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MEMORIE
PER LA
STORIA DE’ NOSTRI TEMPI
DAL
CONGRESSO DI PARIGI
NEL 1856
AI GIORNI NOSTRI
TERZA SERIE

TORINO
Dell'unione Tipografico-editrice
Via Carlo Alberto, casa Pomba, N. 33
1865
Volume Secondo - (2)

Il libro di Margotti merita di essere diffuso e conosciuto. L'autore non è un volgare propangadista "reazionario", si tratta di persona dotata di una mente brillante e di una cultura sterminata.

Egli spulcia migliaia di pagine degli atti parlamentari, mettendo a nudo le falsità e il pressapochismo del gruppo di avventurieri che governa il nuovo regno d'Italia.

Se volete saperne di più leggete le note biografiche scritte da Angela Pellicciari.

Zenone di Elea, 16 Febbraio 2009



(se vuoi, puoi scaricare il testo in formato ODT o PDF)


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CARLO LUIGI FARINI

L'OPINIONE, IL CONSTITUTIONNEL E L'UNITÀ D'ITALIA

(Pubblicato il 24 dicembre 1862).

Nel chiudere il secondo volume dello Stato Romano Carlo Luigi Farini, ora presidente del ministero, volle «aprir l'animo per forma che ogni onesto e benigno lettore di qualsivoglia parte lo comprendesse». Imperocché, dicea il Farini e onoro ogni uomo che è franco, che è fermo nelle sue convinzioni sincere»; e gridava contro «l'ipocrisia, la classica turpitudine ingannatrice dei semplici».

Protestava pertanto il nostro presidente del ministero di voler combattere i Mazziniani. «Li combatto, e li combatterò fermamente, francamente perché in coscienza credo la parte loro infesta alla concordia italiana, infesta alla libertà civile, funestissima all'indipendenza». E poi passava a dire i divarii che corrono tra la politica dei mazziniani e la politica di lui, Carlo Luigi Farini.

E dicea il nostro presidente del ministero: «Eglino a sinistra, noi a destra; essi per la repubblica, noi per le monarchie costituzionali; ESSI PER L'UNITA' D'ITALIA, NOI PER LA FEDERAZIONE». Queste precise parole si leggono nello Stalo Romano per Luigi Carlo Farini, voi. n, Firenze, Felice Le Monnier 1850, cap. XVIII, pag. 387, linea 26 e 27.

Il Farini avea premesso «disprezzo e detesto tutte le ipocrisie», epperciò francamente ripigliava: i Mazziniani stanno per l'unità d'Italia, io sto per la federazione; e metteva a fascio i fautori della repubblica con quelli dell'unità italiana. Ed alla causa della federazione contro l'unità d'Italia il nostro Farini volea dedicare «l'ingegno, la parola, il braccio, tutto».

Ora volete dire che l'uomo della federazione sia divenuto il Ministro della unità d'Italia? Non lo crediamo, e non lo possiamo credere. Nella stessa pagina, in cui Farini dichiarava di voler combattere i fautori dell'unità d'Italia, deplorava nobilmente «la sventura degli uomini, che stanno con tutte le parti, la sventura di quei liberali che non sanno pigliare la parte loro, la schifosità dei servitori di tutti i governi, la turpitudine degl'ipocriti politici, lo vuo' dire con parola volgare e proverbiale, perché è volgarissima turpitudine, la schifosità della gesuiteria politica. Nella vecchia società pagana ogni depravazione avea un altare; costoro hanno un turibolo per tutti i pariti: oggi col Papa, domani col circolo popolare: oggi ministri dei Principi costituzionali, domani ministri repubblicani. Vi dirò io chi siete, o signori: - voi siete ministri di depravazione; voi depravate le coscienze, voi scoraggile gli onesti, voi oltraggiate la virtù, voi imbellettate il male e la codardia, l'ambizione, la cupidigia col sacrosanto amore di patria. Vi dirò io chi siete: - Voi siete ministri di distruzione; voi preparate quella distruzione che la rivoluzione incessante ha operato in Francia, la distruzione della coscienza politica, quella distruzione che alla nobilissima Francia o stata più funesta di tutte le distruzioni operate dalla mannaia. Vi glorificate di servire il paese, la nazione, la patria, e non il principe, non le dinastie, non le repubbliche?

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Pretta ipocrisia, classica turpitudine ingannatrice dei semplici, la quale indarno vuoi far sua complice l'umana favella, indarno vuole attutare i rimorsi della coscienza. In ogni governo franchi amici e franchi nemici: si cade coi governi che si son serviti e difesi; si sale colla propria parte che trionfa: questa è la morale: Chi sta o vuoi stare sempre ritto... io non vuo' dir come si chiami colui; dico che posa il piede nel fango, e alla fin fine nella coscienza pubblica, è un sepolto vivo nel fango».

Non è possibile che, dopo queste parole, il Farini, che nel 1850 dicea dei Mazziniani: «essi per l'unità d'Italia, noi per la federazione»; non è possibile che nel 1802 combatta la federazione e stia per l'unità d'Italia! Il Farini non vuole seppellirsi vivo nel fango, come coloro che stanno o vogliono star sempre ritti.

Dopo di ciò pare finirà la questione insorta testò tra l'Opinione di Torino e il Constitutionnel di Parigi. L'Opinione avea annunziato che il cavaliere Farini, parlando col signor conte di Sartiges, ministro francese presso la nostra Corte, dichiarava di non poter entrare in trattative, finché la politica delle Tuileries non fosse favorevole all'unità d'Italia. Il Constitutionnel del 22 dicembre avea un articolo sottoscritto Boniface, il quale smentiva completamente l'Opinione, e diceva entièrement controuvées le pretesa dichiarazioni fatte dal Farini. L' Opinione del 23 dicembre rispondeva: «per quanto stimiamo il Constitutionnel un giornale autorevole, non possiamo accettare la sua smentita». E intanto l'Opinione confermava la data notizia.

Noi stimiamo egualmente il Jacob dell'Opinione e il Boniface del Constitutionnel. Tuttavia incliniamo più a credere «La smentita dell'ultimo che alla notizia della prima. E come volete, monna Opinione, che il vostro Farini abbia fatto dichiarazioni al conte di Sartiges in favore dell'unità d'Italia, mentre il presidente del ministero già disse de' Mazziniani: «noi per le monarchie nazionali; essi per l'unità d'Italia?». Non vi vergognate, o signori dell'Opinione, di attribuire al primo nostro ministro una contraddizione così smaccata? Il signor Boniface ha miglior concetto di lui, e non crede che il Farini possa giungere a tale eccesso da sostenere in faccia al rappresentante di Francia que' sistemi che ha già riprovato come mazziniani, e che giurò di combattere coll'ingegno, colla parola e col braccio.

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PENSIONE AL CAVALIERE FARINI

(Pubblicato i 1° aprile 1863).

Il progetto di legge per la pensione all'onor. Farini propone che venendo egli a morte, la metà di essa devolvasi alla di lui madre, l'altra metà alla moglie. La relazione ministeriale dice così:

« Signori! - A voi tutti sono note le circostanze, per le quali l'illustre nostro collega, il cav. Farini, fu costretto di rassegnare nelle mani di Sua Maestà le funzioni che esercitava nei consigli della Corona. L'Italia non ha certo dimenticati, né vorrà mai dimenticare gl'importanti servigi che questo illustre uomo di Stato le ha reso, tenendo alzata con una indomita tenacità, in momenti difficilissimi, quella bandiera che le acquistò, frammezzo a mille pericoli, il diritto di essere riconosciuta nazione.

«Essa, colpita nel giro di pochi mesi dalla grave sventura di aver perduta l'opera di due dei suoi più illustri fattori, è in dovere di non abbandonare, senza un attestato di riconoscenza, chi l'ha fedelmente servita, e tutta ha a lei dedicata la sua operosa esistenza, con una abnegazione e un disinteresse, di cui non s'hanno per sicuro esempi maggiori. Spinto da queste considerazioni, il Consiglio dei ministri ha unanimemente deliberato di proporre alla sanzione del Parlamento un progetto di legge, colla cui adozione esso si associerà alle intenzioni del valoroso nostro Sovrano, il quale, autorizzandola presentazione di questo progetto, intese fare novello omaggio alla santità della nostra causa col premiare uno dei suoi più illustri e più efficaci iniziatori». Registriamo il documento senza commenti.

LA PENSIONE AL CAVALIERE FARINI

EX-PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

(Pubblicato il. 1 aprile 1863).

La Presse, del 2 di aprile, ci dà la dolorosa notizia che la salute del signor Farini non migliora, e che l'ultimo consulto medico non lascia nessuna speranza. Noi abbiamo già riferito la relazione del suo successore, Marco Minghetti, il quale ha proposto alla Camera, nella tornata del 27 di marzo, di assegnare al Farini una pensione annua di lire ottomila. Gli articoli di questo progetto di legge sono i tre seguenti:

«Art. <. È assegnata a Luigi Carlo Farini, già Presidente del nostro Consiglio dei Ministri, l'annua vitalizia pensione di L. 8000. Art. 2. In caso di morte del titolare, la suddetta pensione sarà riversibile per una metà a favore della madre di lui, e per l'altra metà a favore della moglie. Art. 3. Tale annualità sarà inscritta sul bilancio passivo dello Stato alla apposita categoria».

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Tutti i giornali dicono che ottomila lire non bastano. Che cosa sono ottomila lire a chi vi ha dato il ducato di Modena, il ducato di Parma e Bologna? Che cosa sono ottomila lire a chi ottenne da Napoleone III la licenza d'invadere le Marche e l'Umbria? Che cosa sono ottomila lire a chi promosse nel 1845 l'insurrezione di Rimini, e scrisse il manifesto degl'insorti? Che cosa sono ottomila lire a chi sostenne la rivoluzione colle sue storie, colle sue lettere, co' suoi proclami?

LA MALATTIA E LA PENSIONE

DEL CAV. FARINI

(Pubblicato il 16 aprile 1863).

L'Opinione del 15 aprile, N° 104, ci dà le due seguenti notizie relative al cav. Farini. La prima notizia dice: «La Commissione nominata dalla Camera per esaminare lo schema di legge concernente la pensione da accordarsi al cav. Farini, nella riunione che tenne ieri, sappiamo che, secondo il mandato ricevuto dagli uffizi, deliberò di proporre sia accordato al cav. Farini un assegnamento vitalizio di L. 25 mila annue, riversibile alla di lui morte per L. 4 mila alla madre, e L. 4 alla moglie; e gli sia inoltre accordato un dono nazionale di un capitale di L. 200 mila. L'onorevole deputato Giorgini venne nominato relatore». Dopo di ciò l'Opinione immediatamente soggiunge: «Le notizie del cavaliere Farini sono pur troppo viepiù inquietanti. Sorpreso da un colpo apoplettico, rimase parecchio ore senza dar segno di vita, e, mentre pareva manifestarsi un leggiero miglioramento, la malattia si è invece aggravata».

Non occorre dire che ci duole assai della nuova disgrazia toccata al cavaliere Farini. Se dipendesse da noi, vorremmo restituirgli l'antica salute. Ma ormai dicono che si disperi della sua guarigione, quantunque sia in età ancor buona, essendo nato nel 1812, due anni dopo il conte di Cavour.

La Perseveranza del 15 aprile scrive su questo doloroso argomento sotto la data di Torino, 14 aprile: Il Farini ha avuto ieri l'altro a sera una sincope-, ed è rimasto sei ore senza dar segni di vita né poter essere mosso neanche di dove alle prime era caduto. Né aveva racquistato sino a ieri la favella ed il moto. I figliuoli stanno presso di lui. Questa dolorosa notizia ha affrettato la nomina della Commissione per la proposta di legge di una pensione al Farini, riversibile per metà alla madre, per metà alla moglie. E questa Commissione ha accelerato il suo lavoro, e nominato quest'oggi il suo relatore nel Giorgini. «Non vi so per l'appunto dire le risoluzioni della Commissione; ma credo che esse sieno molto più larghe che non la proposta del ministro. Ed è bene. Il Farini ha tenuto la promessa di morir povero; e non che avere un dippiù, se ora morisse, morrebbe con un di meno. E questo la nazione italiana non deve né può sopportare. Essa deve sentire e provare di sentire, che un colpo di genio del Farini, governatore in Modena alla conchiusione della pace di Villafranca, risollevò le popolazioni dallo sgomento in cui quella pace l'ebbe gittate, e pose il primo suggello e dette la prima spinta alla formazione dell'unità d'Italia».

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RELAZIONE E PROGETTO DI LEGGE

PER ASSEGNO E RICOMPENSA AL CAV. FARINI

(Pubblicato il 18 aprile 1863).

Signori,

Dopo la pace di Villafranca corsero per l'Italia giorni di sgomento e d'angoscia: quando, troncato a mezzo il corso della vittoria, il frutto d'immensi san ili/i pareva perduto, e le ristaurazioni imminenti: quando, senza Napoli che non s'era anche mosso, senza il Piemonte, che aveva dovuto ritirarsi dalla lotta non curando i consigli, disprezzando le minaccie dell'Europa, le popolazioni dell'Italia centrale, sole abbandonate a se stesse, innalzarono il vessillo dell'unità nazionale. Questa rivoluzione che non somigliò a nessun'altra, che non fu macchiata da nessun delitto, che non trascorse di un passo, che non deviò un momento dallo scopo che s'era prefisso, che unì l'audacia alla prudenza, all'entusiasmo che non misura gli ostacoli, la pazienza e l'abilità che li vince: questa rivoluzione, o per dir meglio questa politica, che ci meritò il rispetto e le simpatie dell'Europa, che impedì le ristaurazioni, che fece le annessioni, che salvò l'Italia, ebbe a capo due uomini: uno di questi fu Carlo Farini.

D'una lunga e operosa esistenza, che fu tutta consacrata all'Italia, basti rammentare questo solo periodo, per dire di che al Farini sia debitrice l'Italia.

Ma il lavoro concitato, indefesso, le continue e violenti emozioni di quel tempo e de' successivi gli andarono lentamente corrodendo le forze, e spegnendo il vigore dell'animo, il Farini cadeva al suo posto, servendo il paese, come un soldato mutilato sul campo di battaglia.

Proteggere i suoi ultimi giorni dagli effetti di quella povertà, che era stata la sua più nobile ambizione, è dunque per l'Italia un debito sacro; e la proposta di un assegno, che il Parlamento gli dovesse decretare, fu, come doveva, accolta dagli uffici con affettuosa premura. Il dubbio non poteva cadere che sul modo e sulla misura dell'assegno.

Si sarebbe da qualcheduno desiderato che questo consistesse in un dono conveniente alla grandezza del nuovo regno e all'importanza dei servigi, dei quali sarebbe stato la ricompensa. E la Commissione non avrebbe esitato a far suo questo desiderio, se a combattere non si fosse potuta addurre altra ragione che quella tondata sulle strettezze dell'erario. Ma noi abbiamo creduto che l'idea di una ricompensa nazionale, trasmissibile ai discendenti, sebbene potesse appoggiarsi all'esempio di altre nazioni, avrebbe ripugnato a tutto quanto lo spirito delle nostre istituzioni. D'altra parte il principio che ogni grande estraordinario servizio reso allo Stato dia titolo ad una ricompensa da ridursi in danaro, non potrebbe alla lunga non indebolire il sentimento dei doveri che abbiamo verso la patria, abbassare i caratteri, offuscare il merito e corrompere i motivi stessi della virtù.

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Una delle glorie più vere della nostra rivoluzione e del nostro paese, una giustizia che tutti i partiti saranno superbi di rendersi scambievolmente, è appunto questa. In Italia le vicende politiche sono state per molti una causa di rovina, il potere non ha arricchito nessuno. C'è in questo fatto un motivo di consolazione per noi; un altro insegnamento per le generazioni avvenire: non lo tocchiamo! v

La Commissione fu dunque unanime nel ritenere che il dono nazionale da decretarsi al commendatore Farini non dovesse aver altro scopo, che quello di provvedere a certi bisogni, dei quali non era difficile determinare l'indole e l'estensione. Essa è inoltre convinta, che allo scopo indicato basteranno gli assegni fatti col progetto di legge che ho l'onore di sottoporvi. Possa il voto che voi darete giungere all'illustre cittadino come un attestato dei sentimenti, coi quali la rappresentanza del paese l'accompagna nel suo modesto ritiro.

Sì, signori. Due anni non sono compiuti da che il conte di Cavour scese nella tomba, e una grave infermità obbliga il Farini a ritirarsi dalla vita pubblica. Ma noi, chiamati a continuare l'opera loro, noi forse destinati a veder chiusa la volta del grande edificio, noi ricorderemo sempre con devota riconoscenza le braccia vigorose che ne piantarono le fondamenta.

Progetto di legge.

Art. 1. E' assegnato a Luigi Carlo Farini, già presidente del Consiglio dei ministri, una rendita vitalizia di lire 25|in., reversibile dopo la di lui morte per lire 4|m. alla madre, e per altrettante alla moglie.

Art. 2. È inoltre accordato al cav. Farini un dono di lire 200|m. effettive.

Art. 3. Gli assegni di che agli articoli precedenti saranno inscritti sul bilancio passivo dello Stato in appositi capitoli.

I COSPIRATORI PAGATI DA FARINI

COI DANARI DELL'EMILIA

(Pubblicato il 14 maggio 1863).

In quello così strano quanto impudente commentario sul conte di Cavour che si pubblicò nella Rivista Contemporanea, leggesi: «Trovo scritto con abbastanza di autenticità, che L. Farini, dittatore dell'Emilia, era stato largo dei migliori mezzi per condurre a termine» la rivolta della Sicilia, pag. 48.

Quel che qui il N. Bianchi trova scritto, non è se non la patente dichiarazione che esso Crispi fece nella seduta del 26 febbraio 1863, dicendo «Non dimenticherà l'onorevole Presidente del Consiglio che, quando era nell'Emilia. e noi cospiravamo in Sicilia, ci fu largo di favori pel trionfo della causa nazionale».

Si notino due cose: primo, che non era dopo succeduta la sollevazione, ma quando si cospirava. Secondo, che è ben fuori di posto quel titolo di causa nazionale, quando la Sicilia non cercava che d'esser distaccata dal Napoletano.

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GLI ULTIMI MOMENTI

DI CARLO LUIGI FARINI

(Pubblicato il 14 agosto 1864).

Il signor L. Frapolli che fu ministro di Carlo Luigi Farini dittatore in Modena, pubblicò in tre numeri del Diritto (219, 220, 221) uno studio storico sugli ultimi suoi anni. Nel terzo articolo che vide la luce sul Diritto del 13 di agosto leggesi una relazione sull'ultima malattia del Farini che merita di venire raccolta. Il Frapolli è amicissimo del Farini e scrive sul Diritto, due cose che dicono come scriva, e come senta. Giunto a dire del Farini nel 1863 si esprime così:

«II sole di marzo tiepido scioglieva le aure di primavera. Grave di episodii strazianti e di sublimi fatti fervea la lotta disperata sulla lontana Vistola; e, tutta, l'Europa dei popoli ne era commossa. . Napoleone di Gerolamo - del quale dirà la storia quanta parte ebbe nel riscatto d'Italia - aveva pronunciata, al Lussemburgo, la eloquente arringa per cui tremò un istante il carnefice della Neva. Il magico filo che traversa i monti, ne dava un sunto fra noi. Farini più non si contenne. V'era in quel dì consiglio dei ministri. Lesse loro il dispaccio e tacque; poi si raccolse col capo fra le mani, in profonda meditazione. Finito il consiglio, chiese udienza dal Re.

«Quel dispaccio era stato, per la mente inferma di Farini, una rivelazione. Per lui, le genti di Francia già varcavano il Reno e le Alpi, per costringere i despoti d'Europa alla giustizia; e rinvenuto l'entusiasmo dei giovani anni, ci mal sopportava che l'Italia fosse ultima alla santa guerra; domandava al Re, rinnovasse i prodigi di Palestro; insisteva presso i colleghi, perché tutto si approntasse; sperava di essere primo alla partenza.

«Il 20 marzo, nella mattina, si tenne ancora alla presidenza, ed era più del solito operoso, e tutto disponeva pel gran viaggio. Firmò alcuni decreti che gli stavano u cuore; né si diede pace finché una povera famiglia, alla quale egli aveva procurato un sussidio, non ebbe ottenuto il regolare mandato di pagamento. Non presentò dimissioni dalla carica di ministro, né allora, né poi. rientrato a casa sua, rilasciò procura al maggior figlio; fece dono dell'orologio avito alla povera Ada; domandò si ritenesse, per la sera, un carro al cammin di ferro.

«Nel dopopranzo un amico di lui - e non della ventura - si trovava a custodia sua nel salotto dell'appartamento, dalla famiglia Farmi occupato, al N" 12 del Viale a Piazza d'Armi. Il pover Uomo sedeva nell'apertura d'una finestra, la faccia rimpetto al crepuscolo che inviluppava i monti di Susa.

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Quando rivolto sereno il ciglio verso l'amico: «Per là, diceva animato, per là si passa in Francia Oh! Grande e generosa è la Francia; vedete, i suoi eserciti percorrono l'Europa; la Polonia e l'Ungheria sono salve; il Papa più non esiste... l'Italia è fatta. Oh! Voi, voi non avete fede, voi rimanete freddo...» Ahi! Davvero, c'era di che farsi di gelo. -Poi, ricaduto, abbassava tristamente il capo di contro al piano e: Quanto è bella la natura, egli sclamava: guarda quelle vette come si frastagliano sul ciclo di rose e chiudeva le stanche pupille.

Ma tosto ei si alzava a furia, e «Presto, presto, Giuseppe, l'uniforme; è l'ora della partenza, Cialdini è a cavallo; egli marcia con centomila soldati, bisogna raggiungerlo, raggiungerlo». E la forza di due robusti amici potevano a mala pena trattenerlo.

«Verso le dieci e mezzo della sera, Michelangelo Castelli ed il secondo figlio di Farini, Armando, adempivano al pio incarico di condurre l'amico e il padre alla stazione. Rimanevano il figlio Domenico ed il sottoscritto a conforto delle afflitte donne. Della turba dorata più non si vide alcuno: Ei non era più.

«Partì Farini da Torino in quella sera del 20 marzo - tre anni prima, giorno per giorno, egli vi era entrato portatore delle tre corone dell'Emilia - ora ne partiva, ma per essere condotto allo stabilimento di salute della Novalesa, nelle Alpi del Cenisio. Là, dopo i primi giorni, si credette ad un miglioramento; era calmo; passeggiava, parlava coi contadini e non si accorgevano del che ne fosse.

«Il 12 aprile - era domenica - Farini camminava tranquillamente nel tristo luogo, fra' suoi due figli, quando, sentitosi male, ei s'appoggiò sull'uno di essi, si lasciò cadere a poco a poco, e perdette la loquela; poi fu assalito da crisi violenta che durò presso a tre ore. - Era stato posto sopra uno stramazzo. - Quando in sè rinvenne e che potè farsi comprendere, egli aveva le sue idee più chiare che d'ordinario. «Io soffro, ei lamentava, soffro molto; io lo vedo «bene, devo morire poco a poco; però è troppo il dolore, e non è giusto, per «me che non ho mai voluto far che del bene!».

«Poi ritornava all'abituale «quasi beata, ma tremenda apatia, ed allo stato assoluto d'immemore infanzia nel quale ei si trova, e dal quale, più non si risorge.

«Così finiva un uomo. Povero Farini!».

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MARCO MINGHETTI E LE FINANZE ITALIANE

Fu detto che la questione Italiana era una questione di finanze, e la sentenza è vera sotto moltissimi rispetti. Tutte le rivoluzioni sono doppiamente una questione delle finanze, in quanto cioè i rivoluzionarii le fanno nascere per amore finanziario, e poi una catastrofe finanziaria le fa morire. Converrà pertanto che noi in queste nostre Memorie ci occupiamo alquanto diffusamente delle finanze italiane, massima che da tal lato in ispecie bisogna giudicare Marco Minghetti succeduto a Carlo Farini nella Presidenza del Ministero. Ecco adunque alcuni articoli che oltre i fatti recano eziandio gli affetti del giorno in cui vennero scritti e pubblicati.

ROMA IPOTECATA DAL CONTE DI CAVOUR

(Pubblicato il 23 gennaio 1S63).

«Il conte di Cavour tolse al programma repubblicano t'ultima grande idea che questo racchiudeva, e proclamò Roma capitale d'Italia, Ipotecando, per cosi dire, la città eterna a beneficio del principio monarchico»

(Jacini, La questione Romana al principio del 1863, pag. 47).

Di questi giorni il signor Stefano Jacini già ministro dei lavori pubblici, ora deputato al Parlamento italiano, regalò gentilmente all 'Armonia un suo libretto di 88 pagine stampate in Milano dalla tipografia Vallardi, col titolo La Questione di Roma al principio del 4863. Il sig. Jacini s'indusse a scrivere questo libretto con profondo convincimento, e con una fede grandissima nella potenza salutare della pubblicità». Sul primo capitolo l'autore tratta della sconfortante situazione attuale dal problema di Roma, nel secondo del conte di Cavour che ha ipotecato Roma a beneficio del principio monarchico (sic) -, nel terzo, dei modi, coi quali il conte di Cavour e i di lui successori tentarono di risolvere la questione romana; nel quarto dell'occupazione francese in Roma considerata come il vero scoglio del problema; nel quinto, quali sieno le soluzioni della questione romana, che il governo italiano potrebbe tentare; nel sesto, se la lettera dell'Imperatore Napoleone 1Il, in data del 20 maggio 1862, possa servire di basi a' negoziati per risolvere la questione romana.

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In questo sesto ed ultimo capitolo il signor Jacini conchiude che, se non esiste altro mezzo per togliere Roma al Papa, clic adagiarsi a quello proposto da Napoleone Ili nella sua-lettera del 20 di maggio 1862, conviene appigliarvisi francamente, e «impegnarsi a rispettare il patrimonio di S. Pietro»; lo che, dice il signor Jacini, non può impedire «che il governo italiano prosegua ad impiegare tutti i mezzi morati che ci debbono condurre a Roma». Anzi l'ex ministro afferma che, accettata questa proposta napoleonica «il governo italiano non cesserà di fare un diuturno assedio morale tino a che Roma non sia divenuta realmente capitale d'Italia». E per provare che male non si è apposto ne' suoi ragionamenti, il signor Jacini cita un articolo della Civiltà Cattolica, che, nel quaderno del 6 dicembre 1862, combatteva il disegno napoleonico.

Noi non entreremo in questa discussione, paghi di sapere che sei rivoluzionari accettassero una transazione col Papa, l'accetterebbero soltanto coll'animo di violarla, come apertamente confessano. Solo vogliamo confrontare il linguaggio del conte di Cavour nell'ottobre del 1860 con quello del sig. Jacini nel gennaio del 1863.

Nella tornata dell'11 ottobre 1860 il conte di Cavour rivolto ai rappresentanti delle antiche provincie dello Stato, della Lombardia, dell'Emilia e della Toscana, radunati in Parlamento, pronunziò quelle memorande parole: « La nostra stella polare, o signori, v e lo dichiaro apertamente, è di fare che la città eterna, sulla quale venticinque secoli hanno accumulato ogni specie di gloria, diventi la splendida capitale del regno italico» .

Il Parlamento soggiunge il signor Jacini, era stato convocato nell'autunno del 1860, acciocchè accordasse al governo la facoltà di accettare le annessioni dell'Umbria, delle Marche, del Napoletano e della Sicilia. Non poteva sfuggire alla profonda intuizione del conte di Cavour, che non sarebbe stato lecito ritardare di un sol giorno une esplicita dichiarazione del governo circa alla capitale del regno rinnovato e quadruplicato di Vittorio Emanuele; imperciocchè ai nuovi venuti nella grande famiglia doveva essere tolta non meno la prospettiva di essere governati in perpetuo da una città insigne e benemerita, ma situata ai confini dello Stato, quanto l'eventualità d'una discussione sulla scelta d'una capitale; discussione che non avrebbe servito ad altro che ad irritare gli animi, a scatenare ed a corroborare lo spirito di rivalità municipale. Davanti al nome augusto di Roma tutti si sarebbero inchinati».

La Camera elettiva nella tornata del 27 marzo 1861 approvò alla quasi unanimità il seguente ordine del giorno: «La Camera, udite le dichiarazioni del ministero, confidando che, assicurata la dignità, il decoro e l'indipendenza del Pontefice, e la piena libertà della Chiesa, abbia luogo, di concerto colla Francia, l'applicazione del non intervento, e che Roma, capitale acclamata dall'opinione nazionale, sia congiunta all'Italia, passa all'ordine del giorno». Pochi mesi dopo, cioè ai 12 dicembre del 1861, il voto venne rinnovato nel seguente modo:

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«La Camera conferma il voto del 21 marzo che dichiara Roma capitale d'Italia, e confida che il governo darà opera alacremente a compiere l'armamento, ecc., ecc.» .

« Or bene, domanderemo noi col signor Jacini medesimo, in quale posizione si trova oggi codesto grave problema del giorno? Bisogna confessarlo; in una posizione, oltre ogni dire, sconfortante. Noi ci siamo immersi in una via cieca che non ha uscita... L'Italia ha proclamato solennemente essere il possesso di Roma una necessità della propria esistenza politica normale, necessità sentita istintivamente da tutta la nazione; ma, dopo due anni d'agitazioni e di sterili conati, è condannata a riconoscere come si trovi ancora da capo non altrimenti che al primo giorno».

Il signor Jacini era ministro e deputato quando si proclamò Roma capitale. Oh chi gli avesse detto che due anni dopo non solo Pio IX comanderebbe ancora gloriosamente sul Tevere, ma il signor Jacini medesimo sarebbe costretto a scrivere un libro per consigliare il governo a rinunziare apparentemente a Roma! E da qui a due anni che cosa sarà? Drouyn de Lhuys ha dichiarato che l'avvenire è pel Papa e pe' suoi fedeli figliuoli. E la storia conferma la sentenza. Ma perciò appunto la Santa Sede non ipotecherà mai l'avvenire, come il conte di Cavour ha ipotecato Roma.

Si è questa una frase del signor Jacini, che noi abbiamo voluto rilevare. Egli confessa che Roma capitale d'Italia era un'idea di Mazzini, a cui il conte di Cavour la tolse, «ipotecando la città eterna a benefizio del principio monarchico». Fino a un certo punto il Jacini non ha torto. Il conte di Cavour per combattere i Mazziniani diventava mazziniano, e nella sua politica nazionale procedette ipotecando. Egli ha ipotecato dapprima il nostro commercio e l'ha messo in mano dell'Inghilterra, ha ipotecato le nostre finanze; ha ipotecato certe persone che qui non vogliamo nominare; ha ipotecato Nizza e Savoia; ha ipotecato le nostre glorie, e le più belle pagine della storia piemontese; ha ipotecato la nostra indipendenza e ci rese mancipii di Napoleone III; ha ipotecato i principii conservatori gettandosi in braccio dei rivoluzionari. Ogni qual volta il conte di Cavour trovavasi in qualche imbroglio, ipotecava. Ha ipotecato a Parigi, ha ipotecato a Plombières, ha ipotecato a Torino. E nell'ottobre del ì 860, per togliersi d'ogni impiccio e lusingare la parte rivoluzionaria, ipotecava Roma. Poveri Romani, da due anni ipotecati!

Ma il signor Jacini afferma che il conte di Cavour ipotecava Roma a beneficio del principio monarchico. Come? Il conte di Cavour per salvare la monarchia proponeva la morte del regno più antico e più legittimo del mondo? Per salvare la monarchia voleva spogliato il Vicario di Colui, pel quale i Re regnano, e i Principi imperano? Oh vedete un po' come il conte di Cavour ha salvato la monarchia! Il signor di Thouvenel, l'11 di agosto del 1862, scriveva al suo incaricato d'affari a Torino, che se Garibaldi andava innanzi «non tarderebbe il trono di Sua Maestà italiana a trovarsi in pericolo». E Garibaldi non vuole tornare indietro, e non intende di dormire a Caprera. Garibaldi non è ancor morto, e forse prima di morire farà qualche commento all'opuscolo del signor Jacini.

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Intanto pensino i Romani che cosa avverrebbe di loro se cadessero negli artigli della rivoluzione, mentre questa li ipoteca prima ancora di averli conquistati! N»r consigliamo i cittadini di Roma a chiedere ai tribunali la cancellazione forzata dell'ipoteca, che ha posto sulla loro città il conte di Cavour. L'iscrizione fu nulla, perché il conte di Cavour ha ipotecato le cose altrui.

LE FINANZE ITALIANE

ISTAURATE TRE ANNI DOPO LA MORTE DEL REGNO D'ITALIA

(Pubblicato il 17 febbraio 1863).

Allegri, o Italiani, allegri! Ridete in Torino e piangete in Roma, che così vuole la rivoluzione. Il ministro Minghetti v'ha detto dalla tribuna parlamentare il 14 di febbraio che voi avete proprio grandi ragioni di ridere! Egli vi ha detto che la situazione finanziaria del nuovo regno d'Italia è spaventosa, ed ha soggiunto che chi non ne sente la gravità, non ama la patria! Egli v'ha detto che il nuovo regno d'Italia per procedere innanzi abbisogna subito d'un prestito di settecento milioni effettivi, i quali significano almeno mille milioni I Egli v'ha detto che con questi mille milioni le finanze del regno d'Italia saranno ristorate nel 1867, anno in cui non si sa ben prevedere dove saranno e il ministro Minghetti e l'unità italiana!

Prima del signor Minghetti fu ministro delle finanze il signor Quintino Sella, il quale nel 1862 fece la sua esposizione, come sogliono tutti i ministri, e disse: e Il pareggio delle entrate ordinarie colle spese ordinarie entro il 1864 è per l'Italia questione di vita o di morte, questione del to be, or not to be» . Mettendo adunque a confronto le dichiarazioni di Sella nel giugno 1862 colle dichiarazioni di Marco Minghetti suo successore, ne abbiamo che non potendosi ristaurare le finanze italiane entro il 1864, il regno d'Italia dovrà necessariamente morire, e arriverà per lui il fatale not to be, ossia non sarà più. Ma giunto poi il 1867, cioè tre anni dopo la morte del povero regno, allora le finanze italiane saranno ristorate!

Questo risulta evidentemente dalle previsioni dei due ministri, e sfidiamo qualsiasi ministeriale a negare la nostra argomentazione. Uno vi dice: - So non otteniamo il pareggio nel 1864 siam morti. - E vel dice Quintino Sella, uno de' più valorosi economisti italiani! L'altro soggiunge: - Otterremo il pareggio nel 1867. - E lo dichiara Marco Minghetti, uno che ha stampato non sappiamo quanti volumi di Economia politica. Dunque morremo nel 1864, secondo le previsioni del primo ministro, e tre anni dopo che saremo morti, cioè ne) 1867, i bilanci del regno d'Italia batteranno, e le spese resteranno in armonia colle entrate.

Dopo di ciò, o Italiani, godete pure, tripudiate, impazzite, fate bacchanalia, avete le migliori ragioni del mondo per inneggiare a Bacco, e vestirvi da Tiadi, da Menadi e da Mimalonidi. Bacco è il vero Dio del nuovo regno d'Italia.

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Gli antichi chiamavano questo Dio Edotte, che si può intendere mangione, sebbene altri lo spieghi diversamente. E Bacco mangiava i tori, onde fu detto Taurofago. Sicché ben vedesi quanto ragionevolmente i nostri politiconi abbiano introdotti grandi baccanali in Torino in onore del Taurocefalo, del Taurocaro, del Taurocrano, del Tauromorfo, del Taurofago Bacco. Ah vivano i grandi sacerdoti del dio Edone! Evoè, evoè! Coraggio, ministri del regno d'Italia. Mangiate, mangiate: «Ognun segua Bacco te, Evoè, evoè - Viva Bacco il nostro re!»

Il signor Farini, presidente del nostro ministero, chiedeva in grazia all'assemblea dell'Emilia la consolazione di morir povero; e siccome il Farini ama straordinariamente l'Italia, così le volle far parte di questa sua grande consolazione. Le finanze italiane non potranno essere ristorate nel 1864. Dunque il nuovo regno può tenersi certo del grande, sublime, consolatissimo onore di morir povero!

PENSIERI QUARESIMALI

DI MARCO MINGHETTI, MINISTRO DELLE FINANZE

(Pubblicato il 19 febbraio 1863).

Raduniamo sotto questo titolo alcune sentenze e confessioni di Marco Minghetti, contenute nel discorso che disse alla Camera dei Deputati il 14 di febbraio, e tolte dagli Atti Ufficiali, N° 1023, pag. 5976 e seguenti.

La questione finanziaria primeggia e sovrasta in questo momento su tutte le altre. Perfino quelle questioni politiche, la soluzione delle quali forma il supremo intento dei nostri pensieri, ove intendiamo consacrare tutti i nostri sforzi; perfino quelle questioni sembrano in questo momento pausare dinanzi alla stringente necessità dell'interno ordinamento. La finanza è come il fato degli antichi, che i volenti conduce e i repugnanti trascina.

I vari bilanci degli Stati divisi d'Italia, che formavano un complesso di poco più che 500 milioni di spese, furono quasi raddoppiali, e un disavanzo di 400 milioni divenne, per così dire, lo stato abituale dell'Italia riunita!

Non solo fu aumentato il numero degli uffizi e la pianta degl'impiegati in tutto il regno, ma furono accresciuti eziandio gli stipendi loro notabilmente. Le leggi promulgate nel Piemonte al tempo dei pieni poteri crebbero d'oltre un terzo gli stipendi, e questo servì di norma a parificare l'aumento nelle altre parti del regno. Né io credo d'andar lungi dal vero argomentando che queste riforme aggravarono il bilancio di 50 milioni annui.

Aggiungansi a questo le pensioni, le aspettative, le disponibilità venute in seguito o dalla soppressione delle amministrazioni centrali, o della rimozione di persone per motivi politici, talora anche di cambiamenti successivi fatti poco maturamente e che fu d'uopo correggere appresso lo credo di non poter calcolar a meno di 20 milioni annui l'aumento avvenuto in questa categoria di spese.

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Gl'interessi del debito pubblico crebbero di oltre settanta milioni nel solo triennio 1859-60-61. Imperocchè a sopperire a tutti gli aumenti di spese nessun altro metodo fu trovato se non quello di ricorrere al credito pubblico; metodo necessario talvolta, ma assai pericoloso; imperocchè nasconde agli occhi del pubblico la differenza e la sproporzione tra le forze contributive del paese e i suoi dispendi; e certamente quasi scava un abisso, dinanzi al quale un giorno la nazione si riscuote maravigliata e sdegnosa.

Nei tre primi anni del nostro risorgimento noi abbiamo speso oltre un miliardo più delle rendite, attingendolo al credito pubblico, per l'anno 1862 abbiamo 3?5 milioni da saldare, per l'anno 1863 abbiamo in prospettiva 400 milioni di disavanzo.

Il debito italiano fu già raddoppiato, le imposte diminuirono, le spese permanenti si accrebbero; è tempo, o signori, di fermarsi; è tempo di guardare dove andiamo continuando per questa via.

È tempo di por riparo a questa grave (1) situazione. Se alcuno non sente la gravità di questa situazione, mi sia lecito dire che egli non ama la patria. (Sensazione. - Bravo! Bene!).

UN DOCUMENTO

SULLE FINANZE DEL REGNO D'ITALIA

(Pubblicato il 25 febbraio 1863).

Il tesoro del regno d'Italia vive a forza di tratte su Parigi, anche a lunga scadenza e talvolta per somme piccolissime. Così governava l'ex-ministro Sella, e così governa il ministro Minghetti. La Gazzetta Ufficiate e l'Opinione negarono, ma il Diritto del 24 di febbraio pubblica una di queste cambiali che sta nelle mani d'un banchiere di Milano. Ecco il preziosissimo documento nella sua vera forma.

(1) Minghetti ha detto spaventosa, ma poi ha fatto ristampare grave.

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Riferito questo documento il Diritto soggiunge: «Vogliamo credere che l'Opinione arrossirà, come abbiamo arrossito poi, quantunque non amici degli uomini che con tanta dignità e sapienza ci governano, vedendo che il Tesoro italiano vive emettendo cambiali per somme meschine a quattro mesi di data, come non osano fare negozianti, i quali sono gelosi del credito loro, cambiali poi, le quali, rilasciate, come accadde di quella or da noi riprodotta, a cose rispettabilissime sì, ma non di primissimo ordine, non possono sottrarsi a tutti gl'inconvenienti della libera circolazione, quello compreso di capitare sotto gli occhiali indiscreti di chi scrive il Diritto. Pongasi poi speciale avvertenza ali. data della tratta da noi superiormente trascritta.

«Questo curioso documento, che non ha i requisiti voluti dalla legge par essere un buono del tesoro, che ha esplicitamente il nome di lettera di cambio, e che sostituisce le parole a favore alle parole all'ordine indispensabili nei titoli cambiarii, ha la data del 23 gennaio. Veniva cioè creato né più, ne meno che tre soli giorni dopo che la Gazzetta Ufficiale aveva assicurato che il ministro Minghetti aveva troncato un somigliante sistema. Pare dunque che il signor ministro o non abbia saputo tutto, od abbia creduto che bastasse impedire l'abuso, che facevasi della firma del ministro Nigra, Comunque sia, è certo, e l'Opinione non ce lo vorrà sicuramente negare, che anche il sistema, contro il quale qui protestiamo, à sommamente biasimevola e indegno della nostra dignità nazionale, di cui il governo, trattandoci di uno Stato nuovo, dovrebbe essere geloso fin anche allo scrupolo, fin anche all'esagerazione. Ed è invece a chi cammina con tanta leggerezza ed opera con tanta sconvenienza, che si dovrebbero dare di fresco settecento milioni! ».

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SALVE LUCRO!

(Pubblicato il 6 marzo 1863).

Carlo di Montalembert pubblicava testé nel Correspondant del 25 di febbraio alcune pagine sull'insurrezione polacca, e le conchiudeva manifestando il timore che coloro, i quali disotterreranno dalle rovine della storia i fatti e le gesta de1 tempi nostri, abbiano a giudicarci come quel vile romano, di cui scoprivasi l'anno passato a Pompei la casa sepolta sotto la cenere del Vesuvio. Egli aveva scritto sulla sua soglia queste parole d'una vergognosa eloquenza: Salve lucro, parole che si possono tradurre: Viva il guadagno? Petronio avea già apposto la stessa iscrizione su tutto l'edifizio di Roma pagana, cantando nella sua satira CXIX: Vsnalis populus, venalis curia Patrum.

