei tempi le dottrine Giuseppine e Leopoldine», e prometteva Chiesa libera in libero Stato!

Noi ridevamo alloca di quelle promesse, gridando a tutti di non fidarsene, perché la rivoluzione essendo essenzialmente anticristiana, quando pure avesse voluto, non avrebbe potuto dare libertà alla Chiesa.

La rivoluzione non può agire contro la propria natura, come i gravi non possono ascendere, ed il fuoco non può non bruciare.

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E di questa nostra diffidenza il deputato Ricciardi si offendeva, scrivendoci una lettera tutta piena di considerazioni ascetiche e mistiche; ma il conte di Cavour, parlando nel Senato del regno, confessava che il principio di libertà offerto da lui e da' suoi «non poteva essere accolto senza esitanza, senza risvegliare certi dubbi e timori». E ripigliava: «Non è da stupire se la Chiesa, se il Cattolicismo accoglie con tanta diffidenza un principio, che negli stessi protestanti non ha ancora ricevuto intera la sua applicazione». E da ultimo, ricordando la storia, il conte di Cavour conchiudeva: «Abbiam visto pur troppo spesse volte i partiti liberali, dopo di avere combattuto per ottenere la distruzione di antichi sistemi, per conquistare in nome della libertà un principio, conseguito il trionfo, fare uso del principio stesso per opprimere coloro, contro i quali avevano combattuto» (Atti Uff. del Senato, tornata del 9 di aprile 1861, n. 32, pag. 106).

Ciò avviene precisamente a' giorni nostri. I rivoluzionari che invocavano la libertà contro gli antichi governi, danno la schiavitù; essi che si lagnavano delle prigioni, imprigionano a frotte, a centinaia, a migliaia i cittadini; essi che lamentavano le misure di polizia, mettono in carcere i Vescovi e i Cardinali per simili misure; essi che deploravano la pena di morte, e le confische, e gli esilii, bandiscono, confiscano, fucilano a mano salva.

Ma la Chiesa cattolica principalmente è fatta segno in Italia alla tirannia libertina; né mai avvenne che fosse così angustiata, tribolata, spogliata, perseguitata come dopo l'invenzione della famosa formola libera Chiesa in libero Stato. La Gazzetta del Popolo, giorni sono, confessò che questo assioma non era altro che una sciarada del conte di Cavour. Tuttavia la sciarada potea indovinarsi a prima vista, e non ha dato da studiare che ai baggiani. Oggidì il signor Pisanelli si è incaricato di spiegare la sciarada a tutto il mondo cattolico.

Sappiam bene che cosa ci vogliono dire gli avversArt. Ci vogliono dire che questa persecuzione contro la Chiesa avviene, perché il Papa resta Redi Roma, e che i rivoluzionari aveano promesso la libertà religiosa a patto che Pio IX avesse rinunziato al dominio temporale. Sul quale proposito abbiamo in pronto due risposte.

Voi, signori liberali, signori italianissimi, avete confessato che il giuseppismo e il leopoldismo non erano più di questi tempi; avete confessato che l'autorità civile col suo intromettersi nelle cose religiose tiranneggiava la Chiesa, e le imponeva gravezze e serviti!. Dunque se foste onesti, se foste sinceri, non adoperereste quei ripieghi che già condannaste come tirannici, e abbandonereste quelle misure che sono per lo meno sconcie rappresaglie. Se usare despotismo contro la Chiesa è cosa indegna de’ tempi e della civiltà, non vi assolve da tristissima taccia il contegno del Papa qualunque esso sia.

E poi noi vi diciamo che se fate tanto contro la Chiesa oggidì che siete deboli, che siete pieni di paura, carichi di debiti, circondati di nemici, assediati dai sospetti, fareste cento e mille volte peggio, se foste padroni di Roma, se aveste il Papa suddito vostro, se non doveste nulla temere e vi fosse lecito di tutto osare. Forse che prima di aver Milano non promettevate di abrogare colà le massime giuseppine?

— 213 —

Ed ora voi stessi volete fare i canonici. E se andaste a Roma, tempo un anno, prendereste di fare il Papa!

Oh un Papa fatto dal signor Pisanelli, che progresso, che Papa, che religione.

Noi siamo pieni di pietà verso que' Vescovi e sacerdoti che soffrono per la giustizia; ma un gran pensiero può alleviare i loro patimenti, ed è questo che, soffrendo, rendono al Cattolicismo un segnalato servizio, fanno vedere quanta ragione avesse Pio IX di non fidarsi de’ rivoluzionarii, mostrano come fossero ipocrite le proteste e le promesse che gl'italianissimi facevano due anni fa, precludono la strada a nuovi inganni, a nuovi attentati, a nuove ipocrisie, smascherano l'empietà, e arricchiscono di nuove gemme il ricco diadema della Chiesa cattolica.

PIO IX E LA STRAGE DEGLI INNOCENTI IN ITALIA

(Pubblicato il 28 dicembre 1862).

Diciannove secoli fa un politico ipocrita e prepotente, per nome Erode, uccideva in questo giorno innumerevoli bambini, e li uccideva propter Dominum, perché era divorato da una sciocca ambizione e da un odio feroce contro il Bambino Gesti. La rivoluzione ha imitato il figliuolo di Antipatro, ed uccise in Italia migliaia d'innocenti, e li uccise propter Pontificem, per combattere la S. Sede, o la Carle di Roma, come essa suoi dire, e poter compiere così la spogliazione del nostro Santo Padre Pio IX. Mentre la Chiesa oggidì onora il fiore dei Martiri che il persecutore di Cristo atterrò come un turbine le rose che sbocciano, noi consacreremo un pensiero agl'innocenti sacrificati in Italia dalla rivoluzione, a questi gloriosi, che son tanti da potersi chiamare come i sacrificati di Betlemme: Grex immolatorum. E, lasciate da parte (eleggi che dobbiamo rispettare, terremo conto soltanto degli alti ministeriali che cadono sotto il nostro sindacato.

Spuntata appena la libertà in Italia, un giornale liberalissimo diretto da Lorenzo Valerio, ora prefetto di Como, asseriva rotondamente che «se sotto alcun aspetto è utile la censura preventiva sulla stampa, lo è per gli atti dei Vescovi (I)». E dodici giorni dopo, per mezzo del famoso Gioberti, dichiarava che la censura preventiva degli atti vescovili era necessaria e legittima (2). Sicché nascevano ad un puntola libertà dell'errore eia schiavitù della Chiesa, eil primo innocente sacrificato era Monsignor Charvaz, allora Vescovo di Pinerolo. Nel marzo del 4848 seguivano altre stragi d'innocenti ne' Gesuiti cacciati dalla plebe tumultuante in Torino, in Genova, nella Sardegna, nella Sicilia e perfino in Roma, il nuovo collaboratore de l'Armonia, Carlo Luigi Farini, presidente del ministero del regno d'Italia, scrisse egregiamente: «II Papa solo avea potere di condannare l'intero sodalizio (de' Gesuiti), e la sola condanna del Papa poteva essere giusta ed efficace nell'opinione e nella coscienza de’ cattolici (3)».

(1) La Concordi di Lorenzo Valerio, N° 1 del 1° di Gennaio 1818.

(2) La Concordia numero del 13 di gennaio 1848.

(3) Farini, Lo Stato Romano, voi. II, pag. 17. Firenze 1850.

