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CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFE' DE L'ALLEGRIA

La storia della opposizione politica al governo italiano nelle provincie napolitane è tutta da scrivere.

Si è fatta, malamente, la storia del brigantaggio perché era funzionale al disegno coloniale sabaudo: demonizzare l'avversario per tacitare gli oppositori.

Su tutto il resto fu messo un velo opaco, sugli arresti, sulle perquisizioni, sui sequestri dei giornali napolitani non allineati.

LO TROVATORE fu uno dei tanti giornali che si opposero al nuovo regime.

Era un giornale cattolico e lo dichiarava apertamente. Vi consigliamo di leggere soprattutto le spassosissime e amare CHIACCHIARIATE DINTO A LO CAFE' DE L'ALLEGRIA. Anzi, se ci sono dei ragazzi che vogliono cimentarsi col mestiere dell'attore consigliamo loro di provare a recitarne alcune parti e a metterle su youtube. Potrebbero avere un grande successo.

Ecco un assaggio:

Caf. Sta libertà me pare lo ppetrosino d'ogne menesta.

D. Crisc. E perchè?

Caf. Pecchè nn'Italia nce anno arreddutto senza cammisa e te siente dicere: avimmo la libertà. Se caccia Roma a lo Papa, e se fà pe la libertà, se scannano comme animale nFrancia, e lo fanno pe la libertà, nzomma sta libertà pare a me che fosse stata meglio che non fosse maje comparza.

D. Crisc. Queste parole non sono degne di un cittadino italiano...

Ann. D. Criscè, scusate, nuje simmo Napolitane, e sto nomme taliano pe nnje è parola sbeteca, anze mala parola, pecchè da che nce anno ditto chiamarce italiane stammo assaggianno, famme, friddo, e guaje... Onne tenitevello pe buie sto titolo mbroglione ...

Buona lettura.

Zenone di Elea – Aprile 2012


LO TROVATORE - GIORNALE DEL POPOLO


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ANNO VI N.° 1 Martedì 3 Gennaio 1871

Ai nostri lettori!

Eccoci all'Anno 1871 sesto del nostro giornale, undecima della baldoria in Italia. Noi, poiché la gravità dei tempi ce lo à imposto, abbiamo smesso, a cominciare da queste primo numero, il dialetto, lasciando sola la Chiacchiariata... tanto pubblico, qualche altro articolo che crederemo conveniente, laonde dall'indole faceta, il nostro giornale si è cambiato in quella, affatto seria politico-religiosa, per cui tolto la vignetta, ed abolita la cosi detta Sporta.

Entriamo dunque severi e di tutto punto fortificati con le armi della logica e della discussione nel difficile arringo, ed oggi come per lo passato, staremo saldi al nostro posto di onore, né ci scuoterà minaccia qualunque, come non ci ànno scosso per il passato le perquisizioni. il carcere, e le violenze di piazza. Noi staremo tetragoni alle sobillazioni, e seduzioni, imperocché non scrivendo noi per ispirito di parte non agogniamo né a croci, né a commende. Noi, Vergini di servo encomio e di codardo oltraggio, non insozziamo la nostra coscienza, né per noi ànno splendori il vizio ed il delitto, siano puranche cinti dalla gemmata veste del potere. Noi come per lo passato abbiamo risolutamente ricusato l'oro del governo, cosi ci manterremo saldi per l'avvenire, contenti solo della nostra indipendenza.

