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CONFUTAZIONI

ALLE LETTERE

DEL

SIGNOR GLADSTONE

LOSANNA

1851

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Confutazioni alle lettere del signor Gladstone - Losanna 1851 (1)

Confutazioni alle lettere del signor Gladstone - Losanna 1851 (2)


(La Gazetta du midi, facea le seguenti osservazioni, riproducendo un articolo del Times).

Il giornale in inglese il Times che fu uno dei primi ad accogliere le deplorabili accuse del sig. Gladstone contro il Governo napolitano viene di riconoscere il suo errore nei termini i più precisi che possa permanergli la sua posizione. Il sig. Gladstone aveva rappresentato come innocenti i rivoluzionari Poerio e i suoi camerati; il Times li riconosce colpevoli di delitto di alto tradimento si limita scorgere un rigore esagerato in un imprigionamento che, in Inghilterra, e per un uomo convinto d'un tale attentato, sarebbe certamente considerato come una grazia. Questa riserva nulla toglie della confessione contenuta nelle seguenti linee:

«L'interesse eccitato in Europa dalla pubblicazione delle lettere del signor Gladstone su i processi politici di Napoli, e per la rilevazione delle barbare punizioni inflitte ad alcuni, riconoscimi colpevoli (found guiity) di delitti politici dai tribunali napoletani, ha determinato il nostro corrispondente in Italia a recarsi in Napoli, per ivi procurarsi qualunque possibile schiarimento su questo affare. Abbiamo ricevuto una folla di pruove relative ai dibattimenti giudiziari dietro i quali son restati convinti Poerio e i suoi compagni. Abbiamo letto il discorso del procuratore generale, e soprattutto la difesa di Poerio che in qualità di legale abile e sperimentato deve esser considerata coma quella che presenta a suo gran vantaggio la causa. Dopo un esame accurato ed imparziale di questi documenti e delle deposizioni nel processo il nostro corrispondente confessa che, nella sua opinione Poerio era colpevole dei delitti de' quali era imputato, cioè della congiura contro lo Stato e ch'egli aveva fatto parte con questo scopo, d'una società politica segreta, benché egli negasse avere appartenuto all'associazione detta Unità Italiana., ma che supponendo questi delitti provati, e non come dice il sig. Gladstone senza fondamento, la sentenza pronunziata contro il prigioniero e messa in esecuzione è delle più inumane e interamente sproporzionata al delitto. Poerio è in questo momento alla cittadella d'Ischia; il suo compagno di catena è un condannato politico, e non un malfattore come dicesi.

II nostro corrispondente ha saputo che questi due prigionieri occupano una piccola camera non sotterranea; e naturalmente meno cattiva (less uncleenly) delle altre celle. Ecco tutto ciò che credesi potersi dire in attenuazione d'una punizione estrema e crudelmente inflitta a questi infelici.

Ma ancora bisogna confessare che la quistione della loro innocenza o della loro colpabilità altera sin ad un dato punto il peso delle accuse del signor Gladstone. Su questo punto il nostro corrispondente differisce interamente dal sig. Gladstone ed in quanto a noi siamo disposti a sospendere il nostro giudizio. poiché quantunque si assicuri che le testimonianze prodotte contro i prigionieri erano false; dobbìam dire che le divagazioni della difesa di Poerio accompagnate da certe confessioni delle sue opinioni sulla ricostituzione dell'Italia, non avvalorava per nulla la sua innocenza.

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E qui dobbiamo far osservare che proviamo qual. che sorpresa di ritrovare, comparando i passaggi della prima teucra del signor Gladstone nella quali; faceva menzione della causa e della difesa di Poerio, che i fatti da lui accettati non sono che quelli riferiti dagl'imputati; fatti che ha litteralmente tradotte senza commentarli e senza modificazioni.

Essi possono o no esser veri; ma siccome non sembrano appoggiati da nessun altro testimone sarebbe stato più legale di darli come discolpe di un uomo che difendeva la sua vita, e negava per conseguenza tutto ciò che veniva contro lui prodotto. Poerio ha parlato sul suo processo abbastanza, dopo avere inteso i testimoni interrogati dal pubblico ministero; se le deposizioni fossero state così insignificanti e i testimoni così falsi come dice il sig. Gladstone, non sarebbe stato difficile ad un legista sperimentato, di far rilevare queste insignificanze e queste menzogne.

Nulla di simile ha avuto luogo nel processo; e la difesa non è stata che uno sforzo declamatorio per dimostrare essere inammissibile che Poerio si fosse framischiato in una congiura, seguita da un altro sforzo per stabilire una varietà di circostanze attenuanti ed estranei all'oggetto principe pale del processo. Il signor Gladstone impossessandosi di queste circostanze e di queste asserzioni come il prigioniero al banco ha certamente esposta meglio la sua difesa che Poerio stesso non aveva fatto.

Dall'altra parte le accuse esposte dall'avvocato generale hanno il carattere il più preciso. Egli ha positivamente affermato che una connessione distinta era stata stabilita, e sarebbe provata fra gli autori del. a cospirazione che scoppiò così audacemente e violentemente in Napoli, il 15 maggio 1848, e la congiura abortita il 16 settembre 1849, che diè luogo al processo. Un certo Nisco, capo di questa congiura, era secretamente affiliato. il partito ultra-rivoluzionario conosciuto sotto il nome di Unità Italiana. Uno dei luoghi della riunione dei congiurati era la stamperia di Gaetano Romeo nella quale furono sorprese armi e munizioni, proclami incendiari, un catechismo dell'Unità Italiana, diplomi, insegne e giuramenti prestati dai membri di questa società. È stato positivamente affermato che Settembrini e Poerio avevano rappresentato una parte attiva nelle riunioni della stamperia di Romeo, e vi preparavano una rivoluzione democratica del carattere il più atroce.

Noi non vogliamo renderci garanti della verità di questi dettagli, poiché ci mancano i mezzi per stabilirne l'evidenza. Masi è unanimemente d'accordo a dire che fu su queste accuse che i prigionieri han dovuto rispondere dinanzi la commissione giudiziaria che ha preparato il processo, e che sono stati infine, giustamente o ingiustamente riconosciuti colpevoli e condannati. Noi non sappiamo determinare il grado di complicità di Poerio, ma l'esistenza di una congiura non potrebbe essere contestata. Ed allora in quale parte d'Italia non esistevano cospirazioni e congiure?»

Aggiungiamo a queste confessioni alcuni fatti tolti da un libretto pubblicato dal sig. Balleydier, autore d'una notevole storia della rivoluzione romana.

«…............. i prigionieri politici napolitana, aggiunge il sig. Gladstone, sono trattati con una crudeltà talmente mostruosa che gli stati cristiani di Europa dovrebbero dichiarare la guerra al. Soprano delle due Sicilie ed aprir le porte delle prigioni»

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Questo prigioni impregnate del sudore dell'agonia escavate profondamente sotto il livello del unire, queste segrete abitate dalla disperazione e dalla fame, non esistono che nell'immaginazione del sig. Gladstone. lo le ho da me medesimo visitato, ed affermo non aver veduto in nessuno luogo questi raffinamenti di barbarie, queste scene di melodrammi, questi sforzi di teatro inventati per reagire violentemente ed impressionare coloro che portano un cuore onesto nel petto.

Carlo Poerio riconosciuto colpevole, e condannato dal codice Napoleonico in vigore nel regno delle due Sicilie ha dovuto subire la conformità dinanzi la legge che i democratici stessi han considerato come un progresso. Egli non è stato legato ai ferri d'un brigante, di un assassino poiché gli è stato permesso scegliersi il compagno di catena, e l'ha trovato in un rivoluzionario della sua condizione in un avvocato tanto meno innocente quanto egli era più istruito.

Ecco come il sig. Balleydicr spiega gli inconcepibili errori e le violenze di uno scrittore che la sua posizione sociale avrebbe dovuto rendere più cauto.

Il sig. Gladstone si reca a Napoli per ristabilire la debole salute di sua moglie. Antico ministro della gran Bretagna si mise egli forse al suo arrivo nella capitale del regno delle due Sicilie in rapporto diretto col ministro Fortunato pel quale aveva delle lettere di introduzione? Si presenta al Re al quale è tanto facile l'accesso?

No; ma si motte bentosto in comunicazione con gli avversari più giurati del Governo napolitano; va a cercare le sue inspirazioni alla legazione inglese; va a consultare gli agenti i più devoti di lord Palmerston; quei medesimi che si son fatti i più ardenti sostenitori delle rivoluzioni del 1848. Sotto queste prime impressioni il sig. Gladstone intraprende, senza alcuna missione, l'esame politico e morale d'un paese che gli accorda così generosamente l'ospitalità....

Risulterebbe dal libretto del sig. Gladstone che una scandalosa precipitazione presedeva ai processi politici di Napoli.

Questa precipitazione non esiste e non ha giammai esistito negli atti giudiziari della penisola.

Le discussioni dei processi politici di Napoli cominciati il i giugno 1850 e chiusi il 3t febbraro 1851 son durati in conseguenza duecento quarantacinque giorni. Gli accusati sono stati assistiti da eccellenti avvocati; duecento ventisei testimoni sono stati intesi: le aringhe per la difesa son durate venticinque giorni.

La gran Corte Speciale prima di pronunziare le sentenze ha deliberato una intera notte, e la mela del giorno seguente. Il signor Gladstone chiama questa precipitazione! Può abusarsi sino a questo punto della libertà di scrivere.............. anche un libello?...........

L'onorevole rappresentane di Oxford si è chiuso nelle segrete di Napoli per attristar l'animo suo allo spettacolo delle torture, della malattia, delle angosce della fame; il regime alimentare delle prigioni di Napoli che noi ci siamo dati la pena di studiare si compone tutti i giorni di zuppa di legumi, e parecchie volte nella settimana di carne.

Or io domando a qualunque uomo di buona fede, questo regime può dar la morte d'inedia in un paese riconosciuto per la sorprendente sobrietà dei suoi abitanti?

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(La Patrie nel pubblicare una parte della risposta del sig. Mac-Farlane al sig. Gladstone, la faceva precedere dal seguente articolo).

Le accuse portate dal sig. Gladstone contro il Governo di S. M. il Re delle due Sicilie, di cui la stampa rossa si e sciaguratamente impadronita con una avidità immensa, hanno ricevuto non guari una mentita, di cui crediamo che il National, la Presse e la Rèpublique si guarderanno bene d'inserire una linea; i loro lettori vi vedrebbero troppo chiaro, e la loro polemica vi perderebbe troppi argomenti. Il sig. Mac-Farlane, uno dei più chiari pubblicisti della gran-Bretagna, in una lettera diretta a lord Aberdeen, di cui traduciamo più sotto le prime pagine, dimostra tino all'evidenza che il sig. Gladstone, antico conservatore, non è presentemente se non un rivoluzionario come Lafayette, il più pericoloso colore come si sa; che neppure uno dei fatti allegati è giustificato; che le sue asserzioni, quando non sono il frutto d'una immaginazione riscaldala, non sono che l'eco delle velleità demagogiche dei Montagnardi di Napoli, tolte in prestito da quelli di Parigi; e che non resterà da questa commedia, in cui i giornali rossi hanno, come sempre, servito di fautori a lord Palmerston, se non uno scandalo europeo, che non ha avuto altra cagione che la certezza ben fondata da Gladstone di non essere rimandato più dagli elettori dell'Università di Oxford alla camera dei comuni, ov'egli è presentemente loro rappresentante poco conservatore, checche egli ne dica.

Quanto a noi, riconosciamo che l'opuscolo di Gladstone, diretto dal foreign-office a tutti gli agenti diplomatici dell'Inghilterra, non farà su non rendere più potente ancora la manovra politica acuì lord Palmerston ha avuto ricorso or son pochi giorni, quando, interpellato da un membro evidentemente incaricato di chiamarlo alla tribuna, ha confermato cosi benignamente le allegazioni contenute in una memoria che, se non era comandata da S. S., serviva almeno meravigliosamente a' suoi disegni, e giustificava la lunga cupidigia dell'Inghilterra riguardo alla Sicilia. Per togliere la Sicilia al Re Ferdinando, è mestieri necessariamente rivoluzionare il suo popolo e rendere impopolare il suo Governo; ora che cosa toglie l'affetto ad un popolo e la considerazione ad un sovrano se non la calunnia?

Le relazioni del signor Gladstone, ripetute, commendate, ingrandite ila mille echi della stampa rossa, importate, distribuite, sparpagliale su tutti i punti in cui l'Inghilterra tiene agenti, il socialismo una vittima, il protestantismo un adepto, non sono se non la riproduzione, per la millesima volta ristampata, delle stupide o brutali declamatimi, di cui ogni testa coronata sarà l'oggetto finché negli Stati vi saranno prigioni pia sediziosi, e in queste prigioni banditi politici e soldati di barricate. Il Re di Napoli ha il gran torto, in vero, di non rilasciare i 1300 o 1800 sediziosi che si sono ultimamente mostrati i tanto riconoscenti delle riforme liberali da lui concesse ai suoi popoli.. Mazzini aspetta Londra queste pure vittime della tirannia; e se mai sono amnistiate, Ferdinando II può contare che più d'una, dopo essere andata a ringraziare il signor Gladstone, aspetterà l'occasione e si metterà agli ordini di quelli clic ne profittano.

LETTERA

DI GIULIO GONDON

ALL'ONOREVOLISSIMO

W. E. GLADSTONE

MEMBRO DEL PARLAMENTO BRITANNICO

Signore,

La vostra posizione sociale esige che, seguendo le convenzioni dell'etichetta inglese, io faccia precedere il vostro nome dall'epiteto di onorevolissimo:

Io mi vi conformo: ma non sarebbe già lo scritto al quale voi avete unito il vostro nome, che vi avrebbe mai fatto arrivare d'un balzo al superlativo della onorabilità.

Abituato fino a questo giorno a contarvi fra i membri più disunii del partito conservatore inglese, l'opinione pubblica ha potuto commuoversi;i| primo cenno che gli organi della rivoluzione hanno fatto delle vostre lettere a Ioni Aberdeen. Or fu bisogno illuminare l'opinione pubblica dall'Europa sulle trasformazioni clic le vostre convinzioni politiche hanno subito (1).

Le vostre Lettere sulle persecuzioni di Stato del governo Napolitano, vi pongono in un nuovo posto nella classificazione degli uomini politici dell'Inghilterra. Voi avete rinnegato il vostro passato per prendere rango nella scuola diplomatica dei Palmerston, dei Minto, dei Bulwer e dei Napier. Il partito conservatore non può vedere in voi che un disertore dopo che voi vi siete fatto il campione della rivoluzione Italiana, il

(1) In un opuscolo che io ricevo da Londra dopo avere scritto questa lettera leggo il seguente squarcio: «L'onorevole sir Gladstone, conosciuto altre volte come un influente conservatore, ha concepito da qualche tempo la più forte avversione ed è giunto a tate, da arrivar a dire che tutte te monarchie detta Europa sono vecchie e cadenti, che il sistema monarchico in se stesso è un sistema baracco e che quanto più presto noi ci accosteremo al vero modello normale degli Stati-Uniti di America, sarà meglio per noi.»

L'opuscolo dal quale tolgo questo squarcio interessante non poco ha per titolo: Il Governo Napolitano e M. Gladstone: e ne è autore il signor Carlo Mac-Farlane.

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traduttore delle sue opero (1), io spacciatore. delle sue calunnie e il relatore delle, sue più odiose accuse.

Le vostre due lettere a lord Aberdeen non sono che una requisitoria nella quale voi avete aggruppate tutte le censure degli anarchisti napolitani contro un Governo, che, più fermo, più intelligente degli altri, ha la gloria di aver saputo vincere la rivoluzione'. Il vostro nome farebbe invano cercare nelle vostre lettere un fatto di gravità a carie» del Governo napolitano. Voi vi fate l'eco delle accuse le più gravi, senza avere il minimo pensiero di recar qualche prova per giustificarle. In virtù dunque di qual prerogativa vi spogliato voi dell'onus probandi che pesa su qualunque accusatore?

Se fa d'uopo credere ai vostri amici, voi non sareste già arrivato a Napoli colle disposizioni di spirito, colle quali vi trovaste allontanandovi dalle sue rive. Voi vi siete arrivato conservatore ed uomo d' ordini*; l'influenza degli agenti di lord Palmerston e l'atmosfera mazziniana sparsa intorno a voi hanno operata una metamorfosi di cui la setta rivoluzionaria si felicita come di uno dei suoi più belli trionfi.

Chi dunque si preoccupava in Europa delle denuncia calunniosa scritte contro il Re ed il Governo di Napoli dai fogli demagoghi di Francia e d'Inghilterra? Certamente nessuno. Un mezzo ammirabile di arrivare a dari; a queste vociferazioni una qualche apparenza di realtà, era di addossarle ad un tory, ad un membro influente, onorato, capace, del partito conservatore.

Gli ammiratori del vostro talento e del vostro caratteri! avranno a deplorare che un uomo del vostro valore si sia lasciato prendere

all'agguato anglo-demagogico dei rivoluzionari napolitani.

Io vorrei potervi scusare, cercando persuadermi che voi non avete riflettuto, né compresa la portala di un atto la cui responsabilità è pure così trista. Un inglese anche conservatore, può assai facilmente lasciarsi strascinare, quando si tratta di abbattere il più fermo e devoto sostegno del potere temporale del Papa.

A misura che i foschi splendori degli avvenimenti ci illuminano, non diviene forse sempre più manifesto che la causa del protestantismo tende ogni giorno a identificarsi di più con quella dei nemici dell'ordine sociale? Conservatori o no, la logica vi trascina: l'anarchia politica e sociale doveva sortire dall'anarchia religiosa: la rivolta contro il Re, contro qualunque autorità. L'avvenire proverà che entra nei destini del protestantismo e del socialismo l'avvicinarsi e il confondersi insieme.

Per quanto conservatore si sia il vostro paese, o signore, egli è troppo protestante per non essere rivoluzionario, per non presentarsi dappertutto come io ausiliario della rivoluzione, e tale è la parte che egli sostiene al presente, attendendo a divenire egli stesso la preda dell'incendio da lui stesso svegliato, se egli non cerca la sua conservazione, nei soli principii religiosi e politici veramente conservatori.

(1) La sollecitudine dell'onorevole rappresentante di Oxford per i prigionieri politici del regno dette Due Sicilie, sembra che gli abbia lasciato qualche riposo. Sir Gladstone ha pubblicato una traduzione della Storia degli Stati Pontifici dal 1815 al 1850, del signor Luigi Carlo Farini. Questa pretesa storia altro non è che un lungo libercolo contro il papato. La circolazione di questo scritto è severamente Vietata netta maggior parte degli Stati d'Italia. È in questo libro che l'onorevole sir Gladstone invita gli inglesi a studiare l'istoria degli Stati Pontifici. La coincidenza di questa pubblicazione con quella delle due lettere contro il Governo napolitano non è ella abbastanza significativa?

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Lord Palmerston non ha fatto che sopravanzare il vostro partito; egli ponendovi al suo seguito, ha fatto sì che voi ubbidiate ad una legge che i vostri amici e il vostro paese alla lor volta avranno a subire.

Mi affretto ad arrivare alle vostre accuse, e mi propongo di esaminarle colla calma, colla moderazione o colla imparzialità di cui voi avete voluto lodarmi e ringraziarmi, or sono sette anni, allorché mi faceste l'onore d'indirizzarmi qualcuno dei vostri scritti.

Non è che dopo aver sentito Ioni Palmerston farsi vostro apologista, non è che dopo aver veduto il ministro degli affari esteri di S. M. Britannica discendere al grado di essere il relatore di un libello, che io mi sono deciso a leggere le vostre lettere. Prima di averne preso cognizione, il linguaggio dei giornali rivoluzionari mi aveva fatto temere che la vostra buona fede fosse stata sorpresa; ma dopo averle lette, ve lo dico con dolore, io cercherei invano conciliare la buona fede dello scrittore, la lealtà dell'uomo politico. con le accuse di cui voi avete acconsentito a divenire il propagatore.

Quantunque sia il rispetto che mi ha sempre inspirato il vostro carattere, qualunque sia l'ammirazione che comanda il vostro talento, da che voi annunciate dei fatti, permetterete senza dubbio che si ricerchi la loro gravità e la loro importanza in questi fatti stessi, e non nell'influenza e considerazione di cui godete. Voi avete portata la discussione sul. terreno dei fatti, ed è tà che mi bisogna seguirvi; ma se io pervengo a stabilirvi che le pretese rivelazioni sulle quali voi vi appoggiate per denunciare il Governo napolitano al disprezzo e all'indignazione dell'Europa sono false «calunniose, io ve lo dimando: su chi dovranno ricadere questo disprezzo e questa indignazione?

I fatti che voi denunziate, o signore, si riferiscono ad avvenimenti contemporanei. Noi siamo separati solamente di pochi mesi dai più lontani; se bisogna prestarvi fede, gli altri sono annali: dal che io conchiudo che la loro verificazione deve esser facile. Io mi vi accingo, seguendo l'ordine nel quale le vostre lettere me li presentano. Io comincio con uno di quelli che hanno maggiormente commossa l'opinione pubblica, che hanno sollevato maggiori e più dolorose prevenzioni contro il Governo napolitano:

Il numero dei prigionieri politici

Che cosa ci affermano le vostre lettera?

Io traduco quello che voi ci dite su questo punto; affine di non essere accusato di falsare le vostre parole, o di esagerarne l'importanza.

«La generale credenza si è che il numero dei prigionieri per delitti politici del regno delle Due Sicilie sia fra quindicimila, o ventimila, o trentamila (1).»

Ma questa statistica riposa su qualche testimonianza più precisa, più esatta che la credenza generate?

Voi rispondete: «Il Governo toglie qualunque siasi mezzo di precisa informazione, e per conseguenza non vi ha alcuna certezza su questo punto. Ed io frattanto ho trovato che questa credenza è partecipata da persone le più intelligenti, le più considerate e meglio informate. Questa è così confermata da quello che si sa intorno alla moltitudine incredibile di sventurati che sono accalcati in certe prigioni, e specialmente da quello che si conosce,

(1) Prima lettera, pag.9.

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toccando il numero degli individui che mancano dal seno delle comunità in certe località provinciali (1).»

Eccovi, o signore delle nuove date, di cui la scienza statistica vi deve la scoperta. Dopo aver mossa innanzi agli occhi del lettore una statistica che può variare secondo la sua moderazione o lo sue esigenze da 15,000 a 30,000, se ve se ne dimanda la giustificazione, Voi rispondete che l'avete stabilita sulla credenza generale! Ma voi avreste dovuto rivelarci, con quai aiuto, con qual ingegnoso procedere voi siete arrivato a constatare questa credenza? Forsechè voi stesso, o signore, avete fatta un'inchiesta in questo scopo? lo tomo molto che voi abbiate abbandonata questa cura ai membri della setta mazziniana, agi amici di Poerio, che sono quelli di lord Palmerston, e che sono divenuti vostri. Ora la vostra esperienza avrebbe dovuto insegnarvi che i demagogia napolitani, simili ai loro fratelli di tutte le parti d'Europa, parlano senza posa in nome della pubblica opinione, in nome del popolo, in nome del paese, quando non esprimono che i loro odii e le loro esecrande speranze.

Oh! voi sareste stato più giusto, voi avreste fatto prova di maggiore equità e lealtà se, lasciando da parte una credensa che doveva parervi sospetta» voi vi foste limitato, dopo aver data sul numero dei prigionieri un'indicazione falsa e calunniosa» vi foste limitato, io dico, a constatare l'inesattezza delle Vostre asserzioni. E perché le vostre informazioni sono state così incerte? Avete voi fatto il minimo tentativo per dissipare la loro incertezza? No, perché voi non avreste mancato di informarcene: voi non avreste obbliato di constatare i passi fatti, segnalare i rifiuti di informazioni che vi avrebbe opposto il Governo napolitano, Sarebbe stato questo un episodio prezioso» un tema fecondo alle declamazioni della stampa rivoluzionaria) che vi Viene così potentemente in aiuto in questo momento.

Signore! L'opinione dell'Europa che voi avete evocata, esige che voi giustifichiate le asserzioni da voi emesse sul numero dei prigionieri napolitani. Quali sono le persone intelligenti delle quali voi invocate la testimonianza?

(1) Ibid. pag.9 La credenza generale con, fermata dalla credenza personate dell''onorevole Gladstone non ha inspirata un' intera confidenza ai giornali rivoluzionArt. È un fatto degno di essere notato che nessuno di essi, parlando dei prigionieri, ha fatto menzione del numero di trenta mila. Le cifre di sir Gladstone sono loro sembrate cosi precise, malgrado il suo avviso, da non offrire alcuna certezza, onde hanno preferito prendere la media di 20,000. Questo tratto di buona fede demagogica, mi facea dire in un articolo di risposta al National. Perché lasciar cosi nell'obblio dieci mila vittime detta barbarie di Ferdinando? Se sir Gladstone ha veduto esattamente, se ha ben rettificato, ben contato, lasciamogli il beneficio de' suoi calcoli. Perché attenuare in una proporzione cosi considerevole la criminalità del Governo Napolitano? Il National in verità si mostra troppo indulgente, e noi dobbiamo assumerci la difesa detta causa di diecimila prigionieri che egli ha la crudeltà d'obbliare, quando i diritti dell'umanità esigono che si faccia entrare in conto.

Così scrissi nell'Univers: il National nulla rispose.

Inghilterra qualcuno degli adulatori di sir Gladstone si sono mostrati ancora più increduli sulle asserzioni. Così per esempio il Tablet giornal che entra nette vie del socialismo, ha detto: Quando non vi fosse di vero che la metà, di quello che racconta sir Gladstone, tuttavia non ha meno reso un grande servigio all'umanità, e noi ci congiungiamo a lui di tutto cuore netta esecrazione di una politica si infame.»

I vostri adulatori dunque vi accusano essi stessi di menzogna!

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Nominate voi forse gli uomini meglio informati e dei più considerevoli di cui ci parlate? Ove hanno essi attinte le loro informazioni? Su quali nozioni di giustizia e di morale appoggiale voi la vostra maniera di procedere contro il Governo napolitano, che voi avete, secondo l'espressione dei vostri lodatori, inchiodato a!la berlina?

Con qual diritto vi indignerete voi contro la giustizia di Napoli, quando voi stesso, o signore, nel processo che voi intentate ai ministri di S. M. Siciliana, voi non avete presentate le vostre accuse che appoggiato a testimoni che non Ardiscono farsi fuori? Chi dunque ha veduto la moltitudine incredibile accalcata in cene prigioni? Quali sono queste prigioni? Se le vostre informazioni sono esatte vi dovrebbe esser facile a indicarle. Quanto agli individui che mancano dal seno delle comunità in certe località, precisatele queste località, ed abbiate cura di farci conoscere in qual modo i testimoni anonimi, che vi parevano dei meglio informali, hanno constatato i vuoti che vi allarmano.

Io vi domando, o signore, s'egli è ragionevole l'ammettere che si possa arrivare in un qualunque paese a precisare il numero dei prigionieri, andando di città in città, di villaggio in villaggio, di porta in porta, a domandare agli abitami: Avete voi qualcuno dei vostri in prigione? Procurate di stabilire in Inghilterra, in Irlanda ed in Iscozia la statistica delle prigioni su simili basi, e voi produrrete in seguito le vostre cifre appoggiate a ciò che si conosce. 'D'altronde, voi avreste sempre a dirci quali sono gli uomini intelligenti che hanno fatto questa curiosa verificazione nel regno delle Due Sicilie.

Vi sarebbe stato più facile, poiché il numero dei prigionieri napolitani vi interessa così vivamente, visitare le prigioni di Stato. Voi avreste potuto, senza riportarvene alle cifre del capo della polizia, esaminare i registri delle case di detenzione, perché il Governo, io non ne dubito, sarebbe stato fortunato di fornirvi i mezzi dì rischiarare la vostra coscienza, e voi sareste stato autorizzato a dirci: Io ho veduto e toccato con mani quello che racconto. Chi non vi avrebbe creduto?

Ora, come pretendete voi imporci la vostra opinione, quando voi non avete una sola testimonianza, un solo documento da invocare in suo appoggio.

Tosto che la prima lettera fu pubblicata, vi si fece osservare, voi ci dite, che voi avete parlato di venti o trenta mila prigionieri, quando il loro numero in realtà non arriva che in circa a due mila. Era una bella occasione di sviluppare nati i si dice, sì afferma, si assicura, si conosce, nei quali voi vi eravate dapprima limitato che cosa avete voi risposto?

«Io so, dite voi, che la mia opinione, a proposito del numero dei prigionieri politici nel regno delle Due Sicilie, è stata respinta da un'asserzione che si dice basata sopra un documento ufficiale, secondo il quale, invece di ventimila non ve ne sarebbero che duemila. Ma questo numero stesso non è già stato sempre ammesso: perché io mi ricordo che nel mese di novembre scorso, un inglese, uomo onorato e in istrette comunicazioni colla Corte, mi disse che il numero non era che di mille.

«Ho ben cura di far osservare, voi aggiungete, che, la mia asserzione non era fondata che sull'opinione, uno opinione ragionevole., secondo io credo, ma che però non è che un'opinione, che il Governo napolitano abbia il benefizio intero della contraddizione. Sarebbe per me una grande soddisfazione di poter dire onestamente che egli ha acquistato la mia fede: i lettori delle mie lettere non saranno sorpresi dalla mia esitazione ad ammetterlo (1).»

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Voi v'ingannate, o signore; la sorpresa del lettore è grande, perché la vostra esitazione non è giustificata, dal momento che non ha altro fondamento che una opinione ragionevole, secondo voi credete. Si tratta di sapere se questa opinione è più ragionevole di un documento ufficiale? Poco m'importa, e poco importa al pubblico quello che voi credete: ma voi dovete rendere conto della vostra credenza, e le vostre lettere non ce la danno. Il diritto individuale del giudizio privato in materia di fede, che voi esercitate in ima maniera così assoluta in seno dello anglicanismo, non farebbe legittima la calunnia, perché voi l'avrete seminata nel mondo secondo quello che voi credete.

I giornali anarchisti dell'Europa si sono autorizzali della vostra credenza per dire che voi avete contate le vittime della giustizia napolitana, quando voi ne cresceste il numero fino a venti mila (2).

Assai poche ricerche, o signore, vi avrebbero permesso rettificare gli errori della opinione generate e quello che voi credete. Voi siete ancora in tempo d'invitare lord Napier e gli agenti così bene informati che lord Palmerston possiede a Napoli, di verificarne le nostre cifre, ed essi arriveranno senza molta pena a constatare i fatti seguenti:

Prigionieri posti sotto la sorveglianza

della polizia

non

detenuti

La provincia di Napoli



conta

223

23

La Terra di Lavoro

80

6

Il Principato esteriore

381

12

Il Principato ulteriore

4

La Molise

43

La Basilicata

156

11

L'Abruzzo ulteriore 1°

1

L'Abruzzo ulteriore 2°

34

L'Abruzzo esteriore

6

La Calabria esteriore

223

7

La Calabria ulteriore 1a

244

La Calabria ulteriore 2a

54

La Capitanata

112

15

La Terra di Bari

20


La terra d'Otranto

8

tolale

1589

79



(1) Seconda lettera, pag 42

(2) «Egli ha veduto, egli ha toccato, egli ha pesato i ferri dei prigionieri» (National

Io devo aggiungere, per esser completo, che indipendentemente da questi prigionieri, vi ha nel regno un certo numero di detenuti per misura di polizia, ed aggiungo il loro numero ai primi onde avvicinarmi al più possibile al numero di trenta mila vittime la cui sorte sembra che abbia sconvolto il vostro cervello.

Ecco il numero:

Napoli

77

Pozzuoli e Castellammare

2

Salerno

19

Caserta

2

Avellino

17

Potenza

6

Foggia

9

Bari

4

Lecce

10

Cosenza

6

Catanzaro

2

Reggio

10

Campobasso

7

Chieti

12

Aquila

19

Teramo

3

tolale

205

I detenuti, congiunti ai prigionieri, elevano dunque il numero a 2,024, attendendo sempre di trovarne trentamila!

