Eleaml



DI GAETA
E DELLE
SUE DIVERSE VICISSITUDINI
FINO ALL' ULTIMO ASSEDIO
DEL
1860-61
PER
LUCIO SEVERO
ITALIA
MDCCCLXV

(Parte 2)
Benché talune volte la verità, la giustizia,
il coraggio e l'ingegno debbono cedere alla forza,
pure per noi dissimulare la verità
non è divenuta ancora una virtù politica.
F. C.
Unico nostro scopo è quello che si apra
a tutti la verità intorno ai fatti, che han distratto
l'ordine, la pace e la prosperità dell'Italia.
Pref. del Trad. alle Lettere Napolitane p. 2



(se vuoi, puoi scaricare il testo in formato ODT o PDF).

DOCUMENTI

Capitolazione di Gaeta

»

106

Ordine del giorno di S. M. il Re Francesco II alla Guarnigione di Gaeta

»

112

La resa di Gaeta Circolare ai rappresentanti del Re all'estero

»

114

Gaeta Lettera del Marchese Pietro C. Ulloa al Sig. Barone di Beusl Ministro degli affari esteri a Dresda

»

115

Proclama Reale dell'8 Decembre

»

123



CAPITOLAZIONE DI GAETA

DEL 13 FEBBRAIO 1861.

Art. 1.° La Piazza di Gaeta, il suo armamento compiuto, bandiere, armi, magazzini a polvere, vestiario, viveri, equipaggi, cavalli di truppa, navi, imbarcazioni, ed in generale tutti gli oggetti, di spettanza del Governo, sieno militari che civili, saranno consegnati, alla uscila della guarnigione, alle truppe di S. M. Vittorio Emanuele.

Art. 2.° Domattina alle ore 7 saranno consegnate alle truppe suddette le porte e le poterne della città dal lato di terra, non che le opere di fortificazione attinenti a queste porle, cioè dalla Cittadella sino alla batteria Transilvania, ed inoltre Torre d' Orlando

Art. 3.° Tutta la guarnigione della Piazza, compresi gli impiegati militari ivi rinchiusi, usciranno con gli onori di guerra.

Art. 4.° Le truppe componenti la guarnigione usciranno con le bandiere, armi e bagagli.

— 107 —

Queste, dopo aver reso gli onori militari, deporranno le armi e le bandiere sull'istmo, ad eccezione degli Uffiziali che 'conserveranno le loro armi, i loro cavalli bardali e tulio ciò che loro appartiene; e sono facoltati altresì a ritenere presso di loro i trabanti rispettivi.

Art. 5.° Usciranno per primo le truppe straniere, le altre in seguito, secondo il loro ordine di battaglia con la sinistra in tesla.

Art. 6.° L'uscila della guarnigione dalla Piazza si farà per la porla di terra, a cominciare dal 15 corrente alle ore 8 del mattino, in modo da esser terminata alle 4 pomeridiane.

Art. 7.° Gli ammalati e feriti soli, ed il personale sanitario degli ospedali rimarranno nella Piazza; tutti gli altri militari ed impiegati, che rimanessero nella Piazza, senza motivo legittimo e senza apposita autorizzazione, dopo l'ora stabilita nell'articolo precedente, saranno considerati come disertori di guerra.

Art. 8.° Tutte le truppe componenti la guarnigione di Gaeta rimarranno prigioniere di guerra, finché non siensi rese la Cittadella di Messina e la fortezza di Civitella del Tronto.

Art. 9.° Dopo la resa di quelle due fortezze (1) , le truppe componenti la guarnigione saranno rese alla libertà. Tuttavia i militari stranieri non potranno soffermarsi nel Regno, e saranno trasportati nei rispettivi paesi. Assumeranno inoltre l'obbligo di non servire per un anno contro il Governo, a partire dalla data della presente capitolazione.

(1) Questo patto fu mantenuto come i patti dei trattati tra Attila e Teodorico.


— 108 —

Art. 10.° A tutti gli Uffiziali ed impiegati militari nazionali capitolanti sono accordati due mesi di paga, considerati in tempo di pace.

Quegli stessi Uffiziali avranno due mesi di tempo, a partire dalla dalla in cui furono messi in libertà, o prima se lo vogliono, per dichiarare se intendono prender servizio nell'esercito nazionale o essere ritirati, oppure rimanere sciolti da ogni servizio militare. A quelli che intendono servire nell'esercito nazionale o essere ritirati, saranno, come agli altri Uffiziali, applicate le norme del R. Decreto dato in Napoli IL 28 Novembre 1860.