Il conte di Montalembert parlò di Francia, e noi parleremo d'Italia, dove nacque e dove fu scoperto il salve lucro! Sgraziatamente è questo il più sincero programma politico. L'amor di patria si riduce al guadagno, l'indipendenza al danaro, e l'italianismo alla borsa. Non si cerca di rigenerare il popolo, ma di ingrassare a suo danno; non di onorare il proprio paese, ma di beccarsi uno stipendio; e coll'indipendenza in sulle labbra si piega il collo alla pili ignominiosa schiavitù, quando torna vantaggioso al proprio interesse.

Il turpe lucrum, che fulminava San Paolo, ha invaso ornai tutte le classi. Mancano i deputati nella Camera? E Crispi parla subito d'indennità. Si vogliono sacerdoti liberali? E si dice: pagateli. Si cercano avvocati e difensori? E mettono mano al tesoro. L'oro fa miracoli, esclamò già il conte Ponza di San Martino, quando era ministro dell'interno; e gl'imputati del furto Parodi vennero colti su di un bastimento chiamato Amor di Patria. Essi avevano preso il danaro per andare a Roma e liberarla, come dice la lettera che fu letta ne' dibattimenti del 2 di marzo, Liberar Roma col danaro, ecco un disegno tutto proprio de' tempi nostri. Due anni fa volevasi comprar la Venezia; oggi si comprerebbe Roma, se volesse vendersi.

Oh quanti potrebbero scrivere sulla soglia della propria casa l'eloquente epigrafe di Pompei! Voi che ieri eravate un morto di fame, ed ora gavazzate nel. l'oro e nell'argento, e vi vedete intorno i cortigiani umili ed obbedienti inchinarvi ed applaudirvi, fate incidere sul frontone del vostro castello salve lucro. Non viva la libertà, non viva l'Italia, ma viva il guadagno! Poco v'importa adesso che si tiranneggi e si fucili, che le carceri sieno stipate d'innocenti, che il popolo gema sotto una verga di ferro, povero, derelitto, angariato. Siete diventato un gran riccone e basta: salve lucro!

E voi, o frate, voi che ieri peroravate pel dominio temporale del Papa, dicendolo non che utile alla Chiesa, necessario alla sua indipendenza, ed oggi bestemmiale Roma e il suo Pontefice, fate stampare per epigrafe sul vostro giornale: salve lucro. Come Giuda abbandonaste Cristo pei danari della Sinagoga, e sappiamo che ne avete ricevuto ben più di trenta!

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Appena Pio IX fu povero, e voi fuggiste dalle sponde del Tevere e veniste su quelle della Dora gridando: mercabimur et lucrum faciemus. Mercanteggeremo la nostra coscienza, venderemo l'anima nostra e faremo largo guadagno. Salve lucro!

E voi o ministri, voi che già prestaste giuramento a Pio IX ed a Francesco II, ed ora godete dell'esilio dell'uno, e cercate di spogliare l'altro anche della sua Roma, scrivete voi pure sul vostro portafoglio: salve lucro! Se domani Francesco II ritornasse ad essere potente, e Pio IX, riavuto il suo, divenisse ricco e potesse largheggiare in retribuzioni, voi mutereste nuovamente registro, infingendovi con brutta ipocrisia come nel 1848. Salve lucro!

Queste parole compendiano certe circolari, certi indirizzi, e certe risposte agl'indirizzi medesimi. Vedete là colui che tenta ghermire una cappa canonicale? Ebbene una volta egli difendeva i diritti della Chiesa, e combatteva le usurpazioni del potere civile, ma oggi all'amor del guadagno ha sacrificato le convinzioni antiche, gli affetti del cuore, i doveri del ministero, e tortora il proprio superiore, e incoraggia i nemici del Pontefice, e applaude i giuseppisti, i febronianisti, i leopoldinisti, perché spera d'avere un canonicato. Salve lucro! E quel Monsignore, tutto azzimato e cascante di vezzi che viene in Torino, e va a picchiare alla porta di Pisanelli, e gli fa le più sperticate riverenze, sapete che cosa porta scritto nel cuore? Ci ha scritto il Salve lucro del pagano di Pompei. Ah! farebbero bene costoro a ricordare il detto di S. Paolo a Timoteo: Non turpe lucrum sectantes. E qual guadagno più turpe di quello che si fa a spese della Chiesa, a danno del sacerdozio, ed in onta al Vicario di Gesù Cristo?

Un giornale di Torino disse, celiando, di fare il barone Rotschild Re d'Italia! Se il gran banchiere pigliasse la corona, vedreste tutti i repubblicani divenire immediatamente monarchici. Anche Mazzini conosce il Salve lucro. Coloro che questo tempo chiameranno antico scopriranno la vergognosa iscrizione, sotto cento disegni repubblicani, sotto mille progetti di leggi, sulla soglia di molte assemblee, di molte radunanze, in fondo a molte votazioni, a molti discorsi, a molte leghe. Negli scavi che faranno i nostri nepoti troveranno trattati colla leggenda: Salve lucro; note diplomatiche coll'epigrafe: Salve lucro; Gabinetti e Camere coll'iscrizione: Salve lucro.

Però per l'onore d'Italia, e dell'umana dignità, vi hanno ancora uomini che sdegnando il brutto interesse, vivono per Cristo, e reputano un gran guadagno il morire per lui. Mihi vivere Christus est, et mori lucrum, ripetono con San Paolo tanti vescovi generosi, che gemono in prigione, ed amano meglio perdere i beni, la libertà, la patria, che inchinarsi ai potenti. Il mondo non li apprezza, perché non li conosce, ma essi sono i veri liberali, e non solo glorificano la Chiesa, sì ancora rendono un segnalato servizio alla patria, e in mezzo alla comune servilità danno esempio di nobile resistenza, e di sublime costanza.

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ALTRO DOCUMENTO SULLE FINANZE ITALIANE

(Pubblicato il 7 marzo 1863).

La relazione sulle finanze italiane fatta dal marchese dell'isle al ministro delle finanze francesi è un documento assai prezioso per la storia del governo rivoluzionario italiano. L'autenticità di questo documento non solo non è messa in dubbio, ma è confermata da ciò che i giornali officiosi del governo di Francia dissero, che la pubblicazione del medesimo fu un'imprudenza, e che si era ordinata un'inchiesta per conoscere l'autore di siffatta imprudenza. 1 lettori scorrendo questa relazione conosceranno quanto siano vere le parole del deputato Mugolino, parlando delle esposizioni finanziarie dei nostri ministri: e Io dichiaro francamente, che tutte le volte che ascolto fare delle esposizioni finanziarie, credo di essere sotto l'azione di una lanterna magica (Ilarità)) giacché sono tante e tali le magnifiche previsioni che ci si fanno e che vengono poi seguite dai più dolorosi disinganni; è tanta e tale la mobilita cabalistica delle cifre, che in verità tutti dobbiamo ritenerci come assistenti alle fantasmagorie di una camera ottica (Bravo a sinistra. Ilarità) » (Tornata della Camera dei 27 di febbraio, Atti Ufficiali, N° 1048, pag 1076, col. 2.). Ecco il documento:

Al signor Fould ministro delle finanze a Parigi.

Torino, 5 gennaio 1863.

Dall'assieme dei documenti ufficiali, che con Nota di ieri ebbi l'onore di presentarvi, risulta che l'Italia, secondo i di lei stessi calcoli, si troverà alla fine dell'esercizio corrente in faccia ad un disavanzo di circa 800 milioni di franchi, e che le spese del 1862 non furono meno di 900 milioni.

Valutandosi le entrate effettive di 325 milioni, la spese del solo ministero delle finanze elevandosi a 375 milioni, risulta che non restano che 450 milioni per far fronte a tutti gli altri servigi dello Stato.

Queste cifre potrebbero anche essere discusse; ma io, per eccesso d'imparzialità, le ho accettate come vere, riserbandosi, ben inteso, di rettificar quelle che fossero manifestamente false.

L'Italia, non potendosi consentire un lusso di politica non permesso dal ano stato di finanze, bisognerebbe che cangiasse radicalmente il sistema, a fine di prevenire le cattive conseguenze. Ma siccome essa non farà ciò, bisogna che noi, al presente, cerchiamo di tutelare i nostri interessi, già troppo compromessi con quelli di essa.

Il signor De Sartiges, conforme alle istruzioni particolari di V. E., ha invitato il governo italiano a riorganizzare la sua amministrazione finanziaria, cercando di far produrre alle tasse il più che è possibile, e col ridurre la sua armata e la sua marina in modo da ottenere presso a poco un equilibrio fra i bilanci.

Riguardo al primo punto fu data una risposta piena di promesse quanto al secondo la risposta fu assolutamente negativa.

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Si accetta, a parola, che varii abili funzionarii sieno staccati dai diversi nostri uffizi per affidare colà alla riorganizzazione finanziaria; ma, in fatto, è sicuro che non si approfitterà dell'offerta di V. E.

Qui si cerca convincersi, che gl'impiegati italiani sono d'assai superiori ai nostri.

D'altra parte non è tanto necessario invitare il governo a questa riorganizzazione, di cui egli stesso sente tutta l'importanza. L'unità di reggiate è stata praticata in tutto ciò che si poteva. Esso ha la buona volontà di accrescere le imposte esistenti e di crearne delle nuove; ma ciò che il Parlamento accetta, spesso senza marcanteggiare lo rifiutano le popolazioni rurali senza recriminazioni. Elleno si contentano di non pagare e il governo debbe sottostare e questa silenziosa opposizione, perché esso è convinto che se insistesse troppo, la loro apatia politica si converrebbe tosto in ostilità.

D'altra parte che può esigersi da una popolazione, il cui salario giornaliero varia da 60 a 40 e anche a 35 centesimi, come avviene di fatto in alcune località del regno di Napoli?

Ciò potrà col tempo cangiare, ma gli uomini più illuminati, mentre fanno voti per il futuro accrescimento della ricchezza pubblica, son di parere che per molto tempo non è sperabile un notevole aumento di rendita.

La situazione può compendiarsi in due parole: Impossibilità di accrescere al presente le rendite - Nessuna economia - Continuazione ad oltranza di una politica che menerà diritto alla rovina.

La catastrofe è facile a prevedersi. Ella potrà essere ritardata e da imprestiti e da altre combinazioni di una moralità per lo meno dubbia, quali del resto non sembrano spaventare questa gente qui, dappoiché il Sella preoccupandosi di levare 55 milioni dalla imposta sulla rendita, si studiava più ancora di trovarvi delle basi per imprestiti forzati in avvenire.

Speriamo che Minghetti, meno capace, sarà più scrupoloso. Quali sono d'altra parte i mezzi d'evitare gl'imprestiti?

All'infuori dell'esaurita emissione dei beni del tesoro, altro non rimane che la vendita delle strade ferrale dello Stato, dalla quale si spera ricavare un 150 milioni, e la vendita dei beni nazionali, la cui rendita è valutata 12 1|2 milioni.

Ciò sopperirà appena alle spese del 1862.

Si parla anche di vendere i beni della Cassa Ecclesiastica, quelli di mani-morte e dei Comuni.

Ma se la vendita dei beni nazionali va tutta a vantaggio dell'erario, non avverrà altrettanto della vendita di questi ultimi.

Essa non potrà farsi che a titolo oneroso, vale a dire, coll'assegnare ai possessori di questi beni altre rendite.

Così si aggraverà l'avvenire a vantaggio del presente, e la catastrofe anzi che ritardarsi si farà più spaventosa.

E quali sarebbero d'altronde le società di credito fondiario sì azzardose da affrontare una simile intrapresa? L'esempio della Spagna e del Portogallo non è egli recente per farci intravedere i resultati probabili di una simile operazione?

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Comunque, sia buona o cattiva, questa combinazione, renderà necessario un avanzo considerevole di fondi; ed è sulla piazza di Parigi, dove direttamente o indirettamente si conta procurarseli.

Si parla tuttodì di formar quadri, di prepararsi contro l'Austria, di creare una potente marina, e si dice sotto voce che l'Italia coi suoi 400 mila soldati potrà imporsi come mediatrice armata, se non come arbitra, alla prima rottura fra le grandi Potenze. Questi sono sogni di cervelli malati; ma le folli idee possono condurre a folli azioni, e le allucinazioni malsane sono meno a temersi altrove che qua, ove le popolazioni hanno del buon senso, ma allo stesso tempo una profonda indifferenza per tutto ciò che non tocca palesemente i loro interessi materiali.

Sarebbe una temerità, signor ministro, voler segnalare l'avvenire di una tale situazione; pure permettetemi dirvene qualche cosa.

Avanti le annessioni i fondi del regno di Napoli erano talmente elevati, che non venivano punto cercati dai piccoli capitalisti francesi. I fondi piemontesi, emessi in saggie proporzioni, avevano ugualmente una ristretta circolazione. Ma, a partire specialmente dall'imprestito Bastogi, i fondi italiani furono tanto ricercati in Francia, a ragione del loro basso prezzo, che non dubito dire che 8|10 almeno di questo prestito sono tra le mani dei nostri nazionali.

Il prezzo delle partite indica abbastanza in quali mani esse si trovino collocate.

Se la situazione deve riuscire infallibilmente ad una liquidazione disastrosa, che noi non possiamo prevenire, procuriamo almeno che non ricada tutta intiera a nostro carico. I grossi capitalisti sanno difendersi; ma non avviene lo stesso dei piccoli, dei quali lo Stato ha la tutela, e converrebbe, io credo, come provvedimento efficace che il governo dell'Imperatore chiudesse i mercati francesi a tutti i valori italiani tanto delle sue compagnie di strade ferrate, quanto delle sue compagnie fondiarie e dei suoi imprestiti, di cui uno, checché ne dica il signor Minghetti, mi pare imminente.

Vogliate aggredire, ecc.

E. DE L'ISLE

COME A DETTA DI MARCO MINGHETTI

LA MORTE TRONCASSE I DISEGNI DEL CONTE DI CAVOUR

CONTRO IL PAPA

(Pubblicato il 21 giugno 1863).

Dagli Atti Ufficiali della Camera, tornata del 17 di giugno, leviamo ciò che Marco Minghetti, presidente del Consiglio dei ministri, disse dei disegni del conte di Cavour per andare a Roma, disegni che vennero troncati a mezzo dalla morte inesorabile. Dopo d'avere parlato delle trattative del conte di Cavour coll'imperatore Napoleone 1Il, Minghetti proseguiva cosi:

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«II conte di Cavour era con queste trattative così progredito che, sebbene rimanessero difficoltà a sciogliere, non esitò a dire che se la morte non avesse troncato così immaturamente i suoi giorni, è probabile che non sarebbe passato guari tempo che un trattato sarebbe stato segnato tra la Francia e l'Italia su questo argomento.

« Capone. È verissimo.

« Presidente del Consiglio. Le basi di questo trattato erano già formulate in quattro articoli.

«In virtù del 1° articolo la Francia pel principio del non intervento prendeva l'assunto di sgombrare entro un determinato termine dal territorio romano; col 2° l'Italia assumeva verso la Francia l'impegno formale di non attaccare il territorio medesimo, e di non permettere che bande armate di qualsivoglia genere l'aggredissero; il 3° ed il 4° articolo regolavano le modalità del debito pubblico e. delle truppe pontificie. Tale era lo stato di cose quando il conte di Cavour moriva. L'imperatore dei Francesi non credette di ulteriormente continuare quella pratica, ma il senso delle medesime traspare in un documento che l'onorevole Bon-Compagni citava l'altro giorno. In esso l'imperatore dei Francesi diceva che, riconoscendo il Regno d'Italia, non ritirerebbe da Roma le sue truppe, se non ad una di queste due condizioni: o che vi fosse riconciliazione tra il Papato e il regno d'Italia, o che fosse guarentito che il territorio pontificio, da cui le truppe francesi avrebbero sgombrato, non sarebbe assalito ne da esercito regolare, né da bande irregolari.

«E qui per amore di verità debbo dire che il concetto della riconciliazione fu sempre quello che più vagheggiò l'Imperatore. Infatti, nella famosa lettera da lui diretta al suo ministro Thouvenel il 20 maggio 1862, egli parte da questo punto di vista coll'intento di giungere nel più breve tempo possibile alla soluzione della questione romana.

Io dichiaro alla Camera che se avessi avuto l'onore di sedere nei Consigli della Corona quando l'imperatore Napoleone scrisse quella lettera, non avrei esitato un momento ad accettarla come punto di partenza di negoziati; l'avrei accettata perché, sebbene là entro si fosse adombrato un progetto di autonomia municipale romana sotto l'alto dominio pontificio, nondimeno l'Imperatore dichiarava nettamente che non intendeva d'imporre con ciò un ultimatum ad alcuna delle parti, ma inoltre stabiliva chiaramente due principii, quello della partenza delle truppe francesi, e quello del consenso libero dei Romani a quel governo che avrebbe dovuto reggerli.

«Io ripeto schiettamente che avrei eccettato quel punto di partenza, che il ministero dell'onorevole Rattazzi non credette di accettare (Sensazione}.

«Rattazzi. Non è vero».

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LE MEDITAZIONI DI MARCO MINGHETTI

PRESIDENTE DEL REGNO D'ITALIA

(Pubblicato li 19 e 20 agosto 1863).

I.

Marco Minghetti il 17 di agosto ritornava nella Capitale provvisoria del regno d'Italia, dopo di avere passato un otto giorni nella sua campagna presso Bologna. Grazio Fiacco dicea beato colui qui procul negotiis, ut prisca gens mortalium, paterna rura bobus exercet suis. Ma questa" beati tudi ne non potò godere il nostro Marco. Non sappiamo se fosse paterna la campagna, dove recossi a villeggiare, questo sappiamo che non potò andarvi solutus omni fenore. Come che avesse appeso il portafoglio alla campanella dell'uscio, ed affidata l'amministrazione delle finanze ad Ubaldino Peruzzi, tuttavia Marco portò con sé i dolorosi pensieri, e negli ozi apparenti della campagna meditava sui proprii pasticci. Tutto parlavagli di politica, ed egli stesso ieri lo confessò ad un amico. Un cavolo gli richiamava a memoria un deputato ministeriale, uno spinato gli rappresentava il suo ministero, una carota gli articoli dell' Opinione e della Stampa, ed una zucca gli dicea in sua loquela: - Marco, Marco, ciò che nasce repentinamente muore in un attimo, e un po' di vento basta a disseccare le piante che non gettarono profonde radici. -

Noi abbiamo potuto conoscere le meditazioni di Marco Minghetti negli otto giorni, che passò in campagna. Esse raggiraronsi tutte su gli ultimi avvenimenti, e sulle presenti condizioni d'Italia. Marco discorreva con se stesso, come il Gripo di Plauto, e le sue meditazioni avevano dodici punti! Quando pensava all'esterno, e quando all'interno della sua povera Italia; e Marco all'ombra dell'eloquentissima zucca piangeva sul presente e tremava per l'avvenire. Noi riferiremo i suoi dodici soliloquii. L'uno riguarda la solitudine italiana, l'altro la moltitudine brigantesca. Sir Hudson che parte, e sir Elliot che arriva; Pietrarsa, e il socialismo in Napoli; gli amori di Francia e d'Austria, e le rapine e il comunismo in Sicilia; il congresso di Francoforte, e le finanze italiane; il nuovo impero austriaco nel Messico, e il Danaro di San Pietro; l'assemblea di Malines, e la babilonia italianissima, erano gli altri punti delle meditazioni del Minghetti, che disperato fuggì la solitudine, tanto gravi pensieri lo tormentavano. Povero Marco! Il giorno prima di partire scriveva:

Solo e pensoso i più deserti campi

Vo misurando a passi tardi e lenti.

E ben n'avea ragione. La solitudine sua gli rendeva un'immagine della solitudine italianissima. O Marco, diceva a se stesso il Minghetti, o Marco, il povero regno che presiedi è lasciato solo in Europa! Il suo isolamento incominciò dal giorno in cui quel bimbo di Visconti-Venosta protestava: isolati mai! Non c'è un cane che pensi a noi, o a noi ricorra. Speravamo di sederci al banchetto delle nazioni, e di pesare nelle bilancio del così detto equilibrio europeo, ma il mondo politico fa i fatti suoi, e ci lascia in un canto.

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O Marco, l'antico Piemonte contava assai più del presente regno d'Italia. Abbiamo trecentomila soldati, siamo ventidue milioni, parliamo sempre, e non ci curano! Questa è la disgrazia più terribile che ci potesse incogliere. E perché non ci curano? Forse perché non si fidano di noi, né della nostra parola, né della nostra forza, né della nostra vita! Ah me infelice! Infelicissimi noi!

Equi, dopo aver mandato un profondo sospiro, Marco Minghetti si tacque. Ma il suo pensiero sorvolò ben presto sui briganti. Cani di briganti, riprese Marco; più se ne fucilano e più ne nascono. Sono tre anni che noi cerchiamo di estirpare il brigantaggio, e pare invece che noi seminiamo briganti. E possiamo mendicare pretesti, e sognare spedizioni, e calunniare Roma, ma è innegabile che questi briganti ci danno addosso, e gettano un po' di ombra sulla grandezza, sulla solennità del plebiscito. Se nel Congresso di Parigi si fosse potuto arrecare a carico del Papa e degli altri governi un centesimo solo dei fatti briganteschi che oggidì avvengono a Napoli, che non avrebbero detto Walewski, Clarendon e Cavour? Oh il brigantaggio dee proprio cessare, cessare a qualunque costo, s'avesse anche a distruggere Napoli istessa.

Sul quale proposito Marco Minghetti si risovveniva che in quell'istesso momento il cavaliere Felice Cardon era in viaggio, incaricato di studiare le varie isole del Tirreno e le isole minori della Sardegna, per veder dove potesse stabilirsi il domicilio coatto, stabilito dall'articolo 5° della legge sul brigantaggio, testò votata dal Parlamento. E Marco faceva voti, perché il cavaliere Felice felicemente riuscisse nelle sue investigazioni, e trovasse un'isola dove stipare i briganti, i sospetti di brigantaggio ed i loro amici e parenti. Ma temea forte che una isola così grande potesse difficilmente trovarsi nel mare Tirreno, e pensava di chiederne una all'America. E poi diceva Marco: ma se quando era brigante io, o sospetto di brigantaggio, il Papa mi avesse rilegato in un'isola, il mondo civile che non avrebbe egli detto 'f Ed il mondo civile non dirà nulla di Marco, che dopo un plebiscito crede necessario di deportare in massa la unanime plebe? Basta, pensiamo ad altro.

E rapprcsentaronsi alla fantasia di Marco Minghetti due inglesi, sir Hudson che partiva da Torino e sir Elliot die vi arrivava. Che diascolo, dicea Marco, che diascolo fa il conte Russell? Sir Hudson era il nostro buon amico, e cel toglie? A chi ricorreremo per aiuto e per consiglio? Sir Elliot! Ma questi fu alla Corte di Francesco II; ha visto come governava il re di Napoli e vedrà come governiamo noi. Ah! Marco, Marco, tutte lo tegole ti cadono sul capo, e ci mancava ancor questa, che il conte Russell ti levasse il tuo Hudson!.. Elliot... Russell... Hudson... e Marco sopraffatto dal dolore gettossi come Titiro sub tegmine fagi, tentando se gli riuscisse di poter velare gli occhi ad un po' di sonno.

Ma mentre cominciava a dormire prese a sognare l'ammutinamento degli operai di Pietrarsa, e gli apparvero le ombre di coloro che caddero morti sotto le palle italiane. E non erano briganti, no: erano cittadini fedeli, come li chiama la Discussione del 17 di agosto. Agosto fatale! gridava nel sonno Marco Minghetti: Nel 1862, fu sparso il sangue dei Garibaldini, e nel 1863 il sangue dei cittadini fedeli!... Tuttavia perché si ammutinarono?

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La legge vuol essere rispettata. (Ferdinando II dicea lo stesso). - E siccome il nostro Marco non è un'oca, e sa ciò che bolle nella pentola, prese a riflettere tra so e sé, che quanti nel regno di Napoli non appartenevano al brigantaggio erano lancio spezzate del socialismo, e tra briganti e socialisti non sapea a chi dare la preferenza. E quasi quasi Marco si consolava che a Napoli ci fossero i reazionari, perché altrimenti ci sarebbero i rivoltosi, cento volte peggiori di quelli.

Mentre però si appigliava a questo conforto, eccoti Marco rivolgere gli occhi all'Austria ed alla Francia che fanno all'amore. La Francia è mia sposa, dicea Marco; il conte di Cavour ha stretto gli sponsali a Plombières, s'è celebrato il matrimonio a Magenta ed a Solferino, e le abbiamo fatto i regali di nozze, dandole Nizza e la Savoia. Ed ora la Francia va coll'Austriaco? E si mostra più amica del Tedesco che dell'Italiano? E mentre non si cura di noi, si profonde in riverenze verso l'Imperatore? Oh ingrata! oh crudele!

Chi sa che voglia dir gelosia può di leggieri immaginare lo strazio ed il livore di Marco! La sua Gazzetta di Torino ha scritto: «L'Austria sembra pigliar ora nuova e quasi insperata importanza nei consigli dell'Europa e stringere colla Francia un'alleanza, che gl'interessi d'Italia non può certo giovare». Questo è in parte il pensiero di Marco. Egli vuoi dire a Napoleone III, che, se ha in mente di unirsi coll'Austria, restituisca prima Nizza e Savoia. Finché il Bonaparte nega a Marco Roma e Venezia, pazienza, ma collegarsi col nostro eterno nemico, è cosa intollerabile, e Marco non la può digerire. Egli si sente nell'anima tale e tanta rabbia, che, giungendo il 17 agosto in Torino, sfogavasi cantando:

Che sia la gelosia

Un gelo in mezzo al fuoco

È ver, ma questo è poco;

È il più crudel tormento

D'un cuor che s'innamora,

Ma questo è poco ancora.

Io nel mio cuor lo sento,

Ma non lo so spiegar.

Diremo domani delle altre meditazioni di Marco Minghetti. Per oggi basti l'aggiungere ch'egli mandò a supplicare Dettino Ricasoli di venire a Torino per dargli un colpo di mano. Ma il Ricasoli si scusò dicendo che non ci vede, ed ha risposto quel testo dell'Evangelio, che se un cieco conduce un altro cieco, amendue cadono nella fossa.

II.

Marco Minghelti nel silenzio della sua campagna meditò sulle finanze italiane e sul Danaro di S. Pietro. I settecento milioni d'imprestito si van consumando, lo rendite dello Stalo diminuiscono oltre ogni previsione, crescono le spese straordinarie, e i tuoi calcoli, o Marco, se ne vanno in fumo! Pera, diceva Marco, pera quel giorno in cui ho promesso di ristorare le finanze! S'è stabilita, è vero, qualche nuova imposta, imposta gravissima pei contribuenti che debbono pagarla, ma nulla pel vantaggio che ne torna all'erario.

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E poi se l'imposta fa crescere le rendite come cinque, le spese aumentano nello stesso tempo come venti! Ed io debbo ristorare queste finanze maledette? E n'ho dato la mia parola d'onore?

Oh fu grande davvero la mia pazzia I Ma mi conforta il pensare che la ristorazione delle finanze l'ho promessa pel 1867, e forse prima di quell'anno sarà venuto taluno a levarmi d'impiccio.

E mentre il Minghetti veniva consolandosi con questa speranza, le sue riflessioni corsero sul Danaro dì S. Pietro, di cui l' Armonia avea annunziato una spedizione a Roma. E Marco diceva nel suo cuore, sperando che nessuno potesse udirlo: Confessiamolo schiettamente; questo Danaro di S. Pietro, è un gran fatto. Possiamo uscircene pel rotto della maglia e ipocritamente compiangere, che duecento milioni di cattolici abbiano dato soltanto trentadue milioni di lire; ma non di meno questi trentadue milioni sono un gran che. Qual Principe, povero e spogliato, otterrebbe da' suoi trentadue milioni? Quanti ne ottenne Napoleone 1 a Sant'Elena, o Luigi Filippo in Inghilterra? E questa strega di Armonia, che sotto gli occhi nostri vien fuori ogni giorno colle sue oblazioni e colle sue proteste, e non cessa mai, e trova sempre offerte da registrare? E questo grande miracolo di Papa, che in mezzo a tanta miseria spende e spande, paga gl'interessi delle sue cedole, sostiene i pubblici officiali che gli serbarono la fede, soccorre poveri, premia artisti, promuove opere grandiose, e trova danari per tutto e per tutti? o Marco, Marco, dov'è ita la tua economia politica! Pio IX che dovrebbe far bancarotta, ha danaro per sè e per gli altri, e gli italianissimi che dovrebbero sovrabbondare di danaro, non trovano omai più il becco d'un quattrino!

Marco si mise le mani nei capelli, e poi, fattosi col braccio puntello al capo, pianse di sdegno, e continuò le sue meditazioni. E meditò sul Congresso di Francoforte. Avevamo, disse Marco a se stesso, avevamo due grandi nemici, Roma e l'Austria. Roma è più ferma che mai, e fummo, nostro malgrado costretti a smettere ogni pensiero di conquistarla, ed ora l'Austria cresce straordinariamente in potenza, e senza tante annessioni, senza violare trattati, senza invocare nuovi diritti si rende formidabile. E i giornali imbecilli predicano da quindici anni che l'Austria si sfasciai Sfasciarsi? Essa non salì mai a tanta floridezza. E se le riesce di riordinare la Germania, e di mettersene alla testa? Se la Prussia si accorda con lei, o almeno non le guasta le uova nel paniere? O Marco, vattel'a pesca Venezia! La piglierai insieme con Roma!

Ma il pensiero che più tormentava Marco Minghetti era questo, che, mentre i rivoluzionari collegati divisavano di atterrare l'Impero austriaco, fossero obbligati a veder nascere un nuovo austriaco Impero nel Messico. E quel Napoleone III, che aveva tolto all'Austria la Lombardia, invece di toglierle anche la Venezia, si adoperasse, perché fosse eretto un nuovo Impero a vantaggio del fratello dell'Imperatore. Se Napoleone III, dicea Marco, uvea voglia d'un Impero messicano, gli mancavano forse candidati a cui affidarlo? Non avrebbe potuto trovarne molti tra' suoi parenti, ed anche in Italia tra i parenti de' suoi parenti?

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E va invece a cercare l'arciduca Massimiliano! Possiamo almeno sperare clic l'Austria in ricambio ceda la Venezia? Sarebbe sciocchezza il lusingarcene, dicea Marco. E non vedete che Massimiliano, se accetta l'Impero del Messico, ha pili l'aria di fare che di' ricevere un benefizio?

Povero Marco I egli non trovava un punto solo su cui fermarsi con qualche speranza. Da qualunque parte guardasse l'orizzonte se gli rappresentava torbido e minaccioso. E v'era per giunta il congresso cattolico di Malines che stava per inaugurarsi, Congresso che dirà la sua parola in difesa del Papa e contro la rivoluzione;. Marco avrebbe desiderato, che siccome egli ed i suoi pii» non parlano di Roma, così ne tacessero parimente i cattolici, sperando che questo silenzio potrebbe tardi o tosto condurre all'indifferenza. Ma i cattolici non possono tacere quando la Chiesa è combattuta, quando la libertà del Santo Padre è insidiata e minacciata. Di che parleranno nel 1863 a Malines come già parlarono altrove; e parleranno sempre colla stessa affezione pel Papa e collo stesso odio contro la rivoluzione. Marco già sentiva quelle proteste, e ne tremava, sebbene facesse proposito di sorriderne e fingere di non curarsene menomamente.

Da ultimo, rivolgendo uno sguardo su questa Italia e sulle sue condizioni morali e politiche, Marco Minghetti capiva che le cose non poteano durare nello stato presente. Cavour, osservava Marco, avea concepito smisurati disegni, ma di lui si può conchiudere come Svetonio di Cesare: talia agentem atqve meditantem mors praevenit. Anche noi, ripigliava Marco, anche noi vogliam fare grandi cose? Ma nel meglio chi sa che non venga a coglierci la morte o la bancarotta o qualche altra disgrazia inaspettata che ci riduca in mina? Vedi intanto, o Marco, quanti delitti in ogni parte, e come di tiranni tutte piene sono le terre d'Italia! Vedi mazziniani, passagliani, briganti, tutta gente della stessa risma! Vedi in Sicilia, e tei mostra la Discussione all'ordine del giorno le rapine, le estorsioni di ogni genere, e gli omicidi!» Vedi il Lombardo che ti parla della necessità «di mutare l'indirizzo del presente gabinetto!» Vedi in Firenze come se la pigliano contro Napoleone 1Il! O Marco, Marco, che ti resta egli mai se non ripetere ciò che dicevà a se stesso Onofrio Minzoni:

Oh povero Marcuccio....

Sarai fuor d'ogni noia

Quando trarratti del piovan nell'orto

Ad ingrassar le rape il beccamorto.

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IL BRIGANTAGGIO

II Brigantaggio nel Regno di Napoli nato dopo la rivoluzione, non ancora estinto è un argomento su cui si fermerà lo storico dei nostri tempi. Registriamone qualche memoria.

LA QUESTUA DI PERUZZI

CONTRO IL BRIGANTAGGIO

(Pubblicato l'8 e 9 gennaio 1863)

Fa...te... un... po'... di... carità

per l'unità d'Italia!

(Il ministro Peruzzi, frate cercatore).

Dopo tanto gridare contro i frati questuanti, il conte Camillo di Cavour, venuto a termini di vita, mandò pel P. Giacomo, e il ministro dell'interno, cav. Ubaldino Peruzzi, converrò in frati questuanti tutti i prefetti del regno d'Italia! Abbiamo già dato un cenno nella nostra Armonia della circolare che il Sig. Peruzzi scriveva ai prefetti, sotto la data del 1° gennaio 1863, circolare pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale del medesimo giorno, ma gioverà ora discorrerne più lungamente, tanto più che la questua è già incominciata in Torino, dove i frati della prefettura vanno a battere alle porte, e chiedono un po' di carità contro i briganti per amore dell'unità d'Italia.

Il Peruzzi dice adunque nella sua circolare, che il brigantaggio travaglia da sub inni le popolazioni napoletane. Notate bene questo: da due anni! Soggiunge che il brigantaggio è danno generale d'Italia e leva vigore a tutto il corpo. Ripiglia che il brigantaggio macula la purezza del moto nazionale che ha messo l'Italia nella via d'un infinito avvenire di prosperità e di grandezza.

Poi il Peruzzi si dimentica di questo, e protesta che l'unità d'Italia non teme dal brigantaggio, perché splende della luce sua, e perché è nata dalla unanime volontà dei popoli. Eppure non ostante l'unanime volontà dei popoli, scrive il signor Peruzzi, «la mala erba del brigantaggio tutto isterilisce il suolo di tante Provincie».

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Fermiamoci un momento su queste affermazioni del ministro Peruzzi. Il brigantaggio travaglia da due anni le popolazioni napoletane. Dunque sotto i Borboni le popolazioni napoletane non erano travagliate dal brigantaggio. Dunque il brigantaggio nacque dopo le belle imprese di Garibaldi e de' successori. Dunque in due anni il forte governo del regno d'Italia non bastò ad estirpare né co' suoi denari, né co' suoi soldati la mala erba del brigantaggio. Queste conseguenze derivano a filo di logica dalla dichiarazione del Peruzzi.

Il quale non esita ad aggiungere che il brigantaggio isterilisce tutto il suolo di tante provincie. Dunque lutto il suolo di tante provincie dee essere coperto dai briganti, se no tutto quel suolo non potrebbe essere isterilito. Dunque i briganti non sono un pugno, non sono trecento o quattrocento, come pretende il generale Lamarmora, ma sono tanti da isterilire tutto il suolo di tante provincie. Dunque dopo il risorgimento. d'Italia, ossia da due anni, tutto il suolo di tante provincie trovasi isterilito. Chi oserà negare la legittimità di queste altre conseguenze?

Il signor Peruzzi asserisce che il brigantaggio è una sciagura prodotta dal governo caduto, il quale reggendo i Napoletani «di proposito trascurò di diffondere, tra le loro classi più infime, quei lumi di coltura, quei semi di civiltà, quei principii fecondi di libertà, che infondono nei popoli il sentimento di se medesimi e della dignità del lavoro». Dunque il brigantaggio è proprio opera dei Napoletani, non di forestieri. Dunque è proprio delle classi infime, ossia di quelle classi che si sogliono chiamar popolo, ed a cui si attribuisce la sovranità. Dunque la sciagura del brigantaggio, nata da due anni non esisteva sotto il governo borbonico che l'ha prodotta, e nacque, e cresce, e si allarga sotto il governo che diffonde i lumi di coltura, che sparge i semi di civiltà, che spande i principii fecondi di libertà. E dopo due anni di questi principii, di questi semi, di questi lumi, il brigantaggio non che cessare richiede novantatremila soldati per fargli testa e le circolari del signor Peruzzi 1

II barone Bettino Ricasoli dicea a1 suoi tempi, che il brigantaggio non era cosa politica. Ma pare che Ubaldino Peruzzi sia d'opinione affatto contraria*, vuoi perché lo fa nascere solo da due anni, vuoi perché lo attribuisce alla mancanza dei lumi di coltura e dei semi di civiltà. Ora ci sono due punti che noi non sappiamo in verun modo capire, e il sig. Ubaldino Peruzzi farebbe un'opera santa a spiegarceli. Udite, signor Ubaldino.

Voi dite dapprima che le popolazioni napoletane concorrono non ad ingrossare, ma a combattere le bande dei briganti. Spiegateci dunque come avviene che le bande dei briganti combattute da novantatremila soldati e più dalle popolazioni napoletane, tuttavia in due anni non si sieno potute estirpare? Spiegateci come le popolazioni napoletane, non ostante che l'antico governo abbia trascurato di diffondere tra le loro classi i lumi di coltura e i semi di civiltà, pure concorrano a combattere i briganti? Se attribuite all'educazione dell'antico governo la nascita del brigantaggio, perché non attribuirgli egualmente il merito delle popolazioni che lo combattono, se por lo combattono davvero?

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Spiegateci inoltre, signor Ubaldino, come mai l'unità d'Italia, nata dall'unanime volontà dei popoli, possa essere da due anni oppugnata dai briganti nati dalle classi più infime. Forse che le classi più infime non appartengono al popolo? E se gli appartengono, eppur combattono l'unità d'Italia, questa non pub dirsi nata dalla loro volontà. E se questa volontà ci manca, non possono dirsi unanimi i voleri.

Il cumulo di contraddizioni e di assurdità, in cui cadde il ministro Peruzzi fin dalle prime linee della sua circolare, mostra quanto sia grave questa questione del brigantaggio. Volendo il ministro mendicare qualche scusa, non fe' che imbrogliarsi e imbrogliare, senza saper neppur egli che cosa si dicesse. Poi finì col ricorrere al solito ripiego di tutti i ministri del regno d'Italia, che quando non sanno più dove dare del capo in questa questione del brigantaggio, tolgono a calunniar Roma. Il Peruzzi trova che il brigantaggio si alimenta «per loro venuto di dove si sarebbe aspettata una parola cristiana di benedizione e di pace», E più innanzi ripete che il fuoco brigantesco è avvalorato dal fomite di Roma.

Sciocche ed assurde calunnie sono queste. Pio IX spogliato ha bisogno dell'elemosina dei figli per vivere, e voi l'accusate di mandar l' oto ai briganti? E quando pur lo volesse dove prenderebbe quest'oro? E non dite voi che Roma è in mano dei Francesi, e non pretendete che costoro vi sieno amici? E questi vostri amici non impedirebbero che da Roma partisse l'oro per sostenere i briganti? E se poco oro di Roma basta a sostenere il brigantaggio, perché non bastò a sopirlo il molto oro che in due anni voi avete sparnazzato? Son due bilioni che avete speso in ventiquattro mesi, e se è l'oro che fa nascere il brigantaggio, ne aveste in mano abbastanza per soffocarlo!

Ma coteste villane menzogne non meritano neppur l'onore della confutazione (1). Il Peruzzi ha già corso tutte le provincie napoletane, e sa bene d'onde e come nacque il brigantaggio. Egli non potè ritrovare un documento solo per dimostrare che Roma lo fomentasse. Ripete sempre le solite gratuite asserzioni che non hanno nessun peso e ricadono sul suo capo. Dall'altra parte noi potremmo citare a iosa testimonianze di deputati, i quali attribuirono l'origine del brigantaggio non a Roma, bensì allo sgoverno delle provincie napoletane ed al generale malcontento.

Ci contenteremo di arrecare al signor Peruzzi l'autorità non sospetta di due deputati. L'uno è il deputato Musolino, che il 3 dicembre 1861 disse alla Camera: «II brigantaggio a Roma non è sostenuto da Pio IX. Certo Pio IX è amico di Francesco II, e dovrebbero sostenersi a vicenda; ma nello stato attuale delle cose, il Papa non ha interesse immediato, assoluto, necessario di mantenere il brigantaggio, perché egli ne raccoglie innanzi tutto lo svantaggio (1).

(1) Bettino Ricasoli nella circolare che scrisse il 24 agosto 1861, osò dire che il Papa carpiva il Danaro di San Pietro e ne assoldava i briganti. Il Constitutionnel del 6 di settembre dichiarò che la circolare Ricasoli a péché contre l'exactitude. Il Giornale di Roma, il 7 settembre, sbugiardava il ministro; e la Patrie del 9 settembre ci disse che tutte le Potenze che hanno rappresentanti presso la Santa Sede bollarono la circolare Ricasoli come calunniatrice. Ed ora Peruzzi osa ripetere le stesse calunnie!

(1) Atti Uff. della Camera, N. 339, pag. 4344.

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E il deputato Ferrari parlando dei briganti avea già detto che «tanto nel 1799, quanto nel 1814 i padri degli attuali combattenti ricondocevano i Borboni sul trono di Napoli». E l'oratore rincalzava: «Sono briganti, ma hanno una bandiera; sono briganti, ma il partito borbonico sussiste; la sua astensione è visibile in ogni elezione»; sono briganti «ma sono figli delle montagne, inaccessibili nelle ritirate, formidabili nelle sorprese». Sono briganti «ma infine prevalenti contro i militi (2)».

Il ministro Peruzzi non credeva certamente nel settembre del 1860, che nel gennaio del 1863 sarebbe stato obbligato a scrivere una circolare contro i briganti come quella che uscì dalla sua penna! Il dep. Massari sul finire del 1861 aveva osato affermare che il brigantaggio andava diminuendo. «Dal mese di maggio in poi, dicea il Massari il 2 dicembre 1661, il flagello del brigantaggio è scemato (3)». Ora ecco il signor Massari, membro segretario d'una Commissione, che nel 1863 va a Napoli per trovare rimedi contro i briganti! Il Peruzzi nella sua circolare parla degli studi di questa Commissione, che partì appunto la sera del 5 di gennaio, accompagnata dal cav. Pellati, redattore in capo dei verbali e da due uscieri.

