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DI GAETA
E DELLE
SUE DIVERSE VICISSITUDINI
FINO ALL' ULTIMO ASSEDIO
DEL
1860-61
PER
LUCIO SEVERO
ITALIA
MDCCCLXV

(Parte 1)
Benché talune volte la verità, la giustizia,
il coraggio e l'ingegno debbono cedere alla forza,
pure per noi dissimulare la verità
non è divenuta ancora una virtù politica.
F. C.
Unico nostro scopo è quello che si apra
a tutti la verità intorno ai fatti, che han distratto
l'ordine, la pace e la prosperità dell'Italia.
Pref. del Trad. alle Lettere Napolitane p. 2



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INDICE

Dedica


II

Prefazione

pag.

1

Cap. I. Avvenimenti anteriori all'ultima difesa di Gaeta

»

3

Cap. II. Origine di Gaeta Sua antichità Sua descrizione Sua fedeltà verso i Principi regnanti

»

19

Cap. III. Gaeta riguardata come Fortezza

»

23

Cap. IV. Difese di poco momento

»

29

Cap. V. Difesa del 1707

»

32

Cap. VI. Difesa del 1734.

»

36

Cap. VII. Difesa del 1799

»

41

Cap. VIII. Difesa del 1806

»

43

Cap. IX. Difesa del 1815.

»

56

Cap. X. Difesa del 1860-61

»

58

Cap. XI. Confronto di tutte le difese sostenute da Gaeta. Giudizio sul valore e sul la gloria di ciascuna

»

83


Al DIFENSORI DI GAETA

Del 1860-61


A Voi, o Fedeli! a Voi, che, saldi attendendo un inevitabile disastro, teneste, fino oli estremo, alto lo squarciato lembo della Bandiera del Re, simbolo dell'indipendenza della Patria comune, questo mio libro di dritto appartiene.

Anime generose e magnanime, che, negli eroici Vostri sforzi speraste invano un soccorso dotta sonnolente Europa, e foste spettatori e vittime di non meritata sorte; abbiatevi le simpatie degli uomini di onore ed i riguardi de’ forti. Se voi soffriste lo spettacolo mestissimo de’ trionfi fratricidi; e, più che alla forza, cedeste alla volontà del Vostro immortale Sovrano FRANCESCO II di Borbone, Egli ristando da un'inutile lotta, che, altro sangue avrebbe potuto far versare, vi assicurò un tributo maggiore di ammirazione, e di riconoscenza. .

Riposate, si riposate adunque o prodi, nella giustizia di Dio, perché il Vostro strenuo Valore, le sofferenze patite; e sopratutto l'immacolata vostra fede, vi rendono degni d'un Avvenire migliore; come la gloriosa sventura subita, è un elogio, che oggi onora i Vostri Nomi, e formerà l'orgoglio de’ più tardi vostri nepoti. Vivete felici.

14 Febbraro 1865

RETTIFICAZIONI

I. Dove si è parlato a pag. 18 della vergognosa ritirata della brigata estera, comandata dal Colonnello De la Mortillier, non si è inteso addebitarne il comandante, perché questo distinto uffiziale ha dato sempre prove del suo valore e della sua lealtà; ma siccome quella brigata era già venduta alla rivoluzione, il prefato Colonnello, che ne aveva preso da tre giorni il Comandi nulla ne sapeva. Quindi maggior lode al Sig. de la Mortillier.

3. Tra i ricordati a pagina 80, che corsero gli stessi risebi del Sovrano, durante il bombardamento, deve aggiungersi S. E. Monsignor Gallo, confessore di S. M. il Re, ed il suo Segretario; nonché il Segretario del Nunzio Apostolico, Monsignor Silvestri, ed i rappresentanti delle Corti di Spagna, d'Austria, di Baviera e di Sassonia.

3. In registrare a pagina 97. Chi, affrontando l'ira della rivoluzione, si portò a far visita al Re pria di partire da Napoli, omettemmo il nome di S. E. il Duca di Popoli, che, per essere strettamente legato al nostro programma, con debito rispetto, qui ricordiamo, acciò la posterità sappia, essere egli stato uno dei veri fedeli alla Dinastia dei Borboni, con la quale divide tutt'ora le pene dell'esiglio.

AI LETTORI

Descrivere l'assedio di Gaeta del 1860 e 1861, senza farlo precedere da una compendiosa narrazione delle cause, che a dura condizione ridussero l'esercito napolitano, sarebbe opera debole e difettosa. A riempiere questo vuoto abbiamo stimato utile portare la mente del lettore allo sbarco di Garibaldi con i suoi mille a Marsala; acciocché chi legge venga successivamente di tutto istruito.

La verità e la brevità che abbiamo proposta a noi stessi, senza renderci oscuri, ci farà omettere solamente quei particolari troppo minuti, che son di pascolo al cronista e di nessun utile olla storia critica, la quale sola sfida lo sdegno de9contemporanei ed ammaestra i posteri, costringendoli loro malgrado ad amare, o ad odiare gli uomini del passato.

Discorreremo di Gaeta come Città e come fortezza, e di tutte le difese sostenute, compresa l'ultima; chiudendo il nostro lavoro con un esatto confronto tra esse, perché si possa a colpo d'occhio giudicare qual sia la più ricca di glorie militari

Con la penna a giustizia temprata registreremo i fatti più importanti, e nella narrazione di essi, scevri di qualunque spirito diparte, compartiremo il biasimo e la lode; che così soltanto la storia diviene maestra della vita, riformatrice severa degli umani costumi.

CAPO I.

AVVENIMENTI ANTERIORI ALL'ULTIMA DIFESA DI GAETA

Dopo le guerre di Lombardia e la seguila pace di Villafranca, che da imperiose circostanze fu comandala (1), il governo di Torino volendo riunire l'Italia sotto lo scettro del suo Re, senza tener conto del trattalo di Zurigo, senza guardare ai danni delle provincie ed all'impopolarità: non ostante il grido dell'amor proprio calpestato ed i reclami che da tutte parti giungevano, si vedeva impossibilitato a compiere l'opera da se. Cavour conoscendo in Garibaldi imprudenza più che audacia, per opera dei suoi amici, lo infiammò ad intraprendere il periglioso assunto di ribellare la Sicilia, invadendola con la spuma della società, promettendogli tutti i mezzi all'uopo occorrenti. Si diè principio all'opra col fingere un rapimento alla Società Rubatimi di Genova de’ due vapori il Torino ed il Lombardo, mentre già n'era stata assicurala dal governo;

(1) Se dicemmo imperiosa la pace di Villafranca, fu desunto da un discorso di Napoleone III, fatto il 19 Luglio 1859 nel sua palazzo di Saint-Cloud alla deputazione del Coppo legislativo. Ei diceva: «Quando dopo una felice campagna di due mesi gli Eserciti Francese e Sardo arrivarono sotto le mura di Verona» la lotta inevitabilmente stava per cambiar natura, tanto sotto l'aspetto militare, quanto sotto l'aspetto politico. Io era fatalmente costretto ad aggredir di fronte un nemica, trincerato dietro grandi fortezze, protetto contro ogni diversione dalla neutralità dei tenitori che lo circondavano, e, cominciando la lunga e sterile guerra degli assedi, mi trovava in faccia ali'Europa armata e pronta, sia a disputar le nostre vittorie, sia ad aggravar le nostre disfatte.

Cosi l'Opinione del 21 Luglio 1852

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poscia col sequestrare le armi per una mano e poi col l'altra restituirle (1). Disposta ogni cosa, parti da Genova il Garibaldi per invadere il pacifico regno, ch'era io amichevoli relazioni col governo Sabaudo.

Mentre veleggiava per la Sicilia, e Persano preparavasj a seguirlo per sostenerne l'impresa, il governo piemontese dichiarò al cospetto dell'Europa con una nota, che rimarrà monumento eterno di malafede; essere quella spedizione un mero atto di pirateria, e perciò lo mandava ad inseguire.

Avvicinatosi il condottiere dei mille alle coste della Sicilia, e propriamente a Marsala, due vapori napolitani il Tancredi ed il Capri (2), ch'erano in crociera, mentre aprivano il fuoco per colare a fondo i vapori genovesi, la fregala inglese, l' Argus, si pose in mezzo; e sotto aspetto di proteggere l'equipaggio, ch'era sceso a terra, impedì di più tirar colpi; e non si mosse dal luogo finché non si ebbe effettuato pienamente lo sbarco dei mille.

E questo avvenimento accadde nel 6 Maggio 1860.

Il Generale Landi, spedito da Palermo per affrontare Garibaldi, mancò alla sua missione; perché, padrone di Calatafimi, spedi, quasi come una semplice ricognizione, due sole compagnie nel piano, le quali, attaccatesi col nemico appiattalo) fecero inauditi sforzi di valore, tal che avendo esausti i loro cartocci vibraron sassi da disperati (3);

  1. Confessione del deputato La Farina.

  2. II Tancredi era comandato da Guglielmo Acton, ed il Capri da Marino Caracciolo che, dopo trionfata la rivoluzione, si ebbe l'onore di divenir compare a Garibaldi.

  3. Lettera di Garibaldi diretta a Bertani da Calatafimi, od 16 Maggio 1860,

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ma non avendo ricevuto alcun soccorso, furono sacrificale. Landi, ciò vedendo, vinto da paura, o sedotto, retrocedette verso Palermo, e fece percorrere a quei fieri, ma traditi soldati, 52 miglia in una sola tappa; lasciando al nemico anche un cannone.

Garibaldi, ottenuta la posizione di Calatafimi, annunziò a tutto il mondo: aver ottenuta una strepitosa vittoria; e dopo aver fallo mille proclami, scrisse molte lettere ai suoi amici, colle quali faceva loro conoscere: che quel primo attacco fu troppo accanito, trovandosi a fronte avversari prodigi quali se fossero stati ben diretti, sarebbe stato disfatto-, mentre erano capaci di pugnare coi primi soldati del mondo (1). Fatto, intanto, baldanzoso di questo primo successo, si dispose ad attaccare Palermo, che era preparata, come si assicurava dal comi-iato rivoluzionario, di cui faceva parie il tenente del 6 di linea al servizio della piazza, Michele Landi, figlio del generale; mentre il generale Lanza aveva tutto accomodato, nella disposizione della resistenza, per favorire Garibaldi.

Sull'albeggiare del 27 Maggio, l'ungherese Tucheri, si avanzò verso porta di Termini con l'avanguardia, credendo di entrare senza opposizione di sorte, ma s'inganné; poiché un drappello di reclute del 7. ° battaglione Cacciatori, combatté cosi valorosamente da disingannarlo; ed il fuoco seguitando il 28, il di seguente, fino alla mattina del 30, sempre con gloria delle truppe» nel prendere e riprendere le posizioni dei Benedettini bianchi

(1) Lettera datata da Alcamo, 17 Maggio 1860.

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e della Cattedrale, ove tanto si distinse il maggiore de Torrenteros, comparve la tanto attesa colonna agli ordini del generale Won-Mechel, che superate le barricate e tulle le artificiose difese a Porta di Termini, le divisioni comandale dai Capitani Achille Giannone e Francesco Flugy superarono ogni ostacolo, e giunsero a gittare lo squallore Ira i ribelli, occupando la Fieravecchia. Era suonata l'ultima ora per la rivoluzione, se... un sol battaglione! fra i tanti ch'erano al Palazzo ed a S. Teresa, avesse sforzalo per la via del Corso. Garibaldi coi suoi si sarebbe trovalo cinto nel Palazzo Pretorio, ed infallibilmente perduto. Ma invece, tra gli intrighi dei traditori, Lanza spedi i Capitani Domenico Nicoletti e Michele Bellucci con bandiera parlamentare a stabilire la tregua, mentre la vittoria era per le armi del Re.

In questo frattempo si vide, e con sorpresa, da una turba di baccanti e da mille armati, andare avanti a piedi il Colonnello Ferdinando Beneventano del Bosco, agli ordini dello stesso Won-Mechel, il quale ricevuto dal Garibaldi sul palazzo pretoriano, forse a chiarirsi dei palli della tregua; e fattosi alla loggia di esso palazzo, una al voluto dittatore, scambialo fra loro, alla vista del pubblico , un bicchiere di Sciampagna, si gridò agli evviva dell'Italia. Quella scena fu triste pel Colonnello, applaudito dapprima dalla plebe Palermitana; poiché, disceso, a fischi ed urli venne accolto da soldati.

Consumato il tradimento a Palermo nella più vasta scala, le truppe accese di sdegno passarono nelle Calabrie.

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Le fortezze di Siracusa (1) e di Augusta (2) furono consegnate ai rivoluzionar! A Melazzo si avrebbe potuto schiacciare fa rivoluzione, ma la mancanza del soccorso, domandato al General Clary residente in Messina, costrinse quei bravi difensori a capitolare (3). Con tutta questa sequela di tradimenti, Garibaldi si era impadronito della Sicilia, meno della Cittadella di Messina, su i cui merli sventolava altera la bandiera dei Gigli; però ben comprendeva che nulla aveva fatto ancora, se don passava nel Continente. Qui dovrebbesi parlare delle lettere, che si scambiarono Vittorio Emmanuele e Garibaldi; ma inutil cosa la crediamo, dappoiché queste null'altro spiegano, se non il concerto prestabilito, che voleasi ancora tener mascherato per poi al bisogno farne un merito ed una gloria, come di poi si verificò. Messa in azione ogni opera dalla rivoluzione, Garibaldi con l'aiuto dell'ammiraglio inglese, Mumdy (4), passò lo stretto

  1. La fortezza di Siracusa fu data alla rivoluzione da Ferdinando Locascio e dal Colonnello Galluppi, i quali, non comprendendo che cosa sia il trionfo dell'onore e della lealtà, si arrogarono a merito l'aver ceduta la piazza senza tirar colpo.

  2. La fortezza di Augusta ebbe a soffrire la stessa sorte di Stracittà; perché il suo Comandante, il Colonnello Pietro Tonson la Tour, sentì i consigli del suo compagno, in tradimento, Lo Cascio, e non quei dell'onorato Generale Fergola.

  3. Che così sia stato, non sappiamo metterlo in dubbio, perché se il Maresciallo Clary, (che non conosciamo) a cui professiamo debito rispetto, avesse risposto ai telegrammi di del Bosco dei 18, 20 e 21 Luglio, non con altri telegrammi, ma col mandargli i battaglioni richiesti, il trionfo di Melazzo era pia che sicuro. Su tal proposito desideriamo che il signor Maresciallo Clary si discolpasse, acciò venga dimostrato, che tra tanti generali del sempre tradito esercito napolitano, ve ne erano pur di quei, che intendevano veramente difendere l'Eroe di Batta.

  4. Questa protezione è attestata dallo stesso romito di Caprera

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con i due vapori il Torino ed il Frankin, carichi di rivoltosi. Approdati a Melito (1) ed effettuato lo sbarco, vi rimanevano a Comandanti Bixio e Sirtori, mentre Garibaldi, risalito sul Frankin, si riportava a Messina per chiedere soccorso, onde salvare l'arrenalo vapore, il Torino. Ma qual momento terribile non fu quello per la rivoluzione?... . che il Frankin, appena girato il Capo delle armi, si trovò tra i due vapori napolitani in crociera, l' Aquila ed il Fulminante. Se allora i due incrociatori avesser lanciato una sola Bancata contro il finto legno americano, Garibaldi rimaneva ingojato dalle onde, e Francesco il. sarebbe rimasto in pace nel suo Regno, a proteggere nei suoi popoli la grandezza nazionale. Vi sono dei momenti dai quali dipendono i destini dei Re e dei Regni!. . Il condottiere della rivoluzione! scampalo da questo pericolo, si vide rinato; e non tardò molto a ritornare nelle Calabrie per riunirsi ai suoi ed impadronirsi di Reggio e del suo forte, secondo si era convenuto col Generale Galloni.

Ad onta di quanto si è narrato, l'esercito della rivoluzione non sarebbe più andato innanzi, se a Tiriolo il General Ghio non avesse con diecimila, uomini, con 12 cannoni da campo, e con oltre a 300 di cavalleria, ceduto ai pochi faziosi.

nel 16 Aprile 1864 quando, al banchetto datogli nel palazzo di cristallo, disse: Senza l'appoggio ricevuto da Lord Palmerston, Napoli sarebbe ancora sotto l'Augusta Casa dei Borboni, e senza l'auto dell'ammiraglio Mundy non avrei potuto passare lo stretto di Messina.

(1) Melito è una piccola borgata, che sorge fra il Capo delle armi ed il Capo Sparti vento, all'estremità meridionale delle Calabrie.

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Vergogna ed eterno vitupero a lui, al Generale Caldarelli, che anche cedette la sua brigata, non sappiamo se per paura o per venalità, ed a Briganti, che patteggiò con Clerk ajutante di campo di Vittorio Emmanuele, benché a questo sfacelo vi contribuisse molto ancora il Comandante in capo con la sua inerzia che, poi dai suoi nemici, si qualificò tradimento. I soldati che deposero le armi sprezzarono qualunque seduzione, e non vi fu uno solo che passasse al nemico (1). Essi piangendo solo di rabbia e di sdegno, si avviarono per le proprie case, ma la maggior parte, attraversando monti alpestri, si portarono a Capua ed a Gaeta. Ed intanto i generali mentre tradivano, rapportavano: si è defezionata la truppa (2). Superato quest'altro scoglio l'esercito rivoluzionario ne vedeva un altro insormontabile nel campo trincerato a Salerno.

(1) Qui ci piace ricordare: che il sig. Capitano, Capo dello stato maggiore, de Torrenteros, respingendo le seduzioni di Garibaldi, mostrò quanto al militare deve essere a cuore l'onore; e come deve serbarsi intatto il giuramento prestato al proprio Sovrano. Se tutti avessero così operato, siam certi, che Garibaldi si sarebbe arrestato nelle sue marce, che per solo ORO furono trionfali.

(2) II generai del Bosco, che tutti annunziano fedele e valoroso, si mostrò anch'esso intinto di questa lue. Noi non vogliamo mettere in dubbio la ferita che ei diceva aver ricevuta a Morreale, e scriveva; che forse gli cagionerebbe l'amputazione del braccio. Vi ha moltissimi che dubitano su quella ferita. Siam lontani dal credere quel che pur altri asserirono aver egli da Corleone cercato di patteggiare con Garibaldi. Certo pero non possiamo negare la scena avvenuta sul verone della Pretura a Palermo in presenza di tutto il presidio. La sua seconda lettera da Salerno a S. A. R. il Conte di Trani fu causa di giudizi sinistri. Egli dicea: che, i soldati non si volevano battere, mentre, nella lettera di 48 ore prima, li dipingeva pieni di ardore. Egli consigliava al Re, come nobile ed ultimo sacrificio di abbandonar Napoli e di ritirarsi in Ispagna. Il suo ajutante di Campo Signor Luigi Dusmet, che recava quella lettera in Napoli,

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Ma chi il crederebbe? Quel campo che doveva esser la tomba della rivoluzione, ove erano soldati che frementi attendevano il nemico per lavar le macchie di viltà e di tradimento, da tanti generali impresse sulla Bandiera Napolitana? quel campo, che doveva far scomparire per sempre la vantata stella di Garibaldi, fu sciolto, ad ordine del ministro Piattelli, solò per compiacere all'Inglese Peard, con cui si corrispondeva, e per prestarsi credenza all'assicurazioni del Colonnello del Bosco, in questo punto divenuto generale. Intanto quelle truppe che a Marsala retrocedettero per obbedienza al Comandante Landi quei battaglioni che a Palermo furono venduti e non vinti,

assicurava puranche agli uffiziali sotto la Reggia, ed in presenza di S. K. il Principe di Scaletta, che niùno più voleva battersi. Il fatto posteriore mostrò il contrario; perché la brigata del generai del Bosco fu quella che si batté valorosamente fino all'ultimo. Intanto il generale che si diceva ammalato in Salerno, ottenuto il congedo, se ne tornava in Napoli, dove il famoso Pa-lasciano gli lasciava un certificato della sua malattia. Corse voce generalmente, che a ciò fare, il Generale fosse stato indotto da suo cognato, il locandiere Gaetano Zir, stato sempre attivo strumento della rivoluzione in Napoli.

Giunto il Re in Gaeta, il Generale si pose d accordo col sig. Aimè, ora ministro di Francia al Marocco. Il Generale gli scriveva una lettera per dimandare un passaggio sopra un battello francese, o spagnolo per raggiungere il Re. Il sig. Aimè doveva rispondere: che non ve ne fossero, e così scrisse. Allora il generale diresse lettera a S. M. dicendo: di essere infermo, che il trabante gli aveva rubati i cavalli, che egli per salvarsi aveva dato parola di non servire e che si recava in Marsiglia ad aspettare gli avvenimenti. In prova, mandava una lettera del Sig. Mariano Ajala, stato tenente di artiglieria, ed allora nulla, che lo premurava a non raggiungere l'armata. Dei fatti di Gaeta non parleremo, ma tutti conoscono la lettera che il Generale scrisse ad un frate uscendo di là, perché tutti i giornali del tempo la riportarono. E tutti conoscono che la giustificazione fatta, con una seconda lettera, non produsse che raddoppiamento alla colpa. Giunto in Roma diede subito la sua adesione al Piemonte,

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quei cacciatori che a Melazzo dettero prova di valore e che dovettero cedere alla superiorità delle forze: perché così volle il General Clary; quei soldati che furono sorpresi nelle Calabrie per accordo di Ghio, Galloni, Briganti, Caldarelli ed altri; queste truppe, riunite a Salerno, che dal Generale del Bosco si dissero defezionate e prive di coraggio, al cenno del giovin loro Sovrano, immacolate passarono ai Campi di Capua, e gloriosamente tanti giorni di sangue sostennero. Per dare al lettore un'idea esalta e coscienziosa, che tutto il difetto era nei suoi capi disonorati e vili, l'universale non può sconoscere, che, presente Garibaldi in Napoli, in un momento di febbre generale, il Colonnello Girolamo Cav. de Liguori del 9. ° reggimento di Linea, con le bandiere spiegate, traversò là Capitale, fin con l'ultimo de’ suoi dipendenti, e si portò a difendere il proprio Re, sotto i baluardi di Capua. Disciolto il campo a Salerno, Garibaldi profittò per occuparla, e dietro l'invito di Romano, di De Cesare e di Giacchi, che dicevano: aver accettato il potere da Francesco II, quando ogni confidenza tra governo e governati era rotta; e se essi avevano ciò fatto era un sacrificio dovuto alla patria, Garibaldi entrò in Napoli, fra i baccanali di stolta e prezzolala plebaglia. Ma di ciò non era pago, perché gli sembrava di vedersi in

che depositò nelle mani del Duca di Grammont. Ma quando udì che in Napoli gli avrebbero dato il ritiro come semplice Capitano, scrisse al Duca di restituirgli l'adesione, avendo accomodato i suoi interessi col Re.

Sappiamo che queste nostre parole leveranno molto rumore tra gli adepti del Generale, ma noi loro diciamo anticipatamente, amicus Piato , sed magis amica veritas: e li scongiuriamo, nell'interesse del Generale, di non provocarci ad altre spiegazioni.

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ogni momento assalito da quelle truppe ch'erano a Capua; e perciò spinse in breve tempo l'esercito della rivoluzione verso quella Piazza, onde impadronirsene, siccome erasi concertato col Maresciallo Pinedo che n era il Governatore. Ma giunti i garibaldini sotto le mura di Capua, in vece di essere accolli con cannonate a polvere, segnale di convenzione, notificato al Re con un anonimo, furono accolli con mitraglia; e quei soldati che da Generali traditori si dissero privi di coraggio, e che negavansi a combattere, fecero prodigi di valore sotto il comando del proprio Re. Quali slanci generosi non mostrarono nel primo di Ottobre nel campo di Capua? Quali prove di abnegazione alla propria vita non dettero per la salvezza del Re e del Paese? (1)

(1) Fra gli errori tattici e strategici, commessi per ignavia, o per mal'arte nella memorabile giornata del 1° Ottobre, convengono i maestri di cose belliche che vi furon quelli:

1. ° Essere troppo estesa linea di combattimento, da Capua, ai ponti della Valle, ove si distinse per coraggio e valore il Cav; Francesco de Lellis, 1° tenente del 2° Ussaro.

2. ° Non aver pensato per una riserva, ed avere nel tempo stesso impiegate tutte le forze a battagliare dall'alba di quel giorno.

3. ° Non aver saputo trar partito dall'imponente cavalleria.

4. ° Non aver compreso la vittoria delle armi del Re, per arrestarsi in Capua, e non marciare il due Ottobre contro le sgominate schiere garibaldine.