Art. 11.° Gl'individui di truppa, ossia di bassa forza, dopo terminata la prigionia di guerra, otterranno il loro congedo assoluto se hanno compiuta la loro ferma, ossia il loro impegno. A quelli che non l'avessero compiuto sarà concesso un congedo di due mesi, dopo il qual termine potranno essere richiamati sollo le armi. A tutti indistintamente dopo la prigionia, saranno dati due mesi di paga, ossia di pane e prest, per rimpatriare (1).

Art. 12.° I sott'Uffiziali e caporali nazionali che volessero continuare a servire nell’esercito nazionale, saranno accettati coi loro gradi, purché abbiano le idoneità richieste.

Art. 13.° È accordato agli Uffiziali, sott'Ufficiali e soldati esteri provvenienti dagli antichi cinque Corpi Svizzeri quanto hanno dritto per le antiche capitolazioni e decreti posteriori, lino al 7 Settembre 1860.

(1) Questa promessa fece compagnia ai preliminari di Villafranca ratificati a Zurigo.


— 109 —

Agli Uffiziali, sott'Uffiziali e soldati esteri che hanno preso servizio dopo Agosto 1859 nei nuovi Corpi, e che non facevano parte dei vecchi, è concesso quanto i decreti di formazione, sempre anteriori al 7 Settembre 1860, loro accordano.

Art. 14.° Tutti i vecchi, gli storpi o mutilati militari, qualunque essi sieno, senza tener conto della nazionalità, saranno accolti nei depositi degl’invalidi militari, qualora non preferissero ritirarsi in famiglia col sussidio quotidiano a norma dei regolamenti del già Regno delle Due Sicilie (1).

Art. 15.° A tutti gl'impiegati civili, sì Napolitani che Siciliani racchiusi in Gaeta, ed appartenenti ai rami amministrativo e giudiziario, è confermato il dritto al ritiro che potrebbe reclamare corrispondente al grado che aveano al 7 Settembre 1860.

Art. 16.° Saranno provvedute di mezzi di trasporto tutte le famiglie dei militari esistenti in Gaeta, che volessero uscire dalla Piazza (2).

Art. 17.° Saranno conservate agli Uffiziali ritirati che sono nella Piazza, le rispettive pensioni, qualora sieno conformi ai regolamenti.

Art. 18.° Alle vedove ed agli orfani dei militari di Gaeta saranno conservate le pensioni che in atto tengono, e riconosciuto il dritto per domandare tali pensioni pel tratto avvenire ai termini di legge (3).

(1) Questa convenzione fu eseguita tutta al rovescio, cioè si abbandonarono, facendoli morir di fame, esponendoli così allo scherno dei rigeneratori alla moda.

(2) Il disposto di questo articolo e dell'altro che segue non s i è verificato in alcuno l'esecuzione.

(3) E chi finora ha ricevuto un quattrino?

— 110 —

Art. 19.° Tutti gli abitanti di Gaeta non saranno molestati nelle persone e proprietà per le opinioni passate (1).

Art. 20.° Le famiglie dei militari di Gaeta , e che trovansi nella Piazza, sono poste sotto la protezione dell'esercito del Re Vittorio Emmanuele.

Art. 21.° Ai militari nazionali di Gaeta, che per motivi di alta convenienza uscissero dallo Stato, saranno pure applicate le disposizioni contenute negli articoli precedenti.

Art. 22.° Resta convenuto che dopo la firma della presente capitolazione non si deve restare nella Piazza nessuna mina carica, ove se ne trovassero la presente capitolazione sarebbe nulla, e la guarnigione come resa a discrezione. Uguale conseguenza avrebbe luogo, ove si trovassero le armi distratte a bella posta, non che le munizioni: salvo che il Governatore della Piazza consegnasse i colpevoli, i quali saranno immediatamente fucilati.

Art.° 23.° Sarà nominata d' ambo le parli una Commissione composta (2): d' un Uffiziale di Artiglieria

idem del Genio

idem di Marina

idem dell'Intendenza militare, ossia Commissario di guerra, col personale necessario per la consegna della Piazza.