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Per essere perfettamente esatto, io vi dirò ancora che questo documento rimonta al mese di giugno. Ora dopo questa epoca, molti dei detenuti erano stati liberati, e la clemenza del re, cui le vostre calunnie hanno fatto appellare l'assassino di Napoli, il carnefice coronato, si è stesa su 212 colpevoli, che godono a quest'ora di loro libertà, e che benedicono il loro sovrano.

Le detenzioni preventive fisseranno ben tosto la mia attenzione: io avrò ad esaminare quello che voi ne dite. Io mi occupo qui del numero dei prigionieri. Voi io vedete, o signore, io appoggio la mia contraddizione sulle cifre, sopra un documento ufficiale, dulia cui esattezza io sono ben persuaso, e qualunque membro del corpo diplomatico, presente a Napoli, è in grado di vetrificarla.

Io vi provo colle cifre che il numero dei prigionieri che era di 2,024 nel mese di giugno, è tutto al più di 1,800 nel mese di agosto. Che avete voi a rispondere, voi che non mi opponete che l'opinione generate, voi che siete costretto a convenire che i vostri calcoli non offrono alcun carattere di certezza, e che pure sostenete il numero dai 20,000 ai 30,000? Che dico io? Voi pretendete che i prigionieri siano accalcati come una massa di carne putrefacentesi!

Ah! io temo bene, signor Gladstone, se voi avete qualche pensiero del vostro carattere e della vostra riputazione, che voi non vi troviate nella necessità di dirci dove, quando e come voi avete potuto vedere delle masse di carne putrida nelle prigioni napolitano, quando la provincia che conta il maggior numero di prigionieri (provincia che voi non avete né anche visitata) ne conta appena 380?

Signore, giacché mi occupo dei vostri calcoli, vediamo se siete più esatto parlando degli accusati d«l 15 maggio.

Leggo nella prima delle vostre lettere alla pagina 10:

«Quando io lasciai Napoli si aspettava veder cominciare immediatamente un processo (quello del 15 maggio) nel quale il numero degli accusati è di quattro a cinquecento.»

Dove avete attinte queste informazioni? Il vostro errore è lo stesso come quello in cui incorreste nel calcolo generale del numero dei prigionieri politici. Voi dite: quattro a cinquecento invece di dire quaranta a cinquanta, precisamente come ci regalaste ventimila per due mila. Un zero più o meno!

Un documento ufficiale, l'atto di accusa pubblicato dalla gran Corte Speciale di Napoli, prova che il numero degli accusati è solamente di 46. Potete verificare la mia asserzione alla pagina 28 dell'atto di accusa nella causa degli avvenimenti politici del 15 maggio 1848. il procuratore generale vi dà i nomi, i cognomi, professioni e domicilii degl'incolpati.

Questo atto è seguito da documenti giustificativi ed istruttivi, la cui lettura non può mancare di rettificare le vostre idee sul carattere degli uomini che voi prendete a proteggere, e dai quali ci dite:

«Questi quattro a cinquecento imputati comprendono (benché questo sia una «digressione) una o molte persone di un rango distinto, le cui opinioni in questo paese sarebbero riguardate come più conservatrici delle vostre.»

Io son sicuro che l'applicazione che voi fate di queste opinioni a lord Aberdeen, è ingiusta; ma ammetto senza difficoltà che i principii conservatori degli insorgenti di Napoli sono conformi ai vostri, come voi lo dite. Ora, l'atto di accusa e i documenti che l'accompagnano, mostreranno a chiunque vorrà darsi la pena di leggerli,

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che vi è identità perfetta fra progetti dei rivoluzionari napolitani e quelli del resto dell'Europa. Se l'insurrezione di Napoli avesse incontralo una repressione meno energica, avreste avuto la soddisfazione di veder all'opera gli uomini che glorificate. Le sanguinose giornate di giugno avrebbero potuto rischiararvi sulla natura dei conservatori che innalzano barricate. Avevate bisogno per conoscerli di veder succedere le scene lugubri della barriera Fontainebleau a Parigi su i gradini del trono di Ferdinando?

Torno al numero degli accusati, e vi domando, signore, per parte mia, di nominare le 434 persone sconosciute al procuratore generale di Napoli, le quali vi han senza meno autorizzato a farle entrare nei calcoli da voi operati per arrivare alla cifra rii cinquecento accusati.

Convenite che le vostre due prime asserzioni non sono felici. Passo ora alla terza doglianza: Delle confiscazioni e sequestri. Voi citate appena questo delitto del Governo napolitano, e ne parlate solo di una maniera inciderne.

Sembra su questo punto che vi fosse mancato l'appoggio dell'opinione generale, perché ecco tutto ciò che si rileva nelle vostre lettere: «Un piccolo numero di persone (gl'incolpati) han dei mezzi indipendenti per sostenere la loro famiglia, per non aggiungere secondo ciò che sento dire (as I hear), che le confische e i sequestri sono frequenti nei casi di arresto.»

Secondo ciò che sento dire, oh come è grazioso; le nozioni di equità che l'anglicanesimo vi ha dato permettono dunque di accusare, di calunniare per un inteso dire?

Voi citate il Governo napolitano «al tribunale dell'opinione generale, che circola in Europa con una forza ogni anno crescente,» voi non esitate avvilire i suoi atti contro questa opinione che voi chiamate «improntata dello spirito del Vangelo» e le vostre querele posano su ciò che vi si dice (as I hear).

Voi uomo grave, che avevate dato le speranze di un uomo di Stato, voi che fate un delitto al Governo napolitano di accusare per semplici sospetti, di condannare senza prove, voi osate denunziare le sue confische all'opinione dell'Europa, perché ve l'han detto?

Se il Governo di Napoli ha fatto delle confische, quali sono? indicateci, signor Gladstone le vittime delle sue spoliazioni.

In quanto a me potrei contentarmi di opporre una negazione assoluta ad una affermazione senza prova; ma voglio giustificare le mie parole, perché possono essere giustificate. Voglio dirvi su quali falli mi persuado che cercate sorprendere l'opinione. Dapprima, signore, nessuna sentenza giudiziaria ha pronunziato negli Stati napolitani la pena della confisca, che non esiste nei suoi codici al par dei nostri. In seguito nessun fatto di confisca arbitraria è stato segnalato dai diffamatori del Governo, che voi con tanta leggerezza fate sogno dell'esecrazione pubblica, ma questo non è tutto: posso citare testimoni per confondervi.

Non ignorate senza meno, o signore, che nell'insurrezione del 15 maggio, i rivoltosi organizzarono un comitato di salute pubblica destinato a rimpiazzare il Governo contro il quale erano dirette le barricate conservatrici. Dopo il trionfo dell'ordine e delle leggi, i beni di 5 deputati che formavano questo comitato furono provvisoriamente sequestrati. Quanto tempo durò questo sequestro? Tre settimane precise. E come fu tolto? Sulle istanze delle famiglie dei colpevoli.

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Conoscendo il cuore di Ferdinando, esse si diressero al loro Re, il quale fece togliere immediatamente il sequestro.

Se dubitate della esattezza di questi fatti, o se l'opinione generale che vi serve di bussola inni li conferma, dirigetevi, o signore, a Une membri dello stesso comitato di salute pubblica, che godono attualmente in Parigi della loro brillante fortuna. Io deferisco alla loro testimonianza. Le loro opinioni politiche non h:m potuto soffocare in essi i sentimenti di onore e di riconoscenza. Consultateli.

S«occorre andate in Sicilia a cercare le prove della barbarie di Ferdinando. l Siciliani vi diranno che non pochi di coloro che votarono la decadenza del Re, ed andarono ad offrire al Duca di Genova la corona di Sicilia non solamente furono amnistiati, ma abitano in Palermo e frequentano la Corte. Eccoti dei tratti di barbarie regia che la regina Vittoria non sembra disposta ad imitare in ciò che riguarda l'infelice Smith O' Brien ed i compagni del suo esilio. Dalle confiscazioni passo al Prete assassino.

«Posso accennare, voi dite, che uno di essi (un membro della camera dei deputati) è stato assassinato da un prete chiamato Peluzzo, molto conosciuto nelle strade di Napoli quando io mi trovava colà, che non è stato mai ricercato per tal delitto, anzi si dice che riceva una pensiono dal Governo.»

Ed eccoci sempre allo stesso sistema di accusa. Si dice che i preti assassini siano pensionati dallo Stato, come si dice che il Governo confisca come si dice che vi siano cinquecento accusati nell'affare di maggio, e come dice sempre che vi siano trentamila prigionieri politici.

Ma chi dunque, signore, vi ha raccontato in tal modo la storia dell'infame Peluzzo? La stessa opinione pubblica protesta contro questa ninna calunnia. Io trovo ben chiaramente che la vostra sola preoccupazione in queste pagine immortali è quella di stabilire, a dispetto dei fatti più notorii, la fasi: che il Governo cristiano e paterno del Re di Napoli «ha per attribuii tutti i vizi, ed è la negazione di Dio e retta in sistema di Governo,» espressione la quale, secondo voi «è verissima.»

Se lo Stato pensiona gli assassini in Napoli, io Stato lo fa più sovente in Inghilterra, e la vostra filantropia non si è ancora risentita, per quanto mi sappia, di ciò che voi chiamate prezzo di sangue, prezzo che il Governo inglese ha dovuto assoldare più frequentemente di quello di Napoli. Alcune parole sopra Peluzzo e la sua vittima.

Fra il numero dei membri liberali della camera dei deputati napolitani si trovava un conservatore chiamato Carducci, il quale dopo aver eretto le barricate ed aver impugnato le armi per rovesciare il Governo, sfuggì alla vendetta delle leggi nascondendosi fra le montagne.

Come Garibaldi si attorniò di vagabondi, di ladri e di

banditi, e si consolò di non essere alla testa del Governo del suo paese facendosi capo di briganti.

I compagni di Carducci sparsero ben tosto il terrore intorno a loro. Saccheggiarono da prima le campagne; ma incoraggiati poi dalla felice riuscita delle loro rapine, non esitarono a penetrare nei villaggi e mettere a riscatto le persone. Il nome di Carducci spargeva ovunque il terrore, ed il suo passaggio era segnalato dalla devastazione, dalle violenze, dai misfatti.

Questi delitti imponevano crudeli obbligazioni all'autorità. Ed essa non fece che seguir l'esempio che l'Inghilterra ha sempre dato in queste circostanze dolorose. Sulle sponde del Tamigi, quando si commette un grave delitto,

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ed il reo sfugge all'ingiustizia, il capo dulia polizia fa annunziare che sarà dato un premio a chiunque arresterà il delinquente e lo consegnerà vivo o morto all'autorità. E la polizia napolitano non ha fatto altrimenti; essa ha offerto una ricompensa alla persona che consegnerebbe Carducci, questo brigante sulla di cui sortesi commuove il signor Gladstone, e la cui causa egli accomuna con quella dei suoi amici conservatori.,

Veramente signore, nella scelta dei vostri eroi non avete la mano felice come nell'addizione delle vostre cifre. Successe che il Carducci fu consegnato morto da un certo Peluzzo, prete, non solamente che avea lasciato l'abito, e che da più tempo non esercitava alcuna funzione sacerdotale, ma che aveva dei titoli incontestabili a far parte delle bande della sua vittima. Ignoro se presso Carducci facesse le funzioni di suo luogotenente, ma è certo però che ne sarebbe stato degno.

Questa è la storia del prete assassino, che si dice ricevere una pensione dal Governo di Napoli! Peluzzo ha ricevuto col fatto la ricompensa offerta all'individuo, chiunque si fosse, che s'impadronirebbe di Carducci. Egli avrebbe ricevuto il prezzo del sangue in Inghilterra come in Napoli, e come non è guari si offriva in Francia una ricompensa a colui che avrebbe arrestato l'assassino Montcharmont. Il carattere di prete non entra quindi per nulla in questo atto. La buona fede la più volgare vi permette di far ricadere sul corpo sacerdotale l'atto di un essere indegno, che è stato separato dal suo seno. Se le cattive passioni seguono l'uomo in tutte le condizioni sociali, anche nell'esercizio delle funzioni più sante, sarebbe questa una ragione perché non vi fosse più sulla terra probità, dignità, onore?

Si dà il permesso di perseguitare i corsari ed appiccarne gli equipaggi ai pennoni; in virtù di una eccezione di simil natura l'Inghilterra offre il prezzo del sangue per colpire gli assassini, e l'autorità napolitana ha dato una ricompensa all'uomo che ha liberato la società dal Carducci, fatto brigante. Che cosa avete a rimproverare, sig. Gladstone, al Governo napolitano?

L'uso forse in Inghilterra vi autorizza a chiamar pensione il prezzo del sangue?

Sopra chi dovrà cadere, vi domando, l'odiosa offesa delle parole che consacrate a questo episodio?

Eccomi alla quinta accusa, che non è meno grave delle altre; vediamo però se sia più fondala. Si tratta niente meno dell'avvilimento dei magistrati napolitani. Confesso, signore, che se voi fosse meno colpevole, esiterei a riprodurre i vostri sentimenti sopra uomini che amministrano la giustizia sotto la protezione tutelare del Governo di Napoli.

Dovrei occuparmi della magistratura in generale e delle calunnie che voi versate sulla medesima; ma sento il bisogno di consacrare alcune parole al carattere del magistrato, dopo aver letto nella vostra prima lettera le seguenti righe:

«Non intendo insinuare che i giudici di Napoli son tutti

mostri, ma son tutti

schiavi. Sono numerosi, mal pagati, ed amovibili. Sono in generale meno considerati, meno ben posati, e di una caratteristica morale assai più bassa dei distinti membri del foro, che difendono le cause innanzi a toro.

Credo che il maggior soldo di un giudice ascenda a ducati 4,000.»

Grazie, signore, della vostra generosità. Voi volete concedere all'opinione pubblica, per la quale parlate, che tutti i giudici napolitani non sono mostri.

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Quelli fra costoro in favore dei quali fate questa eccezione saranno, senza meno, contenti di essere schiavi. Questa è l'accusa. Esaminiamo le prove. Voglio, al par ili voi. lasciar da parte i mostri che potrebbero spaventarci, per occuparmi solamente degli schiavi, l'Inghilterra ha fatto tanto per l'abolizione della schiavitù, che voi beo dovevate alcune parole a questi sventurati giudici napolitani, in fatto più infelici dei negri delle vostre colonie dei quali avete pagato tanto cara la libertà.

Ma finalmente, io li prendo tali come sono, schiavi, come voi lo dite. Voi vi accingete a provare che la loro condizione è tale come la descrivete, primo perché sono amovibili, secondo perché i meglio pagati fra loro non ricevono più di 4,000 ducati.

Mi congratulo seco voi che finalmente vi decidete a presentar le prove delle vostre asserzioni, o almeno io ragioni sulle quali le appoggiate, cosi torna più facile il seguirvi e combattervi.

In quanto al vostro primo considerando che mi direte se vi facessi osservare che i magistrati napolitani sono inamovibili? Ed altronde vi farò notare, di passaggio, che i liberali napolitani, come i loro fratelli conservatori, ai vostri occhi, i montagnardi francesi, non sono del vostro parere sulla quistione: perché l'amovibilità della magistratura francese è stata dai medesimi richiesta nell'Assemblea costituente, ed una tal conquista è l'oggetto di un paragrafo dell'ultimo discorso del sig. Hugo.

I 4,000 due. presentano una obbiezione più brillante.

Il ducato avendo il valore di fr.4,50 o 60 c., il soldo più elevato dei giudici napolitani non sarebbe che 17 a 18 mila franchi. E veramente è umiliante, signor Gladstone! magistrati che non possono essere meglio retribuiti son degli schiavi!

Ma che pensereste se vi dicessi della magistratura francese, che il nostro primo presidente della Corte di Cassazione non ha più di 20 mila franchi di soldo. Quanti magistrati francesi non vi sembrerebbero degradati, quando sapreste che i presidenti delle Corti di appello hanno da 6 a 10 mila franchi, od i consiglieri cioè a dire i giudici, hanno solamente 3,000 franchi! Il vostro disprezzo crescerà senza meno, quando saprete che la Francia conta fra i suoi magistrati più considerati, ed i più degni di esserlo, dei vecchi che ricevono 80 a 100 lire sterline all'anno! Non è credibile; e pure non v'ha nel mondo una magistratura più venerabile del corpo della magistratura francese. Siamo lungi, ben lungi, io vedete, dai 4 mila ducati napolitani, che rappresentano 25 a 30 mila franchi a Parigi e 75 mila franchi a Londra. Inghilterra è vero che i giudici hanno 100 a 200 mila franchi. Che uomini rispettabili! non vi potrebbero essere schiavi fra loro!

Il vostro ragionamento farà supporre al lettore che la cifra dell'entrate e dei soldi in Inghilterra sia il barometro dell'onestà e dell'indipendenza. Secondo voi dunque il vostro paese stima gli uomini secondo la loro fortuna, e non si potrebbe esser povero, senza essere disprezzato? Riconosco in questo i sentimenti umanitari di certi conservatori, o così mi spiego che le vostre asserzioni le più ridicole e le più assurde siano state accettale da parecchi giornali, organi di questi principii. Se sia permesso di vedere schiavi e quasi mostri nei magistrati che ricevono dallo Stato 18 mila franchi; di ricambio non sapremmo convenire di falsità l'asserzione di un uomo politico, che la Revue des Deux mondes ci assicura avere una fortuna di quaranta milioni di franchi.

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Dopo questa rivelazione, voi potete tutto permettervi. Il Journal des Debats e la Revue des deux mondes non vi contraddiranno, anche quando voi chiamerete i magistrati napolitani mostri e schiavi; ma oltre i partiti e i giornali conservatori, esiste una coscienza pubblica che non vi assolverà così facilmente qualunque sia la rispettabilità che possa darvi in Inghilterra la vostra fortuna di quaranta milioni!

Uno dei vostri racconti che ha maggiormente commosso è quello in cui voi parlate al vostro amico lord Aberdeen delle granate 'di Procida.

Questo episodio, credetemi, vale quello di Peluzzo. La maniera colla quale voi lo raccontate non può mancare di gettare i vostri lettori in una confusione. dalla quale bisogna chiarirli. Le vostre due lettere occupandosi di una maniera speciale dei delitti e dei prigionieri politici, l'affare di Procida non sembra sortire naturalmente dal vostro quadro. Ecco come lo raccontate:

«Rapporterò una circostanza che mostra chiaramente il valore che gli uomini che sono al potere in Napoli danno alla vita umana. Sembra che, non è lungo tempo trascorso inaspriti dal trattamento che soffrono, i detenuti della prigione di Stato di Procida si siano rivoltati ed abbiano cercato di impadronirsi della prigione. Sentite con qual mezzo fu acquetata questa rivolta.! soldati incaricati di questa cura gettarono delle granate in mezzo ai prigionieri, e ne uccisero centosettantacinque. Fra questi si trovarono diciassette ammalati che erano all'infermeria, e non avean quindi preso parte alcuna alla rivolta. Mi si è detto (I have been toltd) che per avere eseguito questa carnificina, il sergente che comandava la truppa sia stato decorato di un ordine militare, che egli ha l'audacia di portare a fronte scoperta.»

Questo racconto pecca soprattutto di omissione. Perché trascurate di avvertire il nobile lord al quale vi dirigete, che qui non si tratta di prigionieri politici? La prigione di Procida è in Napoli, ciò che il bagno di Tolone è in Francia. Gl'infelici che vi sono rinchiusi sono forzati, e delinquerti della specie la più pericolosa. Questi prigionieri erano in aperta rivolta, e (grazie senza meno alla severità del regime delle prigioni napolitano) erano riusciti a procurarsi delle armi. L'autorità aveva dunque a combattere forzati in rivolta ed armati, circostanza che il vostro racconto per esser vero non avrebbe dovuto interamente omettere.

Avreste potuto anche dirci che, prima di venire ai mezzi estremi, l'autorità aveva esaurito tutti i mezzi per ridurre i rivoltosi dapprima colla dolcezza, poscia intimorendoli. Passarono parecchi giorni (circa una settimana) prima di far fuoco sopra i prigionieri. La rivolta di Procida aveva gettato la costernazione in Napoli, e la notizia che i forzati erano padroni di una parte della prigione, sparse il terrore fra i suoi abitanti che temevano da un momento all'altro di veder piombare fra loro quell'orda di banditi.

Ridotta a questo estremo, l'autorità fu obbligala alla violenza.

Se tale rivolta fosse accaduta al bagno di Tolone o di Brest, informatevi, signor Gladstone, come sarebbero andato le cose, e saprete che la mitraglia avrebbe mietuto i rivoltosi.

A Tolone l'autorità avrebbe avuto minor sofferenza, non avrebbe parlamentato che a colpi di cannone e nello stesso giorno si sarebbe veduto il segnale e la repressione del delitto.

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Sapete perché si e dovuto preferire le granate. Perché la situazione dei luoghi non permetteva far uso dei cannoni, ed i prigionieri erano padroni dei punti del carcere dai quali si avrebbe potuto adoperare con vantaggio la moschetteria. Le granate erano l'ultima sola risorsa della autorità militare: doveva impiagarla?

I proiettili furono gettali in un cortile in cui i rivoltosi avevano stabilito il loro quartiere generale. Ditemi, di buona fede, se potete chiamar responsabile l'autorità delle schegge delle granate che si gettavano in simili circostanze, e che voi , dite, han ferito o ucciso alcuni infermi? Non dovreste domandar conto agli stessi rivoltosi della vita dei loro compagni? E giacché parliamo di vittime, se volete avvicinarvi alla verità in quanto al loro numero, fate subire alla cifra, che voi ci date, una riduzione proporzionale simile a quella che i documenti officiali hanno operato su i vostri trentamila prigionieri e cinquecento imputati di maggio.

Scusate, o signore, se mi sono a lungo trattenuto su di un fatto di così poca importanza in se stesso; ma tutte le vostre accuse si fan pravi, e prendono delle proporzioni considerevoli tostochè voi le presentate all'opinione per provare che il Governo di Napoli si giuoca della vita umana; tostochè voi vi credete autorizzato dallo affare di Procida per denunziare gli orrori giganteschi che affliggono quel paese, che desolano le classi dalle quali promana la vita e la prosperità della nazione (senza eccettuarne i forzati), che scrollano le fondamenta di ogni legge, che fanno dell'autorità costituita nel seno delle società umane per mantenervi l'ordine, difendere l'innocenza e punire il delitto, il più gran violatore delle leggi ed il più gran malfattore del paese.»

Queste frasi seguono immediatamente lo episodio di Procida del quale divengono, pel nesso del racconto, la conclusione naturale. Voi quindi fate capo della repressione di una rivolta di forzati per accusare gli uomini che a Napoli sono al potere, di essere i più grandi malfattori del paese, Non son io in diritto di applicare alle vostra asserzioni ciò che voi dite dei delitti dal Governo di Napoli:

Ab uno disce omnes?

Le torture corporali

Perché, signore, siete tanto laconico sopra questo capitolo?

Le torture corporali fra le quali si consuma, secondo voi, la vita dei prigionieri napolitani, vi fornivano una occasione facile di giustificare la vostra esecrazione, di sollevare l'opinione pubblica contro la più odiosa barbarie.

Dopo aver parlato a lord Aberdeen di un condannato a morte, la cui pena è stata commutata per la clemenza reale, voi aggiungete: «La sentenza non fu eseguita, ma temo che egli non sia serbato ad una sorte più crudele, incatenato a doppio ferro per tutta la vita, su di uno scoglio circondato dal mare; e possono anche esservi talune ragioni di temere (There may be reason lo fear) che non sia sottoposto a torture fisiche, il cui modo, che mie stato specificato da una autorità rispettabile quantunque non certa (though not certain authority), consiste a far entrare con forza degli strumenti taglienti fra le unghie e i polpastrelli delle dita.»

Mentre voi confessate ricavare questa infame e ributtante accusa da una sorgente incerta, osate farvene l'eco! Voi vi appoggiate su di una testimonianza anonima per accusare uno dai Governi più indulgenti dell'Europa di un delitto che oggigiorno si sente in fondo della Cocincina e del Giappone! La vostra accusa appartiene al numero di quelle che non si discutono.

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Non si potrebbe più severamente confutarla se non col riprodurrò; le vostro parole. A chi dunque sperate far credere che il Re ed il Governo di Napoli ovalizzano di crudeltà e di barbarie coll'imperatore della Cocinchina? Nessun viaggiatore quindi pria di voi si è presentato sulle ridenti spiagge napolitano? Nessun viaggiatore della vostra nazione aveva avuto la sagacità di scoprire gl'istinti selvaggi ed antropofagi dei ministri di Ferdinando II? In qual opera, signor Gladstone, avete studiato la storia della legislazione penale degli Stati napolitani? Come un pubblicista ed un uomo politico della vostra tempra ignora che Napoli non ha preso in prestito il suo codice penale dal Giappone, bensì dalla Francia?

Ferdinando I montando sul trono m antenne le istituzioni francesi, ed il codice napoleonico non ha cessato di essere in vigore negli Stati napolitani. Mi inganno: Ferdinando vi ha introdotto un cambiamento non pur dar luogo alla tortura corporale, ed alla pena che consiste a far entrare strumenti taglienti fra le unghie e la carne, ma per mitigarne la severità abolendo la pena del marchio e della berlina.

Il Governo napolitano è stato uno dei primi in Europa ad occuparsi di mitigare le pene infinite ai delinquenti. Il marchio e la berlina si praticavano ancora in Francia, quando queste pene sin da lungo tempo erano abolite negli Stati del Re barbaro dello due Sicilie. La mia opinione, che è quella di tutti sudditi napolitani e dell'Europa, è stabilita sopra fatti; la vostra, signor Gladstone, è basata (e voi ne convenite) su di una autorità rispettabile (anonima), ma non certa! Il lettore giudicherà.

I compagni di catena

Voi parlate di questa pena come un uomo che visita i bagni per la prima volta. La descrizione che fate dolio catene portate dai prigionieri napolitani mi prova che il loro castigo è quello che i delinquenti condannati ai ferri sopportano ovunque esiste questa pena. Ciò che voi avete veduti in Napoli è ciò che esiste a Tolone, a Brest, nella Spagna, nel Portogallo, in Genova e a Livorno.

Noto di passaggio che voi non avete pesato i ferri dei prigionieri come ve l'ha fatto dire uno dei vostri traduttori. Voi vi limitate a rapportare su questo punto, come gli altri ciò che vi han raccontato (I understand), ma parlando della catena voi insistete sopra due circostanze che attirano la mia attenzione.

Secondo voi «quantunque questa pena sia barbara e non dovrebbe esser applicata, intanto, giacche esiste, sembra difficile (voi dite) lo esentarne gli uomini di cui parlo, comechè fossero gentleman. Ma, milord Aberdeen, la quistione non è questa. Il punto più grave è l'uso d'incatenare i prigionieri a due a due, di recente introdotto nel bagno di Nisida. Sono stato assicurato che 2 o 3 settimane prima dell'epoca di cui vi parlo, i ferri doppi erano sconosciuti fra i prigionieri.... Ma precisamente verso l'epoca in cui Poerio ed i suoi compagni furono mandati a Nisida, un ordine del principe Luigi, fratello del Re, ed il quale come ammiraglio ha il comando della i sol», ordinava che i prigionieri allora arrivati fossero incatenate due a due.»

L'assicurazione che vi si è data può emanare da una sorgente rispettabilissima, ma non è per questo meno certa. No, il fratello del Re non ha il merito di questa invenzione; egli non ha dato alcun ordine a questo riguardo, ed io vi sfido di provare il contrario. Ignoro a qual epoca rimota risale l'uso d'incatenare assieme i prigionieri; ma io mi riferisco a tutti i viaggiatori che han visitato i bagni di Napoli, quarant'anni fa, pur attestare che i prigionieri han sempre avuto i compagni di catena.

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La vostra asserzione quindi è falsa. I vostri traduttori francesi potrebbero dirvi che i forzati francesi sono incatenati due a due, come quelli di Napoli.

Non contento di rimproverare al Governo d' incatenare i prigionieri due a due, voi aggiungete, per rendere il vostro racconto più drammatico, che per un raffinamento di crudeltà si li a avuto la sollecitudine di dare a Poerio per compagno di catene la spia che l'ha fatto condannare. Dimenticate dirci se l'autore di questa generosa idea sia stato il fratello del re, ma posso dare una nuora mentita a questa asserzione. Carlo Poerio, l'eroe del vostro romanzo, ha per compagno d' infortunio un uomo della sua condizione, un avvocato come lui, e che al par di lui è stato condannato per cospirazione; il Governo, la cui crudeltà v'inorridiscono, ha avuto l'attenzione di far dire a Poerio che volesse egli medesimo indicare a chi fra i suoi compagni di prigione preferisse di essere unito; parlando quindi dei compagni di catena, avete commesso un doppio errore. Prima di rilevare lo altre inesattezze che brulicano nelle vostre lettere sopra fatti particolari, mi fermo ad una frase che ha rapporto ad una quistione più importante. «Voi dite, che gli atti del Governo di Napoli contro i delinquenti politici, veri o supposti, sono un oltraggio alla religione, alla civiltà, all'umanità. E poco più in là invocate una testimonianza (anonima) la quale dice: Le persone perseguitate come facenti parte di una società immaginaria, battezzata dalla polizia col nome di Unità Italiana, erano quarantadue.» Occupiamoci un istante della

Setta dell'Unità Italiana

Questa setta è immaginaria? I membri giudicati sono rei supposti?

La vostra ignoranza, signori, sopra fatti pubblici conosciuti e certi mi obbliga di entrare in taluni schiarimenti.

L'incartamento giudiziario, sul quale mi appoggio per sostenere che la setta dell'unità Italiana ha una esistenza reale, è il frutto di una istruzione durata

quattordici o quindici mesi. Il processo risultato da questa istruzione durò non meno di 74 giorni. La giustizia nel regno di Napoli si amministra

pubblicamente come in Francia ed Inghilterra. I testimoni intesi furono 226. Le deposizioni sciite formavamo un enorme volumi;. Gl'imputati sono stati difesi da alcuni avvocati più distinti del regno di Napoli. Le discussioni hanno occupato

venticinque udienze. Le deliberazioni della corte han durato un'intera notte o parte del giorno seguente.

Finalmente fu pronunziata la semenza.

Ecco, sig. Gladstone, ciò che voi chiamate procedura derisoria! La giustizia inglese poteva essere più coscienziosa?

Passo ai fatti stabiliti dal processo.

Fu provato che una società secreta, detta dell'Unità Italiana, aveva raccolto l'eredità, e continuava le tradizioni degli amichi carbonari e della Giovine Italia.

Qualora il suo scopo? Cito gli articoli dei suoi propri statuti.

«1. Liberare l'Italia dalla tirannia dei Principi e dal dominio di qualunque Potenza straniera; unirla, renderla forte e indipendente, sbarazzandola da ogni elemento eterogeneo che possa contrariare questo scopo.

«2. I mezzi dei quali essa dispone sono intellettuali u materiali, cioè a dire le intelligenze, le armi e il denaro.

«3. La società è composta di circoli o unioni che non devono sorpassare quaranta persone; ogni circolo è composto di un presidente,

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un consiglio di due o quattro membri, un questore, e i membri iscritti, che si chiamano uniti.

«4. I circoli sono di cinque specie: il gran consiglio; i circoli generali; i circoli provinciali; i circoli di circondario; i circoli dei comuni. I circoli saranno concentrati in modo che i membri del consiglio di un circolo siano presidenti di un altro circolo uguale o inferiore.

«5, I membri della società sono di tre gradi? i membri uniti, che sono semplicemente iscritti; gli unitari, che sono i presidenti o i consiglieri dei circoli; i grandi unitari, che sono i membri del gran consiglio, i quali sono i soli che conoscono lo scopo finale e gli ultimi mezzi della società.................................................

«17 Tutti quelli che compongono la società devono adempire due doveri: Silenzio assoluto, obbedienza cieca ai superiori. La violazione di questi doveri è punita dalla seconda pena. il consiglio è giudice dei circoli; nei grandi altari è necessaria l'approvazione del gran consiglio.»