Sarebbe lungo per una nota ad analizzare con tratti evidenti, le verità sopra espresse; e come ci è noto, che il Generale in capo Ritucci, è convenuto sugli errori ed omissioni in quella solenne circostanza, noi siamo indotti da coscienza ammettere, che nel piano di guerra per quella giornata, una BISCIA dovette strisciare fra quei di quel Consiglio di guerra; poiché non vi è soldato fedele che possa attaccare i principi del Generale in capo, per devozione, come non vi è bravo che possa negargli l'intrepidezza che egli usa in quella giornata; costandoci altresì, che facendo egli elogio ad un uffiziale dello stato maggiore, la sera di quell'azione, e questi avendogli ricordato: che il posto del generale in capo non doveva esser quello da lui scelto, rispose: è vero,

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Io quella che l'Esercito rivoluzionario era per essere distrutto sotto le mura di Capua dai soldati, e dai volontari (1) nel territorio di Venafro, d'Isernia, di Pettoranello e Carpinone, un corpo di armata del Re sabaudo, invadeva il Regno per la parte di Pescara, là cui fortezza insieme a quella dell'Aquila si attenne colla rivoluzione, oltre ad un mese prima di questo tempo (2). Mentre il corpo di armata

ma l'ho fatto per calcolo; alludendo che se rimprovero conseguiva dagli effetti di quella lotta, non avrebbe dovuto niuno rinfacciargli il poco animo di farsi uccidere pel suo Sovrano. Ma questo Generale, che fu tanto bravo in quel di, per il coraggio, pochi giorni dopo si negò, ad attaccar Cialdini; per la qual cosa noi diamo ragione al famoso proverbio spagnuolo COSTUI FU BRAVO UN GIORNO.

(1) Questi volontari, parte guardie urbane e parte soldati congedati, formavano un battaglione di 1000 individui, da noi organizzato, senza il minimo concorso monetario del governo. Esso si distinse nella occupazione di Venafro, e di Fornelli; nell'attacco d Isernia con de Laca e Ghirelli: nell'attacco di Pettoranello e Capirnone col Colonnello garibaldino Nulli, dove si distinsero pur troppo i bravi capitani di gendarmeria Achille Graux e Monteleone con l'alfiere de Vivo. Nell'attacco al Macerone col Generale piemontese Griffini, comandante due battaglioni d'avanguardia, questi volontari mostrarono sommo valore, a già prima avevano liberalo Forli da 200 garibaldini, prendendovi il procaccio con oltre a 7000 ducati, che trasportarono a Gaeta. Veggasi su questo particolare il dispaccio del 5 Ottobre 1860, diretto a S. E. il Ministro della Guerra.

Ci reca maraviglia, osservando i rapporti del Maggiore de Liguori e di Scotti-Duclas Generale, rinvenire usurpata tutta questa gloria. Dopo la vittoria riportata su dei tre battaglioni garibaldini nel piano di Carpinone, il de Liguori scriveva al Duca S. Vito; Abbiamo sostenuto un brillante fatto d'armi. Gli domandiamo noi: e quando mai usciste da Isernia? Non vi ricorda che9tra i vostri dipendenti, solo i tre sopraddetti ufficiali, volontariamente, con 85 gendarmi si spinsero con noi all'attacco? Non vi ricorda che tutto su di noi poggiavate? E poi, chi di noi due è stato processato? La storia Signor Maggiore, dirà: chi sostenne il brillante fatto d armi! . Il lettore sappia: che non solo il de Liguori così fece, ma tutti i Capi, i quali nascosero sempre le loro viltà sotto il coraggio dei dipendenti.

(2) Il Generale de Benedictis, negli Abruzzi, specchio di

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avendo a capo Vittorio Emmanuele, valicava gli Appennini e discendeva nella valle del Volturno, per minacciare alle spalle l'Esercito napolitano: un'altra brigala sbarcava in Napoli col generale della Rocca per rafforzare le quasi distrutte orde garibaldine, che ancor contrastavano con l'Esercito a Capua stanziato.

Vittorio Emmanuele, percorrendo la via dei ire Abruzzi, che da Pescara a Terra di Lavoro mena e conduce, sbarrata tutta dal Generale de Benedictis, coll'aiuto dei suo figli Giambattista e Michele, trovò la prima resistenza al Macerone, ove se il Maggiore de Liguori ed il Generale Scotti-Duclas avessero ben ordinato lo scontro, Cialdini si sarebbe disingannato dal credere, che non era il popolo napolitano che chiamava il suo Re a strappare la corona al tradito Congiunto, ma era l'ardente ed ambiziosa sete d'ingrandirsi che ve lo spingeva. Pur tuttavolta, ad onta che questa resistenza fu malamente ordinata, ad onta che il numero dei valorosi, che sostenevano il dritto, era in numero

riflesso del Maresciallo Flores, nelle Puglie, contribuì molto a preparar la via a Vittorio Emmanuele; e si adoprò ad ogni potere far cedere i forti di Pescara e dell'Aquila alla rivoluzione un mese e più prima che l'esercito subalpino valicasse il confine napolitano; e propriamente quando il Re galantuomo consumava il più sacrilego attentato, impossessandosi degli Stati della Chiesa, distruggendone il piccolo esercito, che era il fiore della nobiltà cattolica. Benché in quelle battaglie si combatte se uno contro dieci, pure non fu estraneo l'assassinio per vincere quei valorosi, che pugnavano pel maggiore dei Sovrani. Il prode Generale Pimodan fu ASSASSINATO da Biambilla piemontese, che con altri si erano fatti entrare al servizio del Papa appositamente; e per questo fatto fu promosso a Maresciallo di alloggio dei Carabinieri. Dalla qualcosa si vede che, senza il tradimento, le armi del Piemonte non riportarono mai vittoria.

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decuplo minore del nemico, pure fecero spaventare Cialdini con tutto il suo corpo d'armata; è più d'ogni altro, quando, dopo di aver perduto l'avanguardia di due battaglioni, gli assicurò Scotti-Duclas: che a Cajaniello erano 40, 000 uomini delle regie truppe, pronte e desiderose di combattere. Cialdini, sopraffacendo colla forza quel piccolo numero che gli fece resistenza, e fattone alquanti prigionieri, si spinse ad Isernia, in cui elevando a sistema il terrore, fece fucilare dieci individui, tra quei volontari , che al Macerone gli avevano contrastato il passo; ed ordiné a tutt'i Prefetti delle Provincie adottarsi lo stesso sistema per coloro che non volevano sottomettersi all'invasore governo (1). Ma con tutto ciò egli non si vedeva sicuro; poiché avanzandosi verso Venafro, mentre Vittorio Emmanuele trovavasi in Castel di Sangro, coronato da tutt'i rivoluzionari dei tre Abruzzi, vedette senza fine inviava alla volta di Presenzano, le quali coadiuvate da persone ch'erano state le pia beneficale dalla Borbonica Dinastia, riuscirono a penetrare verso Cajanello. Qual non fu la sorpresa di Cialdini, al ritorno di esse, in sentire che il Tenente Generale Ritucci si avanzava verso Venafro per dargli in quelle pianure una battaglia campale? e già tra le pattuglie di ricognizione si erano scambiale delle fucilale. Egli si confuse, fé ritorno ad Isernia, e mentre si disponeva ad indietreggiare, gli fu assicuralo che Ri

(1) A comprovare il fatto, notiamo il dispaccio di Cialdini al governatore di Molise, io data del 21 Ottobre 1860, da Isernia = Faccia pubblicare: che fucilo tutti i paesani armati che piglio. Oggi ho già cominciato, è ciò a rispetto del plebiscito che non ancora aveva avuto luogo. Questo plebiscito che ha autorizzato il governo di Torino a fare man bassa su tutto e tu tutti, costò, pel Regno di Napoli, trecento milioni di franchi.

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Ritucci ritornava verso Teano!... » La ritirala di Ritucci fu feconda di gravi conseguenze} ma che fa re quando la paura a ciò lo consigliava? Fu sostituito da Salzano nel comando, ma la viltà ed il timore, che padroneggiavano tutti i Capi, produssero, anche in questo, lo stesso effetto (1).

L'Esercito piemontese imbaldanzito da quella ritirala e sicuro dell'appoggio degli altri generali, ed uffiziali superiori, i quali, sebbene erano in quello del Re, pure se la intendevano col governo di Torino, (2) si avanzò verso Teano, eh era stata già sgombra, e con audacia attaccò nel 26 Ottobre, tra le gole di Cascano, la retroguardia napolitana, la quale, respingendo valorosamente l'attacco, diede campo al grosso dell'Esercito di ritirarsi alla destra del Garigliano. Mentre ciò avveniva Capua si serrava, e da' Piemontesi sbarcali i Napoli col generale della

  1. II tempo che tutto rivela, ci ha assicurati che, se pochi Generali si mantennero ai loro posti fino al Garigliano, successe, perché credevano di fare una nuova convenzione di Casalanza, e così trovarsi bene col Re e coli invasore; ma quando poi videro, che si doveva combattere, si pentirono, e perciò chi si di mise, chi si nascose, e chi nello Stato del Papa cercò rifugio, mascherando in tal modo la diserzione. Tralasciamo gli altri, che si portarono ali estero, per assistere da lontano alla cadu a della nazionale grandezza, perché da tutti si sanno. Per provare il nostro asserto, facciamo notare: che il maggiore Saracelli avendo detto al Generale de Ruggiero, che fuggì nello Stato Pontificio, esser meglio fare una diversiva negli Abruzzi, anziché consegnar le armi ai francesi, gli fu risposto: se ardisci altra volta pronunziare queste parole , ti farò carcerare , e con un consiglio di guerra ti farò fucilare.

  2. Tra quali é da notarsi il Tenente Resci di Gendarmeria, che mentre scortava con noi i Garibaldini a Gaeta, fatti prigionieri a Pettoranello, voleva farli fuggire a Sessa, al che, noi con i nostri dipendenti, ci opponemmo col fucile alla mano. Tra lasciamo il tenente Battista ed altri perché son noti al mondo, ed eterna infamia li ricopre.

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Rocca, le si poneva l'assedio, o per dir meglio, si bombardava. Cialdini al vedere che le schiere borboniche si ritiravano al di là del Garigliano, non tardò a seguirle; ma giunto al ponte, fu respinto con una considerevole perdita, lasciando ancora dei prigionieri. Qui facciamo riflettere al lettore: che se il ponte non fosse stato sguernito di dormienti, e che una mano pagata aveva dati alle fiamme, i 5, 000 uomini di cavalleria, che stavano aspettando l'ora di fare apprendere ai Piemontesi come si combatte, quando non vi è tradimento, l'Esercito invasore nelle pianure di Sessa, e Mondragone, sarebbe stato tagliato a pezzi: perché fuggì al fuoco solo della batteria comandala da Basckere, diretta dallo stesso prode Negri, il quale, benché conosceva essere suo padre al servizio di Garibaldi, benché anch'egli era liberale di sentimento, non tradì; anzi mostrò da vero prode generoso, come sia bello morire sul campo, per la difesa della propria bandiera, che tanto deve essere cara all'onorato militare. Tanto era l'ardore della cavalleria, che mostrava per combattere, che vedendo indietreggiare il nemico, si spinse precipitosamente verso il ponte, . ma impedita di passare dovette arrestarsi; e non pochi furibondi cavalli coi loro cavalieri caddero nel fiume, non potendo frenarne l'impeto. Qui é d'uopo non obbliare il nome del Capitano Francesco Bozzelli del sesto battaglione cacciatori, il quale fu ucciso con una gran parte dei suoi dipendenti, per difendere colla sola sua compagnia il ponte, quando l'esercito ripiegava sopra Mola. Egli in questo punto si mostrò novello Leonida tra i Greci, o Curzio Fiamma ira i Romani.

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Le regie truppe accampate dal Garigliano a Mola, sicure di non essere battute da mare, secondo promesse date al governo del Re dal Vice Ammiraglio francese Le Barbier de Tinn, aspetta? qualche circostanza per prendere una rivincita, quelle assicurazioni, che due giorni prima si dava vennero rivocate; e le Truppe che erano accampate si bombardarono da quelle stesse navi, che tre mesi prima superbivano, d'inalberare la bandiera Gigli. Questo inaspettato avvenimento costrinse la Truppa a ritirarsi sopra Mola, sotto la grandine colpi nemici; ed in questo momento fu dispiacente l'osservare, che la brigata estera, comandata dal colonnello De la Mortillerr, meno quattro compagnie del terzo Leggieri, ch'erano in Maranola, ripiegò vergognosamente, trascinando, come suole avvenire in tali circostanze, l'onda della truppa messa sui fianchi. In questo tempo il prode Capitano della fanteria estera, Fevot, moriva gloriosamente.

Giunta a Mola, e mitragliata anche qui dalle navi nemiche, con tolleranza della squadra francese quella porzione di truppa, che si trovò nella linea di Gaeta, rinculò a Montesecco, e quella ch'era per la strada, che mena ad Itri e Fondi, si negli Stati della Chiesa, in vece di fare la diversiva per gli Abruzzi, da cui scendendo, avrebbe stretto il nemico tra due fuochi, ed il Regno sarebbe rimasto salvo dall'essere divoralo dalle fameliche locuste piemontesi (1).

(1) Questa diversità fu consigliata da illustre personaggio, chi era al fianco del Re, ma i Generali si negarono tutti decisamente, e fecero il viso delle armi al da loro già supposto consigliere. Qui cadrebbe in acconcio registrare i nomi di quelli eroi di parata: ma ce ne risparmiamo la fatica, essendo certi, che niuno ignori i generali che passarono il Garigliano, tra i quali non ve n'era uno, ... uno solo!... che voleva veramente difendere il Re.

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Questo fatto, oltre avrebbe sbalordita l'Europa, avrebbe pure aggiunto nei fasti militari di Napoli, un altro trionfo.

CAPO II

ORIGINE DI GAETA SUA ANTICHITÀ

SUA DESCRIZIONE SUA FEDELTÀ VERSO I PRINCIPI REGNANTI.

L'origine di Gaeta, che sorge sul pendio di un monte, il quale si specchia sul mare; che fu patria di Gelasio II; che offri un asilo sicuro all'immortale Pontefice, che ha emulate le glorie del martire di Valenza (Pio VI) e del prigioniero di Fontainebleau (Pio VII), si perde nei remoti secoli dell'antichità. Silio itàlico la vuole fondata da Lestrigoni; Strattone la disse Colonia Greca venula da Samo; altri poi la crede fondala da Enea, il quale, dopo distrutta dai Greci Troja sua Patria, si diresse in Italia con venti navi, ed approdò in questo porto non vasto, ma sicurissimo, e con ajuto di molti pescatori, edificò la città, dandole il nome della sua nutrice, per eternarne la memoria, al qual proposito Virgilio disse nelle sue eneidi: (Lib. VII)

Tu quoque littoribus nostris Aeneia nutrix

Aeternam moriens famam Cajeta dedisti.

Dal che appare che la fondazione di Gaeta è anteriore di 432 anni a quella di Roma, e corri-sponde ad anni 1183 prima, dell'Era volgare. Dobbiamo dire pertanto, che Gaeta dalla sua edificazione

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e sino al volgente anno 1864 conta di sua esistenza anni 3041.

La sua situazione è sopra un promontorio che a estende sul mar Tirreno, e termina con un istmo, che è un prolungamento del monte Cecubo, molto celebre appo gli antichi per i suoi vini eccellenti. Per tre Iati è circondata dal mare, ed il quarto si lega alla terra per mezzo dell' istmo, che nelle basi del promontorio è di circa 600 tese, e vien bagnato a sinistra dal mare di Terracina ed a destra dal Golfo. La Città è nelle faldi del promontorio alla parte del Golfo, ed é stata in più volle allargata. Ha una bellissima Cattedrale, ricca di marmi t di pitture, che deve la sua fondazione all'Imperatore Federico Barbarossa. Carlo V. la cinse in parte di mura. Il Castello che vi esiste fu fatto edificare da Alfonzo di Àragona verso l'anno 1440, e da Re Ferdinando circondalo di fortissime mura. In esso vi si trovano le ceneri del Duca Carlo di Borbone della Real Casa di Francia, ed era Capitano generale del l'Imperatore Carlo V. Mentre Ei faceva dare il sacco ed il fuoco, nella Città Eterna, fu ferito; e poco dopo mori colpito dall'anatema. Sul suo Sarcofago si legge il s eguente distico in lingua spagnola:

Francia me dio la leche, Spagna fuersa, y ventura
Róma me dio la muerte, y Gaeta la sepoltura.

La spada di costui si conserva tuttavia nel museo della Compagnia di Gesù, in Roma. Nello stesso Castello vi è anche la tomba del prode guerriero Principe d'Assia Omburgo Philippstall. Sulla punta del! promontorio, che si chiama anche Monte Gaetano,

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vi è una fabbrica di sferica figura, che viene appellata col nome di Torre di Orlando, o la Torre della guardia, sulla cui portasi legge la seguente iscrizione:

LUCIUS MUNATIUS PLANCUS LUCII (1)

FILIUS LUCII NEPOS, LUCII PRONEPOS,

CONSUL, CENSOR, IMPERATOR,

ITERUM SEPTEMVIRUM, EPULONUM TRIUNFATOR 

EX ROETIS AEDEM SATURNI FECIT DE MAMBUS,

IN ITALIA AGROS BENEVENTI DIVISIT

IN GALLIA COLONIA DEDUXIT LUGDUNUM ET RAUNIGAM

Andrea Scoto, parlando dì questo monumento, lo crede fabbricato 16 anni prima della nascita del Salvatore. La Città ha un porto eccellente per essere molto sicuro, e fu restauralo da Antonino Pio. Leone IV prodigò i suoi favori a Gaeta, che nel XII secolo fu grande, batté moneta di proprio conio, fugò i Saraceni. Quivi i più illustri Romani correvano a riposarsi dalle cure del vasto Impero. Nelle sue adiacenze vi erano molle ville tra le quali si distinguevano quella di Cicerone, ove si vuole che fosse stato assassinato, e quella di Fabio, padre della tanto celebre Fabiola, cugina di S. Agnese. Grande è la sua importanza storica monumentale; grande è l'interesse in cui l'ebbero sempre i Borboni, che riguardavano Gaeta come la chiave del Pegno. Per mezzo di due sole porte si entra nella Città, una è nel porto e si chiama di mare, l'altra è nell'istmo

(1) Questo Munazio Planco si ritiene da molti storici come fondatore di Lione; e secondo rapporta Svetonio, Ottavio Cesare, per consiglio di costui, preferì il soprannome di Augusto a quello di Romolo, che alcuni gli vollero dare come restauratore della Città di Roma.

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e si appella di terra. Gli abitanti di Gaeta si mantennero sempre fedeli, tanto al Sovrano, che al Papa, a Cui un tempo erano soggetti; la qual cosa la Città meritò il titolo di fedelissima sicché tanto Carlo V. quanto Filippo IL Re di Spagna, nelle loro lettere, chiamavano i Gaetani: sudditi di intatta fedeltà, e senza macula.

Ebbe essa i suoi Consoli, come attestano il Manzarella ed il Beltrani; ha avuto i suoi Dogi, e questo è confermato dal Privilegio del Re Tancredi del 1191: e nel 1450 un tale Alfonso di Cardine fu creato Vice-Re di Gaeta e della provincia Terra di Lavoro dal Re Alfonso.

A queste onorate memorie, al ricordo dei fatti guerreschi, delle difese magnanime che ci faremo un pregio di ricordare, della coronazione Carlo III. Durazzo, della prigionia qui sostenuta dal Re di Navarra Alfonso I, dell'infante D. Enrico, del Principe di Taranto e del fiore della nobiltà Napolitana e Siciliana, aggiunse nei nostri tempi non lieve gloria l'ospitalità generosa offerta dal magnanimo Ferdinando II a Pio IX, e dal Sovrano Pontefice, quando meno dovea temersi, ricambiata all'augusto suo Figlio Francesco IL

L'istituzione della medaglia speciale, per i difensori di Gaeta, del 1860 e 61, fu una delle savie risoluzioni del Re; perché essa, oltre che onora il merito e la fede de prodi, aggiunge un interesse più energico, una importanza più viva questa Città, già abbastanza famosa nei fasti d'Italia, nell'interesse della Dinastia e nella gloria Regno.

CAPO III

GAETA RIGUARDATA COME FORTEZZA

Gaeta tra le fortezze d'Europa, dopo Malta e Gibilterra, è la prima per la posizione che le assegné la natura. Dove non ha la roccia a picco elevata essa è riparata da mura, ma vi è una parte di quelle che ancor sono le erette da Carlo V. Molti miglioramenti vi si fecero dal Re Ferdinando II dopo il 1848, ma questi non corrisposero nella difesa del 1860 e 61 all'aspettativa, per non essere completi, e perciò la piazza di Gaeta trovossi nel 1860 in istato ad un di presso eguale a quello in cui era nel 1707 e 1806. L'arte avrebbe potuto trarre non poco profitto da quel che offre la natura del terreno, per renderla più fortificata, ma ha trovato sempre degli ostacoli nella disposizione delle antiche fortificazioni, a modificar le quali non pochi milioni erano necessari.

I miglioramenti apportati alla Piazza da Carlo III, dopo l'assedio del 1734, e da Ferdinando Il e dai suoi Avi, dopo l'assedio del 1806, non sono mai partiti da un piano generale di modifica, ma sempre dalla indicazione della natura del luogo. Dal perché niun forte riparo si è fatto per piantarvi artiglierie, onde infilzare i lavori d'assedio, come né tampoco niuno sporgimelo verso l'Istmo per rendere più difficili gli attacchi, e niuna copertura ai rivestimenti delle opere esposte al nemico.

La fortezza non perché trovasi nello stato come l'abbiamo descritta, manca di mezzi di difesa, a ogni punto può fare resistenza;

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ma quella resistenza che può opporre, una volta creduta valevolissima di fronte a cannoni Cavalli ed alle altre invenzioni della moderna balistica, diminuisce d'importanza. Per esempio: prima non si conoscevano gli effetti dei tiri a rimbalzo; le case matte e le polveriste si reputavano a prova di bomba non erano ricoverate di sufficiente terreno; le batterie armale con cannoni, il più dei quali sono esiliati a Torino, potevano resistere al nemico e non permettergli i lavori d'assedio, o non farlo avvicinare a' cammini coperti; innanzi ai cannoni Cavalli, che da Castellone e dal monte Tonano tiravano sulla Piazza, come rispondervi? La disuguaglianza delle armi assicura con certezza la vittoria a quella parte dei due belligeranti, che tiene le armi di più lunga portata e di maggior precisione, ma non le accresce, ne onore, né gloria, né rinomanza.

Il Iato della fortezza che guarda Terracina, sino al di là del Castello, è impossibile batterlo: perché questo perimetro, oltre che trovasi difeso da rocce, che a picco scendono nel mare, è pure guernito di batterie distaccate. Similmente non è facile esser battuta dal Castello fino al Molo, dal quale, fino al principio della dritta dell'istmo, è facile l'accesso. Da questo punto ritrocedendo fino al principio della dritta dell'istmo, alla parte di Terracina vien chiamato fronte di mare; e tutte le opere che sono verso l'istmo costituiscono il fronte di terra, che unite alle prime, formano la non mai interrotta e principale cinta della Piazza.

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Da quanto abbiamo detto ognuno comprende che la fortezza non è vulnerabile che dal Molo fino alla porta così detta di terra, ed accessibile da questa, lungo l'istmo, e propriamente fino al bastione Transilvania. Ben vero però che la cinta di questa parte, elevandosi su rocce inclinate, è inaccessibile agli attacchi, i quali sono efficaci soltanto contro quella porzione di fronte, che è racchiusa tra il bastione Philippstall, situato nel mezzo dell'istmo, fino ai bastione della porta di terra, chiamato Cittadella, punti separati tra loro da circa 170 tese. Innanzi alle opere esterne accessibili vi è la fossata, spesso variante in larghezza ed in profondità, i cui due estremi sono serrati da mura a feritoie, che non permettono l'accesso agli assedianti, né dall'una né dall'altra parte. Oltre alla prima cinta di mura a questo lato di terra, ne sorge una seconda d'innanzi alla prima.

Vi è una gran sortita, che incomincia dal terrapieno del bastione Philippslall fino alla fossata, dalla quale, per tre passaggi, si sbocca a Montesecco. Essa può anche spezzarsi qualora si alza il ponte a levatojo, che la unisce dalla batteria S. Andrea al nuovo ridotto di porta di terra.

Le batterie che guardano il fronte di terra sono le seguenti (1). Il bastione di Transilvania 1 ; la batteria Trinità 2 ; ridotto Trinità 3 ; che comunica alla prima; la batteria Malladrone 4 ;

(1) Il lettore per formarsene una esatta idea della situazione di queste batterie, potrà riscontrarle, colla guida dei numeri, che sono segnati nella topografia di Gaeta.