Discorreremo in un secondo articolo della Commissione e della sottoscrizione, due armi colle quali ora si vuoi vincere l'inespugnabile brigantaggio. O noi c'inganniamo, o il signor Peruzzi ha trovato che non ci sono fondi sufficienti nelle casse del regno d'Italia per pagare i deputati che vanno a studiare il brigantaggio. Quindi l'astuto ministro dell'interno ha pensato di aprire una sottoscrizione nazionale, che apparentemente si dice per le vittime dei briganti, ma che in realtà sarà per pagare i viaggi, i pranzi, le feste, le accoglienze e disturbi di quei deputati che recaronsi a studiare il brigantaggio. I quali in un certo senso sono vittime dei briganti, in quanto che senza il brigantaggio non si sarebbero mossi da Torino.

II.

Mentre scriviamo queste linee, il piroscafo Governolo corre per alla volta di Napoli carico del dolcissimo peso della Commissione d'inchiesta contro il brigantaggio. Questa Commissione fu decretata dalla Camera segretamente il 16 dicembre, ma quando si venne al punto di nominare i deputati che doveano comporta, ne nacque un solennissimo pasticcio, perché quanti onorevoli erano nominati, altrettanti presentavano la loro rinunzia. Brignone, Mosca, Finzi rinunziarono, e tu pure rinunziasti, o Bettino Ricasoli, con lettera letta dal vice-presidente Poerio nella tornata del 22 dicembre. Nomina, cerca, prega, finalmente la Commissione d'inchiesta restò composta dei seguenti membri: Aurelio Saffi di Forlì, Giuseppe Sirtori di Milano, prof. Antonio Ciccone, Argentino, medico Romeo Stefano di San Stefano in Calabria, avvocato Stefano Castagnola di Chiavari, Giuseppe Massari di Taranto, Sambiase-Sanseverino Gennaro duca di San Donato, medico Giovanni Morelli di Verona, Nino Bixio di Genova. Costoro o in mare o in terra stanno oggidì studiando il brigantaggio.

(2) Atti Uff Tornata del 2 dicembre 4864, N° 337, pag. 4302.

(3) Atti Uff., N° 338, pag. 4305.

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I così detti briganti (1) apparvero sempre a Napoli, ogni qualvolta ne vennero discacciati i Borboni. E v'erano briganti nel reame di Napoli, quando Napoleone I, esautorato il Re legittimo, ne regalava la Corona a suo fratello Giuseppe. Ma non ci ricorda che mai Giuseppe o Napoleone pensassero a combattere il brigantaggio con una Commissione d'inchiesta. Abbiano letto bensì che Napoleone I scriveva al fratello Giuseppe regnante a Napoli: «È necessario fucilare immantinente i briganti tosto che ve ne siano degli arrestati (2)». Abbiam letto che Giuseppe scriveva da Napoli a Napoleone I: «Le Commissioni militari di Salerno, Napoli e Gaeta fanno giustizia dei briganti (3)». Abbiam letto che il colonnello Lebrun faceva sparare contro i briganti, Reyner purgava i paesi e Massena incendiava lo chiese dove si erano trincerati i briganti. Ma che si mandassero deputati a studiare il brigantaggio, non ci venne né letto, né udito mai, e fu pensiero pelasgico del senno italiano raccolto in Torino.

Speriamo che il Governolo avrà fatto o farà buon viaggio, e i commissari giungeranno a salvamento. Ma in che cosa mai consisteranno i loro studi? Interrogheranno i briganti? Il medico Romeo tasterà loro il polso? 0 il chirurgo Morelli farà loro qualche salasso? 0 Massari li arringherà con qualche discorso? 0 Bixio e Sirtori li sfideranno a duello? 0 Castagnola li combatterà cogli articoli del Codice civile, penale e commerciale? O il prof. Ciccone insegnerà loro la civiltà, la libertà e la Costituzione? Noi non sappiam proprio immaginare che cosa faranno i dieci deputati incaricati di studiare il brigantaggio. Però mentre essi studiano, il ministro Ubaldino Peruzzi va a raccogliere. La Commissione d'inchiesta sul brigantaggio è un vero spettacolo che si da al popolo italiano, e con provvido consiglio fu nominato tra i commissarì Sambiase-Sanseverino, Gennaro Duca di San Donato, direttore dei teatri di Napoli. Ora quando in piazza Castello si diverte il pubblico con qualche salto, o capriola, o giuoco di bussolotto, o cose simili, v'ha sempre uno che va col piattello chiedendo i soldi agli assistenti. Quest'uffizio si ha assunto, nel caso nostro, il ministro dell'interno. La Commissione studia, e vuoi dire giuoca, scherza, salta, diverte il pubblico italiano, e Peruzzi col piattello si raccomanda alla buona grazia del pubblico.

Questo è lo scopo della circolare Peruzzi del 1° di gennaio. Alla buona grazia, grida Peruzzi, e mai ciarlatano non fu così eloquente.

(1) Il nome di briganti nel senso in cui si prende oggidì politicamente, è d'origine francese. In italiano brigante vanne da briga, contesa e significò soldato; poi fu traslato a significare uomo di bel tempo, e da ultimo fu preso per lo più in mala parte dandosi di uomo sedizioso, perturbatore dello Stato, rivoluzionario. Il Boccaccio scrive di frate Cipolla, che era il miglior brigante del mondo (Novella, 60, 3). Barrere chiamava briganti gli Inglesi che ti opponevano, in sul cadere del secolo passato, alla repubblica francese. Il 14 agosto 1794 Barrere diceva dalla tribuna francese: «Voi avete già prevenuto i supremi giudizi della posterità contro i briganti inglesi; il loro nome è scritto con infamia negli annali del genere umano e ne' vostri decreti ».

(2) Mèmoires et correspondance politique et militaire du roi Joseph. Paria, 1853, tom. II, pag. 203.

(3) Loc. cit. tom. IV, pag. 190. Vedi l'Armonia del 24 gennaio 1864, primo articolo: Del nome di briganti.

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Cita il fatto splendido dell'Inghilterra, che soccorre gli operai senza lavoro, invoca la fratellanza italiana, ricorre alla liberalità dei privati; dice loro di dare soldi, perché questi soldi, oltre un significato sociale e morale, avranno anche un significato politico. E Peruzzi porge il piattello, e gridando alla buonagrazia! continua a parlare del dolore delle lunghe angherie sofferte dalle popolazioni napoletane, che pur combattono per coloro che le angariarono, e supplica perché non sieno derelitte dalle provincie sorelle, e invita gli Italiani «a mostrare la sollecitudine di tutta Italia, ed accorrere spontanei a medicare le piaghe che apre il brigantaggio».

Ristamperemo più innanzi nella sua integrità la circolare Peruzzi. Qui lasciando da parte le celie, osserveremo che la questua contro i briganti non recherà nessun vantaggio al regno d'Italia; non recherà nessun danno al così detto brigantaggio; e da ultimo sarà un'imposta pei poveri impiegati.

Nessun vantaggio al regno d'Italia. La circolare Peruzzi chiedendo una sottoscrizione per uno scopo politico , com'egli dice, confessa che l' unità d'Italia abbisogna di una conferma. 0 la sottoscrizione non riesce, e il fiasco sarà solenne; o riesce, e i calunniatori diranno, che il governo ha dato venti lire ad ogni napoletano, perché ne versi cinque contro i briganti. Le sottoscrizioni per avere qualche importanza debbono rassomigliare a quella del Danaro di San Pietro.

Nessun danno al brigantaggio. Nulla poterono contro i briganti i Cialdini, i Fumel, i Pinelli, i De Virgilii, coi loro tremendi proclami, nulla le fucilazioni, nulla i villaggi incendiati, nulla Io stato d'assedio. Pensate se otterrà un miglior risultato l'ex-parroco Robecchi che da lire 15, o Nicola Indelli che da lire 10! Anzi i briganti, conoscendo l'importanza politica che si attribuisce al brigantaggio, ne trarranno argomento per sempre più briganteggiare.

Un'imposta pei poveri impiegali. Costoro si lagnano con molta ragiona che il capo d'uffizio va troppo spesso pungendoli con qualche nuova sottoscrizione. Ieri si obbligavano gl'impiegati a sottoscrivere pel monumento Cavour, ora si obbligano a dare contro il brigantaggio. E guai all'impiegato che non darà! Lo avranno in conto di brigante, o fautore di briganti, e lo getteranno sul lastrico.

E non abbiamo ancora toccato il lato peggiore della sottoscrizione proposta dal Peruzzi. Imperocché di che cosa trattasi in ultima analisi? L'Italia meridionale é divisa in due parti. Altri si sottomettono al nuovo ordine di cose, e si comportano in modo passivo in faccia al nuovo governo. Altri non vi si vogliono sottomettere, e impugnate le armi, fanno resistenza, e questi sono i briganti. Contro questi ultimi, che sono briganti se volete, ma briganti italiani, si mandano altri Italiani, e i cittadini si bastono coi cittadini, e la guerra civile dura da due anni, e il sangue fraterno bagna le più belle terre d'Italia.

In mezzo a tanto orrore e tanta desolazione, eccoti venir fuori un ministro che chiede danari per premiare coloro che avranno ucciso un maggior numero d'Italiani! e fa questa richiesta in nome dell'unità d'Italia, e in nome della carità cittadina! E vuole che si premii un italiano che avrà ucciso un altro italiano, come si soccorre in Inghilterra un operaio senza lavoro!

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Uno de' segni del finimondo è gens contra gentem, e questo segno tremendo abbiamo in Italia. E mentre la buona politica, l'amor patrio, il buon cuore consiglierebbero di sedare le ire, e studiare il modo di mettere un termine alla guerra civile, il ministro Peruzzi ha il coraggio di aprire una pubblica soscrizione per renderla più lunga e più feroce da una parte e dall'altra!

La sottoscrizione fu già cominciata a Milano dalla Perseveranza e dal Lombardo. Tra i sottoscrittori nel Lombardo dell'8 gennaio vfè il cavaliere D. Giùseppe Calvi, preposto alla Metropolitana, che da lire 10, e nella Perseveranza dello stesso giorno sono - Prevosti Monsignor Luigi, canonico ordinario della Metropolitana, che da lire 10 - Proposto, parroco e coadiutori di Santa Maria della Scala in S. Fedele, che danno L. 50 - Maestri Monsignor Luigi, canonico ordinario della Metropolitana, che da lire 10 - Carcano Monsignor Filippo, canonico ordinario della Metropolitana, che da lire 10 - Bertoglio sacerdote Cesare, prevosto parroco di S. Tommaso, che da lire 10 come i precedenti. - Costoro non hanno ancor dato un soldo per sostenere il padre comune dei fedeli, il Vicario di Gesù Cristo, ed offrono danari per ricompensare quelli che uccidono i briganti!

Nelle guerre civili il Sacerdote di Dio non dovrebbe entrare che come pacificatore, non mai come istigatore, e i suddetti sacerdoti e Monsignori di Milano non hanno pensato che forse si sono resi irregolari colla loro soscrizione. Noi li invitiamo a studiare le irregolarità ex defectu lenitatìs, e il cap. 1 Distinti. 51, cap. 24 de Homicid. Combattere, o semplicemente animare gli altri a combattere, anche in una guerra giusta, è azione proibita ai sacerdoti, e per cui s'incorre l'irregolarità (cap. 9 Ne Cleric. vel Monach.). Ora che cosa è mai la sottoscrizione contro i briganti, se non un eccitamento ai soldati di ucciderli? Alla coscienza dei Monsignori del duomo di Milano sottomettiamo questo quesito. Veggano e provvedano.

Quanto a noi, in mezzo a tante ire feroci e a tanto sangue, non faremo che udire una voce, la bella e cara voce di Padre, e ripeteremo agl'Italiani quei versi del Manzoni: «Tutti fatti a sembianza d'un solo -- Figli tutti d'un solo riscatto - In qual ora, in qual parte del suolo - Trascorriamo quest'aura vital - Siam fratelli; siam stretti ad un patto - Maledetto colui che lo infrange - Che s'innalza sul fiacco che piange - Che contrista uno spirto immortal». - Terribile è questa maledizione del Manzoni! Ma noi non vogliamo essere maledetti contristando il nostro Santo Padre Pio IX. A lui il nostro affetto, la nostra obbedienza, e le nostre sottoscrizioni!

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CIRCOLARE

PER UNA SOTTOSCRIZIONE CONTRO IL BRIGANTAGGIO

(Pubblicato il 9 gennaio 1863).

Non avendo noi riferito che qualche periodo delia circolare Peruzzi, giudichiamo conveniente di qui ristamparla nella sua integrità, come documento per la storia de' nostri tempi, e come simbolo della presente unità d'Italia, che richiede dal ministro dell'interno simili provvedimenti.

MINISTERO DELL'INTERNO

Circolare ai signori Prefetti.

Torino, 1° gennaio 1863.

Il brigantaggio che travaglia parecchie delle provincie napoletane è danno generale d'Italia. Esso leva vigore a tutto il corpo, se ne ammala principalmente sole alcune membra: e macula la purezza di questo moto nazionale, che ha messa l'Italia dalle umili condizioni, in cui ella era, nella via di un cosi infinito avvenire di prosperità e di grandezza.

il brigantaggio non accusa però le popolazioni dei paesi che esso desola; senza essere loro colpa è una loro nuova sciagura: una sciagura che è come la somma ed il risultalo di tutte quelle che aggravò sopra esse il governo caduto, di proposito trascurando di diffondere tra le loro classi più infime quei lumi di coltura, quei semi di civiltà, quei principii fecondi di libertà, che infondono nei popoli il sentimento di se medesimi e della dignità del lavoro.

Nel disordine che per una qualunque mutazione di stato si sarebbe dovuto in tali condizioni di cose generare, il governo caduto non vedeva nell'avvenire se non quello che vi aveva trovato nel passato, un mezzo di restaurazione.

Di questa speranza le popolazioni napoletane hanno già a quest'ora disilluso quelli che la nutrivano, concorrendo non ad ingrossare, ma a combattere le bande dei briganti che, per la dissoluzione della forza pubblica e per loro venuto di dove si sarebbe aspettata una parola cristiana di benedizione e di pace, si sono formate nel loro grembo.

Pure, quelle bande così sparse e sole, attendate o scorrenti a modo di nemici in terreno nemico, servono agli avversarii dell'unità d'Italia di pretesto a combatterla, preferendo di lasciar credere che abbiano sul suolo d'Italia trovato un alleato che li disonora, che di dichiarare di non trovarne punto.

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L'unità d'Italia splende per la luce sua; è nata dall'unanime volontà dei popoli, né ha bisogno di conferma. Pure il governo si deve preoccupare, perché dove mancano le ragioui, manchino anche i pretesti; perché il fuoco sia spento, quand'ancbe, e prima che il fomite di Roma non sia rimosso; ed è risoluto a pigliare ogni pi ti pronto ed efficace provvedimento, perché la mala erba del brigantaggio, che tutto isterilisce il suolo di tante provincie, sia recisa e svelta tutta.

Quali mezzi a ciò il governo debba da se e sin d'ora adoperare, mentre che gli studii della Commissione d'inchiesta continuano. Ella ne è già stata in parte e ne sarà poi vieppiù particolarmente istruita: ma vi ha alcuna cosa che il governo sente di non poter compiere tutta da se solo, e per la quale provoca per mezzo dei signori Prefetti il concorso della Razione.

Le popolazioni napoletane, che da due anni sentono un flagello, del quale le altre provincie sono libere, hanno pur bisogno di sapere con un segno evidente ohe questo lor male privato è tenuto, quello che è diffatti, male di tutti. - Un fatto nuovo nelle società presenti, un fatto di cui l'Inghilterra, in tutte le parti del suo immenso dominio, da prova oggi così splendida, nel concorrere ai soccorsi degli operai nel Lancashire rimasti per cagione della guerra d'America senza lavoro, un fatto nuovo è questo: che tutte le parti che costituiscono uno Stato, tutte le provincie che lo compongono, tutte le classi nelle quali è distinto, tutti i cittadini che esso numera, sentono ora molto più intimamente che non facessero per il passato di formare un tutto solo, collegato da un vincolo interno di affetto, da un vincolo comune d'interessi per cui e male di ognuno ciò che è male di ciascuno: e la liberalità dei privati,supplisce dove lo Stato, senza allargare di soverchio le sue attribuzioni, od accettare principii sinora riconosciuti funesti, non potrebbe supplire appieno da sé.

In Italia questo concorso del paese avrebbe, oltre questo significato sociale e morale, un significato politico. Il dolore delle lunghe angherie, dei ripetuti danni, delle continue sofferenze ha potuto far entrare in parecchie delle popolazioni napoletane un pregiudizio funesto alla riputazione di stabilità che è il primo fondamento d'ogni Stato, e il primo principio d'ogni Stato nuovo: si sono potute credere derelitte dalle provincie sorelle, ed amate meno delle altre. Qual miglior mezzo a dissipare un così dannoso pregiudizio che quello di mostrare la sollecitudine di tutta Italia accorrere spontanea a medicare le piaghe che il brigantaggio apre nelle famiglie, e premiare il coraggio di coloro, i quali affrontando i briganti difendono sé, le lor famiglie, la lor patria, e purgano il nome napoletano da ogni ingiusta taccia?

Il governo non intende neanche in questa parte restare nel giro della sua azione legittima inoperoso.

Anche ora gli atti di coraggio hanno da esso quelle ricompense che nei confini dei fondi, dei quali dispone e nei modi dalle leggi consentiti può assegnare. Ed esso intende formulare un progetto di legge da presentare nella prossima sessione al Parlamento a fine d'essere a ciò con maggior larghezza abilitato.

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Ha mentre il governo nutre questo disegno, non si può nascondere due cose: primo, che richiederà tempo così, il formulare come il deliberare questa proposta di legge; secondo, che essa non potrà venire al sussidio di quelle sventure domestiche, che meritano dalla pietà dei concittadini un compianto non isterile, né attagliarsi così bene a tutte quelle opere d'amor patrio e di coraggio, che sarebbe debito ricompensare, come la carità privata saprebbe così mirabilmente fare da se.

D'altra parte il governo sente quanto il conforto scenderebbe più dolce nel seno delle famiglie desolate, o all'animo di chi ha ben meritato del paese, se apparisse venire dalla spontanea volontà dei concittadini, anziché dalla forzata imposizione dello Stato.

Il governo sente come pel primo modo produrrebbe molti effetti morali, che nel secondo non può raggiungere; esso sente quanto meglio convenga, che mentr'esso chiede come dovere la virtù del sacrificio, la riconoscenza e la sollecitudine del paese, appresti a premiarla.

Senza quindi rinunziare alla parte che può ad esso spettare, il governo crede bene d'invitare la Signoria Vostra-a promuovere, appena ricevuta questa circolare, una sottoscrizione in tutti i comuni della provincia commessa alle sue cure, in quei modi che le parranno più acconci a far che corrisponda allo scopo, che le son venuto indicando. A questa sottoscrizione il ricco porgerà il suo scudo, il povero il suo obolo: e sarà la somma raccolta applicata al doppio fine di consolare le sventure domestiche da una parte, di premiare gli atti di coraggio dall'altra, dei quali il brigantaggio sia occasione od origine.

li ministero indicherà a sud tempo i modi di far pervenire i fondi raccolti nelle mani delle autorità delle provincie, nelle quali debbano essere distribuiti.

E come chiede il concorso dei privati nel dare, cosi il governo intende chiedere quello dei privati nel distribuire. Perciò i prefetti delle provincie, nelle quali occorrerà o distribuire i soccorsi, o conferire i premii indicati, avranno dal ministero apposite istruzioni, coir? nominare nel capoluogo di provincia una Commissione di cittadini probi e reputati, e nei comuni delle Commissioni che corrispondano con essa; acciocché veri fica ti gli atti a premiare, o le sventure a sollevare, sia, in proporzione delle somme raccolte, dato misurato premio agli uni, e possibile conforto alle altre.

Il Ministra: U. Peruzzi

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SETTEMILA FUCILATI A NAPOLI

( Pubblicato il 21 gennaio 1863 ).

Ci scrivono: «la prima risultanza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio fu l'accertare che SETTEMILA sono i fucilati finora. M'intendete? i fucilati, oltre gli uccisi combattendo; i fucilati, cioè, quelli soli che furono legalmente, cioè militarmente uccisi e constatati; constatati, cioè veramente uccisi, neppur uno più del vero, ma forse molti meno del vero».

Questa notizia del nostro corrispondente ci parve gravissima; ma ricercando nel Giornale Ufficiale di Napoli, ricercando negli altri giornali della rivoluzione, ricercando nella stessa Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, e sommando tutti i fucilati che ci annunziarono da due anni in poi, abbiamo trovato che superano i settemila fucilati constatati dalla Commissione d'inchiesta!

Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure i Napoletani votarono all'unanimità il plebiscito, vollero all'unanimità sottrarsi all'antico governo dei Borboni, e rinunziata la loro autonomia, nient* altro sospirano che di annetterti al Piemonte! Come tutte queste ufficiali affermazioni si possano conciliare con settemila ufficiali fucilazioni?

Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure di questi giorni il governo promuove una sottoscrizione per tutta l'Italia, affine d'incoraggiare la guerra fratricida, e i municipii soscrivono migliaia e migliaia di lire perché non si cessi dal fucilare, ma si fucili ancora, e si fucili di più!

Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure l'Imperatore de' Francesi fa pubblicare documenti, da cui risulta che egli ha domandato riforme al Santo Padre Pio IX, documenti che mostrano come Napoleone III inducesse la Russia e la Prussia a riconoscere il regno d'Italia, documenti, in cui esclude il ricorso alla forza per indurre le città a ritornare sotto gli antichi sovrani; ma nel libro giallo non trovasi un documento solo, da cui risulti che la Francia ha protestato una volta contro tante fucilazioni.

Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure Napoleone III, che fece dire già al re Francesco II: Maestà, date la Costituzione, non fece mai dire ai ministri di Torino: Eccellenze, non fucilate più! -

Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure sir Guglielmo Gladstone, che già tanto dolevasi e tanto scriveva contro i pretesi patimenti di Poerio, di quel Poerio che ci rappresentava come semivivo, mentre oggidì «mangia, e beve, e dorme, e veste panni»; sir Gladstone, amico e traduttore di Farini, sir Gladstone, così umano, così compassionevole, non ha ancora detto, né scritto una parola sola in favore dei fucilati!

Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure, l'8 di aprile del 1856, il conte Walewski nel Congresso di Parigi invocava atti di clemenza dal governo delle Due Sicilie, e consigliandoli al re di Napoli, credeva di rendergli un segnalato servizio; ma finora, né il Walewski né i suoi successori (ingrati!) pensarono di dare questo consiglio e di rendere questo servizio al governo del regno d'Italia.

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Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure si dice, si scrive, si canta che il risorgimento italiano non fu macchiato da una sola goccia di sangue; ma è un puro, nobile, e sublime slancio delle popolazioni!

Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure il brigantaggio ben lungi dall'essere spento, continua sempre, ed anzi ringagliardisce, sicché la Camera dei deputati stimò di spedire in quelle contrade una Commissione per ricercare dove e come nascono i briganti, e studiare i rimedi per estirparli!

Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure Odo Russel, agente dell'Inghilterra a Roma, calunnia la Santa Sede sognando i cinque o seicento soldati spagnuoli partiti per rinforzare il brigantaggio; ma non dice una parola di coloro che tanti fucilarono, tanti fucilano, e sono tuttavia pronti a fucilare!

Settemila fucilati nel reame di Napoli! Eppure Dronyn de Lhuys, il 20 dicembre 1862, scrivea all'ambasciatore francese a Roma, che il territorio protetto dalle armi francesi non doveva servire a preparativi per alimentare la guerra civile; ma non iscrisse ancora al conte di Sartiges, che un governo cosi amato a Napoli dovea una volta fermarsi dal fucilare.

Le fucilazioni a Napoli incominciarono nell'ottobre del 1860. Nel supplimmo al N° 38 del Giornale Ufficiale di Napoli del 20 ottobre 1860 &i leggeva il seguente ordine di Cialdini; «Faccia pubblicare che fucilo tutti i paesani armati che piglio, e do quartiere soltanto alle truppe. Oggi ho già incominciato.

Firmato il generale CIALDINI».

Cialdini incominciava a fucilare. Sono più di due anni, e non s'è finito ancora! Fucilava De Virgilii, e il 2 novembre 1860 pubblicava a Teramo: «I reazionarii presi colle armi alla mano saranno fucilati». Fucilava Curci, fucilava Fumel, fucilava Pinelli, fucilava Galateri, ed ora fucila Lamarmora! E la Commissione d'inchiesta sul brigantaggio scrive in capo a' suoi studii: SETTEMILA FUCILATI!

I DOCUMENTI FRANCESI

PROVANO CIIE IL GOVERNO PONTIFICIO NON IIA NESSUNA PARTE NEL BRIGANTAGGIO.

(Pubblicato il 21 gennaio 1863).

Parigi, 20 dicembre.

Il ministro degli esteri annunzia all'ambasciatore in Roma, avere dall'ambasciatore d'Inghilterra saputo che una banda di cinque o seicento briganti, la più parte spagnuoli o bavaresi, in assisa di soldati francesi, era ordinata in Roma e mandata negli Stati Napoletani.» Vi prego, soggiunge il signor Drouyn de Lhuys, di nulla trascurare per verificare questa informatone, e, ov'essa vi sembri fondata, di chiamare sopra un fatto così grave la più seria attenzione dell'autorità pontificia.

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Il Ministro all'Ambasciatore di Francia a Roma.

Parigi, 1° gennaio i863.

Il ministra informa l'ambasciatore di una pratica fatta presso di lui dal gabinetto inglese per denunciargli «l'estensione che avrebbe preso il brigantaggio nelle provincie napoletane vicine allo Stato Pontificio». Il gabinetto inglese, dopo aver segnalato questo fatto come certo, l'attribuisce alla tolleranza volontaria, se non alla connivenza del governo pontificio. Il gabinetto inglese menziona inoltre il fatto segnalato nel dispaccio precedente di una banda di briganti travestiti da soldati francesi, che sarebbe stata diretta sugli Stati Napoletani. - Il ministro fa nota la sua risposta a lord Cowley, che gli avea comunicato il dispaccio del conte Russi1i. Egli crede i fatti esageratissimi. Per quel che ci riguarda. egli dice, noi abbiamo preso tutte le misure, che la presenza delle nostre truppe poteva permetterci. La sorveglianza delle nostre truppe sulla frontiera non potrebbe essere più attiva. Quanto al fatto dei seicento uomini, non è credibile. Il Cardinale Segretario di Stato e il Papa stesso sanno il valore che noi annettiamo a questo fatto, che cioè il governo pontificio si occupi per parte sua, come noi lo facciamo dalla nostra, a impedire gli armamenti sul suo territorio, e le assicurazioni che abbiamo ricevuto a questo riguardo dal Papa e dal suo ministro erano esplicite quanto potevamo desiderare.

L'ambasciator di Francia al ministro degli esteri.

Roma, 27 dicembre.

«Mi affretto di annunciare a V. E. che dalle ricerche, a cui mi sono dato, risulta che il fatto dei cinque o seicento soldati spagnuoli o bavaresi, è ignorato da tutti coloro che sarebbero in grado di averne contezza, la qual cosa mi autorizza a contestarne l'esattezza. Come ammettere seriamente che una spedizione così importante abbia potuto organizzarsi in un territorio occupato da 18, 000 nostri soldati, all'insaputa della polizia e della gendarmeria francese, e senza che il generale che comanda queste truppe e l'ambasciatore dell'Imperatore abbiano potuto concepirne il menomo sospetto? li, supposto che questa spedizione avesse potuto essere organizzata, come ammettere ancora che essa sia pervenuta a varcare la frontiera, severissimamente sorvegliata dalle nostre truppe precisamente dal lato di Napoli? Simili fatti non potrebbero prodursi senza una intiera complicità da parte delle autorità pontificie; ora, dal mio arrivo in Roma, io mi sono già trovato nel caso di spiegarmi chiarissimamente a questo riguardo, tanto col Santo Padre e il Cardinale Antonelli, quanto collo stesso Monsignor Merode. Mi affretto di soggiungere che, nel momento attuale, l'attitudine del governo pontificio è sotto questo rapporto così pura, come abbiamo il diritto di esigerla».

Il ministro all'ambasciatore a Roma.

Parigi, 3 gennaio 1863.

Il ministro accusa ricevimento delle informazioni contenute nella lettera precedente, e soggiunge: «Il generale di Montebello ne scrisse da parte sua al signor ministro della guerra, e smentisce in termini energici un fatto, che la vigilanza delle nostre truppe non avrebbe mancato d'impedire, supponendo che altri, fuori di noi, avessero potuto tollerarlo!

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DOCUMENTI

IN DIFESA DEL GOVERNO PONTIFICIO

(Pubblicati nellArmonia il 31 gennaio 1863).

La seguente Memoria sui catasti dello Stato Pontificio, non che sui lavori desunti dal materiale censuario, e pubblicati per cura della Presidenza del censo, è stata presentata alla Santità di Nostro Signore Papa Pio IX dall'Eminentissimo e Reverendissimo signor Cardinale Bofondi, presidente del censo.

Beatissimo Padre,

«Allorquando in sullo scorcio del passato secolo decimottavo le condizioni della società andavano gradatamente cangiandosi, ed obbligavano, ove più, ore meno, i varii governi d'Europa a cercare nelle imposizioni quelle risorse che si rendevano indispensabili a sostenere i nuovi dispendi richiesti dalle moderne esigenze del pubblico servigio, i venerandi predecessori della Santità Vostra, per quanto rifuggissero dalla idea di aggravare d'insoliti pesi i dilettissimi sudditi, alla cui felicità erano stati mai sempre esclusivamente intenti, non poterono ciò non ostante non entrare anch'essi nella via delle tasse, sebbene assai più lentamente che gli altri Sovrani non facevano.

«Giusto però mai sempre ed integerrimo nelle sue deliberazioni, il governo Pontificio non appena ebbe concepita la quanto penosa altrettanto inevitabile idea delle imposizioni, rivolse immantinente l'animo ad un equo ripartimento delle medesime, al quale effetto prima doveva offrirsi l'immagine di un bel regolato catasto delle terre.

«Come di ogni altro buon elemento di governo, così di questo non era nel nostro Stato assoluto difetto, anzi aveanvi già antichi censimenti delle rustiche proprietà in pressochè tutti i Comuni che lo compongono, e se ne conta taluuo che avea il suo catasto fin dall'anno 1361, e, per non dir d'altri, quello di Perugia ne possedeva quattro anteriori a quello, di cui si va a tener parola.

«La vita però tutta municipale di quei secoli erasi trasfusa eziandio in questa importante parte della pubblica amministrazione, a cui i Comuni aveano di per se stessi dato opera, senza la generale direzione del governo centrale. Vi si desiderava perciò invano quell'uniformità di concetto, senza di cui la perequazione delle imposte non può ottenersi.

«Ben vide la sapientissima mente dell'immortale Pio VI questo bisogno, ed in principio del suo difficile Pontificato pose l'animo a soddisfarlo. Le leggi sulla generale alligazione delle terre che dal suo governo negli anni 1777 e seguenti furono emanate, benché lasciassero una certa latitudine all'azione municipale nelle relative operazioni, le dirigevano però con generali regolamenti, ed alla superiore dipendenza le sottoponevano della S. Congregazione del Buon Governo. Più uniforme adunque degli anteriori riusciva quel censimento; ma non immune anch'esso da molti difetti. - Né poteva essere altrimenti, dacché in operazione di tanta mole ed importanza il sistema allor prevalente delle assegne non poteva non arrecare i suoi inevitabili inconvenienti per l'arbitrio dei censiti, al quale se era di freno l'azione governativa

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moderatrice delle assegne e direttrice della parte estimativa, non lo era però a tal segno da far sparire ogni ommissione, sia derivante da incuria, sia originata da dolo dei possidenti, né a pareggiare ogni difformità.

«Questi diletti ebbero maggiormente a risentirsi nel principio del corrente secolo, quando i nuovi introdotti sistemi amministrativi suggerirono una centralizzazione governativa, ed imposero quindi la necessità di mettere maggiormente a contributo le forze della proprietà fondiaria, la quale, a dir vero, anche indipendentemente da tali diletti non poteva più trovarsi rispondente in fatto alla descrizione censuaria, dopo le notevoli trasformazioni che i rivolgimenti sociali di quel tempo avevano fatto subire alla coltura delle terre.

«Non appena pertanto la S. M. di Pio VII venne rimessa nel Seggio Pontificale, d'onde era stata per taluni anni iniquamente allontanata, fra le altre cure alle quali intese l'animo provvidentissimo, ebbe eziandio rivolti i suoi pensieri ad un grandioso ordinamento censuario, pel quale col sapientissimo Motu-Proprio del giorno 6 luglio dell'anno 1816 statuì le basi principali e le massime direttive.

«L'Europa sino a quel tempo non avea veduto in questo genere opera più perfetta di quella del censimento milanese, come quella che avea chiamato in suo sussidio la scienza geodetica e le teorie agronomiche. Il programma Pontificio con quel sapiente accorgimento che non isdegna di prendere ad imprestanza il buono da chi ne abbia fatto esperimento, prese il meglio dagli ordinamenti lombardi, lo adattò alla diversa condizione dei luoghi, lo modificò, il corresse, ne formò un tutto assieme, che allo scopo così ben corrispose, da non potersi ideare in questa materia nulla di più provvido e di più giusto.

«Quanto all'esecuzione di un così vasto disegno, non è a dissimularsi alla Santità Vostra che essa non è andata immune da quei difetti, che sono inseparabili da una operazione che non può essere affidata ad una ristretta ed eletta schiera di esperti. È forza però riconoscere che la parte più laboriosa di questo censimento, cioè il rilievo topografico di tutti i territorii soggetti alla Santa Sede, raggiunse se non tutta almeno quella perfezione che solo è sperabile in opere dell'umano ingegno, singolarmente allora che sia soggetta a così svariate indagini e minute specificazioni. Né questo è rìsultamento di poca importanza, imperocché basta una leggiera nozione delle norme seguite nella grafica minuziosa! rappresentazione di tutte le terre, colla divisione non solo delle loro proprietà, ma delle loro coltivazioni pur anco, con tutti gli andamenti delle frequenti comunicazioni e degl'infiniti corsi di acqua, e cori l'esatta rappresentazione d'ogni più piccolo caseggiato, per farsi un'idea del pregio inestimabile di un così ricca materiale, di cui, per questa operazione, l'archivio topografico presidenziale è stato messo in possesso.

Ebbesi già più d'una fiata ad esperimentare la dovizia di questi documenti, ai quali non disdegnarono di ricorrere illustri istituti esteri geografici, allorché ebbero a pubblicare accurate carte rappresentanti questa eletta parte della Penisola. Oltre a ciò niuno ignora di quanto sussidio sia riuscita la topografia cenciaie nell'apertura delle varie linee di strade l'errate, sia per guida degli studi preparatorii, sia pel tracciamento degli adottati

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andamenti, sia per le conseguenti operazioni tanto topografiche, quanto descrittive (1).

«Questo felice risultamento era dovuto singolarmente al provvido regolamento sullo misure, che, dopo mature discussioni tenute nel seno della S. Congregazione del Censo, e dopo accurati studi praticati nella sua direzione generale, era stato pubblicato nel giorno 22 febbraio dell'anno 1817.

«Che se sapiente potè essere riputato questo primo ramo delle discipline censuali, il quale si riferisce alla parte positiva dell'operazione, come positiva è la scienza geodetica, sapientissima ebbe a chiamarsi l'altra ben più ardua serie dei regolamenti, che alla parte estimativa si riferiscono. Si trattava con queste norme di sciogliere spinose questioni di economia pubblica: si avevano a combattere invecchiati pregiudizi, aveasi ad attuare la massima statuita provvidamente nel Sovrano Motu-Proprio, clic la nuova esumazione dei terreni, mentre dove» allontanarsi dal prendere solamente a calcolo la potenza del suolo, conveniva che egualmente schivasse dall'avere unicamente riguardo all'attualità; mentre era mestieri che l'eccessiva industria risparmiasse, a punizione della soverchia trascuratezza, non poteva d'altronde fondarsi su coltivazioni non reali, ma possibili. Conveniva porre in armonia gli usi differenti nelle coltivazioni, le varie combinazioni di produzione dipendenti dal clima e dalla feracità del suolo, onde ottenere tale unità censnale da poter servire di base alla uniforme cifra d'imposizione, che doveva regolare tutte le pubbliche tasse: conveniva basare principii, che servissero di norma a ragionati ed analitici criteri di stima, tanto per ciò che concerne l'estimo catastale, che non può separarsi dall'idea di una lunga durata, quanto per ciò che riguarda le stime private, che hanno in una certa considerazione le attualità e le speciali condizioni, nelle quali si trova il fondo da valutarsi; conveniva infine mantenere quella equità, che è propria di un ben ordinato censimento, su cui basano le pubbliche imposte, e che non può essere mutabile ad ogni sorgere o cadere di albero.

«Come abbia ben soddisfatto a tali esigenze il regolamento per le stime analogo al Motu-Proprio del 3 marzo 1819, e come ancor meglio abbiano giovato all'intento le istruzioni generali per le stime del giorno 11 luglio 1823, nessuno può ignorarlo, sol che mediocremente sia istrutto della materia censuale, perciò che alla parte estimativa si attiene. E tanto ben ordinato corredo di norme analitiche, cui la più severa critica non ha sin qui trovato di che appuntare, e che anzi ha riscosso la universale approvazione

(1) Dalla operazione geodetica, su cui basa il nuovo censimento, risultano le eseguenti notizie riassuntive. Tutto lo Stato Pontificio costituito da 21 provincie, ripartite in 1292 territorii, delineate in 4100 mappe o sezioni, si estende sopra una superficie, che, misurata a così detti quadrati (eguali agli ettari francesi ed alle tornature lombardo-venete) ognuno dei quali è di 10 tavole di mille metri quadrati per ciascuno, si riparto come appresso:

Superficie rust. quad. 3,990,397 pari a chil. quad. 39,904 ed a miglia quad. 47,966

Id. urbana 5,155 52 23

Id. occup. dalle acque 98, 302 983 443

Id. occup. dalle strade 40,609 496 224

Complessivamente quad. 4,113,463 pari a chil. quad. 41,435 ed a miglia quad. 18, 676

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degl'intelligenti, è dovuto a reiterale discussioni di apposite Congregazioni, ove, articolo per articolo, ebbe ad essere cribrato, non senza le opportune consultazioni degli esperti, ai quali per la parte tecnica si ebbe costantemente ricorso.

«Qui però o debito richiamare al pensiero della Santità Vostra una dolorosa verità. Malgrado così sapienti ordinamenti, non ostante le più assidue cure impiegate nella loro attuazione, l'estimo rustico di liuto lo Stato non venne accolto con quella soddisfazione, colla quale erasi fatto plauso alla pubblicazione della alligazione topografica. Nè giovò che ai reclami elevatisi da molte parti sì rispondesse col più ampio sfogo. Il diletti) onde asserivasi viziato sì il concetto graduatorie, sì l'analitica determinazione dei valori dell'unità superficiale, non dipendeva solo, a quanto veniva rappresentato dai deputati delle provincia, da sproporzioni individuali fra ceusito e censilo entro uno stesso territorio, ma si manifestava con maggior evidenza un disaccordo fra Comune e Comune, fra provincia e provincia, fra ispezione ed ispezione. Ben si ebbe ad accorgersi che per quanto unico fosse il regolamento, unica la direzione, potenti i mezzi, coi quali i dieci ispettori, che alla testa di altrettante colonne di periti guidavano sui luoghi l'operazione, erano posti in comunicazione per intendersi fra loro, ed eliminare ogni divergenza: restava sempre una certa latitudine d'interpretazione alle leggi censuarie, qualche arbitrio era inevitabile, qualche varietà di trattamento non poteva non essere occorsa, da giustificare le ripugnanze alla definitiva attuazione.

«Fu allora che per raccogliere, se non in tutto, almeno in parte, il fruito di tanti dispendii, di tante fatiche, di tante sollecitudini, venne nell'anno 1835 attivato provvisoriamente il nuovo estimo, procurando di compensare in qualche parie le reclamale sue sproporzioni, nei ribassi ed aumenti a confronto del preesistente, con una varietà di cifra d'imposta per ogni Comune, cifra però da rendersi unica per lutto lo Stato al compiersi della generale revisione, che fin da allora si statuiva.

«Intanto al catasto piano, di cui fino a quel tempo crasi lamentata l'insufficienza per l'imperfezione del suo sistema descrittivo, puramente e misto di assegna veniva sostituito un altro catasto più ordinato, e che se non raggiungeva la bramata perfezione nell'estimo, rappresentava però un metodo analitico, da cui i possidenti traevano sempre una tranquillante dimostrazione delle loro partite, classificava cori maggior sicurezza le singole proprietà, o riferendosi ad una descrizione topografica, adduceva nelle cancellerie censuali un benefico rivolgimento, donde i censiti traevano ben singolari vantaggi, non solo per la storia dei movimenti delle proprietà, ma pel sussidio che alle reciproche relazioni delle parti interessate è destinata ad arrecare la topografia, che dietro leggiera retribuzione è messa eziandio a profitto degli usi privati.

Chi non vede di quanto gravi dispendii sia destinata ad alleggerire i possessori dei fondi rustici una topografia, che sta sempre a loro disposizione, nelle molteplici occorrenze, nelle quali essa è necessaria, o di divisioni, o di permutazioni, o di verifiche di alterati confini, o di rettifiche di irregolari limitazioni, o di aperture di nuovi mezzi di comunicazioni, o di deviazioni degli antichi?

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L'esperimento che se ne sta facendo da un buon quarto di secolo, dimostra ad evidenza questi vantaggi, fra i quali non ultimo è quello di potersi riconoscere, dopo lungo volgere d'anni, gli smarriti limiti della proprietà (1).

«Sarebbe stato invero desiderabile, che a raccogliere completamente il frutto di tante operazioni la revisione pur anco fosse stata condotta a termine sollecitamente per una definitiva e stabile sistemazione del nuovo estimo. Molte ragioni però si opposero all'adempimento di un simile desiderio. Ed in prima un malaugurato disaccordo fra i primi membri di quella Giunta, che non prima si fu riunita, non sì tosto dovè essere sciolta, ritardò sino al 1842 il vero effettivo inizio di quest'operazione di rettifica. D'altro canto erasi ben veduto quale era stata la causa, per cui il primitivo lavoro non era escito, si potrebbe dir quasi tutto d'un getto dalle mani di troppi periti operanti indipendentemente l'uno dall'altro. Quest'inconveniente consigliava ad affidare la revisione ad una Giunta di periti, che di conserva collegialmente ispezionassero tutti i territorii componenti le varie provincie dello Stato. statuendo ovunque le rettificazioni da introdurre. Questo sistema che d'altronde ebbe ad essere riconosciuto come il più conducente a conseguire l'unità di concetto negli estimi, era naturalmente lungo per se stesso: e tanto maggiormente si protrassero le operazioni della revisione, quando le molte sproporzioni, riconosciute evidentemente nella rivista, obbligarono ad una totale rinnovazione, sì della parte graduatoria, sì del processo analitico degli estimi. Ciò nonostante le perlustrazioni dei periti revisori e le susseguenti visite graduatorie per l'applicazione ai singoli appezzamenti dei giudizi della Giunta sarebbero già da qualche tempo condotte interamente a termine, se la defezione della provincia bolognese non avesse obbligato i principali e subalterni agenti della revisione, che completavano le loro operazioni in quella sol non ispezionata parte dello Stato, a desistere dai loro lavori, ed a ritirarsi nella Capitale poco dopo la metà dell'anno 1859.