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Per contrario il Santo Padre Pio IX commendava altamente i Gesuiti nell'atto stesso che la marmaglia gli assaliva. Il buon Pontefice dicea loro: Vos prima Cristi victima: Voi siete i primi che portate la croce, ed io vi seguirò ben presto nell'esilio. Nella Gazzetta di Roma del 1848 Pio IX faceva pubblicare intorno a' Gesuiti, che egli li aveva «con somma compiacenza risguardati sempre come instancabili collaboratori nella Vigna del Signore», oche «non potò non provare nuova e piti viva amarezza» per le angustie ond'era travagliata la Compagnia di Gesti (1). Sul che il nostro collaboratore, l'Eccellentissimo Farini, a buon diritto avvertiva: «Quando il Principe della Chiesa e di tutta l'ecclesiastica milizia lamentava le ingiurie patite da quegli instancabili collaboratori alla Vigna del Signore, com'egli appellava i Gesuiti... io non ho dubbio di affermare che la espulsione dei Gesuiti dallo Stato della Chiesa operata a malgrado del Papa fu un atto imprudente, di nessuna utilità allora, di molto e certo danno allora e poi (2)». Ma la crudelissima persecuzione recò vantaggio grandissimo alla Compagnia di Gesù, e de’ Gesuiti può ripeterai ciò che Sant'Agostino scrisse degli innocenti sacrificati da Erode: e Ecce profanus hostis numquam tantum prodesse potuisset obsequio, quantum profuit odio (3)».

Agli innocenti Gesuiti tenevano dietro altri innocenti. Le Dame del Sacro Cuore erano obbligate ad abbandonare Torino, Monsignor Fransoni, il nostro venerando Arcivescovo, morto esule in Lione, soffriva insulti, e veniva costretto a partirsene; e il Vescovo di Nizza, Monsignor Galvano, vedeva strascinato il suo stemma «al sito in cui anticamente era innalzata la forca, ove ne fecero un solenne auto da fè al canto della Marseillese (4)». Angiolo Brofferio applaudiva e diceva ai deputati di provare ai Vescovi orgogliosi che anche il popolo ha le sue folgori e gli anatemi suoi (5).

Carlo BonCompagni, uno de’ primi ministri costituzionali, mostravasi uno de’ primi tiranni della Chiesa. Monsignor Artico, Vescovo d'Asti, che poi mori a Roma di crepacuore, veniva cacciato dalla sua sede e insultato in Più-lamento (6); erano fatte violenze all'Arcivescovo di Cagliari, Mons. Marongiu, mandato poi in esilio a Roma dove vive tuttavia; citato il Vescovo di Saluzzo per un indulto sulla quaresima, e il 15 di febbraio 1850 si le' nella Camera un gran tumulto contro quell'innocente; fu arrestato l'Arcivescovo di Sassari, sostenuto in prigione per un mese; perquisiti ingiustamente e inutilmente gli Oblati della Consolata, vittime poi della loro devozione alla Santa Sede.

Oh come è numeroso il grex immolaloruml Se noi volessimo tessere la lista de’ sacerdoti che furono arrestati nel solo Piemonte, e poi riconosciuti innocenti dagli stessi tribunali, dovremmo scrivere un volume. Eccone un saggio. D. Gagliardi a Mondovj, D. Luigi Piola, il P. Vincenzo, cappuccino, il curato di Bonneville, il prevosto di Ronco, l'amministratore della parrocchia di Malanghero, sedici parrochi d'Aosta, il parroco di Verrès, il prevosto di S. Giusto,

Gazzetta di Roma, parte ufficiale religiosa, numero del 30 marzo 1818.

Farini, Lo Stato Romano, vol. II, pag. 18

S. Augustinus, Serro. 10 De Sanctis.

Così raccontò alla Cenera il deputato Barralis di Nizza, tornata del 10 giugno 1818.

Atti Uff. del Parlamento Subalpino, sess. 1848, pag. 145, 146.

Atti Uff. N.437, 22 agosto 1849.

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il pievano di Villareggia, il parroco di Quargnento, il rettore della chiesa di Spezza, il parroco di Cassinasco, il pievano di Vigorie, l'economo di Clefs, il parroco di Sparane, il curato di S. Elena, il parroco di S. Margherita di Rapallo, il teologo Gliemone, canonico di Rivoli, il parroco di Sainte-Foi, e cento e mille altri patirono il carcere, e risultarono innocenti!

Salvete flores martyrum del nuovo regno d'Italia. Voi soffriste per la Chiesa e. per Pio IX, e il vostro esempio frullò numerosi imitatori. Il Clero Piemontese insegnò al Clero Italiano la via da battere coraggiosamente, e dopo d'aver preceduto gli altri nella fermezza della fede e nella costanza del martirio, si mantiene intemerato, e obbliga il Passaglia accertare altrove i suoi collaboratori e i suoi adepti. Voi udiste spesso la sconsigliala rivoluzione esclamare: Succestor instat, pellimur, salelles i, ferrum rape. Ma non vi spaventaste mai, perché non temevate gli uomini che uccidono il corpo, sibbene Iddio che può perdere il corpo e l'anima nella terribile gehenna, dove è acceso quel fuoco, di cui D. Passaglia scrisse un trattato (De igne inferni), che dovrebbe rileggere e meditare.

Ma proseguiamo la lugubre lista degl'innocenti sacrificati. I Serviti di S. Carlo sono espulsi da Torino, senza nessuna colpa e senza nessuna legge; sono vessati con inutili e sconcie perquisizioni i Francescani d'Alghero; si condanna alla prigione un sacerdote di Vercelli che biasima comici spudorati; è distratta la Compagnia di S. Paolo, che una Commissione governativa dichiarava meritevole di tutta la pubblica riconoscenza; i Padri Certosini vengono espulsi dalla loro casa di Collegno per collocarvi l'ospedale dei pazzi; le Canonichesse Lateranensi di S. Croce sono discacciate a viva forza dal monastero che abitavano in Torino; nella notte del 21 e 22 di agosto si da la scalata al convento delle Cappuccine; è spogliata la Congregazione della Misericordia di Casale, instituita fin dal 1525; è sciolta l'istituzione delle Suore della Compassione, che aveano visto passare sotto di loro venti rivoluzioni senza che osassero toccarle; sono calunniati dai ministri i Pastori delle anime con frequenti circolari; l'abate Vacchetta va a sequestrare i beni del seminario Arcivescovile di Torino tolto ancor oggi a' chierici; insomma, il conte Federico Sclopis che ora presiede il Senato del Regno d'Italia, nel giugno del 1854 si diceva ai senatori, che dal 1848 in poi, cioè in cinque anni vennero girati contro gli ecclesiastici quarantanove processi politici, e i magistrati non poterono infliggere che nove condanne. E quali condanne! La condanna dell'Arcivescovo di Torino, dell'Arcivescovo di Cagliari, dell'Arcivescovo di Sassari e simili!

Satelles i, gridava una circolare del 27ollobre 1853, ordinando l'arresto immediato dei ministri del culto. E il 2 gennaio del 1854, si chiedevano alla Camera nuove e più gravi penalità contro i preti. E ferrum rape avea già esclamato alla lettera nella Camera dei deputati Angiolo Brofferio, domandando il 17 marzo del 1851, che fosse snudata la spada contro i preti fino all'ultimo sangue. Non vi par di sentire un ordine del feroce Idumeo che comanda la strage di Betlemme?

Dopo che i Serviti s'erano segnalati nell'assistere i colerosi, o i padri Gazzani, Manonta, Malliani e Ighina cadevano vittime della loro carità, i padri Serviti d'Alessandria venivano espulsi dal loro convento, e poi la tempestasi rovesciava su tutti gli Ordini religiosi.