Tale è l'organizzazione di questa società immaginata dalla polizia, che ha inventato, in Francia soprattutto, (ante altre associazioni e numerose congiure r

Una istruzione cominciata in novembre 1848 scoprì le prime tracce dei discendenti non degeneri dei carbonari, e proseguì con una saggia lentezza le sue investigazioni, che non tardarono a rivelare alla giustizia le audaci e infernali macchine dei settari.

Nel mese di luglio 1849, i magistrati avevano già riunito una gran quantità di documenti e pezzi stampati che mettevano m chiaro i misteri della setta, le sue empie cerimonie, i mezzi abbominevoli ai quali domandava la riuscita dei suoi progetti. Gl'imputati dovevano comparire innanzi i loro giudici, quando il 16 settembre dello stesso anno, un apparecchio in forma di bomba scoppiato in mozzo la folla devotamente riunita sulla pubblica piazza di Napoli per ricevere la benedizione del Sovrano Pontefice, sparse una nuova luce sulle ree manovre della setta dell'Unità. Le investigazioni della polizia gettarono la loro luce sulla insurrezione del 15 maggio, la cui causa era tuttavia in corso d'istruzione, Bisogna rimontare sino a questa epoca per rintracciare le prime trame della società.

I membri dell'Unità Italiana alludevano alla catastrofe del 15 maggio con un proclama furibondo ed incendiario. Questo documento mostra meglio di qualunque altro la sete che divorava tutti coloro che si dicevano sinceri costituzionali.

Non contenti delle concessioni che la generosità del Re aveva accordate, aspiravano ad un'altra forma di Governo. Predicando il bene del popolo, cercavano con mezzi criminosi di procurarsi i mezzi onde soddisfare la loro insaziabile cupidigia e la loro ambizione cieca ed insensata, È un orrore il rammentarlo; ma è pure la verità.

In questo proclama i membri di questa sena immaginaria ricorrevano alle minacce, alla violenza, alte anni; predicavano apertamente la ribellione, e passavano le regole di un calcoliamo sociale, se possono esistere regole quando una moltitudine furiosa è senza il freno salutare delle leggi, e sfugge all'aziono della autorità. Questo documento colla data del t maggio fu trovato indosso all'accusato Giuseppe Tedesco.

Desidero vivamente convincervi che la setta della unità Italiana non è immaginaria per non esitare a mettervi sotto gli occhi questo documento.

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PROCLAMA

La libertà è un frutto squisito clic non si raccoglie fra le spine che lo circondano senza gravi e crudeli sagrificii. Tenetevi pronti, armatevi, ed unitevi immediatamente alle legioni sacre della vendetta appena compariranno nel vostro paese. L'ora della giustizia che ci metterà in possesso dei nostri diritti imprescrittibili, suonerà fra breve. I buoni si pronunzino immantinenti a fronte scoperta coi loro equipaggi di guerra, e seguano i membri legali della santa legione.

I miliari di tutte le armi, gl'impiegati di tutte le amministrazioni saranno al momento fucilati se ardiscono mostrare la menoma esitazione; se al contrario impiegano i mezzi in loro potere per fare riuscire il nostro gran piano, saranno giustamente e generosamente ricompensati dei loro servigi.

I nostri rapporti si stendono in tutto il regno. Siamo in corrispondenza coi patriotti d'Italia, di Francia, della Spagna e dell'Inghilterra; noi porteremo a compimento i nostri disegni con accordo universale, ed il nostro ferro vendicatore abbatterà per sempre il dispotismo. il grande architetto dell'universo non è stato sordo ai lamenti di tanti oppressi; la luce già si mostra, tocchiamo al supremo momento in cui saranno manifesti i nostri disegni.

Il grido: All'Armi! si levi di unita a quello della rivendica dei nostri diritti. Dimandiamo la costituzione del 1820. All'armi! all'armi! Il cielo è stanco di sovrani e ministri spergiuri!!! All'armi! All'armi!!! Ed affinché i governi provvisori stabiliti in ogni località possano agire di accordo sino alla riunione di un parlamento nazionale costituente, ecco le regole da noi sanzionate e che sono universalmente accettale!..................................................................................

Art.2. Sarà dichiarato nemico pubblico, e come tale fucilato, qualunque ecclesiastico che, abusando del sacro ministero ecciterà il popolo a soffrire la schiavitù, o in qualunque modo lo dissuaderà ili prendere le armi per reclamare la costituzione del 1820 giurata solennemente dal Re, i vescovi, l'esercito, e tutta la nazione, e che è stata abolita dalle armi tedesche in seguito di tradimento di un re spergiuro, di alcuni depistati e di generali infami.

Art.3. Sarà similmente dichiarato nemico pubblico e come tale fucilato, qualunque capitano, uffiziale subalterno, sottoufficiale, qualunque persona che ha un comando, il quale non si decidesse immantinenti a sostenere la legione sacra, e non eviterà di lasciar versare il sangue cittadino....»

Tutto il rimanente è dettato da uno spirito non meno conservatore. Mi direte, o signore, che questo proclama sia immaginario? È forse parlo del cervello della polizia, come i bullettini incendiari di un comitato rivoluzionario, che non è guari in Parigi attribuiva alla polizia l'onore delle sue produzioni?

Leggendo questo documento confesso che non so tendermi ragione delle vostre simpatie per i membri dell'unità Italiana. È ben vero però che se essi fossero pervenuti a rovesciare il Governo e ad assassinare il loro Re sarebbe stato facile all'Inghilterra di agitare novellamente la penisola.

Il vostro sbaglio sulla setta dell'unità mi rammenta quello del vostro amico Palmerston, il quale, invitato a spiegarsi sul considerevole numero dei fucili e dei cannoni i quali, dopo esser sortiti dalla torre di Londra, si erano trovati in Sicilia, rispondeva:

Ciò non essere stato che per mero sbaglio! Oh! Come è deplorabile che gli uomini di Stato dell'Inghilterra sbaglino così spesso!

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Ebbene, signor Gladstone, voi vi siete equivocato sulla

setta dell'Unità Italiana allo stesso modo come i cannoni che si dirigevano in Sicilia invece di andare altrove. Non posso fare a meno di ammirare il candore col quale dite che i settari dell'

unità sono

conservatori, come lo siete voi.

Il loro solo torto sarebbe di essere costituzionali. Voi li annunziate opposti a qualunque misura violenta. Ma conciliate dunque, signore, le gesta degli eroi del pugnale che desolano in questo momento l'Italia, con questa pretesa moderazione?

Se aveste studiato meno leggermente la quistione che pretendete esporre a lord Aberdeen, avreste potuto conoscere un altro documento che voglio comunicarvi. Un tale Marotto il 12 giugno 1849 ha fatto delle rivelazioni che hanno fatto scoprire il luogo della riunione in Napoli della società dell'unità. Queste indicazioni avendo dato luogo ad una visita nella stamperia di un tal Romeo, si sorpresero un gran numero di proclami ed altri documenti, fra i quali il seguente che si trova in seguito di un catechismo ad uso di questa società.

«Il gran consiglio dell'Unità Italiana agli unitari della provincia di Napoli.»

SALUTE E LIBERTÀ'

«L'Italia cammina nella sua via; ancora un poco di tempo e giungerà. Affrettatevi, o fratelli! non perdete l'occasione. Vedete Venezia e la Sicilia, terre di santa libertà. Vedete la Toscana ed il Piemonte che han giurato di costituire l'unità Italiana, e scacciare «il crudele tedesco che ha recato la morte e la devastazione nella Lombardia.

«Voi soli, o fratelli! voi soli restate indietro. È vero che voi avete questo tigre Barbone, che vi lacera le membra e bete il vostro sangue, questo ipocrita, questo furbo, questo scelleratissimo Ferdinando. Ma non siete voi Italiani? non avete un pugnale? Nessun di voi darà dunque la vita per 24 milioni di fratelli? Un solo nome, un sol colpo di punta, darà la libertà all'Italia, farà cambiare la faccia dell'Europa! E nessuno vorrà acquistare tanto bella gloria!.....................................................................

«Travagliate nelle tenebre, e quando mostrerete alla luce i frutti del vostro travaglio, fatevi ammirare dal mondo che vi glorificherà. Imitate Venezia, la Sicilia, Roma, Firenze, Torino; mostratevi Italiani anche voi! Fratelli, noi vi aspettiamo; venite alla gran confraternita della Unità Italiana!»

Basta questo, signor Gladstone, por dimostrarvi che la setta dell'unità non sia una chimera? Cominciate voi a comprendere che sarebbe assai difficile che fosse stato parlo del cervello della polizia, e dalla medesima battezzata? Riconoscerete voi che i delinquenti condannati dalla gran Corte di Napoli non sono così conservatori come lord Aberdeen?

Gli statuti della setta o società secreta dell'unità Italiana ci han fatto conoscere la sua organizzazione e i suoi mezzi di azione; i documenti stampati che si rinvennero presso i suoi membri ci han rivelato le sue dottrine; gli avvenimenti del 15 maggio e del 16 settembre non lasciano dubbio sul suo scopo e la maniera convessa intende applicare i suoi principii.

I proclami audaci e criminosi, gli estratti dei quali vi ho messo innanzi gli occhi, avevano avvertito il paese del pericolo che correva. Il popolo napolitano tutto benediva il genio tutelare che vegliava alla tranquillità pubblica, e la mano che fermamente sapeva mantenerla.

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I membri dell'unità lungi di sconcertarsi por le investigazioni e le scoverte dell'autorità, commuovano la realizzazione dei loro progetti infami, con un accecamento senza esempio ed una rara ostinazione.

Posso aggiungere che prima della congiura del 16, i settari vollero profittare della cerimonia, che il giorno 8 settembre doveva far venire il Re in mezzo del suo popolo e delle suo truppe, per fare nuovi tentativi scellerati. La società spiava e cercava mettere a profitto tutte le circostanze che potevano favorire l'esecuzione dei suoi piani.

La mattina del giorno in cui il Re doveva mostrarsi al popolo, si spargeva il seguente proclama per cura dei membri dell'unità:

Onesti cittadini,

«All'insulto, al tradimento, allo spergiuro si aggiunge il disprezzo. Qualche centinaio di vagabondi, vestiti da galantuomini pagati dal vero partito del disordine, faranno una dimostrazione in favore del Borbone, pel quale tante vittime; sono perite. Oggi si calpesterà con gioia una terra fumante ancora del sangue di cittadini innocenti. Una fazione benedirà questo giorno in cui tante vittime gemono nelle segrete. Popolo! Soffrirai tu quest'insulto? Dio ci è testimonio che tu puoi ancora vendicarti malgrado quelle migliaia di baionette. Il giorno della tua vendetta si avvicina! Le truppe non sono contro te, tranne di quei mercenari Svizzeri, che saranno distrutti dal tuo furore. Popolo, oggi non sono né la patria, né la giustizia, né l'onore che ti chiamano a concorrere ad una dimostrazione ridicola, ad una festa ingiusta; tu ne andrai in strade lontane, superbo dei tuoi diritti, ecc. Morte ai spergiuri! morte ai Gesuiti!»

Non potete ignorare, o signore, che questi proclami emanavano dal comitato centrale dell'unità, la quale, sotto la presidenza di Agresti, dirigeva il movimento rivoluzionario Il comitato aveva per segretario Settembrini; Carlo Poerio e Pironti, dei quali sono a tener proposito, erano nel numero dei suoi membri.

I documenti di questo memorabile processo, del quale è dispiacevole, o signor Gladstone, che abbiate fatto uno studio così superficiale, faran conoscere a chiunque vorrà darsi la pena di studiarli, che i conservatori napolitani, dei quali avete intrapreso l'apologia,

avevano organizzato in luglio 1849 un comitato

di cavalieri pugnalatori.

Le prime vittime della loro vendetta, indicate al ferro omicida, erano il cavaliere Longobardi, ministro, il prefetto e direttore della polizia, il commendatore Peccheneda, il presidente della Corte criminale, ecc. Questo progetto di assassinio sottoposto all'approvazione di Agresti, di Settembrini, di Pironti, carcerati a S. Maria, era stato approvato da questi uomini, che voi avete la temerità di assolvere da ogni delitto. La loro adesione consta dalle lettere trovate presso Lorenzo Villua, Francesco Antonetti e Giordano. Non vi basta? Le prove abbondano, signor Gladstone, il loro numero e la loro coincidenza non permettono di attribuirle alla polizia, e si sa ancora che un certo Margherita aveva ricevuto la missione confidenziale di trovar persone capaci di consumare un assassinio mediante una forte rimunerazione! Basta fin qui sul capitolo dei delitti della setta; v'impegno però a procurarvi la decisione della gran Corte speciale di Napoli, e troverete le prove materiali di tutti i fatti che io ho esposto, corroborate da circostanze e da documenti giusiiflcativi, nei cui dettagli non mi permettono entrare i limiti di una lettera.

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Avendo conosciuta la setta, vediamo se i suoi affiliati erano degni della medesima.

I condannati

Secondo il metodo che ho adottato, io ripeto la vostra opinione su di quanti voi parlate a lord Aberdeen, e ne accennate i nomi con elogio. Mi limiterò poi a completare le informazioni che date sui medesimi. Questo lavoro biografico, se non m'inganno, basterà a far rilevare i principii ed il carattere di uomini, della cui sventura non mi duole meno di voi, ma che devono imputare a se stessi il crudele Castigo col quale scontano i loro traviamenti.

Voi vi trattenete soprattutto con compiacenza di

Carlo Poerio

Ecco il vostro giudizio:

«Egli è strettamente costituzionale, e con mesta parola intendo ciò che s'intende in Inghilterra, cioè a dire una persona opposta di tutto cuore a qualunque misura violenta, da qualunque parte derivi, ed il cui simbolo politico è il mantenimento della monarchia sulle sue basi legali, con i mezzi legali, e con tutti i miglioramenti di civiltà, e le cui leggi e regolamenti siano suscettibili delle tendenze al benessere ed alla felicità comune. L'Inghilterra per Poerio è il modello dei governi a preferenza di quello di America o della Francia. Io non l'ho mai inteso accusare in materia politica di altri errori se non di quelli che in un modo generale e con verità potrebbero imputarsi ai più illuminati, più leali, più intelligenti e più costituzionali dei nostri statisti. Dopo un completissimo esame del suo affare, io devo dire, che la condanna di un tal uomo per delitto di alto tradimento, creduta un atto giustissimo, conforme alle leggi della verità e della giustizia, della decenza, della legalità e del senso comune, io devo dire, che è un oltraggio il più grossolano di tutti questi principii, e tale come lo sarebbe, nel nostro paese, la condanna di uno dei nostri uomini pubblici i più eminenti, lord John Russell, o lord Lausdowne, o sir. James Graham. o voi stesso. Alcuno dei nomi che cito non è più caro alla nazione inglese, e forse lo è meno di quello di Poerio ai suoi compatriotti repubblicani.

Carlo Poerio e stato uno dei ministri della Corona sono la costituzione, ed ha occupato una delle posizioni le più eminenti nel parlamento napolitano. Sulla quistione siciliana egli eia partigiano del mantenimento dell'unità del regno.... Poerio godeva l'intera confidenza del Re. Quando egli presentò la sua dimissione, questa fu rifiutata, e dopo che fu accettala il Re ricorse sempre ai di lui consigli.»

Io doveva citare fedelmente questo elogio. L'istoria di Poerio, che voi fate le viste d'ignorare, vi dirà meglio di me la fiducia che merita la vostra opinione.

Se voi avete fatto un contro-esame giudiziario che ribatta l'atto di accusa, che faccia svanire le prove riunite, che confonda!e testimonianze sulle quali Poerio è stato condannato, mi sembra, signore, che la giustizia e l'umanità v'impongano l'obbligo di pubblicare il risultato delle vostre ricerche. Voi non dato una sufficiente soddisfazione alla opinione pubblica, dichiarando che la condanna di Poerio è un attentato contro tutte le leggi divine ed umane, ma quest'audace asserzione vi impone l'obbligo di fornirne le prove. Potreste far meno per i vostri amici, i costituzionali napolitani, giacché essi sono così innocenti dei delitti per i quali sono stati condannati quanto lo sarebbero sir Jams Graham e lord Lansdowne?

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La vostra riserbatezza, o signore, sta contro di voi, perché se avete acquistato la prova dell'innocenza di Poerio, perché non la rivelate a confusione del Governo di Napoli? La giustizia locale ha reso pubblico il risultato dulie sue investigazioni, un tal risultato, vi ho detto, è stato lungamente e minutamente discusso. Sappiamo le cure ed il tempo adoperati dalla giustizia per tale affare, il numero delle deposizioni che ba inteso, i nomi dei testimoni che l'han messo in chiaro. Vengo ora a domandarvi qual documento avete voi da produrre, quali testimoni avete inteso, qual lasso di tempo avete consacrato all'esame di questo affare, quali amici vi han secondato nelle vostre ricerche, lo quali saranno state per voi tanto più penose, come straniero al paese?

Affermare, dopo un esame completissimo, che la condanna di Poerio è ingiusta, non è distruggere l'opera della giustizia napolitano?Che direste voi di un Americano, che dopo esser dimorato due o Ire mesi in Irlanda, ritornasse in casa sua, e raccontasse fra gli altri delitti a carico del Governo inglese, che ha fatto condannare ingiustamente gli uomini più

illuminati i

più leali, i più intelligenti dell'Irlanda per aver amato troppo la libertà e la loro patria? Eppure questo è quello che han detto e scritto gli Americani sulla condanna dei capi della Giovine Irlanda.

Voi rispondereste loro con ragione, che le sentenze sono sacre, che non appartiene a nessuno, quando una sentenza è resa regolarmente dai magistrati all'uopo incaricati, io attaccare la cosa giudicala. Tali sono infatti i principii i più elementari del diritto, principii che non potrebbero violarsi senza rendere impossibile l'amministrazione della giustizia. Eppure sono obbligato rammentare queste nozioni così volgari ad un uomo politico, ad un uomo di Stato conservatore.

La vostra qualità di straniero nel regno di Napoli v'imponeva maggior riserba, e questa medesima qualità che imponeva a voi tanto ritegno, credete che vi autorizzi a violare le leggi le più comuni della morale e dell'equità? Non ridereste voi di un Napolitano, che, erigendosi a giudice supremo, evocasse al suo tribunale individuale le semenze delle Corti d'Inghilterra, e si desse la innocente ricreazione di dichiararle opere d'iniquità? Ecco precisamente quello che voi fate, e l'opinione di Europa afflitta dal carattere delle vostre calunnie per non poter ridere del vostro delirio, si stringe nelle spalle e compiange le vostre aberrazioni quando voi osate dire: «A Napoli le offese politiche sono punite con severità, e senza riguardi alle forme di giustizia.»

Ve ne prego, sig. Gladstone, ricerchiamo insieme se Carlo Poerio sia realmente degno dell'elogio che voi ne fate. Vediamo se il solo suo delitto sia quello di essere animato dagli stessi sentimenti di lord Aberdeen. Si vogliono a lui accordare brillanti qualità di spirito ed un parlare capzioso. Questi mezzi di seduzione non han fatto traviare il vostro giudizio? Ricerchiamo se l'Inghilterra sia l'ideale della forma di Governo che sogna Poerio. I suoi principii non erano al contrario quelli della setta dell'unità? non si trovava in comunanza di sentimenti cogli uniti? Ora, questi principii ho avuto cura di farveli conoscere, noti secondo la mia opinione personale, ma cavandoli dagli scritti emanati da questa società.

Carlo Poerio, l'eroe principale del vostro dramma, è di razza rivoluzionaria. Suo padre avvocato distinto, ma ardente novatore, fu compromesso in molti affari, ed esiliato nel 1815 e nel 1821.

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Carlo che seguì suo padre, passò i suoi primi anni all'estero, e si mise per tempo in rapporti coi capi del partito demagogico dei diversi punti dell'Europa. Poerio è rimasto fedele ai principii politici nei quali è stato educato.

Ritornato in patria, fuggì nel 1830 dopo essersi compromesso nelle mene demagogiche. Rifugiato a Parigi, ebbe delle intime relazioni con Mazzini, e consacrava i suoi ozi a scrivere per organo dei demagoghi italiani. «La Giovine Italia.»

Gli antecedenti di Carlo Poerio, la sua superiorità, i talenti dei quali la natura l'aveva dotato, lo indicavano come uno dei capi più sicuri e più distinti che potesse avere la

Giovine Italia. Gli avvenimenti del 1848 lo portarono al potere. Dapprima, nominato prefetto di polizia in Napoli, non tardò ad essere imposto al Re come ministro dal partito rivoluzionario. Si sa come alla stessa epoca Mamiani divenne ministro di Pio IX. Dappertutto le stesse furberie, le stesse esigenze. La rivoluzione sperava arrivare al suo scopo servendosi dei sovrani come strumenti.

Carlo Poerio, tornato alla sua professione di avvocato, non tardò ad essere implicato nell'affare del 13 maggio. Quando fu interrogato dal magistrato istruttore, rispose, che egli aveva dedicata la sua vita al trionfo pacifico del Governo costituzionale,. che aveva avuto l'onore di essere arrestato tre volte per misure di polizia, e che per mancanza di prove sufficienti era stato sempre rimesso in libertà.

Questa dichiarazione di un accusato, signor Gladstone, è divenuta un articolo di fede del vostro simbolo! Innanzi la giustizia Poerio ha preteso essere un uomo di principii, e non un uomo di partito, molto meno ancora un affiliato della setta dell'Unità.

Percorrete, o signore, tutti i processi politici, e troverete che i rei tengono tutti lo stesso linguaggio.

Come può darsi che Poerio fosse estraneo alla società dell'unità, se i fautori delle turbolenze lo riguardavano come uno dei loro capi? Quali erano i motivi della sua intimità con Antonio Leipneker, che fu in tutta la sua vita uno dei più ardenti rivoluzionari? Perché l'accusato Jervolino essendosi diretto a Poerio per ottenerne soccorsi, non li ricevé se non dopo essersi fatto iniziare alla società secreta dell'unità? Jervolino ha rivelato che Poerio gli mostrò un proclama sparso in Napoli per impugnare il popolo a non pagare le imposte se non fossero votate dalle camere. Questo proclama si esprimeva così:

«Tutti coloro che amano l'onore, tutti coloro che amano la patria, tutti coloro che sono veri italiani amici della costituzione, si astengano dal fumare, dal prender tabacco, dal giuocare alla lotteria. Fermezza, coraggio, unione, e non dubitiamo che Dio e la ragione stanno per noi!»

Indipendentemente dalle rivelazioni di Jervolino, un gran numero di testimoni, nelle diverse province del regno, han deposto che Poerio passava pel principale motore della società, che aveva lo scopo di rovesciare la monarchia; altri più espliciti han dichiarato, che egli era in rapporto coi Calabresi onde stabilirvi comitati provinciali, come quello che Agresti presedeva in Napoli.

Un giudizio basato su questi falli, credete, o signore, che sia opera di mostri o di schiavi?

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In tal caso non sarei sorpreso di vedervi prenderla difesa del signor Causidiere e Louis Blanc, per gli atti che han deciso l'assemblea costituente ad autorizzare lo procedure dirette contro questi due ospiti del Governo inglese, e che li han tatto condannare, e che non offrivano certamente tanta gravità quanto le accuse stabilite contro Poerio. Intanto la opinione in Francia si è nettamente associata al voto dell'assemblea costituente, di quell'assemblea, nella quale il partito dei repubblicani della vigilia aveva la maggioranza.

Dopo aver esaminato gli antecedenti del reo, e le accuse che pesavano su di lui, la Gran Corte ha condannato Poerio a 24 anni di ferri ed a 600 ducati d'ammenda colla maggioranza di 6 voti sopra 8.

Tale è l'uomo, o signore, che voi paragonate ai più grandi ed ai più illuminati degli uomini di Stato dell'Inghilterra. Credete voi che l'opinione pubblica possa, in materia così grave, contentarsi del vostro sentimento che nulla giustifica, per assolvere Poerio, e credere alla sua innocenza?

Siete voi più esplicito sugli altri condannati?

Salvatore Faucitano

«Dirò poco cosa, voi aggiungete, di F:incitano, che fu tradotto con Poerio nella stessa massa dei quarantadue colpevoli. II suo affare è particolare perché noi troviamo qui un fondamento all'accusa. È stato incolpato di voler ammazzare per mezzo di una terribile esplosione parecchi ministri ed altre persone. Quest'accusa si fondava perché gli si era trovata in tasca, il giorno di una festa pubblica, una bottiglia che scoppiò senza mettere in pericolo la vita di colui che la portava, né cagionargli la menoma ferita.»

Io completo il vostro racconto.

Il 16 settembre 1849 il Santo Padre, cedendo alle vivo premure di sua Maestà, doveva visitare Napoli. La recezione solenne aveva luogo sulla piazza Reale. Le congregazioni religiose, le scuole dei ragazzi, i differenti corpi del clero, e tutti i buoni cittadini si preparavano a celebrare alla meglio un si bel giorno. La vigilia, i nominali Salvatore Faucitano, Lorenzo Vellucci e Luigi Florio si erano riuniti presso un certo Francesco Catalano per intendersi sul modo di profittare della festa dello indomani per mandare ad effetto i loro sinistri progetti. Faucitano propose di lanciare una bomba in mezzo della folla; egli s'incaricò di confezionarla e di appiccarvi il fuoco. Vellucci s'incaricò di affissare agli angoli delle strade degli avvisi che chiamavano il popolo alle armi. In questi affissi si leggeva:

«La tirannia vacilla e tocca al suo fine. Il carro dell'anarchia governativa è vicino all'abisso; il trionfo dei tristi non può durar più lungo tempo. Essi cadranno annegati nel sangue. La potenza del liberalismo non e abbattuta come si crede, e coloro che sperano soffocare l'opinione, le idee, il progresso, s'ingannano a partito.

«Popolo! la voce della reazione t'invita di andar a ricevere la benedizione del vicario di Gesù Cristo; ma il Pontefice non è che imo strumento del Borbone, il quale se ne giova a suo talento per assolvere i suoi delitti, e legalizzare i suoi tradimenti, i suoi spergiuri»

Già il Sovrano Pontefice era arrivato col suo seguito. Il balcone del Palazzo Reale era ornato di tappezzerie dorate e di un magnifico baldacchino. Un'immensa folla traeva alla piazza. Le finestre delle case vicine erano ingombre di spettatori. In quel tempo Faucitano s'insinuava scaltramente sino al Palazzo del Re,

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e si metteva sotto il balcone, al quale doveva comparire il Santo Padre. Suonavano le 10 e mezza; già il Pontefice compariva, quando si sente una forte detonazione come quella di un'artiglieria.

Un incredibile disordine successe nella folla ammassata.

Un sergente dei cacciatori si avanza verso il luogo della esplosione, e scorge, in mezzo al fumo un uomo senza cappello, cogli abiti a metà bruciati, e che tutti indicavano come autore dell'abbominevole invenzione..

Era Faucitano!

Interrogato, chiamava i suoi complici. Confessava la intenzione dei congiurati di profittare del disordine cagionato dall'esplosione della bomba per impadronirsi del castello Sant'Elmo; aggiungeva che Michele Pironti aveva la lista dei congiurati; che uno di essi aveva detto il giorno avanti: Ci si annunzio, una benedizione, e noi avremo la, repubblica!

Risulta dalle deposizioni degli altri accusati, che la bomba era stata dapprima destinata gettarsi nella carrozza del direttore della polizia generato del Regno.

Un tale Giordano consigliava questo assassinio, e per decidervi i suoi amici, diceva: Non hanno assassinato Rossi in Roma, e Latour in Vienna'!

Faucitano fu condannato a morte. La clemenza reale ha commutato la sua pena. Faucitano quindi ha confessato il delitto di cui il signor Gladstone lo assolve!

Luigi Settembrini

Io vi lascio la parola.

«Passo sopra altre cause tristi e notabili come quella di Settembrini, il quale quantunque posto in una sfera più ristretta di Poerio, è di un carattere altrettanto puro e bello. Egli in febbraro fu condannato alla pena di morte; ma la sentenza non fu eseguita»

La purità dell'anima di Settembrini si rivela soprattutto nel seguente proclama da lui consegnato a Jervolino, al quale aveva precedentemente richiesto di quanta gente armala potesse disporre. Questo documento fa ben conoscere Settembrini per non pubblicarlo, e mi dispensa di raccontare più lungamente la di lui storia. Eccolo:

«Popolo napolitano,

«Che aspettiamo di più? Quai altro oltraggio dobbiamo sopportare di questo scellerato Governo? Non vi è più costituzione, non vi sono più camere, non vi è più guardia nazionale. Si è cambiata la bandiera; la polizia è più infame di quello che lo fosse per io addietro; la gente più onesta e più tranquilla insultata e carcerata; le leggi calpestale, i buoni magistrati destituiti, ed in loro vece carnefici. Ferdinando vorrebbe farsi beffe di Dio, come si ride degli uomini; va a confessarsi e comunicarsi, e poi ordina di bombardare, distruggere, saccheggiare.

«

Non contento di opprimerci, ha condono i suoi soldati negli Stati romani, ma Dio l'ha punito, i suoi soldati son morii o prigionieri; egli vergognosamente ha preso la fuga; Roma ha vinto; Bologna ha sterminato gli Austriaci; gli Ungheresi han distrutto l'imparo di Austria, e sono sul punto di scendere in Italia. Noi soli fra tutti gl'Italiani meritiamo i nomi dì vili e di poltroni, noi soli non siamo italiani!

«Abitanti degli Abruzzi, è arrivato il tempo di correre alle armi; unitevi al bravo Garibaldi che vi chiama! All'armi, abitanti della Puglia, del Principato, della Basilicata! All'armi, popolo napolitano! popolo di Masaniello. Armatevi di fucili, di pugnali, di sassi, di bastoni! Ohi ha cuore trova sempre le armi.

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«Ogni abitante uccida i suoi oppressori; bruciate le case dei nemici del popolo; rispettate i buoni cittadini e le loro proprietà. Non date quartiere ai tristi; essi farebbero altrettanto a voi. Rispettate, accogliete i soldati che sono ingannati e sono nostri fratelli.

«I nostri nemici sono Ferdinando e gli scellerati che io circondano. All'armi! L'ora è arrivata! Fra pochi giorni saremo liberi, ma ognuno si prepari come se ciò fosse domani. Ad ogni grido, ad ogni colpo, ciascuno si svegli; questo sarà il segnale. Ad ogni grido rispondano centomila voci! Tutto è ordinato e concertato; si veglia, si è pronto, si è apparecchiato! Saremo tutti in armi, perché siamo tutti stanchi e Dio stesso non può più soffrire tanta iniquità! La libertà e Ferdinando ti, sono incompatibili. Vogliamo la libertà, e dobbiamo acquistarla col sangue dei nostri figli se fossero traditori. Appena riconosciuti gli scellerati devono essere messi a morte senza misericordia!..»

Settembrini è uno degli accusati più gravi contro il quale pesavano le più gravi accuse. È stato condannato a morte, ma come Faucitano deve la vita al barbaro e scellerato Ferdinando!

Fra i condannati dei quali avete a cuore la riabilitazione, trovo ancora

Filippo Agresti

Voi accennate questo nome fra i più puri, ma senza darmi alcuna prova su i suoi antecedenti, le sue opinioni, il suo carattere. Vediamo se potrò io supplire al vostro silenzio.

Agresti dopo aver percorso come esule una gran parte dell'Europa, fece conoscenza in Malta con molti agitatori rivoluzionaci, e ritornò più tardi nel suo paese avendo in tasca un catechismo manoscritto all'uso dei liberi-muratori.

Si occupò attivamente a corrompere i soldati, e si disponeva a passare negli Stati romani, quando fu arrestato al 17 marzo 1849. Interrogato dai magistrati, negò le sue relazioni coi rivoluzionari, e sostenne di non aver fatto alcun tentativo di corruzione presso i soldati; ma i periti riconobbero un gran numero di biglietti sorpresi scritti di sua mano.