(1) L'estimo attivato provvisoriamente nell'anno 1835 offre i seguenti risultamenti:

Superficie rustica quad. 3,990,397 diviso in appezz. 4,029,888 censita scudi 164,426,124

Id. urbana 5,155 in Comuni 1,292 id. 58,529,261

Complessivamente qu. 3,995,552 censiti scudi 222,955,385

Dal che risulta che in quanto al solo rustico

per ogni miglio romano quadrato si ha un estimo medio di scudi 9, 142 -

per ogni chilometro quadrato id. 3, 124 -

per ogni quadrato censuario id. 41 21

per ogni tavola censuaria id. 412

per ogni appezzamento id. 40 90

Che se voglia dividersi t'estimo complessivo rustico ed urbano per la complessiva superficie, si avrà che

ad ogni miglio romano quadrato compete l'estimo di scudi 11, 938 -

ad ogni chilometro quadrato id. 5, 381 -

ad ogni quadrato censuario id. 53 81

ad ogni tavola censuaria id. 5 38

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«Due però delle quattro grandi sezioni, in cui sono ripartiti i dominii della Santa Sede, cioè la sezione delle Marche comprendente cinque provincie, complessivamente censite se. 35, 057, 416, e la sezione Umbro-Sabina costituita da altre cinque provincie del complessivo estimo di scudi 28, 202, 886 hanno avuto la loro definitiva sistemazione degli estimi rettificati, e nella prima si è dato ancora sfogo ai pochi reclami (1). Gran parte della terza sezione, comprendente le provincie adiacenti alla Capitale, è già pressoché in pronto per essere attivata, non mancando che qualche materiale applicazione di calcolo. Solo la sezione che comprende le Legazioni Superiori non potrebbe ultimarsi, senza che la Giunta di revisione ritornasse in campagna, e senza che intavolasse qualche discussione per la definitiva determinazione di taluni non per anco concordati elementi tariffali.

«Che se il nuovo estimo delle provincie attornianti questa Capitale ha patito e patisce tuttora qualche ritardo nella definitiva sua sistemazione, di questo ritardo è da accagionarsi precipuamente la condizione speciale delle possidenze rustiche di questi paesi, ove le servitù di pascolo ed i vincoli enfiteutici rendono così complicato l'allibramento delle partite censuali, ed ove la possidenza soverchiamente frazionata in gran parte dei territorii è tanto soggetta a poco regolari mutazioni fra' suoi poveri possessori, che lunghe e dispendiose operazioni si rendono necessarie prima di pervenire ad un'esatta sistemazione delle intestazioni, da farsi necessariamente precedere all'applicazione degli estimi riformati. A queste cause, che hanno reso più difficile la sistemazione degli estimi nelle provincie della sezione romana, oda aggiungersi quella riguardante particolarmente la parte topografica delle provincie di Marittima e Campagna, ove i geometri ebbero a condurre in mezzo a grandi impedimenti le loro operazioni geodetiche, sempre sotto l'impressione dello spavento, causato dalle continue escursioni di quelle bande che, nei primi anni dopo la ristaurazione, disgraziatamente le infestarono. Ma più di tutto si oppone alla speditezza delle operazioni l'inerzia poco scusabile nei grandi, e pressoché inseparabile dai piccoli possidenti, le di cui proprietà mancano spesso di sicurezza nella demarcazione dei loro naturali confini.

(1) Nella sezione delle Marche estesa su di una superficie rustica di tavole 8,845,679 divise in appezzamenti 1,282,71 intestati a 93, 924 possidenti, ed importanti un complessivo estimo di scudi 35,057,416 i reclami per male applicata coltivazione, e per aggravio di estimo furono solamente in numero di 298 riferibili ad appezzamenti 1,937 della superficie di tavole 54, 782 censite se. 398, 991: onde è che in questa sezione i reclami sull'estimo riveduto furono sopra una 162ma parte delle sue superficie, ed una 662ma parte degli appezzamenti, in cui è frazionata per un 88ma parte del suo estimo promossi da una 315ma parte dei suoi possessori.

Nella sezione Umbro-Sabina che comprende tavole 9,762,023 divise in appezzamenti 1, 105,095, intestati a 96,334 possidenti ed importanti un complessivo estimo di scudi 28, 2o2,887 non può darsi giusto ragguaglio dei reclami per la ragione che le sopravvenute circostanze di quei paesi impedirono di prendere i reclami stessi in quella considerazione, che avrebbero richiesto, quando si fosse potuto dar loro un conveniente sfogo. Pei titoli però surriferiti non oltrepassarono il numero di 187.

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«Tutto questo tempo però non è inutilmente trascorso. Alle operazioni della revisione sonosi di mano in mano associati, mercé le cure di questa presidenza sussidiata dall'opera dei periti addetti alla revisione, e più d'ogni altro dalla Commissione consultiva, altri importanti lavori, la cui utilità è stata generalmente riconosciuta od apprezzata da ehi era in grado di portarne un giudizio.

«Non incresca alla Santità Vostra che io mi faccia qui a rammentarle le varie opere che il censo ha fatto di pubblica ragione, dopo che i varii materiali del nuovo estimo accumulatisi in questa presidenza, l'hanno messa in grado di farne profittevoli applicazioni.

«E per cominciare da ciò che si attiene al materiale descrittivo, analitico e tariffale, è degno di particolare menzione un volume in foglio di - Documenti statistici pubblicati dalla presidenza generale del censimeuto, onde illustrare le questioni relative alle strade ferrate dello Stato Pontificio -venuto in luce pei tipi Cherubini Sartori d'Ancona fin dall'anno 1847.

«Se pregievole è questa raccolta d'elementi statistici pei lumi che arreca nelle questioni ferroviarie, molto più vanno apprezzate quelle relazioni, indirizzate per la maggior parte alla Santità Vostra, e pubblicate tutte con le stampe sulla compita revisione censuale di ciascheduna provincia; nelle quali è accumulato come il fiore di tutto quelle prezioso nozioni che la Giunta di revisione nelle sue perlustrazioni è andata raccogliendo, non solo in ciò che strettamente si riferisce al censimento, ma ancora per ciò che riguarda i mezzi di comunicazione, i corsi di acqua, l'elevazione sopra il livello del mare dei principali punti culminanti, ed il movimento commerciale, terrestre e marittimo. Ben sei sono i volumi già pubblicati di queste relazioni, alla formazione delle quali ha prestato il suo concorso la scienza agraria colle sue considerazioni sullo stato della agricoltura in ciascuna provincia, ed intorno alla varia influenza esercitante sugli estimi i differenti usi agronomi locali, influenza da aversi a calcolo nella perequazione degli estimi stessi, la meteorologia colle sue osservazioni, e là geologia co' suoi profili delle roccie, e co' suoi studi sulla formazione delle terre

« Le notizie statistiche relative alla agricoltura accuratamente raccolte in tali relazioni non saranno accusate di sterile curiosità quando dalla conoscenza dei rapporti diversi si desterà nei coltivatori il desiderio di trovar le ragioni che io tali luoghi favoriscono, in altri contrariano la produzione; e studierassi di vincere queste ultime per quanto l'umana industria può combattere le difficoltà di natura e di abitudine, che sono di ostacolo al prospero successo delle coltivazioni.

«Generalmente sentito era da lungo tempo il bisogno di una sola misura agraria per determinare la superficie dei terreni, misura che secondo le precedenti costumanze soleva esser varia al variar di ogni territorio. Il nuovo censimento non poteva non corrispondere a questo voto con la sua generale misura metrica adottata nella elevazione di tutte le mappe. Questa misura superficiale generalizzata faceva nascere la necessità di ragguagliarla alle differenti misure antiche agrarie dei differenti Comuni dello Stato.

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Altre volte si era dato opera alla pubblicazione di tavole di ragguaglio ad agevolare gli occorrenti confronti, specialmente lineari e superficiali; ma non mai in modo da soddisfare ed al risparmio della spesa, ed a tutte le indagini degli studiosi nella scienza di pubblica economia. Venne quindi in pensiero a questa presidenza di raggiungere questo scopo colla pubblicazione di un volume, che riunisse in un sol corpo gli elementi di unità che avevano costituito i diversi ragguagli lineari e superficiali, estendendoli non solo ai Comuni di Ilo. Stato, ma alle misure altresì dei principali luoghi d'Italia e d'Europa, ed alle misure agrarie degli antichi popoli, confrontale tutte colla misura metrica censuale. L'accuratezza posta dalla Commissione Consultiva in questo lavoro, frutto di lunghe indagini e di ben ponderato disquisizioni, ebbe a fruttare un'accoglienza per parte del pubblico, che superò, a dir vero, ogni aspettazione.

«Animata la presidenza da un sì grande favore che presso tutti aveva trovato questo primo lavoro di ragguagli, fu posto mano ad un secondo volume, in cui a confronto del nuovo sistema metrico di pesi e misure erano riportati tutti i pesi e tutte le misure dei differenti Comuni dello Stato Pontificio con la correlativa corrispondenza resa esatta e sicura in sequela di reiterate interpellazioni rivolle alle varie autorità municipali. Tantoché in questi due volumi si ha una completa, esatta raccolta da servire a qualunque riduzione di estensioni superficiali e lineari, eziandio itinerarie, di pesi e di misure di capacità pei liquidi e pei solidi, tanto per qualunque ancorché piccolo paese della Pontificia giurisdizione, quanto per tutte le principali città degli altri Stati Europei. Vuoisi osservare che oltre la materialità dei ragguagli delle misuro vigenti, si è trattato ancora nelle prelazioni e nelle appendici di quest'opera, con una certa scienza e precisione, del sistema metrico moderno e delle antiche misure, non che dell'antico e moderno sistema monetario.

«Un altro voto aveva pur anco manifestato, non meno di questo giusto e legittimo, la numerosa classe dei possidenti, i quali desideravano avere alle mani in un sol corpo raccolte tutte le leggi, i regolamenti, le discipline, che di mano in mano eransi andate emanando dal dicastero del censo e dalla S. Congregazione del Buon Governo, che avealo preceduto, non solo in ordine alle norme statuite per la formazione dei diversi censimenti, ma per ciò che si riferisce eziandio alla loro conservazione, ed a quelle registrazioni che li rende atti a tener dietro al movimento della proprietà. Ed a questo desiderio ancora si ebbe a dare adempimento da questa segreteria generale della presidenza, colla pubblicazione di una diligente e copiosa raccolta in cinque volumi, ove trovasi riunito o classificato quanto poteva interessare di essere portalo a cognizione del pubblico, col corredo di qualche opportuno ragionamento, che fu all'uopo approntato.

«Queste pubblicazioni, che con tanto favore sono già state accolte, e di cui non solo gli interessati, ma eziandio gli studiosi della materia hanno gustato l'utilità, non sono che un primo saggio di quel molto più esteso e generale profitto che potrà trarsi in appresso dal materiale censuario, quando al compiersi delle operazioni definitive sarà tutto raccolto negli archivi presidenziali, indipendentemente dal diretto scopo, cui esso ha servito, della sistemazione degli estimi.

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Poche sono le questioni di pubblico diritto, pochi i problemi sui mezzi di alimentazione, sul tornaconto delle varie coltivazioni, sulla divisione delle proprietà, pochissimi i quesiti sulla forza dei territorii, sulla influenza delle varie cause nella produzione agricola, cui non sia dato di poter sciogliere col sussidio delle notizie che trovansi sparse nei vari clementi della revisione. Ebbevi già ricorso in qualche straordinaria occasione chi era dalla Santità Vostra preposto a provvedere al buon reggime annonario, e ne ebbe sicuri dati per determinare le risorse alimentarie, meglio assai che non fosse concesso ottenerli per sempre incerto ed infido mezzo delle denuncio od assegno. Vi ebbero ricorso quasi sempre quelli che un qualche lavoro statistico si attentavano di produrre, ed un esempio se ne potrebbe arrecare nella statistica della popolazione pubblicata fin dall'anno 1853, alla quale tutti i dati che sono all'infuori della enumerazione e classificazione degli individui, furono forniti da questo dicastero censuale.

«Un'opera che può in qualche guisa somigliare ad una statistica di popolazione, ma che tanto più grandiosa si presenta per essere nominativa, è l'indice generale di tutti i possidenti sottoposti al paterno reggime della Santità Vostra, opera veramente ardua e colossale, cui non mancò l'animo di sobbarcarsi a questa presidenza. In tale indice si hanno raccolti per ordine alfabetico tutti e singoli i possidenti dello Stato, con a fronte te rispettive urbane e rustiche proprietà, situate nei vari Comuni e territorii, non senza i relativi estremi superficiali ed estimativi. Questa laboriosa raccolta posta insieme coi dati parziali forniti dalle singole cancellerie censuali, a tenore dei suggerimenti ad esse diramati da questo centro direttivo, ha offerto sotto un punto di vista ristretto la forza riunita di ogni ditta di possidenza, benché sparsa in differenti parti, lo che non poteva mai conseguirsi isolatamente negli uffici distrettuali. Pregio di quest'opera è di offrire interessanti nozioni sulla forza generale dello Stato, sulle di lei varie ramificazioni, più o meno ripartite e frazionate, e su quanto può interessare di conoscere in ordine alle condizioni dei possidenti. Per essa vien fatto di avere il loro numero classificato, secondo i limiti della maggiore o minore estimazione; per essa possono istituirsi utili confronti fra il numero delle popolazioni, e quello dei possidenti, fra il ripartimento delle proprietà e l'aumento o decremento del loro valore relativo. Né solo per la generalità dello Stato, ma per la specialità eziandio di ogni provincia e di ciaschedun Comune si hanno dati parziali per conoscere la forza delle proprietà sì rustiche come urbane di ogni ditta, riferibili è vero alle condizioni dell'anno 1852, ma che senza grandi difficoltà potrebbero aggiornarsi anche a qualsiasi epoca posteriore, come difatto verrà eseguito, attivato che siasi per tutto lo Stato l'estimo riveduto.

«Che se questi prospetti, sui quali mi son fatto lecito di richiamare l'attenzione della Santità Vostra, offrono estremi sempre ad estimo censuario, il quale, ove più, ove meno, si allontana però, sempre dal valore venale, anche a questo valore non ha mancato di tener d'occhio, per quanto è riuscito possibile, la presidenza. Un provvido ordinamento emanato nel 1841 prescrisse ai cancellieri di dare trimestralmente una succinta nota dei titoli di cambiamento d'intestazione, indicando i valori di contrattazione a confronto degli estimi censuali per le vendite che si andavano verificando.

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Però quello che è stato fatto somministra un assai interessante materiale, e mostra come il nostro catasto nella sua condizione di dettaglio offra tutti gli elementi per raggiungere con sicurezza quello scopo, a cui, nei paesi non forniti di un simile censimento, devesi provvedere nelle statistiche con mezzi approssimativi e incerti (1)

Nel 1855 è stato però esteso un tale confronto ad ogni specie di trasferimento di proprietà ove sia dato raccogliere l'elemento del prezzo venale o dagli atti stessi, o dalle stime che d'ordinario precedono specialmente le divisioni, o da altre speciali notizie che ai cancellieri sia possibile di procurarsi, col ricorrer talvolta anche alle denuncio, che per tassa di successione o per altri motivi possono ottenersi, classificando sempre i diversi titoli di passaggio, i quali a semplificare l'operazione sono stati divisi in otto particolari categorie. Mercé tali notizie, sulla cui regolarità qui s'invigila, e che sono convenientemente raccolte in appositi registri in questo ufficio presidenziale a territorio per territorio, si può tener dietro alle varie corrispondenze che vanno verificandosi fra i valori contrattati o assegnati e gli estimi censuali, dal che si ha un primo indizio, dopo una certa serie di anni, per promuovere studi più maturi sul maggiore o minor pregio in cui è tenuta la proprietà fondiaria; si può argomentare se l'alzamento o abbassamento del suo valore sia generale o parziale, e si ha una norma per giudicare dello spostamento cui potesse di mano in mano andar soggetto l'estimo censuale a paragone dell'attualità. Dalla ricapitolazione di tali notizie si potè constatare che il movimento delle proprietà verificatosi annualmente in tutto lo Stato per contratti, per successioni, e per altri titoli, ragguaglia approssimamente ad una quattordicesima parte del complessivo estimo tanto rustico quanto urbano (1).

«Ma egli è ornai tempo che questa esposizione delle utili applicazioni della parte descrittiva del eensimento ceda il posto ad un rapido tocco di ciò che ebbe a farsi di pubblica ragione, desumendolo dalla parte topografica. Sarà inutile il ricordare alla Santità Vostra come quel volume di documenti statistici dato in luce a schiarimento delle quistioni ferroviarie, di cui in prima si è fatto motto, andasse corredato di una carta illustrativa dell'Italia centrale dovuta alle cure di questa sezione topografica, e come le relazioni sulla revisione delle varie provincie fossero tulle arricchile delle corrispondenli carte corografiche provinciali, derivanti tulle da una riduzione delle mappe censuali, eseguila nella sezione slessa; e come dalle mappe catastali sia stata desunta la carta dello Stato che per disposizione della Tesoreria generale venne pubblicata fin dal 1837, onde demarcare la fascia bimiliare di divieto, e rappresentare le altre indicazioni doganali.

(1) Dal riassunto di quest'opera voluminosa si rende noto: Che il censimento rustico detto Stato Pontificio conta possidenti 308,459, dei quali 80, 850 posseggono ancora net censimento urbano, il quale è diviso in 186,150 possessori.

Che perciò in media ogni possidenza del censimento rustico si estende su tavole 129 ossia quadrati 12,9.

Che ogni possidenza rustica è divisa ragguagliatamente in 13 appezzamenti con un estimo medio di se. 533.

Che ad ogni possidente del censimento urbano tocca in media un estimo di se. 314,42.

Che in fine conoscendosi da' ragguagli approssimativi che tutte le produzioni rustiche dello Stato ascendono alla somma di circa quaranta milioni di scudi, ogni possidenza rustica avrebbe una media quota di scudi 129,67, da ripartirsi fra il possessore ed il coltivatore.

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«È piuttosto pregio dell'opera il procurare che non cada in dimenticanza, essere il pubblico debitore agli accurati lavori topografici di questa presidenza delle due migliori piante che esistano di questa Capitale, la prima nel rapporto di uno a 4000, per la sola città, e l'altra nel rapporto di uno a 15, 000 per la città con tulio il suo Suburbio che comprende bene estesi contorni, cioè tutte le vigne suburbane, e la parte più prossima ad esse delle tenute; piante diligentemente messe sui relativi punti trigonometrici rilevati dietro profondi studi ed osservazioni del consultore matematico della presidenza.

«Né sola la città di Roma è stata così accuratamente dal censo rappresentata ed incisa, ma ebbersi la stessa sorte altre principali città dello Stato, come Ancona, Civitavecchia, Ferrara, Ascoli, Urbino, Sinigaglia, Perugia, Pesare, ledi cui piante furono pubblicate tutte nel rapporto di un quattromillesimo del vero, a meno di Sinigaglia, che è nella proporzione di un tremillesimo. Sono ancora in procinto di esser date alla luce nella stessa generale proporzione la pianta della città di Bologna, incisa in tre fogli, quella di Forlì in un sol foglio, e quella delle due città di Camerino e di Urbino in un sol foglio riunite.

«Ma l'opera che farà più onore alla sezione topografica censuale sarà senza fallo una carta topografica dei dominii della Santa Sede, alla quale è ora intento il personale addetto alla sezione stessa. Dopo un primo saggio che fu impresso, ad esperimento del sistema grafico, applicandolo ad un tratto di Comarca, sa cui le varie accidentalità di suolo avessero a vcrificarsi, come sono i Monti Albani, coi colli ed Agro Romano sottostanti, e dopo ch'esso saggio venne sottoposto al giudizio degl'intelligenti, è stata posta mano alla impressione della carta topografica di tutta la Comarca eoll'attaceo delle parti circostanti a più ampio corredo dei fogli, e questo lavoro è compito, e vedrà fra non molto la luce, decorato del nome augusto della Santità Vostra sotto i cui favorevoli auspici confida di essere bastantemente raccomandato al pobblico favore. Oltre questo patrocinio, ;'. cui un tal lavoro principalmente si affida, esso ha fiducia di non riuscire sgradito ai cultori della topografia per lo sviluppo della intera zona geografica che lo comprendesul meridiano medio, che passa. per la cupola di S. Pietro, e per l'accuratezza con cui la rete delle riduzioni censuali è stata messa sopra esatti punti trigonometrici, in parte già noti per le operazioni di valenti geografi, riconosciuti però dagli operatori censuali, e pel sistema col quale è stato rappresentato il movimento del terreno in tutta la Comarca, che a maggior chiarezza dei molteplici rilievi lineari venne limitato all'altezza di cento metri dal livello del mare. Essa è contenuta in nove fogli nel rapporto di uno ad 80 mila, ed ha il vantaggio di offrire esatte le linee di demarcazione di Provincie, di Governi, di Territorii o Comuni, di presentare distinte secondo la loro condizione o classificazione le varie strade, con di più i confini delle grandi tenute nell'Agro Romano, l'indicazione dei rispettivi casali, e delle vie che ai medesimi conducono, non che le strade ferrate e quant'altro possa essere di un qualche interesse.

(1) Vedi la Nota a pag. 167 e 168.

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«In ultimo, poiché non si sarebbe potuto così sollecitamente dar opera alla pubblicazione delle carte delle altre parti dello Stato nella medesima proporzione, e con la stessa minuzia di specificazioni della Comarca; così perché non manchi più a lungo una carta generale dello Stato desunta dalle mappe del censo, che serva principalmente alle indicazioni stradali, e rappresenti un generale movimento del suolo, una se ne sta approntando in un sol foglio nella proporzione di uno a 500 mila, valendosi degli studi geografici fatti a tal uopo in questa sezioambasciatorene topografica.

«Tali sono i lavori cui ha dato opera la sezione topografica, non intralasciando frattanto di dedicarsi al perfezionamento del suo voluminoso materiale, di mano in mano che si è andato verificando il bisogno di correggerlo, di aumentarlo, di aggiornarlo. Oltre i parziali numerosi aggiornamenti di mappe, se ne ebbero a rinnovare, perché riconosciute difettose, ben sessantanove, correggendone, come meno imperfette, diciotto, ed elevandone di nuove, nel numero di undici, per rappresentare le parti che dal Regno di Napoli passarono allo Stato Pontificio nella nuova terminazione.

«Non è questo che un cenno per sommi capi dei lavori, ai quali ha dato opera la presidenza del censo, e che avrebbe potuto ricevere un più conveniente sviluppo se dalla Santità Vostra non si fosse prescritta la brevità. Sembra però bastantemente indicato come i Sommi Pontefici siano stati sempre solleciti nel ripartire con giustizia ed equalità i dazi; come non abbiano risparmiato cure per costituire un censimento che con mappe topografiche offrisse alla perpetuità i passaggi che si verificano in ogni appezzamento dei fondi rustici, conservando a vantaggio dei proprietari la storia dei passaggi stessi, come abbiano studiato di porre in perequazione gli estimi dei fondi in modo che una sola cifra di carico possa regolare lo pubbliche imposte, assimilando coi criteri estimativi quelle differenze che derivano dalle svariate coltivazioni, dalle diversità di clima, dalle feracità dei terreni o dalle particolari costumanze agricole dei varii Comuni. Il Catasto dello Stato Pontificio è sicuramente fra i pochissimi di Europa che presentino una base ragionata sui principii della scienza e della pratica. Esso somministra a ciascun ramo di pubblica amministrazione dati statistici certi e positivi in ciò che concerne la forza di qualsiasi genere di agraria produzione e delle ricchezze delle proprietà rustiche ripartite nei singoli loro possessori; esso arreca ai privati il beneficio di un Cabreo particolare, da potersi con certezza consultare utilmente anche dopo qualche secolo, ed il mezzo di conoscere le importanze delle individuali proprietà, mediante confronti degli estimi censualij coi prezzi venali di contrattazione, e di sorvegliare le amministrazioni di fondi lontani dal proprio domicilio, e di provvedere comodamente a quei miglioramenti, di cui sono capaci. Esso offre infine il modo di procedere ad interessanti pubblicazioni di carte corografiche e topografiche sì parziali che generali; e di fornire al corpo del Genio e dei pubblici lavori elementi certi per procedere con risparmio di spesa, di fatiche e di tempo negli studi di loro istituto.

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«Spera l'umile scrivente che la Santità Vostra con la bontà, di cui è eminentemente fornita, vorrà accogliere questa breve esposizione sui lavori di uno dei più interessanti rami amministrativi del governo, al quale profonde con tanta sollecitudine le paterne sue cure e che con tanta intelligenza promuove gli utili avanzamenti che il progresso della scienza ha saputo suggerire; e con tal fiducia prostrato ai piedi di Vostra Beatitudine implora per sè e per tutti i suoi dipendenti l'Apostolica Benedizione, mentre con sentimenti del più profondo ossequio ha l'onore di confermarsi

«Della Santità Vostra

« Umil. mo Dev. mo. Otib. mo Servitore e Suddito

a Giuseppe Cardinale Bofondi, Presidente del Censo».

(1) Prospetta delle partite e dei relativi estimi che hanno subito movimento nel quartiifnnio dall'anno I8o5 a tutto il 1338 nelle 21 provincia dello Stato Pontificio.

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CIRCOLARE CONTRO I GIORNALI

CHE MENOMANO LA FEDE NELL'UNITA' D'ITALIA

(Pubblicato il 4 febbraio 1863).

Ecco il testo originale di questa circolare, che noi regaliamo al conte John Russel, il quale, tempo fa, discorse nel Paramento inglese della libertà che la stampa godeva in Italia. Ah se fossimo liberi veramente! Ah se potessimo dire ciò che sentiamo nel cuore!

Ai signori Prefetti del Regno,

(Riservata).

Torino, 24 gennaio 1863.

Per molti riscontri comparisce evidente il concerto degli avversari dell'unità d'Italia, e specialmente di quelli stranieri al paese nostro, per attivare con insolito ardore una propaganda nel senso federativo, col solleticare i sentimenti municipali ed usufruire le cagioni dì passeggero malcontento, che sono naturale conseguenza delle trasformazioni politiche, e del difetto di quell'ordinamento nazionale nei varii rami della pubblica amministrazione, cui il ministero e il Parlamento intendono porre un pronto riparo.

Questa propaganda, iniziata ed energicamente favorita dal partilo che ba per organo in Parigi il giornale la France ha stabilito a Napoli ed a Firenze dei giornali aventi appunto i nomi di queste due ex capitali; questi ed altri giornali convengono nelle parti essenziali della loro polemica coi giornali clericali, e con alcuni organi del partito d'azione nel combattere l'unità, che questi ultimi, p. e., la Nuova Europa di Firenze, apertamente dicono inconseguibile colla monarchia costituzionale.

Queste intemperanze non potrebbero essere tollerate senza discapito dell'autorità morale del governo, il quale deve mostrarsi sempre energico e costante avversario di qualsivoglia idea contraria all'unità, senza generare diffidenze nel gran partito nazionale, e senza esporre ad intemperanze intollerabili, del genere di quelle, delle quali fu fatto recentemente segno il giornale Napoli.

Egli è perciò che il sottoscritto, mentre stima conveniente di lasciare la più ampia libertà di discussione, ravvisa però, in quanto all'argomento sovraccennato, indispensabile un'attiva sorveglianza ed un'energica e costante repressione, a termini di legge, contro quella stampa che intende a combattere l'unità d'Italia sotto la monarchia costituzionale della dinastia di Savoia, ed a menomare la fede nel compimento dei destini della nazione, in conformità dei voti del Parlamento; ed è convinto che così operando contro i giornali di qualsia voglia colore avrà il consentimento della pubblica opinione.

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Sebbene il compilo di questa sorveglianza e di questa repressione sia dalla legge particolarmente commesso all'autorità giudiziaria, tuttavia l'autorità politica non deve rimanersi del lutto inoperosa, ed importa invece che si l'una che l'altra si prestino uno scambievole appoggio nella sfera delle rispettive attribuzioni.

Con questo intendimento il sottoscritto invita i signori Prefetti a rivolgere essi pure la loro attenzione sulle intemperanze della stampa, di cui si tratta, e ad essere solleciti di fare officiose comunicazioni ai rappresentanti del pubblico Ministero ogniqualvolta ravviseranno in esso gli elementi necessari per un procedimento.

Mercé queste disposizioni, che saranno dal Guardasigilli partecipate anche ai Magistrati del pubblico Ministero, confida lo scrivente che la sorveglianza e la repressione ricuciranno pronte, costanti ed efficaci, e starà frattanto in attesa di un cenno di ricevuta della presente.

Il ministro U. Peruzzi

DOCUMENTI

SULLA SOTTOSCRIZIONE CONTRO I BRIGANTI

(Pubblicato il 7 febbraio 1863).

Foggia, li 27 gennaio 1863.

(Corrispondenza particolare dell' Armonia). Non credo vorrà dispiacerle se le fo tenere copia di due circolari, una del prefetto di questa provincia di Capitanata, l'altra del sottoprefetto del circondario di Sansevero, dirette ad animare i loro amministrati a concorrere alla solenne questua intimata all'universo popolo italiano da frate Peruzzi. - La circolare del prefetto porta con sé un altro foglio, che è l'invito che ogni Commissione collettrice di tutti i municipii deve faro per l'oggetto di rispettivi cittadini; e di questa pure le do copia. - Questi tre scritti sono una pruova di più di quella pienissima libertà che anche nelle opere di carità sanno regalare ai popoli i soli governanti rivoluzionar!. E che bella libertà, ti danno a fare questo solenne plebiscito della carità, per dirla alla berrettiana!!! Assai più che la libertà del memorabile primo plebiscito... Trattasi nientemenoche il prefetto De Ferrari vuole segnati i nomi dei sottoscritti e le rispettive somme (e ti manda egli stesso gli elenchi a stampa), affinchè poi egli e possa avere da tali elementi cognizioni per giudicare de' giusti titoli di benemerenza che verrà ad acquistare oiascun cittadino offerente». -- Ed a coloro che non avranno sottoscritto, ovvero avranno contribuito poca somma, impedendo così di rendere splendido il successo di tanta opera umanitaria», come si esprime l'invito, che dirà il signor prefetto?

Qual complimento farà loro? Li designerà forse al pubblico come manutengoli e fautori de' briganti, e come tali li tratterrà con qualche paterna carezza di arresto, o anche di peggio?...

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Oibò! Non era del decoro di un prefetto dirlo egli stesso. L'arte si conosce bene... Conveniva farlo dire da' rispellivi munìcipii per mezzo delle Commissioni collettrici, le quali svolgendo alle popolazioni lo spirito delle circolari sulla questua, da quella del ministro a quella del sottoprefetto, ti dicono bello e chiaro che «fra la passività e l'astensione, che significano solidarietà cogli assassini e le spontanee e generose offerte, che fan testimonianza di non dubbia virtù morale e civile, voi non potete e non saprete esitare». Ed a questo oggetto un siffatto invito alle popolazioni si è spedito appositamente stampato dalla stessa prefettura. Va poi e di' che anche questa volta ci è mancata la cara libertà nel fare il nostro plebiscito, il plebiscito della carità! Provati solo a non far comparire il tuo nomo negli elenchi, od a segnare una piccola cifra, e vedrai. - Sappia dunque il mondo intero, e lo sappia una volta dipiù, che nella sola Italia rigenerata, e specialmente in questa parte meridionale si gode la vera, perfetta e beatificante libertà. Qui poi, segnatamente in questa provincia di Capitanata, siamo gli arcibeatì, gli arcicontcnti, perché siamo arciliberi con questi arciliberissimi inviti che ci vengono fatti da nostri liberalissimi governanti, di concorrere al plebiscito della carità, al danaro dell'unità all'obolo d'Italia.

Ma io domando: a chi e perché si chiede questa soscrizione in questa disgraziatissima provincia specialmente? Si chiede a tutto il popolo; ma si sa che i ricchi ed i proprietarii sono quelli che effettivamente debbono contribuire, quelli cioè che più han sofferto e soffrono per causa del brigantaggio. Costoro dunque, mentre con una mano sono costretti a dare a forza (per esercizio di libertà) i loro be' ducati, coll'altra si riceveranno umili e supplichevoli un qualche centesimuzzo dalla singolare, liberalissima carità de' governanti. Oh beatitudine ineffabile d'Italia! Ma questo danaro serve pure per la distruzione dei briganti. Sì?!.... E perché non si attende anche adesso, che si fanno queste collette, alla distruzione de' briganti, i quali ora più che mai sono i liberi padroni della campagna, che da essi è impunemente passeggiata, fino ad avvicinargi a breve distanza de' paesi, impedendo alla gente di portarsi al lavoro de' campi? E poi il sottoprefetto di Sansevero ha pure lo stomaco di dire «che l'obolo dell'unità deve fare il contrapposto coll'obolo di San Pietro, che suona dispotismo!!» In qual senso? Sotto quale rispetto l'obolo di San Pietro suona dispotismo, cioè Italia schiava? L'obolo di San Pietro è la più chiara espressione della vera libertà, che solo la religione cattolica sa dare. Per l'obolo di San Pietro non ci sono né circolari, né inviti di governanti, né offerte di municipii, né commissioni collettrici, né altro di simile. L'obolo di San Pietro è veramente libero e spontaneo, perché frutto della pietà e della religione di cuori cattolici, non infetti dal veleno di sella. Oh! sì: si provino i nostri governanti a darci la piena libertà di contribuire all'obolo di San Pietro, e vedranno allora come assai più di quello, che sono state finora, saranno numerose e ricche le offerte che si faranno al Padre comune de' fedeli in questa pronuncia specialmente» Ecco i documenti:

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Documento 1°

Copia

Foggia, 13 gennaio 1863.

Prefettura delta Provincia di Capitanata - Gabinetto particolare - Circolare N . 2. - Oggetto. - Commissioni per la soscrizione nazionale.

Appena le sarà pervenuta la presente assieme alle circolari annesse, la S. V. si darà opera sollecitissima per istituire in cotesto Comune la Commissione, di cui è oggetto nelle circolari istesse.

Chiamo lei, signor Sindaco, a farne parte in primo, e come componenti integranti, i capitani di cotesta milizia cittadina, il parroco ed il conciliatore. A questi desidero che la S. V. aggiunga altri tre onesti, operosi ed influenti patrioti che vorrà prescegliere possibilmente fra le diverse classi, come un proprietario, uri capo d'arte ed un agiato popolano.

Istituita la Commissione comi nei era essa immediatamente in collettivo, o dividendosi in sezioni, come meglio si crederà opportuno, ad adempiere il suo compito questuando le offerte.

Su degli elenchi, che s'inviano per facilitare e rendere più esatta l'operazione, saranno raccolte tutte le soscrizioni a cominciare dal soldo, avvertendo di segnare ne' medesimi i nomi degli analfabeti oblatori.

Detti elenchi, a misura che verranno riempiti, sarà speciale cura della Commissione d'inviarli a me per essere pubblicati, e perché io possa avere da tali elementi cognizione per giudicare de' giusti titoli di benemerenza che verrà ad acquistare ciascun cittadino offerente.

Le somme che si raccolgono saranno conservate provvisoriamente a cura della Commissione istessa, fino a che nuove istruzioni non verranno dal ministero interni per determinare il modo del versamento e della distribuzione.

Il primo concorso alla soscrizione ed il primo esempio nelle offerte desidero che parta dal Municipio, come quei che rappresenta tutti i cittadini; epperò la S. V. rimane facoltata a convocarlo subito in seduta straordinaria.

Crederei superfluo raccomandare alla S. V. maggior cura e sollecitudine per il buon successo della soscrizione, il quale avverandosi, come son certo, se per me riuscirà di non poco contento e soddisfazione, per lei sarà un grande e pregevole requisito, bastante a farla dichiarare benemerita del paese,

È pregata la S. V. di dare lettura della presente a tutti i componenti la Commissione, e di accusarmene ricevuta.

Il Prefetto DE FERRARI.

Signor Sindaco di

Documento 2°

Copia dell'invito spedilo dalla Prefettura stessa alle Commissioni collettrici.

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Cittadini,

Una soscrizione nazionale è aperta per l'estirpazione del brigantaggio. A rendere splendido il successo dì tanta opera umanitaria non verrà meno al certo il vostro generale concorso, che, se per gli altri figli d'Italia costituisce un alto di patriottismo, per noi è un dovere di riparazione, e sarà nobile prova di virtù civile, di fede e di sacrificio.

Dimostriamo alla patria Comune ed all'Europa che, bisognando una volta finirla co' ladroni, il paese unanime concorre per mezzi e per opere a compierne la distruzione.

Se ne offre oggi una venturosa e solenne occasione: - Fra la passività e l'astensione che significano solidarietà cogli assassini - e le spontanee «e generose offerte che fan testimonianza di non dubbia virtù morale e civile, voi non potrete, né saprete esitare. Gennaio, 1863.

La Commissione Collettrice.

Documento 3°

Sansevero, 22 gennaio 1863.

Sotto-Prefettura del Circondario di Sansevero in Capitanata. - N. 1,4. - Oggetto. - Riservata.

L'Italia intera offre danaro per sollevare le vittime del brigantaggio, i Municipii concorrono all'opera filantropica, e questa raccolta si è nominata ben a ragione l'obolo dell'Unita, facendo così contrapposto coll'obolo di San Pietro, che suona dispotismo, cioè Italia schiava e divisa.

Sono convinto che i signori sindaci di questo Circondario non vogliano che i loro Municipii si mostrino inferiori agli altri, riflettendo pure che le somme raccolte saranno devolute a benefizio dei proprii amministrati.

Il signor sindaco cercherà di preparare la pubblica opinione, quindi radunerà il Consiglio municipale per deliberare in proposito.

Si attende dallo zelo e patriottismo, che tanto distingue V. S., il più brillante risultalo. Le somme saranno impiegate a sollevare le miserie procurate dai briganti1, ed a premiare gli atti di valore che si compiranno dai cittadini nella guerra che si combatte contro i nemici degli uomini e di Dio.

Voglia accusare ricevimento della presente, ed a suo tempo trasmettere le deliberazioni consigliari in triplo esemplare, uno da ritornarsi munito di visto, l'altro ad uso di questo ufficio, ed il terzo da trasmettersi al superiore ministero.

In esecuzione poi delle istruzioni che cotesto ufficio debbe avere ricevute direttamente dalla regia prefettura, le fo viva preghiera, perché solleciti la nomina della Commissione collettrice delle offerte, scegliendo invece fra coloro che nelle diverse classi diedero già prove di patriottismo, operosità ed onesti.

Ai signori Sindaci del Circondario di

II Sotto-Prefetto Righetti

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IMPOSTE ALLE OPERE PIE

PER IL BRIGANTAGGIO

(Pubblicato il 1° aprile 1863).

La Gazzetta Ufficiale va pubblicando le offerte pel brigantaggio. Ma fra queste offerte rare sono quelle che provengano dai privali che non sieno impiegati del governo. Anche le Opere Pie contribuiscono a questa soscrizione. Se però altri vuoi sapere con quali mezzi il governo costringa le amministrazioni di questi istituti a partecipare alla soscrizione, legga questa circolare:

Caserta, 30 gennaio 1863.

PREFETTURA

DELLA PROVINCIA

DI TERRA DI LAVORO GABINETTO

Num. 393. Circolare, num. 19.

Oggetto

Soscrizione Nazionale pei danni del brigantaggio

Signori,

II brigantaggio, che da sì lungo tempo travaglia alcune di queste eletta pròvincie, con i suoi atti selvaggi di crudeltà e distruzione, ha sparso il lutto e la miseria in tante famiglie, e ognuno che abbia vera carità di Patria non può non esserne profondamente commosso e addolorato, e non sentire il sacro dovere di concorrere con ogni mezzo a far cessare una tanta sventura, a render meno gravi le sofferenze e la desolazione di tante infelici vittime, asciugandone le lagrime, alleviandone i dolori e i danni.

11 Governo del Re ha già spiegata tutta la sollecitudine richiesta dalla gravita del male, e mentre col concorso di una Commissione Parlamentare aU studiando i mezzi per estirparlo, ha fatto appello alla carità privata, prendendo l'iniziativa di una soscrizione nazionale che ha destato ovunque non solo favore, ma entusiasmo, ed alla quale con pietoso slancio, oltre ogni ordine di cittadini, concorrono da ogni parte d'Italia Municipii e Provincie.

La pubblica beneficenza, che nel suo nobile mandato ha l'obbligo di consolare la sventura, assumere la tutela dell'orfano, e rendersi sostegno all'indigenza ne1 suoi patimenti, non dovrà che seguire le proprie ispirazioni, e le sue nobili simpatie per esercitare un atto tutto proprio del suo santo ufficio e rispondere con affetto all'appello fatto al paese, emulando i sentimenti di pietà e di patriottismo, ohe in molte provincie offrirono Congregazioni di Carità e Amministrazioni di Opere Pie, votando generoso concorso alla nazionale sottoscrizione.

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Epperò le SS. LL. proposte in cotesto Comune all'Amministrazione delle Opere Pie, nella pienezza delle facoltà che concede la legge del 3 agosto 1862 e nella latitudine dei mezzi di cui possono disporre, faranno opera di pietà e di vero patriottismo prestando con nobile gara il loro concorso ad un atto che Terrà' non solo a sollevare l'infortunio e consolare una sventura domestica, ma sarà in pari tempo un novello attestato di fraterno solidale affetto delle provincie italiane, e di fede inconcussa nei gloriosi destini della patria.

Vorranno quindi le SS. LL. tenere, con la sollecitudine che potranno maggiore, una apposita riunione per deliberare sul concorso delle Opere Pie da esse amministrate nella sottoscrizione suddetta, tenendomi ragguagliato, nel perentorio termine di giorni dieci9 della deliberazione che sarà resa.

Il Prefetto Matr.

Alle Congregazioni di Carità,

alle Amministrazioni di Luoghi Pii e di Opere Pie.

IL CONTO DELLA COMMISSIONE BRIGANTICIDA

(Pubblicato il 4 aprile 1863).