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Frati e monache erano tormentati con visite, con invasioni, con sequestri, e agglomerati gli uni cogli altri; i Serviti di Genova parte mandati a Sassari, parte a Savona; i Domenicani d'Alessandria concentrati a Bosco, i Serviti d'Alessandria stipati a Saluzzo, gli Agostiniani sloggiati da Carmagnola, i Cistercensi da Cartemiglia, gli Olivetani da Quarto, i Carmelitani da Torino, ecc. ecc. Alla fine del 1856 erano già spogliati in Piemonte settecentosettantadue frati e milleottantacinque monache, seicentosettanta canonici, e millesettecento beneficiati; traslocati e privati in parte delle loro abitazioni duemilanovecentosessanta frati e centosettantacinque monache (1). Che strage!

E la strage degli Innocenti crebbe, poichè i rivoluzionari recarono l'ordine morale nelle altre parti d'Italia. Dobbiamo noi enumerare tutti gli innocenti che patirono? Essi sono senza numero. Patì il Cardinale Arcivescovo di Pisa, ed era innocente; patì e patisce la relegazione in Torino il Cardinale De Angelis, ed è innocente; patì e patisce il Vescovo d'Avellino, ed è innocente. Patirono gli innocenti Arcivescovi e Vescovi di Bergamo, di Brescia, di Guastalla, di Parma, di Piacenza, di odena, di Carpi, di Firenze, di Napoli, di Faenza, d'Imola, d'Ancona, di Cagli e Pergola, di Fano, di Fossombrone, d'Iesi, di Pesaro, di Sinigaglia, d'Orvieto, e di Perugia, ecc. ecc. Il turbine rivoluzionario, Christi insecutor, sustulit ed uccise il Cardinale Arcivescovo di Bologna, l'Arcivescovo di Torino, il Vescovo di Loreto e Recanati, quello d'Osimo e Cingoli, i Vescovi d'Amalfi, di Bovino, di Marsico Nuovo e Potenza. Verrà tempo però che gli italianissimi chiederanno a loro stessi: che vantaggio per tanta strage? Quid profuit tautum nefas?

Pepoli e Valerio, entrati nelle Marche e nell'Umbria, non fecero che spogliare, angustiare, tribolare gl'innocenti frati, le innocentissime monache, e più crudeli d'Erode li ridussero a morirsi lentamente di fame, perché sentissero di morire. E se non fosse la carità cattolica che soccorre le monache delle Marche e dell'Umbria, se non fosse la beneficenza del Santo Padre, molte a quest'ora avrebbero dovuto soccombere. Ma vox in Roma andita est, ploratus et ulutatus multus. Il pianto delle povere monache fu udito in Roma, in Bologna, in Torino, e molta gente pietosa accorse e accorrerà a sollevarne la miseria.

Però la rivoluzione non fu paga ancora di tanti dolori e sfinimenti. Le case religiose, risparmiate dalla prima buffera, vennero colte dalla seconda, e nel solo quest'anno 1862 si videro i Filippini, i Francescani, i Minimi espulsi da Fano, i Domenicani da Imola, i Cappuccini da Ancona, i Minori osservanti da Fermo, i Vallombrosani da Firenze, le Agostiniane da Bologna, i Basiliani da Mezzaiuzzo, le Suore del Corpus Domini da Modena. E furono invasi il monastero di S. Domenico in Pisa, di S. Gerolamo in Messina, di S. Chiara in Faenza, di S. Rocco in Trapani, di Sant'Antonio in Noto, della Beata Vergine in Cremona, di Sant'Alessandro in Parma, di S. Nicolao in Lucca, di Sant'Agostino in Corleone, e cento altri conventi e monasteri che enumereremo in un apposito articolo.

Ci vien meno lo spazio, ma non la materia per dire degl'innocenti che furono vittima della rivoluzione.

(1) Vedi Cenni sulle operazioni e tulio stato della Cassa Ecclesiastica sottoposti alla Commissione di sorveglianza dal dì della promulgazione della legge 29 maggio 1855 sino a tutto dicembre 1856.

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Costoro patirono, perché, fedeli a Pio IX, portavano il nome del Santo Padre sulle loro fronti. Ma sono lieti delle contumelie che soffersero, e delle privazioni che debbono sostenere. Quest'innocenti continuano a seguire il Vicario dell'Agnello senza macchia, e dicono: gloria a te, o Signore. Ma badino bene i rivoluzionari che l'innocenza non si affligge sempre impunemente, e si ricordino che Dio ha detto: Non toccate i miei sacerdoti, e tremino, perché già un gran numero di Vescovi e di preti vittime della loro crudeltà stanno sotto il trono di Dio, ed esclamano: Vindica sangumem nostrum Deus noster.

I DODICI PRETI

DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

(Pubblicato il 5 febbraio 1863).

Non sarà discara a' nostri lettori una statistica dei dodici preti che si trovano nella nostra Camera dei deputali. Eccone i nomi:

1. D. Amicarelli Ippolito, già vice-rettore del liceo ginnasiale Vittorio Emanuele, deputato di Agnone, ivi nato e residente. Parlò contro la legge per l'occupazione dei conventi; poi non si vide più.

2. D. Bruni Giuseppe, cav. dell'Ordine Mauriziano, deputato di Caprino, nato a Bergamo e residente abitualmente a Bergamo. Non parlò mai; manca da molto tempo; chiese, ma non ottenne le dimissioni.

3. D. Dorucci Leopoldo, professore di letteratura, ispettore delle scuole del circondario di Solmona, deputalo di Popoli, nato e residente a Solmona.

4. D. Ercole avv. Paolo, deputalo di Oviglio. . . prete colla barba. Eletto da poco: non parlò ancora, ma sembra assai contento di se stesso.

5. D. Greco Antonio, già canonico, deputato di Catanzaro, nato a Catanzaro, e residente abitualmente a Napoli. Non parlò mai o quasi mai.

6. D. Moresca Mai-bino teologo, professore di filosofia, già canonico della collegiale di S. Michele di Carallo, deputato di Sorrento, nato a Sorrento, e residente in Piano di Sorrento. Parlò contro il potere temporale del Papa.

7. D. Palomba Pietro, deputato del 9° Collegio di Napoli, nato e residente a Torre del Greco. Personaggio che non parla.

8. D. Robecchi Giuseppe, economo generale dei benefizi vacanti in Lombardia, deputato di Vigevano, nalo e residente a Gambolò (Lomellina). Sempre assente dalla Camera, perché economizza nell'Economali) Apostolico di Lombardia.

9. D. Sanguinetli Apollo, dotlore in filosofia, già professore nel collegio militare d'Asli, deputato di Cairo, nato a Cairo, residente a Torino.

10. D. Sirtori Giuseppe, luogotenente generale nel corpo dei volontari italiani, commendatore dell'ordine militare di Savoia, deputato del 4° Collegio di Milano, ed ivi nato e residente.

44. Ugdulena Monsignore Gregorio, dottore in teologia e in diritto canonico, professore di sacra scrittura e di lingua ebraica nell'Università di Palermo (in aspettativa senza stipendio), già membro del Consiglio di Stato di Sicilia, deputato di Marsala, nato a Termini e residente a Palermo. Porta anch'egli una lunga barba.

— 218 —

42. D. Valenti Flaminio, porzionario della cattedrale di Monopoli, deputato di Monopoli, ivi nato e residente.

I CONVENTI

CONVERTITI IN CASERME

«Ciò che non fecero i barbari all'Italia, glielo fecero i rigeneratori ». Cesare Canti. (Camera dei deputati, 22 novembre 1864, Atti Uff. numero 1000, pag. 3916).