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la batteria a Denti di sega Trinità 5 ; innanzi a cui vi e una falsabraca 6 per fucileria; la batteria Piattaforma 7 , con cui per mezzo di un ponte levabile vi ha la comunicazione, la batteria a denti di sega Trinità, ridotto Cinque piani 8 . Il bastione Philippstall 9 , o della breccia, il quale è circondato da un fosso con due ponti levabili, ed ha innanzi a se un'altra batteria chiamala Rivellino informe 10 ; la Cortina S. Andrea 11 ; il bastione S. Giacomo 12 ; la batteria Fico 13 ; il bastione Conca 14 ; (1) il bastione Cappelletti 15 , che al di dietro è trincierato, ed alla destra ha un fianco basso; la batteria Cittadella 17 , la quale è l'ultima alla destra del fronte di terra. Più elevate di queste vi sono ancora la batteria Regina 18 , che quasi corrisponde alla metà dell'istmo, e la batteria Trabacco 18bis , la quale benché guarda il mare di Terracina, pure, perché isolata ed accessibile dalla parte del fronte di terra, abbiamo stimato metterla tra le opere che ad esso appartengono; batteria falsa braca S. Andrea 19 . Oltre a queste 19 batterie, ve ne sono delle altre coperte, le quali sono disarmate; ed allora soltanto vi si postano i pezzi, quando il nemico pervenisse a fare i lavori d'assedio nel mezzo di Montesecco. Tutte queste batterie, non esclusa quella eretta pure al fronte di terra, vicino alla Torre d'Orlando, erano forniti nel 1860 e 61 di cannoni di ferro, di bronzo e di mortai da bomba,

(1) Ci piace ricordare, che si ebbe questo nome dall'illustre pittore Sebastiano Conca di Gaeta, che ha decorato dei suoi nobili dipinti la Basilica Lateranense, e fu principe della famosa accademia di S. Luca, della quale si onora Roma e l'Italia.

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di antica costruzione, e ve n'erano certi del 1792 a 1756, non che altri fusi, or sono quattro secoli.

II lettore può da questo giudicare che le bocche da fuoco le quali venivano controposte al nemico, fornito di cannoni Cavalli e di quei rigati da 60, erano in parte degni di comparsa, ed atti solo a far fracasso, ed il rimanente, degno di avere il primo posto nelle armerie, e nei musei.

II fronte di mare poi era munito delle seguenti opere di difesa: La Cortina a denti di sega a S. Antonio 24 ; il bastione S. Antonio 25 ; la cortina Addolorata 26 ; il bastione Annunciata 27 ; la batteria Riserva 28 ; la batteria Spirito Santo 29 ; la batteria Favorita 30 ; la batteria Ferdinando 3 31 a batteria Gran Guardia 32 ; la batteria Poterna 33 ; la batteria Vico 34 , sotto di cui è la porta di mare; la cortina del Porto 35 ; la batteria S. Maria, o dello Stendardo 36 ; la batteria Guasta ferro inferiore 37 , e la batteria Guasta ferro superiore 38 . Tutte queste batterie sono in comunicazione fra loro. All'infuori di queste sopraddette, lungo il fronte di mare vi sono altre cinque batterie distaccale, che portano il nome di batteria S. Montano 38 , di batteria S. Domeni co 40 , di batteria Maria Teresa 41 , di batteria Torrion francese 42 , di batteria Duca di Calabria 43 , Polverista Carolina 44 , idem Ferdinando 45 , idem Trabacco 46 , idem Castello nuovo e vecchio 47 . Oltre a ciò vi furono erette nel corso della difesa altre tre batterie: nuovo Trinceramento a porta di terra A ; Batteria del picco di mal passo B , idem di Torre d Orlando C .

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A tante opere di difesa, manca ciò che è più necessario di una piazza forte: le polveriste, le quali benché vi sono, e capaci a contenere molta polvere, pure non sono ben condizionate, non essendo co-perle di terra bastante a sostenere gli urli della bomba; per la qual cosa si trovano esposte al bersaglio inevitabile dei colpi nemici. Le stesse batterie non hanno tutte proprì depositi, di modo che un magazzino serba di più batterie vicine le munizioni: e questa penuria può riuscir fatalissima e pericolosa a chi trasporta le munizioni nel caldo dell'azione e nel momento di vivo fuoco, e ritarda spesse volle il fuoco per non trovarsi pronte le cariche. L'artiglieria non ha magazzino per depositarvi macchine di ricambio, e quindi non può garentire gli oggetti che vi ripone. I soli edifici a prova di bomba sono quelli della Granguardia, del Granajo a Torrion francese , dei Mulini e della Grotta-conca; come pure il laboratorio Torrion-Francese, che serve per il fronte di mare, mentre l'altro che è alle spalle della batteria Trinità, che serve per somministrare cariche al fronte di terra, è esposto al nemico, avendo le sue aperture per la luce propriamente verso quella parte di terra, in cui l'assediante può piantar batterie per farlo saltare in aria. Supremo danno verificatosi nel giorno 13 Febbrajo 1861, di che parleremo a suo luogo. Noi nell'additare in questa descrizione di Gaeta come fortezza i difetti che debbono eliminarsi da una piazza cosi importante, non abbiamo creduto mostrarla impotente ad una difesa, anzi essa è spaventevole al nemico; ma diremo con Colletta: Non ha tutte le perfezioni richieste.

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Se la natura le si è mostrala prodiga per renderla formidabile, Farle non ha saputo profittare di questo vantaggio. Il generale Cialdini anziché esaltare il valore de suoi soldati (1), che tanto poco ne mostrarono, doveva celebrare il tradimento e le infamie del Capitano Guarinelli, il quale ingannando indegnamente Ferdinando II, costruì le mura di apparente spessezza e con pochissima materia cementosa in quei punti dove poteva aprirsi la breccia; del che ne avverti Cialdini, il quale si giovò di questi riveli nel battere la piazza (2).

CAPO IV.

DIFESE DI POCO MOMENTO

A quanto ne discorrono gli storici, (3) il primo attacco che sostenne Gaeta fu nell'anno 846; in cui essendo venuti i

  1. Cialdini in un proclama dopo la resa di Gaeta si stemperava in elogi verso i suoi soldati, i quali non mostrarono altro valore, durante la difesa, che destrezza di caricare cannoni Ca valli e cannoni rigati di lunghissima portata, in distanza tale, da bombardare il presidio ed i pacifici cittadini della fortezza, senza che la piazza con le sue artiglierie avesse potuto nuocerli; e ciò viene confermato da uno stesso sporico della rivoluzione, Mercuri, il quale dice: L'artiglieria rigata schiacciava la piazza a distanze enormi, e le artiglierie di essa non potevano rispondere con successo che ai Cappuccini, a 1 500 metri. Or se le batterie di Cialdini erano postate da 4700 a 3200 metri di distanza, qual valore mostrarono i soldati del Settentrione? Lo giudichi il lettore.

  2. Il Capitano Guarinelli non solo tradì Ferdinando II nell'esecuzione dei lavori fortilizi in Gaeta, per la qual cosa accumulò molto danaro e si edificò più palagi in Gaeta stesso; ma tradì anche Francesco II in diriggere i lavori di fortificazione a S. Maria di Capua, e quelli del bombardamento a Gaeta... unito al tenente Francesco de Renzis. Lasciamo ai posteri il giudizio di un tradimento sì turpe, e di una infamia sì detestabile.

  3. Molte notizie abbiamo sull'uopo attinte dall'antologia militare del Generale A. Ulloa.

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Saraceni nel regno di Napoli per la via Appia, Docibile Ipata di Formia si fortificò in essa, e tenne contro a quei barbari devastatori, la cui genia nel tempo attuale turba la pace dei popoli e tiranneggia l'Italia.

In quella che regnava Carlo II, e propriamente nel 1289, il re Giacomo d'Aragona strinse per terra la fortezza di Gaeta, ma il Papa avendo inviati i soccorsi in ajuto del Principe, assalito l'assediante, rimase assedialo.

Nel 1424 Guido Torello, capitano delle forze del Duca di Milano, se ne impadronì, dopo pochi giorni di contrasto.

Alfonzo d'Aragona, salito al trono sul declinar del 1433, bloccò Gaeta per mare e l'assalì per terra, che allora veniva governata dai suoi Duchi particolari, i quali riconoscevano l'alta sovranità della S. Sede; e verso la fine del 1435 se ne impadronì, facendo capitolare il presidio. Egli benché disponeva di 15 mila uomini, con i quali sostenne l'attacco, pure giungendo numerose forze da Genova in ajuto dei già capitolati, dovette sloggiare di bel nuovo, rimanendo prigioniero, dopo sconfitto in una battaglia navale; ma il Duca di Milano ridonandogli la libertà, questi si rimpadronì di Gaeta nel 1442(1). Da quell'epoca in poi la Città rimase, senza interruzione, annessa al Regno delle Due Sicilie. Questo blocco dagli storici vien chiamato celebre però non sappiamo se per la durata del tempo, o per il valore mostrato, perché un dettaglio particolare non si trova in nessuna loro opera.

(1) Si può leggere sa questo particolare la Geografia storica politica -Renella 1795.

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Nel 1463 anche si tentò dal rinnegato corsaro Pietro Foreglia impadronirsi di Gaeta; ma inutilmente fé uso di ogni sforzo perché i suoi sogni svanirono.

Essendo padrone di Gaeta Ferrante XI, per mezzo di una sorpresa il Re Carlo se ne impadronì, nel 1495, per essere usciti i Francesi a causa di una sommossa avvenuta nella Città; ma, dopo che fu ripresa, s'ebbe la pena del saccheggio.

Federico, succeduto al Re Alfonzo, espugné di bel nuovo Gaeta nel 1496, e dopo la sua resa, si ebbe termine I» guerra coi Francesi.

Nel 1503 il generale Consalvo da Cordova, detto il Gran Capitano, a nome del suo Re Ferdinando II, appellato il Cattolico, ne impossessò, dopo una energica resistenza.

Le difese sopra cennate, da noi si son messe sotto l'occhio del lettore, non perché avessero importanza storico militare, ma solo per mostrare quanto ha sofferto Gaeta per l'ambizione degl'invasori. Gli storici chiamarono assedi queste diverse rappresaglie, ma noi in ciò non conveniamo affatto; perché il primo contrasto che Gaeta ha sostenuto con molte regolarità di assedio e con varie regole dell'arte, é quello del 1707, di cui ci proponiamo tener separatamente parola nel seguente capitolo.

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CAPO V.

DIFESA DEL 1707

Gli abitanti di Gaeta sottoposti per un lungo corso di anni allo scettro dell'Impero Tedesco; e trovandosi in quest'epoca governati dagli Angioini, mostravano desiderio di ritornare sotto il dominio dell'antico Signore. Mentre però si carezzava nella lor mente questo pensiero, le Aquile tedesche sorvolavano nel regno delle Due Sicilie: ed il Conte Daun che le dirigeva, rivestilo dei pieni poteri, compartiva generoso perdono, in nome del la Casa Imperiale, a tutti coloro che ritornavano all'ubbidienza. Ognuno corrispose all'aspettativa di Daun, e gli stessi abitanti di Gaeta non furon gli ultimi ad indirizzargli atti di sommissione. Ma il Vice-Re, Marchese Vigliena, che aveva il governo della Città e della piazza per il Duca d'Angiò, invece di tener presente: lui non aver sufficiente guarnigione per opporsi ai sempre vittoriosi soldati tedeschi, né speranza di difendere il regno contro gli assalti dell'esercito Cesareo, si decise di approvigionare Gaeta, e fare in essa quella resistenza che potesse maggiore; e ciò faceva per acquistar tempo, onde da Francia gli arrivassero ajuti, e cosi riconquistare il regno. Ma s'inganné; poiché avendo esso solo 2, 500 uomini atti alle armi, essendo il rimanente dei 5500, o inabili, o maiali, consistenti in sei reggimenti Spagnuoli, non polene resistere ad un esercito imponente ed ai pericoli della guerra più abitualo. È vero che la piazza aveva 115

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cannoni di diverso calibro e 13 mortai, 1800 cantaja di polvere e 26, 000 granate a mano, oltre ad una quantità di armi e munizioni diverse; una difettante dì artiglieri, il cui numero scarseggiava tanto da essere costretto farne venire circa una dai presidi della Toscana. Pria che i Tedeschi si appressassero alla Piazza, fece abbattere palazzo del Vescovo, il convento dei Cappuccini ed oltre a cento case del Borgo, che fiancheggiavano il convento; e ciò tra lo spazio di 6 giorni, via molti abitanti dalla Fortezza, e permise delle scorrerie, in quei villaggi circostanti, ai soldati del presidio. Sebbene queste predazioni riparavano parte alla penuria dei viveri che esisteva nella Piazza, pure le recavano più male che bene. Poiché venutone a conoscenza il Daun, per i reclami di quei cittadini che avevano sofferti , nel giorno 14 Luglio, spedi a quella volta il generale Patè con molta cavalleria per impedire gli abusi. Il giorno 27 Agosto venuto da Napoli il Daun con gli uffiziali Wezel e Vaubonne, affidava la direzione dei lavori d'assedio al primo, e gli ordinava: doversi aprire la trincea non più oltre i 600 passi dalla piazza e proprio di contro al Fronte di terra. Mentre gli assedianti lavoravano a tutta possa per ultimare i lavori di trincea e quelli per !e spianate le cannoniere, gli assediati colle artiglierie del bastione Piattaforma, del bastione S. Giacomo e con quelle della batteria a Denti di sega, battevano d'infilata quei lavori, che, per questo, lentamente progredivano. Con tutto che il presidio faceva ogni sforzo per impedire che dal nemico gli si postassero cannon

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dirimpetto, pure nel giorno 15 Settembre gii erano pronti a far fuoco 36 pezzi» e non dì passavi senza aumentare una batteria; per la qual cosi quattro giorni dopo (il 19) fu aperta la breccia nel bastione Caldoro, oggi detto della Breccia, la quale appena fu riconosciuta praticabile, Daun ne ordiné l'assalto, commettendone la direzione allo stesso Wezel. L'assalto con vigoria e-seguilo, venne dal presidio con egual coraggio respinto; ma un traditore, il sergente Giuseppe Caro, fatto introdurre pel bastione Trinità 300 Tedeschi, questi si fecero alle spalle di quei valorosi che contrastavano agli assalitori la montala della breccia. Un tale Fidalga, anche sergente ed ajutante del Caro, che già era stato meritamente ferito a morte, apri pure agli assediali la porta di un sotterraneo, mentre Vaubonne, a colonna serrata, saliva la breccia. Entrati i Tedeschi nella Piazza, una forte mischia si animò, ed il Vigliena, che ebbe l’avviso del superato assalto, trovandosi a desinare, si portò subito a cavallo sul luogo, per incoraggiare il presidio alla resistenza: ma tutto fu inutile, poiché questo, vedendo le forze imperiali sempre crescenti, si arrese, meno che una porzione, la quale col Vice-Re si chiuse nel Castello, vomitando morie colle sue artiglierie sugli assalitori. Daun, fatta sentire a Vigliena: che se tra tre ore non si rendeva a discrezione con tutto il presidio, sarebbero stati tutti irremisibilmenle appiccali per la gola; intimorita dalla minaccia, cedette; e deposte le armi, diunito ai suoi, venne condotto nel campo imperiale. Molli storici, parlando di questa assedio, racontano

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che la città di Gaeta fu saccheggiata, manomessa e deturpata. Noi però confrontando il loro dello con quello di un patrio scrittore contemporaneo, i di cui scritti ancor polverosi giacciono nei scaffali di biblioteca, troviamo, che Daun in un suo proclama disse: Benché voi, o Soldati, avete il dritto del sacco pure non posso permetterlo; anzi vi ordino di rispettare le Chiese, l'onor delle donne e le proprietà dei privati. Da questo tratto di generosità usata da quel comandante Tedesco, il lettore potrà facilmente riflettere, che quanto di durezza, di ferocia e d'illealtà vuole attribuirsi alla nazione Tedesca, lutto e calunnia; e se qualcuno ancor vi ha che è inchinevole a sentire il vero, noi, senza stizze e simpatie, gli diremo, che non vi è Nazione più leale, più generosa coi vinti, e più proclive alla giustizia, come la nazione Tedesca. Essa non ha mai contravvenuta ai trattati, come oggi si tiene per vezzo, ma ha rispettala la sua firma anche con proprio discapito; e nel momento attuale, l'unico Gabinetto, dopo il Pontificio, che abbia serbato leale contegno nelle vertenze politiche, è stato quello di Vienna.

Le perdile che si ebbero gli assedianti dal 14 Luglio fino al 30 Settembre, in cui avvenne l'assalto e la presa, furono circa 400 tra morti e feriti; e nel solo assalto vi perdettero 100 uomini oltre a 200 feriti. Gli Spagnoli poi, fra morti e feriti, soffrirono la perdila di 300 uomini in circa. 1 colpi tirali dalla Piazza furono 15 mila a palla piena, e 4 mila a bomba: e quelli lanciali dall'assediante furono 20 mila della prima, e 1, 400 della seconda natura.

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Le provvisioni che rinvennero gli Imperiali nella Piazza, non furono di piccol momento, sii da bocca sia di monizioni, sia di proiettili. Le bandiere Angioine, che si trovarono nella Piazza, furono per ordine del comandante in capo religiosamente trasportate in Napoli, per sospendersi, nella cappella del Tesoro al Duomo, in tributa votivo al glorioso Martire S. Gennaro. Questo pia costume trovasi usalo nei tempi posteriori ed anteriori a quell'epoca; ed è perciò che noi vediamo bella Chiesa di S. Giovanni Lacerano sospesa la Tare» bandiera; nella Chiesa Arcivescovile di Gaeta lo stendardo che dal B. Pio V. venne dato a D. Giovanni d'Austria, Capitano Generale della Lega contro il Turco, in cui vi erano l'effigie del Nazareno e quelle dei SS. Apostoli Pietro e Paolo con le parole: in hoc signo vinces; e nella Trinità di Gaeta stessa vi sono altre dodici, che il valore e la lealtà del soldato Napolitano strappò alla rivoluzione mondiale, in Sicilia, nel 1848.

CAPO VI

DIFESA DEL 1734.

Benché in questa difesa, come scrive un distinto ed esperto Generale (1) nulla si operò che fosse degno di storia, pure crediamo doverne dare conoscenza al lettore, per non mancare alla nostra promessa, di dire ogni cosa che ìnteressa a Gaeta.

Volgendo l'anno 1732, firmata la pace l'Infante di Spagna, D. Carlo Borbone (2),

  1. A. Ulloa — Antologia militare = Atono II. n. 4.

  2. L'Infante di Spagna D. Carlo Borbone era il primogenita delle seconde nozze tra Filippo l’ed Elisabetta Farnese.

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scese in Italia per mostrarsi ai suoi novelli popoli Toscani, Parmensi e Piacentini, Sopravvenuta la morte del Re di Polonia Augusto II, nel 1733, in Europa, si riaccese la guerra; per la qual cosa le Armi Ispane, Franche e Sarde si unirono per contrastare le forze dell'Impero. L'Armi alleate si divisero in tre corpi. Il primo, comandato dal Maresciallo Bervick, passò;il Reno; l'altro, comandato da Villars, si diresse in Lombardia; e l'ultimo, composto di tutti Spagnoli, comandato dai Duca Montemar, con alla testa lo stesso Infante, si avviò per conquistare la più bella corona d'Italia, segno sempre di rea invidia.

Giulio Visconti Milanese, che a nome dell'Imperatore Carlo VI teneva le redini del governo, ordiné al Tedesco Conte Traun di disporsi ad opporre accanita resistenza. Riuniti 25, 000 uomini, tra novelli coscritti e vecchi soldati, si ordiné un campo trincerato alle gole di Mignano; ma giunto l'esercito Spagnuolo ad Aquino e S. Germano, e saputosi la vittoria riportala dal General Francese in Lombardia, si spostò questo campo; e lasciate te guarnigioni nelle castella, il Vice-Re si diresse verso le Puglie con tutto l'ajuto che eragli venuto dalla Sicilia e da Trieste, sotto il comando del Generalo Carafa e del principe Pignatelli.

Intanto avanzandosi il Corpo spagnuolo verso la capitale, e preso possesso di essa il General Marsjllac con 6, 000 uomini di cavalleria e fanteria, te Fortezze del regno e della capitale l'una dopo le altre si resero, meno che quelle di Gaeta, di Capua e Pescara. Entralo in Napoli trionfalmente ed acclamato non solo da quel popolo,

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ma pur dagli abitanti di tutto il regno, come liberatore della loro schiavitù vice-regnale, Capua Pescara seguirono l'esempio delle altre. Gaeta però, che trovavasi governala dal Conte di Fattembach e dal generale comandante Alemanno Desueglies, si dispose alla difesa. La Fortezza trovavasi fornita di molti viveri, di assai munizioni e di 101 pezzi di artiglierie di bronzo e di 40 di ferro diverso calibro, nonché di 4 mortai da bomba e due da lanciar pietre. Un'inconveniente era avvenuto nelle distribuzioni degli attrezzi di difesa Capua e Gaeta, poiché si trovarono portate le bombe di grande calibro nella prima con piccoli mortai, e rimasero in quest'ultima grandi mortai e colle bombe; di modo che questi attrezzi di guerra sì nell'una che nell'altra Fortezza rimasero inutilizzati.

Battuto l'Esercito alemanno nelle pianure di Bitonto, e fermata, per questa vittoria, la corona delle Due Sicilie sul capo dell'Infante delle Spagne, nel 6 di Giugno, partiva da Napoli per assediar Gaeta. Gran quantità di attrezzi da guerra con un numero considerevole di soldati, partì per la volta di Mola, e tutto si pose a disposizione del Duca di Liria, il quale già teneva il blocco alla fortezza, per dar principio al regolare assedio. E difatti, nell'otto dell'istesso mese, l'Esercito assediante ammontava a 16, 000 uomini tra fanteria e cavalleria. Da questo giorno s'incominciarono i lavori per aprir la trincea con le regole dell'arte: e ciò in prosieguo dell'aver ricevuto un duro rifiuto all'intimazione della resa. Dopo il giorno 16, i lavori d'assedio progredirono,

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si giunse a postare una batteria di 25 cannoni, ira Montesecco ed il Borgo, tendente a battere la porta di Terra. Molle altre batterie successivamente con alacrità si eressero, sicché l'assediante ne! giorno 30 di Luglio disponeva di 171 cannoni, postati in batteria e pronti a far fuoco, oltre a 10 mortai situali dietro alle prime batterie per lanciar bombe, onde intimorire gli abitanti e recar danno alle fabbriche della città.

Approntalo il giorno 30 Luglio, come dicemmo, ogni cosa per aprire il fuoco contro la Fortezza, si fece invito all'Infante di Spagna di recarsi sopra luogo, il quale al mezzo giorno del 31, onorò di sua presenza il corpo d'assedio. Un capitano Spagnuolo intimò per la seconda volta la resa, ma il secondo rifiuto fu segnale all'attacco. Spaventevole si addivenne il fuoco dell'una e dell'altra parte; però nel mezzodì del primo Agosto, quando l'assediante con più vigoria tirava colpi e lanciava bombe, l'assediato rallentò i suoi tiri; e nel giorno 3 sensibilmente andava diminuendo il fuoco, di modo tale, che al far della sera appena tirava con una terza parte dei suoi 90 cannoni messi in batteria. In questo momento una scintilla di fuoco, uscita dalla pipa di una sentinella alemanna, come vien riferito, accese 18 barili di polvere, che erano in serbo nel bastione Conca; la qual cosa produsse immenso guasto alle fortificazioni, e segnatamente verso quel lato della Piazza.

La città soffri danni gravissimi, benché il Montemar fece risparmiare dai suoi artiglieri, il più che si fosse potuto, i sacri Tempi ed i monasteri. II presidio si era diminuito per i morti e feriti,

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ed il numero degli artiglieri era più che per la qual cosa il governatore della Piazza, tenendo anche presente, che nei bastioni S. Andrea e ca la breccia si sarebbe resa praticabile, risolvi rendersi, ma il generale Desuaglies fortemente si oppose (3). L'opinione del sopraddetto generale da pochi eroi affiancata, essendo la maggior degli uffiziali favorevole alla resa, domandando pria di rendersi, quali patti verrebbero consacrati nella capitolazione. A questo scopo nel 5 di Agosto il maggiore Rovier si portò dal Duca di Montemar il quale sottomise al Re, che trovavasi presente il progetto della capitolazione; ma Carlo III rispose che non offrirebbe capitolazione al presidio di più vantaggiosa di quella accordata ai Tedeschi di Bitonto, di Bari e delle altre Piazze, venute all'ubbidienza del Re, cioè: tutti rimaner prigionieri di guerra, dopo d'essere stati condotti con gli onori militari in quel luogo, dove si era praticata la prima trincea; e soggiunse: che ogni individuo del presidio era libero di se stesso, ma rimaneva legato

(3) Questo generale consultando il solo onor militare, non dette assentire per la resa; ma dovette cedere quando vide una turba di vili uffiziali erano dalla parte del governatore, opinione contraria alla sua. Eguai fatto accadde nella stessa Piazza nel 1861 allo Svizzero Tenente Generale Riedroatten, il quale voleva rimaner seppellito sotto le rovine, anziché cedere; e se il Re avesse riguardato il presidio dal solo lato militare, senza incaricarsi dell'umanità che soccombeva al morbo tifodeo, e del sangue che si versava dei suoi fedeli soldati, ancora questi, ne siamo certi, starebbero a combattere, essendo decisamente risoluti o di vincere o di morire. Se gli altri Generali annuirono alla resa e che anzi di nascosto cercarono far proseliti per propugnare questa idea (tra quali fu del Bosco) non si sentì però mai soldato che lo avesse desiderato. Esempio unico nella storia.