L'Opinione ci dice che le spese della Commissione d'inchiesta sul brigantaggio non ascescero che alla meschinissima somma di L. 44,788 e 62 centesimi. Vedete precisione di conti! Furono notati persino i duecentesimi. Oh quando si tratta dei danari del popolo, i nostri onorevoli si guardano bene dal mandare in malora il becco d'un quattrino 1 Sono sessantadue centesimi, che essi spesero per inquirere sul brigantaggio, e si guardarono ben bene dal dire che ne spesero sessantacinque! Ne' tempi dell'assolutismo si sarebbe detto: che cosa sono tre centesimi di più? Facciamo il conto rotondo, e scriviamo sessantacinque. Ha nei tempi presenti, con coscienze tanto delicate, con un'economia politica così raffinala, i conti si danno colla massima precisione. Epperò siate pure sicuri, che la Commissione del brigantaggio non costò che L. 14,788 e 62 centesimi. Se queste Commissioni si hanno così a buon prezzo, i commissari potrebbero ripartire. La spesa è nulla, e il vantaggio, ah il vantaggio è immenso!

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LE TORNATE SEGRETE DI TORINO

SUI BRIGANTI DI NAPOLI

(Pubblicato il 6 maggio 1863).

Il 4 e 5 di maggio i profani tennero espulsi dalla Camera dei deputati. Gli uscieri gridavano: Procul, procul, e barravano le porte, e tappavano le fessure degli usci, e sopravegliavano gli approcci, mentre gli onorevoli, stretti a consiglio, faceano un po' di bucato in famiglia, parlando sotto voce, e raccontando le comuni miserie. In quelle due segretissime tornate il dep. Massari lesse la relazione della Commissione, che fu spedita dalla Camera sul cominciare dell'anno per attingere sui luoghi notizie precise dei briganti e del brigantaggio. E' pare che notizie n'abbia attinte assai, giacché la semplice lettura della relazione doveva durare otto ore. E' pare eziandio che le notizie fossero pessime, se no ce le avrebbero dette anche a noi. Buone o cattive, la legge ci proibisce di parlare delle tornate segrete della Camera, e noi ce ne laviamo le mani.

Però, pensandoci bene, non ci dovrebbe essere oggidì neppur più un capello di briganti nel regno di Napoli, e il deputato Massari trova ancora materia da discorrerne per otto ore? Imperocché noi ragioniamo e calcoliamo cosi. 1 briganti sono i nemici del regno d'Italia, non é vero? Verìssimo. 1 nemici del regno d'Italia in Napoli sono quelli che votarono pel no nel famoso plebiscito. Non è vero? Vero anche questo. Dunque tanti doveano essere i briganti nel regno di Napoli, quanti furono i no del plebiscito. La conseguenza è giusta? Giustissima. Di fatto il brigantaggio nasceva in Napoli, compiuto appena il plebiscito. Nove giorni dopo la famosa votazione il governatore rivoluzionario di Teramo, De Virgilii, il 2 novembre 1860 pubblicava: e Tutti i comuni della provincia, dove si sono manifestati, o si manifesteranno movimenti reazionari, sono dichiarati in istato d'assedio i reazionari, presi colle armi alla mano, saran fucilati».

Ora, le cifre del plebiscito furono queste: 1,313,376 e 10,312 no. Dunque i briganti non potevano essere che 10,312. I quali, da bel principio, si presero a fucilare bravamente. Il Pinelli, da Ascoli, adì 3 febbraio 1861, diceva ai soldati: «Siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali la pietà è delitto». E Cialdini scriveva per telegrafo al governatore di Molise: «Faccia pubblicare, che fucilo tutti i paesani armati che piglio. Oggi ho già cominciato». E si fucilò nel 1860, si fucilò nel 1861, si fucilò nel 1862, si fucilò nei primi mesi del 1863. Di guisa che il 18 di aprile, a detta del deputato Riociardi, il totale dei briganti fucilati era di settemila cento cinquantuno (Atti Ufficiali, N° 1193, pag. 4643).

Abbiamo adunque le seguenti cifre:

Cifra totale dei briganti 10,312

Fucilati all'aprile del 1863 7,151

Restano briganti 3,171

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Or quanti altri briganti sono in prigione? Lo stesso deputato Ricciardi, nella tornata del 18 di aprile 1863, ci dava la statistica di tre sole prigioni [Atti Uff., N° 1192, pag. 4642). E risultava che v'erano:

Nel carcere di S Maria, prigionieri 1,191

In Campobasso, prigionieri ,043

In Avellino, prigionieri 1,836

Insieme prigionieri 4,040

Dunque restavano vivi 3,171 briganti, ne abbiamo rinchiusi dentro tre sole prigioni del Napoletano 4,040, epperò voi ben capite che a quest'ora briganti non ce ne possono essere più, salvo che si volesse pretendere una cosa impossibile, che cioè fucilati o imprigionati tutti coloro che nel plebiscito dissero no, si mettesse mano a fucilare o imprigionare quegli altri che dissero sì .

Come dunque la Camera il 4 e il 5 di maggio potè spendere ancora due tornate segrete sui briganti e Sul brigantaggio?

DEL NOME DI BRIGANTI

NELLA PRIMAVERA DEL 1860

(Pubblicato l'8 maggio 1863).

La Camera dei deputati ha speso tre lunghe tornate di sei ore ciascuna per udire la relazione sul brigantaggio; e durante queste diciott'ore il presidio raddoppiato della guardia nazionale vegliava per impedire che gli estranei si avvicinassero alla sala. Delle,precedenti tornate segrete venne sempre a subodorarsi alcunché, ma delle ultime finora non si seppe nulla, e quest'alto mistero da luogo a più gravi sospetti a quell'infallibile criterio, che si tace ciò che fa contro di noi. Soltanto i giornali annunziano quest'oggi, e crediamo di poterlo ripetere nell'Armonia, che nell'ultima tornata segreta i deputati discussero se convenisse pubblicare la relazione sul brigantaggio letta dal Massari in nome della Commissione. E gli onorevoli concordemente decisero di no, perché non si potevano far sapere al popolo sovrano certe cose, che l'avrebbero alquanto spaventato, e che dall'Italia poi sarebbero passate a notizia dell'Europa e di tutto il mondo civile. Tuttavia, siccome la Commissione d'inchiesta sul brigantaggio avea proposto alcuni articoli di legge quale rimedio alla formidabile malattia, così dicono che alcune parti della relazione verranno pubblicate come schiarimento di questi medesimi articoli.

Lasciando adunque a' deputali seppellire segretamente i loro morti, noi pure ci occuperemo di briganti e di brigantaggio , studiando l'origine di questo nome nella primavera del 1860, ossia cercando chi dopo la pace di Villa- franca fosse il primo in Italia a parlare di briganti, e quali uomini si accusarono di brigantaggio.

E in questo studio ci aiuterà il signor Nicomede Bianchi, che nella Rivista Contemporanea del mese di aprile, fascicolo CXIII, parlando del conte

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Camillo di Cavour, e pubblicando sul suo eroe documenti editi ed inediti, ci mise sotto gli occhi le curiose primizie dell'accusa di brigantaggio.

Questa parola incomincia a proferirsi in Italia nel maggio di tre anni fa, dopo la spedizione di Garibaldi in Sicilia, e i primi a scriverla sono il rappresentante di Francesco II, re di Napoli, presso la Corte di Pietroburgo, e il commendatore Carafa, ministro sopra gli affari esteri del re delle Due Sicilie. L'ambasciatore napoletano in Russia, il signor Regina, scriveva da Pietroburgo il 14 di maggio 1860 un dispaccio, dove era detto: «L'indignazione che ha provato l'Imperatore e il principe di Gorciakoff, allorché gli diedi conoscenza del telegramma di V. E., con cui m'informa dello sbarco a Marsala dei BRIGANTI partiti da Genova, è stata proporzionata alle enormità commesse tanto dal gabinetto sardo, che dagli uffiziali inglesi ohe hanno favorito lo sbarco. La postilla dell'Imperatore sul dispaccio in parola che rimandò al ministro degli affari esteri è: c'est infame, et de la part des Anglais aussi» .

E questo dispaccio era una risposta ad un altro che il ministro Carafa avea spedito per le vie telegrafiche agli agenti diplomatici della Corte di Napoli all'estero, per dar avviso dello sbarco de' Garibaldini a Marsala. Il ministro Carafa si esprimeva così:

«Malgrado avvisi dati da Torino, e promesse di quel Governo d'impedire SPEDIZIONE DI BRIGANTI organizzati ed armati pubblicamente, essi sono e partiti sotto gli occhi della squadra sarda; sbarcati ieri a Marsala. Dica a e cotesto ministero tale atto di selvaggia pirateria promosso da Stato amico».

CARAFA.

Vedete un po' che orrore! Chiamar briganti coloro che difendevano la libertà, l'Indipendenza, la patria comune! E l'orrore è tanto maggiore, perché l'accusa di brigantaggio non rovesciavasi solamente sui Garibaldini, ma sul conte di Cavour, sul Governo sardo e su tutti coloro che aveano aiutato la spedizioni! di Sicilia. Intorno a ciò troviamo nell'articolo del signor Nicomede Bianchi preziose rivelazioni, e ne faremo tesoro per dimostrare quanta estensione avessero l'accusa di brigantaggio e il nome di briganti scritto dai ministri napoletani nel maggio del 1860.

Il Bianchi prova trionfalmente che Garibaldi conquistò la Sicilia coll'efficace cooperazione del Governo di Torino. E per dimostrare questa tesi, che, quanto a noi non avea bisogno di veruna dimostrazione, il signor Nicomede Bianchi esce ne' più minati particolari, e racconta cosi:

«Francesco Crispi, che fu uno de' preparatori pili animosi e operosi di quella rivoluzione siciliana del 1860, poco tempo prima che essa scoppiasse, erasi clandestinamente introdotto nella sua terra materna, e l'avea percorsa per conoscere tostato reale delle cose e portarvi una fraterna parola di incoronamento e di speranza. Ora trovo scritto con abbastanza d'autenticità: che Luigi Farini, dittatore allora dell'Emilia, gli era sfato largo de' migliori mezzi per condurre a termine tanta difficile impresa, per la quale non bastava il coraggio personale.

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Trovo parimente autenticato dalle migliori testimonianze, che il conia di Cavour, come venne informato del lavoro in corso della Società nazionale ondo portare aiuto alla rivoluzione siciliana per mezzo di una spedizione marittima di volontari, si mostrò tutt'altro che avverso alla medesima» Sono pertanto scritti di sua roano i seguenti avvisi, inviati a chi dirigeva que' preparativi:

«Villamarina annunzia che si combatte in Palermo, e che l'insurrezione si estende. Carafa invece telegrafa a Canofari tutto essere tranquillo iu Sicilia. Molta agitazione in Napoli, le serva...

«Ho notizia da Napoli del 29, da Messina del 26. Il dispaccio dice: - Qu'on rencontre resistance énergique et qu'il faut gagner le terrain pas à pas. - «Addì 6 aprile 1860, la notizia della rivoluzione di Palermo giunse a Genova per le vie telegrafiche. In quella città l'attendevano Nino Bixio, Crispi, Rosolino Pilo, i quali fino dal mese di febbraio avevano la promessa del generalo Garibaldi, che nel caso di un serio sollevamento in Sicilia egli si porterebbe a prenderne la direzione. Abbisognavano uomini, armi, navi e danari. Italiani di ogni classe, volenti Italia e Vittorio Emanuele, accorsero da ogni parte all'animoso appello del generale Garibaldi. Il quale giudiziosamente vedendo la convenevolezza di raggruppare sotto la sola sua direzione gli apparecchi per le progettate spedizioni, stando egli a Quarto nella villa Spinola, fece chiedere a Giuseppe La Farina se voleva assentire a ciò. L'intendersi fu pronto, e per tal modo vennero posti a disposizione del generale Garibaldi gli efficacissimi mezzi di che disponeva la Società nazionale, fra i quali certamente non doveva calcolarsi per ultimo la segreta cooperazione del Governo di Torino. Garibaldi ben comprese l'utilità grande di siffatto concorso, laonde al La Farina, insistente per accompagnarlo in Sicilia, persuase di rimanere a servire d'intermediario tra lui ed il conte di Cavour.

«La direzione dell'ordinamento e degli apparecchi della prima spedizione vennero affidati a Nino Bixio. Con quella indomabile energia di volontà di mente ed operosità instancabile, che a lui sono proprie, egli giunse a superare moltissime difficoltà. Ma all'imbarco delle armi non potè provvedere da solo; gli venne in aiuto la mano del Governo. L'avvocato Fasella che allora era uno degl'ispettori della questura di Genova, aiutò con due suoi agenti il trasporto dei fucili sul mare. Se in tanto e sì manifesto tramestio d'uomini e di cose nel porto di Genova, di barche cariche d'armi e di munizioni dirette verso la Foce e a Quarto, le autorità governative locali non videro nò seppero nulla, benché fosse appariscente il vigilare severo allo sbocco della Polcevera e al lido di Cornigliano, torna ridicolo il pensarlo e dirlo, non fu per paura o per impotenza ad agire contrariamente, ma sì perché Giuseppe La Farina erasi portato a Genova, munito d'alcune parole iscritte dal conte di Cavour all'Intendente di quella città.

Compiuta felicemente la prima spedizione, divenne urgente il bisogno d'aver armi in pronto per fornire le altre spedizioni che si stavano apparecchiando.

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Per ordine espresso del governo di Torino dall'arsenale di Modena vennero estratti fucili e consegnati a Genova a coloro che oc difettavano. Armi e munizioni da guerra ebbero dal conte di Cavour le due spedizioni capitanate da Medici e da Cosenz. Non potendo 11 Governo di Torino riconsegnare al generale Garibaldi i fucili allogati negli arsenali dello Stato per sequestro anteriore senza incorrere in qualche responsabilità troppo grave, comperò quelle medesime armi e consegnò il danaro ai signori Finzi e Bazzana, che così poterono provvederne altre per condurre innalzi l'impresa siciliana. Se la flotta partì da Genova con l'incarico apparente di tagliare la via allo sbarco dei volontarii sulle costiere siciliane, il conte Persano teneva un biglietto di mano del conte di Cavour, nel quale stava scritto: Signor Conte, vegga di navigare fra Garibaldi e glì incrocicchiatori napoletani; spero che mi avrà capilo» .

Da questa preziosa relazione, che noi confermiamo di tutto punto come verissima, risulta, che nel maggio del 1860 il sig. Carata e il signor Regina, ministri del re di Napoli, osavano chiamare briganti, chi mai? Il conte di Cavour, il generale Garibaldi, e Francesco Crispi, e Nino Bixio, e Giuseppe La Farina, e l'avvocato Fascila, e simili. Ma «Vedi giudizio uman, come spess'erra!» Nel maggio del 1863, ossia tre anni dopo, Nino Bixio è reduce in Torino da un viaggio parlamentare fatto in Napoli per esaminare il brigantaggio, e Crispi e La Farina ed altri studiano rimedi contro i briganti, e briganti sono coloro che stanno con Francesco II, ed egli stesso vien chiamato il re dei briganti, e l'autore del brigantaggio. Come mutano le cose e i giudizi in soli due anni!

Quanto a noi, ognuno capisce che diciamo e dobbiamo dire essere briganti coloro che vogliono rovesciare nell'Italia meridionale il presente Governo, non gli altri che atterrarono l'antico. Ci auguriamo però che la storia, raccolti i latti ed esaminate le relazioni d'una parte e dall'altra, possa ripeterò questo nostro giudizio.

IL BRIGANTAGGIO, LORD PALMERSTON

E IL PADRE CURCI

(Pubblicato il 20 maggio 1863).

Chi non conosce il P. Carlo Maria Curci della Compagnia di Gesù? Chi non ha udito lodare in lui l'oratore eloquente, l'ecclesiastico zelantissimo, lo scrittore forbito, il formidabile contro versista? Chi non ricorda come nel 1846 desse fico per dattero al procace Gioberti? Chi non ha letto la sua Divinazione, che fin dal 1849 tesseva la storia degli odierni attentati? Ebbene questo valoroso Gesuita, che fondava nel 1850 la Civiltà Cattolica, che la dirige tuttavia in Roma con coraggio pari all'ingegno, e con ingegno non superato che dall'amore alla Chiesa, il 15 di maggio del 1863 veniva citato da lord Palmerston nella Camera de' Comuni, come un documento in suo favore!

II telegrafo annunciandoci questa citazione avea convertito il padre Curci nel padre Cucchi, ma oggi i diari di Londra ci recano il suo vero nome.

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Dunque è proprio l'autorità del P. Curci che fu invocata da lord Palmerston in prova delle sue bugiarde asserzioni, ed ceco come.

Giorgio Bowyer, che non da tregua a lord Palmerston e non gli mena buona una sola delle sue impudenze, nella tornata del 15 di maggio lo invitò a recare i documenti di quello che avea asserito nella tornata del 42 dello stesso mese nella Camera dei Comuni. In quella tornata tra le altre cose lord Palmerston avea accusato «il Papa d'esser risponsale degli atti che i briganti, i quali s'armano nel territorio romano, commettono poi nelle terre di Napoli». E insieme col Papa, lord Palmerston accusava i Francesi che non fanno bene la guardia. Cominciamo dal citare una parte di questa tornata della Camera dei Comuni del 12 di maggio, e ciò servirà per meglio intendere la tornata del 15.

Hennessey «muove un'interpellanza al governo per sapere se un dispaccio sia stato ricevuto dal signor Odo Russel, del quale s'era già fatta menzione nella precedente seduta, ed in cui il signor Russell contraddisse un suo primo dispaccio; e nel caso affermativo, chiede se questo dispaccio sia stato spedito al governo francese.

Palmerston. «Io non so, o signori, a che cosa gioverebbe una |diacussione intorno alle parole che scambiarono fra loro il signor Odo Russel ed il generale Montebello, eccetto che ad intorbidare le loro mutue relazioni a Roma. Il signor Russel non fece che confermare quanto egli avea udito, cioè che bande di briganti in uniforme francese avevano passato il confine, ingannando in questo modo le pattuglie italiane. Il generale Montebello negò il fatto, ed il signor Russel non avea parlato che di informazioni ricevute; ma la sola cosa importante di tutta questa faccenda si è che 260 di questi briganti passarono di fatto il confine napoletano. Intorno all'esser poi essi vestiti in uniforme francese, non si può di ciò incolparne la guarnigione francese, non potendosi supporre, che questi abiti militari fossero dati con loro consenso. Il sig. Russell disse al generale Montebello ch'egli sapeva per prova che le assise vecchie dei soldati francesi venivano per solito vendute in ghetto agli israeliti, i quali poi le spedivano ad alcuni conventi (sic) sul confine, dove erano ascose molte armi. I briganti venivano ad uno ad uno a quei conventi (sic), e quindi partivano armati di tutto punto a raggiungere i loro compagni.

«Nel suo dispaccio il signor Russell disse che il generale Montebello gli avea assicurato che questi fatti non erano a sua conoscenza , e che gli dava la sua parola d'onore che nessun uomo armato avrebbe in avvenire passato il confine napoletano. Se qualche cosa di simile genere accadde per Io passato, non si poteva tutt'al più attribuirlo che alla negligenza e noncuranza degli agenti del generale Montebello stesso.

«Io però credo, o signori,che essendo il Papa nelle mani della guarnigione francese, la quale governa di fatto tutto il suo territorio (sic), si potrebbe da questa attendersi alfine una maggiore sorveglianza su quel Comitato borbonico, che ha in Roma la sua sede stabile e permanente, lo non posso occultarvi, o signori, come sia stato detto, il che spero non sarà punto vero,

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che una grande spedizione di briganti doveva passare nel Napoletano in questo mese di maggio.

Lord Manners «domanda se il nobile lord abbia intenzione di deporre sul banco dei ministri i dispacci, sui quali si basavano queste serie accuse contro il Sovrano d'una nazione amica.

Lord Palmerston. «Sarebbe dottrina nuova del tutto, che quando un minierò fa un'asserzione fosse obbligato a provarla con documenti irrefragabili.

«I0 non ammetto questo principio [Udite, udite). Se un ministro legge una carta, è egli obbligato a deporta sul banco ministratale?»

Capite, che magnifica teoria? Un ministro non è obbligato a provare ciò che dice! Egli può calunniare impunemente, e gl'Inglesi, che non credono al Papa, debbono credere alle asserzioni di lord Palmerston. Chi dubitasse ancora della slealtà e della malafede del gabinetto inglese, potrebbe convincersene colla semplice lettura della precedente relazione. Giorgio Bowyer, destro come è, vide il bel giuoco che gli offriva lord Palmerston, e il 15 di maggio, l'incalzò nuovamente, chiedendogli i documenti delle sue asserzioni, e fu allora che il nobile lord si aggrappò al Padre Curci! Ecco la risposta di lord Palmerston a Giorgio Bowyer:

Lord Palmerston. «Se l'onorevole baronetto avesse letto pili attentamente il discorso, al quale egli allude nella sua interpellanza, avrebbe potuto accorgersi che io non fondava la mia risposta su dati positivi. Io non ho alcun documento da deporre sul banco ministeriale. Il fatto si è che io ricevetti di tempo in tempo informazioni assai interessanti intorno al brigantaggio dei Napoletano ed alle persone che vi prendevano parte, ma ove volessi accennare i nomi degli individui, dai quali attinsi simili notizie, io ne saprei così poco come l'onorevole baronetto. (Ilarità).

«lo credo però di poter citare all'onorevole baronetto un fatto che varrà a gettare qualche luce sul Comitato che ha sede in Roma, lo seppi oggi, che il giorno 3 di questo mese il Gesuita padre Curci predicò nella cattedrale di S. Spirito in Roma, dietro ordine del Cardinale Arcivescovo di Napoli, alla presenza dell'ex-re di Napoli e della sua Corte. Nel mezzo del suo discorso, il reverendo Padre disse che egli era dolente di vedere che essi non potevano rassegnarsi ai decreti della Provvidenza. Egli gli rimproverò per avere con promesse di danaro e con iscritti sediziosi agitate continuamente le masse ignoranti dell'Italia meridionale, spingendole ai ladronecci ed agli assassinii. (Udite, udite).

«Il predicatore aggiunse che, mentre essi largivano ingenti somme di danaro per sostenere i briganti, non avevano però un baiocco per i poveri loro concittadini, che morivano in Roma di fame. (Uditet udite), lo sono certo, o signori» che l'onorevole baronetto potrà avere dal Padre Curci esatte informazioni sull'esistenza in Roma di un Comitato borbonico. (Ilarità)» .

Questa risposta di lord Palmerston ci ricorda i tempi del conte di Cavour, quando, stretto fra l'uscio e il muro, se ne usciva con un frizzo, eccitando l'ilarità della Camera.

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Ma dopo l'ilarità viene, o almeno dovrebbe venire la riflessione, e chi riflette, vede che lord Palmerston accusa senza dati positivi e senza documenti. Tuttavia il 15 di maggio fu più fortunato del 12, perché il 15 avea saputo il discorso del Padre Curci. E chi l'avea detto a lord Palmerston? Un giornaletto ministeriale di Torino, la Stampa del 10 di maggio, N° 129, la quale pubblicava una pretesa corrispondenza di Roma di questo tenore:

«Per cura dell'eminentissimo Riario Sforza si è stabilito che in ogni prima domenica di tutti i mesi si esponga il Venerabile, si celebri la Messa, vi sia la predica, ed in ultimo la Benedizione nella chiesa nazionale, sotto il titolo dello Spirito Santo dei Napoletani, e che gli emigrati, specialmente la parte più colta, assistano a queste funzioni. Domenica, 3 corrente, cominciò questa pratica, ed il noto Padre Curci, Gesuita, tenne il primo discorso.

«II cennato Padre esordì dicendo che, invitato qual connazionale a parlare ai fratelli, esso, credendo di dirigere le sue parole ai veri emigrati, e non a coloro che per proprio interesse si sono volontariamente condannati all'esilio, e di questi si augurava di non riconoscere neppure uno fra gli astanti, avrebbe seguito la verità, né si sarebbe lasciato imporre dalla reale presenza (perché anche Francesco era presente) qualora il suo dire si giudicasse troppo spinto nel vero.

«Dopo questo esordio ha detto che grave peccato pesa sulla coscienza della emigrazione pel sangue che scorre nelle Due Sicilie, poiché non volendo questa riconoscere lo stato delle cose europee, non volendo ritenere che la restaurazione del loro Sovrano dipende unicamente dalle mani di Dio, il quale solo può pacificare l'Europa ed abbattere le rivoluzioni, si pasce d'illusioni, si sforza di tradurle in atto, e quindi spinge, con la parola in Roma e con gli scritti che fa giungere in Napoli, gente al macello, ecc, ecc.

«Quindi incalzando l'argomento è passato a dimostrare che più si va in alto più cresce il peccato, poiché la diplomazia napoletana e la nobiltà, che sono state la causa di far accrescere di due terzi l'emigrazione in Roma, dopo la caduta di Gaeta, si sono date ai divertimenti, alle crapule, non si mostrano avide d'altro che di onori, hanno abbandonata la classe povera della emigrazione, riducecdola al suicidio per la fame, se la carità di Roma non la soccorresse in parte: che questo procedere era detestabile anche presso la società».

Evidentemente lord Palmerston non fé che recitare alla Camera de' Comuni la pretesa corrispondenza della Stampa , e domani la Stampa convaliderà la sua corrispondenza col discorso di lord Palmerston, lo che ci richiama a memoria la storiella raccontata dal Padre Curci nella sua Divinazione, dei due fanciulli, che sorreggendosi l'un l'altro voleano volar per l'aria e dierono del capo in terra.

Noi non sappiamo se sia vera o falsa la predica del Padre Curci citata dalla Stampa e da lord Palmerston. Sq il Padre Curci ha realmente predicato, mettiamo pegno che non ha predicato nei termini riferiti dalla Stampa e da lord Palmerston, e forse l'egregio Gesuita coglierà quest'occasione per dircene qualche cosa. Ma dato pure che tutto sia vero quanto raccontarono la Stampa e lord Palmerston, che cosa no deriva?

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No derivano questi corollarii:

1° II Papa e il suo governo sono ben lungi dal favorire il brigantaggio, che anzi a Roma si predica contro le così dette spedizioni di briganti.

2° Mentre si accusano i frati di tener mano ai così detti briganti, e di nasconderli ne' loro conventi, si finisce poi per citare un sol documento. È il documento é un supposto discorso del Padre Curci, il quale si scatena contro coloro che alimentano il brigantaggio!

3° L'emigrazione napoletana ben lungi dal passare il tempo in conventicole, o dar nome alle società segrete, se ne va in Roma ad udirò la predica, ed a ricevere la benedizione di Gesti Cristo sacramentato.

4° Il re di Napoli Francesco 11 insieme con coloro che gli restarono fedeli cospira davanti all'altare del Re dei Re, e del Signore dei dominanti, e sente le prediche del Padre Curci con molta umiltà, e senza dolersi del predicatore.

CIRCOLARE DI NAPOLEONE III

CONTRO I VESCOVI

(Pubblicato il 7 giugno 1863).

Il ministro dell'istruzione pubblica e dei culti ha diretto la seguente lettera agli Arcivescovi di Cambrai, di Tours e di Rermes, ed ai Vescovi di Metz, di Nantes, di Orléans e di Chartres:

Monsignore,

Voi avete pubblicato testò, d'accordo con parecchi venerabili vostri colleghi, uno scritto intitolato: «Risposta di parecchi Vescovi alle dimande, che loro vennero fatte relativamente alle prossime elezioni».

Non voglio esaminar a fondo questo scritto. Troppo mi affliggerebbe il vedere che Vescovi francesi, i quali pretendono insegnar al paese i suoi doveri elettorali, affettino di non nominar l'Imperatore, non parlare di quanto è dovuto al Sovrano eletto dalla nazione e non conoscere altra fedeltà che quella, la quale guarda il passato. Permettetemi adunque, Monsignore, di badar soltanto al carattere esterno dell'atto, a cui avete concorso e di esporre a V. E. ciò che è contrario agli obblighi dell'Episcopato.

Ciascuno di voi, Monsignore, è Vescovo d'una diocesi, i cui limiti sono fissati dalle leggi civili e canoniche. Esso dà consulti nell'estensione della sua giurisdizione ecclesiastica ai fedeli che ne chiedono, ed usa abitualmente in simili casi o lettere private o lettere pastorali o circolari. Se il Vescovo, uscendo dalla cerchia delle cose religiose per mischiarsi alle agitazioni e lotte del mondo politico, crede necessario predicare, sotto la personale sua responsabilità, il dovere elettorale, lo predica al gregge di cui è pastore, ma non si dirige alle altre diocesi, interpellando la Francia col mezzo dei giornali. Un tale atto potrebbe infatti essere considerato come una vera usurpazione sulla libertà e competenza dei Vescovi, i quali, senza abdicare alla loro direzione spirituale, non credono utile di trattenere i loro diocesani con questa forma di pubblicità universale.

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Esso costituisce inoltre un eccesso di potere verso lo Stato. Le nostre leggi, Monsignore, non permettono a sette Vescovi di mettere in deliberazione comune i consulti raccolti nelle rispettive loro diocesi e di formare così una specie di concilio particolare, che usurpa il diritto di distribuire nei giornali consulti politici a tntto l'Impero francese.

Il governo di Sua Maestà intende rispettare lealmente la libertà che appartiene a ciascun Vescovo per l'amministrazione religiosa della sua diocesi; ma deve altresì vegliare al mantenimento delle guarentigie dello Stato e dei principii del nostro diritto pubblico, il perché è fermamente risoluto a vietare da quind'innanzi la pubblicazione per mezzo della stampa d'ogni deliberazione proveniente da religiosi raunati senza autorizzazione legale.

Gradite, Monsignore, l'assicurazione dell'alta mia considerazione.

Il ministro dell'Istruzione Pubblica e dei Culti

Rouland.

LA LEGGE SUL BRIGANTAGGIO

(Pubblicato il 31 lugUo 1863).

Pubblichiamo la prima parte della relazione che il deputato Conforti scrisse sulla legge proposta contro il brigantaggio, e crediamo che a confutarla basti qualche parentesi.

Relazione della Commissione composta dei Deputati Massari, Giorgini, Lazzaro, Mancini, Reali, Poerio, De Franchis, Conforti sul progetto di legge presentato dalla Commissione d'inchiesta parlamentare sul brigantaggio.

Signori!

Il Brigantaggio, che da qualche tempo (da quando comandate voi) infesta alcune delle provincie meridionali, non fu distrutto ancora compiutamente (anzi cresce sempre più) non ostante gli sforzi del governo, il valore e l'abnegazione delle truppe e delle guardie nazionali. Poiché il primo bisogno dei popoli è la pubblica sicurezza, la Camera grandemente se ne preoccupava, e quindi nominava una Commissione d'inchiesta composta di nove deputati scelti tra le varie gradazioni, affinché visitasse le provincie napoletane, e diligentemente investigasse le cagioni del male ed i rimedii acconci a guarirlo.

La Commissione parlamentare d'inchiesta eseguì la difficile missione [correndo rischio perfino di essere acchiappata), interrogò magistrati, impiegati, proprietarii, militari e cittadini di ogni ordine; esaminò processi e documenti; insomma fece tutte le possibili ricerche per ottenere una oculata contezza delle cagioni del brigantaggio e dei mezzi addatti a distruggerlo (ma non volle lasciar vedere i documenti neppure ai deputali!

Ritornata nel seno della Camera, la Commissione d'inchiesta per mezzo dell'onor. Massari, suo relatore, fece una esposizione particolareggiata de' fatti che aveva raccolti, delle impressioni che aveva ricevute durante il suo giro nelle provincie meridionali, narrò distesamente la storia, le cagioni del brigantaggio, e propose i mezzi atti a domarlo.

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A questo fine presentò un ordine del giorno ed un progetto di legge, che lo stesso onorevole Massari, dietro invito della Camera, accompagnò con una sua relazione (letta in seduta segreta).

La Commissione nominata dagli uffizii per riferire intorno al precitato progetto di legge, non crede che torni utile il riandare la storia e le cagioni del brigantaggio, ma non può passare sotto silenzio la precipua cagione del flagello, che percuote l'Italia del Mezzogiorno.

Nel centro della Penisola, o signori, in Roma, capitale d'Italia fin pretendente (e voi non pretendete Roma?) circondato dai suoi satelliti e sorretto dalla reazione europea fa raccolta di gente perduta, la fornisce di armi di mezzi di ogni maniera (come fa se fu spogliato di tutto?) e la spinge nelle contigue provincie meridionali, mantiene relazioni coi malcontenti e coi capi delle bande armate, le quali mettono a ruba ed a sangue quelle infelici contrade. Avrebbe l' Italia per sua legittima difesa (sic) diritto di occupare quel lembo di terra ( badate alle conseguenze di questa teoria!) ove si accampano gli scherani del pretendente e della reazione, snidarli e punirli de' loro misfatti. E pure dovette finora rimanersi spettatrice di tanti orrori, perché la capitale d'Italia è occupata dalle armi francesi.

La Commissione, prima di discutere gli articoli del progetto di legge, volle farsi le seguenti questioni:

1° È necessaria una legge speciale sul brigantaggio?

2° È compatibile una legge eccezionale con le libere istituzioni?

Esaminando la prima questione, la Commissione ha facilmente riconosciuto la necessità di una legge speciale. Ed in vero, osservando che sinora fu combattuto il brigantaggio con tutto il vigore e con misure non meno severe di quelle che si riscontrano nel progetto di legge, è stato forse il riconoscere ohe il metodo usato non fu abbastanza efficace (Dopo tante fucilazioni!). Questa inefficacia, secondo il parere della Commissione, deriva non già dalla mollezza onde furono combattuti i briganti, né dalla mitezza delle pene (Pene miti!), che tennero dietro ai loro misfatti, ma sibbene dalla mancanza di un concetto unico, dal difetto di sistema e di ordine (Ottimamente!). Per la qual cosa è necessaria una legge informata da un concetto chiaro e preciso.

Si conferma vieppiù pel suo divisamento la Commissione per la considerazione seguente. La Camera nominava una Commissione parlamentare d'inchiesta. Degli uomini che la composero alcuni appartengono alla maggioranza, altri alla minoranza, e quindi rappresentano i varii partiti della Camera elettiva. Questi uomini, liberali quant'altri mai, naturalmente abborrenti da una legge eccezionale, non dubitarono di proporla al Parlamento, allorché furono profondamente convinti della sua necessità. Ora pare alla Commissione che nessuno sia più competente di coloro, che, dietro mandato della Camera, visitarono le provincie infestate dal brigantaggio, e quindi l'opinione da essi manifestata pare che abbia un'autorità incontestabile.

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Per la qual cosa la Commissione ebbe a concludere che sia necessaria una legge speciale per la repressione del brigantaggio (Potete essere certi che i briganti aumenteranno!).

Venendo all'altra questione, se una legge eccezionale sia compatibile colle libere istituzioni, la Commissione ha osservato: che Io stato di brigantaggio rende immagine dello stato di guerra, anzi è peggiore della guerra. ( È guerra civile). Lo stato di guerra tra le nazioni civili non disconosce i diritti dell'umanità. La guerra ha le sue regole, ha le sue leggi. Coloro che ne trapassano i confini, si rendono segno di riprovazione e d'infamia; la pubblica opinione si solleva contro di loro e gli riconduce a pili miti consigli. Per l'opposto i briganti non sono infrenati né dalla religione, né dalla morale, né dalla pubblica opinione, né dalla disciplina, né dalla legge, di cui sono una Completa negazione.

Ora, siccome in tempo di guerra imperano leggi eccezionali, per qual ragione non debbono imperar altresì leggi eccezionali nello stato di brigantaggio, che è tanto peggiore della guerra? Le più civili nazioni nel corso della loro storia furono costrette a sancite temporanee leggi eccezionali. Quando il brigantaggio, avanzo della guerra civile, infestava alcuni dipartimenti della repubblica francese, i colpevoli di reato di brigantaggio furono sottoposti ai tribunali militari straordinarii. Quindi la Commissione conchiuse che il presento progetto di legge sul brigantaggio fosse compatibile colle libere istituzioni.

Non pertanto questa specie di ripugnanza contro una legge eccezionale sul brigantaggio fa onore agl'Italiani, i quali si proposero di sciogliere un problema nuovo nella storia delle nazioni, di fondare cioè la libertà per mezzo della liberta; ma i generosi sentimenti debbono cedere il luogo in vista del bisogno urgente di ristabilire in alcune provincie la pubblica sicurezza.

GLI OTTO SISTEMI

PER COMBATTERE IL BRIGANTAGGIO

(Pubblicato il 1° agosto 1863).

Dal 1860 si studia e si lavora in Torino ed in Napoli, nella Camera e nel ministero, dai ministri, dai deputati e dai prefetti per combattere quello che chiamano il brigantaggio, e la storia parlerà a lungo di questi studi e lavori, e dei pessimi effetti che sortirono. Volendo noi mettere in un quadro, ad edificazione del lettore, ciò che fu fatto fin qui per liberarsi dai briganti, ci parve di poter ridurre ad otto i sistemi che vennero abbracciati, e tutti finora inutilmente, per cessare nel reame di Napoli quello che il deputato Conforti chiama stato di guerra, anzi, peggiore della guerra. Ecco gli otto sistemi:

1° La libertà - Sistema Cavour.

2° Le fucilazioni -Sistema Cialdini.

3° Lo stato d'assedio - Sistema Rattazzi.

4° La fame-Sistema Fantoni.

5° Le ricompense-Sistema Perruzzi.

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6° Le inchieste - Sistema Ricciardi.

7° La mascalcìa-Sistema De Ferrari.

8° Le leggi eccezionali - Sistema Massari, Conforti, Mancini, Poerio e Compagnia. Scriviamo qualche cenno su questi otto diversi sistemi.

La libertà. Il conte di Cavour sperava in questo grande panacea. Sua nipote raccontò che il Conte, presso a morire, disse de' Napoletani: «lo li governerò colla libertà, e mostrerò ciò che possono fare di quelle belle regioni dieci anni di libertà. Fra venti anni saranno le provincie più ricche dell'Italia. Non mai stato d'assedio, ve lo raccomando (1)». Erano parole d'un moribondo! La libertà fu accordata ai Napoletani, ma libertà di bestemmiare, di maledire Pio IX

«Francesco II, la libertà di negare la fede, di deridere i miracoli, di cacciare i Vescovi, d'invadere i conventi, di predicare l'eresia, di profanare le chiese. E questa libertà, ben lungi dal risanare, inciprignì sempre più la piaga del brigantaggio. Ancora pochi anni d'una simile licenza, e le provincie napoletane saranno un deserto.

Le fucilazioni. Cialdini cominciò a fucilare, e le fucilazioni furono il suo programma mandato a stampare proprio nel foglio ufficiale di Napoli. Con Cialdini fucilarono De Virgilii, Curci, Pinelli, Fumel. Matteucci approvava il sistema, e scrìveva a Massimo d'Azeglio nel luglio del 1861: «Per ora la cura è chirurgica, e pur troppo anche questa è divenuta una necessità». D'Azeglio rispondeva il 2 di agosto: «A Napoli noi abbiamo altresì cacciato il Sovrano per istabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra che ciò non basti, per contenere il regno sessanta battaglioni; ed è notorio che briganti e non briganti niuno vuole sapere di noi (1)». E il D'Azeglio condannava il sistema delle fucilazioni e la cura chirurgica del Matteucci: «Agl'Italiani, che restando Italiani non volessero unirsi con noi, credo che noi non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate». Ma non per questo le archibugiate cessarono; il sangue fu sparso, e chiamò nuovo sangue, e dalla terra impastata di sangue fraterno germogliarono nuovi briganti. Il sistema di sangue fu in permanenza a Napoli, e, cominciato con Cialdini, continua con Fumel. Il deputato Ricciardi diceva alla Camera il 18 di aprile 1863: «Questo colonnello Fumel si vanta d'aver fatto fucilare circa trecento briganti e non briganti». E continuava: «Da un giornale ministeriale ricavo il numero dei briganti fucilati, perché presi colle armi alla mano, essere ammontato a 1,038, e questi oltre quelli uccisi negli scontri, oltre quelli costituitisi o fatti prigionieri. Il totale è di 7151 (2)».

Lo stato d'assedio. Dal 1860 in poi le provincie napoletane vivono sotto lo stato d'assedio, ma Urbano Rattazzi ebbe il coraggio civile di proclamarlo legalmente tanto nel reame di Napoli, quanto nella Sicilia.

(1) Vedi il racconto della nipote di Cavour nei numeri 173, 174 dell'Armonia, 27 - 29 luglio 1862.

(1) Questa lettera del D'Azeglio leggasi nel numero 189 dell'Armonia , 43 agosto 1861, Direte D'Azeglio amico e fratello dei briganti, perché scrisse quella lettori? Dicendo il vero, non fu che amico della verità.

(2) Atti Uff., N» U93, pag. 4643

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E questo stato d'assedio durò dal 17 e 20 del mese d'agosto 1862 6no al 20 di novembre dello stesso anno. Fu un atto pienamente arbitrario. Carlo Bon-Compagni scriveva: e La costituzione promulgata da Luigi Napoleone dopo il colpo di Stato prescrive (Art. 12) che il Presidente della repubblica, oggi Imperatore, dichiara lo stato d'assedio, ma ne riferisce tosto al Senato. Nel regno d'Italia lo Statuto non assicurerà a' popoli nemmeno la libertà del 2 Dicembre? (3)». Ma quali vantaggi produsse il sistema Rattazzi? Bon-Compagni ne parlò nelle seguenti linee: «Gli effetti dello staro d'assedio corrisposero alle speranze di coloro che ve lo mantennero, di coloro che se ne rallegrarono? L'imperversare del brigantaggio nelle provincie napoletane, la stampa clandestina e la società di pugnalatori in Sicilia fanno pur troppo dubitare che la cosa sia così (4)». Mette orrore la lista dei fucilati pubblicata nel Giornale Ufficiale di Napoli, dal 6 di settembre al 14 di novembre del 1862 (1). Questo giornale annunziava con piacere che « si è già cominciato a fucilare i ladri occulti e i corrispondenti de' briganti (2)». Si sarebbe dovuto terminare, e si cominciava! Si cominciava non a fucilare i ladri, ma i ladri occulti, non i briganti, ma i corrispondenti dei briganti!