Con la legge del 22 dicembre 1861 accordavasi ai ministri la facoltà di occupare case religiose, e Mi pare che noi realmente confischiamo qualche cosa», dicea allora il senatore Pereto nell'accordare questa licenza (1). E il deputato Ricciardi avea prima dichiaralo: «Credo che si possa, senza timore alcuno, lasciare questa restrizione dei tre anni, perché spero che fra tre anni non ci saranno piii frati (si ride (2).». E se i frati avessero detto o dicessero: Speriamo che fra tre anni non vi saranno piii deputati?

Il Ministero confiscò nel 1862, 1863, 1864, ma frati ce ne hanno ancora, imperocché i frati, come il Papa, sono più potenti di tutte le rivoluzioni. Laonde il nuovo ministro della guerra il 24 ottobre 1864 presentava alla Camera mi nuovo disegno di legge per prorogare fino al 1° gennaio 1868» la facoltà di occupare le case religiose. In pari tempo consegnava una lista dei conventi che vennero convertiti in caserme nel passato triennio. Questo documento merita d'essere conservato per la storia (3).


I.

Conventi convertiti in Caserme nel 1862.


Imola

Casa S. Domenico

(Decr. 19 gennaio)

Bologna

Madonna di Galliera

(id. 30 gennaio)

Bologna

Convento dell'Annunziata

(id.)

Pisa

Convento S. Nicola

(Decreto 30 gennaio)

Firenze

Convento del Carmine

(id.)

Firenze

Convento Santo Spirito

(id.)

Firenze

Convento Ognissanti

(id.)

Palermo

Convento Santa Cita (1)

(id.)

Palermo

Convento del Carmine (2)

(id, )


(1) Senato del Regno, tornata del 10 dicembre 1861, Atti uff. del Senato, num. 144, pagina 494.

(2) Atti uff. della Camera, tornata del 17 settembre 1861, N° 370, pag. 1430.

(3) Vedi Atti uff. N° 946, pag. 3702.

— 218 —


Rimini

Convento San Bernardino

(id.)

Rimini

Convento San Francesco da Paola (3)

(id.)

Bologna

Convento San Giacomo

(id.)

Bologna

Santa Caterina

(id. 6 febbraio)

Firenze

Santa Trinità

(id.)

Ravenna

Convento S. Nicolò

(id. 2 marzo)

Forti

Santa Cristina

(id. 10 marzo)

Patti

Santa Maria di Gesti

(id. 6 aprile)

Messina

Sun Girolamo

(id.)

Faenza

Santa Chiara

(id. 15 maggio)

Modena

San Geminiano

(id.)

Lugo

San Domenico

(id. 8 giugno)

Noto

Convento Padri Riformati.

(id. 31 luglio)

Urbino

San Francesco

(Id. 3 agosto)

Sant'Arcangelo

San Francesco

(id. 6 agosto)

Messina

Della Maddalena (4)

(id. 24 agosto)

Lucca

San Francesco

(id. 18 settembre)

Siena

Carmine

(id. 27 settembre)

Parma

Annunciata

{id. 21 ottobre)

Parma

Padri Riformati

(id. 2 novembre)


Conventi convertiti in Caserme nel 1863.


Firenze

Monastero Sant'Apollonia (5)

(Decr. 22 febbraio)

Pistoia

Convento Annunziata

(id. 22 marzo)

Pisa

Convento San Francesco

(id. 44 giugno)

San Miniato

San Francesco (6)

(id. 28 giugno)

Palermo

Benedettini bianchi (7)

(id. 16 luglio)

Corleone

Delle Grazie

(id. 26 luglio)

Forlì

San Salvatore (8)

(id. 30 luglio)

Messina

S. Francesco d'Assisi

(id. 30 agosto)

Palermo

S. Francesco da Paola

(id. 18 ottobre)


(1) Ospedale militare.

(2) Alloggi militari.

(3) Ospedale militare.

(4) Ospedale militare.

(5) Magazzini d'intendenza militare.

(6) Ospedale oftalmico.

(7) Uffizio e magazzini sussistenze.

(8) Carcere militare.

— 220 —


Palermo

Carminello (1)

(Decreto 18 ottobre)

Mazara

Convento del Carmine

(id. 5 novembre)

Palermo

Santa Vittoria

(id. 27 dicembre)

Palermo

Sant'Antonino

(id.)

Palermo

Santa Teresa

(id.)


III.

Conventi convertiti in Caserme nel 1864.


Alcamo

Del Carmine (2)

(Decreto 21 gennaio)

Trapani

San Francesco

(id. 21 febbraio)

Catania

Del Carmine

(id. 9 marzo)

Faenza

San Francesco

(id. 10 aprile)

Siena

Della Madonna

(id.)

Lucca

Sant'Agostino (3)

(id. 29 maggio)

Ferrara

Della Missione (4)

(id. 9 luglio)

Caltagirone

San Domenico

(id. 28 agosto)

 

Non sappiamo se questa statistica sia completa; solo sappiamo che i conventi invasi superano i quattrocento! La serie però confessata dal Ministero della guerra basta per dar luogo a gravissime riflessioni. E ne fece alcune il deputato D'Ondes-Reggio nella tornata del 22 di novembre 1864. Uditelo: «I più dei luoghi si sono occupati senza esservene necessità; né può dubitarsene ove si osservi che se ne sono occupati in città che erano capitali di Stati, in cui erano gran numero d'amministrazioni che sono proprie di capitali, ed ora quelle città non sono che capi di provincia: come dunque non hanno avuto luoghi più sufficienti al numero incomparabilmente minore d'amministrazioni? E come anco in coteste città non vi sono stati più luoghi sufficienti ad albergare delle truppe, mentre prima ve ne stava una quantità assai maggiore, sinanco il doppio? E che le occupazioni si sono fatte a perpetuità e non temporaneamente, risulta chiaro dell'allegarsi che ora si fa, che non è possibile più di lasciare cotesti luoghi. E tutte cotali occupazioni hanno apportato un grandissimo sciupo del pubblico danaro; mi dicano i passati ministri ed i presenti quante centinaia di migliaia di lire non si sono spese. Questo è il risparmio fatto dallo Stato. Se una tale legge non vi fosse stata, quelle spese non si sarebbero fatte; non ce ne è stata necessità, c'è stato capriccio o maltalento di farle; una legge di tale natura porta seco l'abuso e il danno (5)».

Nondimeno la Camera concedeva nuovamente al Ministero la facoltà di convertire i conventi in caserme; sicché il deputato D'Ondes-Reggio conchiudeva:

Uffizi.

Comando del circondario.

Panificio e magazzino sussistenze.

Ospedale militare.

Atti uff. N° 1000, pag. 3916.

— 221 —

«Signori, credevo che tre anni d'arbitrii e di danni recati ed alle corporazioni religiose ed alle pubbliche finanze insieme vi bastassero; credevo che finalmente foste persuasi che coll'ingiustizia non si fa alcun bene allo Stato.

Credevo che finalmente vi foste rammentati della sentenza di Montesquieu, che la peggiore delle tirannidi è quella che si esercita all'ombra delle leggi».

Ma la rivoluzione non dice mai basta! Intanto di mano in mano che i conventi s'invadono, i ladri aumentano. D'Ondes-Reggio ne arrecò la ragione. Meditatela.

D'Ondes-Reggio. All'onorevole deputato che ora diceva che la civiltà consiste nel rendere morale il popolo, rispondo: chi può mai metterlo in dubbio? Ma domando: è confacente a rendere morale il popolo dirgli: si può prendere la cosa altrui per vantaggio tuo? (Rumori).

Una voce. È dello Stato.