(1) Ma in verità tutti furono arrestati.

(2) La commissione suddetta fu composta dal Colonnello Vincenzo A fan de Rivera, dal Maggiore Volpe del Genio, e dal Commissario di guerra ordinatore Rocchi.


— 111 —

Per l'Armata Sarda

Il Capo di stato Maggiore

Firmato Colon. C. PIOLA CASELLI

Il Luogotenente Generale

Comandante superiore del Genio

Firmato L. F. MENABREA

Visto, ratificato e approvato

Il Generale d Armala

Comandante le Truppe all'assedio

Firmato CIALDINI

Per la Piazza di Gaeta

Il Tenente Colonnello

Capo di stato Maggiore d'Artigliera

Firmato GIOVANNI DELLI FRANCI

II Generale della Real Marina

Firmato ROBERTO PASCA

Il Generale Capo di Stato Maggiore

Firmato FRANCESCO ANTONELLI

Visto, ratificato e approvalo

Il Tenente Generale

Comandante la Piazza di Gaeta

Firmato FRANCESCO MILON

— 112 —


vai su



ORDINE DEL GIORNO

DI SUA MAESTÀ IL RE FRANCESCO II

ALLA GUARNIGIONE DI GAETA
14 Febbraro 1864


Generali, Uffiziali e Soldati dell'Armata di Gaeta,

La fortuna della guerra ci separa. Dopo cinque mesi nei quali abbiamo combattuto insieme per la indipendenza della Patria, dividendo gli stessi pericoli, soffrendo le stesse privazioni, è giuntò per me il momento di mettere un termine ai vostri eroici sacrifizii.

Era divenuta impossibile la resistenza; e se il mio desiderio di soldato era di difendere con voi l'ultimo baluardo della Monarchia, fino a cadere sotto le mura crollanti di Gaeta, il mio dovere di Re, il mio amore di Padre, mi comandano oggi di risparmiare un sangue generoso, la cui effusione nelle circostanze attuali non sarebbe che l'ultima manifestazione di un inutile eroismo.

Per voi, miei fidi compagni d'arme, per pensare al vostro avvenire, per le considerazioni che meritano la vostra lealtà, la vostra costanza, la vostra bravura, per voi rinunzio all'ambizione militare di respingere gli ultimi assalti di un nemico che non avrebbe presa la Piazza , difesa da tali soldati, senza seminar di morti il suo cammino.

Militi dell'Armala di Gaeta, da dieci mesi combattete con impareggiabile coraggio. Il tradimento interno, l'attacco delle bande rivoluzionarie di stra nieri,

— 113 —

l'aggressione d'una Potenza, che si diceva amica, niente ha potuto domare la vostra bravura, stancare la vostra costanza. In mezzo alle sofferenze di ogni genere, traversando i campi di battaglia, affrontando il tradimento, più terribile che il ferro ed il piombo, siete venuti a Capua e Gaeta, segnando il vostro eroismo sulle rive del Voi-turno, sulle sponde del Garigliano, sfidando per tre mesi dentro a queste mura gli sforzi d'un nemico, che disponeva di tutte le risorse d'Italia.

Grazie a voi è salvo l'onore dell'Armala delle Due Sicilie; grazie a voi può alzar la testa con orgoglio il vostro Sovrano; e sulla terra di esilio, in che aspetterà la giustizia del Cielo, la memoria dell'eroica lealtà dei suoi Soldati, sarà la più dolce consolazione delle sue sventure.

Una medaglia speciale vi sarà distribuita per ricordare l'assedio; e quando ritorneranno i miei cari soldati nel seno delle loro famiglie, tutti gli uomini di onore chineranno la testa al loro passo, e le madri mostreranno come esempio ai figli i bravi difensori di Gaeta. Generali, Uffiziali e Soldati, vi ringrazio tutti: a tutti stringo la mano con effusione di affetto e riconoscenza. Non vi dico addio, ma a rivederci. Conservatemi intatta la vostra lealtà, come vi conserverà eternamente la sua gratitudine e la sua affezione il vostro Re

FRANCESCO



— 114 —

LA RESA DI GAETA
CIRCOLARE DIRETTA AI RAPPRESENTANTI DEL RE
ALL'ESTERO

Signori,

Le ragioni che consigliarono la capitolazione di Gaeta furono in parte politiche ed in parte militari. Fra le ragioni politiche bisogna collocare l'ostilità sistematica dell'Inghilterra, la risoluzione altamente manifestala dall'Imperatore dei Francesi di mantenere il principio del non intervento, finalmente l'inazione delle altre Potenze che non lasciavano alcuna speranza di pronto soccorso.