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da una parola di onore: non poter più combattere ne contro gli Spagnuoli, né manco contro i loro alleati. In caso poi che tali tratti di generosità non venivano accolti dal presidio, e che avesse svolalo insistere nella risoluzione di difendersi, il Montemar gl'intimava: che al cader del giorno si era stabilito l'assalto alla breccia, ed impadronendosi della Fortezza con questo mezzo, non avrebbe più concesso quartiere a persona vivente; per la qual minaccia all''annottarsi s'inalberò la bandiera della resa e si dettero dalla Piazza gli ostaggi convenuti. Quella Piazza, che nel 1707 contrastò per tre mesi ai Tedeschi, questi nel 1734 dettero poea pena agli Spagnuoli in farsela riprendere.

I colpi tirati dal vincitore furono ad un circa 7, 500 oltre a 780 bombe, e quei tirati dal succumbente furono un terzo di meno. Le perdile da ambo le parli ammontarono a poche centinaia, ira morii e feriti; e gli abitanti della città non soffrirono nulla per parie dell'esercito vittorioso, meno che gli effetti di qualche bomba.

CAPO VII.

DIFESA DEL 1799

Sessantacinque anni erano decorsi dall'ultimo assedio, durante i quali, la Dinastia regnante dei Borboni mantenne pacificamente la Fortezza di Gaeta; ma il rovescio sofferto dalle Armi Napolitano, nel 1799, diè luogo ad un'altra contesa. I francesi, che accompagnali dalla vittoria aveano come in trionfo percorsa tanta parte di Europa, anelavano

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al possesso di tulle le Fortezze dell'Italia meridionale, e più di ogni altra, della Gibilterra del Gaeta. Allo scopo di compiere questo disegno cero procedere la loro ala dritta sino al Garigliano, dove il generale Rei intimò la resa della Piazza Governatore di esso. II maresciallo Tschudy, nato svizzero, che ne aveva in quell'epoca il comando coprendosi d'ignominia, con una viltà pari al suo animo, pattuì col nemico a quella prima minaccia (1) facendo una vergognosa capitolazione.

Sessanta ufficiali e 4, 000 soldati del presidio dopo aver deposte le armi, ottennero libera sortita consegnando ai Francesi la Piazza munita di 71 grossi cannoni di bronzo, e di dodici mortai con 20, 000 fucili, viveri per un anno, navi nel porto tutti gli attrezzi bastanti per una energica resistenza.

La difesa del 1860 e 61, mostra evidentemente al lettore, che Tschudy non è degno, che di eteri vergogna, dappoiché trovavasi in tali favorevoli condizioni, da poter fare la più eroica e bella resistenza; ed intanto tradì vilmente la nazione, mancò

(1) La vile condotta serbata dal maresciallo svizzero Tschudy è stata seguita da non pochi generali ed uffiziali superiori dell'Esercito Napolitano, durante l'anno 1860. Noi facciamo voti al Cielo, che anche la semenza di queste piante velenose si estirpasse tra l'Armata Napolitana, e vi si supplisse con uomini di onore, intelligenti e di valore, poiché una delle cause efficienti che mené i generali a tradire il Re ed il Paese, oltre dell'oro, fu l'ignoranza della scienza e della tattica militare, che a dovizia possedevano, ed in conseguenza mancavano ai propri doveri: fu la mancanza di un coraggio, che mai non ebbero, per misurarsi col nemico, ma solo l'alterigia per inveire contro il subalterno, perché erano protetti dalle ordinanze militari: fu infine la mal valutazione dell'onore ch'essi fecero, perché il traditore non sa mai apprezzare il trionfo della lealtà, e perciò è indifferente anche ai rimproveri dell'ignominia.

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a se stesso ed al suo Re, con una capitolazione, che n on ha esempio. Questo fatto esecrabile ci richiama al pensiero il prode Philippstall, che nel 1806, come appresso vedremo, benché non avesse soldati agguerriti, pure oppose tale una resistenza, da far sbalordire i vecchi guerrieri dell'Impero: opera generosa, che onora la sua memoria e la nazione Napolitana, lo che non fece Tschudy con 4, 000 uomini di presidio bene agguerriti, e con tanti mezzi di difesa.

CAPO VIII.

DIFESA DEL 1806

La Francia, fatta la pace al presentarsi del volgente secolo, accantoné una gran parte del suo Esercito verso le coste del mare Adriatico; per la qual cosa il governo di Napoli non si prese premura alcuna di migliorare le Fortezze del regno. Sul declinare dell'anno 1805, mostrandosi favorevoli le politiche evoluzioni di Europa, credette di riprendere l'offensiva, facendo a tal uopo avanzare un esercito di 18, 000 uomini in Italia, misto di Napolitani, Russi ed Inglesi; nello scopo di battere l'Esercito francese al suo destro lato. Allora si fu, che le Fortezze, sguernite da vecchi ed agguerriti soldati, si presidiarono di reclute, chiamate al cader dello stesso anno. Ma l'inattesa caduta di Ulma, e la perdita della battaglia di Austerlitz fecero cambiare le situazioni politiche di favorevoli in deplorabili. Intanto i Russi, per questo fatto, dopo l'avvenuta pace di Presburgo, si ritirarono nelle isole Ionie, ed i soldati della superba

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Albione, in mirare cangialo l'aspetto degli avvenimenti, e fallito lo scopo della spedizione, si mossero per la volta delle Puglie, per quindi passare in Sicilia: tentando, sotto aspetto di amicizia, impadronirsi della Piazza di Gaeta; cosa che non ebbe effetto: dappoiché il Principe d'Assia respinse domanda, prima con lettera, poscia con messaggio ed in ultimo con le artiglierie della Fortezza.

La Francia, riportato il trionfo nella Moravia ed umiliate le due prime potenze di Europa, spinse i suoi eserciti verso il regno di Napoli, il cui governo, per risparmiare al suo popolo gli orrori di una guerra così disuguale, si adoperò di accordarsi col nemico, facendo riunire il piccolo e novello esercito nelle Calabrie, senza dare al governatore di Gaeta istruzioni sul modo da contenersi, essendo nella persuasione di menare ad effetto una pace, benché fosse svantaggiosa. Tutte queste cose però erano alla conoscenza del Principe d'Assia, il quale, sebbene senza istruzione, benché senza speranza di avere un soccorso, si decise di difendere quella Piazza a costo di ogni sacrificio, non risparmiando né pena né fatica, consultando solo l'onore e la gloria militare.

É vero che la fortezza di Gaeta non era in quest'epoca in miglior condizione del 1707 del 1734 e del 1799; ma pur tuttavia, conoscendosi che il valore e non la moltitudine vince il nemico, il governatore dispose le cose, in modo tale, da poter fa lunga e valida resistenza. Nella Piazza egli non aveva più che 5, 908 uomini, tre quarte parie dei quali erano recluto, e perciò non molte atte al

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maneggio armi: ma fiero vi scorgeva io essi una risolutezza e un coraggio che data molto da sperare. Due soli uffiziali del genio aveva con se come del pari due sole compagnie di artiglieria di costa, con pochissimi artiglieri litorali. Ad onta di questo, non tremò in faccia al pericolo; e prima che il nemico si avvicinasse, per mezzo di cacciatori Appuli, comandati dal tenente Colonnello Luigi Sandier, lo fece incontrare verso li, per fargli provare di qual risolutezza e di spirito erano animati i pochi difensori di quella Piazza, che si voleva sottomettere. Quivi s'impegné una non piccola scaramuccia; ed i novelli, dopo d'aver contrastato con militari che avevano sostenute tante battaglie, con ordine ammirevole, ripiegarono verso Gaeta. Profittando di questi movimento i reggimenti francesi, nel 10 Febbraio si approssimarono alla Piazza per investirla. Prima però di piantare le batterie contro la Fortezza, siccome molte lance e cannoniere inglesi si erano atteggiate a difenderla dal lato di mare, cosi costruirono una batteria sul lido per bersagliarle; e due ore di fuoco scambievole, il comandante inviò un parlamentario al principe d'Assia per intimargli la resa. Qual però non fu la sorpresa Generale francese, in sentirai rispondere da quel iterano guerriero: che allora i Francesi s'impadronirebbero della Piazza, quando tutti i difensori fossero rimasti estinti? Ai timori, alle minacce e ordini della reggenza lasciata a Napoli dal Re, prestò orecchio, e rispondeva sempre: che le leggi dell'onore gli ordinavano difendere Gaeta;

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e questo potere era superiore ad ogni altro, e non poteva obbedire. La qual risposta fa vedi che questo Governatore era molto dissimile dagli odierni Generali, i quali in pace son tanti Rodomonti ed in guerra vanno mendicando pretesti per regolare i propri doveri a seconda dei voli del loro timido cuore.

I Francesi, dopo aver esaurito ogni mezzo tirare il Governatore alla resa: dopo aver fatt'uso di lusinghiere promesse anche alla piccola flotta, di minacce e di sterminio a quegli ed a questa, avvidero finalmente, che, se volevano impadronirsi di Gaeta, era d'uopo farle un assedio formale, infatti, dal cominciar dal Marzo, si dettero a lui potere alla costruzione delle batterie, prima lungo il lido, da dove si dovevano tener lontano le lance e cannoniere, e poscia sul ridosso delle colline sono di prospetto al fronte di terra, incominciando dall'altura dì Montesecco. I lavori d'assedio erano indefessi, le batterie che si costruivano aumentavansi alla giornata, ed il piccolo presidio, ciò che far non poteva con le artiglierie della Piazza, l'otteneva con le continue sortite, mercé le quali l'assediante si teneva avvilito: tanto più che il mandante francese aveva ricevuto notizie dalla Calabria, che le truppe imperiali erano state presso che distraile dagl'Inglesi, ed il generale Reynier si trovava in una difficile posizione, essendo accerchiato dagl'insorgenti. j

Tra le diverse sortite, che il Principe d'Assia fece fare alle sue milizie, quella che accrebbe gloria a Lui, che la ordiné, ed ai prodi che la eseguirono, fu la sortita del 15 Maggio:

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nella quale, che nelle altre, posero in foga i travagliatori, in sbaraglio gli avamposti, inchiodando quasi tutti i cannoni, che già si erano piazzati. Da quel giorno in poi quel presidio che si teneva quasi a vile, mostrò come sapeva farsi rispettare; ed il nemico, oltre che ne fece altro conto, si sforzò pure a mettere in pratica ogni mezzo di precauzione, che dalla esperienza degli assedi viene indicato.

La prima cosa che pensò l'assediante fa quella costruire una trincea per battere la breccia;, ed misura che si avanzavano i giorni, accrescevano i cannoni contro la Piazza; e questo aumento più notevole dal 28 Giugno in poi, nel quale giorno il maresciallo Massena prese la suprema direzione dell'assedio. Mentre l'assediante si affaticava per distruggere l'assediato, questi dall'altra parte, neppur faceva risparmi dei mezzi, che erano in suo potere per rimaner vittorioso, non perdendo mai circostanza onde aggravare la situazione del nemico. Ma la morte, per ferita, del suo Comandante, e la niuna fiducia che ispirava il surrogato, benché avesse anche valore, fece sì che il presidio scemasse di quell'energia che pria mostrava. E di fatti, il Colonnello Holz che aveva prese le redini della Piazza, vedendo che il nemico, col fuoco delle sue gravi artiglierie, aveva aperte e rese praticabili le due brecce; benché conosceva i vari ostacoli che si dovevano superare dal nemico, prima di procedere assalto con probabile riuscita, avvisando ai molti pericoli che poteva incorrere, arrestò la difesa

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di quei bravi soldati, che don altri gloriosi sforzi avrebbero continuato ad illustrarsi ed a rendere più celebre il nome Napolitano. Gli ultimi giorni d'assedio furono terribili per il raddoppiato fuoco nemico, e propriamente dal giorno 9 al 18 Luglio nei quali, l'assediante con tutte le artiglierie, in numero di 166 bocche da fuoco, tra cannoni e mortai vomitava morte e spavento,

Il generale Audinot discorrendo su questo assedio nella sua opera (Dell'Italia e delle sue fon militari) dice; che questo fatto d'armi è bastante da se solo ad onorare una nazione ed a mostrare purtroppo chiaro qual utile si può trarre dal coraggio dall'intelligenza del soldato Napolitano, quando vi è chi lo guidi sul sentiero della gloria e dell'onori e conchiude: che se la guarnigione capitolò senza aspettare l'assalto, fa mestieri senza dubbio attribuirlo alla morte del bravo Principe Philippstall colpito da una scheggia di bomba, nel giorno 12.

La difesa prolungata di cinque mesi, benché i contribuisse molto il favorevole risultato delle sortite, mostra la fermezza ed il coraggio, che ebbe il presidio, il quale sebbene composto di soldati di recente chiamati sotto le bandiere, pure disputò la vittoria ai soldati di un Esercito formidabile, cresciuti nei rischi delle battaglie, avevano sfondate le porte alle prime Fortezze d'Europa. Per esser giusti, non possiamo tacere che a questa gloria ottenuta dagli assediati, contribuì la marina, la quale fa la sola che si adoperò alla riuscita delle sortite, sbarcando uomini in quei punti, ove i lavori del nemico si eseguivano.

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La resa avvenne il giorno 24 Luglio, e la capitolazione fatta fu favorevolissima agli assediati; quali all'entrar dei Francesi nella Fortezza, s'imbarcarono per la Sicilia con l'obbligo di non po-combattere per un anno contro i soldati imperiali, portando seco il rispetto, la stima e l'ammirazione dei vecchi guerrieri, figli della Francia.

Le perdite che il presidio si ebbe, ascesero a 9000 uomini; il doppio dei quali furono mietuti dal montaggio che nella Piazza, durante l'assedio, erasi sviluppato; quelle del nemico furono in numero triplicate.

I colpi tirati dalla fortezza sull'assediante, sorpassarono i 100, 000, e talvolta accadde che nel solo tempo di ore 24 si tirarono fino a 2, 000 colpi tra bombe, palle e granate; e quelli tirati dal nemico ascesero ad un 60, 000 circa.

Per dare al lettore un idea più chiara ed esatta di questo assedio, crediamo utile qui riportare, tradotto dal francese, una corrispondenza del Re Giuseppe con Napoleone I. del 25 Luglio 1806; ed un rapporto di Dulauloy, Generale comandante in capo l'artiglieria, in data del 24 Luglio 1806.

RAPPORTO

Sull'assedio di Gaeta, li 25 Luglio 1806. Estratto dalla corrispondenza del Re Giuseppe con l' Imperatore Napoleone I.

II Sig. Maresciallo Massena, avendo sotto i suoi ordini il Generale 'di divisione Gardenne e 6, 000 uomini di truppe, cominciò realmente l'assedio nel primo di Luglio.

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Si erano radunati per armar le batterie di assedio e quelle della costa 140 bocche da fuoco di cui 27 mortai, 80, 000 proiettili e 500, 000 litri di polvere.

Per ottenere tali mezzi d'attacco bisogné nullameno che il concorso e l'accordo il più perfetto tra i generali Dulauloy e Campredon, comandante l'artiglieria ed il genio, e l'ardore e la costanza delle truppe a perfezionare i lavori e l'armamento delle batterie sotto un fuoco, a cui non si era ancora risposto una sola volta. Questo fuoco era così sostenuto, che si è calcolalo, prima che le nostre batterie sieno state smascherale, il nemico avesse tirato più di 60, 000 colpi: questo silenzio assoluto da nostra parte, questa costanza veramente ammirabile ingannarono il nemico, che non pose, né la forza dei nostri mezzi, né la ultimazione dei nostri lavori.

Sua Maestà, che, durante l'armamento delle batterie, aveva visitato tutti i lavori nel più minuto dettaglio, diede egli stesso, il 7 Luglio, a tre or del mattino, l'ordine al maresciallo Massena, di segnalare a tutte le batterie, doversi aprire li fuoco in un sol tempo.

Le opere della Piazza erano disposte in guisa di non poter essere prese d'infilala in verun punto; il nostro fuoco diretto e quello dei mortai furono cosi bene indirizzati, che fin dal primo giorno, quello del nemico rimase spento in diversi punti. Il di seguente però lo riprese nuovamente e con ostinazione lo sostenne, anche quando le due brecce incominciavano a divenire praticabili.

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Il Sig. Maresciallo Massena, che aveva di già fatta intimare la resa della Piazza, senza aver pollo vincere l'ostinazione del nemico, fece, il 18 luglio, disporre ogni cosa per dare l'assalto; i generali Donzelol e Valentin avevano già disposte le colonne d'attacco; quella di dritta sotto gli ordini del Generale Valentin era diretta sul bastione detto della Breccia (1), e quella di sinistra, sotto gli ordini del Generale Donzelot, era diretta sulla parte del corpo della piazza detta la Cittadella.

Al momento di essere superato, il medesimo giorno 18 Luglio, alle ore 4 pomeridiane, gli assediati alzarono la bandiera sopra la breccia, mostrando di voler capitolare. Le truppe francesi entrarono nella piazza il giorno 19, alle ore 5 del mattino. La presa di Gaeta è, per l'armata francese, un memorabile trofeo; si può dire che le truppe si sono ricoperte di gloria, perdio hanno trionfato dei più grandi ostacoli: l'artiglieria francese vi ha sostenuta la sua antica riputazione; l'artiglieria Napolitana che in altri tempi fu formata dai generali francesi , ha meritato di combattere a fronte dei suoi m aestri. È giusto ripetere che l'arditezza, l'intelligenza e la perfezione dei lavori del gonio, sono stati, per tutti i militari presenti a questa operazione, e saranno per l'avvenire, un oggetto di studio e di lezione.

La bella difesa degli assediati non ha servito che mettere di nuovo nella più onorevole evidenza, talenti del Sig. Maresciallo Massena.

(1) Onesto bastione è detto della Breccia perché è stato sempre il bersaglio degli assalitori.

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RAPPORTO

sull'assedio di Gaeta, del generale comandante capo l'artiglieria del Regno, R: Dulauloy, del Luglio 1806, datato da Napoli.

Il dì 4 Giugno, i preparativi che erano stati spesi per l'armamento delle coste di Calabria, furono decisamente ordinati, i lavori accresciuti preparativi portati al di là di quello che si poteva importare, e di quello che era stato richiesto.

Due batterie erano state primitivamente sul monticello spianato, per secondare uno dei mortai, che potevano disporre il nemico a capitolare. Se ne costruirono quattro altre tostamente su Montesecco (1), delle quali due nella sua vetta, due nelle pari laterali. Le batterie di costa furono moltiplicate in guisa tale da potere controbattere le opere della Piazza, non che da poter tenere la flotta inglese nella impotenza di nuocere ai suoi lavori; esse lo fecero con un gran successo. Batterie di mortai furono piazzale nelle voltate giri di trincea, secondo i punti che dovevano battere.

Mezzi straordinari di trasporto furono organizzati, in un paese, che non presentava ancora risorse in foraggi, ed ove era impossibile di averle per mare, essendo gl'inglcsi sempre a pista.

Da Roma, da Ancona e da Pescara le polveri vennero inviate; e Capua e Napoli se ne sguernirono

(1) Qui Montesecco non deve intendersi il campo che oggi ha tal nome, ma bensì il villaggio cosi chiamato, presso il campo medesimo, di cui abitatori si portarono, dopo il I806, a murare al Borgo, perché si trovavano troppo esposti al pericolo.

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La fabbrica della polvere e di salnitro fu incoraggiata, aumentala nei primi e nei materiali; gli arsenali furono riordinati, ed i lavori progredirono nella più grande sollecitudine; gli operai non napoletani e quegli dei corpi dell'armala furono chiamati ed istruiti alle nostre costruzioni. Tutta l'artiglieria disponibile fu inviata, ed in meno di un mese tutti i preparativi furono compiuti.

Infine, nel 7 Luglio, gli apparecchi erano bastevoli, i ricambi mollo numerosi, le batterie, i magazzini e quant'altro occorreva, erano terminati, i cannonieri erano defatigati, per aver postati 120 bocche da fuoco in batteria a braccia; le cannoniere erano sturate, il fuoco cominciò a tre ore e mezzo del mattino, al segno che diede il Re, il quale avea percorso più volte i lavori, fino ai punti più avanzati, dove erano le batterie. Gli assediati, abituati a tirare sopra i nostri travagliatori, senza che loro si fosse risposto una sola volta, dopo 5 mesi, non potettero sostenere il nostro fuoco; e bentosto si convinsero essere superiore al loro. Cinque loro magazzini di polvere e di Revisioni che saltarono in aria, li cagionarono danni; e fu evidente fin dal primo giorno, che non erano nello stato di sostenere la lotta. Intanto il nemico non si lasciò intimorire; mise in esecuzione tutte le risorse dell'arte; variò il suo fuoco; fece a pieno giorno cambiamenti di batterie e fiancheggiò le sue brecce.

La batteria S. Andrea fu battuta in breccia fin 1 secondo giorno, e tulle le cannoniere furono riveliate dalle nostre palle; i pezzi della batteria,

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detta Cittadella, non potettero sostenersi, mal i lavori costanti, che gli assediati fecero con botti per preservarsi dalle scheggi e di pietre, cagionavano i nostri colpi, e per tener luogo dai loro parapetti in parte distrutti; tutti i pezzi di questa batteria furono spostati almeno due volte.

La batteria della Regina fu controbattuta da quella, piazzata sullo spiazzo del vicino monticello, paralizzata dall'effetto delle nostre bombe. La batteria a Scaglioni, di cui si serviva il nemico per prenderci di rovescio con vantaggio, fu combattuta da una di quelle batterie, situate a Montesecco, non che da due di quelle delle Detruisseux; le batterie a dritta di Montesecco battevano la batteria di Breccia, quella a sinistra e la Berthier battevano in breccia a sinistra del Cittadella, dopo aver distratto il suo parapetto; batterie di costa diressero egualmente il loro fuoco su questo punto.

Intanto, il nemico sterrava le brecce nel giro della notte: cosa che fece pensare aversi bisogno di due nuove batterie per renderle praticabili, da situarle una di fronte alla batteria di breccia, e la seconda di contro la sinistra della Cittadella; e siccome quest'ultima batteria era quella che meglio dirigeva i suoi tiri, così cominciossi colla batteria di fronte ala batteria S. Andrea (detta di Breccia.)

I fuochi delle batterie di costa furono diretti sol fianco sinistro del bastione della Cittadella, dopo d'avere fatta la breccia alla sua sinistra, che benché prendessero visuali oblique, pure giunsero a fare una breccia, a cui non si poteva pervenire

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costeggiando il lato dritto della gran mezza luna dal mare, che non ha oltre a 18 pollici di profondità (in tempo di bassa marea). Il 17 e 18, le nostre batterie manovrarono con molta speditezza, e di una maniera così sorprendente, da non potersi esiger meglio dai cannonieri, i quali benché estenuati dalle fatiche di quattro mesi e dai calori eccessivi, passando 36 ore sopra 48 in batteria, senza esservi neppure due cannonieri di linea per pezzo, pure non si avvilivano. Le brecce erano praticabili alla sinistra della Cittadella ed al bastione S. Andrea, i fuochi della Piazza quasi spenti, i loro parapetti abbattuti, i loro pezzi in gran parte smontati e le colonne d'attacco di già formate. Tutte le disposizioni eransi prese per l'assalto, ma il nemico non volle aspettarlo; poiché alle 4 pom: del 18 Luglio inalberò la bandiera bianca, e dopo sette ore, fu firmata la capitolazione.

Per così fatto modo, otto giorni di fuoco bastarono per ridurre questa piazza, una delle più forti d'Europa, a motivo della sua posizione, che una squadra di nove vascelli e di 50 scialuppe cannoniere sostenevano, ed un'antica opinione la faceva riguardare come inespugnabile.

I lavori del genio sono stati avanzati con arte pari all'audacia, quei dell'artiglieria con abilità uguale al coraggio; e posso assicurare, che essa ha ottenuta la sua antica riputazione. Debbo egualmente dire, che alcuni distaccamenti di artiglieria Napolitana, educati alla scuola dei nostri camerati, hann o meritato combattere con essi.