D'Ondes-Reggio. Dello Stato? E che cosa è lo Stato se non il popolo? E se non un ente immaginario? E come, lo Stato è padrone dei beni dei singoli cittadini o delle corporazioni o associazioni di loro? D'onde questo strano diritto? Oh contraddizione vostra! Mentre dite che non volete le corporazioni religiose, perché opera del medio evo, invocate poi un principio sostenuto dai piaccntieri giureconsulti del medio evo, che lo Stato fosse padrone di tutti i beni, ed i cittadini non ne fossero che usufruttuari; principio che già era stato primamente messo innanzi da servitissimi giureconsulti sotto i mostruosi Cesari di Roma».

E poco prima Cesare Cantu avea detto: «Se intaccate così le proprietà, come non temete quella logica, inesorabile regolatrice degli avvenimenti, la quale un giorno può portar a domandare se non siano troppi anche i palazzi occupati dai Ministeri, gli alberghi dei ministri, le sale delle Camere, la reggia stessa? (Bisbiglio) (1)».

CHI SONO I PRETI LIBERALI

CHE SI INCHINANO Al PERSECUTORI DELLA CHIESA

(Pubblicato il 10 febbraio 1863).

Sant'Ambrogio cacciava dalla Chiesa di Dio i governanti che ne avevano violalo la santissima legge; e alcuni 6gli di Sant'Ambrogio, alcuni membri del Clero di Milano, osarono venire in Torino a genuflettere davanti il signor Pisanelli, ministro di grazia e giustizia, lodandolo di avere perseguitato il loro superiore e di avere calpestato! sacri canoni e violato il diritto ecclesiastico! Questo fatto è così truce, così basso, così sucido che non troviamo parole per qualificarlo. Ci duole di non conoscere i nomi dei sacerdoti milanesi che vennero in Torino ad incensare il signor Pisanelli, che lo Zenzero di Firenze (N° 387 febbraio) chiama giustamente l'antipapa Pisanelli. Il pungolo del 8 di febbraio non ci da che i nomi seguenti:

«Ieri partì per Torino una deputazione del Clero milanese, composta da

(1) Atti uff. loc. cit. pag. 3915.

— 222 —

Monsignor Calvi, proposto del Duomo, e del sacerdote Bianchi ed altri, all'uopo di presentare al ministro Pisanelli un indirizzo firmato da più di trecento sacerdoti, con cui Io si ringrazia dell'appoggio prestato in questi ultimi tempi al clero liberale, e lo si prega a voler continuare nella via da lui con tanto frutto iniziata».

La Gazzetta di Milano del 7 di febbraio 1863 pubblica il testo dell'indirizzo. Eccolo:

«Eccellenza,

«L'energico e sapiente indirizzo, al quale da ch'ella è ministro accenna la quistione del clero savio e liberale in Italia, consolava finalmente il minor clero lombardo delle umiliazioni e dell'abbandono a cui lo aveva condannato finora la condizione delle cose nostre clericali.

«Dopo le circolari dell'E. V. e i varii atti governativi emersi in varie diocesi del regno, la nomina dei tre nuovi canonici della metropolitana lombarda da V. E. sottoposta alla firma di S. M. ha rassicurati gli animi del clero e calmate le inquietudini nel popolo.

«Interpreti del generale sentire di questo clero, i sottoscritti non vollero ritardare il doveroso omaggio di riconoscenza all'E. V. persuasi che questa espressione spontanea varrà a compensarle le difficoltà della via a percorrere, affinchè col rivivere del clero liberale sia posto un argine a contraddizioni politiche tramate e dentro e fuori dei confini.

«Non ismetta, Eccellenza il nobile assunto, per quanto si tentasse di deviarnela anche da chi dovrebbe per ufficio incoraggiarla e si tenga certa che nel clero lombardo, il quale non ha mai separati dalla religione il re, la patria e l'ordine, avrà sempre un testimonio ed un assertore della di lei benemerenza verso l'Italia e la religione».

Santo Padre, come Cristo perdonava sulla croce, perdonate questi poveri preti, che abbandonano voi e sdegnano l'autorità vostra per inchinarsi a quella di un povero avvocato che v'insulta.

Qui vogliamo soggiungere alcuni giudizii di persone non sospette intorno ai così detti preti liberali.

Gazzetta di Torino. — «Vi è una setta di preti, una specie di demagogia pretina, i quali fin dai primordi della libertà in Piemonte e poi al costituirsi del Regno d'Italia pensarono di poter quella sfruttare ad appaiamento delle loro ambizioni e cupidigie. Presero a far rumore e a battagliare contro Roma, in nome delle dottrine di Roma, delle quali si facevano di propria scienza e autorità gl'interpreti, dandosi il vanto d'un facile martirio, col quale uccellare ai posti, agli onori, ed ai sussidii Costoro debbono ornai farsi persuasi che o declamatori di libertà, o seminatori di scandali, l'Italia non ha né voglia, né ozio da badare a loro, e darsi fastidio del loro pianti e martirii, come delle loro ire». [Gazzetta di Torino 19 febbraio 1864).

Discussione. — «Abbiam sempre detto, che non c'è genia peggiore dei preti spretati, o in via di spretarsi. Chi ne dubitasse ancora non avrebbe che a leggere la Pace (di Passaglia) È possibile mentire e calunniare più sfacciatamente? È questi saranno i preti che riformeranno la Chiesa, e libereranno l'Italia? Dio ne scampi i cani!» (17 febbraio 1864).

— 212 —

Pungolo. «II prete liberale noi crediamo che esista, sì, desideriamo che esista; ma non lo cerchiamo tra que' caporioni che intrigano alla Prefettura, che cercano usufruttane le timidezze del Governo, che credonsi necessarii per un Tedenm, o per un Oremus pro Rege; che scrivono articoli di fondo per provare la necessità di creare un clero governativo, privilegiatg; un clero che sotto il patrocinio dello Stato si possa fare impunemente usurpatore: un clero, che in ricompensa del Tedeum e dell'Oremus pro Rege, abbia dal Governo un aiuto a soddisfare le proprie ambizioni Il prete liberale non lo cerchiamo tra quelli, che rinunziano al proprio abito che trascurano il proprio Ministero, che si fanno tribuni da piazza». (Pungolo del 7 aprile 1864).

Baggio. — II prete, che sia stato sospeso a divinis dal suo Ordinario, non è quello, che l'uomo o la donna andrà a consultare Chi ha fede e sentimento cattolico, quando vuole aver direzione per la sua coscienza, non andrà dal prete, che sa essere sospeso a divinis, e che considera già come a metà ingoiato dalle caverne infernali (sensazione e approvazione). O il cittadino è cattolico, o non lo è. Se egli ancora accetta l'autorità della Chiesa Cattolica, e siate pur persuasi che non andrà mai dal prete sospeso e scomunicato, ma bensì da quello che sarà ossequente al suo vescovo. Se invece ha già respinto da sé l'influenza morale della Religione, non si recherà né dall'uno, né dall'altro. lo credo di non dir cosa non parlamentare, affermando che il prete sospeso a divini non ha più, come tale, credito e autorità veruna sui fedeli».

«Anche allorquando avremo guadagnato 500, o 1000, e 6000 preti italiani all'opinione del governo con pubbliche lodi, oppure ancora con incoraggiamenti più materiali: quand'anche con questi mezzi si riesca ad ottenere che quattro o cinquemila preti firmino un indirizzo al Papa per dirgli che abbandoni il poter temporale, od approvino una polemica diretta contro di lui e i Cardinali, io non credo che avremo veramente acquistato una forra efficace. Ed anzi credo poi questo sistema economicamente rovinoso». (Atti uff. della Camera, N° 1200, 1201, anno 1863).