Quanto alla questione militare, la Piazza aveva orribilmente sofferto dal bombardamento prolungato, il tifo decimava la guarnigione; l'artiglieria nemica era superiore a quella della Piazza; due breccie erano state aperte dall'esplosione delle polveriere: ESPLOSIONE A CUI IL TRADIMENTO NON ERA STATO ESTRANEO, e nello stesso tempo in cui i mezzi di attacco, di cui disponevano gli assedianti, aumentavano in una proporzione considerevole, quelli della Piazza diminuivano ogni giorno. Fu in queste circostanze allorquando la difesa non avrebbe potuto esser prolungala che di qualche giorno ed a prezzo dei più grandi sacrifici, che il Re credette dover agire piuttosto come Sovrano e come Padre che come generale, risparmiando gli ultimi orrori dell' assedio a truppe pronte a spargere fino all'ultima stilla del loro sangue per il compimento del loro dovere di sudditi e di soldati.

— 115 —

Ma i fatti che dalla parte dei Piemontesi accompagnarono le trattative hanno un carattere che è necessario di rilevare.

Il generale Cialdini rifiutò di sospendere le ostilità durante le trattative. Per tre giorni ha coperto la Piazza di bombe e di granate.... Tutte le condizioni erano già stipulale; non mancava più, perché la capitolazione fosse compiuta, che la trascrizione del testo di quel lungo documento e la formalità delle sottoscrizioni, e le batterie piemontesi portavano ancora la morte in Gaeta, e l'esplosione di un altra polveriera seppelliva sotto le mine Uffiziali e soldati (1).

Voglia aggradire, ecc.

Casella

GAETA

Al Sig. Barone di Beust Ministro degli Affari Esteri a Dresda

Signor Barone,

Gaeta è caduta. Noi abbiamo lasciate, partendo, fortificazioni smantellate, case e monumenti crollati, o dai proiettili forali, ogni strada bagnata di sangue. Quella parte di popolo che altra volta era la

(1) Questo modo di agire non trova rincontro neppure tra barbari. Eppure questo Silla redimo osò dire: c he il soldato di Vittorio Emmanuele combatte e perdona... barbaro m enzognero!

— 116 -

più avventurosa ed eletta della nostra Società, ci vien compagna nella terra dell'esilio per poi disperdersi nelle città d'Europa a procacciarsi il pane del Mendico; e cosi i doviziosi addiveranno poveri, ed i poveri ridurannosi nell'estrema indigenza — Il timore e l'inquietudine appariscono nel volto di tanti soldati il cui cuore è fortemente agitato — II Re e la Regina sotto le volte del Quirinale ripareranno le loro teste, ma non tarderà quell'asilo ad esser segno di spietata invidia (come si è verificato!!!) Essi, insieme a quelli che seco loro spartirono perigli e sventure saranno dannati al supplizio della speranza: supplizio che per tutti i proscritti, è terribile!!! Alle vittime del dovere, della generosità e dell'onore, oscuro ed incerto l'avvenir si mostra; però il Re può a ben donde ripetere con l'eroico Francesco I. Tutto è perduto fuorché l'onore! quantunque la sventura ogni fronte costringe ad inchinarsi.

L'ultim'ora per Gaeta non era ancor toccata, nel 9 Febbrajo; ma un cerchio di ferro circondava la Piazza, cadendovi una pioggia di proiettili, che per ogni dove scoppiavano. Un principio d'incendio minaccia la riserva delle munizioni, che dagli artiglieri con perizia ed annegazione si spegne. L'indomani il fuoco degli assedianti era divenuto più che premente, ma i prodi artiglieri e marinai si battevano come leoni. Tutti erano compatti; e benché anneriti di polvere e sanguinanti, sempre risoluti, anziché arrendersi, morire; gareggiavano a tal uopo in prender posto dove il pericolo mostravasi maggiore. Le Chiese, le case, i monumenti

— 117 —

sono in rovina, e la città orribilmente soffre; mentre le donne ed i fanciulli sono schiacciati nelle loro abitazioni, nelle strade e fin nei sotterranei; talché al giunger della sera la stanchezza aveva fatta sospendere il fuoco, non mai l'ardore.