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II generale Dedon che aveva sempre esercitato il comando attivo dell'artiglieria dell'assedio, si era stanco e malato, ma non si allontané, benché fosse stato rimpiazzalo dal sig. Generale Moscel, che ha spiegato valore ed attaccamento.

La brillante difesa degli assediati ha presentale molle difficoltà a superare; esse però non sono ad altro servite, che ad esercitare maggiormente i talenti consumati del Maresciallo Massena.

CAPO IX.

DIFESA DEL 1815

Reduce Ferdinando I dalla Sicilia, dopo d'aver trionfato su i nemici, che rapito gli avevano il trono, le Armi d'Europa se ne stavano mute, nel mentre che i loro sguardi tenean rivolti alla Fortezza di Gaeta.

Alessandro Begani, che ne aveva avuto il sapremo comando, dopo la breve campagna d'Italia, in cui, come Maresciallo di Campo, teneva la superiore direzione dei parchi di artiglieria, si risolvette a difendersi. In tal rincontro questo distinto militare mostrò chiaramente quanto valga più l'energia e la capacità del Generale che il numero maggiore dei soldati; e quanto sia vero, che la virtù e la costanza del Capo basta a tener ferma la disciplina tra i soldati, nel tempo di guerra.

Egli con piccol presidio, chiuso nel recinto di una Fortezza, nella quale tutto il mondo era per lui circoscritto; benché niun riparo erasi fatto ai danni che sofferse pel 1806, senza guardare i pericoli, ai

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quali si esponeva in resistere; consultando il solo militare, fece una eroica resistenza per ben quattro mesi, dopo i quali, mancandogli viveri, nutrizioni e tutto ciò che era occorrente per prolungare la difesa, con onorevole patto, cedette. Se fu grande la gloria militare di cui si circondava Bigani, non fu meno riprovevole la resistenza opposta all'armata tedesca, la quale sosteneva i santi Dritti di Ferdinando I che, mostrandosi clemente il pari che giusto, lo esiliò dal Regno come ribelle; come valoroso soldato, che avea sostenuto l'onore della bandiera ad esso affidata, gli accordò uno stipendio, che valse a minorare i mali che accompagnan l'esilio.

Salito sul trono degli Avi suoi Ferdinando II. non dubitò richiamarlo nelle file dell'Esercito napolitano, né di affidare al suo sperimentato valore il gravissimo incarico di migliorare le artiglierie. Questo nobile e generoso tratto di fiducia usata il Re Ferdinando II, nonché dal suo Avolo, se la un lato mostra di quale animo grande e leale son forniti i Borboni, mostra dall'altro la loro troppo proclive condiscendenza nel perdonare; e dopo la sua morte, accordò una pensione alla famiglia superstite di ducati 50 mensili. È vero, che in Bigani, perdonandolo ed esaltandolo si onorò il merito ed il valore militare, pure questi esempi, quando spesso si replicano, riescono nocivi ad ogni ordine di società; perché le basi sulle quali deve poggiare un governo per non rovinare, risparmiare i popoli dalle vessazioni, dalle ingiurie e dagli abusi, debbono essere, come diceva

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Filippo V, premio e pena: cosa oggi dimenticata dai Sovrani, dappoiché la clemenza disgiunta, dalla giustizia, è un vizio e non virtù; e l'atto che sembra magnanimo nel presente, partorisce d'appoi amarissimi frutti, come l'esperienza ci ha mostralo.

CAPO X.

DIFESA DEL 1860-61

In sottoporre, con la più possibile brevità ali occhio del lettore, tulle le difese che sostenne la Porlezza di Gaeta pria di quella del 1860-61, ebbimo a scopo di rendere istruito chi legge anche del passalo, acciò con maggiore facilità e con più imparzial giustizia potesse dar giudizio; ed a tal uopo non si omise, nelle singole narrazioni far notare le condizioni della Piazza in cui era nei diversi attacchi: cosa che non abbiamo tralasciata neppure nella presente descrizione; aggiungendo da vantaggio in questa, la disuguaglianza delle armi ed il nemico triplicato in numero, fornito di tutti i mezzi necessari, negati a' difensori.

Varcati, come dicemmo nel Capitolo I, da Cialdini i limiti del Regno, a fianco del suo Re, che, non chiamato dalle altrui grida lamentevoli, ma spinto soltanto dall'ambizione, recavasi ad infelicitare, e non a liberare i popoli del Mezzogiorno (1).

(1) II tempo ha chiaramente mostrato, che sognate eran dai Re Galantuomo le voci di dolore dei Napolitani, poiché questi, ora, e non prima, emettono parole di dolore ed accenti d'ira contro il governo che li regola, che, con l'annunzio di liberarli, ha regalate loro catene pesanti, cioè: fucilazioni, carcerazioni, esiglio ed imposte senza fine.

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Traditi e non vinti, meno di tre mila uomini, che gli contrastarono il passo al Macerone con tutta la quarta Brigata piemontese che ascendeva a 22000 uomini (1). Favorito dalla ritirata delle regie truppe, che da Presenzano si diressero alla destra del ponte del Garigliano; sloggiate da quivi, colle artiglierie dei legni da mare, si appressò a Gaeta il giorno cinque Novembre, spingendo gli avamposti fino alla Cappella Conca, mentre la squadra Sarda rimaneva ancorata innanzi a Mola (2).

Queste posizioni fino al giorno dieci non furono alterate, ma il di seguente (3), alle quattro p: m: alquanti battaglioni nemici si avanzarono all'improvviso verso gli avamposti del presidio, che erano sul Colle dei Cappuccini; sul Colle Atratina; sul Lombone; sul monte S. Agata, ed a Torre Viola; e si attaccarono, forzando i regi a retrocedere: ma i cacciatori del presidio, si slanciarono con tanta energia su del nemico, che non gli si permise prendere la posizione, meno che sul Lombone, in cui quella del 14.° cacciatori fu occupata dai

  1. Questo primo attacco sostenuto da Cialdini contro un pugno di prodi al Macerone, è un fatto che la storia registrerà come uno sforzo fatto dai partigiani di Francesco II. per respingere il nemico che invadeva il Regno; poiché si combattette uno contro dieci, ma tanto accanitamente, da far spaventare il Generale Grifóni, che poi scampato il pericolo, per l'ajuto venutogli, cantò vittoria.

  2. Questa squadra era composta la maggior Darle di fregate Napolitane; di quelle fregate i cui comandanti si negarono seguire il Re a Gaeta, perché compri dalla Camarilla di Torino, ricoprendosi in tal modo d'onta incancellabile,

  3. In questo giorno i Marescialli di Campo Colonna e Barbalunga, appartenenti al Corpo d esercito e Montesecco, presentarono la loro dimissione, che venne accettata; ma oguno comprende, che questa dimissione fu una mascherata diserzione, che lasciamo alla storia il decidere se per venalità e per paura.

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Piemontesi, che, nel giorno 12, vennero di bel nuovo scacciati con una brillante azione dello stesso 14. ° guidato dal Capitano Orlando.

All'alba del giorno 12 poi, il nemico, riconcentrano le forze, si diresse contro l'ala sinistra, ed impegné su tutta la linea un vivo fuoco, meno che verso l'estremo della destra. Alle due p: m: dello stesso giorno, urlando anche quest'ultima, Pianell, che la difendeva col 15. ° cacciatori, si delle al nemico, facendo fare prigioniero tutto il battaglione, previo anteriori accordi (1); e per questo, sopraffatti i regi dalle forze, dopo sanguinoso combattimento, furono costretti ad abbandonare la posizione. Qual coraggio e perizia militare avesse mostrato il Brigadiere Sanchez da Luna in questa disuguale, ma accanita lotta, non è a ripetersi; perché fu degna d'un militare di cuore e di onore. Al declinare dello stesso giorno fa sorpresa lettera nell'ajutante di Pianell, diretta al colonnello Nunziante, cui premurava seguire il suo esempio con l'8. ° cacciatori; per la qual cosa il Nunziante fu sottoposto a Consiglio di guerra come reo di fellonia, ma la clemenza dei giudici, nel da re la parità dei voti, salvarono Antonino Nunziante,

Il quale assoluto, non credendolo neppur vero, diede la dimissione, che venne accettata.

Da questo momento incominciò il vero investimento della Piazza e la sua difesa. I piemontesi da una parte, con tutti i mezzi di risorse che disponevano, dettero principio al lavoro per

(1) Questi accordi anteriori, fatti con Cialdini, lo può testificare l'onorato Capitano Quintavalle comandante la 7. a compagnia, al quale non isfuggì niun movimento del Colonnello Pianell.

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piantar batterie, e gli assediati dall'altra non trascurarono di molestarli con qualche bomba; perché la lontananza del luogo, ove lavoravano i piemontesi, non consigliava agli artiglieri della Piazza tirare col cannone ad anima liscia, convinti di non ottenere lo scopo. Non per tanto ristettero oziosi; anzi spiegarono ogni energia a piazza re cannoni sugli affusti, a far ripari sulle batterie ed a costruire quelle blinde che potevano, e che la deficienza del necessario loro permettesse; aspettando ansiosi il nemico ai lavori d'approccio, che mai si fecero, come appresso si andrà vedendo.

La Piazza, priva di legnami per sostituire gli affusti; scarsa di giuochi d'armi e di viveri; non completa delle opere di difesa che si erano proposte; mancante ancora di armamento della moderna balistica, si dispose a sostenere la difesa, durante la quale, il valore della guarnigione fu oltre ogni credere mostrato.

Il presidio non iscoraggtò mai alla vista imponente delle forze e dei mezzi del nemico: perché conosceva in pratica, che al maggior vigore, più che alle regole dell'arte ed al numero dei saldatasi deve la vittoria.

I piemontesi, padroni di tutte le adiacenze della Piazza, possessori di tutti i mezzi che offriva un florido Regno, libero il mare per essi; disponendo di tutti gli attrezzi di guerra, che con tanto dispendio il Re Ferdinando II. seppe arricchire lo Stato, incominciarono a piantar batterie a Castellane (1), all' Accampamento, alla Scanzatoja, alla Fontana, sul monte Cristo, a Casa Arzana, sul Colle S. Agata,

(1) Questi locali si possono riscontrare nella tavola topografiche, in cui si rileva l'accampamento nemico con le sue batterie.

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nella valle di Calegno, sul Colle dei Cappuccini, alla Casa Occagno, a Casa Tucci, a Torre Viola, sul colle Atratina e sul colle Lombone, le quali erano lotte munite di cannoni rigali da 6, da 12, da 30, da 60 e da 80; e che in tutto sommavano a 166 bocche da fuoco, oltre ai cannoni Cavalli, come si osserva dallo specchietto, che è nella caria topografica, Gaeta e suoi dintorni, pubblicala a Torino, con ordine del Ministro della guerra (1).

Le posizioni di queste batterie trovavansi dalla Piazza le più lontane 4800 metri, le medie a 3200 ] metri, le vicine a 1000; e tutte avevano i suoi tiri diretti al fronte di terra. Noi, tenendo presente la distanza e le disposizioni di queste batterie, non possiamo convenire con Cialdini a chiamare assedio il suo bombardamento, e niun militare, tirone che sia nelle arti della guerra, saprà con giustizia chiamare assedio il bombardamento di Gaeta del 1860-61; perché le parallele, che costituiscono il vera carattere dell'assedio di una Piazza, mancarono. Se qualche volta ancor noi lo chiamammo assedio, fummo astretti dalla stampa per iodica e dalle dichiarazione dello stesso Cialdini (lettera del 12 febrajo), che con tal nome volle appellarlo, per iscanzarsi nella storia il nome di bombardatore, meritamente dovutogli (2).

  1. Dagli Eredi Botta, 1804.

  2. Al momento di porre in torchio questo lavoro, ci è capitato per le mani un volume che ha per titolo — Operazione dell'artiglieria piemontese sotto la fortezza di Gaeta ecc. ecc. nel 1860-61. Noi, per desiderio di conoscere qualche cosa di peregrino, l'abbiamo divorato in un sol giorno; ma la lettura di esso non ci ha dato niun miglioramento alla conoscenza che aveva mo. Solo abbiamo ammirato la spudoratezza degli scrittori in spaccare i piemontesi

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II presidio trovandosi in questa situazione dura per la disuguaglianza delle armi nelle portate, e di spiacente, perché non poteva rispondere al nemico, fornito di cannoni Cavalli, si attivava con ogni premura a mettere su gli affusti i migliori cannoni di bronzo, con i quali soltanto poteva molestare i Piemontesi, che lavoravano dietro alle mura del monastero dei Cappuccini.

quale maestri nell'arte da guerra; dando ad intendere, per accrescere importanza ai lavori di attacco, che hanno fatto innanzi Gaeta, non essersi ivi solamente trattato di un semplice bombardamento ma ancora d'assedio.

Si è detto in quel libro; che le parallele, come quelle del 1806, non erano necessarie, perché in quell'epoca, se si ebbe bisogno di tanto avvicinarsi, fu perché non si avevano cannoni Cavalli e né quei rigati da 30: da 60 e da 80. A noi pare da ciò che i maestri nell'arte da guerra si siano dimenticati quale sia lo scopo delle parallele e qual ne debba essere la distanza dalla Piazza. A tal uopo riferiamo un aneddoto, benché non ci ricorda in qual libro l'abbiamo letto. Un Pascià minacciò di morte un disgraziato Rajasso, che voleva supplicarlo, se mai a Lui si fosse approssimato, calpestando coi piedi il tappeto che copriva il pavimento della sua stanza; ma l'infelice intelligente ed accorto, rotolando colle ginocchia innanzi ai piedi il tappeto, s'avviciné al Pascià, il quale allora, come vuole la storia, concepì l'idea delle parallele per avvicinarsi ad una Piazza forte. Ed infatti, lo scopo di esse, è di marciare al coverto dei fuochi dei rampari vicino ai piedi dello spaldo, di far breccia alle mura, e quindi montarla all'assalto. Ora se i piemontesi son rimasti sempre sulle alture del Monte Cristo, del colle Lombone, del colle Tortano, del Monte Conca, del colle S. Agata , nel l'Accampamento ed in Castellone, potevano mai con tiri in curvata far breccia praticabile alle mura della Piazza, che, quasi da tutti questi punti non potevano neppure scoprire? Intendevano forse condurre le truppe alla montata della breccia in distanza di 3500 a 4800 metri in cui erano, o intendevano continuare gli approcci, impiegando per ogni parallela tre mesi di tempo, quanto ne avevano impiegato per far la da loro prima pretesa parallela? Noi lasciamo considerare agli uomini esperti nell'arte da guerra, se i piemontesi, in tal modo operando, fecero l'assedio a Gaeta nel 1860-61 oppure la bombardarono. Per quanto abbiamo letto nella storia militare del Piemonte, non ci è riuscito facile rinvenire, che le armi di quel

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I tiri curvilinei dal nemico lanciati recavano immensi danni alla Città, e non pochi alle batterie fronte di terra, a cagione della strettezza delle nate, in coi la maggior parte scoppiavano. Più si pensò di fare delle sortite per impedire i lavori del nemico, ma gli ostacoli si trovarono sei nella lontananza enorme che separava la Piazza opere nemiche. (1)

piccolo regno, ora dimezzato per la cessione di Nizza e avessero mai operato con la vera applicazione della scienza militare, in prendere una Fortezza; ma bensì abbiamo appreso, l'uso serbato costante dai Capi di esse, è stato quello del bombardamento, con la cui prepotente azione, come han detto i compilatori del libro sopracitato, han costrette le Piazze a capitolare. Ditemi un poco, civilizzatori del secolo XIX. che ascrivevate a delitto agli altri Sovrani se tiravano una bomba su di un covo di ribelli, mentre voi senza niun dritto bombardaste Genova, avete bombardato Ancona, Capua, Mola, Gaeta, Messina, e Civitella del Tronto? ed avete bruciato 29 paesi e, forse per quell'assioma « quod licet Iovi, non licet Bovi? ». Il tempo, Signori, tutto ha raccolto, tutto ha registrato, per presentarlo innanzi al Tribunale della Storia e di Dio, onde se ne abbia un imparziale giudizio! Una bilancia, una la misura!

(1) Due sortite solamente si fecero, che i piemontesi dissero, nell'opera citata, insignificanti. La prima per una ricognizione, ed ebbe luogo al 29 Novembre; la seconda per demolire le prime case del Borgo e si fece nel 4 Dicembre. Quella fa diretta dal Generale del Bosco e dal Tenente Colonnello Miscy, quale cadde mortalmente ferito, per essersi troppo spinto avanti al nemico. Questa fu comandata dal Conte de Christen Capitano volontario e dal 1. ° tenente Corrado; sia nell'una che nell'altra il Generale del Bosco assistette da sotto la porta di sortita. Noi che tutto vedemmo da vicino, ci recò maraviglia e sorpresa in udire correr voce per la Piazza, e poi registrato nel giornale dell'assedio, che nella sortita di ricognizione, al del Bosco gli era stato forato il calzone da una palla nemica. Dal qual fatto ognuno ne ha riconosciuta la impossibilità, perché mille metri e più di distanza, con un fucile ordinario, non potevasi certamente proiettare una palla con precisa direzione un individuo. E poi, come poteva avere questa palla tanta umanità da forare il calzone e risparmiare la gamba in direzione del molecolo?!... Noi per non precipitare il giudizio su questo fatto, ci siamo trattenuti a riflettervi con posatezza e con la logica dell'esperienza; ed il nostro studio ha ottenuto per

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Su questo particolare molti, quali il famoso Rustow, han criticata la condotta del presidio; ma noi che eravamo sul luogo facciamo loro a rispondere: Come era possibile montare alcuna sortita se il nemico era lontano dalla Piazza 4800 e 3500 metri?Non sarebbe stato illogico cimentarsi; quando si conosceva che i soldati di sortita sarebbero stati girati, distrutti o tratti prigionieri dal nemico, per non poter essere protetti, nella ritirata, dalla Piazza? Certamente l'aversi in tal modo parlato fa supporre al tutto ignorarsi la posizione topografica del luogo; perché, essendo Gaeta situata all'estremo di un Istmo, il terreno sottostante al fronte di terra, fra i due mari, non offre ampiezza a sviluppare le forze, tanto per un attacco, come una difesa.

Se Cialdini volle stabilire le sue opere d'attacco a distanza tale, da servire non per assediare come ei ha preteso, ma precisamente per bombardare, (barbaro mezzo! per impadronirsi d'una Piazza), traendo profitto dalla maggior portata dei cannoni Cavalli, per non avere molta perdita, il Comando Piazza neppur credette opportuno di ordinare sortite, le quali, oltre che niun vantaggio avrebbero recato, sarebbero state causa d'inutile spargimento di sangue. Il Maresciallo Vauban, discorrendo su questo proposito, raccomanda ai Governatori delle Piazze di non spingere molto lungi i soldati dalla Fortezza, onde cadere negli agguati, preparali dell'assediante;

risultato: essere impossibile quanto si fece dire per la Piazza e accreditò con la stampa su tal riguardo, ma in vece, inavvertentemente, qualche chiodo lacerò il calzone, e, nel momento li paura, si credette effetto di palla nemica,

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perché le sortite cosi fatte, sono spesso tagliate gagliardamente respinte; e questa cosa non solo danno ai soldati operanti, ma reca pure lo scoraggiamento al presidio. Ora dunque, se lo scopo delle sortite è di distruggere le opere dell'assediante interromperne le operazioni e far perdere tempo al lavoratore; non sarebbe forse stata un'imprudenza dare in cerca del nemico ad una distanza di 3500-4800 metri? A ognuno è facile fare da Aristarco sulla sorte del vinto, ma sé bene si consideri le cause ed i mezzi per i quali riportò trionfo il vincitore, ben altrimenti si giudicherà; e Rustow stesso, con tutti gli altri della sua opinione, confesseranno: che era impossibile fare delle sortite; ed tal uopo giudiziosamente si regolò il Governatore ed il Consiglio della Piazza. (1)

Ma ad onta che i Piemontesi erano al sicuro per la lontananza; ad onta che usassero il bombardamento in cambio dell'assedio; benché coi suoi cannoni Cavalli demolissero i parapetti delle batterie della Fortezza, atterrando blinde e facendo crollare magazzini di munizioni, pure i difensori di Gaeta spinti dalla passione della gloria, ed infiammati dall'amore del Principe e del Paese, equilibrarono cosi bene l'attacco e la difesa, che resero illusori i calcoli

(1) Se il lettore ignorasse chi è questo Rustow, noi gli diciamo: essere costui un Prussiano, membro della setta mondiale; e quando Garibaldi andò a spogliare il Regno di Napoli, gli fu compagno, con l'intendimento di divenir padrone di un feudo? Ed esso stesso ba confessato: agognare il feudo di S. Leucio. Dal che si apprende, che i portatori della libertà nei popoli, non hanno altro scopo, che quello di mutar fortuna; cioè di arricchirsi con gli altrui sudori. La storia è là per additarci Farini, Ricasoli, Venosta, Conforti, Spaventa, Sella, Minghetti, Manna e tanti altri.

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matematici, mercé i quali, Cialdini pretendeva limi-l'assedio, o meglio bombardamento, al giorno Gennaio (1). Gli sforzi falliti dagli artiglieri nel rispondere indefessamente al nemico; le fatiche che sostennero per rialzare i parapetti, le blinde e gli Li danneggiali dai spari; l'annegazione mostrata dall'intero Corpo del presidio per difendere la giusta causa del Re, senza curar patimenti e sofferenze, senza riguardare la mancanza dei mezzi prendersi carico che niuna potenza era per soccorrerlo, il solo lettore può immaginarlo; ma uno scrittore riuscirà mai a darne esatta idea.

I modi garosi di accorrere dove il pericolo era maggiore; a disputa tra. gli artiglieri, cannonieri, mali ed ausiliari (2) nel puntare con più aggiusteza il cannone; la mostra di coraggio per affrontare con più gloria la morte in adempiere il di soldato e di cittadino, presentavano il bello spettacolo dell'animo, del valore e del desiderio cui erano forniti i non mai abbastanza Ki difensori di Gaeta (3). Essi Ira lo sparo del-

(1) Questa pretenzione Cialdini la confessò nel suo proclama. febbraio dopo la resa; e la fondava sulle relazioni dategli dagli uffiziali, che in uniforme francese, come dicevasi nella Piazza aveva mandato ad osservare i guasti recati alla Fortezza ed alla città dalla pioggia dei projettili, che vi aveva fatti lancia-giorno 8 Gennajo e nei di precedenti. Per noi sta che potea benissimo Cialdini calcolare con una triviale proporzione matematica il giorno della resa, con i mezzi usati; ma doveva conoscere che la Truppa Napolitana, quando non ha Capi venduti si batte leoninamente e contrasta la vittoria a numerosi ed agguerriti Eserciti, come dalla storia egli poteva apprendere.

(2) Questi ausiliari erano i Cacciatori di linea.

(3) Il valore mostrato dai prodi artiglieri, cannonieri-marinari ausiliari, nell'adempimento dei doveri di suddito e di soldato, la resa celebre la difesa di Gaeta de! 1860-61. Essi, in faccia

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le artiglierie non cessarono mai d'inviare un saluto al Re, suonando l'armoniosa marcia Reale Paesiello; . ed al ripetere quel nome tutti si elettrizzavano, raddoppiando sempre più l’energia, ogni qualvolta (che era giornalmente) vedevano tirare sulle batterie il Re, la Regina con i Principi Reali, i Conti di Trani e di Caserta, si vedevano infiammati ad altra gloria, che solo da quel soldato che fa il proprio dovere è facile vedersi, si benché decimati, anneriti di fumo e defatigati, fermi nei doveri, volevano morire in difendere il Trono; e sebbene fossero in mezzo ad ogni privazione ed a sofferenza, non s'ebbe mai a registrare uno scoraggiamento, una viltà.

Il desiderio di affrontare la morte, per essere fedeli al Re ed alla Patria, era divenuto la loro frenesia, vedendo in quella morte un mezzo per vere una vita più gloriosa nella mente dei posteri: desiderio che solo virtù poteva consigliare! Essi conoscevano, che gli sguardi di tutta Europa erano in loro rivolti; e quando un soldato era ferito o cadeva estinto da proiettile nemico, veniva fatto segno d'invidia. Felici campioni!... fortunali soldati!... che tanta gloria meritaste!

al mondo militare, possono tener alta la testa ed esigere rispetto dallo stesso nemico, pel coraggio e per l'annegazione. Essi, malgrado il secolo e gli esempi contrari, hanno nobilitate le loro anime; e se la brutalità degli avvenimenti li schiacciati, possono già da questo momento contare sul giudizio della storia, la quale è la sola che ba attribuzione di giudicare e compartire il biasimo e la lode. Noi per altro siam certi, che dal cenere degli estinti in quella Missolungi Napolitana, risorgerà l'indipendenza della Patria, come l'araba fenice; che che se ne dica in contrario dai politici senza politica.