Ausonio Franchi. — «(Religione del Secolo XIX, voi. 2 pag. 266): «Un Saccerote non può essere liberale, se non a patto di essere cattivo prete! Uno strano abuso di parole commettono i patrioti a chiamare preti buoni i ribelli alla Chiesa, e preti cattivi i fedeli alla lor professione. Il linguaggio di quasi tutta la stampa pecca di una simile immoralità. Contro di chi sono rivolte le sue quotidiane invettive? Contro quei vescovi, parrochi, preti e frati, che consapevoli del giuramento prestato alla Chiesa nella loro ordinazione, spendono la vita ad osservare e far osservare in tutto il suo vigore quella legge, che essi tengono dettata dalla bocca stessa di Dio. E all'opposto a chi sono profusi i loro elogi quotidianamente? A quegli altri ecclesiastici che, fastiditi dal loro stato e degli obblighi con esso contratti, rinnegano colle parole e con le azioni il loro abito, disdegnano il lor ministero, e si ribellano t dai lor superiori. Non vi ha qui un giudizio sommamente ingiusto? Come eccclesiastici non sono anzi i primi, che meriterebbero lode, e biasimo i secondi?».

«Quando un soldato se l'intenda col nemico e parteggi per lui, in tutte le lingue del mondo il fatto suo si chiama un tradimento! E nella milizia ecclesiastica non deve forse valere lo stesso principio e lo stesso criterio?».

— 224 —

BESTEMMIE

NEL PRIMO PARLAMENTO ITALIANO

(Pubblicato il 19 aprile 1861).

Nella tornata della Camera dei Deputati, ch'ebbe luogo il 16 di aprile 1861, furono dette solenni bestemmie, che noi trovammo riprodotte nella relazione ufficiale. E quelle bestemmie poteronsi dire impunemente, senza che d Presidente della Camera chiamasse all'ordine il bestemmiatore. Riferiamo come documento il seguente passo del discorso del signor Petrucelli:

«Signori, vi è una scuola della filosofia della storia, la quale crede che il mondo è una lanterna magica, di cui Dio è l'eterno motore della manovella; vi è una scuola della filosofia della storia, la quale crede che l'uomo è destituito di ogni libertà, di ogni individualità, di ogni attività propria, di ogni energia, di ogni iniziativa; ma ve n'è un'altra ancora, la quale crede che tutto ciò che nel mondo vive, si muove, viva e si muova per propria spontaneità.

«Ora, se per una parte di questa assemblea v'è chi può credere alla prima dottrina, per un'altra si crede alla seconda (Movimento); imperciocchè io non posso credere che, se noi abbiamo una religione dello Stato, dovessimo altresì avere una filosofia della storia ufficiale.

e Ma io domando di qual Dio s'intende parlare (Mormorio al centro). Vi ha il Dio dei galantuomini, il Dio dell'onesta gente, dei filosofi, della gente dabbene, e questo Dio si tien fuori della portata degli uomini, ovvero questo Dio considera il genere umano tutto uguale. Per cui l'infinito vivente, come Michelet chiama l'insetto, l'infinito vivente ed il sovrano è tutt'uno; esso vede cadere collo stesso rammarico e una foglia d'albero nell'autunno e la corona dalla testa dei Re, e colla medesima compiacenza vede coronarsi di un fiore un filo di erba, e la testa d'un Re d'una corona.

«Ebbene, per questo Dio non vi è grazia. La grazia è un privilegio, una violazione del diritto, una mancanza di giustizia.

Ora il Dio di Kant, di Fichte, di Franklin, di Whasington non può volere che il diritto e la giustizia.

Se poi voi intendete il Dio del cardinale Antonelli (Rumori a destra 6 al centro), il Dio di Pio IX, io vi prego, o signori, di ricordarvi che questo non può essere il Dio di Vittorio Emanuele (Movimenti diversi). Questo è il Dio dell'Austria e dei Croati, e questi non possono volere il regno d'Italia né l'Italia.

«Questa grazia dì Dio poi, o signori, ricorda la storia delle crudeltà, ricorda re crudeli, re feroci; ricorda i re che hanno fatto abbruciare gli Albigesi. Se Vittorio Emanuele può essere re per la grazia di Dio, egli non potrebbe esserlo che come lo fu Enrico IV, Gustavo Adolfo, Federiceli, Caterina II; come Io fu Pietro il Grande e Napoleone I e III, quantunque anche questi prendessero il titolo della grazia di Dio per coprire con questo manto di porpora divina, quello il 18 brumaio, questo il 2 dicembre (Sussurri).

— 225 —

«Il Dio di Vittorio Emanuele non può essere che il Dio dei grandi re; esso non può essere come Filippo VII di Spagna, o Ferdinando II di Napoli.

«Ma io domando: Qual è il Dio che creò Re Vittorio Emanuele, qual è la provvidenza che lo ha fatto Re d'Italia? La provvidenza di Vittorio Emanuele fu Vittorio Emanuele, lui stesso, quando a Palestra esponeva la sua testa (Bravo); la provvidenza di Vittorio Emanuele fu l'esercito francese, che scese a combattere per l'Italia, e l'esercito italiano che cinque volte respingeva il nemico dai colli di S. Martino; la provvidenza di Vittorio Emanuele fu Garibaldi (Movimenti) che gli ha portato due Regni

«Voci. No! No!

«Altre voci. Sì! Si!

«Petrucelli... Fu il conte di Cavour, che per dieci anni lavorò per la libertà d'Italia; fu Mazzini (Nuovi rumori alla destra e al centro), che per 30 anni propugnò l'indipendenza d'Italia».

Questo tratto è tolto testualmente dagli Alti Ufficiali della Camera, N° 72, pag. 255. I nostri lettori avranno inorridito vedendo come un Deputato parlasse di Dio. Non è più il Re di Napoli che si maledice, né il Duca di Modena; non si offende più il Clero ed il Papa, ma è Dio, Dio medesimo che si malmena, che si moltiplica, che si nega. Non si rigettano più le sole Allocuzioni del Papa, ma il Dio di Pio IX, e si vuole il Dio di Fichte, di quel Fichte che creava Dio nelle sue lezioni, che coll'io assoluto e coll'io fenomenale convertiva a riprese Dio nell'uomo, e l'uomo in Dio, propugnando l'ateismo e il panteismo, tutte le più fatali eresie.

Oh! signori Deputati, lasciate almeno Iddio a questo povero popolo d'Italia così maltrattato, così vessato nelle sue sostanze, nella sua fede, ne' suoi affetti più preziosi; lasciategli quel Dio che visita le nazioni, quel Dio che umilia e che rialza, quel Dio che è paziente perché eterno, ma che è giusto perché è Dio. Questo Dio è la nostra speranza, il nostro conforto, e noi siamo certi del suo intervento in favore del diritto del Papa e della Chiesa. E forse, signor Petrucelli, ne siete certo anche voi, epperò bestemmiate questo Dio che temete!

«Combien le Dieu de la nature est différent du Dieu des prétres!» dicea Robespierre in Francia (Moniteur, 8 maggio 1794). «Il Dio di Pio IX non può essere il Dio di Vittorio Emanuele» dice il deputato Petrucelli in Torino. I principii dell'ottantanove producono i loro frutti sul Po, come li produssero sulla Senna.

Aspettiamoci a giorni di vedere portata in trionfo la Dea della Ragione. Forse che non abbiamo già visto comparire tra noi un giornale intitolato appunto la Ragione, e che proclamavala come una divinità? Forse che uno dei più attivi scrittori della Ragione non è oggidì uno dei Deputati più influenti? Forse che Ausonio Franchi, il fondatore e il direttore della Ragione, non insegna nelle nostre scuole la filosofia della storia?