Dal 4 Febbraio però questo valore era adoperato inutile: giacché la esplosione di quattro polveriere, l'apertura di due brecce, la perdita di non pochi soldati, causata dal tifo e dal fuoco, e la mancanza di munizioni e di viveri, costringevano alla resa. La guarnigione pertanto senza scoraggiarsi domandava, per mezzo dei suoi capi, prolungarsi la resistenza, e la sua fermezza non si. smentiva; ma senza un barlume di speranza era a sé stessa abbandonata. Per la qual cosa il Re, cedendo di proprio modo ad un umanitario sentimento, pose termine a questo doloroso sacrificio di vittime fedeli, che per lo appresso era divenuto glorioso, ma pel momento inutile... A tal uopo convocò nel dì seguente il suo Consiglio, come assemblea di famiglia, in cui presero parte la Regina, i Conti di Trani e Caserta e i due Ministri. In quel momento di suprema discussione ogni fisionomia era atteggiata a tristezza, ed il cuor di ciascuno, gonfio dal dolore, era impotente alla parola. I due Principi che si erano esposti sempre al pericolo, e che nell'amor fraterno avean spesso trovati ostacoli, taciturni e dignitosi se ne stavano, quasi presentendo l'ultim'ora della secolare Monarchia e della Nazionale indipendenza. Il più degli uomini serbano un grado di coraggio per condursi con valore, ma il Re in questa circostanza mostrò averne una dose maggiore:

— 118 —

poiché perduta la corona, affrontata la guerra, sofferto il tifo, e visto lo spettacolo delle sofferenze della fedele soldatesca, non mai gli venne meno la bravura e l'energia, che altamente onorano la sua resistenza. Egli espose con aria tranquilla lo stato della Piazza, e domandò: se doveva in vista di esso assentire ad una capitolazione. I Ministri comprendendo: che la Fortezza non poteva più sostenersi, e che gl'istanti più che i suoi giorni erano contati, avvisarono, prorompendo in lagrime, per la resa; ed i Principi profondamente commossi, con un lento chinar di lesta, fecer segno di consentimento.

Durante i due giorni destinati a discutere i patti della capitolazione, gli assedianti che rifiutarono una tregua, non ristettero dal molestare la Piazza co' loro proiettili. Si stava per aprire il Parlamento di Torino e si voleva poter annunziare la presa di Gaeta, ma l'energia degli assediati faceva temerne. Il fuoco acquistò in poche ore tale una violenza non mai avuta; sicché il Cielo istesso pareva fiammeggiante. — Tremendo spettacolo! Le case matte minacciano rovina; quella della giovin Regina è sul punto di cadere, le cannoniere sono discese al livello delle spianate; le bombe scoppian sulle case, sulle chiese e sugli ospedali, facendo numerose vittime tra gli abitanti più infelici. In fine tutto crolla e non vi è più strada praticabile, né più luogo. sicuro. Niuno però si allontana dalle batterie; tutti sono vicini ai cannoni, ed a vicenda s'invidiano il posto dell'onore e del pericolo. Tre o quattro giovinetti dai quindici ai sedici anni, fuggiti dal collegio militare di Napoli per dividere i pericoli dell'assedio, più d'ogni altro si distinguono.

— 119 —

La riserva delle munizioni ed il laboratorio in questo punto saltano per aria con un orribile fracasso; e dalla forza della polvere un giovane uffiziale di artiglieria e pochi soldati sono lanciati in alto, ricadendo nel mare. Una casamatta rovina, e rovinando seppellisce soldati ed artiglieri. I piemontesi a lai vista, presenti i plenipotenziari napolitani, che conchiudono la capitolazione, emettono grida di gioja, battendo le mani palme a palme, come assistessero ad uno spettacolo festivo. Questo è l'ultima lotta, ma disperata; poiché il sacrifizio, firmata la capitolazione, è consumato —