Ciò premesso, abbiamo noi duopo di ripetere qui nuovamente il nostro programma? No, poiché il popolo ci conosce abbastanza. Quindi diremo solo, che noi seguiteremo a tenere alta la medesima bandiera, il cui emblema è Religione, Dritto, Legittimità, Verità, oltre di questo per noi non vi è programma possibile ed accettabile. Per quei Signori che vorrebbero ingrandito il formato del nostro giornale, ringraziandoli diciamo loro, che una simile riforma è impossibile, stantechè essendo il nostro giornale conservato in Collezioni dai suoi lettori, dimostrazione questa del conto che di esso fanno, ingrandirne il formato guasterebbe le collezioni. E poi, non per l'ingrandimento del suo formato LO TROVATORE acquisterebbe maggiore importanza di quella che à sì nel paese ohe all'estero, dappoiché grazie alla benevolenza dei nostri Concittadini, e per la inalterabile fede del suo programma primitivo, il nostro giornale benché piccolo, non è l'ultimo tra i difensori della giustizia e della verità. E poi ricordiamo a chi non lo sa, che. la Lanterna del Rochefort benché più piccola del Trovatore di Napoli, fé impallidire sul Trono il polente Napoleone III nonostante il suo Milione di baionette!

In ultimo chiudiamo questo articolo, esternando le nostre più sentite grazie ai nostri cari concittadini, che tanto ci amano, ed a tutti quei signori dell'estero che ànno la bontà di leggere i nostri Articoli; e vogliamo se non la purezza della lingua, il ragionamento stringente, e la indipendente parola. Sicché sotto questi Auspici cominciamo il novello Anno 1871.

ANNO VI N.° 2 Giovedì 5 Gennaio 1871

IL MARCHIO DI CIALDINI

creato Duca di Gaeta

Come sanno i nostri lettori. Enrico Cialdini, dovendo andare in Ispagna per servire da Mentore al nuovo Re, e non avendo né nobiltà di sangue, né nobiltà di modi, né nobiltà d'opere, e tuttavia andando in una nazione che è rispettosissima verso i titoli di nobiltà, fu decorato del titolo di Duca di Gaeta, perché insieme con Menabrea nel 1860 espugnò quella fortezza, soperchiando colla forza del numero un Re d'animo invincibile ed un pugno d'Italiani fedelissimi, pronti a morire con lui e per lui.

Quando Vittorio Emanuele II, addi 18 di febbraio 1861, inaugurava il Parlamento che allora cominciossi a chiamare italiano; alludendo alla caduta di Gaeta, diceva: «Dopo molte segnalate vittorie, l'esercito italiano, crescente ogni giorno in fama, conseguiva nuovo titolo di gloria, espugnando una fortezza delle più formidabili (Applausi). Mi consolo nel pensiero che là si chiudeva por sempre la serie dolorosa dei nostri conflitti civili. (Vivissimi segni di assenso).»

Ed invece nel 1870 si dà un titolo di nobiltà che ricorda quell'orribile conflitto civile, come cioè a Gaeta Italiani uccidessero altri Italiani, come fosse interamente spodestato e costretto all'esilio un re figlio d'una santa Principessa di Savoia! Quando si sarebbe dovuto coprire d'eterno obblio quell'impresa dolorosa, invece se ne ridesta la memoria osi manda all'estero come una ragione di vanto. Che politica è questa? Da quali uomini siamo governati noi?

Lasciamo stare che il titolo d'una città italiana non si deve dare che a' soli Principi di sangue reale; ma notiamo la sconvenienza di nobilitare un soldato italiano, ricordando che ha ucciso altri soldati italiani!

Procedendo con questo criterio, chiamate domani Duca di Genova Alfonso Lamarmora che l'ha conquistata nel 1849; chiamate Duca di Palermo Raffaele Cadorna, che ha mitragliato i Palermitani nel 1866; chiamate Duca d'Aspromonte Urbano Rattazzi, o il generale Pallavicino, che ha ferito Garibaldi, chiamate Duchi di Torino Minghetti e Peruzzi, che nel 1864 hanno insanguinato la città di Torino, e finalmente chiamate Duca di Roma Nino Bixio, che nel settembre di questo anno bombardò la città dei Pontefici. Questi signori meritano tanto i titoli accennali, quanto Enrico Cialdini, il quale non sovrasta agli altri se non per aver avuto il coraggio di scrivere e sottoscrivere nel Giornale Ufficiale di Napoli: ffo fucilare. ho già cominciato.