In quella Camera dove due giorni fa voleansi dare solenni guarentigie al mondo cattolico, ora proclamasi l'ateismo. Se questa Camera si radunasse in Roma, il mondo cattolico udrebbe partire dall'alto del Campidoglio queste bestemmie, e Pio IX sarebbe costretto a sentire nella sua città condannato il suo Dio! di Diodi Pio IX non può essere il Dio di Vittorio Emanuele».

— 226 —

E voi che dite questo, e la Camera che lo lascia dire, volete stabilirvi a Roma insieme col Papa?

Eppure sì! Dopo il deputato Petrucelli parlò il deputato Varese, e dichiarò proprio che voleva andare a Roma, e starvi. Uditelo questo messere.

«Signori, volete andare a Roma e starvi: ci andremo a Roma e ci staremo, perché l'Italia vuole la sua Roma: la sua Roma, notate bene, giacchè, oh Vituperio! ci avevano ridotti a parlar di Roma, come se Roma non fosse Italia! Vi sono ancora degli ostacoli, voi confidate rimoverli colla diplomazia, lo spero; e se la diplomazia fallisse, se la diplomazia si dimostrasse impotente, e nonpertanto andremo a Roma. O in un modo o nell'altro, noi sapremo persuadere al mondo che dobbiamo andare a Roma, che non possiamo a meno di andarvi, che è il nostro diritto. Ma andiamoci colla fronte scoperta, senza i vecchiumi che non dicono più nulla, e inventati per un tristo fine. Nessuno poi ci sospetti d'ipocrisia, che è mantello indegno». (Atti Ufficiati, N' 72, pag. 256).

Noi non ci stenderemo di più su quest'argomento. Le parole che abbiamo riferito sono piene d'insegnamenti, dipingono gli uomini, annitnziano i disegni, mostrano la nuova Italia, e valgono meglio di un lunghissimo articolo. Solo ti sia permesso di aggiungere che nel primo Parlamento italiano, che si dice figlio della libertà, e fonte di libertà, la libertà umana venne negata, e il deputato Boggio stimò necessario di difenderla colle seguenti parole:

«Dacchè l'onorevole Petrucelli citava Fichte ed Hegel per dimostrarci che il concetto della Divinità non si concilia con quello della umana libertà, io gli posso citare Dante, il quale, nel canto xvi, se non erro, del Purgatorio dà una così bella e luminosa dimostrazione del come la volontà libera dell'uomo si concilii colla grazia di Dio.

«Valga il pensiero del gran poeta a risolvere i dubbi che ancora fossero nell'animo dell'onorevole Petrucelli, il quale certamente, al pari di me, ha fede nel genio e nel patriottismo di Dante Alighieri». (Atti uff. loc. cit.).

E pensare che nel primo Parlamento italiano bisogna invocare l'autorità di Dante Alighieri per provare che i Ministri sono liberi, che i Deputati sono liberi, che gli uomini sono liberi, che v'è una differenza tra il Sovrano ed un insetto, tra Petrucelli ed un coppo, tra Cavour e i serpenti a sonagli che si espongono in piazza Carlo Felice!

O Italiani, eccovi il bel primato morate e civile che vi procacciano i vostri rappresentanti. Essi convetlono il mondo in una lanterna magica, e con questa filosofia dulia storia pretendono d'aver fatto l'Italia!

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LA SOPPRESSIONE DELLA TEOLOGIA

E GLI SPROPOSITI DEL DEPUTATO MACCHI

(Pubblicato il 13 marzo 1863).

«La révélation ne saurrait étre en désaccord avec la science: car la vérité est une, et ne peut souffrir le moindre partage (MERCEL Hk Sebres, De la création de la terre e de corps celeste, pag. 2).

Nella tornata dell'11 di marzo 1863 il deputato Mauro Macchi propose che il nuovo Regno d'Italia abolisse nelle Università l'insegnamento della teologia cattolica, e questa sua proposta si appoggiava a due ragioni. La prima, perché nessuno vuole imparare la teologia che s'insegna nelle Università; la seconda, perché la teologia cattolica non insegna cose giuste e vere!

«Su 19 Università che or si contano in Italia, diceva il deputato Macchi, in ben 14 non v'è neppure uno studente di teologia, Neppur uno. In quella di Pisa ve ne Sodo due, in Cagliari tre, in Torino cinque, in Palermo sei, ed in Sassari, dove i Teologi accorrono più frequenti, se ne contano sette. In tutta Italia sonvi VENTITRE studenti di teologia governativa; i quali, fra rettori, vice-rettori, professori e bidelli, occupano ben TRENTANOVE impiegati, con uno stipendio complessivo di oltre OTTANTUNMILA franchi (81, 109 58). Che se voleste i dettagli, son pronto a fornirveli. E notale che in questa grossa cifra non sono comprese le spese per l'insegnamento teologico nelle Università di Catania, di Messina e di Palermo; imperocché nel bilancio, e nella sua votazione, non si trovano distinte, come per le altre Università sopra accennate. Ond'io non sono andato lungi dal vero, proponendovi la somma complessiva di 100. 000 franchi da sopprimersi per l'insegnamento teologico».

Questa era la ragione economica addotta dal Macchi. Ma prima ne aveva arrecato un'altra scientifica, dicendo: «Lo Stato si occupi di far insegnare le cose giuste e vere, e non si occupi del resto. Faccia apprendere alla gioventù la geologia e la fisica, da cui appare irrefragabilmente che il nostro globo conta già milioni d'anni, e non paghi del suo chi insegna, invece, la leggenda dei magri settemila. Faccia apprendere l'astronomia, da cui appare che il nostro globo è umile vassallo di un pianeta, il quale è centro di un solo fra gli infiniti sistemi planetari che brillano nell'immensità dello spazio, e non paghi chi vorrebbe far credere essere la nostra misera terra, centro e scopo di tutto il creato. Faccia insegnare l'antropologia e l'etnologia, da cui appare ornai inconfutabilmente la moltiplicità delle razze, e non paghi chi ha interesse a dare ad intendere che l'intera umanità deriva da un pugno di terra bagnata di sputo (sic)» (1).

(1) Vedi il Diritto del 12 marzo, e gli Atti Ufficiali della Camera, N 1082, pag. 4212.

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Rispondiamo alle due ragioni. Pochi frequentano la teologia universitaria, perché non si ha nessuna guarentigia che sia la teologia cattolica; perché è una teologia insegnata senza la sorveglianza dell'autorità ecclesiastica. Il fondamento della teologia è l'Ite et docete detto agli Apostoli, e non ai Guardasigilli. Volete che le Facoltà teologiche sieno frequentate? Rendete la teologia quello che dev'essere, e fate che intervenga l'autorità della Chiesa nel suo insegnamento.

— Ma noi aboliremo la teologia, giacche nessuno vuole studiarla. — Pessimo discorso. Abolire la teologia vuoi dire abolire l'articolo primo dello Statuto, vuoi dire proclamare lo Stato ateo. Volete abolire la Camera dei deputati, fondandovi sulla ragione che pochi onorevoli intervengono? Volete abolire i comizi elettorali, perché costantemente vi mancano tre quarti degli elettori? No davvero. Voi studiate rimedii perché e la Camera e le elezioni sieno frequentate. E studiate egualmente rimedii perché si frequentino le scuole teologiche delle Università. E il rimedio radicalo, efficacissimo, unico è questo: Fate che la teologia sia teologia, e venga insegnata da chi ha missione d'insegnarla.