Nella sera del 13, la casamatta Reale era ingombra di uffiziali di ogni grado, che venivano a testimoniare al Re il loro costante rispetto, che in quel momento si rendeva più alle sue qualità personali, che alla dignità del suo rango, appalesando col loro silenzio: tristezza ed abbattimento. Il Re, nel ringraziarli li elogiava; ed in questa occasione con sovrana dignità, rammentò loro ciò che aveva fatto e quello che avrebbe voluto intraprendere a fare per la felicità del Paese. Difatti, senza posa erasi interamente dedicato alle cure del governo, ma al vigore giovanile non ancora aveva potuto unire quella esperienza e maturità che gli anni portano seco. — Egli aggiunse di più: che non si sarebbe mai dimenticato della loro fedeltà ed attaccamento, e ne conserverebbe una viva gratitudine; e tale, ricordanza, nell'esilio e nel ritiro, gli sarebbe della più dolce consolazione; e conchiuse facendo, voti alla Provvidenza per la prosperità dei suo regno e per la felicità dei suoi intrepidi difensori —

— 120 —

Durante l'addio del Re tutti piangevano» chi per l'ammirazione della sua grandezza d'animo, e chi commosso per le sincere espressioni dell'amore che sentiva per i suoi popoli —

Ma l'ora della separazione e della partenza era suonata. Alle 4 a: m: l'avanguardia piemontese principiava a penetrare nella Piazza, ed a salire in sulle batterie. La Muette, vapore di guerra francese ed i bastimenti spagnoli, che dovevano ricevere il Re, non giungevano ancora; pel qual ritardo il giovin Eroe si decise di recarsi sulla Partenope, fregata napoletana, che era disarmata in porto. Nel momento però di eseguirsi il disegno, la Muette comparve — Allora il Re e la Regina sortirono dalla casamatta, seguili da' Principi, Ministri, Generali, gentiluomini e da un gran numero di uffiziali di ogni arma e grado, passando immezzo alla guarnigione, schierata in battaglia, fino alla porta di mare. I soldati, laceri e defatigati con gli occhi abbattuti, presentavano le armi, mentre la musica dei reggimenti suonava la marcia reale. Quest'inno, opera del Paesello, durante il bombardamento, si suonò continuamente, ed allora questo pezzo d'armonia faceva un contrasto doloroso col rumore spaventevole delle artiglierie; ma in questo momento solenne quelle note cosi armoniose e tenere, fecero altra impressione, ricordando ben altri giorni; talché l'emozione diventò generale, e le lagrime sgorgarono dagli occhi di tutti. I soldati gridando: Viva il Re, non facevano sentire che suoni rauchi, frammisti a singulti;

— 121 —

e la popolazione esposta a dure prove, durante il combattimento, si precipitò allora sui passi del Re per baciargli chi le mani e chi gli abiti; e parte di essa dall'alta dei balconi, convulsa, agitava i bianchi fazzoletti come affettuoso segnale dell'estremo addio — I soldati si prostravano singhiozzando dinanzi al Re; e gli uffiziali, oppressi dallo stesso dolore, si gettavano nelle braccia dei loro soldati, scambievolmente abbracciandosi; e di questi ultimi, vi furon molli, che strappandosi le spallette, ruppero le spade e le gittarono al suolo. La commozione era sì generale e profonda che non si sapeva più altrimenti esprimere — Il Re da questo dolore universale si commosse altamente; però, serbando la più perfetta eguaglianza d animo, non pareva di altro occupalo, che a consolare i suoi soldati e a mitigare loro l'amarezza — Egli non poteva aprirsi il varco in mezzo a coloro che da tulle parti lo circondavano; e alla giovin Regina per questo fatto spuntarono per la prima volta le lagrime dagli occhi: Alla perfine il Re, uscendo dalla porta di mare, salutò colla ma no i suoi eroici soldati, imbarcandosi col suo seguito uno a quei Francesi che fino allora s'erano al suo servizio dedicali, con tale annegazione e bravura da potersi chiamare temerità. In quella che la Muette lasciò il porto una batteria rese gli ultimi onori al Re — Il rombo del cannone si elevò per l'aere pari al singhiozzo del moribondo!... le grida di Viva il Re! spinte dai cannonieri, nel momento in che abbassavasi la bandiera Napolitana, ci strinsero il cuore, e ne sembrava quella bandiera un funereo drappo che si stendeva per nascondere la gloriosa Monarchia di Carlo III;