ANNO VI N.° 3 Sabato 7 Gennaio 1871

I Sordo Muti

.... Voi non riuscerete mai a formare la felicità della Nazione, ove per Regno felice non vogliate intendere una Nazione in cui domina la Carta, la Miseria, la Fame!

Il Vescovo Di Mandovì.

Nello studiare le vicende della vita ci si presentano d'innanzi dei punti cosi algidi, delle protervie così inaudite, e delle barbarie cosi orribili, che la penna cade dalla mano quando si va per segnarle: e pure bisogna sorbire il calice del dolore!

in questa derelitta Napoli vi sono molti infelici privi dell'udito e della fave/la (secondo il censimento oltre a 5000: ) che un di si reputavano bruti, che si rimiravano con orrore, ed i cui suoni gutturali, il gestire, pieno di forza e di vivacità, i capricci stessi li facevano abborrire, trattare con non curanza. e perfino con disprezzo. Ma non era cosi per la Chiesa Cattolica ! Questa Madre amorosa apriva le benefiche braccia verso di quei disgraziati, e fondava asili per educarli, per richiamarli a formar parte dell'umana famiglia, a renderne miti i costumi. a portarli a conversare con loro stessi e con gli altri; e quel che più monta ad infondere in quei cuori i precetti santissimi del Cattolicismo, l'amore verso dell'Onnipotente Iddio, ed il rispetto di quella vita, che per lo innanzi traevano misera e non curata. Fra gli altri, i nomi del chiarissimo Silvestri in Roma, del Cozzolino in Napoli, e dell'abate de l'Epèe in Francia saranno sempre salutati come i benefattori dell'umanità.

Però i nostri civilizzatori che ne conoscevano più degli altri, e che di tante promesse ci allietavano (sebbene poscia su di tutto si è fallo man bassa, facendo avverare alla lettera il motto del gran martire Poerio, che ai Napoletani non dovevano restare neppure gli occhi per piangere, essi che ci hanno regalato tanto sperpero ed esterminio, o che ci hanno involti in così luttuose vicende, han pensato di arraffarsi anche i beni dell'asilo dei sordo-muli, e con una tirata di penna, con uno scarabocchio che non si capisce, se ne incameravano gli averi, e si gittavano sul lastrico tanti sventurati a cui manca per fino il bel dono della parola, anche per pitoccare e chiedere un pane!... un pane solo !...

Oh quanto è straziante questo pensiero nel tetro squallore in cui viviamo, e nella cruda miseria che ci morde le calcagna; l'animo si sente commosso, ed il cuore no sanguina!

E pure se si avesse la pazienza di svolgere i periodici dei primi tempi della rigenerazione, vi si leggerebbero le grandiose profferte, le immense promesse, i piani d'immegliamento da farsi a quest'opera tutta filantropica ed umanitaria, toni essi dicevano, e eh' era stato tanto negligentata ed abbandonata sotto il Governo dei Borboni, che bugiardamente chiamavano della tirannia e della negazione di Dio. Ma venuto il 1864: s'incominciavano a discoprire le maschere; ed indi nel Parlamento è quasi un anno, che per vedute di economia si cancellavano gli assegni agl'Istituti tutti dei Sordo-muti del Regno, che non si poggiavano sopra tavole di fondazione, né sopra titoli di corrispettivo; ma ch'erano largizioni di Carità e di Beneficenza!! Ed oggi si dà un passo più innanzi dal Ministero dell'Interno mentre quegl'Istituti sono sottoposti alla dipendenza dall'Istruzione pubblica, si covrono con una pietra sepolcrale quelle Istituzioni, e con barbarie inaudita se ne cancella l'annuo assegno dal Bilancio, in controverso del Parlamento. Vipere e non uomini, ecco disvelate le vostre lustre: i fatti rispondono alle vanitose parole. Quando non si sono rispettati né la Chiesa, né le sue proprietà, quando si sono rinnovate in Roma scene frenetiche che la storia stenterà a registrare, e quando in fine si tiene prigioniero il Sovrano Pontefice, che cosa potevano sperare i particolari Instituti e Convitti, i beni inservienti al mantenimento dell'orfano, dell'infermo, del sordomuto?!. Ma, o settari, agendo diversamente avreste mutalo le leggi della natura; ciò non per tanto se ancor vi è rimasta l'ombri del pudore, rispettale almeno quel che dal Parlamento Italiano si sanzionava.