Agresti fece reiterali tentativi presso il sergente De Leo per impegnarlo a gettarsi colla sua compagnia negli Stati romani ove gli prometteva la miglior accoglienza da parte di Saliceti e di Sterbini. Gli diede un biglietto per questo ultimo, che il De Leo presentò alla giustizia, 'concepito in questi termini:

«Il latore di queste righe è la persona di cui ti ho parlato.» Altri militari furono attirati nella casa di Agresti già divenuto focolare di rivoluzione, ed erano esortati di disobbedire ai loro capi.

Dalla confessione dei rei risulta che Agresti era il presidente del comitato centrale napolitano destinato a dirigere i movimenti dei comitati provinciali. Egli distribuiva i diplomi dei quali ecco il lesto:

Gran società dell'Unità Italiana

«Il Presidente del circolo Num. conferisce il titolo di unitario al cittadino italiano...... il quale sia riconosciuto e rispettato perché ha ben meritato della patria e della libertà» (seguono le date, te firme, ecc.)

Agresti condannato a morte, come il più colpevole dei suoi coaccusati, deve ancora la vita alla ferocia del Barbone. Se non temessi di essere tacciato di indiscretezza, vi domanderei, onorevole signore, quale di questi uomini puri, leali, illuminati,

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conservatori, costituzionali, sia il più degno a vostro credere di stare alla testa del Governo di Inghilterra?

Michele Pironti

Il compagno ili catena di Poerio, condannato come lui a 24 anni di ferri, ha l'onore di trovarsi in compagnia degli uomini più puri, dei quali è proposito nella vostra lettera. Quantunque la sentenza che l'ha colpito non gli abbia fatto perdere ai vostri occhi il carattere di gentleman, i documenti però del suo processo non lasciano alcun dubbio sulla sua complicità nella setta criminosa.

Sembrate ignorare che Michele Pironti sia stato condannato per aver mantenuto corrispondenze coi rivoluzionari esaltati del Principato Citeriore. Era giudice della gran Corte criminale della terra di Lavoro quando, compromesso negli avvenimenti del 15 maggio, fu pronunziata la sua destituzione. Egli aveva ricevuto la missione di andare in Salerno e proclamarvi la repubblica. Dopo il suo arresto, le ricerche fatte al suo domicilio fecero scoprire un gran numero di stampe sediziose, che allora si spargevano per sollevare il popolo. Fra gli altri documenti si trovò in sua casa un manoscritto che faceva fede dei suoi rei disegni. Questo documento, nel quale Pironti si occupava delle differenti formo di governo, terminava con queste parole:

«La monarchia rappresenta tutti i fatti di forza o di acquiescenza che succedono oggi, ed in seguito dei quali i diritti di tutti si trovano riuniti nelle mani di un solo; la repubblica rappresenta i dritti perenni di tutti, esercitati e regolati da tutti.»

Pironti desiderava lo stabilimento della Repubblica Italiana, e travagliava attivamente alla realizzazione dei suoi voti. La sua condona era più rea, perché egli era rivestito di funzioni le più elevate. Che pensereste, o signore, di un giudice d'Inghilterra che si servisse della sua posizione per rovesciare il governo, per detronizzare la regina Vittoria e stabilire una repubblica sulle rovina della vostra costituzione? Ecco ciò che ha fatto Pironti, senza aver perduto però alcuno dei suoi titoli alla vostra stima e considerazione.

Sì, son veramente degni delle vostre simpatie, e di quelle dell'Inghilterra, questi geni rivoluzionari d'Italia: Come non istimare, proteggere, difendere gli uomini che servono così bene la politica del vostro Governo? L'indifferenza sarebbe ingratitudine. Il partito conservatore si era sin'oggi limitato, in quanto riguarda la politica di lord Palmerston, ad imitare Pilato che si-lava le mani. Ora però per vostro mezzo rivendica la sua parte di responsabilità nella sua audacia. Lord Palmerston segue arditamente le tradizioni nazionali. Il partilo conservatore non poteva lasciarlo più lungo tempo isolato.

I particolari che mi han fornito fili antecedenti dei gentleman cospiratori, che voi onorate della vostra stima, non lasciano più alcun dubbio sul loro carattere. Son tutti veterani della rivoluzione. Si potrebbe applicare ad ognuno di essi ciò che il giornale l'Enfer del 7 aprile 1848 diceva di

Antonio Leipneker

morto nel corso del processo.

Educato nel nostro primo collegio militare, mostrò sin dai primi anni un amore ardente per la libertà. Odiava il dispotismo come l'ultimo grado dell'infamia. Prese parte alla spedizione contro la Savoja. Il suo ardore gli fu biasimato come temerario, e gli cagionò contrarietà e dispiaceri.

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Obbligato ad emigrare, venne in Francia, dove fu perseguitato in una maniera ostinata dei tiranno Luigi Filippo. Si ritirò in seguito nel Belgio dove tentò stabilire una repubblica. La cattiva riuscita di questa intrapresa lo forzò a passare in Inghilterra.

Nel suo esilio godé la stima dei più illustri esuli. La rivoluzione non ha tentato intrapresa pericolosa e difficile alla quale il nostro Antonio non abbia partecipato. Gli ultimi avvenimenti successi nella Valle di Salerno dicono ciò che ha fatto, e qual torto sarebbe il riguardarlo come un avventuriere e un temerario.

Tale in poche parole è la storia di tutti gli unitari napolitani.

Se voi esitate, o signore, di farvi l'apologista di Antonio Leipneker, almeno lasciale questa cura ad un anonimo.

Temo forte che l'autore della nota che voi date su Ila morte di questo reo, nota staccata nella vostra lettera da virgolette, vi abbia fornito altre pagine. Il vostro ardire ben grande non la sino ad accusare i giudici della morte di Leipneker, ma cedete la penna ad un amico capace di tale sfrontatezza. Credetemi, questa pagina non è meno disgustevole del racconto che viene dalla vostra penna (the statement is not mene). Voi aggiungete però, che vien «da un gentleman testimonio oculare e che comprende perfettamente l'italiano.» Donde il lettore intelligente deve conchiudere, che voi avete avuto ragione di dire che i giudici della Gran Corte di Napoli sono mostri, giacché non hanno impedito che la morte colpisca Leipneker. I giudici inglesi hanno per avventura il dono dei miracoli? La morte si ferma innanzi i loro desideri?

Se voi aveste conosciuto il panegirico l'

inferno ha fatto dell'incolpato, sono convinto che avreste passato sotto silenzio anche il suo nome. Il

gentleman che vi comunica note così obbligami avrebbe dovuto farvi conoscere che Leipneker e il provocatore dell'insurrezione di Salerno, ove egli si segnalò per la sua crudeltà. Egli comandò il fuoco contro l'infelice Rosario Rizzo di Cilento, che Carducci aveva condannato alla fucilazione

senza alcuna forma di processo per aver nascosto alcuni fucili.

Così si esercita la giustizia rivoluzionaria che rimprovera tante mostruose iniquità alla giustizia regolare degli Stati napolitani!

Prima di occuparmi delle vostre allegazioni sull'amministrazione generale della giustizia, mi fermo passando gli atti della

Polizia Napolitana

Le basi di livello posate nelle pagine precedenti mi serviranno di guida. Noi» perdiamo di vista, o signore, che siamo nel 1848, che il temporale rivoluzionario rumoreggia sull'Europa. Ci stanno innanzi demagoghi esaltati dai terribili avvenimenti che si compiono intorno ad essi. La loro audacia si fa maggiore per i successi dei loro fratelli. Nella illusione in cui si trovano che l'ora del trionfo sta per suonare, niente gli arresta; essi gridano incessantemente all'incendio e al pugnale.

Vi rimprovero dapprima, o signore, di non aver tenuto conto di questa situazione eccezionale. Voi parlate degli atti della polizia, della severità dei magistrati, come se le condizioni politiche e sociali nelle quali si trova il regno di Napoli non fossero state turbate da una scossa violenta.

Con più equità di voi, o signore, questa situazione anormale, le audaci mene della società secreta dell'Unità,

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il carattere dei capi del partito rivoluzionario, pesano nel mio giudizio.

L'andamento che ho seguito nella confutazione delle vostre lettere, gli sviluppi nei quali sono entrato faciliteranno lo impegno che m'impongono le doglianze che voi articolate contro la polizia e la giustizia del regno di Napoli.

Io vi ascolto:

«In disprezzo della legge, il Governo, di cui il prefetto di Polizia è un membro importante, sorveglia e spia gli abitanti coll'aiuto degli agenti di quel dipartimento: fa visite domiciliari, assai comunemente, la notte; saccheggia le case; s'impadronisce delle carte e delle robe; rompe a piacere i pavimenti sotto pretesto di cercar armi; gena in prigione lo genti a ventine, a centinaia, a migliaia senza un mandato di arresto, e qualche volta senza un ordine scritto qualunque sia, ma su di una semplice parola di un agente di polizia, e sempre senza specificare la natura del delitto o del reato.»

In queste linee, o signore, voi fate il processo di tutti i prefetti delle capitali dell'Europa. Il signor Carlier vi troverà delle allusioni agli atti dei quali si rende colpevole ogni giorno, e che gli hanno acquistato titoli alla fiducia ed alla riconoscenza di tutti gli abitanti di Parigi. Voi vi meravigliate che dopo la insurrezione del 15 maggio la polizia napolitana sorvegli le persone sospette, che abbia fatto delle visite domiciliari, o che abbia sequestrato carte? La sua vigilanza, le sue visite ed i suoi sequestri dispiacciono a Napoli, come a Vienna o Parigi, ai cospiratori, i cui calcoli essa sconcerta, e le cui mene fa andare a vuoto; ma qual cittadino onesto e laborioso ha fatto sentire le sue doglianze? Informatevi col signor Carilier di ciò che ha fatto in Parigi dopo le giornate di giugno, e vedrete in seguito se sia biasimevole la polizia napolitana. Il flagrante delitto anche in Inghilterra permette di arrestare senza mandato speciale. Il numero degli arresti perché esagerarlo a piacere? Tutto al più la polizia di Napoli ha arrestato sei a settecento persone, che sono state poi restituiti; in libertà a centinaia dopo le prime investigazioni.

A Parigi sotto il regime di Cavaignac,

repubblicano della vigilia, in giugno 1848 gli arresti non sono stati meno di 15 mila. Sarebbe facile informarvi col prefetto di polizia di quel tempo, oggi socialista, se tutti questi arresti siano stati fatti regolarmente.

Voi giudicate dogli atti dell'autorità, signore, senza preoccuparvi degli avvenimenti né delle circostanze, assolutamente come se i fatti che raccontate fossero accaduti nella calma della quale gode il vostro paese.

Tranne dei casi eccezionali che legittimano le misure eccezionali, mi piace potervi far conoscere che la polizia napolitana si uniforma scrupolosamente alle leggi ed ai regolamenti. Gli arresti son sempre eseguiti in Napoli osservando le forme legali, e seguendo le istruzioni, che non sono state fatte per la circostanza, ma rimontano al 22 maggio 1817, oche sono state solennemente confermate sin dalla promulgazione del codice penale.

In tutti i tempi ed in tutti i paesi i cospiratori si sono lagnati della polizia o della sua procedura. La trovano incomoda, intrigante, importuna. Volete che sia delicata e gemile?

Aprite i fogli rivoluzionari della Francia, dell'Italia, della Germania, osservate come sono unanimi a denunziare gli atti della polizia. Una particolarità è degna di osservazione, ed è quella che vi fate non solamente il loro eco, ma scendete perfino ad essere loro plagiario.

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Il seguito del quadro è degno del principio.

«Si arrestano gli uomini non perché abbiano commesso mi delitto, o perché si sospetti che ne abbiano commesso, ma sol perché si crede utile l'arrostarle, onde disfarsene, e contro le quali bisogna in conseguenza fabbricare un'accusa. Si comincia collo arrestarle e tradurle in prigione, in seguito si sorprendono i loro libri, carte, corrispondenze e tutto ciò che conviene H ai vili agenti della polizia. Ciò fatto, si leggono le lettere del prigioniero, indi costui è interrogato in segreto senza accuso perché non ne esistono, e senza testimoni perché non ne esistono nemmeno.

Il prigioniero non ha il diritto di sentire un consiglio o consultare un avvocato. Per dir meglio, egli non è interrogato, ma io so (as I Know) che è insultato di un modo il più vile Dagli ufficiali di polizia, né credete che questa sin colpa degl'individui, ma lo inevitabile risultato di un sistema il cui scopo è quello essenzialmente di creare delle imputazioni contro il prigioniero.»

Questo parole, signore, confermano una osservazione da me fatta ogni qual volta ho inteso annunziare la scoverta di qualche congiura. La polizia ha sempre l'onore d'inventarla. Sotto il regno di Luigi Filippo, gli agenti della strada di Jèrusalem spingevano anche più oltre io spirito di intrapresa. Stanchi di covare e dare alla luce congiure, di quando in quando si divertivano a tirare sul Re. Poi, come voi lo dite benissimo, bisognava fabbricare una accusa, e come non esistevano mai delle imputazioni contro l'accusato, era essenziale crearne. A Parigi come a Napoli le innocenti vittime di queste distrazioni della polizia finiscono sempre con soccombere sotto la potenza del suo genio creatore. Com'è odiosa l'istituzione della polizia! L'Inghilterra dovrebbe dare agli Stati di Europa un mozzo onde farne del meno. Se la polizia di Napoli non è colpevole di altri delitti, vi confesso, signore, che io non trovo necessario d' istruirne più lungamente il processo. Arrivo alla vostra accusa contro

La giustizia Napolitana,

Il soggetto è grande: vi ascolto.

«I delitti politici sono puniti senza riguardo alle forme della giustizia................

Non devo parlarvi di alcune imperfezioni, citarvi alcuni esempi di corruzione d'impiegati subalterni, qualche caso di severità eccessiva, ma si tratta di una violazione incessante, sistematica e deliberata di tutti i diritti, dei quali il Governo dovrebbe essere il protettore; si tratta della violazione di ogni legge umana scritta, violazione diretta allo scopo di calpestare tutte le altre leggi scritte, eterne, umane e divine; si tratta della persecuzione assoluta di ogni virtù, quando la virtù è unita all'intelligenza, persecuzione generale alla quale non isfugge alcuna cosa.

Il Governo è spinto da una ostilità feroce e crudele quanto illegale contro tutto ciò che vive e si muove nella nazione, contro tutto ciò che potrebbe condurre ad un progresso, ad un miglioramento; è una spaventevole profanazione della religione pubblica, unita alla violazione di ogni legge morale sotto la ispirazione della paura e della vendetta: è la prostituzione assoluta della magistratura, della quale il Governo ha fatto il ricettacolo degradato delle calunnie le più vili e le più balorde, vilmente e deliberatamente inventate dai consiglieri immediati della Corona, nello scopo di distruggere la pace, la libertà, e con sentenza capitale, la vita delle persone le più virtuose, le più onorevoli, le più intelligenti, le più illustri di tutto il paese.

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È un sistema selvaggio e vile di torture morali e fisiche, messo in pratica per mezzo di sentenze strappate alle Corti depravate.

L'effetto di questo sistema è il rovesciamento di tutte le idee morali e sociali. La legge, invece di essere rispettata, è odiosa. Fra l'idea di ordine e libertà vi è non un'associazione, ma un violento antagonismo. Il Principe che si dice l'immagine di Dio sulla terra, compare alle popolazioni circondalo dai vizi i più ributtanti.

Si crederebbe leggere, signore, uno dei proclami incendiari lanciati nel regno di Napoli dalla società dell'Unità, e pure è una pagina delle vostre lettere. I tratti di rassomiglianza coi documenti sorpresi nelle case dei condannati sono la migliore e la sola confutazione che vi si può opporre.

Recriminazioni tanto vaghe e generali si oppongono a qualunque discussione. Cerco invano un' asserzione precisa alla quale possa attenermi. Le vostre calunnie sfuggono al dardo vendicatore della critica. Le vostre asserzioni generali presentano la stessa esattezza dei fatti da voi raccolti. L'assieme del mio travaglio ne farà giustizia.

Io ho però avvertito con linee: La prostituzione e l'avvilimento della magistratura.

Le sentenze capitali pronunziate netto scopo di distruggere la vita delle persone le più virtuose, le più onorevoli, te più intelligenti, te più illustri. Le torture morali e fisiche.

La prostituzione della magistratura

deriva senza meno dall'avvilimento dei magistrati, avvilimento che ha per causa principale la modicità umiliante dei loro soldi, i quali, per i meglio pagati, non oltrepassa, come abbiamo veduto,18,000 franchi.

In quanto alle torture ne avete detto una sola parola che è tornata a vostra confusione.

Delle sentenze capitali, non una sola è stata eseguita! e voi ne parlate come se fossero state seguite ad un vero macello, al quale, voi dite «il Governo è spinto da una ostilità feroce e crudele, quanto illegale.»

Le vostre recriminazioni prenderanno più consistenza a misura che avanziamo.

«l prigionieri, prima del loro processo sono de tenuti per sei mesi, un anno, due anni, ed anche tre: il più sovente questo è il periodo più lungo. Non ho inteso dire che alcuno in questi ultimi tempi sia stato giudicato in Napoli per delitto o reato politico, prima di sedici o diciotto mesi di prigionia.

Ho veduto prigionieri chiusi sin da ventisei mesi in prigione e che aspettavano ancora di essere giudicati.»

Finalmente, signore, eccoci arrivali a ciò che voi avete veduto! Avete dunque realmente veduto qualche cosa?

Queste parole senza che voi lo immaginate fan più onore che vergogna alla magistratura di Napoli.

Vi ringrazio che avete voluto attestare ch'essa nelle sue investigazioni impiega una lentezza che allontana qualunque idea preconcepita di non veder se non colpevoli negli accusati che ha missione di giudicare. A Parigi dopo la insurrezione di giugno, lo proporzioni di un processo regolare sarebbero state tanto considerevoli, che il governo di allora, composto di repubblicani della vigilia, si decise di far deportare gl'insorgenti senza giudizio.

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A Napoli i ministri di Ferdinando non hanno osato ricorrere a misure che vi avrebbero dato il pretesto di gridare all'arbitrio. Essi han voluto che la giustizia seguisse il suo corso regolare, quantunque la insurrezione a mano armala dei rivoluzionari legittimasse tutte le misure eccezionali che avrebbero avuto dritto di usare.

Ora che avvenne durame il corso d'istruzione del processo del 15 maggio? Un altro avvenimento del quale il primo non era che uno degl'incidenti, ha richiamato la sua attenzione, ed assorbito il suo tempo. La congiura della setta dell'unità, la cui istruzione doveva gettare una viva luce sulla insurrezione del 15 maggio, ha fatto sospendere il giudizio dei colpevoli in quest'ultimo affare.

Su di chi pesa la responsabilità di questo ritardo? Sulla magistratura napolitana, o sopra i cospiratori dell'unità. Gl'insorgenti di maggio devono dirigere le loro lagnanze ai loro fratelli, coi quali erano tanto strettamente uniti.

Il rimprovero di lentezza non ha dunque alcun fondamento. In quanto al processo del l'unito se le ramificazioni della società non si fossero estese nelle diverse parti del regno, la giustizia non avrebbe avuto bisogno di tanto lungo tempo per riunire il filo di quelle trame infernali. Finalmente i rei sono innanzi i loro giudici. Raccontateci ciò che succede.

«Ecco ciò che succede. Supponete che i nove decimi delle accuse assurde della polizia non siano ammesse dal tribunale, a cui si è provata la falsa testimonianza; in qualunque altro paese ne risulterebbe naturalmente una procedura e la messa in accusa dei falsi testimoni. A Napoli succede tutto al contrario; si considera la falsa testimonianza come uno sforzo patriottico delle persone oneste, alle quali disgraziate circostanze han fatto mancare io scopo. Questa parte della deposizione è riguardata come non avvenuta; ma l'altra parlo resta senza chè sia permesso di contraddirla. Voi crederete che se l'accusato abbia prove della sua innocenza potrebbe farle valere, e v'ingannate a partito. Se avesse delle prove ineluttabili alte come una montagna, non gli si permeerebbe di servirsene (He may have counter-evidence mountains high, but he is not alloxed to bring it).

«Mi persuado, che ciò sarà incredibile, ma non è meno vero. Le persone accusate mentre io era in Napoli indicarono e chiamarono la testimonianza di centinaia e migliaia d' individui di ogni classe e d' ogni professione; soldati, ecclesiastici, uffiziali; la gran Corte non volle sentirli.»

Tutto questo è falso, signore, ed io lo riproduco per lo impegno assunto di non passar sotto silenzio alcuna delle vostre calunnie, e mantengo la mia parola.

Non sapete che gli accusati trattano sempre come falsi i testimoni a carico? Se ne volete le prove, leggete i processi di Lione, e vedete se i giudici han creduto necessario d'ordinare un riesame.

Le udienze della Corte erano pubbliche. Gli amici degli accusati vi assistevano, voi stesso vi siete andato. La pubblicità, la presenza dei nemici del Governo e la vostra non permettevano ai magistrati di giudicare alla turca., come voi vorreste darlo ad intendere. A che dunque furono impiegati 74 giorni pel processo? Se la difesa non fosse stata libera, spiegatemi ciò che facevano gli avvocati che hanno aringato in 25 udienze?

Mi arresto, signore, perché credo travedere la spiegazione di questo enigma d'iniquità. Siete accusato di aver attimo da una fonte sospetta tutto ciò che avete detto di questo memorabile processo.

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Un foglio coraggioso che si pubblica a Genova sono il titolo di il Cattolico, mi rileva che vi siete limitato a tradurre in questo passaggio la corrispondenza pubblicata dal Risorgimento di Torino, uno del principali organi dei rivoluzionari di Malta. Questo plagio, che io non voglio imputarvi, non ha per autore il gentleman rispettabile che vi ha mandato le note così esatte sulle quali avete scritto la vostra lettera? Non so se m'inganno, ma certe coincidenze mi determinano a dimandarvi se il corrispondente del Risorgimento a Napoli non sarebbe l'autore della mistificazione che vi ha ingannato su questo punto come in molti altri?

Se passo ora dalle recriminazioni generali ai fatti particolari che le ispirano, e con i quali pretendete giustificarle, mi accorgo che voi avete soprattutto in veduta quanto riguarda il condannato Poerio.

Come modello delle iniquità e delle mostruosità della giustizia napolitana, voi fate la storia della condanna di questo antico ministro del Re. Voi io seguite in tutti i suoi dettagli dal momento del suo arresto sino alla condanna. Il vostro racconto è vivo; il vostro talento di scrittore sa rendere ingrossante l'eroe del dramma che scorre sono la vostra penna. Confesso che anche io sarei commosso e sdegnato, se il vostro romanzo, simile a tutte le produzioni di questo genere, non mancasse di verità e perfino di possibilità. Il rapporto che voi fate di questa parte del processo starebbe in disaccordo col carattere generale del vostro libello, se fosse veridico. Altronde come ammettere la vostra testimonianza quando si conosce la fonte che vi ha dato queste informazioni? Voi confessate, e vi ringrazio della franchezza di tal confessione, che parlate per bocca di Poerio! «Ecco, voi dite, l'istoria del suo arresto, com'egli stesso l'ha raccontata.» Come non dovrebbe essere a lui favorevole? Avete mai inteso un accusato che racconti la sua storia ai giudici in modo che rilevi la sua colpa?

Avendo cura questa volta d'indicare tassativamente la sorgente rispettabile delle vostre informazioni, avete abbreviato il mio assunto. Si perdonerà facilmente a Poerio l'aver detto di essere stato arrestato ingiustamente, e giacché voi riproducete solamente le sue asserzioni, non possiamo aspettarci né esattezza né imparzialità. Ma pure il vostro racconto non va esente di contraddizioni.

Voi indicale a Ioni Aberdeen come cosa indegna il ritardo frapposto ad interrogar Poerio dopo il suo arresto. Ecco il passo: «Sei giorni dopo fu tradotto innanzi il commissario di polizia Maddaloni, che gli consegnò una lettera al suo indirizzo........... Il contenuto della lettera indicava naturalmente un progetto di alto tradimento».

Raccontate in seguito che «fu trascinato di prigione in prigione, gettato, com'egli stesso dice, in luoghi fatti piuttosto per le bestie immonde anziché per gli uomini, ed aggiungete che passò così otto mesi, ignorando assolutamente le accuse fattegli.»

Piacciavi, signore, conciliare le due asserzioni. La prima dice che Poerio, interrogato sei giorni dopo il suo arresto, lesse innanzi il magistrato una lettera, che indicava naturalmente un progetto di alto tradimento, mentre la seconda pretende che dopo otto mesi di prigionia ignorava assolutamente le accuse dirette contro lui. Poerio aveva dunque dimenticato il suo primo interrogatorio, e la lettera di cui si trattava?

L'impegno che voi prendete nello avvertirci che parlate secondo lui, spiega la insistenza colla quale segnalate come falsi testimoni le persone che han deposto

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contro l'uomo divenuto l'oggetto della vostr'ammirazione.

«Sarebbe stata sufficiente, voi dite, la decima parte di questo che ho inteso della deposizione di Jervolino per mettere un termine al processo, e fare arrestare. e condannare il falso testimonio. Su qual prova appoggiate la falsa testimonianza?

Questo Jervolino, voi aggiungete, il quale prima del processo era un mendicante, è ora ben vestito, ed in una posizione brillante. Egli vive senza meno delle sue rendite, come Peluzzo della pensione che il Governo paga ai preti assassini'. La brillante posizione di Peluzzo mi pari; che oscuri quella di Jervolino, checchè ne pensino i più puri conservatori di Napoli e lo stesso Poerio. Siete stato meglio informato, signore, su i sentimenti di Navarro, M presidente della gran Corte? Mi si è detto (I ave been told), e credo che egli non fa mistero della sua opinione, che tutte le persone accusale dal Governo del Re devono esser trovate colpevoli.»

È forse Poerio, o il corrispondente del Risorgimento che vi ha detto questo? L'asserzione è degna dell'uno e dell'altro; ma la miglior prova che io possa darvi dell'inesattezza di tale informazione è quella che la stessa sentenza che ha condannato trentadue accusati, ne dichiara otto innocenti, e li mene immediatamente in libertà.

Che diviene l'opinione di Navarro? Che resta delle vostre recriminazioni? A che si riducono le calunnie vostre contro la giustizia napolitana?

Tocca ad un Inglese, tocca all'Inghilterra, signore, assumere la causa della giustizia oltraggiata? La vostra storia nazionale non è una lunga e sanguinosa serie di delitti? Ha l'Inghilterra il diritto di essere intesa quando si tratta di difendere innanzi l'Europa la causa dell'umanità e della civiltà?

Ammettendo anche per un istante che le vostre accuse non fossero false su tutti i punti, paragonale la

barbarie, la

ferocia che voi rimproverate al Governo napolitano colle inaudite crudeltà che han caratterizzato tutti gli avvenimenti, che hanno innalzato l'Inghilterra all'apogeo della sua gloria? L'Irlanda è là per dire di quali supplizi i governi Inglesi han punito in ogni tempo i tentativi di rivolta. Sarebbe opera troppo lunga precisare i fatti; ma la gran voce dell'istoria supplisce al mio silenzio. Percorrete solamente le pagine sanguinose della rivoluzione del 1798, e ditemi se tutti i delitti riuniti dei governi di Europa sin da più secoli (senza eccettuare la Russia), potrebbero uguagliare in numero, in atrocità di barbarie gli atti che nel 1798 misero l'Irlanda a ferro e a fuoco nello spazio di tre mesi.

Senza rimontare al 1798, gli anni 1848 e 1849 ci han fatto conoscere in qual modo l'Inghilterra reprima le insurrezioni. Quando il contro. colpo degli avvenimenti d'Italia si fece sentir nelle Isole Ionie, a Cefalonia ebbe luogo un movimento per iscuotere il protettorato inglese.

L'isoletta di Cefalonia in confronto di Napoli o come un bicchier d'acqua in confronto dell'Oceano. L'Inghilterra altronde non vi esercita che un protettorato.

Appena alcuni partigiani dell'indipendenza si fecero sentire, furono arrestati all'istante dalla giustizia inglese, la quale, procedendo con minor lentezza dei magistrati napolitani, ne condannava a morte diciannove, ai quali fu commutata la pena. Questi avvenimenti succedevano nel 1848! L'anno seguente si faceva un nuovo tentativo contro il protettorato britannico, ed alcune settimane; dopo l'Europa sapeva che 180 insorgenti erano battuti colle verghe sulla pubblica piazza, e ventuno erano messi a morte.

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A Napoli, signor Gladstone, sotto il Governo del feroce Ferdinando, che i vostri ammiratori, sulla vostra testimonianza, chiamano un

boia coronato , non una sentenza di morte per causa politica ha ricevutola sua esecuzione. Paragonate Cefalonia al regno di Napoli; la popolazione di questa isola a quella delle due Sicilie; mettete a calcolo il carattere e la gravità delle insurrezioni che hanno scoppiato nei due paesi, e ditemi, sig. Gladstone, da qual parte sta la barbarie, quale dei due governi è degno del nome di carnefice, giacché vi piace di chiamar carnefici i poteri che reprimono la insurrezione?

Continuando il mio assunto, i cui limiti sembrano più allontanarsi a misura che io avanzo, permettete che io vi feliciti delle proporzioni che prendono i vostri successi.

I giornali di Londra mi fan conoscere questa manina che si è messa in vendita l'

undecima edizione delle vostre lettere.

Una pubblicazione utile, fatta colto scopo di un bene, non avrebbe mai ottenuto tanta voga. La propaganda cominciata da lord Palmerston e dai suoi agenti diplomatici, è continuata dai facchini del partito rivoluzionario, e cosi doveva essere.

Grato agli applausi coi quali vi ha salutato la demagogia europea. avete la delicata attenzione di far pubblicare una edizione a prezzo basso, che sarà venduta per qualche soldo alle persone che compreranno il vostro libello per diffonderlo. Le vostre lettere sono quindi gettate come un cibo intellettuale alle classi popolari dell'Inghilterra; ma credete voi che il risultato di questa propaganda contribuisca a raffermare nel vostro paese il principio dell'autorità ed ispirare una venerazione più grande per le forme monarchiche?

Un partito conservatore, che si è creduto Intelligentissimo ed abilissimo sino a febbraro 1848, ha aperto il sentiero al regime bastardo e provvisorio clic subisce la Francia. A qual trionfo di sistema travagliano dunque i conservatori inglesi della scuola umanitaria? A qual missione è destinato questo protestantesimo conservatore dell'Inghilterra, che si onora di propagare le calunnie le più oltraggiami contro le istituzioni più rispettabili, le sole che possano fermare l'Europa sul pendio dell'abisso nel quale corre pericolo di precipitarsi? Quanto più divulgata è la menzogna, tanto più è necessaria una precisa e completa confutazione. La verità si propaga meno rapidamente dell'errore, ma la luce non brilla mai invano; ecco perché io continuo a gettarla sulle pagine alle quali il vostro nome ha dato un eco tanto deplorabile. Alle recriminazioni delle quali già mi sono occupato succedono naturalmente quelle relative alle prigioni ed ai detenuti. Esaminiamo dunque le vostre doglianze sullo

Prigioni, le carceri ed il regime dei prigionieri

I rimproveri generali, signore, che voi dirigete al regime penitenziario del regno di Napoli, hanno una rassomiglianza molto viva con tutto ciò che avete detto sulla polizia e la magistratura del paese. Ciò è molto logico.

Dopo aver denunziato la polizia, che sventa le loro congiure, ed i magistrati i quali, protettori dell'ordine e delle leggi, ricusano di ammettere la loro innocenza, i rivoluzionari napolitani come i loro fratelli di Francia recriminano contro te prigioni nelle quali sono rinchiusi, e che trovano di un'abitazione meno comoda, meno piacevole delle residenze nelle quali godevano di tutti i piaceri della vita prima della loro condanna.

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A sentire certi scrittori umanitari, le prigioni dovrebbero essere gli alberghi ove gl'invalidi del delitto troverebbero tutte le attenzioni offerte dalla patria riconoscente ai cittadini generosi che han consacrato la vita nella sua difesa, e che le han dato penino il sangue. Questa pretesa è veramente derisoria, anche quando si tratta di prigionieri politici.