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La medaglia che onoratamente vi pende dal petto, è il testimone della vostra fedeltà, del vostro merito militare. Essa vi separa da quelli che vilmente tradì il Re ed il Paese, rimanendo loro stampato fronte il marchio di... vile... di... traditore!... Cialdini però, che voleva a premure di Cavour arrendere Gaeta, pria dell'apertura del parlamento se, ordinava raddoppiarsi l'un di più che Tallii violenza del fuoco; ed a tal uopo faceva operare anche la squadra dal mare, con cannoni inglesi di Blacknay, benché con niuno effetto; anzi con to suo: che gli artiglieri del fronte di mare, ma l'aggiustatezza dei tiri, fecero apprendere, non essere in quella parte niun traditore accovacciato , con la maschera di fedeltà; facendo in tal modo fallire anche il colpo ardito di Persano, meditato contro la Piazza, e che, secondo lui, doveva ad ogni costo dargliene la padronanza (1). Eppure, chi il crederebbe? l'Ammiraglio, nel redigere il suo rapporto, cantò tanta vittoria, che noi, se non fossimo stati sul luogo, facilmente ce lo avressjmo creduto; tanto era bello il contorno che dava alle menzogne nella sua relazione. Questo franco modo di mentire, é frutto che solo, nel gelido regno subalpino, nutritamente matura.

I colpi lanciati dal nemico, sia dalla squadra, sia alle batterie dell'accampamento, piovevano alla rinfusa Città, la quale veniva rovinata nei suoi edifici, nei suoi tempi e nei suoi ospedali, benché questi sventolassero nere bandiere. Le batterie della Piazza rispondevano calorosamente, comunque

(1) Rapporto del Conte di Persano a Cavour, 15 febb. 1861.

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gli artiglieri venissero danneggiali dallo scoppio proiettili, nello stretto spazio della postata degli fusti. Le polveriste erano il bersaglio principale nemico, comprendendo benissimo, che dall'incendio di quelle poteva ritrarre moltissimo vantaggio, mo più lardi si verificò. Esso si vedeva impossibilitalo ad aprir la breccia con i cannoni Cavalli stati a 4,800 metri di distanza, e con i rigati, 30, da 60 e da 80, a 3700, a 3200, a a 2900, a 2800, ed a 2000 metri. E difatti, contro la logica militare, il voler pretendere aprir breccia a tanta lontananza; giacché la vista degli artiglieri non poteva certamente drizzare con sicurezza, in sì lontano spazio, i proiettili tra quei rettangoli, che, a colpi di cannone, si segnano al fronte del muro da abbattersi. E poi, ancorché l'avesse aperta; qual prò ne poteva ritrarre, se i suoi dati erano a tale distanza che, avvicinandosi a Montesecco, o nell'attraversarlo, niuno sarebbe rimasto superstite nell'approssimarsi all'assalto dell'aperta breccia? Quando Cialdini disse ai suoi soldati, con l'ordine del giorno (13 Gennajo): voi penetrando per la breccia, inalbererete la bandiera con la croce di Savoja sulla torre antica di Orlando, non si pose alla berlina degli uomini da guerra? Certo che sì; perché questi, assai bene giudicavano, che l'ordinamento da lui dato nelle opere d'attacco, non era per aprir breccia, mercé la cui montata impadronirsi della Piazza; ma per sterminarla col bombardamento e ridere sulle sue rovine, come Nerone si trastullava alla vista di Roma per lui bruciante (1). Egli, così operando, non tendeva

1) Scorso, quanto si è scritto dai veri esperti nell'arte di far

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a sottomettere la Piazza, ma a seppellire nelle rovine della Città e soldati e cittadini. Egli non serbò verun riguardo che in quella Fortezza trovavasi il Giovin Re, a cui si strappava per via di tradimento e di violenza la corona, il quale per difendere il dritto pubblico calpestalo e per liberare i suoi popoli dall'oppressione con una rara magnanimità e bravura, che son virtù proprie dell'augusta Dinastia dei Borboni, si era deciso d'affrontar tutti i pericoli d'un assedio prolungato e passivo (1).

la guerra, abbiamo appreso, che il bombardamento, nell'assedio di una Piazza, è generalmente considerato comme un èpisode, une partie de la campagne; però Cialdini, per impadronirti di Gaeta, non l’ha usato come episodio, ma come mezzo assoluto per arrendere la Fortezza e schiacciare con una pioggia di ferro la più antica delle Famiglie Regnanti, e quei valorosi prodi che erano con Essa, non avendo altro Relitto, che il volerla difendere. Egli schivando i rischi d'un regolare assedio, avvalendosi dei mezzi, che al tatto mancavano ai difensori-di Gaeta, cioè: le artiglierie rigate di grosso calibro ed i cannoni Cavalli, dispose le sue bocche da fuoco in due linee di monti, che signoreggiano la Piazza, là cui media distanza di esse, era di metri 2600; e mentre procedeva ad un bombardamento e cannoneggiamento generale, nella convinzione di costringere la Piazza alta resa con la sola prepotente azione dell'artiglieria, carezzava in pari tempo l’idea della possibilità di praticar breccia alla distanza sopraddetta. Ma non era questo un impossibile assoluto, un assordo per l'arte della guerra?...

(1) Dicemmo passivo l'assedio; perché la Piazza non si poteva difendere dal nemico, come la guarnigione avrebbe voluto. Essa non poteva riagire colla stessa potenza del nemico, essendo sfornita al tutto di quei mezzi, che ad esuberanza quello possedeva; perciò la sua difesa fu limitata a controbattere le batterie nemiche, a rapparare i guasti che i projettili rigati cagionavano ai parapetti, alle blinde, ed agli affusti ed a migliorare, per quanto ^era possibile, il sistema di difesa incontro a formidabili cannoni Cavalli.

Da tutto ciò è da apprendersi, che se la difesa fu prolungata per 102 giorni, fu esclusiva opera prodigiosa di quei bravi difensori, e non di coloro che si presentano solo quando il peritolo è svanito per usurparsi il valore dei dipendenti, e farsene ora GLORIA!... UN NOME!... per poi insidiare it vero bravo, onde

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Egli non pensò che colà era quella giovin Regina alla quale servi il Trono per sentire il peso della sventura, e che dette prove di coraggio, superiore al suo sesso, volendo con l'augusto Sposo dividere i pericoli, e sollevare gli infelici malati e feriti con l'opera sua, come un altra suora di Carità!... Vi erano pure i Prìncipi Reali, che, imitando l'intrepido Fratello e Sovrana, affrontavano coraggiosamente le congiure del destino ed impavidi passeggiavano su i baluardi di quel la Piazza ad animare colla loro presenza quei prò di, che sostenevano in quello scoglio i dritti del Re, il sacro onor militare e l'autonomia del Paese (1).

non gli facci ostacolo a mantenersi nell'immeritevolmente n-surpato posto. Questi fatti avvengono alla giornata, ed i Sovrani ancora non vogliono aprir gli occhi per riparare a tanto scandalo, che por troppo a' troni è dannoso!... . Facciamo voti al Cielo che, per onor della giustizia e pel bene della Società, queste sante riflessioni non vadino perdute, come il frumento caduto tu arida pietra.

(1) Tra coloro che eran risoluti a seppellirsi tra le rovine di Gaeta è da notarsi il nome oramai immortale del generoso A-tleta S. A. R. il CONTE DI TRAPANI, il quale, ;dopo fetta la campagna del Volturno ed altre, si teneva al fianco del suo giovin Nipote e Sovrano, per affrontare intrepidamente i rìschi dell'assedio. Ma il Re nel giorno 4 Decembre inviollo a Roma per diplomatici e militari disimpegni, che eseguì eoa quella solerzia degna d'un interessato in tanta causa; non risparmiando né tempo, né cura a congedare i soldati che erano nello stato della Chiesa, e ad inviare tutti gli oggetti necessari che servivano ad aumentare gli approvigionamenti della investita Fortezza. Quale poi sia stata e sia tuttora la condotta generosa, serbata verso coloro che seguirono la Reale Dinastia nell'esiglio non diciamo, perché é non al mondo; e non vi è sventurato che non risente i tratti della sua somma beneficenza. La storia non ommetterà assegnargli la più luminosa pagina, additandolo alla posterità come Padre dei poveri. Prode ed onorato militare. Congiunto leale ed affettuoso.

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Questo modo di prender le Fortezze, per quanto ci è stato dato dalla nostra età, non ancora abbiam potuto rinvenire nella storia militare un rincontro; e perciò lo chiamiamo: al sistema di dal- che in una lettera diretta al Governatore di, (11 Febbrajo 1861), confessava: che egli un sistema tutto proprio per fare la guerra, e trattare capitolazioni. ÀI che il Governatore rilevar che quel costume non era generale, ma lui solo adottato, poiché una volta che si ammette convenienza di porre un termine alle ostili-il più santo dovere di ogni Generale9è di risparmiare il sangue dei generosi, che sostengono fedelmente loro bandiere; ed in un'altra aggiungeva: e senza punto elevare paragone di procedimene tra le parti belligeranti. Queste generose e leali delle per richiamare alla mente di Cialdini doveri di onorato militare, i dritti di umanità conculcata, ed il procedimento da tenersi da un Capo onorato, furono sprecate; perché egli non ad altro mirava, che a vincere, con la forza triplicata, quel pugno di prodi, sforniti dei mezzi, pari ai suoi, per resistere. Intanto, con tutto che l'assediante faceva gli estremi sforzi per rendere la Città un mucchio di rovine, e per far perire sotto lo scrollamento delle proprie case gli abitanti pacifici, la guarnigione fu sempre salda nel suo dovere, combattendo il nemico per quanto lo poteva. Essa non curava la riduzione degli averi, e né tampoco la ristretta razione dei viveri. Essa non penava sulla mancanza del vestiario, delle calzature e su i sempre crescenti disagi; sicché i lavori indefessi, le malattie, le febbri tifoidee e le perdile con i pericoli giornalieri, ai quali s'incorreva, erano di spro ne ad accrescerne l'energia.

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Ma nel giorno quattro Febbraio una bomba, partita dalla batteria nemica di Casa Occagno, sfondò l'androne al fianco basso, per cui si accede alla batteria Cappelletti, reputata a prova di bomba, e si appiccò fuoco a due cantaja di polvere ed a molte granate cariche. Per tuie scoppio, il terreno circonvicino si scosse; però non recò quei danni che si ebbero dall'incendio del magazzino di munizioni della Cortina a denti di sega S. Antonio (nel cinque Febbraio), ove non solo erano le munizioni di questa batteria e quella della Cittadella, ma vi si trovavano ancora 40,000 cartuccie da carabina e da fucile. Una tale esplosione non pur atterrò, per lo scuotimento, tutte le case vicine, con oltre ai 100 pacifici cittadini, che non avevano voluto abbandonare le loro abitazioni, ma seppellì eziandio nelle rovine un numero considerevole di uomini ed artiglieri, nonché il non mai abbastanza rimpianto Tenente Generale Traversa, con il Tenente Colonnello de Sangro e i due secondi Tenenti, Trojano e Guarriello (1).

(1) L'incendio di questo 2° deposito di munizioni non fu cagionato da bomba nemica, come si registra nel giornali della difesa; poiché è impossibile che un projettile lanciato a tiro curvilineo possa rompere la blinda, che guarda un magazzino, situato di fianco alla bombai cadente, a distanza del luogo, a cui si accede per mezzo di cammino a zig-zag, e ne sfondi la porta che lo serra. Un Capitano di artiglieria, il quale era poco distante di guardia ci assicura, che questo incendio non poteva avvenire senza che una mono venale lasciasse nel magazzino una macchina fulminante. E ne si può mettere in dubbio essere anche in Gaeta appiattatoli tradimento, giacche S, E, il ministrò Casella nella sua circolare ai rappresentanti all'estero, loro annunziando la caduta di Gaeta, fa conoscere: non essere, tra le cause che contribuirono alla resa della piazza, estraneo il tradimento! Se qualcuno poi si ostinasse a farci credere che l'incendio è avvenuto per opera di bomba nemica, noi lo preghiamo a spiegarci; il come furono salve le guardie che. erano in custodia del suddetto magazzino.

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Il nemico allora rivolse colà tutti i suoi tiri, secondo il suo costume, con un fuoco cosi spesso, da sembrane che i proiettili vi cadessero a grandine; e ciò per impedire d'apprestar soccorso alle disgraziate, ma onorale vittime, anche figlie dell'Italia (1). Questo inumano modo di procedere, che non ha riscontro tra barbari, era stato ordinalo da Cialdini nel (1. Febbrajo) nei seguenti termini: si concentri il fuoco di tutte le batterie in qualunque punto della Piazza si sviluppi un incendio, o si manifesti un grave guasto. Ordine veramente degno del progresso e della civiltà moderna, che si vuoi portare nei popoli a forza di cannonate e fucilate!... Non per questo gli artiglieri della Piazza si 'spaventarono e fecero rimanere silenziose le bocche da fuoco, anzi la presenza colà di S. A. R. il Conto di Caserta, ne accrebbe il coraggio; e mostrarono, che chi è animato dal nobil sentimento dell'onore verso il Re ed il Paese, anche le più atroci sventure non han forza ad ammansirgli l’ardore, ma

Coloro che sostennero fin ora, non essere stato il Re tradito anche in Gaeta, ci hanno richiamato alla mente il comune adagio; i cani amici si grattano, ma non si mordono.

(1) Apertasi la breccia dal Iato di mare, per lo incendio del magazzino di polvere detto di sopra, si sparse voce per la Piazza dagl'incaricati di Cialdini, a tentare un disordine interno, che un assalto era imminente. Pervenuta la notizia a conoscenza di S. M. il Re, si fece chiamare il generale del Bosco, che spensieratamente dormiva, onde accertarsene. Del Bosco uscì, e nascondendosi dietro la blinda della Casamatta Reale, spedì un uffiziale a porta di terra, il quale, ritornato, assicurò: esser insussistente la voce sparsa. Allora il generale, atteggiatosi a valoroso, fi presentò al Re, dicendo: I colpi che si odono, partono dalla squadra, ma niun danno possono recare, perché imperitamente lanciati, come ho osservato (!?) Noi per questo fatto ricordiamo al lettore la... . blinda!...

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piuttosto accrescono energia e valore. Da questo fatto si può apprendere che la buona condona del soldato dipende dalla fiducia che sa ispirargli il Duce che lo guida (1). Dall'altra parie il Re in quei perigliosi momenti girava per le batterie, e colla sua presenza, quasi dicesse ai suoi fedeli soldati: Se voi non vedete taluni vostri Capi, ohe da viltà e da codardia furon vinti, o che venalità li compromise, ecco il vostro Re, che seco voi divide pericoli e disagi. Egli sarà sempre al vostro fianco; e se occorre rimaner sepulto tra le rovine di quest'ultimo baluardo della Monarchia, è pronto: basta che il suo sangue sia sufficiente a lavar le macchie che i traditori impressero su le bandiere dell'Armata Napolitana, e rimanghi gloriosa. L' invitto EROE, in questi momenti, ben ricordava il detto di Costantino: Che il posto d'onore di un Principe, in una Piazza investita , È LA BRECCIA.

Queste esplosioni, benché recarono enormi danni a quella parie della Città più vicina alla Porta di Terra, pure per la resistenza non aveva importanza alcuna di accorciarne la durala; perché comunque due breccie praticabili si erano aperte, non erano alla portata di far soffrire

(1) In questa circostanza il prefato Real Principe mostrò, quel coraggio e quella bravura che solo si riconoscono nei cimenti. La sua presenza, la sua fermezza e la sua calma in mezzo al pericolo, fecero vedere di quanto valore e di quanta abilità fosse dotato. Egli non si turbò, ne si scosse alla grandine dei proiettili nemici che cadevano sul luogo; ma fermo al suo posto, diresse ed animò gli artiglieri, brillando in Lui tutte le qualità militari, che difficilmente si possono riunire in un solo individuo.

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alla Piazza un assalto, che sarebbe stato troppo rischioso; che sebbene ivi molti cannoni eransi sepolti sotto le macerie, non ve ne mancavano altri da mitragliare il nemico per fargli pagar cara 1 imprudenza. Tanto più, che le innumere batterie, nemiche, non erano per la distanza, al caso di proteggere un assalto, e perciò gli sarebbe stato azzardoso e micidiale. Noi però siam certi che nella mente di Cialdini non passò mai questo pensiero, e perciò niuno dei suoi sogni fu turbalo da questa reminiscenza, benché in Castellone (a quattro miglia dalla Piazza) studiava le proporzioni per la resa di essa, dopo un bombardamento; e faceva fare pruove ai suoi soldati con le scale per un futuro assalto. Ciò, secondo noi, serviva soltanto per esercitare quei prodi bombardatori, e per baloccare i curiosi che colà si erano radunati: mentre nell'animo suo tutt'altro sentia, all'infuori di quello, che ali1 esterno dimostrava!...

La Guarnigione di Gaeta, non ostante i disastri delle esplosioni, era sempre animata da quello spirito di bravura, che fa distinguere il so dato valoroso e d'onore dal vile e traditore; per la qual cosa, nel 9 Febbraio, la Maestà del Re l'esternò la sua Sovrana soddisfazione (1). Ma mentre Cialdini eseguiva in questi giorni quanto scrisse al Governatore della Piazza, cioè: che non voleva cessare, anzi cercava raddoppiare il fuoco sino a che Gaeta non era sua, non curando i giudizii dei contemporanei e della

(1) Questa Sovrana soddisfazione si trova espressa in un ordine del giorno del Governo Militare della Piazza, firmato dal sotto Governatore, Brigadiere Marulli.

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storia, che per molti anni era uso a sostenei tranquillamente (1), alle ire p: m: del giorno 1 un nuovo disastro amarizzava gli ultimi isi dell'eroica difesa. Poiché una granata, lanciala un pezzo da 40 dalia batteria del Monte Lombi ne, produsse l'incendio delle munizioni della batteria Transilvania, in 26, 000 chilogrammi 4i vere, e fu tanto violento lo scoppio che commi il suolo vicino, sicché saltando in aria, lanciò in mare artiglierie ed artiglieri, bruciali e franti, fra ij quali due uffiziali. Da questa esplosione il Fronte Tema ebbe a sottostare ad una pioggia di pietre, da cui vennero feriti molti artiglieri. Il nemico allora, invece di cessare il fuoco, in vista di così grande sciagura, raddoppiò i tiri dei suoi colpi su quel punto e j sulla città, fino alle 5£ della sera, nel qual momento j si diramò la capitolazione; e per spiegarsi meglio di quali sensi umanitari era fornito, in quel momento dei) terribile disastro, emise festevoli grida (2), battendo le mani palma a palma, come assistente ad un grandioso spettacolo!... La capitolazione erasi già firmata, che dopo tanti sforzi di valore era necessaria, era d'onore, era d'utilità; come sarebbe stata oltraggiosa, disutile ed intempestiva

  1. Lettera di Cialdini al Governatore della Piazza di Gaeta del dì 12 Febbraio.

  2. Da quanto si è letto nelle relazioni ufficiati di Torino circa il baccanale, che fecero i Piemontesi, alla vista del funesto spettacolo della Batteria Transilvania, troviamo registrato: che , i cannonieri ritti su i parapetti delle batterie , un grido di SAVOIA emettevano in tutta la linea, ed indi tostò raddoppia! vasi l'intensità del BOMBARDAMENTO. Noi su ciò troviamo ad osservare: che i soldati del Piemonte, erano tanto ignoranti, da non sapere, che SAVOIA non era più piemontese, ma francese. Miseri! ignoravano essi stessi ciò che dicevano.

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offerta da Cialdini, nel 19 Gennaio, per o del Generale Menabrea e dei Colonnello la-Caselli, della quale il Governatore, dopo consultata la guarnigione, non volle conoscere nem meno le onorevoli condizioni, che si offrivano (1). Egli, in tal modo operando, fece molto bene> è una prematura capitolazione avrebbe recata onta incancellabile alle Armi Napolitane ed a quel presidio, che, avendo disputato il possesso della Forza ad un nemico superiore nelle forze, nei mezzi e nell'armi, riscuote la stima ed il rispetto non solo dell'Europa, ma dallo stesso nemico, il quale, nel valore, gli fu assai da meno. Tutti sanno che, nella fermezza, nel coraggio, nell'attaccamento e nella annegazione non abbisognò né di conforto, né di sprone per proseguire la difesa; poiché esso, fattosi grande nella sventura, sosteneva nel contempo la Monarchia e la Religione. Quei difensori, componenti un tal presidio, meriterebbero la Corona ossidionale, che s'ebbe il Generale Calvo per la difesa di Maastricht, fatta nel 1676; perché la durata della resistenza di 102 giorni , tra quali 75 di fuoco sempre raddoppiante, é dovuta dopo il Re ed i Principi Reali che li guidavano, solo a loro. Essi, benché erano persuasi, e imperiosa necessità esigeva cedersi la Piazza, ed era impossibile prolungarsene per altri momenti la resistenza, pure non cessarono mai di esprimere il loro desiderio: voler resistere fino a che l'ultima car ica era consumata; e se qualche uffiziale ardiva d ire: la Piazza doversi rendere, t utti gli gridavano: traditore...

(1) Questa offerta di capitolazione è documentata da una lettera di Cialdini del 12 Febbraio, diretta al governatore della Piazza

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Essi, al par di Calvo, tutti i consigli accettavano, meno che quello di rendersi. Ma la Maestà del Re, consultando il suo cuore più da Sovrano, che da Generale, a risparmiare il sangue dei suoi, prodi soldati, che per l'avvenire era divenuto glorioso, ma inutile pel momento, ordinare di proprio moto e per umanitario sentimento: la capitolazione, la quale ebbe luogo, come sopra dicemmo, in tempo che un diluvio di ferro cadeva nella Città, essendo questo il costume di Cialdini secondo aveva prima confessato nella lettera (11 febbrajo) diretta al Governatore della Piazza. Il fuoco cessò, siccome si disse, il giorno 13 Febbraio alle 5 p. m. dopo ratificata la capitolazione, che fatta vantaggiosa alla guarnigione, pure i patti non furono mantenuti, prova della malafede del governo del Piemonte. Il Re, pria di partire, fece dividere a tutta la guarnigione ciò che rimaneva ancora nella cassa militare, e le diresse un ordine del giorno, che noi riportiamo alla fine con la capitolazione, e con una circolare diretta ai rappresentanti del Re all'estero, interessantissima per la luce che da al nostro lavoro, e con un documento descrittivo della difesa, da noi tradotto dal francese (1). Questa difesa, da prodi, si è sostenuta in Gaeta nel 1860-61 dalla Storia registrata come il fatto più commendevole del secolo volgente, circa le armi Napolitane;

(1) Questo documento descrittivo è di S. E. il Marchese Pietro C. Ulloa, presidente de’ ministri di S. M. il Re delle Sicilie, il quale divise col suo Sovrano i pericoli ed i disagi del bombardamento, diunito a S. E. Casella, a S. E. del Re S. E. ttffia il Nunzio Apostolico, al Comm. Ruiz de Ballesteros ed a tanti altri, che la storia non trasanderà registrarne i nomi, come esemplari di vera fedeltà.

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perché così ricca di glorie militari, che non solo non e ad alcuna delle passate, ma può essere registrata in prima riga di quelle sostenute nelle altre Fortezze di Europa, non esclusa Sebastopoli; tenendo presente le proporzioni e la mancanza dei mezzi. Queste cose che tanto onorano il Re, imprimono in pari tempo un marchio d'infamia al nemico; se la storia contemporanea sentenziò pel Figlio della santa: essere EGLI L'EROE DI GAETA e la sua Augusta Consorte la novella GIOVANNA D'ARCO, non mancò di tramandare ai posteri maledetto il nome di colui che spodestava un giovine Sovrano, che era la delizia e la beatitudine dei suoi popoli, la cui indipendenza si decise a sostenere i suoi sacrosanti dritti, con quelli degli altri Sovrani, nella Fortezza di Gaeta, esponendosi a tutti i pericoli, che l'Europa ancora non conosce, per meglio valutarli nelle diplomatiche discussioni.

I colpi tirati dalla Piazza durante la difesa, tra quei a palla piena, a palla incendiaria, a granata, a bomba ed a mitraglia, sommano a 35,250, e quei del nemico, da parte di terra, ad oltre i 60,000 bruciando 190,000 chilogrammi di polvere (1), all'infuori dei 6 in 7 mila lanciati dalla squadra. Perché il lettore si formi un idea del bombardamento Cialdiniano in Gaeta, crediamo sufficiente fargli notare che, in sole 10 ore dell'8 Gennajo si lanciarono nella Piazza 8940 Projettili di ogni dimenzione e natura; e nel 22 detto mese 13262, in 12 ore; oltre ai colpi tirati dalla squadra del blocco, in numero di 4000, come si legge nel rapporto del Conte Persano.