Gl'infelici sordo-muti raccolti nell'Albergo de' Poveri di Napoli non debbono confondersi con gli altri accattoncelli sordo-muti anch'essi che alimenta la carità cristiana. No, quei disgraziati sono fondazione di Re Carlo III di Borbone: quell'Istituto Convitto è una gloria Napoletana, che ricorda ai più tardi nepoti il nome del Gran Principe, la cui memoria rispettava il Colletta nella sua istoria. E bene: quel Monarca vi spendeva ogni pensiero per accorrervi con ogni cura, e trasmetteva questa sollecitudine al Re Ferdinando I che con decreto del 24 settembre 1816 dotava quel Convitto di un assegno determinato di annui ducali 4134 di rendita che oggi corrispondono a Lire 17772.77, ed aggregava l'opera all'Albergo dei Poveri, destinandovi, tre ampie sale dell'ultimo piano di quel grandioso edificio.

Or se vi è il titolo della dotazione, o delle tavole di fondazioni che si richiede in conformità del disposto parlamentare; se vi sono assegnati i beni certi, sicuri e determinati pel mantenimento dell'opera: se essa non deriva dalla beneficenza cittadina: se questo si riconosceva dall'istesso ministero dell'Interno, che con la nota del 2 marzo 1864 N. 12, disponeva d'iscriversi sul Bilancio dell'Istruzione Pubblica del 1865, la somma di Lire 17772.11, per la scuola Sordo-Muti del Napoletano! Dunque malamente oggi si vuole distrutto questo Convitto dei Sordo-Muti in Napoli, qua vi è un'apposita azienda particolare che li sorregge sota per educarli al miracolo di farsi intendere col potente linguaggio dei segui, senza che abbiano la gola e la lingua capaci per profferir parola, e sono privi dell'udito per sempre. Che se tutto questo si faceva per appropriarsi le sostanze quei derelitti, in allora i patrioti del 1860 sono più vvv crudeli delle belve feroci: che l'inveire contro degli ttt e iniquo... è barbaro!

Possano queste poche parole esser seme di giustizia: e possano le gride di dolore di questi Sordo-muti messi dalla fame... dalla disperato fame! commuovere quei cuori di serpenti ed arginarsi tanto danno!!!


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ANNO VI N.° 4 Sabato 10 Gennaio 1871

L'Inghilterra trema!

Quello che noi abbiamo più volte ripetuto sembra forse verificarsi. L'Europa conservatrice non potrà pacinTai"si davvero, se pria, la perfida Albione. focolare continuo di tutte le discordie e le rivoluzioni, non smetta dalla sua politica utilitaria ed immorale, vuoi da per se, rinnegando al passalo, vuoi perchè costrettaci da.u.na coalizione Europea contro siffatta politica, la quale torna esizialissima all'Europa conservatrice, tanto sotto il rapporto politico che sotto il rapporto commerciale e sociale. In una parola l'Inghilterra dei Pal«nerston, dei Clacendon, e dei Gladston à fatto il suo tem§k>, e npn potrà più essere, quando si è rovesciato dal trono di Francia il Crimine Coronalo, complice della agitatrice politica inglese. Nè l'Europa avrà pace vera, stabile, duratura, se l'Inghilterra, non ritorna ai sentimenti di equità e giustizia, come pure jinuliJe^riuscirebbe il grande operalo.,della Prussia contro la trancia' 'Napoleonica, ed oggi repubblicana, se si lasciasse aH'Inghillerra seguitare nei suoi intrighi, e nel suo mercato di denaro e di sangue. Una volta per ciascuno, bisogna che tutti abbiano o la punizione, o il premio. E se è cosi, basta leggere le parole dello spudorato giornale il Times, organo del Governo dei Whigs, perchè si intraveda quali burrasche si accumulano sull'Inghilterra. 11 Times dice:

«Con tutte le migliori intenzioni di non immischiarci mai «senza necessità negli affari d' Europa, non possiamo più «evitare certe responsabilità e certi doveri, che abbiamo as«sunti, quali membri della grande repubblica civilizzatrice «del vecchio mondo; e questi eventi ponno condurci contro «ogni nostra speranza e buono ufficio ad una posizione di «difesa contro un'aggressione della Germania.

«La corrente del sentimento popolare, è cosi forte contro «di noi, che gli ufficiali superiori tedeschi ànno già comincia«to a discorrere non senza millanteria della probabilità d'una «invasione in Inghilterra; essi dicono che un simile avve«nimento dovrebbe essere non soltanto possibile, ma di esito «sicuro. Malgrado le gesta delle armate che operano contro Parigi e sulla Loire, noi saremo scusati se esitiamo ad ac«celiare la previsione di quegli eminenti strategici, nè ci a occupiamo delle loro congetture, se non per sottoporle alla «considerazione di chi è responsabile della nostra difesa na«zionale.

«Ma che la quistione d'invadere l'Inghilterra sia dibattuta «nel campo tedesco è un fatto di seria importanza; poiché è «certo che la credenza generale è che l'Inghilterra sia la sola c responsabile dell'assistenza data alla Francia con l'imporle fazione di munizioni di guerra.

Sia lodato il Cielo ! Finalmente sappiamo che siasi capita la condotta dell'Inghilterra, e che per essa sorgerà anche il giorno del rendiconto... Però ci fa ridere la sfacciataggine del Times e suoi padroni, lorquando con muso duro, asseverano le migliori intenzioni di non immischiarsi senza necessità nei /atti di Europa. Ci vuole proprio la baldanza di esseri im