Io dico ancora non dovrei dire soprattutto? In mezzo al disordine morale che pesa sugli spiriti o che li sconcerta, sembra che i delitti o reati politici non siano né delitti, né reati. La società punisce colla morte, o manda a finire i suoi giorni in un bagno quello dei suoi membri che per un sentimento di odio o di ambizione toglie la vita al suo simile; e l'uomo che eccita l'una contro l'altra le classi, che accende le passioni più violenti, che spinge alla ribellione, che dà il segnale di una insurrezione potrebbe commettere questi delitti senza perder nulla della bellezza o della purità del suo carattere?

Confesso, signore, che questa maniera di giudicare il cospiratore e l'insorgente dinota un progresso contro il quale si rivolta la mia intelligenza. Qualunque attentato contro la società (che le rivoluzioni mettono in pericolo) mi sembra avere, sotto il punto di vista della criminalità, proporzioni gigantesche alle quali non potrebbe mai giungere un delitto diretto contro le persone. Un assassino priva la società di un membro, mentre che la insurrezione, ultimo argomento dei cospiratori, ne toglio centinaia e migliaia. Le proporzioni del delitto ingrandiscono col numero delle vittime, colla rovina e la disperazione delle famiglie, e tutte le risorse della giustizia umana sono impotenti a proporzionare il castigo alla colpa.

I nostri insorgenti di giugno sarebbero puri agli occhi vostri delle migliaia di vittime che caddero in quelle sanguinose giornate? Come i rivoluzionari napolitani non sarebbero responsabili del sangue versato il 15 maggio? In virtù di qual legge morale i cospiratori dell'Unità Italiana non avrebbero a render conto alla società allarmata dal progetto che nutrivano di mettere il paese a ferro ed a fuoco por arrivare alla realizzazione dei loro sogni politici?

Mi meraviglio come un uomo disiato, educato nei principii conservatori, si lascia trascinare dal torrente delle idee stupide che han corso sotto l'etichetta di idee progressive! Qual progresso è quello che confonde il delitto colla virtù, che stanco d'ingiuriare l'assassinio volgare, esalta l'assassinio politico, che finalmente dimanda la sua giustificazione al pugnale come un tempo i cavalieri la dimandavano alla loro spada!

Io doveva prima di unto entrare nell'esame delle vostre doglianze, rammentarvi i principii elementari che i codici non han forse abbastanza rispettato, e che si cancellano ogni giorno sotto il livello umanitario che una certa filosofia tira sulle moderne società.

Nella vostra mente i condannati napolitani non han cessato di essere gentleman: nella mia si trovano molto al disotto della condizione morale dei loro compagni d'infortunio che fanno più orrore e ribrezzo.

Passiamo a ciò che volete rivelare sulle prigioni di Napoli e sul regime al quale sono sottoposte.

«Devo dire, perché ho cercato di penetrare in quei luoghi. Vi fui spinto non per vana curiosità, ma per l'idea del dovere che mi era imposto, di essere, per quanto fosse possibile, testimonio oculare dei fatti, prima di tentare qualche misura.

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Però è mio dovere affermare che quegli infelici non sono in alcun modo responsabili della visita da me fatta nella loro triste dimora, e che essi non hanno in nulla contribuito a tutto ciò che io ho potuto dire o fare prima o dopo di questa visita. E se tutto ciò che io ho fatto nel solo scopo di arrivare a conoscere la verità potesse esser cagione di aggravare la sorte di uomini innocenti, ciò sarebbe una novella prova dell'odiosa tendenza che ha la tirannia, come tutti gli altri flagelli, a moltiplicarsi e riprodurre se stessa.»

Queste parole mi provano, signore, che il Governo napolitano, conoscendo i sentimenti che nutrivate per lui, è lungi di essere tanto arbitrario ed intrattabile quanto lo pretendete. Voi vi trovavate a Napoli in un circolo composto di stranieri e di nazionali i più ostili al Governo, voi esprimevate altamente le vostre opinioni; ed il giorno in cui, desideroso di poter dire che avevate veduto qualche cosa degli orrori dei quali vi eravate proposto di parlare, vi siete diretto all'autorità, questa vi accordò quanto le domandaste. Desiderate veder le prigioni? Visi aprono. Avete desiderio di abboccarvi col condannato Poerio? Vi si accorda l'accesso sino a lui.

Questa condiscendenza dell'autorità napolitana mi fa supporre naturalmente due cose: la prima, che le prigioni che foste autorizzato a visitare rassomigliano alle prigioni del resto dell'Europa; la seconda, che il Governo Napolitano non ha nulla a temere delle rivelazioni di Cario Poerio, giacché tutto ciò che lo riguarda è passato alla gran luce della pubblicità. Questa è la impressione prodotta in me da questo preambolo, e posso dirvi con piacere che è stata anche quella di un gran numero di persone che han letto con imparzialità l'opera vostra.

Finalmente che cosa avete veduto?

«Esaminiamo, voi dite, come sono trattati i detenuti nel terribile periodo che corre fra il loro arresto

illegale ed il loro processo illegale.»

«Tutto il mondo sa che le prigioni di Napoli sono il colmo dell'orrore e della schifosità, lo ne ho veduto qualche cosa, ma non la peggiore. Ecco, o milord, ciò che ho veduto. l medici ufficiali non vanno a visitare i prigionieri ammalati; all'incontro questi uomini, colla morte quasi sul volto, si trascinano fino ai medici sulle scale di questo cimitero della vicaria, perché le parti basse di questo palazzo delle tenebre sono così immonde e ributtanti, che alcun medico non vorrebbe entrarvi anche pagato.»

«In quanto al nutrimento devo dire una parola del pane che ho veduto. Quantunque nero e comune all'ultimo grado, era sano. Mi si è assicurato (as I was assured), che la minestra è nauseabonda, e che il solo eccesso della fame può solo far sormontare la ripugnanza della natura.»

Mi fermo per farvi osservare che il pane che voi avete veduto era sano e di buona qualità; ma quando parlate sul si dice, la minestra diviene nauseabonda.

Son convinto che la sarebbe stata meno se avreste potuto gustarla. Sopra questo punto, come sopra tanti altri, voi non avete veduto ciò che indicate come ributtante, orribile, nauseabondo.

In quanto alla visita dei medici è chiaro che vi siete illusa sullo stato della salute dei prigionieri ai quali avete veduto salire e scendere le scale della vicaria, e son d'altronde convinto che gli stessi detenuti non erano effettivamente dispiaciuti di andare a visitare i medici invece di esserne visitati. Voi continuate.

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«La schifosità è bestiale. Tranne della notte, gl'impiegati non entrano mai nelle sale. Si son fatti beffe di me perché leggeva alcuni regolamenti affissati sulle mura. Uno di questi regolamenti riguardava la visita dei medici agli ammalati. Però ho veduto uomini con un piede nella tomba che visitavano i medici invece di esser visitati da loro.»

Voi ripetete il rimprovero poco prima diretto ai medici. Se aveste mai visitato altre persone avreste dei punti di paragone che vi mancano per valutare la schifosità delle case di detenzione di Napoli. Se le prigioni napolitano non sono più proprie, siete sicuro che la colpa è del Governo e non degli stessi condannati? Le prigioni sono meno bene mantenute delle ridenti ville dell'Inghilterra; ma il Governo può essere responsabile delle negligenze di dettaglio di qualche impiegato, il quale, secondo voi, violerebbe i regolamenti dati dall'autorità?

Le vostre esagerazioni poi meritano tanto meno fiducia quanto Ferdinando, sino dal principio del suo regno, si è impegnato in un modo speciale a migliorare il regime delle prigioni del regno, ed io so che i desideri del Re sono stati efficacemente secondati dall'amministrazione.

Son lungi di pretendere che le prigioni di Napoli non sono suscettibili di alcun miglioramento; ma ditemi, signore, quale è il pause dell'Europa in cui

il redime delle prigioni non preoccupa il Governo e gli uomini speciali? Qual questione presenta difficoltà più complicate a risolvere?

Voi non tenete conto, signore, né di ciò che il Governo ha fatto, né di ciò che o disposto a fare, né degli ostacoli che si oppongono alla realizzazione dei suoi disegni. Ecco come voi avete recinto, quando avete realmente veduto quello di cui tenete proposito.

I detenuti, le loro famiglie, i loro amici, in quanto riguarda la osservazioni? dei regolamenti, hanno una garanzia della quale non fate cenno, e che indebolisce i vostri rimproveri.

A Napoli come a Roma delle associazioni di carità composte di uomini distinti presi nelle classi elevate della società vegliano al benessere dei prigionieri. I deputati di queste associazioni visitano i detenuti, ispezionano le sale, si assicurano della buona qualità degli alimenti, s'informano delle cure date agli ammalati e gl'interrogano. La vigilanza della carità non permetterebbe che i regolamenti fossero violati in detrimento dei prigionieri. Altronde, voi ammettete che i detenuti hanno i regolamenti sotto gli occhi. Se i direttori delle prigioni non ne facessero conto, li lascerebbero ignorare ai loro ospiti. Se i regolamenti sono affissati, devono essere necessariamente osservati.

Ma prima di continuare, una parola sulla stessa prigione, una parola su questo cimitero, che porta il nome di vicaria.

Se foste stato meno straniero all'istoria dei monumenti di Napoli, non avreste ignorato che questa prigione è una antica abitazione reale. All'epoca in cui la Spagna aveva a Napoli un viceré, questo palazzo fu fabbricato nello scopo di tal destinazione, ed ecco perché conserva il nome di vicaria. l viceré spagnuoli han dunque abitato questo cimitero piacevolmente situato vicino la porta di Capua, esposto all'aria ed al sole. Un testimonio oculare ne parla in questi termini:

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«Ho visitato questa prigione un gran numero di volte, e non ho mai inteso parlare, né ho veduto delle segrete sotterranee.

«Credo che non vi sia in nessuna parte di Europa una prigione che offra estesamente segni più visibili di salubrità e di conforto.»E voi pretendete intanto, signore, che Pironti è stato rinchiuso nella vicaria, in una segreta di otto piedi quadrati sotto il terreno, senz'altra luce se non quella che vi penetrava da un buco praticato all'estrema altezza, del muro, e che non permetteva vedere. È vero che voi non dite aver veduto Pironti in questa situazione; voi ci rapportate ancora uno di quei si dice di cui già cominciamo a conoscere la esattezza. Vi si è detto ben altra cosa; perché voi aggiungete che Pironti aveva nella sua segreta di otto piedi quadrali due compagni che non lo lasciavano! Se mi dicevate di averlo voi veduto, non esiterei a credervi, ma dopo che la inesattezza, la esagerazione, la falsità, il ridicolo, le contraddizioni del vostro rapporto ne hanno reso sospetta la fonte, non presto alcuna fede a ciò che voi non avete veduto. La segreta di Pironti va in questa categoria.

Signore, i giornali che han fatto tanto strepito dei ventimila prigionieri che vi facevano contare, ci hanno ancora parlato di una segreta situala a 26 piedi sotto il livello del mare. Si tratta della segreta di Ischia, nella quale sarebbe gettato il barone Porcari. Visitiamo assieme questa dimora sotterranea, e cerchiamo di precisare quella che sia realmente.

«Ho saputo un altro caso che credo poter rapportare con certezza, quantunque la conoscenza che in ne abbia non sia mia, come quella dell'ultima di cui ho parlato (Pironti).»

«Quando io lasciai Napoli, nel mese di febbraro, il barone Porcari era rinchiuso nella prigione d'Ischia; egli era accusato di aver preso parte alla insurrezione della Calabria, ed aspettava di essere giudicato. La segreta d'Ischia è senza luce, a 24 piedi o palmi (non son sicuro della misura) sotto il livello del mare. Non gli è permesso di giorno 0 di notte sortire da quella prigione, né alcuno è autorizzato a visitarlo, eccetto sua moglie, una volta in ogni quindici giorni!»

Il punto di esclamazione è vostro; ma a che si riduce questa descrizione? Voi dite dapprima che non dubitate della esattezza dei dettagli che non avete ricevuto da una sorgente così sicura come quella relativa alla prigione di Pironti, del quale non parlate per altro se non per inteso dire. Poi, voi non siete sicuro se la segreta fosse a 24 piedi o palmi sotto il livello del mare.

Credetemi, signor Gladstone, la prigione nella quale è stato sotterrato il barone Porcari, deve rassomigliar molto a quelle dell'amica abitazione del viceré che non hanno mai esistito.

Voglio convenir con voi di una cosa. Ammetterò com'esatto tutto ciò che voi mi direte di aver veduto; ma rigenerò tutto ciò che mi presenterete come dubbioso. Avete voi visitato la prigione d'Ischia? No. Avete veduto Porcari in quella caverna senza luce a 24 piedi sotto il livello del mare? Nemmeno. Aspetterò che abbiate veduto, verificato voi stesso i dettagli che voi date a lord Aberdeen, e, poi vi presterò fede. Suppongo che questa prigione d'Ischia sia così profonda e oscura come la nostra Conciergerie.

Se la baronessa Porcari vi scendeva per visitare suo marito, sembra mollo difficile lo ammettere che quell'abitazione fosse priva di qualunque luce.

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Si può supporre che il Governo avesse acconsentito che una moglie visitasse suo marito in simile situazione? I vostri dettagli sono contraddittori. Come non ne avete rilevato la inverosimiglianza?

Ritorno a quello di cui siete stato testimonio: che avete veduto di più?

Uomini condannati ai ferri portano la catena stessa dei forzati di Brest e di Tolone. Questa catena è legata al condannato nello stesso modo in tutti i bagni, cioè con un anello fissato sopra la noce del piede, mentre la estremità superiore è attaccata ad una cintura di cuoio situata sopra i tombi, cioè a dire che le cinture nel bagno si portano sopra i tombi. Questa circostanza meritava essere rilevata.

La vostra esclamazione, signore, è di una semplicità da muovere la ilarità, quando gridate che la catena dei condannati non è loro tolta né il giorno, né la notte! In qual bagno si tolgono ai condannati le catene nella notte, come voi vi togliete le mutande quando andate a letto? Questa operazione sarebbe possibile? Se fosse possibile, sarebbe prudente? nel bagno di Tolone, nel quale si trovano duemila forzati circa, sarei curioso di sapere con qual sistema si potrebbero togliere la sera tutte le catene e rimetterle la manina. Il giorno e la notte non basterebbero a questa bisogna.

Mi accorgo che non avete mai diretto i vostri studi sul sistema penitenziario. Visitate le prigioni del continente di Europa, e resterete convinto che in Napoli si pratica quello che è altrove praticato.

Avete veduto qualche altra cosa? «L'abito dei condannati ordinari dei quali era vestito l'artico segretario del Re Ferdinando si compone di un o giubbone e pantaloni di panno rosso grossolano e di un berretto dello stesso drappo; i pantaloni sono quasi neri, che si abbottonano in tutta la loro altezza per potersi togliere la sera senza incomodare le catene.»

È un costume poco elegante, ed anche grossolano, e senza dubbio meno agiato di quello dei gentleman della vostra nazione ma non si mettono i delinquenti in prigione per vestirli dei più fini panni di Manchester. Gli abili dei condannati vi ispirano tanto più ribrezzo, perché rassomigliano, voi dite, ad un panno fabbricato in Inghilterra con ciò che si chiama la polvere del diavolo (devil's d'ust). Vi sono dunque nel vostro paese degl'infelici che non son meglio vestiti dei forzati di Napoli, e che non han nulla a rimproverarsi?

Voi aggiungete:

«Restai sorpreso della dolcezza colla quale essi parlavano dei miserabili per la mano dei quali soffrono queste abbominevoli persecuzioni; non erano meno ammirevoli la loro rassegnazione vera cristiana, e la clemente sfrenità della loro fisionomia. Tutti però soffrivano. Ho veduto piangere la zia di uno di loro, un giovine a 28 anni, parlandomi dei rapidi cambiamenti che essa osservava sul di lui volto? ed infatti io gli avrei dato il doppio della età ch'egli aveva. Aveva veduto Poerio in novembre durante il processo; a Nisida non io avrei più riconosciuto.»

La vostra sorpresa mi prova che voi prima di visitare le prigioni di Napoli supponevate che un uomo poteva passare dal seno della sua famiglia e della società, in un bagno del quale dee subire il regime severo, senza provare alcuna alterazione di salute, e di fisionomia? Ma sarebbe possibile il supporre che si trovino in un bagno tutti i comodi di fuori, e vivervi senza modificare le proprie abitudini?

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Informatevi se il fenomeno da voi osservato non si verifica in tutti prigionieri che passano dallo stato d libertà a quello di prigionia. Avete realmente gran desiderio di criticare l'autorità napolitana per armarvi contro essa di fatti tanto naturali. No, credetemi, signor Gladstone, il Governo d Napoli è molto lungi dall'esser barbaro, e la lettura delle vostre lettere mi ha confermato nella opinione ch'egli pecchi più di clemenza, che di crudeltà, e mi riferisco per questo particolare alla vostra testimonianza medesima. Voi dite parlando di Poerio e dell'alterazione che ha sofferto la di lui salute:

«Da un luogo alto gli fu suggerito, che scia di lui madre, della quale egli era l'unico appoggio, fosse andata dal re a dimandar la sua grazia, o se egli medesimo la implorasse, poteva tornargli in bene; ed egli si rifiutò costantemente.»

Potevasi intanto esiger meno da lui? Il re si mostrò disposto a condonargli la pena, s'egli la dimandasse.

E dopo aver rapportato questa disposizione di clemenza, voi soggiungete:

«Non posso mestamente fare a meno di esprimere la convinzione che l'oggetto del Governo napolitano in quanto riguarda Poerio, che per i suoi talenti è creduto pericoloso, è quello di giungere allo stesso

risultato che doveva ottenersi col patibolo, con mezzi più crudeli dello stesso patibolo e senza lo scandalo che l'uso di questo avrebbe prodotto.»

Per arrivar dunque a questo risultato si suggerì a Poerio da un luogo atto di dimandar la sua grazia? Ecco, o signore, come è difficile il calunniare senza che la verità non risplenda a traverso le contraddizioni.

I vostri rimproveri al Governo di Napoli sulle prigioni, sulle carceri e sul regime col quale son trattati i prigionieri, sono perfettamente identici a quelli che il Times e la Presse incoraggiati dalla vostra filantropia, han diretto al governo di Roma; sono identici a quelli che il National e la Rèpublique sin da due anni fanno sentire per Belle-Isle, Mont-Saint-Michel e Doullens. Quando queste recriminazioni sono venute alla nostra tribuna legislativa, non un solo membro della maggioranza dell'Assemblea ha voluto loro prestar fede. Tale è la sorte riservata alle vostre doglianze; malgrado lo zelo della propaganda rivoluzionaria e la sfrontatezza dei suoi scrittori, nessuno vi crederà! L'esame e le vostre contraddizioni han rovesciato tutti i fatti che avete precisato. In quanto alle accuse vaghe e generali che voi riproducete sopra i si dice o sopra testimoni anonimi, sono già stereotipe sin da più tempo in tutti i giornali rivoluzionari di Europa. Il disprezzo dell'opinione ne rende giustizia. Non è curioso che l'appello da voi diretto alla civiltà, in beneficio dei prigionieri napolitani, sia riprodotto dal giornale la Rèpublique, del quale voi conoscete i principii, negli stessi termini a profitto dei condannati di giugno? La Rèpublique esclama con quel sentimento d'indegnazione che vi anima:

«Noi non siamo che un debole eco delle grida di miseria che ci giungono ogni giorno da Belle-Isle o dall'Africa. Noi consegniamo alla pubblicità le doglianze dei detenuti, nella speranza che il Governo si farà un punto di onore di sollevare patimenti così atroci, oche almeno provocherà un esame serio sopra i fatti che noi rileviamo secondo e nostre corrispondenze. Le prigioni politiche non devono esser cambiate in sepolcri.»

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Voi non avete detto né meglio né meno, e siete tanto vicino delle verità quanto il giornale la Rèpublique.

Termino ciò che riguarda le prigioni, supplendo ad una nuova lacuna dei fogli che han tradotto le vostre lettere. Guardando nelle stesse più da vicino, il Governo di Napoli si fa più umano, perché voi finite convenendo ch' egli accorda «ai prigionieri politici il privilegio di una sala particolare, dove stanno in comune fra loro.»

Veramente le prigioni di Napoli non sono ancora l'anticamera dell'inferno!

Le doglianze relative alle carceri, alle prigioni ed al regime dei detenuti erano della stessa natura di quelle esaminate precedentemente, e meritavano la stessa giustizia.

Gettiamo un colpo d'occhio sulla

Sicilia

questo Eden oggetto dei vostri desideri, del quale voi non osate trattenere lord Aberdeen per timore di tradire i sentimenti che questa isola v'ispira; voi scrivete appena il suo nome, ma questo basta per farci conoscere quello che cercate dissimulare.

«In queste pagine, voi dite, non troverete alcuna illusione alla tolta impegnata, ed impegnata con successo dal Re di Napoli contro i suoi sudditi siciliani. Io non mi occuperò della condona delle partile quali direttamente o indirettamente visi trovavano interessate. L'oggetto del quale mi occupo è affatto differente: la condona del Governo di questo sovrano verso i suoi sudditi napolitani per la fedeltà e coraggio dei quali ha soggiogato la Sicilia.»

Le vostre riserve sono eloquenti. Il Re di Napoli vi saprà buon grado, signore, del silenzio col quale vi degnate coprire la condotta del suo governo verso gl'insorgenti siciliani. Ma perché incile reticenze? Se è il Re di Napoli che ha impegnato la lotta contro i Siciliani perché non dirlo francamente? L'Europa aveva creduto sino a questo giorno che la Sicilia si fosse rivoltata contro il suo sovrano, il quale, che che ne pensino lord Palmerston ed i suoi alleati del partito conservatore, sembra essere effettivamente il Re del Regno delle due Sicilie. Voi assicurate ch'egli ha soggiogato la Sicilia, servendovi della stessa espressione come se si trattasse di una nuova conquista, quasi si fosse impadronito di una delle dipendenze dell'impero britannico.

Spiacemi che il vostro pensiero non si fosse meglio sviluppato, perché sareste giunto ad esprimere chiaramente ciò che voi fate solamente capire: cioè che Ferdinando non ha alcun diritto sovrano sulla Sicilia, e che ha commesso un attentato contro l'indipendenza dei suoi abitanti, trattandoli come sudditi rivoltosi. Come il Re di Napoli sarebbe agli occhi vostri sovrano della Sicilia, quando voi dubitate perfino della legittima sua autorità nel regno di Napoli? Sì. signore, voi spingete la sfrontatezza sino a questo, e voglio notare tutto ciò che racchiudono le vostre lettere, all'ammirazione dei vostri amici conservatori del continente perché sembra ch'essi non vogliano dubitarne l'Inghilterra ed i mazziniani non devono più se non dividersi il regno delle Due Sicilie, in nome della ragione e del diritto sociale.

Voi dite a lord Aberdeen: «Passo sopra una considerazione importante, in quanto riguarda la base dell'autorità che Governa in questo momento il Regno delle due Sicilie, e non cercherò se agli occhi della ragione e del diritto sociale, il governo attuale di quel paese posseda o no un titolo legittimo, e se sia un Governo di diritto o di forza.»

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Come il Re Ferdinando avrebbe delle pretese legittime sulla Sicilia se non ha alcun titolo serio sul suo regno di Napoli, e se non vi esercita altro diritto se non quello della forza?

Ecco, o signore, fin dove siete giunto, voi che nella qualità di Presidente del magistrato di commercio (board of trade) avete negoziato e firmato un trattato con questo Re usurpatore. Sembra dunque che innanzi il tribunale della ragione e del diritto sociale, che voi invocate, l'autorità sovrana e legittima del reame napolitano riposa ancora fra lo mani dei membri del comitato di salute pubblica istituito il giorno 15 maggio?

Avrebbe questo comitato con un trattato segreto ceduto la Sicilia all'Inghilterra?

Il vostro linguaggio autorizza le supposizioni le più stravaganti, quando voi non esitate dare alla rivoluzione napolitano simili incoraggiamenti.

Quest'insulto al re delle due Sicilie, derisorio se voi ne foste personalmente l'autore, qual carattere ha preso il giorno in cui lord Palmerston vi ha aderito ed applaudito in nome del governo d' Inghilterra?

La Francia ed i governi dell'Europa non possono restare indifferenti a questa violazione ingiuriosa dei diritti più sacri. l'Inghilterra per impadronirsi della Sicilia, offrirà impunemente il regno di Napoli in premio allo esercito di Mazzini?

Oh! comincio, o Signore, a spiegarmi la fabbrica delle menzogne che voi avete innalzato nelle vostre lettere. La morale del vostro romanzo doveva esser di accordo colle premesse che avete posato. Che esiste in Napoli un governo di forza brutale, e non un governo di dritto. Era necessario mostrare sotto i colori più odiosi anche gli atti che non meritano rimprovero dell'autorità che governa in questo momento, affinché se la Sicilia lasciandosi nuovamente trascinare dai più perfidi consigli tentasse una nuova insurrezione, non vedesse più levar contro essa la fedeltà ed il coraggio dei sudditi napolitani.

Il loro attaccamento è stato ricompensato da una ingratitudine così ributtante, che voi sembrate sperare che essi non si apporranno più all'emancipazione della Sicilia e che si rifiuteranno di marciare all'appello del loro Re per fare tornare all'obbedienza i rivoltosi.

Se il vostro libello, signore, potesse ottenere questo risultato, il giorno della lotta, voi avreste meno cannoni e fucili a spedire per staglio nei porti dulia Sicilia.

Fosse ancora l'indomani del combattimento si troverebbero meno ufficiali inglesi fra le vittime dell'insurrezione. Non fa mestieri rammentare gli avvenimenti dolorosi che sono ancora a tutti presenti. Mi limito a rilevare le vostre riserve, e mettere le vostre reticenze alla riflessione dei governi amici delle due Sicilie.

La situazione nella quale si trova questo brillante gioiello della corona di Napoli sembra poco favorevole ai vostri disegni. La Sicilia si rimette dalle sue crudeli scosse ed il bravo Filangeri che ha schiacciato la rivolta, ha anche la gloria di cancellare le ultime tracce delle piaghe rimaste nel paese.

A rischio di contristarvi, signore, vi farò conoscere che malgrado i terribili avvenimenti che han desolato la Sicilia nel 1848 e 4849 la situazione dell'isola si migliora con maravigliosa rapidità. Così le istruzioni giudiziarie che nel 1848 erano state 10,160, non sono state nel 1850 che sole 8,732, ciò che da una differenza almeno di 1432 cause. Dopo che è ristabilito il governo del Re, le condanne a morte pronunziate dei consigli di guerra istituiti dall'ordinanza del 26 giugno 1848 han subito una rapida diminuzione.

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Nel 1849 i consigli han pronunziato 91 condanne.

Nel 1850 i consigli han pronunziato 64 condanne.

Nel 1851 i primi sei mesi i consigli han pronunziato 13 condanne.

Confesso che questi risultati fan poco onore agli agenti della propaganda inglese che danno molto da fare alla polizia in tutti i porti dove avete dei consolati. Ma importa poco. L'opera della pacificazione prosegue, ed i risultati ottenuti sono tanto più notabili, quanto i rivoluzionar i avevano aperto i bagni a 14 mila forzati che son rientrati nella società all'ombra dell'amnistia della quale han profittato. Il generale Filangeri è in Sicilia, ciò che il feld-maresciallo Radetzky è in Lombardia, l'occhio, il cuore, ed il braccio del Suo Sovrano. Protegge i cittadini pacifici ed onesti con non minore intelligenza della vigilanza clic mette a sorvegliare le genti sospette, e della fermezza nel castigare i colpevoli. La sua severità, a dispetto di quello che dicono i fogli rivoluzionari, non va però oltre i limiti assegnatigli dalla responsabilità che fa pesare su di lui la confidenza del suo Re; egli fa unire la fermezza alla clemenza.

Spiacemi, Signore, che voi non fate giustizia al bravo generale che ha mandato a vuoto con tanta abilità i piani di lord Palmerston; la sua presenza in Sicilia rimanda la loro realizzazione alle calende greche; però vi garantisco che egli non rassomiglia a lord Torrington. È vero che al vostro ritorno da Napoli e prima di pubblicare le vostre lettere a lord Aberdeen, voi vi siete separato dai vostri amici, quando la camera dei comuni fu chiamata a pronunziarsi sugli alti colpevoli del governatore di Ceylan, ma non per questo lord Torrington non ottenne l'approvazione del Governo e delle camere. Comechè io abbia detto qualche cosa della giustizia inglese che ho messa in rapporto della giustizia napolitana, i rimproveri diretti al Luogotenente della Sicilia mi rammentano gli atti di lord Torrington, i quali secondo i termini della mozione fatta nella camera dei comuni erano: ingiuriosi ai sentimenti di giustizia e di umanità dell'Inghilterra. La condotta del generale Filangeri non sarà mai una vergogna pel suo paese.

Nel 1848 Ceylan non ebbe a deplorare la sanguinosa insurrezione della Sicilia. Alcuni torbidi però allarmarono l'autorità. Si può formare un'idea esatta del loro carattere sapendo che furono acquetati senza costare la vita ad un sol uomo. L'ordine fu ristabilito senz'alcuna effusione di sangue; appena forse un soldato era stato leggermente ferito. La tranquillità la più perfetta successe a questo tentativo i di cui autori e complici furono arrestati.

Tali sono state le proporzioni dell'avvenimento. Ma lord Torrington com'esercitò la giustizia dell'Inghilterra? con quali atti di repressione questo degno rappresentarne del governo britannico fa brillare i sentimenti di umanità che animano lord Palmerston quando parla del regno delle due Sicilie?

Lord Torrington dapprima si diede la distrazione di proclamare lo stato di assedio che mante(me due mesi dopo di aver ricevuto l'avviso di toglierlo; intanto continuava a regnare la calma più. perfetta nell'isola la quale non offriva più il menomo sintomo di agitazione. I tribunali ordinari vi amministravano la giustizia come al solito. Lord Torrington non pertanto fece giudicare i colpevoli da un consiglio di guerra, dopo avergli fatto giungere col colonnello comandante le truppe, tal istruzione da fare spavento a tutti i Filangeri, gli Haynau ed i Radetzky degli stati barbari di Europa. Il colonnello scriveva al presidente del consiglio di guerra:

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«Desidero che facciate comprendere ai vostri uffiziali che io resto sorpreso come non abbiano condannato a morte i quattro prigionieri............. Dite loro che tutti quelli compromessi coi ribelli sono ribelli anch'essi, e che tutti i ribelli devono essere colpiti dalla pena di morte. Sir A. Oliphant ha emesso l'opinione che si procede con molta delicatezza con tale canaglia e si perde molto tempo nello esame delle prove in dettaglio............... Fate capire alla Corte che non è necessario l'entrare in dettagli. Basta sapere se il tale o il tale son compromessi perché essa pronunzi la sua sentenza................»

Confesso che il Governo napolitano ed il generale Filangeri non sarebbero di accordo coi principii di giustizia del nobile lord, che rappresentava a Ceylan i sentimenti umanitari della generosa Inghilterra.

Finalmente quali furono i frutti della giustizia marziale resa fra la tranquillità pubblica la più ammirevole?

Diciotto accusati messi a morte, e centocinquanta esiliati, imprigionati, o battuti colle verghe! Fra i condannati:i morte si trovava un prete la di cui complicità era ben lungi dall'esser provata. Il primo magistrato della Corona intervenne in suo favore, e supplicò lord Torrington di sospendere l'esecuzione affin di far valere le prove della sua innocenza. Senza riguardo perla dimanda del primo magistrato, lord Torrington fu irremovibile, ed il" prete fu giustiziato! Queste vendette barbare e mostruose si esercitavano nell'isola di Ceylan, nel 1848 inseguito delle turbolenze che non avevano costato una goccia di sangue.

Così l'Inghilterra intende la repressione; in tal modo essa pratica la giustizia; colla fronte ancora imbrattatati sangue versato, osa alzar la testa e parlare di diritti sacri dell'umanità! Ed i fogli democratici della Francia applaudiscono freneticamente a questa ipocrisia infornale!