La fame. Non riuscendo né le fucilazioni, né lo stato d'assedio a cessare il brigantaggio, si ricorse al ripiego di affamare i briganti. Il tenente colonnello Fantoni, addì 9 febbraio 1862 «in seguito ad ordine ricevuto dal signor Prefetto di Lucera» e collo scopo e di addivenire con ogni mezzo il più efficace alla pronta distruzione del brigantaggio», proibì a qualsiasi persona di por piede nei boschi di Dragonaro, di Sant'Agata, di Selvanera, del Gargano, di Santa Maria, di Pietra, di Motta, di Vulturara, di Volturino, di Sammarco la Catola, di Celenza, di Carlantino, nel Macchione di Biccari, nel bosco di Vetruscelle e Case rotte. «Ciascun proprietario agente o massaro dovrà far ritirare dai detti boschi tutti i lavoratori, pastori, caprari, ecc., e tutto il bestiame esistentevi, abbattendo le pagliaio e le capanne, da questo e dalle persone addette alla loro sorveglianza occupate». E il bando proseguiva: «Nessuno d'ora innanzi potrà asportare dai paesi generi di commestibili ad uso delle masserie, né queste potranno possederne più del quanto è strettamente necessario al sostentamento d'una giornata pel numero delle persone addette alle masserie medesime». E poi veniva la pena, e che pena! «I contravventori del presente ordine (che avrà pieno effetto due giorni dopo la sua pubblicazione) verranno trattati, senza eccezione di tempo, luogo o persona, come briganti, e come tali fucilati» . E si avvertiva che non si transigerà minimamente nell'applicazione delle misure stesse (3)». Ma la fame non servì a cessare il brigantaggio, sicché un ingegnere scriveva da Ortona, il 21 di luglio 1862 al ministero di Torino:

(3) Bon-Compagni, il Ministero Rattazzi e il Parlament, Milano presso Gaetano Brigola, 1861, pag. 29

(4) Bon-Compagnl, opuscolo cit. pag. 88

(1) Leggila nell'Armonia, N. 284, del 7 dicembre 1862, pag. 1322.

(2) Giornale Ufficiale di Napoli, del 12 di novembre 1862.

(3) Questo proclama fa stampato in Lacera dalla tipografia di Salvatore Scepi, 1862, e ristampato nell'Armonia, N° 41, del 19 febbraio 1862.

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«A mali estremi, estremi rimedi. Bisogna gettare in sito un'imponente massa di truppe, disarmare il paese, pena la fucilazione, giudizio statario, multe ai Comuni dove si commettono delitti, fuoco ai recidivi, ed alla testa una Commissione militare con pieni poteri. Scrivo senza esagerare da uomo onesto e buon patriota (4)».

Le ricompense. Venne Peruzzi, e sperò di far meglio col raccogliere danari e dare ricompense a tutti coloro che combattessero i briganti. Il 1° gennaio del 1863, pubblicò una circolare, dove lamentava il brigantaggio che travaglia da due anni le popolazioni napoletane, e leva vigore a tutto il corpo, e macula la purezza del moto nazionale, e isterilisce il suolo di tante provincia Propose per ciò una questua per premiare il coraggio di coloro che affrontano i briganti (5). Si raccolsero alcune centinaia di migliaia di lire, pagate dagli impiegati, o da coloro che sospiravano un impiego, e tolte in gran parte dalle casse municipali, e da quelle delle opere pie; ma come finissero quei danari, finora non si sa, ciò che si sa certissimamente si è che il brigantaggio, ben lungi dal diminuire, crebbe a dismisura.

Le inchieste. Già da qualche tempo il deputato Ricciardi aveva proposto che la Camera ordinasse un'inchiesta parlamentare per conoscere le vere cagioni del brigantaggio. Sulle prime si rispose al Ricciardi con una solenne risata, ma sul finire del 1863 l'inchiesta fu proposta da altri, e venne deliberata dalla Camera, nella tornata del 16 dicembre. I deputati, che mossero da Torino per recarsi nel reame di Napoli a studiare i briganti, furono Saffi, Sirtori, Ciccone, Argentino, Castagnola, Massari, San Donato, Morelli, Bixio. Partirono da Genova sul Governolo, il 7 di gennaio del 1863, giunsero a Napoli, si sparsero per le provincie, interrogarono, diluviarono, se la sciallarono, ma più di una volta corsero rischio di cadere vittima degli stessi briganti. Di che affrettarono il loro ritorno a Torino, carichi di documenti e di prove. Ma ogni cosa tennero segretissima, ed un fatto solo non è segreto, il fatto doloroso, che dopo l'inchiesta parlamentare il brigantaggio cresce ed infierisce sempre più.

La mascalcìa. Ed ecco apparire il prefetto di Poggia, il glorioso sig. De Ferrari, che inventa un nuovo sistema per cessare il brigantaggio, sottoponendo a severissime discipline l'arte della ferratura dei cavalli! Il grande prefetto considerando che i briganti si servono di cavalli; che i cavalli sono ferrati; che, se non fossero ferrati, sarebbero assai presto inservibili, e che non sarebbero ferrati, se non vi fossero gli scellerati che li ferrassero, pubblicò un manifesto, dove ordinava che nessuno potesse ferrare i cavalli senza un permesso scritto volta per volta. Si rise in Italia e fuori d'Italia di sì sublime intenzione, ed i briganti continuarono nel loro ufficio più audaci e più sicuri che mai.

(4) L'ingegnere Luigi Tatti dirigente i lavori di costruzione della ferrovia dell'Adriatico. Vedi la Perseveranza del 25 di luglio 1862, e l'Armonia del 26 di luglio, numero 172.

(5) La Gazzetta Ufficiale, del 1° gennaio 1863, e l'Armonia , del 9 gennaio, N. 7,

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Le leggi eccezionali. Questo è l'ottavo sistema, a cui si vuole presentemente ricorrere. La nostra Camera dei deputati nel mattino del 31 di luglio incominciò la discussione d'un disegno di legge presentalo dalla Commissione d'inchiesta parlamentare sul brigantaggio. Napoli avrà fra poco i suoi Comitati di pubblica salvezza, la lista dei sospetti, la costituzione di corpi franchi, prefetti con poteri eccezionali, un delitto speciale definito per suo uso, e pene straordinariamente gravi, fra le quali il sequestro dei beni, la deportazione e la fucilazione. Ma la legge draconiana servirà a sradicare il brigantaggio, o non piuttosto servirà a rinforzarlo e ad aumentarlo? Oh! chi avesse detto nel 1860, che nel luglio del 1863 si proporrebbero leggi eccezionali per governare Napoli! Eppure la cosa è così, e più eloquente del brigantaggio riesce il fatto della Camera, ché se ne occupa presentemente, e discute misure di tanta gravita per reprimerlo. Noi non aggiungeremo commenti, che l'articolo è già lungo abbastanza; solo ripeteremo le parole scritte da Massimo d'Azeglio il 2 d'agosto del 1861: «Gl'Italiani che, restando Italiani, non volessero unirsi doti noi, credo che noi non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate».

BRIGANTI NELLA CAMERA DEI DEPUTATI!

(Pubblicato il 9 agosto 1863)

Nella tornata del 31 luglio il deputato Lazzaro raccontava: «In una provincia, dei giovani generosissimi, dei giovani liberalissimi, avendo arrestato una donna, la quale portava UN PEZZO DI PANE ad un suo figlio che era 0 SI CREDEVA fra i brigami..., presa questa infelice madre, la legarono, la fecero inginocchiare, ed essi medesimi ordinarono il fuoco e la fucilarono» (Atti del Parlamento, pag. 818). Capite? un tozzo di pane era l'oro che loro inviavano Francesco II e il Papa. E il deputato Miceli soggiungeva: «Furono fucilati dei miserabili, degni di compassione e disprezzo. Uno di costoro non aveva fatto che rubare una pecora. Taluni dei fucilati erano in tale miseria, che mentre andavano al supplizio, uno si tolse le scarpe, e disse ad un AMICO: Porta queste scarpe al mio povero padre; un altro si spogliò del giaco, perché si desse ad un suo figliuolo».

Ecco l'oro di Roma! È continuava il Miceli: «Ho la nota dei briganti uccisi spietatamente e senza ombra di giudizio per colpe leggiere: ho nota delle case abbattute, delle case saccheggiate, il giorno dell'esecuzione, i paesi, e persino i nomi dei muratori che distrussero quelle case».

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QUALI SONO LE PROVINCIE MERIDIONALI

INFESTATE DAL BRIGANTAGGIO?

( Pubblicato il 22 agosto 1863 ).

La Gazzetta Ufficiale del 21 di agosto pubblica la legge del 15 di agosto approvata dal Parlamento colla massima fretta, e diretta a combattere il così detto brigantaggio. Noi abbiamo già pubblicato questa legge. Tuttavia sarà bene rimettere sotto gli occhi del lettore l'articolo 1° e 2° che dicono così:

«Art. 1. Fino al 31 dicembre corrente anno nelle province infestate dal brigantaggio, e che tali saranno definite con decreto reale, i componenti comitiva o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici saranno giudicali dai tribunali militari, di cui nel libro n, parte n del Codice penale militare, e con la procedura determinata dal capo m del detto libro.

«Art. 2. I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti colla fucilazione, e coi lavori forzati a vita concorrendovi circostanze attenuanti. A coloro che non oppongono resistenza, non che ai ricettatori o somministratori di viveri, notizie ed aiuti d'ogni maniera sarà applicata la pena dei lavori forzati a vita, e concorrendovi circostanze attenuanti il maximum dei lavori forzali a tempo».

In conseguenza del articolo 1° di questa legge la Gazzetta Ufficiale pubblica un decreto del 20 agosto, il quale dichiara quali sieno le provincie infestate dal brigantaggio. Ecco questo decreto:

VITTORIO EMANUELE II

per grazia di Dio e per volontà della nazione Re d'Italia.

Vista la legge in data del 15 corrente mese, N° 1409; Sentito il Consiglio dei ministri; Sulla proposta del nostro Ministro segretario di Stato per gli affari dell'interno; Abbiamo decretato e decretiamo:

Articolo unico.

La dichiarazione di che all'articolo 1° della legge suddetta è fatta per le provincie di Abruzzo Citeriore, Abruzzo Ulteriore 11, Basilicata, Benevento, Calabria Citeriore, Calabria Ulteriore 11, Capitanata, Molise, Principato Citeriore, Principato Ulteriore e Terra di Lavoro.

Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Torino, addi 20 agosto 1863.

VITTORIO EMANUELE.

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LA RELAZIONE

DELLA COMMISSIONE D'INCHIESTA SUL BRIGANTAGGIO

(Pubblicato il 22 agosto 1863).

I lettori si ricorderanno del profondo mistero, con cui si volle circondare da principio tutto ciò che la Commissione d'inchiesta sul brigantaggio raccolte nelle passeggiate che fece per alcun tempo nelle provincie napoletane. Si tennero tre tornate appositamente per sentire la relazione della Commissione; ma le tornate furono segretissime, ed a ciascuna porta d'ingresso stava una guardia per allontanare i profani dalle vietate adunanze. Si ritirarono negli archivi della Camera i documenti ed i verbali relativi al brigantaggio; ma coloro stessi che ne avevano sentito la lettura, non poterono poi leggerli coi proprii occhi, ed il deputato Nicotera dovette riempiere più volte de' suoi lamenti la Camera, per ottenere a' suoi occhi ed a quelli de' suoi colleghi la stessa facoltà che era già stata accordata agli orecchi di tutti gli onorevoli.

Perché dunque oggi si pubblicano tanto la relazione del Massari, quanto quella del Castagnola, che dapprima non erano conosciute che ai soli deputati? Chi lo sa? Forse non lo sanno nemmeno le gran cime dei ministri che ciò comandano. I quali oggi sono pel più perfetto mistero, e domani sono per la più ampia pubblicità, secondo che loro mette conto o sembra meglio, con una disinvoltura ammirabile.

Potrebbe anche darsi che il ministero abbia ordinato una tale pubblicità per giustificare in qualche modo quella feroce e draconiana legge sul brigantaggio, che e deputati e senatori hanno votato già coll'involto sotto il braccio per andarsene via da Torino. Potrebbe anche darsi, e questo è ancora più verosimile, ohe il ministero abbia con ciò tentato di dare un po' di erba trastulla a quei giornali che in questi giorni specialmente lo combattono con un calore veramente straordinario, e pensi così a far rivolgere altrove, massime a Roma, i loro colpi.

Checché ne sia però, certo è che il ministero trovasi in ben cattive acque, se non ha migliori argomenti per combatter Roma. Infatti quante volle non accusò il governo pontificio di spedir danaro ai briganti? Quante volle non ripete quest'infame accusa alla tribuna, e nelle Note e nei giornali? Ebbene ora si appicca di per sé il titolo di calunniatore, stampando la relazione del Massari, in cui si leggono le seguenti parole: «L'incitamento massimo (al brigantaggio), ci diceva l'illustre Luigi Settembrini, viene da Roma; di dove più che il danaro viene l' idea che lì è il Re delle Due Sicilie che può tornare».

Capite? Non è il danaro di Roma che eccita il brigantaggio: è l' idea, cioè l'idea che lì è il re Francesco IL Preziosissima scoperta! Scoperta incomparabile! Ma non vedete, o badaloni, che se la reazione è fomentata dall'idea (e sia pur proveniente da Roma) del probabile ritorno di Francesco II, ne viene che Francesco II regna nei cuori delle masse napoletane più di voi, nonostante le vostre truppe e i vostri unanimi si?

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Del resto, voi che accusate Roma di esser connivente coi briganti, su quali argomenti fondate le vostre accuse? Su nessuno. E per colorire in qualche modo tali accuse, vi appigliate ad un'altra calunnia, e dite che «la polizia pontificia adopera tutte le scaltrezze immaginabili, perché manchino le prove dirette e giuridiche della sua connivenza con i masnadieri». E così parlano coloro che si vantano di aver per sé, non solo il comitato romano che loro fa da spia, ma tutti i cittadini dell'eterna città! Oh! poveri balordi! Ecco che mentita est iniquitate sibi!

PROVINCIE MERIDIONALI

BRIGANTI E NON BRIGANTI

( Pubblicalo il 23 agosto 1863 ).

Le provincie meridionali sono sedici, compresa la provincia di Benevento, e di queste, undici sono dichiarate in istato di brigantaggio. Ecco la lista della sedici provincie, coll'indicazione di quelle che sodo o che non sono in istato di brigantaggio:

Abruzzo Citeriore. Questa provincia coi suoi 121 comuni e 837,801 abitanti è dichiarata in istato di brigantaggio.

Abruzzo Ulteriore 1° non è in istato di brigantaggio.

Abruzzo Ulteriore 2. è in istato di brigantaggio con tutti i suoi 127 comuni.

La Basilicata, poverina, è in istato di brigantaggio con i suoi 124 comuni.

Benevento è pure in istato di brigantaggio con tutti i suoi 83 comuni.

La Calabria Citeriore trovasi pure dichiarata per decreto reale in istato di brigantaggio, insieme con tutti i suoi 154 comuni.

La Calabria Ulteriore 1. non è finora dichiarata in istato di brigantaggio, tuttavia dicono i giornali che è già ben avviata per meritarsi una simile dichiarazione.

La Calabria Ulteriore 2. è in istato di brigantaggio con i suoi 159 comuni;

La Capitanata è pure in istato di brigantaggio con tutti i suoi 54 comuni.

Molise trovasi essa pure in istato di brigantaggio con i tuoi 134 comuni.

Napoli e la provincia non sono dichiarate in istato di brigantaggio.

Il Principato Citeriore è dichiaralo in istato di brigantaggio coft tuffi i tftfoi 159 comuni.

Il Principato Ulteriore trovasi pure dichiarato in istato di brigantaggio con tutti i suoi 130 comuni.

La Terra di Bari non è in istato di brigantaggio; e lo è invece Terra di Lavoro - con i suoi 184 comuni.

La Terra d'Otranto noti è in istato di brigantaggio. Più di due terzi del Reame di Napoli sono adunque in istato di brigantaggio!

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IL BRIGANTAGGIO DI URBANO RATTAZZI

IN ORIENTE

(Pubblicato il 27 agosto 1863).

Curiosissimi da qualche giorno sono i diarii della rivoluzione. Nella prima pagina stampano la relazione sul brigantaggio, gridando contro i Napoletani che non vogliono obbedire alle leggi del regno d'Italia, contro Francesco II che non vuoi rinunziare al trono di Napoli, contro Roma che, col solo accogliere uno sventurato Sovrano, fomenta la rivoluzione in casa altrui! E nella seconda pagina poi questi stessi giornali parlano di una rivoluzione da suscitarsi in Venezia, della prossima conquista di Roma, e dei disegni briganteschi concepiti perfino in Oriente a danno di quel Turco, che siamo accorsi a difendere in occasione della guerra di Crimea!

Grazie a questo chiaccherar di giornali, noi sappiamo oggidì la ragione, e conosciamo i grandi misteri di Aspromonte, di cui a giorni si celebrerà l'anniversario. Parea incredibile che Rattazzi, allora presidente del ministero non avesse mano ne' preparativi garibaldini, mentre si compivano in Torino sotto gli occhi medesimi de' ministri; più incredibile ancora che Urbano Rattazzi, dopo avere incoraggiato ed aiutato la spedizione, finisse poi per rivolgere le armi contro gli arruolati. Ma ora conosciamo l'arcano, o almeno possiamo rivelarlo senza tema di essere smentiti. Imperocché la storia di quei fatti o, per dir meglio, di quelle brutte macchinazioni ci venne raccontata primo dal Morning Post di Londra, e poi dalla Monarchici Nazionale e dall'Opinione.

Secondo la Monarchia, Urbano Rattazzi concepì un vasto disegno « ed iniziò pratiche, d'accordo colla Francia e colla Russia, onde fare un grande tentativo in Oriente» (Monarchia N° 233 del 25 agosto). II vasto disegno viene cosi esposto dall'Opinione del 26 di agosto, N° 235: «Il disegno del gabinetto Rattazzi, adunque, ormai tutti lo sanno e molti, forse anche troppi, lo sapevano nel momento in cui doveva prender forma d'un fatto, consisteva nel promuovere, d'accordo colla Francia e colla Russia e col mezzo del generale Garibaldi e suoi volontarii, un'insurrezione su qualche punto dell'impero turco o sue adiacenze, proporre pel tal modo all'Europa il terribile problema che si nasconde nella caduta della dominazione turca a Costantinopoli, e ritrarre da questo fatto i tre seguenti principali servizi; - Scaricare altrove quel temporale rivoluzionario che altrimenti sarebbe scoppiato in Italia. - Trovare nella Soluzione della quistione orientale l'occasione di compiere la nostra impresa nazionale. Liberare finalmente l'Europa dall'incubo che pesa su di lei, sinché quella benedetta quistione d'Oriente non sarà composta».

Questo disegnò, come si vede, lasciava fuori l'Inghilterra, e quindi fu oppugnato e mandato a monte da sir James Hudson, Francia e Russia, o non si fidarono del Rattazzi, o non vollero più a lungo continuare nell'impresa, e quindi si diè ordine a Garibaldi di cessare e posare le armi.

Ma Garibaldi non volle acconsentire agli ordini Rattazziani, né potendo muovere per l'Oriente, come gli era stato detto dapprincìpio, stabilì di valersi dei fatti preparativi per conquistare Roma. Di qui il giuramento di Marsala 0 Roma o morte, e quelle invettive contro Napoleone III, ohe nel meglio del ballo avea piantato Garibaldi e Rattazzi.

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Tuttavia il Rattazzi, che stava a servizio del Bonaparte, disapprovava che Garibaldi se la pigliasse colle parole e coi fatti contro la Francia. Lo pregò, lo supplicò, che ritornasse tranquillamente a Caprera, e, non avendo voluto obbedire, lo sconfisse e ferì in Aspromonte.

Ecco un'altra bella pagina della rivoluzione italiana 1 Chi non freme ed arrossisce per la patria nostra resa così istrumeuto di congiure, meno di conquiste, centro di straniere ambizioni? Chi può ripromettersi bene di una nazione governata da tali uomini, che Camillo Cavour rigenerò coi meni rivelati da Nicomede Bianchi, e Urbano Rattazzi volea definitivamente unire col vasto disegno esposto dal Morning Post, dalla Monarchia e dall'Opinione?

Ma per ora noi vogliamo insistere su di un punto solo. Questi uomini che tre anni fa portavano la ribellione in Napoli ed in Sicilia; questi uomini che un anno fa si accordavano per accendere un'insurrezione in seno dell'impero Ottomano, hanno oggi il diritto di lagnarsi del brigantaggio? Possono seriamente disapprovare coloro che li seguono nel proprio sistema e suscitano a loro danno una reazione nelle Due Sicilie?

L'Opinione stessa, giornale venduto alla rivoluzione, parlando del disegno di Rattazzi di levare a tumulto le popolazioni dell'impero Turco, esce nelle seguenti parole: «Prima di tutto si deve domandare se sia lecito ed onesto, senza averne una ragione al mondo, di andare a portare nella casa di un vicino, dal quale non fummo mai offesi e fummo anzi trattati con cortesia, un fastidio ed un malanno che in alcun modo non si è meritato? Si può richiedere altresì se convenga accreditare in Europa l'opinione, essere l'Italia un impresario di rivoluzioni che si possa noleggiare anche per cause che da vicino non la riguardano?»

In sostanza l' Opinione riconosce che il Rattazzi aveva concepito un vero disegno di brigantaggio. Nondimeno l'Opinione è ben lontana dall'attribuire gran forza al suo argomento, ed ammette che «gli Stati non si sprigionano dalle ingiustizie col solo esercizio delle virtù teologali». In altri termini l' Opinione insieme coi suoi, colleghi proclama che nella liberazione d'Italia il fine giustifica i mezzi. Ma, stabilito questo principio, come si può gridare contro il brigantaggio delle Due Sicilie? Non vedete la contraddizione? Non capite come voi stessi riuscite a stabilire che i briganti sono briganti, perché deboli, mentre i briganti forti e vincitori diventano eroi?

Lasciate a noi il gridare contro le rivoluzioni, a noi che le condanniamo dappertutto; ma voi tacete, per carità, tacete su quest'argomento, giacché mentre gridate contro i ribelli di Napoli, confessate d'aver voluto suscitare la ribellione in Oriente.

Veda intanto il mondo cattolico come il Papa, come la Chiesa potrebbe fidarsi di costoro, che volevano giuocare questo bel tiro perfino al Turco, loro fedelissimo alleato! Qual è la potenza in Europa che ornai non abbia ragione di sospettare qualche congiura a suo danno, e di premunirsi contro i cospiratori italiani?

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APPUNTI SUL BRIGANTAGGIO

DI GIUSEPPE MASSARI

(Pubblicato il 30 sgotto 1863).

Noi abbiamo già dato un saggio della buona fede, della lealtà, della logica, del valore storico della relazione di Giuseppe Massari sul brigantaggio; ma siccome l'Opinione del 29 di agosto ci richiama su questo argomento, così stimiamo bea fatto di proseguire i nostri appunti.

- Massari, nella sua requisitoria, dice che, a fronte di Francesco e il governo italiano è non aggressore, ma aggredito, e nella condizione di chi esercita il diritto della legittima difesa!» È nota la favola di quell'animale, tanto irragionevole, che quando gli davano delle frustate, cacciava calci.

- La polizia è il gran mezzo sopra il quale Massari fonda le sue speranze di spegnere il brigantaggio. Quello appunto che diceva e Taceva l'antica polizia che il Massari cercò di distruggere!

- Massari, parlando dell'ingombro delle prigioni, cita uno, reo di porto d'armi, che pel maggior castigo avrebbe potuto avere quattro mesi, e nella sola investigazione del delitto fu tenuto sei mesi! È questo uno de' fatti che l'Opinione desidera di veder registrati nell'Armonia?

- Massari parla di soldati del regno, che inseguendo certi briganti, entrarono sul territorio pontificio, e invasero una casette, ove colsero tre briganti, della banda di Chiavone, senz'armi. «Benché fossero a pochi passi dalla nostra

frontiera e senz'armi». Quel prepotente comandante francese pretese fossero riconsegnati. È questo un altro fatto che piace all'Optatone?

- Massari si ferma sul diritto che abbiamo di domandar che si cacci Francesco 11 da Roma. Ma, nella sua clemenza, l'amico Massari è persuaso che il governo francese « non negherebbe al governo italiano non l'estradizione, ma la ESPULSIONE del Principe».

- Massari si lamenta che « i nostri soldati combattono quei ribaldi troppo cavallerescamente, troppo lealmente». E soggiunge: «A combattere con efficacia il brigante, è d'uopo adoperare le sue arti». Iddio salvi l'Italia almen da questo flagello d'un esercito avvezzato alle arti dei briganti, quai le descrive l' amico Massari!

- Massari suggerisce e raccomanda di dure premii a chi arresta e consegna un brigante: scuola di moralità! e soggiunge cinicamente: «Già si SOTTINTENDE che quando siavi stato conflitto tra il brigante e chi voleva arrestarlo, e il primo sia rimasto ucciso, il premio debba essere parimente accordato».

Un fatterello nei peggiori tempi del governo militare in Lombardia. Un drudo accusò il marito della sua amante di tener nascoste armi. Le armi furono trovate, e ciò portava l'immediata fucilazione. II feroce capitano austriaco sottintese che il marito doveva esser mandato immune, e il denunziante punito, e cosi fece. Imparate dagli Austriaci!

- Un bizzarro castigo propone Massari quando vuole che gli uffiziali e militi della guardia nazionale, e che non si adoprano con la voluta alacrità al disimpegno dei loro doveri», siano radiati dai ruoli. Bel castigo! Quanti vi aspirano anche nelle nostre beate città!

- Qualche volta il fiero requisitore, Massari, si lascia per distrazione, uscir fatti che interesserebbero pei briganti. Quel tremendo sergente Gioia scriveva - 198 -

- Le mie disgrazie , dolendosi di trovarsi spesso con gente ladra, mentre egli

professa vasi «difensore di Francesco II e della S. Chiesa», e voleva dar solo buoni comandi pel bene del nostro Re e della propria vita». E perchè si permettevano furti, Iddio permise che tolsero traditi da un traditore più fiero. Con essi perirono alcuni, «parte innocenti, parte ingannati come me. Mi Dio, se non in questo mondo, nello eterno saprà rimunerarli, Per me sta che quello che morì nell'innocenza, morì martire, ed ha fatto un grandissimo acquisto della eterna vita. Sono questi presso Iddio».

- Altrove Massari racconta che 14 briganti presi in mezzo dai soldati fecero voto, se campassero, di far dire una Messa, e consegnarsi. In fatto si consegnarono, e solo chiesero che fossero lasciati fare Natale a casa loro. Il capitano lo permise, e appena scorse le feste, vennero a consegnarsi, cresciuti a 25. Il capitano concesse loro di star alle case fin al Capodanno: passato il quale, vennero in numero di 46. Giova dunque, signor Massari, giova anche il non ammazzare.

- E poiché su questo ammazzare e sulle procedure eccezionali tanto insiste l'amico Massari, noi esortiamo il signor Ellero, compilatore del Giornale per l'abolizione della pena di morte a mettere al confronto, non solo della morale, ma delle dottrine de' giuristi antichi e moderni le fiere teorie e le peggiori applicazioni del nostro inquisitore. Sarà un curioso episodio fra quel filantropismo che nega il diritto d'infliggere regolarmente la morte fin all'assassinio premeditato.

- Ciò che più consta dagli estratti di processi uniti alla relazione sul brigantaggio è di un'importanza ancor più che sociale; una portentosa rivelazione della natura umana; un fatto mai più udito da che ci sono vincitori e vinti. Ed è che Francesco li desidera tornar sul trono dei suoi padri: e che a lui mettono capo tutti quei moltissimi che desiderano la stessa cosa. Grande scoperta! Portentoso risultato della scrupolosa e sapiente indagine! Se Io sapesse Napoleone III, che per 33 anni sopportò in tutta pace la perdita d'un trono, che non era degli avi suoi e neppur di suo padre, che non mosse mai dito per ricuperarlo, ossia per acquistarlo, e che in tutto quel tempo non per dette mai fede, ma non fece altro che sospirare e dir rosarii! E durò 33 anni in questi atti di rassegnazione!

- E una volta che diceva quei rosarii sulle porte stesse della Francia, a Ginevra, e che i regnanti di Francia d'allora pretendeano che questa lo mandasse via, la mignola repubblica disse di no, si cinse di mura, chiamò di picchetto le truppe per difendere il suo rifuggito, il pretendente, il cospiratore; e tutta Europa battè le mani alla mignola Ginevra che, per proteggere un ricoverato sfidava l'immensa Francia.

- E che Francesco II ( horribile dictu ) sia proprio informato delle trame, appare evidente dai processi, nei quali uno confessa aver ricevuto da lui dei ritratti: un altro ch'egli stesso disse «il brigantaggio comporsi in parte di gente onesta a lui devota»: un altro che i briganti «offrirono al Re 16,000 ducati da lui dignitosamente rifiutati ».

- La conclusione è che «Francesco II, dacché ha perduto il regno, non ha fatto altro che arruolare briganti e sguinzagliarli contro queste provincie... Questo è un fatto notorio, storico, e DI CUI NON È PIÙ PERMESSO DUBITARE (stupite o genti!) dopo la solenne dichiarazione fatta dal Parlamento!!!».

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EFFEMERIDI DEL REGNO D'ITALIA

Affinché le cose discorse in queste Memorie sieno concatenate fra loro pubblichiamo le date de' fatti principali avvenuti dall'apertura del primo Parlamento Italiano fino alla convenzione italo-franca del 15 settembre 1861.

1861, ANNO PRIMO DEL REGNO D'ITALIA.

Febbraio 18. Apertura del primo Parlamento Italiano con 443 Deputati. Discorso del Re Vittorio Emanuele: «In altre circostanze la mia parola fu ardita. Ma la saggezza non consiste meno a saper osare a tempo, che a temporeggiare a proposito. Devoto all'Italia, non ho mai esitato ad arrischiare per essa la mia vita e la mia Corona, ma nessuno ha il diritto di mettere in pericolo l'esistenza ed i destini d'una Nazione».

20. Lord Russell dichiara all'Inviato di Francesco II a Londra ch'egli cessa dal considerarlo come accreditato presso il Governo Inglese.

21. Lord Russell nella Camera dei Comuni parla delle atrocità che si commettono da briganti nelle provincie Napolitane.

26. Il Senato e la Camera dei Deputati del Regno di Sardegna adottano alla unanimità la mozione di conferire al Re Vittorio Emanuele li e suoi discendenti, il titolo di Re d'Italia.

Marzo 2. L'Austria protesta contro il titolo di Re d'Italia assunto da Vittorio Emanuele

7. Mozione fatta nel Senato francese a favore del mantenimento del potere temporale del Papa.

13. La Cittadella di Messina si arrende al generale Cialdini.

17. Promulgazione della Legge, in forza della quale Vittorio Emanuele assume per sé e pe' suoi discendenti il titolo di Re d'Italia.

18. Allocuzione di Pio IX in concistoro segreto. - «Dopo aver definita la moderna civiltà, egli soggiunge: È forse a questa civiltà che il Romano Pontefice potrebbe tendere una mano amica? Quando ci si domandano cose ingiuste, Noi non possiamo concederle. Se invece ci si domandasse un perdono, Noi siamo disposti a concederlo largamente».

20. Civitella del Trento si arrende al generale Mezzacapo dopo un bombardamento di quattro giorni.

22. Primo Ministero del Regno d'Italia. Il conte Camillo di Cavour assume la Presidenza del Consiglio, il Ministero degli Esteri e la reggenza della Marina.

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22. Il Corpo Legislativo di Francia rigetta colla maggioranza di 246 contro 5 voti un emendamento in risposta all'indirizzo della Corona che proponeva l'immediata evacuazione di Roma dall'esercito Francese - Esso rifiuta con 161 voti contro 90 un altro emendamento proponente la soppressione della frase dell'indirizzo che alludeva alla résistance du Gouvernement Romain à de sages conseils.

22. Inaugurazione a Torino del Monumento eretto in onore di Daniele Manin. Una deputazione di giornalisti francesi assiste alla funzione e vi pronuncia discorsi analoghi alla circostanza.

25. Seduta della Camera dei Deputati del Regno d'Italia. Il Conte di Cavour così si esprime: «lo mi credo in obbligo di proclamare nel modo più solenne e davanti alla Nazione la necessità di aver Roma per Capitale dell'Italia perché «senza Roma Capitale d'Italia, l'Italia non si può costituire». - «Ilo detto, o «signori, e affermo ancora una volta che Roma, Roma Sola deve essere la Ca«pitale d'Italia».

AUDINOT. «Né mi smentiranno i rappresentanti di questa nobile città di Torino, eternamente benemerita d'Italia, di questa nobile Torino la quale non deve cedere a nessun'altra città il primato d'Italia fuorchè all'antica Regina del Mondo».

CRHAVES. «Il Piemonte si svestì d'ogni idea di municipalismo; quando esso vide che vi era un sepolcro da scoperchiare da cui doveva risorgere la veneranda madre Italia egli sentì che unico figlio di lei che aveva le braccia libere doveva tentare quest'opera. Sapeva che scoperchiato il sepolcro forse il coperchio gli si sarebbe rovesciato sui fianchi, pure egli tentò l'opera; respinto vi ritornò; quasi prostrato la ritentò una terza volta, e per grazia a i Dio vi riuscì. Il vecchio Piemonte aveva imparato dal suo Pietro Micca a dar fuoco alla mina anche a costo di sparir nell'incendio» .

La Camera approva alla quasi unanimità il seguente Ordine del giorno presentato dal Deputato Bon-Compagni nella seduta del 27: «La Camera confidando che assicurata la dignità, il decoro e l'indipendenza del Pontefice, e la piena libertà della Chiesa abbia luogo di concerto colla Francia l'applicazione a del non intervento, e che Roma Capitale acclamata dall'opinione nazionale sia congiunta all'Italia, passa all'Ordine del giorno».

26. Il Gran Duca di Toscana protesta contro la Legge che proclama Vittorio Emanuele II, Re d'Italia.

30. Lord Russell a nome del Governo Inglese annuncia all'inviato Sardo che egli lo riceve quale inviato di Vittorio Emanuele II Re d'Italia.

30. Il Duca di Modena protesta contro la legge che proclama Vittorio Emanuele Re d'Italia.

31. Promulgazione della Convenzione di delimitazione delle frontiere francesi ed Italiane, in seguito alla cessione di Savoia e di Nizza.

Aprile 2 . La Svizzera riconosce il Regno d'Italia,

8. I Principali Danubiani riconoscono il Regno d'Italia.

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10. La Duchessa Reggente di Parma protesta contro la legge che conferisce a Vittorio Emanuele II il titolo di Re d'Italia.

13. Gli Stati-Uniti d'America riconoscono il Regno d'Italia.

14. Il generale Della-Rovere è nominato Luogotenente del Re in Sicilia.

14. Il generale Garibaldi deputato presenta al Parlamento un progetto di legge per l'Armamento nazionale.

15. La Santa Sede protesta contro il titolo di Re d'Italia conferito dal Parlamento a Vittorio Emanuele.

15. Il Bey di Tunisi riconosce il Regno d'Italia.

15. L'Imperatore del Marocco riconosce il Regno d'Italia.

15. La Grecia riconosce il Regno d'Italia.

21. Legge che determina la formola degli atti del Regno d'Italia.

Maggio 1. Primo invio di truppe a Napoli per reprimere nelle provincie alcuni moti di reazione e di brigantaggio.

2. La Repubblica di Venezuela riconosce il Regno d'Italia.

5. La Festa Nazionale per la celebrazione dell'Unità Italiana è fissata per tutto il Regno alla prima domenica di giugno d'ogni anno.

5. L'amministrazione speciale delle provincie Napolitane è soppressa. La Direzione degli affari è concentrata nel Governo a Torino.

20. li Conte Ponza di S. Martino succede al Principe di Carignano nella Luogotenenza di Napoli.

22. La Repubblica dell'Uruguay riconosce il Regno d'Italia. 24. La Repubblica d'Haiti riconosce il Regno d'Italia.

28. Dispacci dei Governi d'Austria e di Spagna al Governo Francese con invito al medesimo di provocare una riunione delle Potenze 'Cattoliche affine di prendere le necessario misure nell'interesse del Papa.

29. L'Austria dichiara di non riconoscere le annessioni operate nella Penisola Italiana.

Giugno 5. La Repubblica Liberiana riconosce il Regno d'Italia.

6. Morte del Conte di Cavour, Presidente del Consiglio dei Ministri.

6. La Francia dichiara all'Austria ed alla Spagna ch'essa non crede di poter accettare la proposta di un Congresso delle Potenze Cattoliche ad essa diretta da quei Governi li 28 maggio

12. Il nuovo Ministero Italiano presieduto dal Barone Ricasoli dichiara al Parlamento che: «Il programma del nuovo Gabinetto si riassume nel continuare l'opera del Conte di Cavour».

15. La Francia riconosce il Regno d'Italia colle seguenti riserve: - En nouant des rapports officiels avec le Gouvernement Italien nous n'entendons nullement affaiblir la valeur des protestations formulées par la Cour de Rome cantre l'invasion de plusieurs Provinces des États Pontificaux. - En reconnaissant le Royaume d'Italie nous devons continuer d'occuper Rome tant que des garanties suffisantes ne couvriront par les intérêts qui nous y ont amené.

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19. 11 Parlamento decreta la fusione del Debito Pubblico d'Italia.

21. 11 Parlamento Italiano adotta la proposta del generale Garibaldi per la formazione di 220 battaglioni di Guardia Nazionale mobile.

27. il Portogallo riconosce il Regno d'Italia.

Luglio 1. Il Presidente del Consiglio Barone Ricasoli dichiara al Parlamento che il Governo di Vittorio Emanuele vuole Roma Capitale, ma di concerto col la Francia.

5. Il Paraguay riconosce il Regno d'Italia.

6La Repubblica di Costarica riconosce il Regno d'Italia.

9. Protesta del Governo Pontificio contro l'imprestito di 500 milioni votato dal Parlamento Italiano.

9. La Turchia riconosce il Regno d'Italia.

14. 11 generale Cialdini succede al Conte di S. Martino nella Luogotenenza di Napoli.

20. La Repubblica Messicana riconosce il Regno d'Italia.

31. La Svezia riconosce il Regno d'Italia.

31. La Danimarca riconosce il Regno d'Italia.

Agosto 2. L'Olanda riconosce il Regno d'Italia.

26. Il Moniteur francese smentisce formalmente la Convenzione supposta dal signor Roebuck, membro del Parlamento Inglese, a termini della quale l'Isola di Sardegna sarebbe eventualmente ceduta alla Francia.

30. Allocuzione di Pio IX. in Concistoro segreto: - «Niuno vi ha che non vegga quale segnato di calamità, di delitti e di mali d'ogni sorta siasi scatenato principalmente sull'infelice Italia dopo la grande e criminosa ribellione ivi avvenuta, giacchi per servirci delle parole del Profeta la maledizione, la menzogna, l'omicidio, il furto e l'adulterio hanno inondato il mondo e il sangue fu ricoperto dal sangue. Ma avendo Noi la Divina promessa che il nostro Signore Gesti Cristo sarà colla sua Chiesa sino alla consumazione dei secoli e che le porte dell'inferno non potrebbero prevalere contr'essa siamo sicuri che Dio non fallirà alla sua parola, e che giungerà il giorno in cui Dio mostrerà che questa terribile tempesta non fu sollevata per sommergere il vascello della Chiesa ma bensì per innalzarlo».

Settembre 5. La Nuova Granata riconosce il Regno d'Italia.

10. Lettera del Barone Ricasoli al Cardinale Antonelli con cui fa appello alla mente ed al cuore del Santo Padre perché nella sua sapienza e bontà consenta ad un accordo che lasciando intatti i diritti della nazione provvederebbe efficacemente alla dignità ed alla grandezza della Chiesa». - A questa nota va unito un progetto di Capitolato diretto ad ottenere accordo tra il Sommo Pontefice ed il Governo di S. M. il Re d'Italia.

17. Il generale spagnuolo Borgès sbarca in Calabria ed invita i Calabresi ad impugnare le armi in favore di Francesco II.

25. La Repubblica Argentina riconosce il Regno d'Italia.

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26. Dispaccio del Ministro degli affari esteri agli Agenti italiani accreditali all'Estero in cui dichiara: «che i trattati internazionali stipulati dalla Sardegna saranno i soli applicabili pel Regno d'Italia mentre quelli contratti cogli Stati annessi sono considerati come soppressi».

29. Il Boy d'Egitto riconosce il Regno d'Italia.

Ottobre 17. In una lettera di Kossuth resa pubblica in Italia l'ex-Dittatore ungherese esprime quest'opinione: «Che si possono vincere battaglie sul suolo Italiano, ma che solo sul Danubio si può avere contro l'Austria una vittoria strategica capace di condurre ad una soluzione u.

Novembre 1. La Luogotenenza Generale di Napoli è soppressa.

1. L'amministrazione separala della Toscana o cessata.

6. Il Governo del Belgio riconosce il Regno d'Italia. 8. L'Impero del Brasile riconosce il Regno d'Italia.

20. Il Barone Ricasoli, Presidente del Consiglio dei Ministri, partecipa alla Camera dei Deputati ch'egli aveva richiesta la mediazione della Francia sovra un progetto di Capitolato colla Santa Sedo, ma che le disposizioni poco concilianti della Corte di Roma resero vana questa mediazione.

21 I giornali di Torino pubblicano la corrispondenza intorno alle ultime proposte del Gabinetto di Torino alla Santa Sede, ed il progetto di Capitolato che vi si riferisco.

26. In seguitò al rifiuto del Governo Spagnuolo di consegnare alla Legazione Italiana gli Archivi della Legazione Napolitana l'invialo del Re d'Italia chiede i suoi passaporti e lascia Madrid.

Dicembre 7. Il generale spagnuolo Borgès comandante l'insurrezione borbonica è preso dopo una lotta accanita dal maggiore dei Bersaglieri, Franchini, condotto a Tagliacozzo ed ivi fucilato.

Gennaio 11 . Dispaccio del signor Thouvenel all'ambasciatore francese presso la Santa Sede: «Tout ce que nous avons a rechercher maintenant c'est si nous devons nourrir on abandonner l'espérance de voir le Saint-Siège se prêter (en tenant compte des faits accomplis) a l'étude d'une combinaison qui assurerait au Souverain-Pontife les conditions permanentes de dignité, de sécurité et d'indépendance nécessaires a l'exercice de son pouvoir. Gel ordre d'idées admis nous emploierions nos efforts les plus sincères et les plus énergiques a faire accepter a Turin le pian do conciliation dont nous aurions pose les bases avec le Gouvernement du Saint-Siège».

12. Inaugurazione a Torino del Tiro della Società Nazionale Italiana presieduta dal Principe ereditario.

18. Dispaccio del signor De La Vallette, ambasciatore francese a Roma al Ministro degli affari esteri di Francia, in cui espone che dopo la lettura del dispaccio francese dell'11 il cardinale Antonelli rispose: «Quant'a pactiser avec les spoliateurs nous ne le ferons jamais» . Il signor De La Vallette finisce nei termini seguenti:

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1862, ANNO SECONDO DEL REGNO D'ITALIA.