— No, soggiunge il deputato Macchi, la teologia cattolica non insegna cose giuste e vere. Essa si oppone alla geologia, all'astronomia, all'antropologia. — Forerò sciocco, povero ignorante! Egli parla come un Volteriano del secolo passato. Egli ignora i progressi di quelle stesse scienze che invoca contro l'insegnamento cattolico. Egli fa ridere di compassione i veri dotti. «Qual è oggidì, chiedeva De Férussac, qual è il geologo che non sorriderebbe di compassione all'udire le argomentazioni scienti6che di Voltaire contro la Genesi?» Povero Macchii Povero sciocco! Proviamoci a dargli qualche indirizzo per istudiar meglio la materia su cui vuole discorrere. E troppo breve l'articolo di un giornale per una simile lezione; ma se il Macchi volesse un libro, saremmo pronti a regalarglielo con tutte le relative citazioni, che qui ommetteremo per amore di brevità.

Signor deputato, studiate le scoperte di Young e di Fresnel che fanno prevalere sulla teoria dell'emissione dei raggi quella delle vibrazioni e delle interferenze, e capirete il capo 1°, vers. 3° della Genesi, dove è detto che la luce esisteva prima degli astri. Pareva questa un'assurdità, ed è una verità scientifica (1). Leggete Beaudant, Bory-Saint-Vincent, Marcelle di Serres, il Bollettino di Ferussac, la Geologia del Boubée, la Storia naturale del globo terrestre di Démerson, e vedrete che l'ordine delle creazioni, come si verifica in geologia, concorda pienamente colle sei epoche della cosmogonia mosaica. Consultate Delalle, Foisset, e soprattutto Acheri, e troverete vittoriosamente difesa la Santa Scrittura e i Santi Padri dalle assurdità dogmatiche, che prima di voi, signor Macchi, osavano rimproverare alla teologia cattolica il Letronne ed il Libri.

Addentratevi un po' nella scienza, e dopo di aver studiato ancora qualche anno, diventerete cattolico. Buckland vi mostrerà l'università dell'ultima crisi diluviana, che si voleva partire in particolari inondazioni; Saussure e Dolornieu vi diranno che spropositaste sull'antichità del globo presente;

(1) S. Basilio, Hexameron, tom. 2, e S. Cesarie, Dialogo 1°, hanno preceduto di molti secoli i più famosi astronomi.

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e De Luc vi proverà matematicamente che settemila anni prima la terra, dove siete e che non conoscete, non era abitabile da un uomo solo! E vedrete Cuvier nel suo Discorso sulle rivoluzioni del globo aderire a questa conclusione e mostrare di più, che seicento anni prima di Gesù Cristo scompare ogni traccia di storia concatenata e credibile, eccetto quella degli Ebrei; e l'orientalista Klaproth come William Jones dichiarare che al di là di alcune centinaia d'anni prima dell'era nostra sono chimere tutti i documenti storici che può fornire l'Asia, la cui autorità follemente si volle paragonare all'autorità della Bibbia.

Studiate, signor deputato Macchi, che n'avete bisogno. Studiate Bentley e v'insegnerà che sono favolose certe osservazioni antidiluviane, e vi proverà la data moderna di certe tradizioni gangetiche, di cui menavasi tanto rumore, e fra le altre la famosa leggenda di Krishna, posteriore all'èra volgare. Studiate Abel Rémusat, e imparerete come sieno recenti le istituzioni lamaiche, e come il buddismo non sia che la parodia del Cristianesimo. Studiate e vedrete H famoso Ezoun-edam che già dava qualche forza apparente ai sofismi di Voltaire, venir riconosciuto da Ellis per una creazione più moderna ancora dei Pouranas, e de’ conventi buddisti del Thibet. Studiate da ultimo Champollion, e vedrete dimostrato invincibilmente coll'ainto delle iscrizioni greche e dei geroglifici fonetici, che i famosi zodiaci che dicevano di quindicimila anni, e de’ quali parlavano nel secolo passato i rivoluzionari francesi, che oggi imitate voi, o retrogrado Macchi (vedi il Moniteur del 25 pluvióse, an. x), non contavano nemmeno ottocento anni, scoperta che mostrò le ridicolaggini del Dupuis.

Voi, deputato Macchi, che negate l'unità primitiva della specie umana, studiate Lacépède e De Virey, e i bei lavori di Blumenbach, e vedrete che quest'unità non può ormai più dare luogo a un dubbio serio dopo i numerosi esempi di mutazioni di razze radunati dal dottore Dwight, gli schiarimenti decisivi dati dal professore Mitchell, e l'adesione completa di Flourens. Osservate d'altra parte tutte le nazioni, nell'indicare la loro origine, convergere verso uno stesso punto di partenza, la regione del Caucaso, e gli abitanti delle due penisole dell'India, per esempio, dichiararsi venuti dall'Occidente, come gli Europei sanno che sono venuti dall'Oriente. Vedete l'America, che si faceva uscire dalle acque più tardi del resto del mondo, ciò che oggidì è riconosciuto falso, come risulta dai Monumenti americani dell'Humboldt, l'America per cui creavasi una razza d'uomini a parto, vedetela ora. riconosciuta come quella che ricevette dall'Asia le sue istituzioni, le sue arti, i suoi costumi, la sua popolazione medesima per via di successive immigrazioni, di cui si può oggidì seguire l'incesso col mezzo de’ suoi monumenti così bene studiati dai Caleb Atwater, dai Drake, dagli Assali e dai Warden.

Sono soltanto gli sciocchi, signor Macchi, che disprezzano i libri di Mosé, «questi libri che nessun monumento astronomico o storico ha ancora smentiti», come nota il Balbi nell'Attante etnografico del globo. Le tradizioni di tutti i popoli presentano col Pentateuco un accordo prodigioso. A Ceylan trovate il Picco di Adamo, il Ponte d'Adamo, e tra gli Aztechi la donna del serpente (Cihva-Cohvali) madre del genere umano.

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Gl'Insulari del Tonga nel Mare del Sud vi raccontano la storia di Caino e di Abele, e i Messicani quella della Torre di Babele, rinnovata nella Camera di Torino. Trovate il diluvio di Noè nella mitologia dei Greci, e in quella degli Scandinavi, nelle idroforie Romane, e nelle memorie locali d'Jerapoli e d'Apamea, e in quelle di Cuba, e nella favola messicana di Coxcox o Tezpì, e nei poemi sacri della Cina e dell'Industan. Isacco Newton diceva della Bibbia:

«Trovo maggiore autenticità in questo libro che in qualsiasi altra storia profana». E Atanasio Coquerel scriveva a suo fratello: «Decisamente la Storia Santa resta la prima. Ogni scoperta la conferma così nello studio dell'antichità, come in quello della natura, e per chi vuoi credere, la facilità di credere aumenta ogni giorno». E Ballanche, nella Palingenesia sociale - «Le scienze sono venute a confermare la Bibbia nel momento i stesso in cui si poteva credere che la fede non bastasse più».

Ma che facciam noi in quest'articolo? Intraprendiamo un'apologia della Storia mosaica? Lascieremo agli empii ricopiare le sciocchezze di Voltaire, di Volney, di Dnpuis, e noi a nostra volta ristamperemo le vittoriose risposte dei dottori cattolici? Pisanelli e Pasolini sarebbero ben lieti di questa nostra occupazione, Essi amerebbero veder l'Armonia dedicarsi a tal genere di studi, e chiudere gli occhi sugli scialacqui del Minghetti, sulle usurpazioni di Pisanelli, sul despotismo di Peruzzi e sulle mene di tutti i cospiratori. Tuttavia non è questo il compito d'un giornale. Per rispondere a Macchi ci sono i libri, e libri che non hanno più bisogno d'essere fatti e stampati, giacchè lo sono da molto tempo, e ci pare d'aver dimostrato di conoscerne parecchi. A questi dunque rimandiamo gli avversari, rimettendoci sul nostro cammino.












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