— 122 —

e gli stessi francesi della Muette erano commossi come i napolitani — In cosiffatto modo, Signor Barone, si è compita la resistenza di Gaeta: il più memorabile avvenimento dell'invasione del Regno. Essa ha avuta una durata di tre mesi e mezzo, e nessun giorno è passalo senza che gli assedianti non avessero fatto qualche sforzo per sottomettere la Piazza, sapendo dal cui destino dipendere le sorti del Regno di Napoli, nonché dell'Italia. Vigorosa ed ostinala fu la difesa, degna della causa, e di un migliore successo — La Piazza ha lottato contro le macchine inventate dalla moderna balistica; e sola la costanza e la divozione della guarnigione han potuto bilanciare la gran superiorità delle armi — Il mondo ha contati i giorni della difesa, ma ignora ancora tutte le sofferenze ed i rischi affrontali dalla Real Famiglia, dai Ministri, dai gentiluomini o dalla soldatesca che difendeva in questa Missolungi Napolitana l'ultimo baluardo della indipendenza Nazionale — La guarnigione, se ha dovuto cedere, esige ogni rispetto dal nemico, il quale non può fare a meno di valutarne il coraggio ed il valore —

A bordo della Muette, li 14 Febbrajo 1861.

— 123 —

PROCLAMA REALE

Gaeta 8 Dicembre 1860

Popoli delle Due Sicilie!

Da questa Piazza, dove difendo più che la mia corona l'indipendenza della patria comune; si alza la voce del vostro Sovrano per consolarvi nelle vostre miserie, per promettervi tempi più felici. Traditi egualmente, egualmente spogliati, risorgeremo allo stesso tempo dalle nostre sventure; che mai ha durato lungamente l'opera della iniquità, né sono eterne le usurpazioni.

Ho lasciato perdersi nel disprezzo le calunnie; ho guardalo con isdegno i tradimenti, mentre che tradimenti e calunnie attaccavano soltanto la mia persona; ho combattuto non per me, ma per l'onore del nome che portiamo. Ma quando veggo i sudditi miei, che latito amo, in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo come popoli conquistati portanti il loro sangue e le loro sostanze ad altri paesi, calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore Napolitano bolle indegnato nel mio petto, consolato soliamo dalla lealtà di questa prode Armala, dallo spettacolo delle nobili proteste che da tutti gli angoli del Regno si alzano contro il trionfo della violenza e dell'astuzia.

Io sono Napolitano; nato Ira voi, non ho respiralo altr'aria, non ho veduti altri paesi, non conosco altro suolo, che il suolo natio.

— 124 —

Tutte le mie affezioni sono dentro il Regno: i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua la mia lingua, le vostre ambizioni mie ambizioni. Erede di un'antica Dinastia, che ha regnato in queste belle contrade per lunghi anni, ricostituendone la indipendenza e l'autonomia, non vengo, dopo avere spogliato del loro patrimonio, gli orfani, dei suoi beni la Chiesa, ad impadronirmi con forza straniera della pia deliziosa parie d'Italia. Sono un Principe vostro, che ha sacrificato tutto al suo desiderio di conservare la pace, la concordia, la prosperità tra suoi sudditi.

Il mondo intero l'ha veduto, per non versare il sangue ho preferito rischiare la mia corona. I traditori pagati dal nemico straniero sedevano accanto ai fedeli nel mio Consiglio; ma nella sincerità del mio cuore io non potea credere al tradimento. Mi costava troppo punire; mi doleva aprire dopo tante nostre sventure un'era di persecuzione, e così la slealtà di pochi e la clemenza mia hanno aiutato la invasione Piemontese, pria per mezzo degli avventurieri rivoluzionarii e poi della sua Armata regolare, paralizzando la fedeltà de’ miei Popoli, il valore dei miei soldati.

In mano a cospirazioni continue non ho fatto versare una goccia di sangue; ed hanno accusata la mia condotta di debolezza. Se l'amore più tenero pei miei sudditi, se la fiducia naturale della gioventù nell'onestà degli altri, se l'orrore istintivo al sangue meritano questo nome, io sono stato certamente debole Nel momento in che era sicura la rovina dei miei nemici, ho fermato il braccio dei miei Generali per non consumare la distruzione dì Palermo:

— 125 —

ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per non esporla agli orrori di un bombardamento, come quelli che hanno avuto luogo più tardi in Capua ed in Ancona. Ho credulo di buona fede che il Re di Piemonte, che si diceva mio fratello, mio amico, che mi protestava la invasione di Garibaldi, che negoziava col mio Governo un'alleanza intima pei veri interessi d'Italia, non avrebbe rotto tutti i patti e violate le leggi per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazione di guerra. Se questi erano i miei torti, preferisco le mie sventure ai trionfi dei miei avversarii.