«Vous me posez la question si on devait nourrir on abandonner l'espérance d'une conciliation. C'est avec un profond regret que je me vois obligé de répondre négativement; mais je croirais manquer a mon devoir en vous laissant une espérance qne je n'ai pas moi même».

27. Discorso dell'Imperatore dei Francesi al Corpo legislativo: «J'ai reconnu le Royaume d'Italie avec la ferme intention de contribuer par des conseils sympathiques et désintéressés, a concilier deux causes dont l'antagonisme trouble partout les esprits et les consciences».

Febbraio 1 . La Luogotenenza della Sicilia è soppressa.

Marzo 8. Il Commendatore Rattazzi espone alle Camere il programma del nuovo ministero da lui presieduto.

9. Riunione a Genova dei Comitati di Provvedimento, sotto la presidenza del generale Garibaldi. Si volano statuii affinché tutte le Associazioni della Democrazia italiana siano riunite in una sola, che prenderà il titolo di Società Emancipatrice Italiana.

22. Convenzione di buon vicinato ti a il Regno d'Italia e la Repubblica di S. Marino.

25. Allocuzione pronunciata da Pio IX in occasione della canonizzazione dei Martiri del Giappone:- «La Santa Sede non sostiene come un dogma di Tede il potere temporale, ma che questo potere è necessario ed indispensabile finché durerà l'ordine stabilito dalla Provvidenza, per mantenere l'indipendenza del Potere spirituale».

27. Scioglimento del Corpo dei Volontari Italiani ed incorporazione parziale dei loro ufficiali nell'armata regolare.

Aprile 2. Lord Russel all'inviato Inglese a Parigi. «Il Governo francese non deve rimproverare al Governo italiano che le Provincie meridionali non sieno tranquille, mentre la bandiera francese protegge il Papa mantenendo un santuario nel quale ogni capo brigante può trovare un rifugio e preparare le sue bande per nuove incursioni nelle pacifiche provincie».

7. La Repubblica del Perù riconosce il Regno d'Italia.

28. 11 Re Vittorio Emanuele arriva a Napoli scortato nel suo viaggio dalla Squadra francese, da due vascelli inglesi e da tre vascelli italiani.

Maggio 14. Hanno luogo molti arresti, e specialmente a Sarnico di volontari che si preparavano ad invadere il Tirolo, condotti dal colonnello Nullo. Un tentativo fatto per liberare i prigionieri obbliga la truppa a far uso delle armi.

20. Lettera dell'Imperatore Napoleone al signor Thouvenel (V. infra sotto la data del 25 settembre);

28. Un Decreto dell'Imperatore francese riduce il Corpo d'occupazione di Roma ad una divisione composta di tre brigate, sotto il comando del generale Montebello.

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30. Il ministro francese Thouvenel dirige a Roma nuove proposte di accomodamento sulla base del mantenimento dello slatti qua e della rinunzia per parte dell'Italia alle sue pretese su Roma.

31. Dispaccio del signor Thouvenel all'ambasciatore di Francia a Roma (V. alla data del 25 settembre).

Giugno 9. Allocuzione di Pio IX con cui «deplora l'oppressione della Chiesa d'Italia, e la proibizione ai Vescovi di venire a Roma. Esorta lutti i Prelati a raddoppiare di zelo per combattere lutti gli errori». - Un Indirizzo presentato al Santo Padre da 25 Cardinali e 244 Vescovi dichiara «il Potere temporale necessario all'indipendenza del Papa, ed anima Pio IX alla fermezza ed alla resistenza».

18. Il Parlamento d'Italia vota alla quasi unanimità una protesta contro l'indirizzo dei Vescovi al Papa.

24. Il Cardinale Antonelli rifiuta in nome del Papa le ultime proposte di accomodamento presentate dalla Francia.

24. Dispaccio del signor Lavallette al signor Thouvenel (V. alla data del 25 settembre).

Luglio 8. La Russia riconosce il Regno d'Italia.

13. I giornali di Torino pubblicano quattro documenti diplomatici

inglesi sugli inconvenienti ed i pericoli del prolungamento dell'occupazione francese a Roma.

20. Il ministro degli affari esteri del Regno italiano, generale Durando, in un discorso pronunciato alla Camera dei Deputati, rivolgendosi ai membri del. l'estrema sinistra, proferiva queste parole:

«Siate pazienti, persistenti come foste prodi ed uniti, ed oso promettervi che in un tempo non molto lontano voi sarete a Roma».

21. La Prussia riconosce il Regno d'Italia.

26. Il Conte di Rechberg, Ministro degli Esteri a Vienna, in un dispaccio diretto dall'inviato Austriaco a Berlino così si esprime: «S. M. mi ordina di fare in modo che il Re di Prussia sappia quanto sia sincero il desiderio dell'Imperatore che la Prussia non abbia mai a pentirsi della risoluzione che ha e presa di riconoscere il trionfo della rivoluzione più violenta e della violazione più flagrante del diritto e dei trattati. Le pretese guarentigie formali che la Prussia ha avute dal Gabinetto di Torino non hanno nemmeno il valore del foglio di carta sul quale sono scritte».

31. Il Conte di Bernstorff, Ministro degli affari Esteri, risponde al Conte di Rechberg: «Dalla accoglienza ricevuta dalla nostra amichevole comunicazione acquistiamo l'esperienza istruttiva che in avvenire saremo dispensati da ogni simile riguardo per gl'Interessi Austriaci».

Agosto 3. Garibaldi avendo fatto un appello ai suoi antichi compagni d'armi ed alla gioventù italiana per una ignota spedizione, il Re loro indirizza queste parole: «Guardatevi da colpevoli impazienze, da imprudenti agitazioni. Quando sarà suonata l'ora del compimento della grand'opera nazionale la voce del vostro Re si farà sentire fra voi.

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Tutt'altro appello che il suo è un appello e alla rivolta ed alla guerra civile. La risponsabilità ed il rigore delle leggi cadranno su coloro che non ascolteranno queste parole, Re acclamato dalla Nazione io conosco i miei doveri e saprò conservare intatta la dignità della Corona e del Parlamento per aver il diritto di domandare all'Europa un'intiera giustizia per l'Italia.

18. Il principe Gortschakoff nel partecipare ai Rappresentanti della Russia il riconoscimento del Regno d'Italia, soggiunge: «L'Empereur n'entend par cette reconnaissance ni soulever ni résoudrc aucune question de droit» .

19. Garibaldi entra a Catania, accompagnato da dodici ufficiali.

20. Dissoluzione per Decreto governativo della Società Emancipatrice Italiana.

24. Proclama di Garibaldi agl'Italiani da Calania; «Italiani! se ho fatto qualche cosa per la patria, credete alle mie parole, lo son risoluto ad entrare in Roma vincitore od a cadere sotto le sue mura. Ma in questo caso ho fede e che voi vendicherete degnamente la mia morte e che voi compirete la mia opera. Viva l'Italia, Viva Vittorio Emanuele al Campidoglio» .

25. Garibaldi sbarca a Mileto, sulla costa meridionale della Calabria.

26. Le Provincie napolitane sono poste in istato d'assedio. Il generale Alfonso La Marmora nominalo Commissario straordinario con poteri illimitati.

26. Il Moniteur francese pubblica la seguente nota: «On se demande du puis quelques jours quelle sera l'attitude du Gouvernement franc, ais en présence des agitations de l'Italie. Devant d'insolentes menaces, devant les conséquences possibles d'une insurrection démagogique le devoir du Gouvernement francais et son honneur militaire le forcont plus que jamais à défendre le Saint-Père. Le monde doit bien savoir que la France n'abandonne pas i dans le danger ceux sur les quels s'étend sa protection».

29. Garibaldi, rinunciando a marciare su Reggio, si ritira ad Aspromonte, una delle più forti posizioni degli Appennini. Ivi è attaccato dalle truppe reali, sotto il comando del colonnello Pallavicini; riceve due ferite, è fatto prigioniero e condotto alla Spezia sulla fregata italiana Duca di Genova.

Settembre 10. Il Ministro degli affari Esteri, generale Durando, in una Circolare indirizzata agli Agenti diplomatici d'Italia, prendendo argomento dagli ultimi fatti di Garibaldi esprime il pensiero che le Nazioni cattoliche. la Francia sovratutto, che ha costantemente lavorato alla difesa degl'interessi della Chiesa nel mondo, riconosceranno il pericolo di mantenere più a lungo tra il Papato e l'Italia un antagonismo di cui la sola causa risiede nel Potere temporale.

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Un tale stato di cose non è più comportabile, e finirebbe per avere conseguenze estreme pel Governo del Re; conseguenze la cui responsabilità non dovrebbe pesare sopra noi soli e che comprometterebbero gravemente gl'interessi religiosi della cattolicità e la tranquillità dell'Europa».

24. La Persia riconosce il Regno d'Italia.

25. Il Moniteur francese pubblica: 1° Una lettera di Napoleone III del 20 maggio al suo ministro degli affari esteri Thouvenel, in cui definisce la politica dell'Imperatore riguardo all'Italia nei seguenti termini: «Seconder les aspirations nationales, engager le Pape à en devenir le soutien plutót que l'adversaire; en un mot, consacrar l'alliance de la rcligion et de la liberté». 2° Un dispaccio del signor Thouvenel al signor De La Vallette inviato di Francia a Roma, in data 30 maggio, nel quale dopo aver accennate le proposizioni da farsi alla Corte di Roma, soggiunge: «Vous aure, pourtant à laisser presentir si l'on vous oppose aussi catégoriquement que par le passe la théorie de l'immobilité: que lo Gouvernement de l'Empereur ne saurait y conformer sa conduite et ques'il acquerrait malheureusement la certitude que ses efforts fussent devenus désormais inutiles il lui faudrait, tout en sauvegardant autant u que possible les intérêts qu'il a jusqu'ici couverts de sa sollicitude, aviser à sortir lui même d'une situation qui en se prolongeant au delà d'un certain terme fausserait sa politique et no servirai! qu'à jeter les esprit dans un plus grand désordre»: 3° Dispaccio del signor De La Valletto, in data 24 giugno, ove l'Ambasciatore francese indica nei seguenti termini il risultato delle sue negoziazioni con la Corte di Roma: «Lorsque la France il va six mois à peine a invite le Saint-Père a s'entendre avec elle en principe et sans en fixer les «bases sur une transaction destinée à assurer son indépendance, ses ouvertures ont été repoussées par une fin de non recevoir absolue. Sa sollicitude ne s'est point lassée. Le Gouvernement de l'Empereùr vient de formuler et de soumettre au Saint-Siège les propositions les plus explicites. Chargè de les transmettre, je constate avec le même regret qu'elles ont en le même sort».

27. Celebrazione n Torino del matrimonio della Principessa Maria Pia, figlia di Vittorio Emanuele Re d'Italia, col Re di Portogallo, rappresentato da! Principe di Carignano.

29. Grande meeting a Londra in onore di Garibaldi. Succede un conflitto tra Irlandesi e partigiani garibaldini. La polizia ed una fitta pioggia disperdono i combattenti.

Ottobre 5. Amnistia accordata a Garibaldi ed ai suoi compagni d'armi per gli atti di ribellione commessi in agosto nelle Provincie meridionali. Sono eccettuati i militari di terra o di mare dell'esercito regolare.

8. Dispaccio del Ministro degli affari esteri, Durando, all'inviato d'Italia a Parigi, in cui si ritorna sulla necessità di una soluzione circa la questione di Roma: «Nous nous adressons donc a l'Empereur pour savoir s'il

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ne croit pas le moment arrivé de rappeller ses troupes de Rome et de chercher une nouvelle combinaison de nature a changer une situation si pleine de perils pour l'Italie. Le Gonvernement Italien est prèt a examiner les propositions qu'on lui ferait dans le but de garantir l'indépendance du Saint-Siége des quel'occupation étrangère aurait cessé».

8. La Serbia riconosce il Regno d'Italia.

18. Il signor Drauyn De Lhuys, succeduto il 15 al signor Thouvenel nel Ministero degli affari esteri di Francia, scrive ai suoi Agenti diplomatici: «Invariablemeut fidèle aux principes qui l'ont jusqu'ici guide, le Gouvernement français continuera de consacrer touts ses efforts a l'œuvre de conciliation qu'il a entreprise en Italie en y travaillant avec tout le sentiment de la difficulté de la grandeur de la tâche, sans découragement comme sans impatience».

23. Le Isole di Sandwich riconoscono il Regno d'Italia.

26. Dispaccio del signor Drouyn De Lhuys all'inviato di Francia a Torino. Dopo aver rammentato che nella sua Circolare del 10 settembre il generale Durando, Ministro degli affari esteri, appropriandosi il programma di Garibaldi, ba affermato il diritto dell'Italia su Roma, dichiara: «Qu'en présence de cette affirmation solennelle et de celle revendication péremptoire toute discussion lui parait inutile et toute tentative de transaction illusoire».

Dicembre 8. Nuovo Ministero del Regno d'Italia sotto la presidenza Farini.

11. Programma comunicalo al Parlamento: «Irremovibili nella fiducia clic i si compierà l'unità nazionale, noi crediamo rispondere ad un sentimento di comune dignità astenendoci da promesse alle quali non succedono pronti risultati, e noi troviamo nella nostra confidenza stessa il diritto di dichiarare all'Italia ch'essa deve attendere il compimento della sua unità dal seguito degli avvenimenti e dalle occasioni preparate ed attese senza illusioni e senza scoraggiamento».

20. Circolare del nuovo Ministero Italiano ai suoi Agenti all'estero. «Nata dall'alleanza della Monarchia colla libertà, l'unità italiana resterà fedele alla sua origine. Essa manterrà sempre quel carattere liberale e conservatore che gli procurò così vive simpatie per lo passato, e che gli procurerà all'avvenire la sua parte legittima d'influenza».

20. Garibaldi ritorna a Caprera dopo l'estrazione fatta a Pisa della palla ricevuta in un piede ad Aspromonte.

20. Drouyn De Lhuys scrive all'ambasciata di Francia a Roma essere informato che lord Russe) ha proposto al Pupa di ritirarsi a Malta e soggiunse: «Essere nostra speranza che se il Papa fosse costretto ad abbandonare l'Italia S. S. ci accorderebbe la preferenza sull'Inghilterra.

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1863, ANNO TERZO DEL REGNO D'ITALIA.

Gennaio 1. Il Ministro dell'Interno del Regno d'Italia invita i Municipii ed i privati ad una sottoscrizione in favore delle vittime del brigantaggio.

12. Il Nunzio apostolico presso la Corte di Parigi annunzia al Governo Francese essere affidato ad una Commissione lo studio delle Riforme da operarsi nei diversi rami di servizio.

25. Il Governo Pontificio vieta di far uso della bandiera tricolore ai legni italiani che approdano ai porti di Civitavecchia, Terracina e Porto d'Anzio.

31. Il Papa declina l'offerta di Odo Russel di un rifugio a Malta.

Febbraio 25. È inaugurala la strada ferrata tra Roma e Napoli.

Marzo 5. Decreto del Ministro di Grazia e Giustizia del Regno Italiano, che rende uniforme in tutto il Rogno il modo di sottoporre al Regio Exequatur le provvisioni ecclesiastiche. Protestano contro tale Decreto i Vescovi Italiani.

15. Il Governo Italiano, per mezzo del suo Ministro a Berna, chiama l'attenzione della Confederazione-Elvetica sulle mene del partito d'azione nel Cantone Ticino, e manda un battaglione di bersaglieri sulle frontiere della Valtellina.

Aprile 9. Il Re d'Italia, Vittorio Emanuele, è accolto a Firenze con grande entusiasmo.

16. Un dono nazionale viene assegnato per legge al cavaliere Luigi Farini.

23. li Governo Italiano indirizza una Nota alla Russia relativa agli affari della

Polonia.

Maggio 2. Muore a Malta Roggero Settimo Presidente del Senato del Regno Italiano.

11. Riunione a Parigi di una Commissione internazionale incaricata di studiare il mezzo di rendere uniformi e più semplici le relazioni fra i diversi Stati. Vi è rappresentata anche l'Italia.

17. Inaugurazione della strada ferrata da Ancona a Pescara. 20. Il Gran Duca di Baden riconosce il Regno d'Italia.

25. Il Parlamento Italiano inaugura la Sessione del 1863. Discorso della Corona: «Voi affermaste i diritti della Nazione alla completa sua unità. Questi diritti saprò mantenerli inviolati. -Il mio più fervido volo è che la Nazione possa affidarsi secura sulle proprie armi. Raccomando alle cure del Parlamento il riordinamento delle finanze; consolidare la libertà, e colla libertà acquistare la intiera indipendenza, tale è l'intento al quale abbiamo consacrata la nostra «vita».

Giugno 1. S'inaugurano a Chivasso i lavori del grande Canale-Cavour.

20. Feste secolari del Concilio di Trento.

21. Si apre a Torino il primo Tiro Nazionale Italiano.

Luglio 9. Il signor Visconti-Venosta, Ministro degli all'ari Esteri del Regno d'Italia al Ministro plenipotenziario d'Italia a Parigi: «Malgré des événements e regrettables qui ne sont après tout que des épisodes fugitifs dans le vie d'une grande Nation, l'Italie n'a pas cesse de marcher dans la voie que le Comte Cavour lui avait tracée. Aujourd'hui encore comme alors elle proclame la formule l' Église libre dans l'État libre et tout en maintenant sa déclaration fondamentale relativement a Rome elle se borne a demander que le principe de non intervention soit aussi applique au territoire Romain.

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22. Il Regno d'Italia inaugura relazioni colle isole Avaiane (Oceania).

Agosto 6. Sir James Hudson cessa dalle sue funzioni di Ministro plenipotenziario dell'Inghilterra presso la Corte di Torino.

12. La Repubblica di Bolivia riconosce il Regno d'Italia.

15. È promulgata la legge portante alcuni provvedimenti per reprimere il brigantaggio nelle Provincie meridionali.

Settembre 7. La Questura di Napoli arresta il Console Pontificio che viene espulso da Napoli.

12. La Sede ritira l'Exequatur al Console Italiano.

20. Il Governo Italiano revoca l'Exequatur ai Consoli Pontificii.

22. Ordine del giorno del Generale Montebello al Corpo d'occupazione francese a Roma. Il generale lamenta con parole energiche come il gendarme pontificio, colpevole di aver tirato due colpi di fucile su militari italiani inoffensivi, sia stato sottratto dalle Autorità pontificie ad un Consiglio di guerra francese.

Ottobre 18. Le città Anseatiche riconoscono il Regno d'Italia.

Novembre 4. Lettera dell'Imperatore ai Sovrani d'Europa nella quale li invita ad un Congresso «J'ai a cœur de prouver par cette démarche franche et loyale que mon unique but est d'arriver sans secousse a la pacification de l'Europe; si cette proposition est accueillie je prie V. M. d'accepter Paria comma lieu de réunioN°.

5. L'Imperatore Napoleone annunziando al Corpo Legislativo di Francia la proposta del Congresso dichiara che i Trattati del 1815 cessarono di esistere.

9. Vittorio Emanuele II inaugura la strada ferrala da Pescara a Foggia.

47. Il Re d'Italia parte da Napoli dopo aver proclamata l'amnistia poi reati politici ed altri nelle Provincie meridionali.

20. Pio IX accetta il Congresso proposto da Napoleone III. 22. Il Re d'Italia accetta il Congresso.

Dicembre 23. Il Governo Italiano dichiara che non concederà l'Exequatur alle nomine dei Vescovi fatte recentemente dal Papa nel Regno d'Italia.

21. Il Ministro degli affari Esteri Visconti-Venosta all'inviato Italiano a Parigi. «Noi non esitiamo ad accettare la nuova proposta del Congresso ristretto. «Da molti anni l'Austria occupa la Venezia, ma l'opera del tempo fu impotente a dare una consacrazione morale a questa grande ingiustizia. Forse «verrà il giorno in cui i popoli della monarchia austriaca comprenderanno «che essi sarebbero i primi a trarre profitto dall'equilibrio che risulterebbe «da una pacifica soluzione della questione Veneta. In quanto a Roma non è temerità l'affermare che non è la continuazione indefinita d'un intervento straniero che possa condurre alla desiderata conciliazione tra il Papato e l'Italia».

26. Rissa fra i soldati pontificii e francesi ad Albano. Un capitano ed alcuni soldati francesi rimangono feriti, parecchi dei pontificii uccisi.

1864, ANNO QUARTO DEL REGNO D'ITALIA.

Gennaio 18. Pio IX risponde ad una Deputazione di 300 cattolici: «Voler la€ sciare intatto a' suoi successori il Patrimonio di S. Pietro. Non accetterà alcun trattato contrario a questo scopo; riporrà la fiducia non nella l'orza delle «armi, ma nei voleri della Provvidenza».

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20. Il Chili riconosce il Regno d'Italia.

20. Morte dell'insigne astronomo Senatore Plana.

23. Il Corpo Legislativo di Francia respinge con 218 voti contro 12 un emendamento chiedente l'evacuazione delle truppe francesi da Roma.

Febbraio 21. Festa del Centenario di Galileo.

Marzo 30. La Corte d'Assise della Senna condanna Mazzini alla deportazione come complico dell'attentato contro la vita dell'Imperatore.

Aprile 8. Il Marchese Pepoli è ricevuto in udienza dall'Imperatore Napoleone.

9. II Senato francese, vota senza discussione la questione pregiudiziale sulla petizione relativa alla situazione dell'Italia meridionale.

11. Garibaldi giunge a Londra accolto da immensa moltitudine. Le case sono ornate di bandiere. Riceve la visita di Russell, Clarendon, Gladstone, Wellington, ed altre sommità inglesi. Lord Palmerston lo invita ad un banchetto.

23. Garibaldi riceve la visita del Principe di Galles.

28. Seguendo il consiglio dei medici, Garibaldi rinuncia a prolungare il suo soggiorno in Inghilterra, e parte per Caprera.

Maggio 1. Il Moniteur francese pubblica una corrispondenza di Firenze, la quale dice: i che gli ultimi fatti avvenuti in Inghilterra relativamente a Garibaldi non possono essere di alcuna utilità né all'Italia, né al suo Governo. «Ogni illusione sopra Garibaldi non è più possibile dopo il suo discorso od il e suo ravvicinamento a Mazzini».

17. Il Cav. Visconti-Venosta al Cav. Nigra Ministro d'Italia a Parigi: «Nous sommes disposes à donner au Saint-Siège les garanties nécessaire pour qu'il puisse devenir avec l'aide du temps et des circonstances plus accessible H à ces idées de conciliation aux quelles nous n'avons jamais cesse de faire appel. Ces garanties doivent consister dans l'engagement que le Gouvernement du Roi est dispose a prendre de ne pas attaquer et de ne pas laisser attaquer le territoire Romain par des forces régulières ou irrégulières, et de entrer en arrangement pour prendre à sa charge la part proportionnelle de la dette des anciens États de l'Église afférente aux provinces annexées an Royaume d'Italie ».

Luglio 9. La Camera dei Deputati approva la Legge che sottopone tutti i Chierici alla leva militare.

Agosto 10. Dal giornale francese La Patrie: i II Marchese Pepoli lasciò ieri e sera Parigi dopo un'udienza dell'Imperatore ed un lungo colloquio col Vinistro degli affari esteri. Egli ritorna a Torino con dispacci della più grande e importanza».

21. Inaugurazione a Pesare del monumento a Rossini.

28. L'Imperatore del Messico riconosce il Regno d'Italia.

Settembre 12. Il sig. Drouyn de Lhuys Ministro degli affari esteri di Francia al sig. Sartiges Ministro francese a Roma: «Combien de raison n'avons nous pas pour désirer que l'occupation de Rome ne se prolonge indéfiniment? Elle constitue un acte d'intervention contraire au principe fondamental de notre droit public. De son côte le Gouvernement Italien en renonçant à rechercher par dos moyens violenta la réalisation d'un projet auquel nous étions décidés de nous opposer et no pouvant conserver a Turin le siège d'une autorité dont la présence serait nécessaire sur un point plus centrai du nouvel État, a manifeste l'intention de transférer la Capitale dans une autre ville».

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15. Il Cav. Nigra Ministro a Parigi annunzia al Ministro degli affari esteri del Regno d'Italia Cav. Venosta, che la Convenzione di cui infra è stata firmata lo stesso giorno tra i Plenipotenziari Italiani e quelli di Francia.

«Art. 1. L'Italie s'engage à ne pas attaquer le territoire actuel du Saint Père, et à empêcher même par la force tonte attaque venant de l'extérieur contre le dit territoire.

«Art. 8. La France retirera ses troupes des États pontificaux graduellement et à mesure que l'armée du Saint-Père sera organisé. L'évacuation devra néanmoins être accomplie dans le délai de deux ans».

15. Protocole. « La Convention n'aura de valeur exécutoire que lorsque le k Roi d'Italie aura décrété la translation de la Capitale dans l'endroit qui sera ultérieurement déterminé par S. M. ».

19. Relazione presentata al Re dal Ministero Minghetti per l'approvazione della Convenzione 15 settembre e del trasferimento della Capitale a Firenze per motivi d'ordinamento generale di difesa dello Stato. Proposta di convocazione del Parlamento pel giorno 5 ottobre.

21 e 22. Agitazione prodotta in Torino all'annunzio della Convenzione del i5 settembre. Fatti luttuosi sulle piazze Castello e San Carlo con spargimento di sangue cittadino.

23. Dimissione del Ministero Minghetti. Il Re incarica il Generale Alfonso Della Marmora della formazione d'un nuovo Ministero.

23. Il sig. Drouyn de Lhuys al Ministro francese a Torino nell'annunziare la Convenzione del 15 settembre termina dicendo: « Que la France garde l'espoir que la Cour de Rome saura apprécier tont ce qui a été fait dans son intérêt et qu'en tout cas la loyale et sincère exécution de la Convention est assurée par la signature de la France».

23. Dal giornale La France: «Nel trasporto della Capitale a Firenze si trova implicata altra cosa che la questione di Roma. Le preoccupazioni ed i timori e dell'Italia provengono dall'attitudine dell'Austria, la quale potrebbe sciogliere tutte le complicazioni abdicando ogni progetto ambizioso contro l'Italia, e regolando pacificamente la questione Venata, che è una minaccia permanente per l'Europa».

27. Programma del Ministero Lamarmora: «Esso accetta la Convenzione stipulata col Governo Francese in un col trasporto della Capitale in altra sede. Sottoporrà al Parlamento il relativo progetto di legge. Confida in quella concordia di voleri, in quella fede inalterata nella Corona, che furono le principali forze nei gloriosi avvenimenti che si sono compiuti dal 1859 in e poi, e debbono essere l'arra più sicura del pieno compimento dei destini della Nazione».

Ottobre 3. Dichiarazione tra la Francia e l'Italia: «Le délai de six mois pur la translation de la Capitale de l'Italie commence ainsi que le délai de deux ans pour l'évacuation du territoire pontifical de la date du Décret Royal sanctionnant la loi qui va être présentée au Parlement Italien.

24. Progetto di legge presentato alla Camera dei Deputati dal Ministro dell'Interno pel trasferimento della Capitale a Firenze.

30. Il signor Drouyn de Lhuys al Ministro di Francia a Torino. Accenna nel suo dispaccio al modo di conciliare colle intenzioni della Francia il senso dato dalla Legazione Italiana alla Convenzione del 15 settembre.

- 212 -

30. Il Cav. Nigra rende conto al Generale Della Marmora delle spiegazioni avute col signor Drouyn de Lhuys intorno al vero senso del suo dispaccio del 15 settembre.

Novembre 2. Il signor Drouyn de Lhuys al Ministro di Francia a Torino: «Le meilleur moyen de faire cesser définitivement tonte divergence sur le sens de la Convention était d'échanger en présence de l'Empereur de nouveaux éclaircissements. Ce qui a été fait ce même jour; nous sommes trouvés «d'accord sur chacun des points et nous l'avons constate dans une dépêche e télégraphique que M. le Ministre d'Italie a sur le champ adressé à sa Cour».

3. Relazione fatta alla Camera dei Deputati dalla Commissione sul progetto di legge pel trasferimento della Capitale. Mosca relatore.

7. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Generale Della Marmora al Mininistro d'Italia a Parigi: «Les Ministres du Roi ont la volonté et ils savent qu'ils ont la force d'exécuter le traite scrupuleusement et dans son intégrité; cet acte se fondant sur le principe de non intervention, principe fondamental de la politique des deux Gouvernements. Nous repoussons jusqu'à la pensée de ces voies souterraines dont j'ai vu non sans peine faire mention dans la dépêche du Ministre français. L'Italie a une foi entière dans l'action de la civilisation et du progrès. Le Ministre impérial réserve à la France sa liberté d'action dans le cas où une révolution éclaterait spontanément à Rome et renverserait le pouvoir temporel du Pape; l'Italie de son cotè fait, comme de raison, la même réserve». 19. La Camera dei Deputati approva il progetto di Legge pel trasferimento della Capitale a Firenze con 317 voti contro 70.

26. Relazione dell'ufficio centrale del Senato Italiano sul progetto di Legge pel trasferimento della Capitale a Firenze. Relatore Imbriani.

Dicembre 8. Enciclica di Pio IX che condanna i moderni errori nella religione e nella filosofia, ed accorda un Giubileo.

9. Il Senato Italiano approva la Legge pel trasferimento della Capitale con 139 voti contro 47.

11. Decreto del Re Vittorio Emanuele che manda promulgare la Legge del trasferimento della Capitale.

11. Decreto Reale portante ratifica dalla Convenzione I talo-francese del 15 settembre 1864.

- 213 -

I SENATORI ED I DEPUTATI DEL REGNO D'ITALIA

Considerando noi che a suo tempo potrà riuscire utilissimo il conoscere i Nomi e Cognomi de' Senatori e de' Deputati che compongono il primo Parlamento Italiano, ne pubblichiamo qui sotto il Catalogo officiale.

PRESIDENZE DEL SENATO DEL REGNO

SESSIONE 1861-1862.

Presidente Buggero Settimo Ecc.. dei Principi di Fitelia.

Vice-Presidente. Sclopis di Salerano Ecc. conte Federico.

Id. Vacca comm. Giuseppe.

Id. Marzucchi cav. Celso.

Id. Pallavicino-Trivulzio Ecc. marchese Giorgio.

Segretario D'Afflitto di Montefalcone marchese Rodolfo.

Id. Arnulfo comm. Giuseppe.

Id. (librario Ecc. conte Luigi.

Id. D'Adda marchese Carlo.

Questore Nomis di Pollone conte Antonio.

Id. Serra marchese Orso.

SESSIONE 1863-1864.

Presidente Sclopis di Salerano Ecc. conte Federico, surrogato da

Id. Manno Ecc. barone Giuseppe.

Vice-Presidente. Pasolini conte Giuseppe, surrogato da

Id. Cadorna comm. Carlo.

Id. Ferrigni comm. Giuseppe.

Id. Midolli marchese Cosimo.

Id. Arese conte Francesco.

Segretario Arnulfo comm. Giuseppe.

Id. Cibrario Ecc. conte Luigi.

Id. San Vitale conte Luigi.

Id. Belli-Ili barone Gennaro, surrogato da

Id. Scialoja comm. Antonio.

Questore Pollone (Nomis di) conte Antonio, surrogato da

Id. Cambray Digny conte Guglielmo.

Id. Serra marchese Orso.

- 214 -

ELENCO DEI SENATORI

NB. I nomi dei Senatori deceduti durante la legislatura sono stampati in carattere corsivo. - Quelli segnati con asterisco non prestarono giuramento.

COGNOME, NOME E TITOLI RESIDENZA ABITUALE

S A R Umberto di Savoia principe ereditario

S A R IL PRINCIPE EUGENIO DI SAVOIA

Àcquaviva Luigi duca d'Atri Napoli

Alfieri di Sostegno Eco marchese Cesare Torino

Amari conte Michele

Amari commendatore professore Michele Firenze

Ambrosetti signor Giovanni Antonio Torino

Antonacci signor Giuseppe Troni (Terra di Bari)

Araldi-Erizzo marchese Pietro Cremona

Arese conte Francesco Torino

Arnulfo commendatore Giuseppe Biella

Arrivabene conte Giovanni Bruxelles

Audiffredi cavaliere Giovanni Cuneo

Avossa commendatore Giovanni Napoli

Balbi-Piovera marchese Giacomo Alessandria

Balbi-Senarega marchese Francesco Genova

Baracco barone Alfonso Napoli

Bartolomei marchese Ferdinando

É Firenze

Bellelli barone Gennaro

BelgiotOBo (Barbiano di) conto Luigi Milano

Benintendi conte Livio4 Torino

Beretta commendatore Antonie Milano

Bevilacqua marchese Carlo Bologna

Biscaretti conte Carlo Torino

Bolmida barone Vincenzo Torino

Bona commendatore Bartolomeo Torino

Bonelli marchese Raffaele Barletta

Borghesi-Bichi conte Scipione Siena

Borromeo conte Vitaliano Milano

Breme (Arborio Gattinaro di) marchese Ferdinando Torino

Brignole-Sale cavaliere marchese Atttotiio

Bufalini Maurizio Firenze

Buoncompagni Ludovisi principe di Piombino Di Antonio Parigi

- 215 -

Caccia conte Francesco

Cadorna commendatore Carlo Torino

Cagnone commendatore Carlo

Galabiana (Nazari di) monsignor Luigi Vescovo di Casale

Gali commendatore Pietro Palermo

Cambray-Digny conte Guglielmo Firenze

Camozzi-Vertova nobile Giovanni Battista Bergamo

Cantù commendatore Giovanni Lorenzo Torino

Capocci cavaliere professore Ernesto

Capone signor Giuseppe Napoli

Capponi Ecc marchese Gino Firenze

Capriolo commendatore Vincenzo Torino

Carbonieri cavaliere Francesco Modena

Carradori conte Antonio Recanati

Casati conto Gabrio Milano

Castagneto (Trabocco di) conta Cesare Torino

Castelli Ecc commendatore Edoardo Casale

Castelli commendatore Michelangelo Torino

Catalano Gonzaga Pasquale duca di Girella Napoli

Cataldi cavaliere Giuseppe Genova

Caveri commendatore Antonio Genova

Centofanti commandatore Silvestro

Ceppi conte Lorenzo Torino

Chiesi commendore Luigi Torino

Chigi cavaliere Girlo Corradino Siena

Cibrario Ecc coste Luici Torino

Coccapani Imperiale marchese Ercole

Collegno (Provana di) Ecc cavaliere Luigi

Colla Ecc commendatore Federico Torino

Colobiano (Avogadro di) Ecc conte Filiberto Torino

Colonna cavaliere Andrea dei principi di Stigliano Napoli

Colonna cavaliere Gioachino dei principi di Stiglia Napoli

Condii De Prosperi avvocato Francesco Lesa

Coppi cavaliere Tito

Coppola battone Giacomo Napoli

Correale di Terranova conte Francesco Maria Napoli

Corsi di ttoeoBetiO conte Carlo Torino

Cotta commendatore Giuseppe Torino

Dabormida commendatore Giuseppe Torino

D'Adda nobile Cerio Milano

D'Afflitto di Montefalcione marchese Rodolfo

Dalla Valle marchese Rolando Giuseppe

D'Angennes cavaliere monsignore Alessandro

De Cardenas conte Lorenzo

De Castillia signor Gaetano Milano

De Concili signor Lorenzo Altavilla

De Ferrari ecc. co mmendatore Domenico Torino

- 216 -

De Ferrari marchese Raffaele duca di Galliera Parigi

De Foresta Ecc commendatore Giovanni Bologna,

De Ga8paris cavaliere professore Annibale Napoli

De Gori Pannilini conte Augusto Siena

De Gregorio marchese Littarìo Firenze

Del Giudice barone Eugenio Napoli

Della Bruca barone Guglielmo Catania

Della Gherardesca conte Ugolino Firenze

Della Mormora cavaliere Alberto

Della Boverem marchese Alessandro

D'Azeglio Tapparelli Ecc cavaliere Massimo • Torino

D'Azeglio (Tapparelli) marchese Roberto

Della Verdura duca Giulio Benso Napoli

De Monte cavaliere Vincenzo Napoli

Des Ambrois Ecc commendatore Luigi Torino

De Saucet cavaliere Roberto Napoli

D Campello conte Pompeo

Di Giacomo monsignor Gennaro Vesc di Piedimonte

Di Neutro marchese Orazio Genova

Di Riso marchese Tancredi Catanzaro

Di San Giuliano marchese Benedetto Catania

Doria marchese Giorcio Genova

Draconetti marchese Luigi Napoli

Duchoqué commendatore Augusto Torino

Durando commendatore Giacomo Torino

Durando Eco commendatore Giovanni Milano

Elena commendatore Domenico Novara

*Falqui-Pes barone Bernardo

*Fanti Ecc commendatore Manfredo

Farina cavaliere Paolo Torino

Fenaroli conte Ippolito

Fenzi cavaliere Emanuele Firenze

Ferretti conte Cristoforo Torino

*Ferrigni commendatore Giuseppe

Filingeri Colonna duca di Cesare Napoli

Fondi De Sangro Giovanni (prìncipe di) Napoli

Gagliardi marchese Enrico Monteleone

Gallina Ecc conte Stefano Torino

Gallone di Nociglia conte Giuseppe principe di Moliterno Napoli

Gallotti barone Giuseppe Napoli

Galvagno commendatore G. Filippo Torino

Gamba conte Ippolito Torino

Garofalo signor Francesco Giuseppe Napoli

Genoino conte Domenico Lanciano

Ghiglini cavaliere Lorenzo Genova

Gianotti conte Marcello

Torino

- 217 -

Gioia commendatore Pietro

Giorgi ni commendatore Gaetano Firenze

dovanola commendatore Antonio Canobbio

Giulini Delia Porta conte Cesare

Gonnet commendatore Claudio Torino

Gori dottore commendatore Pietro

Gozzadini conte Giovanni Soloana

Gravina cavaliere Giacomo Catania

Gualterio marchese Fi li odo Palermo

Guardabassi cavaliere Francesco Perugia

Guevara di Bovino duca Giovanni Napoli

Imbriani professore Paolo Emilio Napoli

Imperiali marchese Giuseppe Genova

Irelli signor Vincenzo Teramo

*Jaquemoud barone Giuseppe

Laconi (Aymerich di) marchese Ignazio Cagliari

Lambruschini commendatore abate Raffaele Firenze

Lanza conte di Sommatino dei principi di Boterà Palermo

Lauri conte Tommaso Macerata

Lauzi nobile Giovanni Pavia

Lechi conte Luìfii Brescia

Lella cavaliere Giuseppe Messina

Linati conte Filippo Parma

Lombardi ni cavaliere Elia Milano

Loiiffo nobile Francesco Brescia

Lo Schiavo conte Pasouale Reggio di Calabria

Malaspina marchese Luigi

Malvezzi conte Giovanni Boinana

Hameli commendatore Cristoforo Torino

Manna commendatore Giovanni Napoli

Manno Eoe barone Giuseppe Milano

Manzoni nobile Alessandro Milano

Manzoni conte Tommaso Genova

Marioni commendatore Giuseppe Genova

Marliani commendatore Emanuele Bologna

Marsili conte Carlo Boloana

Martioengo Di Villagana conte Giovanni

Martinengo da Barco conte Leopardo Brescia

Marzocchi commendatore Gelso Firenze

Massa-Saluzzo Ecc conte Leonzio Torino

M&tteucci commendatore Carlo Torino

Mazara marchese Cristoforo Solmona (Aquila)

Mazzarosa marchese Antonio

Melegari commendatore Luigi Amedeo Torino

Melodia signor Tommaso Altamura

Menabrea oonto Luigi Fadertoo Torino

Merini taottdotó cavaliere Andwa Milano

- 218 -

Meuron signor Napoleone Lucca

Miglietti commendatore Vincenzo

Montanari commendatore Antonio Bologna

Montezemolo (Cordero di) marchese Massimo Torino

Monti conte Domenico Fermo

Mortilo cavaliere Francesco Caltanisetta

Moris commendatore Giuseppe Torino

Morozzo Della Rocca Ecc conte Enrico Torino

Mosca commendatore Carlo Torino

Moscuzza dottor Gaetano Siracusa

Mossotti cav professore Ottaviano Fabrizio

Musio Ecc commendatore Giuseppe Primo pres. della Corte

di Appello di Ancona

Nardelli signor Giuseppe

Natoli barone Giuseppe Firenze

Nazari cavaliere Giovanni Battista Torino

Negri cavaliere Giuseppe

Nigra conte Giovanni Torino

Nitti signor Cataldo Taranto (provincia di Lecce)

Niutta Ecc commendatore Vincenzo Napoli

Notta commendatore Giovanni Reggio (Emilia)

Novasconi monsignor Antonio

Oldofredi conte Ercole Torino

Oneto cavaliere Giacomo Genova

Orsini cavaliere professore Antonio

Paleocapa commendatore Pietro Torino

Pallavicini marchese Fabio Genova

Pallavicini marchese Ignazio Genova

Pallavicino-Mossi marchese Lodovico Torino

Palla vi ci no Trivulzio Ecc marchese Giorgio Torino

Pallieri conte Diodato Torino

Pamparato (Cordero di) marchese Stanislao

Pandolfina Ferdinando principe di S Giuseppe Palermo

Panizza commendatore Bartolomeo Pavia

Pareto marchese Lorenzo

Pasolini conte Giusenoe Milano

Pastore commendatore Giuseppe Torino

Paterno di Spedalotto cavaliere Giuseppe Napol

Pavese commendatore Nicola Torino

Pernati di Nomo commendatore Alessandro Torino

Pepoli conte Carlo Bologna

Piazzoni nobile Giovanni Battista Bergamo

Piacili Ecc conte Alessandro Genova

Piraino cavaliere Domenico

Piria commendatore professore Raffaele Torino

- 219 -

Pizzardi marchse Luigi Bologna

* Piana barato Giovanni

Plezza avvocato Giacomo Cergnago

Poggi commendatore Enrico Torino

Pollone (Nomia di) conte Antonio Torino

Porro nobile Alessandro Milano

Prat conte Ferdinando

Prinetti cavaliere Ignazio Milano

Prudente dottor Francesco Napoli

Puccinotti cavaliere Francesco Firenze

Puccioni commendatore Giuseppe Firenze

Quaranta Ecc conte FìIppo Torino

Quarelli Ecc conte Celestino Torino

Reffis Ecc conte Giovanni Torino

Revel (Thaon Di) Ecc conte Ottavio Torino

Riberi commendatore Alessandro

Ricci marchese Alberto Torino

Ricotti commendatore Ercole Torino

Ridolfi marchese Cosimo

Riva cavaliere Pietro Ivrea

Roncalli cavaliere Vincenzo Vigevano

Roncalli conte Francesco Bergamo

Rossi commendatore Giuseppe Torino

Raggerò Settimo de' principi di Fitelia

Sagarriga cavaliere Girolamo Napoli

Salmour (Gabaleone di) conte Ruggero Torino

Salvagnoli cavaliere Vincenzo

Salvatioo conte Pietro Piacenza

Saluzzo marchese Gioachino principe di Lequile Napoli

S Cataldo (Di) principe Nicolao Palermo

S Elia (Trigona di) principe RomuaWo Palermo

Salvatico conte Pietro

San Martino (PotiTìa di) conte Gustavo Torino

San Marzano (Asinari di) conte Ermolao

Sanvitale conte Luigi Parma

Sappa barone Giuseppe Torino

Sauli d'Igliano conte Ludovico Torino

Sauli marchese Francesco Genova

Savi professore cavaliere Paolo Pisa

Scacchi professore Arcangelo Napoli

Sclopis di Salerano Ecc conte Federigo Torino

Scialoja commendatore Antonio Torino

Scovanzo commendatore Gaetano Palermo

Sella cavaliere Giovanni Battista Biella

Serra Ecc commendatore Francesco Maria Cagliari

Sera conte Francesco Torino

Serra marchese Domenico Genova

- 220 -

Surra marchese Orso Genova

Sforza Cesarini duca Lorenzo Civitanova

Simonetti principe Rinaldo Bologna

Siotto-Pintor commendatore Angelo Torino

Sismonda commendatore Angelo Torino

Sonnaz (Gerbaix de) Ecc conte Ettore Torino

Spaccapietra commendatore Nicola Napoli

Scada conte Alessandro Osimo

Spinola marchese Tommaso Torino

Spitalieri marchese Catania

Stabile commendatore Mariano Palermo

Stara Ecc conte Giuseppe Torino

Strangoli Pignatelli principe Vincenzo Napoli

Strozzi principe Ferdinando Firenze

Tanari marchese Luigi Perugia

Taverna conte Carlo Milano

Timore professore Michele

Torelli commendatore Luigi Pisa

Tornielli di Borgolavezzaro marchese Girolamo

Torrearsa (Faldella di) marchese Vincenzo Firenze

Torrcmuzza principe Gabriello Palermo

Torres marchese Ferdinando

*Torrigiani marchese Carlo

*Tupputi marchese Ottavio

Vacca commendatore Giuseppe Napoli

Valerio commendatore Lorenzo

Varano marchese Rodolfo dei Duchi di Camerino Ferrara

Varo signor Domenico Troia (Capitanata)

Vercillo barone Luigi Napoli

Vesme (Baudi di) cavaliere Carlo Torino

Vigliarli commendatore Paolo Onoralo Torino

Villamarina (Pes di) Ecc marchese Salvatore Milano

Zanetti cavaliere Ferdinando Firenze.

m Firenze

Senatori del Regno stati nominati da S. M. con decreto delli 8 ottobre 1S65.