No, l'Inghilterra non manderebbe un Filangeri a governare una delle sue isole. I suoi governatori devono essere propri al bisogno per adempire l'ufficio di carnefice. Né son tali gli uomini ai quali il Re di Napoli confida il deposito della sua patema autorità.

So che la barbarie di lord Torrington ha sollevato anche in Inghilterra un grido di orrore e di spavento; ma ha avuto, come ho detto, la sanzione del Governo e delle camere.

Questo è il punto che io voglio stabilire, onde far rilevare l'ipocrisia della scena rappresentata nell'ultima seduta della sessione, quando alla voce di lord Palmerston, la camera dei comuni si è commossa scioccamente per ciò che succede nel regno di Napoli.

l vostri lettori e i miei, cominciano a sapere quanto vogliono le vostre rivelazioni. Se voi giudicale a proposito di commuovere la filantropia inglese per le crudeltà del Governo napolitano, mi scuserete senza meno di far conoscere alla Francia ed all'Italia le tenerezze dell'Inghilterra per chi non riconosce la sua autorità, e che insorgono contro la sua potenza.

Sarei curioso di sapere, signore, se la Sicilia fosse nel numero delle dipendenze della corona britannica, come sarebbero stati castigati dal lord Torrington gli uomini che han preso parie alle rivoluzioni del 1848, e 1849? Avremmo veduto senza meno rinnovellarsi le scene che insanguinarono l'Irlanda nel 1798

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e se senza andar tanto indietro prendiamo per punto di paragone gli avvenimenti dell'Isole Ionie, e l'impresa mal concertata di Ceylan, due terzi della popolazione siciliana sarebbero passini sotto la mano del carnefice. La Sicilia non solamente si era rivoltata, ma gl'insorgenti eransi fatti padroni del paese.

Avevano stabilito un governo e giurato alzando la mano al Cielo che

Ferdinando II, non regnerebbe più sulla Sicilia. Il Re era stato dichiarato «pubblico parricida.» Una delle prime esecuzioni dei rivoltosi era stata quella di ammazzare a colpi di scure 52 uomini di polizia, fatti prigionieri; essi avevano saccheggiato l'abitazione reale, i di cui mobili furono distrutti e rubati; i bastioni di Palermo erano stati demoliti; le famiglie attaccate al Re avevano avute saccheggiate le case. In tal modo fu inaugurata la rivoluzione siciliana, di cui sedicenti pari e deputati offrirono in seguito la corona al Duca di Genova. Quai proporzione colla sommossa di Ceylan!

Ebbene, mentre che lord Torrington non voleva che i giudici si dassero la pena di cercare la prova della reità dei sollevati, il generale Filangieri lasciò vivere in pace in Palermo gli uomini che han votato la decadenza di Ferdinando, e che si son ricusati di firmare la ritrattazione, che la maggior parte dei membri delle due camere rivoluzionario hanno spontaneamente inviata al Re per farsi perdonare il delitto. Ferdinando non solamente ha perdonato a coloro che han fatto una onorevole ammenda, ma anche a coloro che non han dato alcun segno di pentimento.

Ditemi di grazia, Signore, in virtù della giustizia di Torrington e dell'umanità dell'Inghilterra, quale sarebbe stata la sorte di questi traditori? ma non vi dispiaccia, il governo napolitano è assai forte per potersi mostrare clemente. Ho creduto utile mostrar di passaggio agli abitanti della Sicilia coll'esempio di Ceylan, la sorte che sarebbe toccata ai loro sollevati più inoffensivi, se la loro isola avesse mai la fantasia di mettersi sotto il protettorato della filantropia britannica. Che la Sicilia profitti della lezione. Ritorno su quel che voi dite dell'autorità che governa in questo momento nel Regno delle due Sicilie, giacche debbo occuparmi di fatti che voi invocate per giustificare l'opinione che il governo attuale di questo paese è un governo di forza brutale spoglio di qualunque titolo legittimo.

Il fondo del vostro pensiero tal quale il compresi a traverso le persone con cui avete cura d'invilupparlo si è, che la costituzione data al Regno delle due Sicilie nel 1848 non essendo in vigore, e l'arbitrio essendo stato, secondo voi, sostituito alla legalità, il re spergiuro che ha violato il patto contratto coi suoi popoli, non ha più alcun dritto alla fedeltà e all'obbedienza dei suoi sudditi. Ferdinando ha sciolto, secondo la vostra teoria, i napolitani da qualunque obbedienza, mancando alla fede giurala. La quistione è delicata ed importante. Che avete voi a farmi sapere circa

Il Re e la costituzione!

«Dovrò dir dapprima che passo su di una considerazione preliminare importante, intorno a ciò che riguarda la base dell'autorità che governa in questo momento nel Regno delle due Sicilie. Io non m'incaricherò se per ragione e per dritto sociale il governo attuale di questo paese possiede o no un titolo, e se è questo un governo di dritto o di forza.

Supporrò che la costituzione di gennaro 1848 data e spontaneamente giurata come irrevocabile con le formule le più solenni, e che sin' ora non è stata rivocata né legalmente, né estensibilmente

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(perché essa è stata violata quasi in tutti gli atti del governo), supporrò, io dico, che questa costituzione non ha mai esistito, che essa è una pura finzione. Io non mi appellerò ad essa poiché quest'appello potrebbe far credere che io desidero mischiarmi nella forma del governo, e che mi metterò così in contraddizione coi doveri d'umanità che per me e per voi aveva solamente di mira scrivendo questa lettera.

La mia decisa opinione è, che sia più saggio e più sicuro considerare questo imponentissimo soggetto come una quistione interna, e che sia ancor questo mezzo convenevole di considerarlo. Spetta dunque al Sovrano del paese risolverla coi suoi sudditi, fuori qualunque intervento di parte nostra.... In conseguenza non devo adesso occuparmi di tale quistione, né alcuna allusione vi avrei fatta se non a causa della necessità di richiamare i fatti che vi han rapporto onde potere esplicare d'ima maniera qualunque la condona del governo di Napoli e dar pieno credito ai ragguagli così meravigliosi, siccome quelli che sarò a narrare.

Non devo qui dimenticare d'esprimere la persuasione in cui sono, che leggendo questa lettera sarete voi spinto a domandarvi come possa tenersi una condotta così inumana, cosi mostruosa senza un motivo, e quale possa essere questo motivo? Per rispondere interamente alla quistione dovrei fare l'istoria della costruzione napolitani). Ma pel momento e tanto che ho la speranza d'un pronto accomodo senza una controversia formate, mi rassegno alla posizione vantaggiosa in cui mi lascia la sospensione della risposta, benché lo intero sviluppo della mia tesi avesse bisogno certamente che questa risposta fosse data.»

È in questo modo, signore che vi esprimete su di una quistione in cui dite non volervi frammischiare, e non avere alcuna voglia di risolvere. Ma di grazia, come trattereste voi l'autorità che governa attualmente in Napoli se per caso avreste la fantasia di entrare in materia? Convenendo tutti che trattasi d'un affare interno, la cui soluzione è riserbata al governo ed ai sudditi degli Stati napolitani, e nel quale nessuna delle potenze di Europa, non esclusa l'Inghilterra non ha il dritto di mischiarvisi, voi insinuate nientemeno che per la ragione e il dritto sociale il governo attuate di Napoli è un governo di forza brutale; senza mischiarvi d'una quistione che non vi riguarda, dichiarate che la costituzione del 1848 non è stata legalmente rivocata, ma ch'essa è stata violata dal governo, e per non mostrarvi troppo severo vi degnate considerarla come non esser mai esistita. E che potreste dir di più se avreste il dritto di occuparvi degli affari interni di questo paese? I napolitani che cercano scusar la loro ribellione rimproverando al Re il suo spergiuro, non han giammai detto di più; essi non hanno mai espresso il loro odio per la dignità reale con termini più audaci, né tirato dagli ultimi avvenimenti politici delle conseguenze che più attentino al principio sacro dell'autorità.

La quistione della costituzione napolitana non vi riguarda, e voi frattanto confessate che avete bisogno di scrivere la sua storia per giustificare le espressioni d'inumano e di mostruoso di cui tacciate la condotta del Governo di questo paese? E a qual titolo adunque intervenite nelle altre quistioni delle quali ci avete ragionato? Non sono esse ugualmente interne come quelle della costituzione?

E come, signore, non avreste troncato quest'ultima contro il Re di Napoli (benché questa sia pur via d'insinuazione) quando avete deciso tutte le altre contro le autorità stabilite dal Governo, di cui voi cercate scrollare la base?

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Voi sembrate fare, signore, un atto di grande condiscendenza cuoprendo il potere colla protezione del vostro silenzio pel momento, e tanto che avete la speranza di un pronto accomodo. Come è dispiacevole che la vostra speranza sia ben tosto svanita! Voi la esprimete alla settima pagina della vostra lettera, ed appena arrivato alla quarantasettesima, cambiate d'opinione, e vi decidete a scrivere questa famosa storia, di cui vi siete da prima limitato a tirare la conclusione. Voi vi scuserete di questa ritrattazione d'opinione, esclamando: Nemo repente fuit turpissimus. Potreste ripeterlo per farvi perdonar lo sbaglio che avete commesso! Frattanto raccontateci l'istoria della costituzione: «Nel mese di gennaro 1848, dite voi, una costituzione fu accordala al Reame di Napoli. Essa fu proclamala e giurata dal monarca con le formule le più solenni, e fra la gioia universale del popolo. Uno dei padri Gesuiti di Napoli diceva in un sermone recitato il 15 aprile 1848:

«Il Sovrano non si è mostrato né assolutamente tenace, né inconsideratamente facile; egli ha temporeggiato ed ha nel medesimo tempo rigettato qualunque dimanda di costituzione finché evidentemente si è convinto che questa dimanda era la espressione universale di tutto il popolo e non il voto isolato di un partito. Egli si è degnato ceder con gioia mentrechè era ancora in suo potere di resistere. Così è staio dimostrato chiaramente ch'egli non concedeva per violenza o per timore, ma di sua propria e spontanea volontà.

«Il 15 maggio venne la lotta la cui origine di maniere oppostissime è raccontata, secondo le differenti opinioni delle persone Essa si terminò qualunque si fu, con una vittoria la più positiva e la più completa da canto del Re e delle truppe, e voglio citare qui qualche termine del monarca trionfante che rinnovo, Ila l'assicurazione già data riguardo alla costituzione.

«Napolitani!

«Profondamente afflitti per l'orribile calamità del 15 maggio, il nostro più vivo desiderio è di mitigarne per quanto è possibile le conseguenze.

«La nostra più decisa ed irrevocabile volontà è di mantenere la costituzione del 10 febbraro pura di qualunque vizio, e siccome essa è solamente compatibile coi veri ed immediati bisogni di questa porzione d'Italia, ella sarà l'altare sacrosanto sul quale devono riposare i destini del nostro benamato popolo e della nostra corona.

«Riprendete adunque le vostre ordinarie occupazioni, confidate con tutta la piena del vostro cuore nella nostra buona fede, nel nostro sentimento religioso e nel nostro giuramento sacro e spontaneo.»

Tutto in questa parte del vostro racconto è d'una perfetta esattezza. È vero che il Re, cedendo a' liberali consigli, promise il 29 gennaro 1848 una costituzione alte Due Sicilie, costituzione che fu pubblicata il 10 febbraio del medesimo anno. Questo Diploma rassomigliava molto a quello che aveva retto la Francia dopo il

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e che doveva sparire fra qualche giorno. Essa stabiliva una paria ed una camera di deputati. Quest'ultima doveva esser nominata dagli elettori che pagavano una tenue contribuzione. Avreste dovuto raccontare, signore, per intelligenza della quistione, d'una maniera ristretta gli avvenimenti che han preceduto la terribile catastrofe del 15 maggio. Per quanto diversi e contraddittori fossero i racconti delle parti impegnate nella lotta, i

l dovere dello storico consiste precisamente nel tirar la verità dal caos delle opinioni, e questo è ciò che voi non fate.

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Importa quindi sapere che nel mese di marzo si procedette alla elezione dei deputati sotto la influenza dei clubi già organizzali dal partito rivoluzionario quasi in tutte le province. Il risultato delle elezioni fu tal quale si attendeva da uomini che si facevano scudo della costituzione per covrire e proteggere i loro disegni. A Napoli per esempio la indifferenza fu tale, che in un collegio di cinque mila elettori il candidalo eletto giunse a riunire tre voti. Nel distretto e nei dintorni della capitale parecchi collegi non videro giungere nemmeno un votante. Questa era una prima protesta dei paesi contro i sedicenti costituzionali. Il ministero, che la forza delle circostanze aveva imposto al Re, forte per l'appoggio che andava ad incontrare nella camera dei rappresentanti, non ebbe la pazienza d'attendere l'apertura della sezione parlamentaria. Alla fine di aprile egli esigeva dal Re la promessa di modificare la costituzione dandole basi più larghe. Questa legge fondamentale sacra in tutto ciò che favorisce i piani dei progressisti, perde qualunque autorità a' loro occhi quando ella attraversa i loro progetti. Così non conveniva più agli adoratori della costituzione che i pari fossero lasciati a scelta del Re, e giunsero sino a circoscrivere lo esercizio di questa prerogativa reale alla scelta d'un candidato su tre nomi presentati dagli elettori; ciò non era una prima esigenza per arrivare a domandar l'abolizione della patria.

La rivoluzione, dopo aver trionfato a Parigi, percorreva mettendo sossopra la più gran parte d'Europa. La situazione era critica. Ferdinando fece delle concessioni; ma su parecchi punti importanti resistette con intelligenza e fermezza.

I deputati cominciarono a giungere in Napoli nei primi giorni di maggio. Quelli della Calabria si eran fatti accompagnare da masse armate di picozze, pugnali, pistole e fucili: questa era l'antiguardia della sommossa.

L'apertura del Parlamento doveva aver luogo il 15 maggio, e già prima di quest'epoca si avevano inteso risuonare gridi che domandavano una Assemblea costituente. Trattavasi sempre (non lo perdiamo di mira) di voti espressi da uomini di cui la costituzione era l'idolo!

II 14 maggio le assemblee preparatorie riunivano i deputati a Monteoliveto, in una delle sale del Palazzo municipale. La quistione del giuramento da prestarsi per la costituzione è messa in trattato. I membri presenti decidono che il potere esecutivo non ha il dritto d'esigere il giuramento dal potere legislativo. Il ministero approva questa risoluzione, che fu rigettata dal Re. Era giunta la notte che doveva precedere l'apertura delle camere. Il ministero complice in queste ree manovre, mette il colmo al caos con presentar la dimissione. Questo fu il segnale del disordine. Si cominciano ad innalzar le barricate gridando: il Re ci tradisce!

Ferdinando fra questa estrema confusione faceva prova d'una presenza di spirito e d'una energia ammirabile. Cercò scongiurare il pericolo e propose un mezzo termine per risolvere la quistione.

Egli offriva ai deputati il giuramento alla legge fondamentale riservandosi il dritto di svolgerla. I deputati presenti (in numero di ottanta circa) rigettano questa proposta esclamando ch'essi penserebbero che il Re non era che un uomo ed essi rappresentavano sei milioni di patriotti! In effetto, dopo alcune discussioni e qualche tentativo, si dichiaravano in permanenza nel palazzo municipale, nominavano un comitato di Salute pubblica, facevano battere la generale, ed innalzar le barricate sempre in nome della costituzione violata!

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Da qua! parte si trovavano gli spergiuri! All'una a. m. il Re faceva sapere ai rappresentanti che non insisterebbe più sulla quistione del giuramento: egli voleva togliere qualunque pretesto alla rivolta. Ma siccome sempre accade, una concessione porta una nuova esigenza. Sulla mozione del deputato Ricciardi si risponde alla offerta del Re domandando:

4. La consegna delle fortezze alla guardia nazionale.

2. Lo scioglimento della guardia reale, o la sua partenza per la Lombardia. Infine qualche membro più ardito aggiunse ancora con altra condizione:

3. L'abdicazione del Re e l'allontanamento di tutte le truppe a quaranta miglia dalla capitale.

Ecco onorevole signore, i fatti che possono aiutarvi a scoprine da qual lato sono gli spergiuri Napolitani, quali sono gli uomini la cui condotta inumana e mostruosa deve indeguarci. Perché mantenere un silenzio assoluto sulla congiura dei deputati per occuparvi del preteso spergiuro del loro Re?

Fu dopo queste concessioni successive dalla parte del Re, e queste esigenze dei deputati a ciascun minuto più arroganti, che s'impegnò la lotta. Se il combattimento cominciò assolutamente come quello di Parigi, il suo esito fu ben differente. l sediziosi credevansi sicuri della vittoria; ma l'ordine e il dritto trionfarono: la provvidenza vegliava sul trono di Ferdinando. La insurrezione di cui la costituzione fu il pretesto s' era fatta a gridare: morte al tiranno Borbone! Viva la Repubblica partenopea!

I costituzionali avevano lacerato la carta, Ferdinando, che voi accusate di averla violata, raccogliendo gli avanzi sparsi volle farne nuovo saggio prima di sospenderla. Promise di restarle fedele nel bel proclama che voi mi avete fornito l'occasione di citare. Il Re riuscirà a salvare la legge fondamentale malgrado la cospirazione dei deputati? Il primo atto al quale ebbe ricorso per salvarla fu di sciogliere la camera ribelle. Il principe Cariati, che diè in queste dolorose circostanze ammirabile testimonianza di divozione pel suo Re, era stato chiamato al ministero. Egli conosce i collegi per la nuova elezione. Da tutte le parti del Reame s'elevarono delle proteste contro un regime che minacciava la prosperità nazionale. Le elezioni permisero di valutare nuovamente quali erano le simpatie dei sudditi napolitani per i sogni del partito costituzionale. Gli affiliati dei clubi apparvero quasi soli allo scrutinio. Nella capitale, ove lo elemento costituzionale è più abbondante che altrove, sopra 9745 elettori insediati, 1400 appena si presentarono per volare!

Il prodotto delle seconde elezioni non valeva meglio del primo. I deputati eletti non rappresentavano in realtà che il partito rivoluzionario. La sessione del 1849 non tardò in effetto a mostrarci una opposizione faziosa, il cui solo scopo era di mettere ostacoli al cammino del Governo e dell'amministrazione. Uno scioglimento divenne ancora necessario; gl'interessi generali del paese lo comandavano. Il Re aveva a sottomettere la Sicilia, e ribattere gli avvenimenti che poteva suscitare la seconda guerra della Lombardia, e il regno dei mazziniani a Roma.

Si videro allora le municipalità, i consigli dei distretti, tutti i differenti ordini legali delle diverse classi della società inviare al Re innumerevoli petizioni supplicandolo non voler convocare di nuovo il Parlamento. Queste petizioni mostrano sino alla evidenza che i napolitani si curano ben poco del sistema rappresentativo, ch'essi non han giammai desiderato e forse giammai compreso.

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Un gran numero di consigli distrettuali, e la più parte dei consigli generali emisero il voto che la costituzione fosse abolita. Ferdinando non ha fatto che sospenderla benché la esperienza fatta nel 1848 e nel 1849 avesse dimostrato che la costituzione non era che un gradino per arrivare a stabilir la Repubblica Italiana. I rappresentanti della rivoluzione avevano lacerato il patto fondamentale; gli avvenimenti della sanguinosa giornata del 15 maggio avevano sciolto il Re dal giuramento di cui voi citate la formula come un atto accusatorio.

Passando sotto silenzio tutte le circostanze che han preceduto, condotto e comandato la sospensione della costituzione onde accusare la condotta del Re, voi ne rammentate a lord Aberdeen le disposizioni.

«Vi do ora gli estratti di questa costituzione. Essa comincia così, ed io chiamo un'alienazione particolare sul suo solenne preambolo:»

«In quanto riguarda il nostro atto sovrano del 29 gennaro 1848 col quale, conformemente al desiderio unanime dei nostri fedeli sudditi, abbiamo pronunziato di nostra volontà, piena, intera e spontanea di stabilire in questo Regno una costituzione conforme alla civiltà dei tempi, e della quale indicammo allora con alcuni rapidi cenni le basi fondamentali, riserbandoci di ratificarla, quando sarà redatta uniformemente ai suoi principii dal nostro ministero di Stato nello spazio di dieci giorni.

«Determinato a dare immediatamente effetto a questa risoluzione fissata nella nostra mente;»

«Nell'augusto nome del Santissimo ed Onnipotente Dio, Trino ed Uno, al quale appartiene di leggere nel fondo del cuore, e che invochiamo ad alta voce come giudice delle nostre intenzioni e della nostra sincerità senza riserba, colle quali abbiamo risoluto d'entrare nelle vie di un nuovo ordine politico;»

«Avendo inteso, dopo matura deliberazione, il nostro Consiglio di Stato,»

«Ci siamo decisi a proclamare e proclamiamola costituzione seguente, come irrevocabilmente ratificata da noi.»

Che significano queste citazioni? Non altro che il Re Ferdinando, promettendo e concedendo una costituzione, ha creduto cedere al desiderio unanime dei suoi sudditi. Egli ha giurato innanzi Dio e con tutta sincerità che sarebbe fedele alle sue disposizioni, ed ha adempito al suo impegno di un modo tanto scrupoloso, che lo ha rispettato, anche dopo esserne stato rilevato da una violazione della quale i suoi sudditi si sono resi colpevoli.

La costituzione obbligando il Re, obbligava ancora i napolitani Una costituzione è un contratto sinallagmatico che pesa sopra ognuna delle parti, e che non è meno obbligatorio per quelli in favore dei quali è fatta la concessione di certi dritti, come per colui che s'impegna a farla.

Se la sospensione della costituzione napolitana accusa uno spergiuro, io trovo negli uomini ch'erano stati eletti per formare la camera dei deputati, ed i loro complici al di fuori: il solo Re di Napoli è rimasto fedele alla parola giurata! Voi soggiungete:

«Basta allo scopo che io mi propongo di citare quattro articoli delle disposizioni particolari della costituzione.

«Art.1. il Regno delle due Sicilie sarà all'avvenire sottoposto ad una monarchia limitata, ereditaria e costituzionale sotto la forma rappresentativa.

«Art.4. Il potere legislativo risiede nella persona del Re e di un parlamento nazionale composto di due camere, una di pari e l'altra di deputati.»

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«Art.14. Alcuna natura d'imposte non può essere decretata se non in virtù della legge, non escluse le comunali.»

«Art. 24. La libertà personale è garantita. Nessun individuo può essere arrestato se non in virtù di un atto conforme alla legge, emanato da un' autorità competente.»

Voi credete riguardo all'articolo i che la monarchia napoletana è assoluta ed limitata; dunque questo articolo è violato.

Sull'articolo 4 giustificate che non esiste né camera di pari, né camera di deputati; dunque questo articolo è violato.

Per l'articolo 14 voi dite che tutte le imposte essendo decretate e percepite dal solo Re, questo articolo è ancora violato.

L'articolo 24 non è meno spontaneamente violato; gli arresti e le carcerazioni arbitrarie abbondano infatti nelle vostre lettere. Voi aggiungete: «Tale è lo stato dei fatti in quanto riguarda l'origine della costituzione napolitana, le disposizioni e la condotta attuale del governo del paese, condotta che è in contraddizione colla legge fondamentale, che ha violato ciascuna delle sue disposizioni.»

Ed io vi domando, signore,

Se il regno di Napoli dopo le concessioni del Re Ferdinando non ha un governo rappresentativo, di chi è la colpa?

Se le camere non sono riunite, dovete domandarne conto agli elettori ed ai loro mandatari.

Se il parlamento si è sciolto coi propri atti, a chi ritorna il dritto di decretare le imposte*

Se hanno avuto luogo arresti per delitti e reati politici, è forse il governo che ha fatto le barricate, che ha gridato, morte al Borbone! e dato il segnale della guerra civile?

Lo studio dei fatti e la buona fede la più semplice vi aiuteranno a risolvere tali quistioni ad onore del governo napolitano, il quale è molto meno assoluto di quello che pensate.

Voi sarete, lo spero, del mio avviso quando saprete che le ventidue province della monarchia delle due Sicilie han veduto nel 1851 riunirsi i consigli generali, i cui avvenimenti degli ultimi tre anni avevano, grazie al partito costituzionale, sospeso le deliberazioni ed i travagli. Questi consigli sono composti di proprietari scelti a proposta dei rappresentanti delle comuni. Le attribuzioni di queste assemblee vi daranno qualche idea dell'assolutismo che pesa sul paese.

1. L'esame e la discussione delle proposizioni dei consigli distrettuali.

2. Lo stato discusso delle province, la percezione, l'impiego dei fondi e la verifica dei conti dell'anno che precede la sua riunione.

3. Lo stato amministrativo delle province, la condotta e la capacità dei funzionari pubblici, i miglioramenti da introdurre nell'amministrazione.

4. La nomina dei direttori dei lavori pubblici, e l'esame di tutte le proposizioni relative all'impiego dei fondi destinati a questi travagli.

5. La ripartizione dell'imposta fondiaria, ecc. ecc.

Amerei onorevole signore, che mi faceste comprendere, come un paese che possiede corpi deliberanti composti di proprietari scelti dai rappresentanti delle comuni potrebbe gemere sotto la verga del dispotismo?

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Quando i consigli generali hanno il diritto di censurare la condona di tutti i funzionari dall'Intendente o Prefetto sino all'ultimo impiegato; quando essi fissano io stato discusso e le spese destinate ai lavori pubblici, tutte le spese dell'amministrazione provinciale; quando questi consigli sono incaricati di vegliare a tutto ciò che può contribuire al benessere delle popolazioni, io vi domando, simili istituzioni qual luogo possono lasciare all'arbitro, all'assolutismo, al dispotismo del governo centrale, anche quando non sedessero le camere? Voi, signore, avete lasciato Napoli portando con voi pregiudizi che una conoscenza più perfetta del paese avrebbero certamente dissipato. Ed in quanto alla costituzione, se se ne è sospeso l'esercizio, dirigete le vostre doglianze al partito il quale, prima di entrare nel godimento che essa gli concedeva, ha cercato farne un' arma per arrivare alla realizzazione dei rei progetti. Il partito colpevole di attentato contro la costituzione napolitana è quello stesso che per le sue violenze ha distrutto quella di Toscana e io Statuto di Roma. Che sono divenute le cognizioni strappate dagli avvenimenti del 1848 all'Austria, alla Prussia ed a tutti i piccoli Stati germanici? Gli uomini che le avevano esatte le han lacerate poco dopo averle ottenute perché insufficienti a soddisfare i loro desideri. l manifesti del Comitato centrale di Londra avrebbero dovuto insegnarvi qual genere di costituzioni desiderano i rivoluzionaci che nel 1848 hanno alzato le barricate in tutte le capitali dell'Europa. Essi vi ripetono ogni giorno, che vogliono una repubblica universale, nella quale la vostra bella Inghilterra sarebbe ammessa all'onore di essere una delle province. Se la sorte di talune costituzioni vi affligge, non cercate fra i re, gli spergiuri che han dato loro la morie.

Catechismo dello spergiuro

Dopo la pubblicazione delle vostre lettere non passa un giorno senza che io trovi nei giornali dell'Inghilterra, della Francia, della Germania o della Italia qualche articolo su di un piccolo libro molto diffuso in Napoli, e che voi indicate come lo scritto il più detestabile che abbiate mai veduto. Questo libro, voi dite, forma un «tutto compatto colla consistenza ed il completo che possono appartenere alla frode, alla falsità, all'ingiustizia, all'empietà. Queste dottrine false, basse, demoralizzanti, qualche volta burlesche, ma più soventi orribili, sono inviluppate di frasi religiose in questo libro abbominevole Vi è una filosofia sistematica di spergiuro all'uso dei monarchi.»

Sulla vostra testimonianza, e gli estratti che voi ne date, questo scritto è stato chiamato un Codice di spergiuro, ed anche un Catechismo d'inferno! Sembra che la esagerazione non abbia più limiti, perché qui non si tratta solamente di accusare il Governo, ma di mettere in causa la Chiesa cattolica nei suoi insegnamenti alla gioventù. Infatti, qual trionfo per l'umanità ed il protestantesimo di prendere in delitto flagrante il clero napolitano che insegna dottrine demoralizzanti e orribili? Se un membro del clero di Napoli è l'autore di questo libro, la frode, la falsità, l'ingiustizia, e l'empietà devono necessariamente abbondarvi! Ciò non può essere oggetto di dubbio; ma esaminiamo insieme se questo libro sia realmente una produzione d'infermo. Cito il vostro preambolo:

«Sono obbligato ad aprire un' altra sorgente di prove, dalla quale scaturirà nel modo il più doloroso e più ributtante il quadro dello stato, della continuità e dalla perfetta organizzazione del sistema che ho dovuto per mio dovere sforzarmi di esporre e denunziare.

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Non ho bisogno di far osservare che nel regno di Napoli, la stampa e la educazione pubblica sono sotto il controllo dei Governo, e che senza entrare nel dettaglio delle eccezioni che i conflitti interessali del clero fanno a questa regola, nessuna cosa s'insegna o si stampa senza la sanzione di quest'ultimo, e senza che fosse nel suo spirito.»

«Vi cito, riferendovi alla medesima, l'opera la più singolare e la più detestabile che mi abbia mai veduto; essa è intitolata; Catechismo filosofico per uso delle scuole inferiori; ed ha per epigrafe: Videte ne quis vos decipiat per philosophiam: Ne ho due edizioni; l'una stampala così: Napoli presso Raffaele Miranda, largo delle Pigne n. 60, 1850; l'altra fa parte d'una collezione intitolata: Collezione di buoni libri a favore della verità, e della virtù, Napoli, Stabilimento tipografico di A. Ferla, strada Carbonari, n. -104, 1850. Sono così esplicito, perché altrimenti potrei ancora eccitare un ragionevolissimo sorriso d'incredulità.»

II possedere questo Catechismo filosofico vi da su di me un vantaggio prezioso. Vi confesso che non conosco né l'edizione che possedete né alcun'altra. Non posso valutare il libro se non sulle vostre analisi e le vostre citazioni. È certo che voi avete procurato di scegliere i passi più propri a giustificare la vostra tesi, cioè a dire i più tristi. Altronde è difficilissimo di apprezzare uno scritto sulle citazioni date in un'altra lingua. Il traduttore come il pittore trova difficile il riprodurre i colori originali, e quando è dominato da un'idea preconcepita, è da temere che non dia alla copia le Unte che più corrispondono ai suoi gusti. La mia posizione quindi offre un doppio svantaggio. Son ridotto a giudicare sopra citazioni isolate, e riferirmi ad una traduzione. Privo di altre armi, accetto quelle che mi offrite pel combattimento. Non dobbiamo perder di vista che si tratta di un Ristretto di filosofia all'uso delle scuole primarie. I principi annunziati devono essere perciò adattati alle tenere intelligenze alle quali l'autore si dirige. L'epigrafe del libro: Videte ne quis vos decipiat per philosophiam, mi sembra perfettamente adatta al suo scopo, e l'accetto come una saggissima raccomandazione.

Andiamo al suo insegnamento.

«La dottrina del primo capitolo, voi dite., si fonda, che attualmente deve insegnarsi alla gioventù una vera filosofia, per contrapposto della falsa filosofia de! liberali, che è professata da taluni uomini viziosi, che desiderano render gli altri viziosi e malvagi come loro. Indi si descrivono i caratteri coi quali sì possono riconoscere questi filosofi liberali, dei quali uno, è la disapprovazione degli atti vigorosi de ira u* tonta legittima. Essi producono (segue ad insegnare) ogni sorta di mali, e soprattutto l'eterna dannazione dell'anima. Allora il discepolo domanda con gran semplicità, se sieno tutti ugualmente malvagi; e la risposta è; no, mio figlio, perché gli uni sono ostinati ingannatori, gli altri poveri illusi; però battono la stessa via, e se non cambiano direzione, arriveranno tutti alla stessa fine.»

Mi permetterete senza meno, signore, di passare sul commentario che voi fate a* queste righe. Accetto la vostra traduzione, ma le vostre conclusioni non potrebbero servir di accusa ali' autore del Catechismo. Perché non precisate ciò che esiste di demoralizzazione e di orribile in questo capitolo? Vi confesso che se dovessi essere anche colto dall'anatema che voi pronunziate contro il clero che propaga questi principi, non esiterei, di accettarli.