(1) Cosi attesta M ercuri nella sua memoria, Campagna d'Italia.

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Le perdite sofferte dalla guarnigione pel fuoco nemico e per le esplosioni sommano a 367 individui compresi sette uffiziali; ed i morti in seguilo di furono 144, compresovi un uffiziale. In questa non sono calcolati, né i 569 feriti in corso di cura, e né i 200 disertati, o smarriti. I malati rimasti agli Ospedali della Piazza, nel giorno della resa, furono 930, oltre ai 400 inviati a Terra in Gennaio ed ai 200 spediti a Mola nell'8 Febbraio.

I valorosi superstiti, al giorno della resa, ascesero ad 11,520 con tutti i 920 uffiziali ed piegati.

Le perdite del nemico, benché il governo del Piemonte non permette alla libera stampa (!?) dircele, pure si possono, senza timor di fallo, calcolare doppio di quelle del presidio, tenendo presente i molti vapori, da noi veduti carichi di feriti, che si spedivano porzione a Napoli e parte a Genova; e ciò per non destare l'allarme. In quanto ai morti poi sappiamo, che il più dei pozzi del Borgo furono pieni di cadaveri dei soldati del Piemonte e coperchiati, benché nella relazione ufficiale si dia ad intendere: che i morti dalla sua volta sieno stati solo 112. Da quanto abbiamo osservato ocularmente, possiamo assicurare il lettore, che questa cifra, e forse più, son morti di sola... PAURA!...

L'approvvigionamento dei viveri rimasti nella Piazza, erano bastevoli fino ai 4 Aprile. Le armi e le munizioni, che si ricevettero i piemontesi, trovate nell'arsenale, e nei diversi siti della Fortezza, furono le qui appresso notate: obici, cannoni e mortai di bronzo 308; id: di ferro 403, dei quali, durante la difesa, solo 170 opposero resistenza, essendo gli altri, o non

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postati, o deputati esclusivamente al fiancheggiamento; affusti e ceppi n. 664; fucine da campagna n. 9; carri diversi n. 70; armi da fuoco portatili n. 58212; armi bianche 10858; proietti cavi carichi 14505; scarichi della stessa natura 71224; scatole a metraglia 5930; proietti pieni 118100; polvere buona chilogrammi 232,729; id: avanata 360; cartucce servibili 161784; id da disfarsi barili 10: oltre agli strumenti di lavoro ai metalli, ai legnami ed altri oggetti, che sono necessari all'arsenale di una Piazza, così importarne, quale è GAETA.

CAP. XI.

CONFRONTO DI TUTTE LE DIFESE

SOSTENUTE DA GIETA

GIUDIZIO SUL VALORE E SULLA GLORIA DI CIASCUNA

Non è da mettersi in dubbio che tutte le difese sostenute da Gaeta, nel giro di 1015 anni, cioè: dal 846 fino al 1860, sono feconde di gloria; ma questa è relativa quando singolarmente riflettesi su pericoli incorsi, sul valore mostrato, sulla durata della resistenza opposta al nemico, su i mezzi che ha disposti, e segnatamente sulle virtù militari di quei Comandanti cui n'era affidato il governo.

Noi che abbiamo in mente emettere imparziale giudizio, quale a libero scrittore di storia s'addice; esaminati scrupolosamente i fatti, in antecedenza narrati; ci siamo convinti, che tra le QUINDICI difese sostenute da Gaeta, quella del 1860 e 61 è la più gloriosa per le Armi Napolitane, la più degna di considerazione per lo storico e la più interessante pe' posteri.

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Essa non pur onora altamente il valore Napolitano, ma possiede il dritto di prendere posto tra le più segnalate e gloriose, che dalle Piazze di guerra sonosi durate; ed il lettore seguendoci nelle nostre riflessioni, agevolmente ne sarà convinto; non perché è dessa in tempi a noi vicini; ma, servita avendo a mostrar l'eroismo sventurato di Francesco II, non v'à imparziale che nol possa altrimenti giudicare. Certamente chi legge nel proclama di Febbrajo da Cialdini diretto ai suoi soldati, dopo la cessione della Fortezza, quelle altitonanti parole voi riduceste in 90 giorni (1) una Piazza celebri per sostenuti assedi ed accresciute difese: una Piazza, che sul principio del secolo per quasi sei mesi resistette ai primi soldati d'Europa (2), la storia narrerà i giganteschi (!?) lavori da voi eseguiti ed ignora la

  1. Questa assertiva è una mensogna, dappoiché la resistenti ha durata 102 giorni e non 90; e se più oltre non si protrasse, lo fu perché Francesco II, amava meglio esser chiamato Padre che Sovrano dai suoi popoli e dai suoi fedeli soldati, che in quel!'ultimo baluardo della Monarchia Napoletana, contrastarono con ogni sofferenza all'iniquo invasore i dritti di Lui e del Paese tradito.

  2. Qui fa mestieri ricordare a Cialdini, che gli assedianti del 1809 aprirono il fuoco il giorno 7 Luglio, ma l'ingagliardirono il giorno 10 fino al 18; di modochè, la Piazza ebbe sostenere il fuoco nemico per 12 giorni, dei quali solo 10 con violenza, e non sei mesi. Nel 1860-61 poi la guarnigione di Gaeta dovette subire per 72 giorni uno spietato bombardamento escludendo dal tempo della resistenza i diversi brevi, armistizii — Apprenda soltanto il lettore, che nel giorno 8 Gennaio si lanciarono nella Fortezza, tra lo spazio di ore 10, 8940 bombe granate, e nel 23 detto mese 13262 da terra e 4000 dalla Squadra, nel tempo di ore 12. Queste bombe, granate e palle si lanciavano in Gaeta per seppellire tra le macerie soldati e cittadini erano i frutti degli alberi del progresso , che in Eu ropa oggigiorno si appellano, Cannoni Cavalli e cannoni rigati da 40, da 60 e da 80.


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posizione topografica di Gaeta e dell'accampamento nemico, nonché la distanza che separava questo da quella, siam sicuri, che ben altro concetto si forma, intorno al valore degli assediati e degli aggressori, di quello che è realmente.

Lo storico che in buona fede si attenesse alle relazioni di Cialdini e di Persano, esecutori del diritto della forza, sulla via spianata dal tradimento di coloro che, furon sempre sordi all'onor dell'armi, riterrebbe che, Gaeta ha ceduto al valore degli eroi piemontesi, lo che non fece co’ Francesi nel 1806. Noi però che leggemmo la storia di quell'assedio, e ne demmo sommario racconto al lettore; noi che fummo in Gaeta, nel tempo della difesa opposta ai vandali del giorno, in qualità di geloso custode della Porta di mare, ove ebbimo campo a scoprire più cose (1), vediamo ben altrimenti; e stimiamo non potersi stabilire assoluto parallelo tra l'assedio del 1806, col

(1) Stando a custode politico nella Porta di Mare con una commissione mista, che a miglior luogo noteremo, alla dipendenza del Colonnello Vecchione ed agli ordini del vice Governatore della Piazza, Brigatiere Marulli, non una volta sola sequestrammo quantità di palle coniche che dalla Piazza si mandavano al nemico; nonché delle lettere senza direzione e senza firma, le quali venivano portate dai barcaioli siciliani ed altri, sotto aspetto di recar viveri alla guarnigione fino a quando non fu dichiarato il blocco. Le lettere si dovevano consegnare a mano, con direzione orale, col cui contenuto si eccitava alla diserzione. Intanto i delinquenti in vece di punirsi con severità, s i rimandavano con ordine di non più accedere a quel porto.

Quali sono state le consequenze di tanta perniciosa bontà, ce ne risparmiando i considerandi, perché noti. Ma non cesseremo giammai di elevare la voce, finché trovi adito nelle sale dei Re, e persuada Loro: che oramai è tempo di disbrigarsi degl'iscarioti, i quali, mentre fingono amore, e strisciano come rettili le soglie reali, nobilmente stringono i Re prigionieri: nascondendo loro la verità, tacendo i mali; per così minare i Troni,

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bombardamento del 1860-61 e gli assedi del 1707 e del 1734, senza neppur ricordare i diversi blocchi e le diverse sorprese; che, a questo confronta spariscono come stelle al sorgere del Sole.

La nostra risoluzione di registrare in succinto lei difese anteriori a quella del 1860-61, non fu estranea al presente lavoro; perché s'ebbe lo scopo di istruire il lettore, presentandogli quasi per quadro sinottico tutte le resistenze opposte dalla Missolungi Napolitana, acciò, con prove irrefragabili, non sii potesse fallare in emettere giudizio; che, parlar di un fatto, volerne giudicare senza conoscerlo nella sua vastità e nelle sue attenenze sarebbe un operare da stollo. Infatti, esaminandosi il fuoco delle artiglierie negli assedi anteriori a quello del 1806, si troverà non essere stato violento, né grande, né continuato; e non passò mai per la mente di quei Governatori disporre una sortita; il perché le perdite d'ambo le parti furono di lieve importanza. Se nell'assedio del 1806 si oppose resistenza maggiore, lo si fece, perché la Piazza disponeva di tutti quei mezzi e di quelle risorse, che le mancarono nel bombardamento del 1860-61, cioè: danaro, monizioni, viveri, sostegno straniero, libertà di mare, rinforzi e speranze» (1).

servire alle sette e distruggere Religione, Papato, ordine e morale. Iddio l'illumini e li faccia decidere, una volta, pel bene della troppo offesa umanità che, sospirando, sitisce di giustizia e di pace.

(1) Tra le altre cose che contribuirono per tener fermi gU assediati alla resistenza» in Gaeta, nel 1806, fu la speranza fondata di rimanere vittoriosi, nella conoscenza che, tutta Europa guardando di mal occhio le conquiste del Capo allora della Francia avrebbe loro mandato soccorso, e come infatti lo ebbero dagl'Inglesi

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Il prolungamento dell'assedio del 1806 non fu per l'esclusivo valore della guarnigione, ma per la ritardanza de’ lavori degli assedianti, i quali venivano interrotti dalle sortite, onde distruggevansi quasi sempre gli eseguiti; scacciando ancora il nemico dalla sua posizione. Questo stesso non poteasi fare dalla guarnigione del 1860-61, perché, nell'assedio del 1806, la Piazza disponeva della flottiglia inglese, e quindi potea sbarcare truppe ovunque voleva: cosa che mancava al presidio del 1860 -61. Più, quelle trincee parallele che, dal colle Atratina (1),

giornalmente, i quali teneano a disposizione della guranigione assediata 4 vascelli, 6 fregate, 50 cannoniere o bombarde molte navi da trasporto. Nel 1860-61 questa speranza non esisteva, mancandone anche un raggio; e tutto il presidio era sciente, che l'Europa tentennante guardava e non si opponeva; limitandosi soltanto a simpatizzare l’ eroismo del Re e della Regina, che con tutta la Real famiglia, Ministri, ed un pugno di prodi, affrontavano l'ira dell'ambizione e la vendetta della più barbara perfidia. Per questo inaudito indifferentissimo Francesco II, scese dal Trono; ed esule tuttora, col fiore della nobiltà e sudditi fedeli, aspetta la giustizia da Dio; sperando che i Sovrani si ricordino una volta essere Essi membri di una sola e santa famiglia; il cui Capo è Dio, il quale non risparmia le sue vendette contro quel fratello che congiura e permette il male dell'altro: facendo lume e mantenendo il sacco al nemico con gl'infami ripieghi del non intervento, de' fatti compiuti e del plebiscito, contrarii al dritto divino, umano ed internazionale, e sempre contraddetto dai fatti ripieghi giustamente condannati dall'oracolo infallibile del Vaticano con l'Enciclica dell' 8 Dicembre 1864.

(1) Questo, colle ha preso il nome da un Tempio che vi esisteva detto comunemente torre del mulino ma deve dirsi: Latratina dal Dio Mercurio, nunzio degli Dei, che, a tempo dei pagani, ivi si adorava, secondo il parere del Grutero. Questo nume idolatravano gli Egizi sotto la figura di Cane, detto dai Latini Anubis , perché Ovidio cantò: Per tua sacra precor, per Ànubidis era verendi; spiegandoci con questo verso, che un tal Nume, figurato col capo di Cane, dava i suoi oracoli tre volte latrando in tre ripostigli, che tuttavia nel Tempio si scorgono, dal che si ebbe la denominazione Latratine. Esso è di costruzione simile alla Torre Orlando.

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si proseguirono fino allo spiazzo di monte secco, ossia al principio dell'Istmo; in quest'ultimo bombardamento, mancarono; di modo che, le artiglierie piemontesi, più prossime alla Piazza furon postate dove i Francesi, nel 1806 armarono le più lontane. Or, i lavorieri che faticavano a questa distanza, cioè, da 1000 a 4800 metri; come disturbarli, come aggredirli, se la Fortezza non poteva proteggere ed assicurare la ritirata della truppa?

La guarnigione non mancava né di coraggio, né di energia per arrestare il nemico dai suoi lavori, distruggere gli eseguiti ed inchiodargli i cannoni montati, come si fece nel 1806, quando però i piemontesi avessero costruita la seconda parallela, nella distanza almeno di 300 a 400 metri dalle opere più avanzale della Piazza, come fecero i Francesi. Ognuno da ciò comprenda ohe, la lode compartita dal Capo bombardatore ai suoi soldati, col sopra citato proclama, dopo la resa, fu un insulto: nè meritata; il perché è a ricordare a Cialdini: che laus in ore proprio sordescit. All'esercito bombardatore non è dovuta altra lode di quella che ottener può chi allividisce con schiaffi il volto di un infelice il quale ha mani e piedi legati: giustizia che esercita il debole sul forte; il Vile sull'uomo generoso!... Era necessario a Cialdini il valersi di 22000 uomini per stringere a capitolar Gaeta? Non bastavano forse 1000 uomini a disposizione per caricare cannoni Cavalli, cannoni rigati da 40, da 60 e da 80, piazzati da 2600 a 4000, metri di distanza, per ottenere la vittoria da' ruderi? Per questo modo di battagliare si ottiene lo scopo, ma si rinunzia alla gloria;

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perché questa è inesistente per colui che non si espone ai pericoli; come pure per quello che, senza dar pruove di coraggio, osa parlar di valore, a guisa di un giovine boreoso, il quale senza merito proprio, e quasi inalfabeta passeggia superbo, col petto tre palmi in fuora, perché é figlio di un Mevio, di un Sempronio, e via via; quasi questo fumo oramai irrancidito fosse un titolo per nobilitare o render glorioso un uomo. Stoltezza umana!... La forza non fa gloria, ma l'ingegno e la virtù. Quindi pochi soldati, con tali mezzi, eran bastevoli a far capitolare la Piazza, alla quale ogni necessario veniva negato, (1) finanche i sensi di umanità; e tutti sanno che quando il tifo mieteva le vite dei prodi, non si volle permettere che neppur un infermo n'uscisse. Nel 1806, era ben altrimenti; dappoiché, ogni ferito o ammalato, dalle navi inglesi, alla vicina isola di Ponza, veniva trasportalo.

In quest'epoca, è pur vero che, il presidio trovavasi separato dal suo Sovrano, ma era sicurissimo dell appoggio dell'Europa e del soccorso de’ Regi; come di fatti l'ebbe il 3 Luglio.

La cessione, per viltà dei comandanti, delle Fortezze di Capua e Pescara; il tradimento di Nicolò

(1) Fra gli episodi luttuosi avvenuti nella Piazza, durante l'assedio, non si può coprire col silenzio ciò che si rimarcava per gli animali da tiro ed i cavalli del bravo reggimento Caceiatori, ai quali mancando il nutrimento ed il ricetto si rendevano affamati ed erranti; dopo di aver inutilizzati i Carri i rastrelli, ed aver fatto impronte di morsi agli alberi, alle porte, ed ai muri, l'uno addentava le carni dell'altro, e tal volta agli uomini traversanti le vie. II Governatore ne scrisse al general bombardatore, offrendogli tutti, ma il cortese generale, negandosi, credette aggravare le condizioni dei difensori, i quali ebbero il doppio spettacolo di vederli soffrire e morire.

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Caracciolo nel Castel Santelmo, ed i rovesci del generale Damas a Campotenese non gli fecero niuna impressione, giacché conosceva: essere in potere del Re metà del regno; nell'Isola di Capri la guarnigione inglese; in quella di Ponza la guarnigione Siciliana; nella Fortezza di Civitella del Tronto soldati decisi a resistere, e nelle Puglie Pronio, Rudio, de Cesare, Giuseppe Vitella, a cui l'inglese Capitano Troubridge onorava col titolo di GRAZIOSO COMPAGNO e tanti altri capi ardimentosi, che si aggiravano per tutta il regno, e segnatamente nelle Calabrie, sempre protetti da navi inglesi e Siciliane, che, scorrendo i mari, incitavano i popoli ad insorgere e tener testa all'invasore francese.

Non cosi nel 1860-61, in cui, invaso interamente il regno; abbandonato il Re da chi era in dovere difenderlo; tradito dai generali che in tempo di pace, camuffandosi alla fedele, simulavano affezione (1); oscuro l'avvenire e senza speme di soccorso, la guarnigione di Gaeta, ad onta di tutto forte del dritto, legata al suo onore,

(1) Simulata, abbiamo detta l'affezione che mostravano al Re i generali, tra quali Pianelli, (che il Superbo riduce a Pianell, quali, allontanando l'idea umile del suo prenome, potrebbe con l'altro cancellarne la viltà resa infame dal tradimento), Nunziante e tutte la rimanente turba dei rettili parassiti che mai fur sazi dei benefici sovrani; perché, come ci accerta il Ricciardi nella tornata del 20 Maggio 1861; essi erano VENDUTI e tutti si cooperavano ad un pronunziamene militare, che non riuscì per la fedeltà dei Soldati... Questi ignoravano: che cosa sia l' onore; suonando al loro orecchio il tradimento lo stesso che g loria. Dura scuola per i Reggitori, ma necessaria; giacché dai fatti accaduti, tutti possono convincersi, che i gradi e gl'impieghi più ben dati, sono quelli concessi agli uomini di MÈRITO , mentre gli altri dati ad uomini di NOME, non servono che di orpello ai Troni, ma non mai di valevole puntello;

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e lungi invilirsi, oppose coraggiosa resistenza, superiore quella del 1806, del 1799, del 1734 e del 1707, via in là...

La proclamazione di Cialdini con la quale, affettando sentimenti di una umanità che non conosce (1), invitava i soldati: a non abbandonarsi agl'insultanti tripudi del vincitore, e né far sopravvivere le ire alla pugna , ma PERDONARE come è costume del soldato di Vittorio Emmanuele, i Fucilati avea tutti coloro che eran caduti prigionieri combattendo pel proprio Re, per la propria bandiera, muove a sdegno ogni animo sensibile; poiché il mondo conosce che i patti della capitolazione furon rispettati, pari a quelli del trattato ili Zurìgo, che fu sigillato col giuramento di due Imperatori ed un Re, invocando a testimone ed a vindice la TRIADE SACROSANTA; e mentre questa si trattava, tanto era la veemenza del raddoppiato fuoco, che il Cielo stesso sembrava andarsene in fiamme, piovente ferro; e l'eco lamentevole, ripercuotendo flebilmente in quelle solinghe ed adiacenti valli, pareva deplorare pur essa quell'orrenda catastrofe!...

Nel ricordare gli applausi che fecero i cannibali subalpini al vedere saltare in aria il Laboratorio della Trinità con tutte le artiglierie ed artiglieri ad esso appartenenti,

e quando coloro che non nacquero sotto volte dorate veggono non essere anteposti a gente che superbisce per virtù sola degli Avi, si sforzano ad esercitarsi nella virtù e nella bontà per giungere al premio dell'onore, QUIA diceva Cicerone, PRAEMlA SOLUM MODO STIMULANT AD VIRTOTEM.

(1) Prova il suo dispaccio, datato da Isernia, 20 Ottobre 1860 che a pagina 5 riportammo.

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l'animo nostro rifugge; perché quel momento terribile per que' disgraziati, era degno di pianto!... e non di plauso!... Insultare all'oppresso è barbara gioja, e degrada perfino l'umanità! Come proclamare al cospetto d'Europa: che le ire del soldato piemontese non sanno sopravvivere alla pugna , e poi fucilare a migliaja senza processo, elevare a sistema il terrore con la legge Pica, confinare al domicilio coatto DICIOTTO MILA, infelici per semplice sospetto di connivenza col voluto brigantaggio; è proprio un insultare alla pubblica opinione che, mentre si eleva a titolo di dea, si avvilisce. si disprezza.

Il mondo conosce che, i capitolati di Gaeta, anzi che inviarsi alle loro case, furono mandati prigionieri nelle isole, ove da circa 200 morirono per disagi. Questo pugno di prodi generosi, sufficiente ad onorare una nazione e renderla altamente gloriosa, soggiacque alla contumelia, allo insulto d'una sfrenata plebaglia, vilmente prezzolata da coloro, che credevano sfogare con essi l'odio che nutrivano contro il passato governo, il quale non aveva altro torlo che: d'essere stato troppo clemente (1). Lasciando al lettere estendersi di più nelle riflessioni, riprendiamo il proposto confronto.

(1) Fra la schiera di coloro che sfruttarono la proclività dei Re Ferdinando e Francesco II si debbono ricordare ai posteri i nomi di quei Ministri, Senatori e deputati ed alti impiegati ohe oggi servendo il Piemonte, gridano alla vecchia tirannia; e da' quali si può apprendere come la civiltà moderna comanda la gratitudine. Intorno poi alle umiliazioni e disgusti a' quali andaron soggetti i capitolati di Gaeta, s'invia il lettore nel libro degli atti ufficiali della Camera di Torino del 20 Maggio 1861, in cui Ricciardi fece la sua interpellanza sulle cose di Napoli. In quanto poi ai capitolati di Messina e di Civitella del Tronto nulla diremo, perché estraneo all'attuale lavoro; ma tutti sanno, che

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La forza che assediava Gaeta nel 1806 non si componeva oltre ai 6000 uomini, e quella del presidio, col rinforzo avuto il 3 Luglio, era superiore a quella del nemico di 1698 soldati. Esso come abbiam detto, disponeva di una flotta inglese, dalla quale veniva protetto dal lato di mare non solo; ma si cooperava energicamente nello sbarco degli uomini, in diversi punti, perle sortite ed al trasporto dei malati all'Isola di Ponza; rifornendo giornalmente la Piazza di tutto ciò che era neces sario alla vita e dalla difesa.

Era ben diversa la situazione di Gaeta nel 1860- 61; giacché i piemontesi bombardatori non erano 6000, che la tenevano stretta come i Francesi, ma bensì 22000; senza calcolare quell'orda sfrenata, che uscita dalle prigioni, per interesse e per odio divenuta unitaria, venne a coadiuvare l'opera della perfidia: opera sterminatrice, che si compiva, per effetto del progresso e della moderna civiltà (1).

DIECI capitolati di quest'ultima Fortezza furon in modo provvisorio fucilati d'ordine del generai Mezzacapo, (quest'altro eroe della Costa d'Amalfi!...) per poi dopo farsene giudizio, e vedere se era giusto o no resistere a soldati, che per liberare incatenano, imprigionano, impiccano, fucilano, bruciano, dissanguano, disonorano; e quel che è peggio insultano alla sacrosanta Religione, che ha per capo il Figlio di Dio. Ho misera libertà!... come vieni interpetrata!...

(1) II progresso e la civiltà, nei tempi correnti, vengono interpetrati diversamente da quello che s'intendevano per lo innanzi. Prima la Cattedra di S. Pietro si riteneva patrona e nutrice della vera civiltà e del progresso; e si chiamavano a testimoniarlo l'umanità dei costumi, la disciplina e la sapienza che aveva introdotte nelle più barbare regioni, avendo a guida il vessillo della Croce. Oggi, progresso e civiltà all' uso piemontese vuol dire: abbassamento della suprema autorità della Civiltà, della morale, della civiltà, della morale.