Commendatore avvocato Giovanni Battista Cassinis già presidente della Camera dei deputati;

Conte commendatore Carlo Pellion di Persano, ammiraglio, già deputato; Commendatore Domenico Cucchìari, luogotenente generale, già deputato; Commenda toro avv. Giuseppe Saracco, già deputato;

- 221 -

Commendatore Giuseppe Bella, ispettore di 1^ classe nel corpo R. del genio civile, già deputato;

Commendatore sacerdote Giuseppe Robeccbi, economo generale dei benefici vacanti per le provincie lombarde, già deputato;

Commendatore ingegnere professore Francesco Brioschi, già deputato;

Marchese commendatore Giuseppe Arconati Visconti, già deputato;

Commendatore avv. Giacomo Astengo, già deputato;

Conte Faustino Sanseverino, già deputato;

Professore cav. Carlo Burci;

Professore commendatore Atto Vannucci;

Conte cav. Leonetto Cipriani;

Conte commendatore Gerolamo Cantelli, prefetto della provincia di Firenze, già vice-presidente della Camera dei deputati;

Cav. Emanuele Viggiani;

Commendatore Giuseppe Fiorelli, professore onorario dell'Università di Napoli, direttore degli scavi di Pompei;

Commendatore Giuseppe Miraglia, presidente della Corte di Appello delle Puglie;

Commendatore Giuseppe Mirabelli, procuratore generale alla Corte d'Appello di Napoli;

Commendatore Giovanni De Falco, sostituito procuratore generale del Re presso la Corte di cassazione di Napoli;

Conte commendatore Carlo Torre, prefetto della provincia di Torino;

Cav. Filippo Satriani da Briatico;

Cav. Corrado Àrezzo barone di Donnafugata, già deputato;

Dottore cav. Salvatore Marchese, professore dell'Università di Catania, già deputato;

Cav. Giovanni Interdonato, procuratore generale del Re presso la Corte d'Appello di Palermo;

Marchese di Sortine Ignazio Specchi;

Principe Ottajano Giuseppe Medici;

Barone Nicolo Turrisi Colonna, già deputato;

Barone Rocco Camerata Scovazzo, già deputato;

Conte Michele Di Castellamonte, procuratore generale del Re presso la Corte d'Appello di I troscia;

Commendatore Diego Angioletti, luogotenente generale, ministro della marina;.

Cav. professore Filippo De Filippi, membro della R. Accademia delle Scienze di Torino;

Leopardi commendatore Pier Silvestre, già deputato.

- 222 -

PRESIDENZE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

SESSIONE DEL 1861-62.

Presidente Rattazzi comm. Urbano, turrogato da

Id. Tecchio comm. Sebastiano.

Vice~Presidente. Faldella di Torrearsa marchese Vincenzo.

Id. Poerio barone Carlo.

Id. Andreucci cav. Ferdinando.

Id. Minghetti comni. Marco.

Id. Restelli avv. Francesco ) in surrogazione di Torrearsa

Id. Miglietti comm. Vincenzo ) e Minghetti.

Segretario Cavallini cav. Gaspare.

Id. Galeotti cav. Leopoldo.

Id. Zanardelli avv. Giuseppe.

Id. Tenca cav. Carlo.

Id. Mischi marchese Giuseppe.

Id. Massari cav. Giuseppe.

Id. De Sanctis prof. Francesco.

Id. Gigliucci conte Giovanni Battista.

Id. Negrotto-Cambiaso marchese Lazzaro, in surrogazione di

De Sanctis.

Questore Chiavarina conte Amedeo.

Id. Cantelli conte Gerolamo.

SEZIONE 1863-1864.

Presidente Cassinis comm. Giovanni Battista.

Vice-Presidente. . Poerio barone Carlo.

Id. Cantelli conte Gerolamo.

Id. La Farina commendatore Giuseppe.

Id. Restelli commendatore Francesco.

Segretario Massari commendatore Giuseppe.

Id. Cavallini commendatore Gaspare.

Id. Zanardelli avvocato Giuseppe.

Id. Mischi marchese Giuseppe.

Id. Tenca cavaliere Carlo.

Id. Galeotti commendatore Leopoldo.

Id. Gigliucci conte Giovanni Battista.

Id. Negrotto-Cambiaso marchese Lazzaro.

Questore Baracco barone Giovanni.

Id. Chiavarina conte Amedeo.

- 223 -

ELEZIONI

che in ciaschedun Collegio Elettorale ebbero luogo

durante la legislatura VIII (I) del Parlamento Italiano.

COLLÈGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Abbiategrasso Correnti comm Cesare

Acerenza De Cesare Carlo annullata reiezione

Saffi Aurelio dimissionario

La Gala Francesco annullata l'elezione

Libertina Giuseppe annullata l'elezione

Libertini Giuseppe

Acerra Spinelli Vincenzo

Acireale Musumeci Nicolò estratto a sorte (art 100

legge elettorale

La Rosa Mariano dimissionario

Perez Francesco Paolo annullata l'elezione

Camerata Scovalo Lor

Acquaviva Del Drago Giuseppe annullata l'elezione

Curzio Raffaele annullata l'elezione

Curzio Raffaele

Saracco Giuseppe nominato segr gen Mi-

nistero lav pub

Saracco Giuseppe nominato segr gen Mi-

nistero finanze

Saracco Giuseppe

Afragola Imbriani Paolo Emilio optò per Avellino

Pisanelli Giuseppe la sorte lo destinò per Taranto

De Siervo Fedele

Agnone Amicarelli Ippolito

Agosta Chiudeini Salvatore annullata l'elezione

Majorana Benedetto

Airola Tofano Giacomo dimissionario

Montella Pietro

Alba Coppino Michele annullata l'elezione

Coppino Michele

Albenga Monticelli Pietro morto

D'Aste Alessamdro

Alessandria Rattazzi Urbana nominato presidente del

Consiglio dei ministri

Rattazzi Urbana

Alghero Costa Antonio

Altamura Romano Liborio optò per Tricase

Pescina Enrico annullala l'elezione

Vacca Giovanni

Amalfi Mezzacapo Francesco

Ancona Cavour Camillo opto pel 1° collega di Torino

Ninchi Annibale

- 224 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Andria Baldacchini Saverio

Angri Fabbricatore Bruto

Aosta Alfieri Carlo optò per Caluso

Carutti Domenico nominato miniatro pleni-

potenziario

Berti Domenico

Appiano Gagnola Carlo

Aquila Pica Giuseppe

Aragona Cognata Giuseppe dimissionario

Cognata Giuseppe

Arezzo Poerio Carlo optò pel 3 collegio di Napoli

Brignone Filippo promosso luogotente generale

Brignone Filippo

Ariano Mancini Slamata) nominato ministro della

istruz pubblica

Mancini Stantslao

Ascoli Sgariglia Marco

Asoia Guerrieri Anselmo

Asti

ft flBl A A A JK A A Ranco Luigi

Atessa Spaventa Silvio optò per Vasto

Spaventa feltrando annullata l'elezione

Salvatore Pompeo nominato professere di belle lettere

1 14)11 A IctltAPO

Melchiorre Nicola

Atri De Vincenzi Giuseppe Romano Liborio optò per Tricase

Atripalda Dassi Giuseppe annullata l'elezione

Catucci Paolo

Avellino Imbriani Paolo Emilio estratto a sorte (art 400

legge elettorale)

Imbriani Paolo Emilio nom senatore del regno

Montuori Francesco annullata l'elezione

Amabile Luigi

Aversa Maza Gabriele nominato consigl d'tpfr

Crisci Costantito annnllata l'elezione

Palla vici no Cesare annullate l'elezione

Golia Cesare

Avezzano D'Ayala Mariano annullate l'elezione

D'Ayala Mariano

Avigliana Genero Felice

Bagnata Romeo Stefano di missionario

Romeo Stefano

Barge Bertini Gio Battiate

Bari Massari Giuseppe

Benevento Torre Federico promosso magg gen

Torre Federico

Bergamo Morelli Giovanni

Bettola Fioruzzi Carlo estratto a sorte (art 100 legge elett.)

Mingbelli-Vaini Giovanni

- 225 -

COLLEGI NOME E COGNOME OSSERVAZIONI

Biandrate Giovanola Antonio nom senatore del regno

Tornielli Luigi

Bibbiena Falconcini Enrico nominato prefetto

Passerini Luigi

Biella La Marmora Alfonso nom presid del Consiglio

La Marmora Alfonso

Bitonto Romano Liborio annullata l'elezione

Pescina Enrico optò per Altamura

Lacaita Giacomo

Bivona Carini Giacinto annullata l'elezione

Scalia Luigi

Bobbio Mazza Pietro nominato segretario particolare

del min istro degli interni

Fossa Pietro

Boiano Pallotta Girolamo

Bologna 1° Mingbetti Marco nominato ministro delle finanze

Minghetti Marco

Bologna 2 Pepoli Gioachino nominato ministro di agr ind e comm

Pepoli Gioacbino nom ministro plenip

Berti Ludovico

Bologna 8° Berti-Pichat Carlo

Borghetto Levi Davide

Borgo a Mozzano Sinibaldi Paolo dimissionario

Gennarelli Achille annullata l'elezione

Orsetti Stefano

Borgomanero Vegezzi Zaverio

Borgo S Dalmazzo De And reis Maurizio

Borgo S Donnino Verdi Giuseppe

Borgo S Lorenzo Busacca Raffaele nom consiglio di Stato

Borgotaro Torrigiani Pietro

Bovino D'afflitto Rodolfo nom senatore del regno

De Filippo Gennaro nom consiglio di Stato

Bozzolo Pasini Valentino morto

Meneghini Andrea

Bra Chiaves Desiderato

Breno

Breno Cuzzetti Francesco

Brescia Depretis Agostino optò per Stradelia

Reccagni Solone promosso a luogotenente generale

Reccagni Solone morto

Bricberasio RoHi Emanuele

Brienza Petruce!li Ferdinando

Brindisi Braico Cesare nominato presid il Consiglio superiore

di sanità in Napoli

Carnazza Giuseppe annullata l'elezione

Brunetti Gaetano dimissionario

Brunetti Gaetano

Brivio Sirtori Giuseppe optò pel 4° collegio di Milano

- 226 -

COLLEGI NOME E COGNOME OSSERVAZIONI

Brivio Cairoli Benedetto dimissionario

Prinetti Carlo

Budrio Marliani Emanuele nom senatore del regno

De Franchi Cario

Busto Arsizio Turali Carlo morto

Berette Paolo Emilio morto

Lualdi Èrcole

Caccamo Ferrara Francesco annullata l'elezione

Tasca Lucio dimissionario

Bertani Agostino annullata l'elezione

Venturelli Francesco

Lambruschini Raffaele annullala l'elezione

Michelini Giò Battista

Cagliari Serra Francesco Maria estratto a sorte (art 100 legge elett.)

Meloni Baiile Giovanni nominato professore effettivo

Calazi Garofano Francesco

Cairo Sanguinetti Apollo

Calatafimi Corteo Simofie nom professa di filosofia

morale iroaiusBsilàdi

Palermo

Miceli Luigi

Caltagirone Cordova Filippo fu destinato dalla sorte a rappresentare

il seggio di Caltanisetta

Cordova Filippo nominalo Ministro di agric. e comm.

Cordova Filippo nom consiglio di Stato

Cordova Filippo annullata l'elezione

Cordova FiHppo

Caltanisetta Cordova Fihppo noni segixi feacr4s4Él Mìiimésbs fifaato

Pugliese-Giannone Vinc.

Alfieri Carlo

Valerio Lorenzo annullata l'elezione

Valerio Cesare

Campagna Mandoj Albanese Franc. annullata l'elezione

Mandoj Albanese Franc.

Campi (Firenze) Mari Adriano

Campi (Terra d'Otranto) Castro Mediaiio Sigìsm

Campobasso Romano Liborio optò per Tricase

Cannavina Leopoldo

Canicatti D'Ondes Reggio Vite

Capaccio Positano Rocco nominato cons. Alta Corte di Potenza

Alfieri d'Evawéfo AmMìo morto

Giordano Francesco annullata l'elezione

Capannori Del Re Isidoro dimissionario

Carrara Francesco annullata l'elezione

Massei Carlo

Capriata Bianchi Alessandro

Caprino Bravi Giuseppe dimissionario

- 227 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Caprino Cantù Cesare annullata l'elezione

Cantù Cesare

Capua Leonetti Giuseppe

Carmagnola Tecchio Sebastiano

Carpi Menotti Achille

Casale Mellana Filippo

Casalmaggiore Brofferio Angelo optò per Castelnuovo nel Menti

Guerrazsi Francesco dimissionario

Garibaldi Giuseppe annullata l'elezione

Cavalletto Alberto

Caserta Caso Beniamino

Casoria Proto Francesco dimissionario

Jacovelli Lorenzo annullata l'elezione

Praus Michele annullata l'elezione

Jacoveili Lorenzo annullata l'elezione

Jacovelli Lorenzo annullata l'elezione

Beneventano Valerio

Cassino Pace Giuseppe

Castellammare Ruggiero Marciano

Castelmaggiore Zanolini Antonio nomi. Senat. del regno

Pepoli Gioachino

Castelnuovo di Garfagnana Pelosi Eugenio

Castelnuovo ne' Monti Brofferio Angelo

Castel S Giovanni Torrelli Giuseppe optò per Corteggio

Marazzani Ludovico

Castel Vetrano Crispi Francesco

Castiglione delle Stiviere Melegari Luigi

Castroreale Sacchero Giacomo dimissionario

Maiorana Salvatore annullata l'elezione

Maiorana Salvatore annullata l'elezione

Salvo Fazio Antonino

Castrovillari La Terza Antonio dimissionario

Damis Domenico

Caulonia (già Castelvetere) Crea Raffaele dimissionario

Marzano Ettore

Catania 1° Marchese Salvatore dimissionario

Carnazza Gabrreiló annullata reiezione

Carnazza Sebastiano annullata l'elezione

Carnazza Sebastiano

Catania 2° Bonacorsi Domenico dimissionario

Speciale Mattino

Catanzaro Greco Antonio

Cefalù Turrisi Colonna Nicolò optò pel 2 collegio di Palermo

Pirajno Enrico morto

Perrone-Paladini Franc. annullata l'elezione

Botta Nicolò

Cento Borgatti Francesco

Cerignola Caracciolo Camillo nom. inviato straordinario

Vecchi Augusto dimissionario

Vecchi Augusto

- 228 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Cesena Salariili Pilastri morto

Saragoni Giovanni dimissionario

Teodorani Pio

Ceva Grattoni Severioo

Cherasco Petitti Agostino nominato ministro della guerra

Petitli Agostino id

Petitti Agostino

Chiaravalle Assanti Damiano

Chiari Maggi Berardo

Chiaromonte Raccioppi Giacomo annullata l'elezione

Lovito Francesco

Chjavari Castagnola Stefano

Chìeri Villa Vittorio

Chìeri Farini Carlo Luigi optò per Crescentino

De Sanctis Giovanni

Chivasso Viora Paolo

Cicciano Napoletano Cesare

Ciriè Pescatore Matteo estratto a sorte (art 100 legge elett.)

Mongini Luigi annullata l'elezione

Farina Maurizio

Città Castello Cempini Leopoldo

Città Ducale Tommasi Salvatore eestratto a sorte (art 100 legge elett.)

Govone Giuseppe promosso a luogotenente generale

Govone Giuseppe

Cittaoova Marvaao Diomede annullata l'elezione

Marvaso Diomede annullata l'elezione

Muratori Francesco dimissionario

Platino Antonino

Città S Angelo De Blasiis Francesco nom segret gen del Ministero agr comm

De Blasiis Francesco nominato consigl di stato

Clusone Testa Antonio annullata l'elezione

Testa Antonio

Codogoo Pasini Valentino optò per Bozzolo

Grossi Angelo

Colle Andreucci Ferdinando

Gomaochio Conti Pietro

Comiso Paternostro Paolo

Comò 1° Giovio Giovanni

Corno Scalini Gaelano

Convengano Caracciolo Camillo optò per Cerignola

Lazzaro Giuseppe annullata l'elezione

Lazzaro Giuseppe

Corato Vischi Vincenzo

Corigliano

Corigliano Sprovieri Vincenzo

Corleone Di Marco Vincenzo dimissionario

Barconi Angelo

Corleto Boldoni Camillo promosso magg gen

- 229 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Gorleto Campanella Federico dimissionario

Garibaldi Giuseppe

Correggio Torelli Giuseppe

Corteolona Maccabruoi Giuseppe

Corloaa D'Ancona Sansone

Cosenza Morelli Donato

Cossato Sella Quintino annullata l'elezione

Sella Quintino nominato ministro delle finanze

nnaniA

Sella Quintino id

Sella Quintino

Cotrone Baracco Giovanni

Crema San Severino Fausttno

Cremona Macchi Mauro

Crescentino Farini Carlo Luigi nom presidente del Consigilo dei ministri

Farini Carlo Lnigi

CugglODO Arconali Giuseppe

Gwnco Brunet Carlo

Cuorgnè Mamiani Terenzio nominato inviato straor

Tinelli Ferdinando promosso luogotente generale

Pinelli Ferdinando morto

Arnulfi Trofimo

Allievi Antonio dimissionario

Allievi Antonio

Diano (ora Teggiano) Matina Giovanni dimissionario

Civita Emilio

Domodossola Boschi Pietro optò per Mortara

Belli Giovanni

Dronero Rovere Giacomo

Empoli Salvagnoli Antonio

Erba Gadda Giuseppe nominato prefetto

Rusconi Pietro annullata l'elezione

Rusconi Pietro annullata l'elezione

Rusconi Pietro annullata l'elezione

Bellazzi Federico

Fabrìano Mercantini Luigi annullata l'elezione

Carletti-Ciampieri G Batt

Faenza Saochi Giacomo

Fano Rasponi Gioacfaino la sorte lo chiamò a rappresentare

Il collegio di Ravenna

Gabrielli Angelo nom consiglio di prefett

Marcolini Cantillo dimissionario

Bertozzi Ludovico

Fermo Gigliucci Oio Battista

Ferrara 1° Mayr Francesco dimissionario

Prosperi Oberardo

Ferrara 2° Grillenzoni Carlo

Peruzzi Ubaldino nominato ministro dei lavori pubblici

- 230 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Firenze 1° Peruzzi Ubaldino nominato ministro dell'interno

Peruzzi Ubajdino

Firenze 2° Ricasoli Bettino nomin presid del Consiglio dei ministri

Ricasoli Bettino

Firenze 3° Ginori Lisci Lorenzo nom senatore del regno

Rubierì Ermolao

Firenze 4° Gipriani Emilio

Firenzuola Mischi Giuseppe

Foggia Ricciardi Giuseppe dimissionario

Ricciardi Giuseppe

Forlì Albicini Cesare nom prof a Bologna

Albicini Cesare id

Mazzoni Alessandro

Form ( già Mola di Gaeta) Buonomo Lorenzo annullata l'elezione

Della Crooe Eli

Fossano Pettinerò Igowio nominato luogotenente ge-nerale del Re in Sicilia

Pettineqgo Ignuzio

Francavilla lnterdonato Giovanni annullata l'elesiooe

lnterdonato Pietro annullata l'elezione

N N annullamento delle operazioni elettorali

Castellani-Fantom Luigi

Fuligno Berardi Tib rio

Gallarate Restelli Francesco

Gallipoli Mazzarella BonaveDUira estratto a sorte (art 100 legge elettorale)

Romano Giuseppe

Gavirate Ferrari Giu#epp

Genova 1° Ricci Vincenzo

Genova 2° Bixio Nino

Genova 3° Ricci Giovanni nominato ministro della marina

Ricci Giovanni

Gerace Carafa Gerardo

Gessopalona Cocco Donata

Giarre Grassi Alessandro

Gioia Del Re Giuseppe annullata l'elezione

Del Re Giuseppe morto

Rogadeo Vincenzo

Girgenti Amari Emerico optò pel 1°coll di Palermo

Piccone Gio Battila dimissionario

La Porta Luigi dimissionario

La Porta Luigi

Giulia Acquaviva Carlo

Gorgonzola Capellari Giovanai annullata l'elezione

Robecchi Giuseppe

Grosseto Morandini Giovanili

Guastalla Ribotti Ignazio morto

Guerrieri Gonzaga Carlo

- 231 -

COLLEGI COGNOME fi NOMB OSSERVAZIONI

Iesi Colocoi Antonio

l&lesias Leo Pietro nominato cons di cassazione

Leo Pietro

Imola Àudinot Rodolfo la sorte lo destinò a rappresentare

il collegio dì Vergato

Rusconi Carlo annullm. dell'elezione

Nomis di Gorilla Angelo nominato prefetto

Medici Giacomo

Iseo Zanardelli Gìuseppe

Isernia

sernia Iadopi Stefano

Isili Grixoni Giuseppe

Ivrea

fIBB Brida Giuseppe

Lacedonia Nisco Nicola annullata l'elezione

Miele Luigi id

Miele Antonio id

Miele Antonio id

Soldi Serafino

Lagonegro Albini Giacinto annullata l'elezione

Gtfllo Francesco Maria

Lanciano Vergili Giuseppe promosso luogoten colonnello

Vergili Giuseppe promosso colonnello

Camerini Angelo

Langhirano Gallenga Antonio dimissionario

Della Rosa Guido

Lanusei Cugia Efisio nom. ministro di marina

Cugia Efisio

Lanno Massa Paolo

Lari Panattoni Giuseppe

Larino lacampo Loreozo

Lecce Cepolla Vincenzo

Lecco Agudio Tommaso

Leno Longo Francesco nom senatore del regno

Corinaldi Midaele annullata l'elezione

Corinaldi Michele

Levanto Bò Angelo estratto a sorte (art 100 legge elettorale)

Massola Giacinto

Livorno 1° Fabrizi Giovanni

Livorno 2 Malencbioi Vinconzo

IJIll 1 k tt A AB Colombani Francesoo morto

Griffini Paolo

Lonato Broglio Emilio

Lucca Vegezzi-Ruscalla Giovenale

Lucera De Peppo Gaetano morto

Braioo Cesare

Lugo Gherardi Silveslro nominato presidente dell'istituto

tecnico di Bologna

Marescotti Angelo

- 232 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Macerata Pantaleoni Diomede dimissionario

Briganti Bellini Giuseppe

Macomer Caboni gtanislao dimissionario

Sineo Riccardo

Maglie De Donno 0ronzio estratto a sorte (art 100 legge elettorale)

Lacaita Giacomo optò per Bitonto

De Donno Oronzio

Manduria Scbiavoni Nicola

Manfredonia Bonghi Ruggiero

Manoppello De Meis Angelo annullata l'elezione

Lanciano Raffaele

Marsala Ugdulena Gregorio estratto a sorte (art 100 legge elettorale)

Ugdulena Gregorio

Martioengo Oldofredi Èrcole nominato prefetto di Bo-logna

Cedrelli Francesco

Massa e Carrara Cuccbiari Domenico

Massafra Libertini Giuseppe dimissionario

Zaccaria Francesco

Malora De Blasio Filippo dimissionario

Cutinelli Gioacbino

Melegnano Borromeo Guido nominato segretario generale

del Ministero delle finanze

Borromeo Guido

Melfi Albini Giacinto annullata l'eiezione

Guerrazzi Franc. Domenico optò per Casalmaggiore

Argentino Achille

Melito Plutino Agostino

Menaggio Polti Achille

Mercato San Severino Conforti Raffaele nominato ministro di grazia e giustizia

Conforti Raffaele

Messina 1° Natoli Giuseppe nominato ministro di agricoltura e comm.

Natoli Giuseppe nominato prefetto

Pancaldo Eroanuele dimissionario

Messina 3° La Farina Giuseppe morto

Tamajo Giorgio

Milano 1° Trezzi Ambrogio

Milano 2° Tenca Carlo

Milano 3° Mosca Antonio

Milano 4° Sirtori Giuseppe

Milano 5° Cialdini Enrico optò per Reggio Emilia

Finzi Giuseppe

Milazzo Piraino Domenico nominato governatore

Bertoni Agostino dimissionario

Macrì Giacomo

Militello Majorana Salvatore

Minervino 8cocchera Savino

- 233 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Mirabella Grella Edoardo

Mirandola Pepoli Carlo nom senatore del regno

Porrino Agostino morto

Bella Giuseppe promosso ispettore di 1 classe

Salimbeni Leonardo

Mistrctta Salomone Giuseppe dimissionario

Camerata Scovazzo Franc.

Modena 1° Malmusi Giuseppe dimissionario

Sandonnini Claudio

Modena 2° Tonelli lgnazio

Modica Giardina Francesco dimissionario

Mario Alberto non accettò la deputaz

Papa Carlo

Molfetta Tupputi Ottavio nom senatore del regno

Minervini Luigi

Mondovì Borsarelli Giorgio

Monopoli Valenti Flamimo

Monreale Calvino Salvatore

Montalcino Bianchi Celestino nominato consigliere di Governo

Sergardi Tiberio

Montecchio Melegari Luigi Amedeo nom senatore del regno

Passagli a Carlo annullata l'elezione

Passaglia Carlo richiamato professore alla

cattedra di filosofia morale

Konchey Amos

Montecorvino Rovella Mazziotti Francesco optò per Torchiara

De Dominici Ulisse morto

Budetta Pasquale

Monte Giorgio Buhani Francesco

Monte Leone Musolino Benedetto

Montepulciano Cannestrini Giuseppe nominato direttore della biblioteca

di nazionale Firenze

Boddi Zelindo

Montesarcbio Imbriani Paolo Giulio optò per Avellino

Cosenz Eurico optò per Pesaro

Avezzana Giuseppe

Montevarchi Fenzi Carlo

Monza Lissoni Andrea dimissionario

Ferrano Carlo

Morcone Giacchi Nicola

Mortara Boschi Pietro dimissionario

Valvassori Angelo annullata l'elezione

Marchetta Luigi

Maro Magaldi Pasquale dimissionario

Marolda Petilli Francesco

Napoli Garibaldi Giuseppe dimissionario

Garibaldi Giuseppe la sorte lo destinò per la

rappresentaza di Corleto

- 234 -

COLLEGI COGNOME E NOME

OSSERVAZIONI

Napoli 1° Cairoti Benedetto

Napoli 2° Mirabelli Giuseppe estratto a sorte (art 10O '

legge elettorale)

De Cesare Carlo

Napoli 3° Poerio Carlo

Napoli 4° De Blasio Filippo nominato segretario generale al

Ministero di grazia e giustizia

De Blasio Filippo nominato segretario generale

dell'interno e po-lizia in Napoli

Longo Giacomo

Napoli 5° Settembrini iui&i annullata l'elezione

Anguissola Anùlcare

NapoK 6° Ranieri Antonio

Napoli 7° Savarese Roberto dimissionario

San Donato Gennaro

Napoli 8° Romano Liborio optò per Tricase

Costa Oroqiio

Napoli 9° Perez-Navarrete Pietro dimissionario

Palomba Pietro

Napoli 10° Persico Michele dimissionario

Cortese Paolo nominato segretario ge-nerale

al Ministero di finanze

Napoli 11° Spaventa Silvio optò per Vasto

Saliceti Aurelio morto

Giordano Luigi

Napoli 12° Castellano Enrico

Naso Anca Francesco annullata l'elezione

Basile-Basile Luigj annullata l'elezione

Camerata Scovazzo Franc. dichiarato vacante il co}legio

IaÒÌa

Basile Luigi

Nicastro Stoccò Francesco

Nicosia Bruno Giuseppe

Nizza Monferrato Mattei Felice nominato ispettore gen del genio navale

Mattei Felice

Nocera Superiore Pironti tyjchefo nominato segretario generale del

dicastero di grazia e giustizia in Napoli

Pironti Michele

Noia Ciccone Antonio nominato segretario generale del

Ministero di agricoltura e commercio

Pinto Alessandro

Noto Raeli Matteo nom procuratore gen presso la Corte

d'appello di Trapani

Trigona Vincenzo

- 235 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Novara Solaroli Paolo

Novi Varese Carlo

Nuoro Mureddu Antonio

Nuraminis Salaris Francesco

Oleggio Morini Michele

Oneglia Ara Casimiro

Oristano Corrìas Giuseppe dimissionario

Mura Gio Maria annullata l'elezione

Mura Gio Maria annullata l'elezione

Boyl Gioacbino

Ortona De Vincenzi Giuseppe optò per Atri

Nolli Rodrigo dimissionario

Marcone Nicola

Orvieto Bracci Giacomo

Osimo Piorenzi Francesco

Oviglio Capriolo Vincenzo nominato segretario ge-nerale al

Ministero dell'interno

Capriolo Vincenzo nom senatore del regno

Èrcole Paolo

Ozieri Sanna Sanna Giuseppe

Palata Romano Li borio optò per Tricase

Di Martino Giuseppe

Palermo 1° Amari Emerico estratto a sorte (art 100 legge elettorale)

Amari Emerico dimissionario

Raffaele Giovanni

Palermo 2° Turrisi Colonna Nicolo dimissionario

Laurenti Robaudi Carlo dimissionario

Laurenti Robaudi Carlo

Palermo 3° Torrearsa Vincenzo la sorte io destiné a rappresentare

il colleggio di Trapani

Mordini Antonio

Palermo 4° Carini Giacinto

Pallanza Cadorna Raffaele promosso luogotenewnte generale

Gastaldetti Celestino annullata l'elezione

Rapallo Nicolo

Pahm Piria Raffaele nominato senatore del regno

Oliva Francesco

Paola Miceli Luigi dimissionario

Valitutti Giuseppe

Parma 1° Piroli Giuseppe nominato consigliere di Stato

Parma 2° Cantelli Girolamo nominato prefetto

Costamezzana Marcello

Partinico Calvi Pasquale

Paterno Bellia Antonio annullata l'elezione

Carnazza Gabriele annullata l'elezione

Battaglia Carlo Antonio

- 236 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Patti Bertolini Michele

Pavia Mai Giovanni

PavuIIo Parenti Gaetano

Penne De Cesaris Clemente nominato ricevitore di circondario

Sacchi Vittorio annullata l'eiezione

Prati Giovanni annullata l'elezione

De Cesaris Antonio

Perugia 1° Pepoli Gioachino la sorte lo destinò a rappresentare

il 2° collegio di Bologna

Di Sonnaz Maurizio

Perugia 2° Danzetta Nicola

Pesaro Mamiani Terenzio la sorte lo destiné a rappresentare Courgné

Cosenz Enrico

Pescarolo Cadolini Giovanni

Pescia Galeotti Leopoldo

Pescina Berardi Enrico morto

N N annullamento delle operazioni elettorali

Tabassi Panfilo

Petralia Soprana Errante Vincenzo estratto a sorte (art 100 legge elettorale)

Santocanale Filippo

Piacenza Grandi Filippo

Piedimonte Caso Beniamino optò per Caserta

Del Giudice Gaetano dimissionario

Del Giudice Gaetano

Pietrasanta Bichi Gaetano

Pinerolo Bertea Cesare

Pisa Ruschi Hinaldo

Pistoja 1° Macciò Didaco morto

Betti Enrico annullata l'elezione

Betti Enrico

Pistoja 2° Cini Bartolommeo

Pizzighettone lacini Stefano nominato ministro dei lavori pubblici

lacini Stefano

Poggio Mirteto - annullamento delle ope-razioni elettorali

Soldini Giuseppe nominato consigliere della Corte d'appello

Monticchi Mattia

Pontassieve Àntinori Nicolo nominalo segretario dell'Accademia

di belle arti in Firenze

Montanelli Giuseppe morto

Siccoli Stefano

Pontecorvo Nicolucci Giustiniano annullata reiezione

Nicol ucci Giustiniano

Pontedecimo Negrotto Lazzaro

- 237 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Pontedera Toscanelli Giuseppe

Pontremoli Giuliani Antonio annullata reiezione

Giuliani Antonio

Po Doli Dorucci Leopoldo

Porlo Maurizio Airenti Giuseppe dimissionario

Airenti Giuseppe

Potenza Rendina Saveno dimissionario

D'Errico Giuseppe

Pozzuoli Scialoja Antonio nominato consigliere della Corte dei conti

Scotti Galletta Antonio

Prato De Pazzi Guglielmo

Prizzi Pisani Casimiro

Ragusa Sebi ni nà Mario

Rapallo Molfino Giorgio

Ravenna 1° Rasponi Gioacbino

Ravenna 2° Bel trami Pietro dimissionario

Fari ni Domenico

Recanati Briganti Bellini Bellino

Recco Casaretto Michele

Regalbuto De Luca Pasquale morto

Gravina Luigi

Reggio (Calabria)) Romeo Pietro

Reggio (Emilia) Cialdini Enrico nominato sen del regno

Fiastri Giovanni

Rho Castelli Luigi nominato consigliere di Corte d'appello

Vanotti Augusto

Riccia Moffa Pietro

Rieti

Rieti Biancoli Oreste dimissionario

Mautino Massimo

Rimini Salvoni Vincenzo

Rocca San Casciano Pasini Valentino optò per Bozzolo

Franchini Francesco annullata l'elezione

Monzani Cirillo

Rogliano Morelli Donato optò per Cosenza

Maraico Gaspare

Rossano Compagna Pietro

Sala Romano Liborio optò per Tricase

Abatemarco Domenico

Salerno DAvossa Giovanni rientrato nella carica di consigliere della

Suprema Corte di giustizia in Napoli

Nicotera Giovanni dimissionario

Nicotera Giovanni

Salò Maceri Bernardino annullata l'elezione

Maceri Bernardino

Saluzzo Tonello Michelangelo

San Benedetto Borromeo Guido optò per Melegnano

Ballanti Panfilo

- 238 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

San Casciano Corsi Tommaso dimissionario

Corsi Torcinaso

San Demetrio Dragonetti Luigi nom senatore del regno

Cappelli Emidio

San Germano Tari Antonio

nominato profeascredi letteratura

nell'università dj Napoli

Fessi na Enrico

San Giorgio la Montagna Nisco Nicola annullata reiezione

Nisco Nicola

San Giovanni in Persiceto Martinelli Massimiliano nominato consigliere di Stato

San Marco Mosciari Giovanni

San Miniato Menichetti Tito

Sannazzarro Cavallini Gaspare

San Nicandro Fraccacreta Carlo dimissionario

Sansevero Michele

San Remo Biancheri Giuseppe

San Sepolcro Collachioni Giov Batt

San Severino Luzi Carlo

San Severo Zuppetta Luigi dimissionario

Zuppetta Luigi dimissionario

Tondi Nicola annullata l'elezione

De Ambrosio Vincenzo annullata l'elezione

Avitabile Michele l'elezione non venne riferita

Santa Maria Nisco Nicola annullata l'eiezione

Gallozzi Carlo dimissionario

Della Valle Girolatno

Sant'Angelo dei Lombardi Capone Filippo

Sant'Arcangelo Regnoli Oreste

Sanlhià Cavour Gustavo morto

Marazio Annibale

Sassari Ferracci u Nicolo

Savigliano Alasia Giuseppe nominato prefetto

Canalis Giov Batt

Savona Pescetto Federico promosso maggiore

Pescetto Federico

Scansano Ricasoli Vincenzo promosso luogotenente colonnello

Ricasoli Vincenzo promosso colonnello

Ricasoli Vincenzo

Sciacca Friscia Zaverio dimissionario

Friscia Zaverio

Serra Doria Vito

Serradifalco Lanza Ottavio dimissionario

Camerata Scovazzo Rocco

Scrrastretta Gemelli Giovanni annullala relezione

De Luca Francesco

Sessa De Sanctis Francesco nominato ministro alla

istruzione pubblica

De Sanctis Francesco

- 239 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Siena Giorgini Gioy Batt

Sinigaglia Mattei Giacomo dimissionario

Buffarini Vincenzo

Siracusa Cordava Filippo la sorte lo destiné a rappresentare il

collegio di Caltanisetta

Cordova Filippo optò per Caltagirone

Greco Luigi nominato consigliere d'appello

Greco Luigi estratto a sorte (art 100 legge elettorale)

Greco Luigi

Sulmona Leopardi Silvestre

Sondrio Cotta Carlo annullata l'elezione

Susani Guido dimissionario

Bossi Paolo

Sora Polsinelli Giuseppe

Soresina Possenti Carlo

Sorrento Maresca Mariano

Spezia Persano Carlo nominato ministro della marina

Persano Carlo promosso ammiraglio

Debenedetti Angelo annullata l'elezione

Debenedetti Angelo

Spezzano Grande Baracco Giovanni optò per Cotrone

Gallucci Gabriele

Spoleto Scarabelli Luciano annullata l'elezione

Scarabelli Luciano

Stradella Depretis Agostino nominato ministro dei lavori pubblici

Depretis Agostino

Susa Chiapusso Francesco

Taranto Cepolla Vincenzo optò per Lecce

Pisanelli Giuseppe nom ministro di grazia e giustizia

Pisanelli Giuseppe nominato consigliere di Stato

Ctatn

Teano Cardente Felice

Teramo Urbani Nicola nominato presidente di Tribunale

Longoni Ambrogio annullata l'elezione

Sebastiani Francesco

Termini La Masa Giuseppe

Terni Silvestrelli Luigi t

Terranuova Sant'Elia Romualdo nom senatore del regno

Beltrani Vito

Tirano Visconti Venosta Emilio nominato segretario generale al

Ministero degli affari esteri

OlTOV1! OC t AVI

Visconti Venosta Emilio nominato ministro degli affari esteri

nominato ministro degli

Visconti Venosta Emilio

- 240 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Todi Leony Loreoro annullata l'elezione

Ferri Pasolini Ferrante annullata reiezione

Brioscbi Francesco

Tolentino Ricci Malteo annullata l'elezione

Ricci Matteo dimissionario

Checbetelli Francesco

Torcbiara Mazziotti Francesco

Torino 1° Cavour Cara ilio morto

Ricasoli Bettino la sorte lo destiné a rappresentante

del 3° collegio di Firenze

Bottero Giov Batt

Torino 2° Miglietti Vincenzo nominato ministro di grazia e giustizia

Miglietti Vincenzo nominato senatore del regno

Ferrari» Luigi

Torino 3° Cassinis Giov Batt

Torino 4° Ghia vari na Amedeo

Torre Annunziata Dino Ferdinando

Tortona Leardi Diodato

Trapani Torrearsa Vincenzo nominato prefetto

Fabrizi Nicola

Trescore Camozzi Gabriele

Treviglio Moretti And rea

Tricarico Racciopi Giacomo annullata l'elezione

De Boni Filippo annullata l'elezione

De Boni Filippo dimissionario

N N annullamento delle operazioni elettorali

De Boni Filippo

Tricase Romano Li borio

Tronca Scrugli Napoleone annullata l'elezione

Scrugli Napoleone

Urbino Silvani Paolo

Valenza Boggio Pier Carlo

Vallo Atenolfì Pasquale

Varallo

Varallo Guglianetti Francesco

Varese Speroni Giuseppe

Vasto Spaventa Silvio nominato secretarlo generale del

Ministero dell'interno

Spaventa Silvio

Vcrbicaro Giunti Francesco

Vercelli Borella Alessandro

Vergato Audinot Rodolfo dimissionario

Aadinot Rodolfo

Verolanuova Ugoni Filippo dimissionario

Giustiziai) Giov Batt

Verrés Mongenet Baldassarc

Vico Pisano Bastogi Pietro nominato ministro delle finanze

- 241 -

COLLEGI COGNOME E NOME OSSERVAZIONI

Vico Pisano Bastogi Pietro dimissionario.

Morosoli Rubustiano

Vigevano Robecchi Giuseppe (Sacerdote)

Vignale Lanza Giovanni nominato ministro dell'interno.

Lanza Giovanni

Vigone Oytana Giov. Batt.

Villadeati Monti Clodoveo

Villanuova (Asti) BonCompagni Carlo

Vimercate Massarani Tulio

Vizzini Paternostro Paolo optò per Comiso.

Arezzo Corrado

Voghera Pezzani Carlo

Volterra Nelli Lorenzo nominato procuratore generale

Gennarelli Achille annullata reiezione.

Bianchi Celestino

Voltri Castelli Demetrio

Zogno Zambelli Barnaba morto

Asperti Giuseppe dimissionario.

Molinari Andrea












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