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Il clero francese non è meno' colpevole di quello di Napoli, perché non risparmia sforzi onde combattere i disordini della falsa filosofia. Per sottrarsi. il giogo di questa ha reclamato da lungo tempo la libertà d' insegnamento; perché in Francia, come nel regno di Napoli, i propagatori della falsa filosofia cercano di render gli altri viziosi e malvagi al par di loro. La Francia deve alle loro dottrine i mali che l'opprimono, e dai quali difficilmente si rimette; una falsa filosofia non genera solo te calamità temporali, ma la Chiesa che la combatte si spaventa soprattutto dei mali clic produce nell'ordine spirituale, e che traggono seco la dannazione dell'anima. Ora come la missione della Chiesa è di salvare le anime, uno dei suoi doveri più imperiosi è di combattere la falsa filosofia sono tutte le forme. Onore dunque al clero napolitano che adempie coraggiosamente il suo mandato! Onore al governo cristiano che seconda i suoi sforzi por impedire la propagazione delle dottrine che producono la rovina dogli. Stati e quella delle anime. La gioria più bella e più duratura che possono ambire la Chiesa e lo Stato, sarebbe quella di estirpare i) male nella sua radice, e purgare gli Stati napolitani dalle cattive dottrine che sotto il nome di filosofia hanno spinto la Francia sul l'orto del precipizio, e condurranno l'Inghilterra ove forse voi non vorreste vederla.

Tutti i cattolici ortodossi devono quindi, o signore, combattere la falsa filosofia della quale parla il catechismo napolitano, e la dottrina del primo capitolo di questo libro mi sembra tanto salutari; ed immeritevole di rimproveri, quanto a voi sembra abbominevole.

Che trovate poi di tristo nella domanda del fanciullo ohe interroga il suo maestro per sapere «se tutti quelli che portano la barba od i baffi sono filosofi liberali?» Quando in un paese una setta politica o religiosa affetta una toletta bizzarra, o un costume particolare, non è cosa molto naturale che un ragazzo faccia questa domanda? Nei paesi dove gli ebrei portano un vestito distintivo, non sono riconosciuti alla loro barba ed ai loro abiti? In una certa epoca in Francia il portare la coccarda non era un segno di adesione alla forma del governo stabilito? Non abbiamo noi avuto dei giustacuori e dei cappelli rivoluzionari? Se in Italia un partito politico. ed anti-religioso ha convenuto come seguo d'intelligenza la barba tagliata in una certa forma, la domanda dal ragazzo non è naturalissima?

La risposta del maestro dev'essere sensata, e tale quale si può aspettare, perché voi non la riproducete. Voi aggiungete:

«Nei capitoli seguenti, l'allievo è introdotto nella vera natura del potere sovrano. L'autore nega completamente l'obbligazione di sottoporsi alle leggi in una democrazia, perché, egli dice, sarebbe essenzialmente assurdo che il potere governativo risedesse nei governali, ciò che Dio non darebbe loro. In conseguenza non vi sarebbe potere sovrano negli Stati. Uniti. In tal modo sotto pretesto di lealtà e di religione, ti propaga la dottrina la più rivoluzionaria ed anarchica.»

Un autore cattolico, o signore, non ha detto mai né avrebbe potuto dire chi nelle democrazie non si è obbligato a sottoporsi alle leggi. Se l'autore del ristretto filosofia ha avanzato una simile proposizione, non l'ha fatto manifestamente, se non mettendosi nell'ipotesi di una democrazia anarchica, cioè a dire una democrazia nella quale ogn'individuo essendo sovrano, il potere sovrano non esista realmente.

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Ora vi è una gran differenza tra una simile; democrazia e la repubblica degli Stati uniti, la quale possiede un potere cui son soggetti tutti i cittadini, e le cui leggi sono in conseguenza obbligatorie. Ma se noi comprendiamo bene la vostra analisi, a traverso la sua costruzione equivoca, non è l'autore del Ristretto che nega la obbligazione di sottoporsi alle leggi degli Stati democratici, ma siete voi che gli attribuite questa negazione come conseguenza dei suoi principi. Ora una lai conseguenza è sforzata. L'autore del Ristretto filosofico ragiona mettendosi nella ipotesi di un governo monarchico ereditario, e non in quella di una repubblica federativa. Le vostre citazioni mi danno cagione; io le continuo:

«Il potere sovrano, c'insegnano, non è solamente divino (asserzione sulla quale non discuterò coll'autore), ma è illimitato non solo in fatto, ma ancora nella sua natura, ed in ragione della sua origine divina, Tocchiamo ora all'oggetto del libro pel quale i saggi napolitani han portato dal cielo questa filosofia per metterla al livello delle scuole primarie. Questo potere non può necessariamente esser limitato dal popolo, il cui dovere è quello di obbedirlo.»

«Il discepolo. Può il popolo stabilire da se stesso le leggi fondamentali in uno Stato?»

«Il maestro. No, perché una costituzione o legge fondamentale limita necessariamente la sovranità, la quale non può essere ristretta, limitala se non da un atto di sua propria volontà, senza di che essa non costituirebbe più l'alto potere sovrano che è stato ordinato da Dio pel bene della società.

«Continuo a tradurre perché il soggetto vale la pena di esser tetto, si vedrà che i punti della quistione napolitana sono così rilevati, da non potersi sbagliare, e si giustificano colle abbominevolì dottrine che vi sono inculcate.

«Il discepolo. Se il popolo eleggendo un sovrano gl'imponesse cene condizioni e restrizioni, tali condizioni e restrizioni formerebbero la costituzione, e la legge fondamentale dello stato?

«Il maestro. Sì, purché il sovrano le avesse liberamente accetta te e ratificale; in caso diverso, no, perché il popolo, che deve obbedire e non comandare, non può imporre una legge al sovrano che riceve la sua potenza non da' suoi sudditi, ma da Dio.

«Il discepolo. Supponghiamo che un principe prendendo la sovranità di uno stato, abbia accettato e ratificato la costituzione o legge fondamentale di quello stato, e che abbia promesso o giurato di osservarla; è egli obbligato a mantenere questa promessa, e mantenere questa costituzione, questa legge?

«Il maestro. È obbligato quante volte ciò non rovesci le basi della sovranità, e non s'opponga agl'interessi generali dello stato.

«Il discepolo. Perché credete che un principe non sia tenuto di osservare la costituzione, quando questa offenda i diritti della sovranità?.

«Il maestro. Abbiamo già veduto come la sovranità sia il potere supremo, ordinato e costituito da Dio nella società, pel bene della società, e questo potere concesso e reso necessario da Dio deve esser conservato intero ed inviolabile, non può essere ristretto o indebolito dall'uomo senza mettersi in conflitto colle leggi della sua natura e colla volontà di Dio. Quante volte il popolo propone una condizione capace d'indebolire la sovranità, e. quante volte un principe promette osservarla, la proposizione è un' assurdità, e la promessa è nulla.

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Il principe non è tenuto di mantenere una costituzione che è in opposizione coi comandamenti di Dio; ma è obbligato mantenere intatto il potere supremo stabilito da Dio, e che Dio gli ha confidato.

«Il discepolo. Perché sostenete che il principe non è tenuto di mantenere la costituzione, quando la trova contrario agli interessi dello stato?

«Il maestro. La missione data da Dio al potere supremo è quella di fare il bene della società. Dunque, il primo dovere di colui che ne è investito dev'essere quello di procurare questo bene alla società; or se la legge fondamentale gli è contraria, e se la promessa fatta dal sovrano di osservarla, l'obbliga a sostenere ciò che nuoce allo stato, la legge resta nulla, e la promessa senza effetto. Supponete che un medico abbia promesso e giurato ad un ammalato di salassarlo, se di poi si convincesse che un tal salasso gli sarebbe fatale, egli deve astenersi di farlo, perché al disopra di qualunque promessa, di qualunque giuramento, vi è l'obbligo che ha il medico di travagliare alla cura del suo ammalato. dello stesso modo se il sovrano trova che la legge fondamentale nuoce al suo popolo, è obbligato ad annullarla, perché malgrado tutte le promesse e tutte le costituzioni, il dovere di un sovrano è di vegliare alla felicità del suo popolo, in una parola, un giuramento non può essere la obbligazione di fare un mole, ed in conseguenza un sovrano non può essere obbligato di fare ciò che nuocerebbe ai suoi sudditi. Altronde il capo della chiesa ha conferito da Dio il diritto di assolvere la coscienza da un giuramento, quando trovi per questo delle ragioni sufficienti.»

Mi rassegno, o signore, a citare lungamente ed integramente, perché cerco sempre le dottrine abbominevoli ed orribili del Catechismo filosofico, Se accorciassi le vostre citazioni sarei accusato di frode. A misura che m'inoltro, continuo a dispiacermi che non abbiate segnato ciò che trovate di ributtante in questo insegnamento.

Il maestro ha solamente sinora esposto i principi elementari del diritto sovrano in un governo monarchico.

Non vedo nulla che possa applicarsi alla repubblica americana, né alla conclusione da voi tirata, che, secondo questo catechismo, non vi sarebbe Potere sovrano negli Stati-Uniti. L'autore che si dirige ai fanciulli non deve occuparsi delle diverse teorie governative, ma parla loro della monarchia napolitana e dei principi sopra i quali è basata. Ora la esposizione di questi principi è inattaccabile nella sfera e sul terreno nel quale si metto l'autore. Credete voi per caso che il giuramento di adempiere una cattiva azione possa impegnare la coscienza? In virtù di quale legge morale un sovrano sarebbe tenuto a rispettare le clausole di un contratto ch'egli non avrebbe accettate? Sono obbligato a seguirvi in questi dettagli. In quanto alla potestà del Sovrano Pontefice di assolvere da certi impegni, è una quistione sulla quale i cattolici non han mai preteso. d' imporre la loro fede ai protestanti, nemmeno ai membri della chiesa anglicana, che si credono i più ortodossi. Continuo le citazioni:

«Il discepolo, A chi appartiene di giudicare se la costituzione offenda la sovranità, e sia contraria al ben essere del popolo?

«Il maestro. AI sovrano, perché l'alto Potere predominante stabilito da Dio nello Stato, risiede in lui per il buon ordine e per la sua felicità.

«II discepolo. Ma non vi è pericolo che il sovrano possa violare la costituzione senza giusta causa, sotto la illusione dell'errore, o la impulsione dulia passione?

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«II maestro. Gli errori e le passioni sono le malattie della razza umana; ma i benefici della salute non devono essere ricusati per timore della malattia.

«Così del resto. Non rileverò tutte le dottrine false, basse, demoralizzanti qualche volta burlesche, ma più sovente orribili, che ho trovate inviluppate di frasi religiose in questo abbominevole libro, non ho voluto semplicemente sollevare un grido generale ed eccitare la indignazione, ma offrire, senza passione, a lato di questa indegnazione, un quadro chiaro, distinto, per quanto è possibile, di questo oggetto così commovente.

«Dico che abbiamo in esso una filosofia sistematica di spergiuro all'uso dei monarchi perfettamente adatta ai fatti attuali della storia napolitana negli ultimi ire anni e mezzo, pubblicata colla sanzione del Governo, ed inculcala colla sua autorità. Questo Governo ha il più bello titolo per proclamare questi precetti, perché si è mostrato maestro nella loro applicazione.»

Io doveva, come voi altronde l'avete fatto, trattare la quistione della costituzione prima di occuparmi dal codice detto spergiuro. Ora io credo aver mostrato colla evidenza dei fatti, che il Re Ferdinando non ha violato la legge fondamentale, ch'egli ha cercato al contrario con tutti i mezzi, ed anche dopo la crudele esperienza del 15 maggio, mettere in vigore le sue disposizioni. L'esercizio ne fu sospeso dal fatto dei rivoluzionari, quando i loro iniqui atti non lasciavano più alcun dubbio sull'uso al quale speravano far servire questa costituzione, che il Re Ferdinando e i suoi leali sudditi sperano vedere un giorno in pieno vigore.

Se dunque, come io ho stabilito, il Sovrano non ha, mancato il suo giuramento, quid bisogno aveva egli del Catechismo dello spergiuro? Dimenticate dirci se questo libro abbominevole non era diffuso negli Stati napolitani in una epoca in cui il Re non avesse a cercarvi la sua giustificazione? Ed altronde, questo libro, che mi duole non conoscere se non per le vostre citazioni destinate ad estranio il veleno, non vi ha ancora fornito una parola che possa servire anche di pretesto alle vostre calunnie! Voi citate ciò che avete trovato di più immorale nelle sue pagine; ebbene! queste citazioni stesse sono pure di qualunque frode e di qualunque empietà. In quanto a me applaudisco altamente le sue dottrine, e deploro che uno scrittore (Mac-Farlane). il quale vi ha d'altronde confutato di una maniera solida, vi abbia dato su questo punto un'ombra di ragione, dicendo che si trattava di un affare di preti, nel quale il Governo non ha preso parte.

Ignoro, signore, se l'autorità napolitana abbia realmente sanzionato la propagazione di questo libro; ma non per questo son disposto a darvi in potere più i preti di Napoli che il Governo del paese, quando voi li calunniate di un modo così indegno ed ingiusto, quanto le vostre recriminazioni contro l'autorità temporale sono prive di fondamento.

Il clero napolitano, signore, non è né coi suoi atti né col suo insegnamento primario, complico di una politica, che voi avete chiamato la negazione di Dio eretta in sistema, di governo. Io non vedo nel vostro rapporto, spogliato degli errori che vi abbondano e delle esagerazioni che ne oscurano la realtà, altra cosa se non un potere onesto e religioso che seconda l'azione del clero, lasciandogli la libertà del bene. La condotta del clero napolitano mi rammenta il dispiacere che la falsa filosofia non sin combattiti» in Francia colla stessa libertà consigli stessi mezzi, prima di aver potuto produrre i frutti che noi vediamo oggi.

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L'autore del Catechismo filosofico può rivendicare la sua opera, ed il clero non deve arrossire della complicità di cui lo accusate.

«Questo catechismo, voi dite, non porta il nome del suo autore, mi si è detto che fosse opera di un ecclesiastico, che io mi astengo di nominare, perché non importa allo scopo che rei propongo, basta dire, ch'egli è, o che è stato alla testa della commissione di istruzione pubblica. Egli ha dedicato la sua opera ai sovrani, ai vescovi, alla magistratura, ai maestri della gioventù, ed a tutti coloro che sono ben intenzionati. Nella epistola dedicatoria, annunzia che l'autorità sovrana ingiungerà d'insegnare gli elementi della filosofia civile e politica in tutte le scuole; che un tale insegnamento sarà basato su questa sola opera, affinché la purità della dottrina non possa essere alterata; che gl'istitutori saranno secretamente sorvegliati onde non trascurino i loro doveri, e nessuno di essi otterrebbe la rinnovazione annuale della sua nomina senza un certificato che ne attestasse lo adempimento; in tal modo questo libro sarà moltiplicato sotto mille forme, potrà circolare in tutte le mani ed il Catechismo filosofo porterà il perfezionamento della gioventù pigliando posto nelle mani della medesima dopo quello del cristiano.»

Non vogliate dispiacervene, queste sono delle garanzie in favore di quel libro. Se non fosse irrimproverabile, i prelati ai quali è dedicato ne respingerebbero le dottrine, perché voi dovreste non ignorare che i vescovi Napolitani professano sul giuramento e le sue obbligazioni, come tu tutt'altre quistioni che interessano la coscienza gli stessi principi dei vescovi cattolici d'Inghilterra. La Chiesa non ha teorie limitate alla esigenza di certi tempi e di certi paesi, ma le sue teorie sono molto elevate ed estese per potersi applicare in tutti i tempi ed in tutti i paesi. L;; dottrine della Chiesa sono in armonia così perfetta colle leggi dell'ordine naturale, dell'ordine morale e dell'ordine politico (qualunque egli fosse) come con quelle dell'ordine soprannaturale.

Voi convenite «che la Chiesa di Napoli è preseduta da un Cardinale Arcivescovo, uomo di alta nascila, semplice nelle sue maniere e interamente dedicato alle funzioni del suo sacerdozio.» Ora come spiegherete che questo venerabile Arcivescovo adempierebbe fedelmente le funzioni del suo sacerdozio, se lasciasse insegnare nelle scuole, che voi dite sottoposte al controllo del clero, la frode, la falsità, la ingiustizia e (a empietà? Gli arcivescovi della chiesa anglicana possono ancora adempiere le funzioni del loro sacerdozio, perché il lanciar fare ha una gran parte nelle loro attribuzioni; ma non sarebbe così né in Napoli né in alcun paese cattolico. Quando lo insegnamento della gioventù è sottoposto al controllo del clero, un tale insegnamento è puro da qualunque immoralità, anche nei principi elementari della filosofia che propaga.

Vi confesso che questo Catechismo mi sembra tanto triste nelle sue dottrine quanto il Re ed il governo sono barbari n«i loro atti. Noi abbiamo svolto questo piccolo trattato come avevamo frugato nella condona dell autorità. La empietà e la infamia che voi vi vedete, non sono meno immaginarie della crudeltà e dei fatti di barbarie sopra i quali voi invocate la esacrazione dell'Europa.

Giacché ci occupiamo del clero, dopo l'orribile insegnamento delle scuole primarie, che altro avete ancora a rimproverargli?

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Le denunzie del confessionile.

«Io scrivo, voi dite, in un momento in cui il sentimento pubblico di questo paese è vivamente eccitato contro la chiesa cattolica romana, ed io non devo di proposito lasciar lungi) alle induzioni estreme che potrebbero esser tirate in pregiudizio del suo clero nel regno di Napoli, induzioni che io so o penso non essere appoggiate sopra fatti. Questo clero regolare e secolare è fuor di dubbio Imi corpo di un carattere misto, che io non voglio provarmi a descrivere. Ma a mio credere, sarebbe ingiusto considerarlo in massa, come complico negli atti del Governo Perù è fuor di dubbio che una parte dei suoi membri lo sono. Io san convinto, secondo ciò che è parvenuto sino a me, che una ima porzione dei preti fa delle rivelazioni di ciò che sentono in confessionile affin servire ai disegni del governo, e conosco dei casi di arresti proceduti in modo così immediato alle conferenze del confessionile, che è impossibile non osservarne la connessione»

Quest'ultimo tratto, signore, è degno di coronare la vostra opera. Avete avuto una bella idea di riserbarlo alla fine. Sull'articolo della confessione vi trovate in perfetta armonia coi principii dei rivoluzionari dell'Europa. Ho avuto, alcune settimane fa, la occasione di osservare che in uno scritto destinato alla propaganda rivoluzionaria in Russia, si rappresentava la confessione come cosa almeno inutile. Questa pratica infatti non potrebbe convenire ai rivoluzionari, come non converrebbe ai peccatori. Se questi ultimi si rivoltano contro le leggi di Dio e della sua chiesa, i primi cercano sottrarsi alle leggi che reggono l'ordine politico, e la chiesa predica l'obbedienza alle leggi dello stato, come essa veglia alla sirena osservanza dei precetti divini. Ora la confessione essendo il freno più potente che Dio abbia opposto allo sfrenamento delle passioni umane, tanto dell'ordine politico che dell'ordine morale, io mi spiego l'odio che la confessione ispira alte coscienze, le quali non rispettano né le leggi di Dio, né quelle degli uomini. Oh! qual trionfo pel genio del male se potesse arrivare ad insinua e nello spirito delle popolazioni dell'Italia, che la confessione è un abuso del quale i governi si armano contro loro! Ma, grazie a Dio, questa calunnia, tanto vecchia quanto il cristianesimo, tanto spesso ripetuta e mai appoggiata sull'ombra di una probabilità, non ha virtù di fare dei gonzi. Cessa di confessarsi chi abbandona la pratica dei suoi doveri religiosi; ma non si sospetta mai che il depositario dei segreti della coscienza si faccia il denunziare delle colpe di cui è divenuto il confidente. Voi ignorate, o signore, ciò che può essere la confessione, ed io vi perdono col clero di Napoli, ciò che ne dite, perché non sapete cosa sia. La vostra accusa non potrebbe offenderla senza colpire una delle più anguste istituzioni della chiesa, se il prodigio costante della remissione dei peccati non si continuasse dopo la confessione delle colpe per impedire il depositario della confessione di rivelarne il segreto, già da gran tempo questa pratica sarebbe caduta in disuso. Ma Dio, nella sua misericordia, avendola giudicata necessaria alla salute del genere umano, siate tranquillo, signor Gladstone, che la sua saggezza ha saputo circondarla di guarentigie contro le quali s'infrange tutto ciò che abbia potuto pervenire sino a voi, e tutto ciò che potete sapere. I vostri stessi ammiratori non hyan creduto ciò che voi dite;io non mi sono ancora accorto che alcuno di essi abbia osato riprodurre la sovrana accusa su questo punto, per timore d'indebolire il resto delle vostre confidenze. Altronde, si potrebbe accusare in termini più vaghi di quelli che voi fate?

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Quali induzioni possono tirarsi dall'essere state arrestate alcune persone in seguito di essersi confessate? Siete voi sicuro che i colpevoli avessero manifestato al confessore il delitto pel quale sono stati messi in arresto? Siete voi sicuro della esattezza di questi rapporti? Taccio per te» ma di dare importanza colle mie riflessioni a ciò che non potrebbe averne ed il vostro carattere non mi permette di sospettare che voi avete di mira i progressi dei cattolicismo in Inghilterra nella insinuazione di questa calunnia,

Se voi dubitate della potenza meravigliosa che pesa sulle labbra del prete, e che non si permette di aprirle per farsi delatore, consultale, signore, qualcuno degli apostati, i quali speculando sullo scandalo, tuonano in questo momento in Londra contro la Chiesa cattolica e le sue istituzioni. Essi divertono i gonzi del protestantismo iniziandoli ai misteri della inquisizione. Invitateli a parlarvi dei misteri della confessione, domandateli se hanno delle rivelazioni a farvi e se quelle delle quali voi parlate sono nell'ordine delle cose possibili?

Mi fermo, e termino; ma mi resta a conchiudere.

CONCLUSIONE

Eccomi alla fine del mio lavoro, e io riassumo.

Credo aver accuratamente esaminato i vostri rimproveri, le vostre accuse e le più perfide insinuazioni. A che si riducono le doglianze articolate nelle vostre due lettere? Che rimane dalle recriminazioni, le quali grazie al vostro protettorato han commosso l'opinione

dell'Europa e fissato l'attenzione della diplomazia, indegnata dell'attentato inaudito e che non può qualificarsi, commesso contro il governo napolitano?

Ho trovato nel vostro libello due serie di fatti, quali i che avete veduto e purificato voi stesso, e quelli dei quali vi fate narratore sopra rumori i più vaghi, sopra testimonianze le più dubbie e le più sospette. Rammento gli uni e gli altri.

Parlate di quindici, venti o trentamila prigionieri politici secondo la credenza generale, confessando che non potrebbe aversi «(cuna certezza su. questo particolare. Voi dividete questa opinione, perché persone che voi dite intelligenti e di considerazione la suppongono fondata, aggiungendo che una tale asserzione riposa sulla opinione, opinione ragionevole, secondo ciò che io credo, ma che intanto non è se non opinione, lo vi ho provato che il numero dei prigionieri ascende appena a 1800.

I quattro a cinquecento imputati dei quali parlate a proposito dell'affare del 15 maggio sono ridoni udì' atto di accusa a quarantasei.

Voi pretendete su ciò che sentite dire che le confische o i sequestri sono frequenti. Non si rammenta né anche un solo di questi fatti.

Accusate sopra un si dice che il governo di Napoli papa una pensione all'assassino Peluzzi, mentre costui ha ricevuto il premio offerto a chiunque consegnerebbe un malfattore.

I magistrati napolitani sono agli occhi vostri mostri e schiavi perché sono amovibili, e che i meglio pagati non ricevono più di quattromila ducati di retribuzione. Ora essi sono inamovibili, e 4000 ducati in Napoli rappresentano 40,000 franchi a Parigi, ove il primo presi dente della Corte di Cassazione non ne ha più di 20,000.

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Gli uomini che sono al potere in Napoli con mettano alcun valore alla vita umana, e la prova che ne date è che i detenuti sono compressi in un bagno, ed una rivolta di forzati, che voi confondete con i prigionieri politici dei (inali ragionate a lord Aberdeen nelle vostre lettere.

Parlate di un condannato, dicendo, che può esservi qualche ragione di temere che non sia sottoposto alle torture fisiche delle quali specificate il modo, secondo un'autorità rispettabile Quantunque non certa.

Voi dite, essere stato assicurato chi; l'uso d'incatenare i prigionieri a due a due è stato immaginato espressamente per i condannati politici. Or questo costume «stato praticato in tutti i tempi.

Insinuate che i prigionieri sono incatenati coi loro denunziatori, o cogli assassini, mentre è affatto al contrario.

Pretendete che la società secreta dell'unità italiana è immaginaria, ed i0 vi ho fatto conoscere i suoi statuti, i regolamenti, i suoi principii. Gli stessi suoi atti ci han rivelato quale fesse il suo scopo.

Gli unitari vi sembrano gli uomini i più puri, i più leali, i più illuminati ed i più. intelligenti degli Stati napolitani; e tutti i documenti del processo che li ha fatto condannare si accordano a stabilire, eh' essi si son resi colpevoli di un delitto che in Inghilterra ed ali rovo si chiama delitto di atto tradimento.

La polizia napolitana, secondo voi, agisce di un modo arbitrario e brutale; or essa non fa se non disturbare le mene dei cospiratori, che sono i soli che se ne lagnano.

La magistratura di Napoli, indipendente, ferma e coraggiosa, non si lascia smuovere dalle minacce degli incolpali, e ciò basta perché voi l'accusiate di cedere alla esigenza del potere, che vuole da essa solamente la più sirena imparzialità.

Raccontate che le prigioni sono sudicie, e che non vi si osservano i regolamenti. In tutti i paesi del mondo i de» tenuti si lagnano dei carcerieri.

Il regime alimentare vi sembra detestabile, ed intanto il pane che avete veduto e gustato è sano. Avete trovato nauseabonda la sola zuppa che voi non avete gustato, e della quale parlate secondo ciò che vi è stato assicurato.

Descrivete le prigioni le quali si trovano, secondo ciò che vi si è rapportato situate a venti piedi sotto il livello del mare, ma voi non l'avete vedine né visitate, e la descrizione che voi ne date mi autorizza a pensare elio sono tanto profonde e oscure quanto quelle della nostra conciergerie situate al primo piano. Vi sdegnate per le vestimenta dei condannati e delle catene che portano, e pure sono precisamente le stesse di tutti i bagni dell'Europa.

Di tutto ciò che indicate come veduto da voi nulla io trovo che non sia nei bagni e nelle prigioni della Francia, e degli altri paesi. Ma i fatti gravi e ributtami per i quali vi credete autorizzato di rimproverare al governo di Napoli la sua barbarie, la sua crudeltà, la sua ferocia, sono precisamente quelli che voi non avete veduti, e de' quali ragionate a lord Aberdeen sopra probabilità, sopra si dice, mi si assicura, secondo ciò che io credo, o ciò che mi si rapporta.

Ho provato ancora, in contrario alle vostre asserzioni, che la indifferenza delle popolazioni ed i rei progetti del partito rivoluzionario han solo impedito che la costituzione fosse messa in vigore dopo due saggi infruttuosi.

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Se voi non siete appieno chiarito su tali circostanze, richiamo la vostra attenzione sulle rivelazioni fatte da un membro del partito rivoluzionario, Guglielmo Pepe, nelle sue memorie, dove confessa formalmente che il progetto degli agitatori era di trasformare la nuova camera in assemblea costituente e dichiarare la decadenza del Re. Dunque Ferdinando non è spergiuro.

Le vostre calunnie contro il clero e la istruzione elementare, data sotto il suo patronato, sono anche prive di fondamento come le vostre recriminazioni contro il Re ed i suoi ministri.

Tali sono gli elementi su i quali voi avete redatto la formidabile accusa lanciata contro il governo delle due Sicilie.

Voi non avete un documento di convinzione a produrre, non un solo testimonio a presentare: non articolate un fatto grave che abbiate veduto o attestato, ed osate scrivere parlando di questo governo; Esser la negazione di Dio eretta in forma di governo; tutti i vizi sono i suoi attributi: esso ricompensa l'assassinio! impiega mostri e schiavi per amministrare la giustizia; essere il più gran violatore delle leggi, il più gran mal fattore del paese: i suoi atti essere un oltraggio contro la religione, la civiltà e la umanità.

S'intesero mai simili infami accuse contro un governo il cui capo, se pure ha difetto a rimproverarsi, è quello di esser troppo clemente? Un uomo di Stato ha commesso mai un atto di demenza che possa paragonarsi a quello che vi ha ora meritalo le più vive simpatie del partito socialista?

(Il Giornale de' Dèbats pubblica il seguente articolo)

Lord Palmerston prosegue il corso delle sue comunicazioni diplomatiche alla Dieta Germanica. Il ministro della regina della Gran Bretagna ne ha fatta una recentemente che ha prodotto nel seno della Dieta una vivace ed aspra discussione, per effetto della quale è stata presa una risoluzione eh e sarà pel capo del Foreign-Office in pari tempo una lezione di dritto pubblico ed una lezione di convenienza.

Nella tornala del 20 settembre la Dieta si è occupata di questo incidente, cui possiamo a mala pena aggiustar fede, qualunque sia la fiducia che abbiamo nelle nostre informazioni. Si tratta delle lettere del sig. Gladstone a lord Aberdeen, di cui tanto spesso si è parlato a questi ultimi giorni. E' noto che il celebre membro della camera dei comuni, nelle lettere da lui pubblicate, ha attaccato violentemente il governo del Re di Napoli, al quale egli rimprovera un gran numero di atti arbitrari e la detenzione ingiusta ed illegale di parecchi sudditi napolitani, la cui condotta, secondo lui, era stata sempre esemplare e che non hanno, agli occhi suoi, altro torto che quello di non pensarti come il Re Ferdinando. Si conosce la riposta del governo napolitano; lord Palmerston si è prevalso delle denunzie del sig Gladstone per attaccare alla sua volta il governo napolitano, e ha dichiarato che manderebbe diplomaticamente le lettere pubblicate agli agenti della Gran Bretagna presso i governi stranieri. Lord Cowley le ha ricevute come tutti gli altri, e nel medesimo tempo lord Palmerston gli ha inviato una Noia destinala ad essere offlcialmente comunicata al conte di Thun, presidente della Dieta, colla quale egli invita la Dieta «a fare pratica presso il governo napolitano affin di ottenere da questo governo che rinunzi alla politica che sino a questo momento ha seguita.» Lord Cowley ha avuto la cura di compiere la sua comunicazione deponendo nelle mani del conte di Thun

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parecchi esemplari delle lettere del signor Gladstone, ch'egli ha così messi a disposizione de' membri della Dieta.

L'assemblea si è occupata di questo incidente a proposta del suo presidente, che ne ha fatto rapporto nella seduta del 20 settembre, come abbiamo detto. Dopo aver ricordato i fatti che hanno preceduto la comunicazione del gabinetto britannico e dato lettura della Noia di lord Palmerston, il conte di Thun ha esposto in termini chiari e precisate regole di dritto pubblico internazionale applicabili alla circostanza. Egli ha fatto risaltare tutto ciò che v'era d insolito nella domanda di lord Palmerston.; ha detto come quella domanda disconosceva i principii fondamentali del dritto e offendeva le più semplici convenienze; ha insistito sulla stranezza di una pratica la cui conchiusione sarebbe che bastasse la semplice denunzia di un privato per autorizzare un governo ad intervenire nell'amministrazione interna di un governo alleato, senza tener conto alcuno dell'indipendenza di quieto; finalmente ha mostrato quanto sarebbe più grave ancora una simile offesa nel caso presente, e allorché trattasi del modo con cui questo governo amministra la giustizia penale fra' suoi sudditi. Il conte di Thun ha proposto alla Dieta di respingere formalmente la domanda del gabinetto britannico.