Io avea dato un amnistia, avea aperto le porte della patria a tutti gli esuli, conceduto ai miei popoli una Costituzione. Non ho mancalo certo alle mie promesse. Mi preparava a guarentire alla Sicilia istituzioni libere, che contrassero con un Parlamento separato la sua indipendenza amministrativa ed economica, rimuovendo a un tratto ogni motivo di sfiducia e di scontento. Avea chiamato ai miei consigli quegli uomini che mi sembravano più accettabili alla opinione pubblica in quelle circostanze; ed in quanto me lo ha permesso l'incessante aggressione della quale sano stato vittima, ho lavorato con ardore alle riforme, ai progressi, ai vantaggi del paese.

Non sono i miei sudditi, che han combattuto contro me; non mi strappano il Regno le discordie intestine, ma mi vince l'ingiustificabile invasione d'un nemico straniero. Le Due Sicilie, salvo Gaeta e Messina, questi attimi asili della loro indipendenza, si trovano nelle mani dei Piemontesi.

— 126 —

Che ha dato questa rivoluzione ai miei Popoli di Napoli e di Sicilia? Vedete lo stato che presenta il paese. Le finanze un tempo cosi floride sono completamente rovinate: l'Amministrazione è un caos; la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni son piene di sospetti: in vece di libertà lo stato di assedio regna nelle provincie, ed un Generale straniero pubblica la legge marziale, decreta la fucilazione istantanea per tutti quelli fra i miei sudditi, che non s'inchinino alla bandiera di Sardegna. L'assassinio è ricompensato; il regidio merita un'apoteosi; il rispetto al culto santo dei nostri Padri è chiamalo fanatismo; i promotori della guerra civile, i traditori al proprio paese ricevono pensioni, che paga il pacifico contribuente. L'anarchia è da per lutto. Avventurieri stranieri han rimestato tutto per saziare l'avidità o le passioni dei loro compagni. Uomini che non han mai veduto questa parte d'Italia, e che ne hanno in lunga assenza dimenticati i bisogni, formano il vostro Governo. Invece delle libere istituzioni che io vi avea date, e che era mio desiderio sviluppare, avete avuta la più sfrenata dittatura, e la legge marziale sostituisce adesso la Costituzione. Sparisce sotto i colpi dei vostri dominatori l'antica monarchia di Ruggiero e di Carlo III; e le Due Sicilie sono state dichiarate provincie d'un Regno lontano. Napoli e Palermo son governati da' prefetti venuti da Torino.

Vi è un rimedio per questi mali, per le calamità più grandi che prevedo. La concordia, la risoluzione, la fede nell'avvenire. Unitevi intorno al trono dei vostri Padri.

— 127 —

Che l'oblio copra per sempre gli errori di tutti; che il passato non sia mai pretesto di vendetta, ma pel futuro lezione saluta re. Io ho fiducia nella giustizia della Provvidenza, e qualunque sia la mia sorte, resterò fedele ai miei Popoli ed alle istituzioni che ho loro accordate. In dipendenza amministrativa ed economica per le Due Sicilie con Parlamenti separati: amnistia completa per tutti i fatti politici; questo è il mio programma. Fuori di queste basi non vi sarà pel paese che dispotismo o anarchia.

Difensore della sua indipendenza, io resto e combatto qui per non abbandonare cosi santo e caro deposito. Se l'autorità ritorna nelle mie mani, sarà per tutelare lutti i diritti, rispettare tutte le proprietà, guarentire le persone e le sostanze dei miei sudditi contro ogni sorta di oppressione e di saccheggio. E se la Provvidenza nei suoi alti disegni permetta che cada sotto i colpi del nemico straniero l'ultimo baluardo della monarchia, mi ritirerò con la coscienza sana, con incrollabile fede, con immutabile risoluzione; ed aspettando l'ora inevitabile della giustizia, farò i più fervidi voli per la prosperità della mia patria, per la felicità di questi Popoli, che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia.

Firmato FRANCESCO


Rds, 5 Febbraio 2009 - https://www.eleaml.org











vai su









Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e del Webm@ster.