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Cialdini avea a sua disposizione tutte le risorse che offriva il florido regno di Napoli, come arsenali, polveriere, danaro, ospedali e tutto ciò che può esser necessario ad un esercito, non che a 20 navi da guerra. Non cosi la guarnigione di Gaeta la quale, per altra sventura di guerra, sul principio era di 22000 uomini colà guidati, non sappiano se dalla stoltizia o malizia dei loro condottieri, e che in prosieguo si ridusse a 12000. Togliendo da questa cifra i malati, i feriti, gl'impiegati, i generali, lo stato Maggiore dell'Esercito e territoriale, il Corpo Sanitario, ed anco la parie de’ famelici, tratti colà dentro dal desiderio di profittar degli eventi assorbire le risorse e far numero: turba che, tremante agli effetti delle Schalapnell, tenevasi sempre nascosta, ognuno comprende, che la guarnigione in parola era quasi di un quarto di contro al nemico, priva di ogni mezzo, anche di medici e di medicine; sicché ci ricorda: che un giorno, spedita un oncia di solfato di chinino da Terracina il presidio, ricevendola, lo ascrisse a fortuna. La Fortezza non era certamente accresciuta di opere di difesa, come tende a far credere Cialdini, per sempreppiù lodare il valore de’ suoi soldati; perché nel 1860-61 non esistevano in quella Piazza che l'artiglieria del 1707, del 1734, dei 1799, del 1806, e del 1815, montata su vecchi affusti, nella maggior parte,

Secondo la lor moda la proprietà è furto; fl dritto tirannide; la religione inceppamento; la pietà delitto; il fucilare bisogno; lo spoglio de’ popoli necessità il tradimento virtù; il regicidio eroismo; la legge Pica e la giustizia Peruzzi Spaventa a Torino, saggi provvedimenti. Chi è dunque, cieco anche nella mente, che non vede in questa civiltà ed in questo progresso l'abbrutimento della società in cambio della vera sorgente del bene?...

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di sconcia costruzione; che, rimpetto alle nuove invenzioni, producevano l'effetto dell'uno per cento. (1) E né poteva sostituirne altri, essendo sfornita onninamente di legname, come pure di strumenti necessari ai lavori del Genio (2)

(1) Si tentò provvedere la Piazza di bocche da fuoco rigate da 30, ed all'uopo si spedì a Parigi il Direttore della guerra, Generale Antonio Ulloa; ma un involontario sbaglio del Maresciallo Conte de la Tour, ruppe ogni trattativa. Questo distinto Maresciallo, credendosi affrettare l'acquisto, ne richiese permesso al Ministro di guerra Francese, Maresciallo Randon, il quale essendosi negato, non si poté più andar oltre. Allora si pensò dirigersi al Belgio; ma, ponderato meglio, se ne dimise l'esecuzione; perché si travide la difficoltà di potere entrare i cannoni rigati nella Piazza, dopo il tempo occorrente per lo acquisto, quando il blocco era stato annunziato.

2) Per debito di storia non possiamo tralasciare gli encomi: dovuti al Corpo Reale del Genio, pe' lavori che eseguironsi con quei pochissimi mezzi a disposizione. Esso a vista del nemico, come Tottleben in Sebastopoli, fortificò la investita Piazza di Gaeta, in cui, per lo più, i cannoni erano a dormire come in tempo di piena pace (riprovevole imprevidenza!) Lode a' direttori ed agli operatori di tanti lavori, i quali valsero, se non ad altro, a prolungare la gloriosa ed eroica resistenza; ed era tra l'altro specioso vedere il Maggiore Presti correr fino al Borgo, sotto lo sguardo nemico, e far caricare su carri e sul dorso degli uomini il legname che dovea servire ai particolari per costruzione de' bastimenti. L'unico torto che è da incolparsi a questo laborioso Corpo, e che a noi piace manifestare, è quello di non aver saputo in tutta la Piazza render sicuro un sito per ricovero di qualche eroe di parata, come ad esempio Sigrist , il quale preferiva abitare, uno ai figli uffiziali ( gradi acquistati per nome) i sotterranei di Casa Guarinelli, da cui uscivano, o l'uno, or gli altri nelle sole ore de’ giorni di tregua. Tristo esempio!... ignominia ai VILI!... E' vero che dominar la paura: amica e sorella dei valorosi in pace, è virtù propria dell'Anima, come quell'uffiziale che tremante di fronte al periglio, e rimproverato dal suo superiore, gli rispose: sì, tremo, ma sto al mio posto. I Sigrist invece tremavano in quella profonda caverna, e avrebbero ancora nelle viscere della terra!... Lode a te, generale de Riedmatten, bravo e generoso, onore a voi Veterani Svizzeri, che contrapponeste eroismo e bravura a quella viltà rimprovevole ed infamante della Vostra fedele Nazione.

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e delle artiglierie; e ciò a causa dei vari lavori eseguiti al Garigliano, a Mola, all'Isolella, alle gole di S. Nicola, di S. Andrea (1) ed anche per fornirne la, ad arte, sprovvista Capua (2).

Ogni speranza mancava alla guarnigione di potersene procacciare in tanta concitazione di animi; dappoiché l'erario era esausto di moneta, e la fortezza serrata da blocco strettissimo (3).

(1) Questi lavori quasi fatti sorgere per incanto dal Corpo del Genio, 9otto la direzione dei Maggiori Guandel e de Sangro, del Capitano Anfora. dell'alfiere Lanzilli, dei Pionieri, del Capitano Androzzi, del Capitano de Nora, e degli altri Ferdinando e Luigi De Resenheim, non valsero a nulla; perché i valorosi generali si precipitarono in ritirarsi nello Stato della Chiesa, in vece di profittarsi di quei luoghi in cui nel 1815 il Colonnello Labrano col suo dodicesimo Reggimento di linea e con due soli cannoni, alla cui direzione era il Tenente d Artiglieria Azzariti, tenne testa per ben cinque giorni alla Brigata Tedesca, comandata dal Generale Bianchi. Lo stesso fu nel 1800. Il progresso però, nel 1860 consigliava a fuggire e non a resistere. Meritevoli furono i tratti di Sovrana clemenza per i direttori di questi lavori, ma i soldati? Questi bravi non si ricordarono neppure, perché il rapporto giunto al Re venne emarginato dai soli direttori, e non degli esecutori. Lode però a voi o Soldati, e vitupero a chi seppe nascondere tanta fatica, per farsi il bello al cospetto del Sovrano e dire: ho fatto, Impostura non nuova nei Capi!... Periscano una volta questi egoisti, invidiosi degli altrui allori, usofruitori degli altrui sudori.

(2) Qui dicemmo sprovvista ad arte la Piazza di Capua; per ché Pianelli salito al ministero di guerra, si dimenticò di Ca pua, conoscendo non esservi nulla; e avvalendosi dei suoi po teri, di più fece levare da Gaeta un'immensa quantità di polvere, al che poi si oppose il Tenente generale Milon, e così fu a metà consumato questo altro tradimento; che, se non trovava ostacolo, Gaeta, quando venne investita, doveva capitolare. TRADIMÉN TO IN TUTTO, ED IN TDTTII...

(3) Qui bisogna ricordare il direttore de Cesare, il quale negò tutto a Francesco II. Re legittimo, per riserbarlo ai Garibaldini che: senza di lui, come ei disse, l'esercito meridionale non poteva mantenersi, non che coloro che sta vano alla testa degli affari della Real Casa, i quali invece di mettere in salvo il danaro del Re, posero in salvo il loro e si dimenticarono di quella Dinastia che per lunghi

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Ad onta di condizioni tanto sinistre non deve affatto essere venuto meno la risolutezza ed il valore; anzi fece supremi sforzi per cancellare la turpe macchia del tradimento, che sul glorioso vessillo Napolitano avevano impressa taluni generali ed uffiziali a quali il suono magico dell'oro prevalse, più che 'l Sovrano la Patria, l'onore.

Se nel 1806 il generale Philippslall rispondeva a l generale Massena: Les lois de l'honneur m'odonnent deféndre Gaete ce est pouvoir superièur au Votre, je ne puis vous obeir; nel 1860 non pochi generali del Re Francesco II ripetevano a coro diversamente il detto di Philippslall, cioè: cada il Trono, vada in esiglio il Rey si distrugga la grandezza della Patria, si bruci Napoli e si sperdino anche al vento le ceneri (1), basta che si salvi la vita e faccisi moneta! Ciò non è da meravigliarsi, perché il più di questi tali erano vecchi settari, e se servivano il Trono de’ Borboni, era per trovarsi vicino alla mina da loro scavata, ed appiccarvi fuoco a tempo propizio; come per seguire il sistema de' liberali del giorno, i quali non han confronto di

anni li aveva arricchiti di stipendi e di onori. Si crederebbe? Eppure è questa un istoria!!! (Si badi, che non intendiamo parlare di chi ora è proposto all'udienze, di S. E. il. Sig. Duca della Regina; poiché questi è uno de' pochi gentili Cavalieri che vanta l'.emigrazione; e fu il solo che ebbe il coraggio, venendo da Portici, in uniforme di gala a far visita al Re, nel momento di partire. Gloria ed onore s'abbia anche dai posteri un sì grande eroe di fedeltà.

(1). Il deputato Castagnola nel pubblico parlamento di Torino ripeteva: pria di tornare nel passato, si brucino tutte le Città; si bruci la stessa Napoli, e si sparghino le ceneri al vento. Da quelle parole si comprende quale amor di patria. sentono gli adepti del Piemonte, civilizzatori della bella Italia! Oh Povera Raliz, stretta tra gli artigli dei Manigoldi!

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maestria nel calcolo dell'estorsioni! Essi traducono in abuso il potere, e son pronti nell'arte delle Vessazioni; si mostrano devoti ed ingannano il propri Principe, il quale, fatalmente, é spesso l'ultimo a conoscerli. Qui ci ricordiamo del generale d'Agostino (1), che con sussiego di Carlo magno, fu bravo in opprimere i subalterni in tempo di pace; ma scoppiata la guerra, vilmente tradì con tutta la innumera schiera de’ più beneficati dalla Dinastia. Pel essere brevi, come promettemmo, non ci prendiamo la pena di citarli tutti, essendo sicuri, che chi scrive la storia ne registrerà i nomi, con le nefande gesta. Per quanto avessimo fatto a ricercare il vero Giuda di Gaeta, per tramandarlo infamato alla posterità, ed appagare l'universale desiderio de’ contemporanei, ci duole non avervi riuscito, cadendo su diversi il sospetto. Ciò per altro non esclude, che colà dentro vi erano gl'ipocriti, schiavi del delitto per effettuire il tradimento!... Questa nostra franchezza d'assicurare il lettore, essere stati in Gaeta tradimenti e traditori, non ha sorgente calunniosa, anzi, ufficialmente vien appoggiata;ed all'uopo rinviamo il lettore a percorrere la circolare di S. E. il Ministro Casella ai rappresentanti del Re all'estero, che noi riportiamo alla fine.

(1) Quest'iscariota credè mascherare la sua diserzione, retribuendo come ad un Fonzeca Generale, con spaventevole usura: di Vile ed esecrata condotta, i mille benefìci estorti da' Reali Borboni di Napoli. Quanti esempi non offre l'Istoria per imporre ai Re non piegarsi ai favori, ma al merito destinare gl'impieghi?!... Certi nomi; gli antecedenti loro, l'attualità, i successi, le son cose che ci fan fare la pelle d'Oca, e la penna ci cade di mano, per non dire il Vitupero e l'onta di taluni che dovrebbesi obliare la memoria pur anco.

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Questa nota a Parigi fu trovata stupenda, e nella concisione perfettamente appropriata alla gravita della circostanza; e quando vi si lesse: che lo scoppio delle polveriere era opera del tradimento, si confirmò colà quanto già per notizia correva per le bocche di tutti, come ne assicura il corrispondente parigino dell'Armonia, nella sua lettera, 16 Febbrajo 1861.

Vero è, che taluni albergavano in Gaeta e salutavano il Re come legittimo Sovrano, ma pari a Giuda che sedente a mensa col suo Maestro, in quella che lo inchinava, lo tradiva (1). Chi ha tenuto d'appresso i movimenti del governo piemontese nell'attuale rivoluzione italiana, non rimarrà sorpreso per quanto dicemmo; giacché il Piemonte di questi mezzi che chiama morali ha fatto sempre gran capitale, e li ha sperimentali nell'arraffarsi la Toscana, il Parmense, il Modenese, le Due Sicilie e le Romagne; sperandone tuttavia gli effetti in Roma ed in Venezia.

(1) Un tempo, quando si designava un individuo reo di tradimento, si riteneva come l'uomo il più infame. Oggi tutt'altro; chè chi tradisce si ha dei premi e tracotante passeggia le sale dei RE, esultando i veri fedeli, perseguitandoli; ed avvalendosi dei furori de’ Principi clementi, con arti maligne accusa tutti e tutto, temendo di non essere scavalcato, e conosciuto. Giuda, commesso il fatto del tradimento, in danno del suo Maestro, ne sentì rimorso; e fu talmente indignato di sé stesso che, gittato l'infame prezzo, al fico appiccossi. Oggi i novelli discepoli non solo non ne arrossiscono, non gittano il prezzo, non s'impiccano, ma menano trionfo, si godono del pattuito ed occupano sublimi posti. Altri tempi, diverso pensare! Si vegga ciò che in nota dicemmo di Ferdinando Locascio a pag- 53 nella nostra traduzione delle lettere napolitane di S. E. il Ministro Ulloa, Seconda edizione: Tipografia Placidi. Noi però, volendo trovar la ragione, perché oggi i traditori non s'impiccano, abbiamo motivo di credere che, ciò non fanno, perché ve ne vorrebbero molti di quegli alberi, e sarebbero sacrificati palesi e non gli occulti.

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Inane speranza!... Sogno dorato d'egro morente!...Follia di furibondo insano! ... Ritornando a ragionare sul tradimento di Gaeta riporteremo due altri fatti, che rendono più persuaso il lettore. Non a pochi è noto il famoso Raffaele Cosiron, direttore della Dogana di Gaeta; questi non aveva perduto un momento per sfruttare la benevolenza sovrana , eppure, non cosa insolita, era uno di quei che comunicava con i settari di Ischia, intermediari degli altri in Napoli. Una giornaliera corrispondenza egli tenea per mezzo dei barcaiuoli quando noi, colla commissione mista (1) di sorveglianza n'entrammo in sospetto, e che due lettere gli sequestrammo (2), sparve dalla Piazza; e due giorni dopo, seppesi che egli era sparito dalla Fortezza, nel mentre che quelle lettere criminose si portarono al vice Governatore Generale M arulli ( 3). Tutti quei, che erano con noi videro il giorno 1 Gennaio 1861 le due donne di bello aspetto, inviate da Napoli

(1) La Commissione mista di sorveglianza a porta di mare era composta dal Colonnello Criscuolo della R. Marina, dal Tenente colonnello Ferrara de' sedentanei, dal Maggiore de Torrentéròs dello stato maggiore, dal Maggiore Monteleone, dal Maggiore Guerriero, dal Capitano Graux di Gèndarmeria, dal sig. Argese Ufficiale dell'intendenza dell'esercito, dal Càpitano Borrelli, dal Capitano Carrubba, dal Sindaco della Città e da noi con due dipendenti. Questa Commissione permanente prestava alacre servizio; ed ognuno dei componenti era incaricato per la parte che gli riguardava, perciò si era al caso di conoscer tutto.

(2) Le lettere vennero sequestrate all'individuo latore, nello scalo del porto; in cui era il Cosiron, ma siccome da noi non conosciuto, così ebbe tutto l'aggio a fuggirsene.

(3) Molte altre lettere, tra le tanto che giornalmente si perquisivano, erano di quel conio, ma poco conto se ne faceva; e né si punivano i riceventi, perché scusavansi, non esser compici alla volontà di chi scriveva.

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al Maresciallo Gaetano Àfan de Rivera, che tròvavasi a Roma (1), le quali, dopo trattenute due giorni al Lazaretto, svelarono; avere missioni orali per lo stesso Maresciallo, ma che fu impossibile carpircele. Si decise allora di avvertire l'altro Fratello Maresciallo Rodrigo, il quale, uscito (perchè tregua) dalla Casamatta, di dove ben addentro era ricoverato ed accasciato. coll'altro generale Antonelli, venne al porto; e confabulalo in segreto con queste donne, ordinò: farsi subito rimbarcare per Napoli; minacciandoci di arresto in Castello, se pur altre volte si ardiva incomodarlo (2), ossia scovarlo dalla tana.

In noi era per verificarsi quell'aneddoto che: Fatto il servizio, si voleva impiccare il servitore!... Queste ed altre simili trame nell'assedio del 1806 non ebbero a verificarsi; quindi dobbiamo. ripetere che se, nella difesa 1806-61, Gaeta avesse avuto tutto i mezzi che allora; si ebbe, ed i Capi risoluti come al Principe d'Assia, nonché le bocche a fuoco eguali a quelle di cui il nemico disponeva,

(1) Venuto a Roma il Gaetano Afan de Rivera non mancò di far parlare i giornali di sé, poiché stando alla Trattoria d'Europa invia Mario di Fiori una sera dopo tracannato l'ultimo bicchiere di vino, e non sappiamo dopo quante decine, parlò molto male di chi gli aveva infrascata la testa, e molto bene di chi gli aveva fatto perdere 6 Cavalli ed una spada con un brillante nero sull'elsa... Oh immemore Generale!... uomo ingrato !...

(2) Il maresciallo d'Artiglieria Rodrigo, per debito storico, dobbiamo riferire, che dopo tesorizzato sotto il governo del Re Ferdinando II, come lo sanno i Comandanti le batterie montate; e, sfruttata la beneficenza, dell'augusto suo Figliò, caduta Gaeta, ritornando a Portici in vece di rattristarsi sulla sorte del Re, del Paese e di tanti altri fedeli, in carrozza con la sua Consorte, Vedova Cipriani, con volto ilare accolse molti del partito piemontista, ed a tutti diceva: Il sacrificio è consumato!... Misero quel Paese, che affida la sua difesa ad uomini così ingrati!...

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non numerosa la guarnigione, non traditori schierati, e tutte le altre indispensabili risorse, la resistenza sarebbesi protratta lungamente; perché giusta il parere di uomini esperti nell'arte da guerra, Gaeta non può mai cadere in mano al nemico, a parità di circostanze. Se 99 per 100 de' difensori, specchiandosi nell'eroismo de' giovani Sovrani, il Re Francesco II e la Regina Maria Sofia, non meno che i Reali Principi, i Conti di Trani e di Caserta, giurato avevano seppellirsi sotto le rovine del bombardamento, anzi che cedere l'ultimo lembo della loro bandiera, come la Fortezza poteva venire in possesso del nemico? Niuno che abbia buon senso saprà fare paragone tra l'assedio del 1806 col sacrificio del 1860-61!... Allora... valore, risorse, mezzi e speranze; nell'altro, bravura fino allo stoicismo, difetto di tatto, considerazioni negative, e sfiducia nel sonnolente egoismo delle Corti e nazioni d Europa, che scoscienziatamente abbandonarono chi per la difesa del Dritto, della Giustizia e della Religione deciso si era sacrificare se stesso per DIFENDERE I DRITTI DI TUTTI!... Nella storia della diplomazia non trova riscontro tale uno ingiusto e barbaro abbandono. Solo in questo secolo di tanto lume e progresso di civiltà poteva ciò verificarsi.

Se Cialdini per menomare l'importanza e la gloria della resistenza del 1860-61, (con l'idea di crescere il valore dei suoi soldati), esaltava quella del 1806 nel suo più volte citato proclama di Febbrajo, confessò ignorare la storia di quell'assedio; come pure mostrò chiaramente, non sapere egli

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in altro modo impadronirsi di Gaeta che col solo bombardamento: mezzo distruttivo di uomini e d'edifici, di cui fa solamente uso chi è educato alla scuola che eleva a sistema il fucilare, e proclama a dispetto della vera civiltà: esser grave delitto usare la pietà. Noi, tenendo presente il valore, le risorse, ed il numero degli aggressori e degli aggrediti di ogni singola difesa, in questa Piazza sostenuta, crediamo: che la difesa più ricca di gloria militare è stata quella del 1806-61; la quale, sebbene perdurò tre mesi e mezzo, e non cinque, come quella del 1806 (che è stata la più l'unga), pure deve assolutamente anteporsi alle altre, stimandola degna di maggior lode; tanto più, che ebbe 76 giorni di fuoco cosi spesso, ostinato e micidiale, che anche nei propri letti venivano uccisi i malati ed i feriti. Questo fatto, orribile! (accaduto nel secolo, che dicesi, di progresso) fu soggetto di un richiamo del Governatore, ma s'ebbe da Cialdini la cinica risposta: non aver occhi le palle dei suoi cannoni. Tremenda risposta!... che la storia registrerà ad eterna vergogna di chi osò pronunziarla!...

La cessione di Gaeta nel 1861 non si fece dal Re per ragioni militari, come fu nel 1806 ed in altri assedi, blocchi e sorprese, come altra fiala dicemmo; ma avvenne per ragioni di umanità, per risparmiare gli ultimi orrori di una lotta dissuguale a truppe pronte a versare l'ultima stilla del loro sangue in difesa del Re e del Paese (1).

(1) Questo concetto è molto saggiamente svolto da S. E. il Ministro del Re nella Circolare ai rappresentanti di Sua Maestà all'estero, in data del 16 Febbrajo 1861; da Roma. Nella quale il lettore può più ampiamente conoscere come Francesco II venne sempre tradito, ma non mai legalmente vinto.

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Nel dar fine al nostro lavoro ripetiamo al benevolo leggitore: che se egli calcolerà freddamente e senza spirito di parte, gli sforzi fatti dalla guarnigione del 1860-61 per sostenere il dritto, l'onor militare e l'indipendenza del Paese, non potrà che far eco al nostro giudizio, al quale lo stesso Principe Napoleone, al cospetto dei Senato Francese, vi si associò (tornata 1 Marzo 1861); e né sarà scarso di lode per quei prodi che, sullo stretto di una Roccia, circondati da traditori, privi di ogni mezzo, simpatizzati senza esser soccorsi dall'Europa, che dal destro conduttier della rivoluzione, Cavour, si fece abbindolare, seppero tenere rispettata la propria bandiera sulla Torre Orlando; ove, se si fu costretti abbassarla, vi rimasero i suoi rigogliosi gerani, onde si rileverà più splendida, più rispettata e bella. Essi mostrarono a quei Generali che, o per viltà d'animo, o per vil guadagno, disertarono (e che ora vanno mendicando pretesti per discolparsi innanzi la pubblica indignazione) non ignorare: che pel militare non v'ha morte più onorata, più gloriosa di quella che s'incontra combattendo in campo per difesa della propria bandiera, a cui si è legato, oltre I' onore, dal più santo dei vincoli , il GIURAMENTO.

Noi ci decidemmo a scrivere questo libro nello intendimento di giovare al Paese ed illuminarlo in ciò che un lembo misterioso copriva. Ci proponemmo franca narrazione ed imparziale libero giudizio, benché convinti affrontare l'ira de’ Vili e de’ traditori, che, dignitosamente accusiamo e sprezziamo. Diffidando fra tanti partiti e passioni avverse, che

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si calunniano a vicenda, sentenziammo francamente col lume della sicura fiaccola dei fatti; e perciò imparziali e scevri di uman riguardo, che tanto nuoce alla storia ed al consorzi:) sociale. La malignità di pochi settimi camuffali alla legittimità, può riunire sue forse ed assalirci per vendicarsi di noi, che abbiamo inalberato bandiera, ove si contempla il NUDO VERO; ma non per questo ci arrestiamo, comunque privi di appoggio; però ci reputiamo partitami decisi della fede, dell'onore e delle virtù conculcate.

Se di lode non ci si crederà degni, por le nostre durate Vigilie, valgano almeno a risparmiarci biasimo, pel nostro sincerissimo pensiero e per l'amore che ci stringe al nostro Re ed al Paese natio. Amanti fino al fanatismo della Verità, come tributammo riguardo agli uomini di cuore ed onesti, cosi non potemmo tacere de’ tristi, e di alcuni fatti de’ quali il mondo é necessità si sappia, nello interesse dei popoli e de’ Re.

Ci gridino pure la Croce; noi, ripensando di aver seguiti i dettami della coscienza e di aver tentato un bene per la Società, istruendola, per taluni uomini e di certi arcani, riserbiamo inoltre dire quello che ora non ci fu dato scrutare, e promettiamo ai Maligni in galanteria, che, quanto più essi cercano attraversarci, per arrestarne l'impresa, noi vieppiù ci rafforzeremo nel principio: esser la Verità la sola nell'altezza di far grandi le Nazioni; e che ogni uomo è nel dovere di smascherare que' tristi ammantati d'ipocrisia, o d'audace sfrontatezza, i quali fan guerra di sterminio agli emuli generosi, che oppongono silenzio alla jattanza;


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perché li reputano banditi dall'onore, dalla fede, e da ogni Virtù cittadina. Guai, ripetiamo, se ci porranno nella necessità di riprendere la penna!... Poiché, se appena ora é l'alba, sarà giorno allora; ed il Sole si mostrerà fulgidissimo e più bruciante!... Tuttavia ci si affaccia nel cuore un sentimento di carità cristiana, che ci detta perdono pe' ricreduti. Se l'abbino costoro, ma sel godino, e taccino!... VIVAN SEMPRE GLI EROI DI GAETA.


Rds, 5 Febbraio 2009 - https://www.eleaml.org











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