Queste conchiusioni sono state vivamente appoggiate dal ministro rappresentante della Prussia: questo ministro ha veduto nella Noia di lord Palmerston una nuova manifestazione dello spirito d'opposizione che anima il ministro inglese contro la politica dell'Europa continentale; egli ha considerato la comunicazione, onde lord Cowley è stato incaricato, come una specie di provocazione e di sfida diretta ai governi che hanno fondato questa politica e che la praticano, ed ha domandato che la risposta della Dieta portasse l'impronta di siffatta estimazione e del malcontento che l'assemblea ha unitamente provato.

La Dieta ha deciso che il suo presidente risponderebbe alla Nota che gli è stata rimessa a nome di lord Palmerston, e che questa risposta esprimerebbe formalmente e nettamente le risoluzioni adottate ed i loro motivi tali quali sono stati sviluppati nella discussione; che sarebbe detto in essa: «Che alla Dieta germanica, avendo preso conoscenza della Nota del governo britannico, è parso che il contenuto di questa Nota era insolito e che urtava le regole che l'usano i rapporti internazionali che tutti i governi hanno finora praticati senza eccezione; che la Dieta si asterrà dunque da ogni pratica verso il gabinetto napolitano, e ciò tanto più in quanto che ingerendosi negli affari interni di un governo straniero e indici pendenti», ella autorizzerebbe in certo modo la ingerenza negli affari della Confederazione di certi gabinetti, ai quali ella è decisa di non punto permettere la menoma intervenzione, quali che siano o che possano essere le loro pretensioni a tal riguardo; che per ciò appunto respinge e riprova la pratica che lord Palmerston le ha proposta in nome del governo della Gran Bretagna.»

Questa risposta è stata fatta così a lord Cowley, che ha dovuto farne parte a lord Palmerston.

APPENDICE ALLA I PARTE

UNA RISPOSTA

A SIR GLADSTONE

CHE ACCUSA

IL CLERO ED IL GOVERNO NAPOLITANO

Articolo estratto dalla Raccolta Religiosa La Scienza E La Fede

vol. XXII, fase.128, Napoli, agosto 1851.

Poiché fu tornato a Londra dall'Italia l'onorevolissimo sir Gladstone, volle anch'egli scrivere due lunghe lettere sulle cose del nostro reame (1). Fecero sempre così i viaggiatori, per diporto, e novelli Cesari vennero, benché di tutt'altro solleciti che di conoscerci; videro, ma Don la vita ed il costume nostro; e intanto vinsero di lunga mano i più immaginosi romantici, scrivendo a sproposito intorno a Napoli ed a' suoi abitatori. Questa volta però sembrava ad alcuni, non sappiam con quanta ragione, che le due lettere dell'inglese visitatore, quantunque piene di storielle e di fole, avrebbero a se acquistala una certa autorità; essendo lavoro di un uomo moderatamente liberale, e intitolate per soprappiù a lord Aberdeen, amico ancor egli di una politica conservatrice.

Ma que' che così ragionavano, forse non seppero qual parte rappresenta oggidì il Gladstone nel mondo politico, che altrimenti non avrebbero indugiato un istante a capire il perché costui insultasse a quel modo il clero ed il governo napolitano.

«L'autore delle lettere a lord Aberdeen è per verità un conservatore in politica, ma non dimentichiamo ch'egli è inglese e protestante, due qualità che alterano sostanzialmente la natura di tali conservatori, allora specialmente che si tratta della Sicilia e del Papato.» Cosi scrive Giulio Gondon (2), stato amicissimo al Gladstone, ed ingenuamente confessa, che dopo aver letto colla maggiore attenzione del mondo civile due lettere, è rimasto convinto, che né meno un solo de' fatti narrati dal Gladstone regge all'esame.

(1) Lettere dell'onorevole W. E. Gladstone al Conte Aberdeen su' processi di Stato del governo napolitano; degli Il e 14 luglio 1831.

(2) Nota dell'Univers del 13 agosto.

144

Anzi non dubita di chiamarlo ex membro del partito conservatore inglese, passato alle fila della setta, mazziniana (1) Della quale ultima asserzione abbiamo prove, che anche ai più schivi vogliono parere irrefragabili. Stampava teste in Londra un suo opuscolo Carlo Mac Parlane, avente per titolo; Il governo napoletano e W. Gladstone, dove si legge; «L'onorevole sir Gladstone, già noto per la sua politica conservatrice, ha da qualche tempo concepito una fortissima avversione alle monarchie, ed è giunto a dire tutte te monarchie di Europa essere ornai vecchie e cadenti; l'ordinamento monarchico essere in se stesso un sistema barocco, e noi allora avvanzarci di bene in meglio, quando ci saremo accostali al vero modello normale degli Stati-Uniti di America.» A queste ispirazioni repubblicane del nobile uomo fa necessariamente eco la versione inglese da lui medesimo poco fa pubblicala della Storta degli Stati Pontifìcii dal 1815-1&50, scritta nello scorso annoda Luigi Carlo Farini; perciocchè niente altro è questa storia, che una lunga diatriba contro il Romano Pontificato dei mazziniani; onde il Gladstone l'univa quasi alle sue lettere contro il governo delle due Sicilie. Anzi si noti circostanza d'assai momento, nel discorso posto innanzi alla versione inglese della Storia del Farini, Gladstone si rivolge a' popoli del regno Lombardo-Veneto, e loro mostra di non poter aggiungere a felice condizione di vita civile, insino a che l'Austria reggerà quelle contrade. Che altra cosa da questa predica tuttodì il Mazzini ne' suoi proclami?

Dopo ciò, ha un bel dire il viaggiatore inglese, ch'egli venne a Napoli e vi si trattenne per affari puramente domestici, e che di quello che racconta parte conobbe per osservazioni sue proprie, parte levò da fonti per lui attentamente esaminate. Ogni accorto lettore, il quale non abbia anticipate opinioni, vedrà in tutti que' ringraziamenti ad Aberdeen, per avere accettata la dedica delle due lettere, un uomo che cerca di coprire la propria vergogna in propalare calunnie sotto l'egida di un nome ragguardevole e rispettato (2).

La materia delle due lettere è generalmente politica, ed in piccola parte religiosa. A noi conviene sceverare l'una dall'altra, essendo lo scopo nostro unicamente religioso: però lasciando a' giornali religioso politici, come sono il Catholic Standard d'Inghilterra l'Univers di Francia, ed in Italia, l'Armonia, il Cattolico, la Civiltà Cattolica, l'Osservatore Romano, il Messaggero, l'amico Cattolico, l'Eco di Firenze e simili, difendere il nostro Governo dalle false accuse di sir Gladstone, ci fermeremo piuttosto a quel che riguarda la istruzione presso di noi, e la condona politica del nostro clero. Toccheremo di voto queste cose, tiretti come siamo dal tempo, e dallo spazio di queste carte. Tanto più che sappiamo, avere già parecchie valenti penne napolitano tolto a confutare vittoriosamente in appositi opuscoli quanto fu scritto dall'inglese contro alla patria nostra, divenuta bersaglio alle ire dell'italiana e straniera demagogia.

(1) Nell'Univers» del 15 agosto.

(2) Siam venuti poi a sapere, che lo stesso lord Aberdeen ha manifestamente respinta da qualsiasi partecipazione alla stampa delle lettere gladstoniane. Ed il Times che le avca approvate, ora dichiara di voler sospendere interamente il suo giudizio, perché le accuse del signor Gladstone sono fino ad un certo punto alterate.

145

Se altri domandassero al Gladstone, perché siasi accinto a dipingere con sì neri colori la condizione presente del cattolico nostro reame, udirebbe rispondersi: «Ho creduto essere io sirenamente obbligato di recar questo mio racconto al giudizio di quella pubblica opinione che.... è animata dallo spirito del Vangelo, e sempre si mostra favorevole a sminuire le sofferenze degli uomini (1).» Bene sia; ma perché non denunziare a questa pubblica opinione l'ingiusta persecuzione suscitata contro l'episcopato cattolico in Inghilterra ed in Irlanda da quegl'inglesi, animati dallo spirito del Vangelo, i quali si mostrano così teneri e corrivi a sminuire le sofferenze umane?Q pur: sarà privilegio loro esclusivo di chiamare a sindacato universale la condotta altrui, quando sonovi tante ragioni di arrossire di se stessi ed in casa propria? Ma udite: Sir Gladstone non ha saputo trovare, per dinotar la condotta del nostro Governo, altra forte e vera espressione com'egli la chiama, se non che questa: «La negazione di Dio innalzata a sistema di Governo (2).» Così con un tratto di penna e con due sonori paroloni ha reso scristianato tutto il nostro Governo: E veramente egli ne ha ogni ragione. Napoli sta salda e non consente, che siavi tra' suoi abitatori chi bruci incenso al Dio del Mazzini;

Napoli non innalza troni a quel

popolo, cui la idea mazziniana riveste della sovranità per opprimerlo; Napoli non apre le sue porte al

protestantismo, al quale non permette di costruire templi, o di smaltire bibbie della

società in mezzo al suo popolo; Napoli, in breve, tenacissima delle sue secolari tradizioni, ama con amor

di figliuolo quella Chiesa cattolica che veneraron sempre i suoi padri, ed onora l'immagine di Dio nel suo piissimo Re. Or non sono questi tanti incentivi alla bile protestante del figliuol devoto alla Chiesa di Arrigo? Lasciatelo dunque gridare a sua posta, che tra noi non si crede a Dio, perché veramente non mai fummo governati in nome di Dio e del popolo, siccome governarono i mazziniani. Abbiamo però a indicargli un altro suo solenne scappuccio, intorno ad un'opera ch'egli dichiara delle più strane e riprovevoli da lui mai vedute. Son già parecchi lustri, che il conte Monaldo Leopardi pubblicava una sua operetta contro quelle massime liberalesche, le quali tanto e da sì lungo tempo manomettono la religione e la tranquillità degli Stati d' Europa. Esortava pure, in un'avvertenza posta al principio del suo libro, i Vescovi, i Principi, i magistrali, i maestri della gioventù, in breve quanti sono uomini di buona volontà, a diffonderlo ira la nascente generazione di giovani, ed a premunire con que' buoni principii di filosofia politica gli animi ancor vergini, contra la seduzione delle dottrine distruttive, predicate dal liberalismo. Si intitolò quel libro: Catechismo filosofico per te scuole inferiori, facendosene anche in Napoli diverse ristampe, come nel 1837 per cura di quel santo e dono prelato che fu monsignore Angelantonio Scotti, e nell'anno scorso per opera specialmente di un ottimo gesuita. Ora il Gladstone, il quale è stato così poco attento ricercatore delle cose di Napoli, che pone i Bianchi della giustizia a chiedere per le vie della città limosino per suffragar con messe l'anima di un condannato nel capo (3); il Gladstone ha saputo, che il Catechismo filosofico è opera di un ecclesiastico,

(1) Lettt, II.

(2) Lett: I.

(3) Lett: I.

146

ch'è ed era alla te sta della commissione di pubblica istruzione; che nelle scuole è un obbligo di usarne, e che niuno in conseguenza riceverà i sacri ordini, senza che siasi imbevuto di queste necessarie cognizioni! Potevano forse immaginarsi cose di queste più romantiche, o più assurde? Bisogna non aver mai visitato alcuna scuola in Napoli, né mai domandato a quali studi i clerici si addicano fra noi, per sognare tutte questo obbligazioni, che mai non ebbero luogo.

Ma in fine, che cosa di tristo inchiude in se quel Catechismo? Eccolo, dice il Gladstone: Vi s'insegna, che i filosofi liberali sono uomini viziosi e cattivi, siccome malvagia è la loro filosofia, e menano se ed altrui all'eterna dannazione; che in uno stato democratico non vi è alcun obbligo di ubbidire alle leggi; «ho il popolo non può di per se stesso stabilire leggi fondamentali in uno Stato; che un principe dopo aver promesso, nuche con giuramento, di osservare una legge fondamentale dello Stato, od una Costituzione, è tenuto ad osservarla, purché questa non abbatta i fondamenti della sovranità, e non si opponga al bene universale dello Stato; che spetta al sovrano giudicar quando la Costituitone lede i diritti della sovranità, e nuoce alla salute del popolo; in somma, e' dice, vi s'insegna la filosofia dello spergiuro, ed altre false ed immorali dottrine (1). A dire il vero, leggendo queste e simili declamazioni, che ad ogni piè sospinto s'incontrano nelle lettere gladstoniane, parveci di ascoltar nuovamente tutti quei giornali rivoluzionari d'Italia e d'oltremonti, che si dimenaron sempre, e si dolsero, perché in Napoli non allignasse la democrazia. Parlando de' filosofi liberali il conte Leopardi, scrivea così al primo capitolo «.D. Come si riconoscono i filosofi liberali? M. Quando vedete taluno che si allontana dai Sacramenti e dalle pratiche religiose; che non va in chiesa, o se ci va qualche volta ci sta senza modestia e senza rispetto, che affetta di non cavarsi il cappello avanti l'immagine di Gesù Cristo e dei Santi. E si vergogna di farsi alla scoperta il segno della croce i e più, quando udite tal altro scherzare sul paradiso e sull'inferno, parlare odiosamente del principe e del governo, e deridere i preti, i frati e le persone ecclesiastiche: quando infine vi accorgete che alcuno si rallegra udendo narrare i progressi delle ribellioni e dei ribelli, e al contrario lo vedete disapprovare gli atti vigorosi delle legittime autorità, ed accogliere con segni di tristezza le notizie, favorevoli alla conservazione della religione, del potere sovrano, e della pubblica tranquillità, dite pure che tutti costoro sono filosofi liberali.»

Ecco la maniera, con che l'autore del Catechismo ritrae la genìa de' filosofi liberali; né in questo per verità gli si può apporre alcuna taccia di errore. Il Leopardi dee allogarsi nel bel numero di que' che «nati veduto co' propri occhi passare la rivoluzione francese carica di ingiustizie e di orrendi delitti, ed hanno inteso che sempre aveva in bocca la libertà. Essi han veduto la rivoluzione spagnuola colle sue vociferazioni di morte, co' suoi sanguinosi eccessi, colle sue ingiustizie, col disprezzo di quanto aveano sempre gli Spagnuoli rimirato come più venerabile e sacro, e ciò non ostante hanno inteso egualmente che questa rivoluzione gridava libertà. E che aveva a succedere? Quello che appunto è succeduto;

(1) Lett. ll.

147

che hanno unita l'idea di libertà a quella di empietà e di delitti di ogni genere, ed in conseguenza l'hanno odiata, l'hanno respinta, l'hanno combattuta (1).» E se noi adottiamo le massime del Conte, ci perdoni il Gladstone, chè la funesta esperienza dell'ultima rivoluzione ce ne ha fornito un'altra prova lampante.

Faremmo per verità opera inutile discutendo una dopo l'altra le massime del Catechismo filosofico, impugnate dal viaggiatore inglese, ancorché volessimo innanzi tutto dimostrargli l'origine divina del Potere sovrano. Perciocchè egli ha detto: «Non muoverò mai lite ad un autore, che tal cosa asserisse (2);» e pure storcendo a modo suo i passi del Catechismo, danna le conseguenze di quel principio, come dottrine anarchiche e rivoluzionarie. Sarà dunque anarchico e rivoltuoso clii parlando del governo di uno Stato, dice come il come Leopardi. «Il migliore governo per qualsivoglia Stato è quello da cui viene al presente legittimamente governato?» O vero potrà, chi pensa a questo modo, negare negli Stati-Uniti di America il rispetto al potere ivi oggimai legittimamente stabilito? Solo il Gladstone ha potuto ricavarne simile conseguenza. Ben sappiamo, che a lui così tenero per il popolo, non può andare a sangue quest'altra dottrina del Catechismo, che la sovranità non risiede nel popolo, e che gli spasimanti per le forme rappresentative di governo, dopo. avere «subissato il mondo per sostenere la libertà e sovranità del popolo, iu ultimo dicono ai popoli; È d'uopo che consegniate ad altri la vostra sovranità, e che vi raccomandiate a qualcheduno, perché costringa la vostra libertà.» Ma che per ciò? La dottrina è verissima per tutti, meno che pe' mazziniani, ed i fatti vengono tuttodì maravigliosamente confermando le asserzioni giustissime del Leopardi. Guardi la sua Inghilterra il Gladstone, e poi ci dica se la sovranità e la libertà di tanti milioni d'inglesi ed irlandesi cattolici è stata rispettata nella ultima sessione del Parlamento! Questo dovrebbe fermargli bene in mente il principio del Guizot, che sconosciute sono le vie della Provvidenza, e noi malamente supponiamo che là dove non sono assemblee, urne, elezioni e voti, ivi la libertà non abbia guarentigie.

Evvi però un punto importante delle accuse del Gladstone sulla filosofia, cui egli chiama detto spergiuro nel Catechismo. Trattasi del principe che dee abolire una legge fondamentale dello Stato, fosse anche fermata con giuramento, quando essa si oppone al ben essere della civile società. «Un giuramento violato, sclama qui fuori di se l'Inglese, un argomento a bella posta immaginato a provar che debbasi essere spergiuro i il proponimento d'instillar questa dottrina nelle menti della tenera e facile gioventù, pria che siasi in essa sviluppata la virtù ragionatrice; ecco una trama, la più astuta che mai siasi escogitata contro la libertà, la felicità e la virtù del genere umano (3).» Ebbene noi siam certi, che il Gladstone non avrebbe menato tanto scalpore, se pubblicista com'è, avesse riandato le prime teoriche del diritto naturale intorno al giuramento. E poiché egli audacemente asserisce, che da questa dottrina appunto dello spergiuro ha tratto suo pro il nostro Governo,

(1) G. Balmes, il Protestantismo paragonata col Cattolicismo oc. Napoli, per cura detta società della Biblioteca Cattolica, 1848, t. il, e.62, p.280

(2) Lett. II.

(3) Lett. II.

148

stimiamo cosa indispensabile riprodurre qui alcune nostre considerazioni, messe a stampa l'unno scorso sul medesimo soggetto.

Chi ben valuta l'indole propria del giuramento, non può non convincersi che precipua sua qualità esser debba la giustizia, per cagion della quale tutto ciò, che altrui promettesi con giuramento, è necessario che sia onesto, lecito e giusto. Or là dove avvenga, che la fatta promessa non possa mantenersi senza danno manifesto d' altrui, vuole la legge stessa di natura che quella si abbia come non fatta. Conciossiachè nessuno può quelle cose promettere, che recando danno a' diritti degli altri violano fin il diritto naturale; e però se qualcheduno alcuna ne promise con giuramento, questo addiviene naturalmente invalido e nullo. Anche quel che a mala pena gustarono qualche libro di diritto naturale, impararono intorno al giuramento quell'aforisma Einneciano: Sine perfidiae labe ab huiusmodi pacto disceditur quod sine nummo scelere impleri non potest. Anzi sostiene Ugone Grozio (cui nessuno dirà pinzochere e spigolistro) che il giuramento è nullo anche quando la cosa promessa non è illecita, ma s'impedisce un bene morale maggiore; Imo, egli dice(1) etiamsi res quae promittitur, non sit illicita, sed maius bonum morale impediens, sic quoque non valebit ius jurandum.

Applicando a noi queste teoriche, che certo non danno odore di sagrestia, vorremmo che ci si dicesse in buona fede, se la promessa fatta a 10 febbraio 1848 dall'augusto Sovrano che ci governa, poteva mantenersi senza ledere i veri diritti de' sudditi suoi, e senza impedir loro di conseguire beni morali di gran lunga maggiori. Riandiamo i fatti.

Sotto l'ombra e l'apparenza del giurato Statuto, vennero in pochi giorni manomessi tra noi i diritti della cattolica Chiesa ora proclamandosi nei giornali la libertà dei culti; ora svillanneggiandosi, anzi infamandosi Vescovi e Clero; ora apertamente parlandosi contro il culto e la pompa religiosa delle nostre solennità nei tempi, non che contro i frati e le cocolle. E perché si diceva, non poter stare insieme costituzione e Gesuiti, questi furono violentemente scacciati dall'inviolabile e sacro loro domicilio, e costretti ad esulare. Anche in forza dello Statuto il famoso autore del coraggio civile, ministro dell'Istruzione, decretava, si sottoponessero al sindacato del governo pure gli studi di scienze e di lettere profane de' Seminari, ed ogni Vescovo avesse a consultare il ministro sulla scelta dei professori pel suo Seminario, forse perché l'insegnamento colà non parvegli conforme all'altezza dei tempi'. Un ministro di all'ari ecclesiastici proponeva, ed un altro cercò ogni mezzo di recare ad atto, il disegno di novello Codice ecclesiastico vestito di forme italiane, un direttore dello stesso ministero sollecitava e i Vescovi e il Clero, perché con preghiere e limosine aiutassero la ingiusta guerra lombarda: un altro ministro della finanza voleva stendere la mano fin sopra i beni dei luoghi pii lai" cali: e per finirla, la nostra camera dei deputati si facea giudice della condona morale del parrochi. Tutte queste cose, ed altre simili, conte adesso ad ognuno, se fossero innanzi state prevedute dal principe, credetevoi che fatta avrebbe Egli la solenne cerimonia del 16 febbraio?

Ma vi è dippiù. Per cagione dello Statuto, noi avemmo due perniciosissimi doni: la libera stampa, e la guardia nazionale; elementi sicuri di continue rivoluzioni.

(1) De jure belli et pacis, t. III, I ll, e. XIII.

149

Chi cc li diede» pensò per un istante che l'una e l'altra potevano venir da savie leggi infrenato; ma, bisogna pur confessarlo, fu quello un troppo vantaggioso giudizio della natura umana. A fronte dell'immenso male che produce e produrrà sempre ira gli uomini la libertà della stampa, quegli schiarimenti che si dice poter gli uomini del governo riceverne, sono di così poco conto, che a buon diritto possiamo chiamare illecita questa libertà. E quella milizia cittadina, acuì di necessità debbono pigliar parte giovinastri scapestrati, uomini turbolenti, gente che non Seppe o non volle mai custodire il suo, non è forse un'altra leva potentissima in mano dei tristi per commuovere e rivoltare gli Stati? Per questo appunto noi avemmo continue risse e tumulti così nella capitale, come nelle province; per questo il commercio venne mancando; per questo si vivea da ognuno in continua apprensione di pericoli e ruine; per questo finalmente si videro conculcati i diritti di chi possedeva beni od impieghi. Dapprima la stampa, o sia il giornalista stipendiato, indicava la vittima da immolarsi alla sua od all'altrui ambizione; e benché fosse l'uomo più onesto del mondo, quegli era senza meno costretto a lasciare l'uffizio ed il soldo, cui per lunghi servigi godeva, e dare il luogo a chi altro merito non contava, che di aver gridato (1). Talora anche un articolo di giornale serviva ad insinuare negli animi della moltitudine il desiderio di rubare altrui i beni che possedeva e sopraggiungendo opportunamente una lettera circolare di un ministro troppo tenero del comunismo, la plebaglia invadeva, manometteva ed usurpava l'altrui proprietà. I boschi della Sila ce ne entrano, fra gli altri, garanti. E tutto questo compivasi sotto l'egida della guardia nazionale! Diane, lettor cortese, non è questo mi ledere per causa della costituzione l'altrui sacro dritto di proprietà?

Saremmo infiniti, se noverar volessimo i mali cagionati dallo Statuto alla pubblica morale, all'onore delle singole persone ed alla pace delle famiglie; de' quali è ancor viva la memoria in tutti noi. Basta qui averli accennati, per conchiuderne, che la largita forma di governo costituzionale riuscì a ledere anche i diritti più rispettabili de' cittadini. Né furon già alcuni degli uomini preposti al governo, che minavano a mal fare lo Statino, ma io Statuto stesso dava loro comodo ed ansa di operare il male. Perciocché oltre agli elementi di ruina che in se porta una costituzione, come quelli or ora indicati, essa conduce al timone de' pubblici negozi chi più sa brigare, o sia la parte peggiore della civile società. Quindi ogni caria fu sempre sorgente di malanni pe' popoli.

Ma via, se vi è chi ancora teme che si oltraggi così la santità del giuramento, ci dica in grazia so furono o no spergiuri i principi italiani, dando or sono ire anni le costituzioni. Se udiam risponderci, che così volea il bene dei popoli, avrem già guadagnata la causa; confessando P avversario nostro che si può retrocede re dal la promessa giurata, quando il bene dei popoli lo richiede.

(1) Dopo questi avvenimenti, toccati qui di volo, ci si mostra soverchiamente creduto il signor Gladstone, quando dice nella sua seconda lettera: «Affermo sopra decisiva autorità, che durante i quattro mesi detta costituzione, quando era paralizzata l'azione della polizia, non fuvvi per un esempio di alcuno dei più gravi delitti a Napoli, con una popolazione di 400 mila anime.» Forse colui, alla cui autorità egli si attiene, viaggiava a quei dì per le Americhe.

150

Dunque non sarà mai spergiuro quel principe, il quale toccato con mano il danno immenso che deriva ne/suoi sudditi dal governo costituzionale, torna all'assoluto reggimento monarchico, alla cui ombra, secondo la sentenza di Montesquieu, con picciole virtù si operano grandi cose. Però passiam oltre; udiamo il giudizio che del nostro Clero ha recato il Gladstone.

Egli si protesta di non voler descrivere il clero secolare e regolare di Napoli, corpo, secondo e' dice, di carattere misto. Intanto, poiché ha tribuito la meritata lode al nostro Cardinale Arcivescovo, dicendolo di maniere semplici e devoto affatto A' suoi doveri, viene di poi in pochi versi a contraddire se stesso, quando vuol dichiarare la condotta politica de' nostri ecclesiastici. Perciocchè innanzi asserisce: «Una parte di essi (ecclesiastici) sono certamente solidari degli alti del governo, e per quanto seppi, alcuni di loro abusarono del confessionile per servirlo. Seppi che si fecero degli arresti, i quali seguirono immediatamente la confessione, epperò è impossibile che non siavi connessione fra questi due fatti.» E poco appresso soggiunge; «Non dubito che nel Clero siavi una forte fazione pel governo, siccome vi è fra' lazzaroni; ma non vi ha prova della complicità di quel corpo, né chi ara pruova di una parte di esso (i).» Certo che un Edipo soltanto dichiarar potrebbe questo enigma della sfinge inglese. E in verità, se una parte, se una forte fazione del Clero parteggia senza manco pel governo, come non ovvi una chiara pruova della complicità di tutto quel corpo o almeno di una parte di esso? Ma l'indovinello è spiegato quando si osserva, che essendo il nostro Clero inteso affatto agli obblighi del suo divin ministerio, e fermo sempre in ripetere: Date a Cesare ciò eh' è di Cesare, ed a Dio ciò ch'è di Dio, non ha fornito alcun argomento a Gladstone per ispedirgli la laurea di liberate. Ce ne congratuliam con noi medesimi, e con quanti hanno con noi lo stesso sacro caratteri;. Ma non lasceremo per questo di gridare al calunniatore, al bugiardo, contro il Gladstone, allorché ne accusa di abusar del confessionile per dinunziare i delinquenti. Un protestante, qual egli è, non poteva diversamente discorrere per cagion della bile anti. papista, che tutto dentro lo divora. Ma pure se lo spirito di parte non gli avesse fatto veto alla mente, ben altri pensieri sarebbongli venuti alla vista dei nostri confessionali; nè sarebbe stato il solo inglese Addisson, che tornato in patria abbia riferito con sincera commozione quei be' luoghi delle divine scritture, i quali si leggono qui e colà su' tribunali di penitenza in Italia. Avrebbevi letto altresì queste parole di san Giovanni Climaco: Non mai si è udito, che si fossero divolgate le colpe confessate al tribunale di Penitenza; e veduto fin sull'entrare nella città nostra l'immagine gloriosa del santo Nepomuceno, martire del silenzio sagramentale. Nel rimanente, non conoscendo noi di qual carceramene ei parla, vogliamo farlo avvisato, che molti tra quei che si annunziarono nostri politici rigeneratori, non usarono mai alla chiesa, e molto meno ebbero il vezzo di confessarsi. Ed anche lasciata da banda questa necessaria considerazione, egli siccome buon logico, non poteva da alcuni arresti inferire che essi facevansi appunto in conseguenza della confessione; altrimenti potremmo noi con egual dritto conchiudere, che il convegno mondiale al palazzo di cristallo in Londra, avvenuto dopo che l'Europa cominciava a domar la rivoluzione, sia stato immaginato dal Comitato democratico che ha stanza sul Tamigi,

(1) Leti. II, in flno

:

151

appunto per gìttar nuovi semi di rivolta e di sedizioni in Italia e fuori. Quel post hoc ergo propter hoc, fu sempre grosso vizio nel ragionamento. Il Gladstone forse vi è caduto anche quando scrisse, essere stati obbligati a partire di Napoli que' padri della Compagnia di Gesù, che van compilando con tanto vantaggi delle buone dottrine la Civiltà Cattolica. Ma ei non seppe, che quei zelanti religiosi avevano fin da principio annunziato, dover essere Piuma il centro della loro pubblicazione periodica, e che dulia loro partenza per la città eterna furon dolenti anche co. loro che guidano la macchina governativa del nostro reame.

Né farem fine a quest'articolo, senza far altrui osservare, come fra' venti o trenta dell'ordine chiericale (non pare che oltrepassassero i cinque o sei), i quali dice il Gladstone essere stati messi in carcere nel dicembre dello scorso anno, né meno un solo apparteneva al clero secolare della città nostra; non altrimenti che né meno un solo del clero medesimo si è trovato per alcun modo implicato ne' movimenti sediziosi del quarantotto e quarantanove. Indi irae; e però siam divenuti seguo alle calunnie de' così detti liberali. Se non che, lo stesso Gladstone vuol darei una spiegazione di questo fatto, conchiudendo la seconda sua lettera cosi: «La professione e la dottrina del clero possono, fino a un certo segno, predisporlo innocentemente in favore dell'autorità; specialmente sotto un monarca che ha fama di esser molto morigerato e religioso»

Noi accettiamo riconoscenti la lode; ma al tempo stesso soggiungiamo, esser non solo la professione ecclesiastica, ma sì la finalità di cristiano quella che dee tutti predisporre, innocentemente non solo, ma ancora giustamente, ad ubbidire al principe, in cui risiede la potestà che viene da Dio, ed a patire piuttosto qualsivoglia miseria quaggiù, che prender parte ne' consigli de' sediziosi. E quanto allo augusto Sovrano che paternamente ci regge, intenda una volta per sempre l'inglese, che la fama non mentisce chiamandolo il più pio ed il più religioso de' Re; e che nel cuore di tutti i suoi sudditi avranno sempre un' eco fedele quelle parole del vicario di Gesù Cristo in terra, quando diceva che il nostro «Sovrano strenuamente inteso nel promuovere la vera e solida felicità dei suoi popoli, tanto rifulge per religione e pietà, da servire di esempio a' suoi stessi soletti.»

FINE

INDICE


PREFAZIONE.


PAG

III


DISCUSSIONI DELLA STAMPA ITALIANA


Articolo

del GIORNALE UFFICIALE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

»

1

»

dell'ORDINE, giornale di Napoli

»

2

»

dell'ARMONIA di Palermo

»

7

»

dell'ARMONIA di Torino,

»

14

»

della CIVILTÀ' CATTOLICA

»

10

»

della BILANCIA, giornale di Milano

»

19

Opuscolo

pubblicato in Napoli intitolato RASSEGNA DEGLI ERRORI E DELLE FALLACIE PUBBLICATE DAL SIGNOR GLADSTONE, ECC


»


21


DISCUSSIONI DELLA STAMPA STRANIERA


LETTERE

al conte Aberdeen da Carlo Mac Farlane

»

53

Articolo

detta PATRIE

»

76

LETTERA

di Giulio Gondon, all'onorevolissimo W. E. Gladstone

»

79

Articolo

del giornate de’ DÉBATS

»

140


APPENDICE ALLA PRIMA PARTE


Una risposta a sir Gladstone, che accusa il Clero ed il Governo Napolitano, estratta dall'opera la SCIENZA E LA FEDE


»


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