pudenti, che anno da lunga pezza rinnegato a qualsia sentimento di onore, per darò alla pubblicità parole di quella fatta, mentre il mondo tutto conosce quale faccendiera, intrigante, sobillalrice sia l'Inghilterra. Essa, in qualsivoglia rivoltura accada, tiene il suo zampino. E poi, Signori del Times: vi fu per il vostro governo necessità di porgere la mano al despota di Francia, ed alla sella massonica contro i Sovrani di Austria, e d'Italia? 0 per meglio dire, quale necessità eb^ be il vostro Gladston a pubblicare quer libello infamante contro Re Ferdinando di Borbone, sulla fede di rivelazioni raffazzonate dalla setta, contro le quali fu tanto lo splendore dei falli opposti, e la l'orza della verità, che lo slesso Gladston ebbe a smentire se slesso, dichiarando di essere stato ingannato*! Fu necessità forse per il vostro Clarondon di associarsi al Cavour nel Congresso del 18o6, appoggiando tutte le menzogne e le accuse che quel calunniatore lanciava alle spalle degli altri governi d'Italia, contro ogni drillo e ragiurie-, in unta dell'alto. Consesso che udiva la requisitoria del Ministro piemontese, contro governi amici e congiunti al Sabaudo, o mentre quesli governi non avevano in quell'Aula alcun rappresentante per ricacciare in gola al perfido Ministro Sardo le sue menzogne? Di tal che, i Ministri di Austria, Prussia, e Russia ebbero a prò festa rei E così in quel Congresso riunito sotto colore di rassettare l'Europa, si cospirò a danno di essa, ed ebbe l'approvazione la più iniqua delle politiche? Fu necessità che il vizioso e settario Palmerston desse con oro, armi, ed uomini ancora si potente aiuto alla sella nelle Due Sicilie, da far venir meno tutte le operazioni di guerra, proteggendo con i suoi bastimenti e la sua bandiera gli sbarchi dei filibustieri garibaldini, e mandando i suoi marinai a combattere contro le regie truppe in S. Maria Capua Vetere il 1 e 2 ottobre 1860? E tutto queslo, quando facevasi mostra di professare a Re Francesco 11 amicizia e rispetto, tanfo da mandargli un Vascello dappoi nelle acque di Gaeta a sua disposizione in caso di ritirala?.. Voi, o Times, quesli e ben altri fatti conoscete, e non vi è ignoto come in tutte le sue infamie, il Bonaparte abbia sempre avuto consenziente ed aiutante l'Inghilterra, paga e soddisfalla di essersi vendicata del patriottismo e fermezza del Sovrano Ferdinando li, che non si umiliò ad accettare in propria casa il controllo inglese, nè a danneggiare gì' interessi dei suoi popoli, per far rifluire il denaro del regno sui banchi di Londra, e nelle Casse di quel governo. Sicché noi neppure ciò dicendo, vogliamo tacciarvi di bugiardo, poiché pur troppo è vero che senza necessità, Voi signori Inglesi, non v immischiate negli affari di Europa, ma questa necessità si mostrerà sempre imperiosa per Voi, quando v i è da far guadagno, da smerciare le vostre manifatture, da distruggere quelle altrui che con le vostre avessero potuto far concorrenza, e cosi aver sempre aperto il campo a nuovi smerci, stornando in questo modo il pericolo di una rivoluzione in casa vostra, ove il popolo è libero di ciarlare, di sbizzarrirsi a mò di bruto, e morir come cane su fetida paglia, o seppellito in fondo delle miniere, per far nuotare nell'oro il privilegiato lord, e signorotto che lo tratta dall'alto in basso... Dite, o Times, in quale paese di Europa si trova tanto eccesso di ricchezza in pochi, e tanto eccesso di miseria in molti? Da un lato l'apice della grandezza, deJ lusso, della libertà; dall'altro il più vile abbietlismo, la più squallida miseria, la più esosa tirannide, qual'è quella appunto che s'impone alle volontà, essendoché in Inghilterra comanda' no a bacchetta i Signori, ed ubbidiscono come mandrie i soggetti... Quanti vostri Ministri ànno dovuto riconoscere questa terribile verità, e da Guglielmo Pitt nel 1760 sino al Gladston nel 1870 si è cercato rimediare ai tanti mali che gravano sul volgo appunto per la strapotenza dell'Aristocrazia, ed il privilegio del Capitale. Lo storico che di voi parla dice, che, tutto sommato, al popolo non resta in Inghilterra che morir di Anne, come ogni Rumo succede nella stessa Londra a ehi non abbia Impetrata la difficile elemosina legale. Laonde nel 1830 Guglielmo Huskisson cercò portare riforme, impugnando i privilegi della proprietà soda, ed altro... Vi sovviene, o Times, quando nel 1835 al 41. solto il Ministero Whig del Viscoute Melborne, mentre l'Irlanda gridava il distacco, e i Cortisli il voto universale, il popolo portava in processione due pani del valore stesso; uno della libera e sovrana Inghilterra piccolissimo, uno della schiava Polonia. enorme?

Non siamo noi che lo diciamo, ma la storia... Ed il vostro famoso dritto elettorale non è forse una menzogna? Lo storico dice che gli aristocratici fecero ai pigionali ed affiltnjuoli attribuire il dritto di elettori,, onde col fare iscrivere come associati i figli, i fratelli, i parenti degli affìtlajuoli veri, restrinsero in propria mano le elezioni delle contee, e i riformatori appoggiandosi all'altro punto che dà il dritto di eleggere a chiunque possiede un fondo per 40 scellini, inducono chiunque può a comprare una casetta, o un lembo di forra. Ed ecco, dice lo storico, dopo la guerra ai privilegi politici, alla proprietà stessa, sicché non una riforma, ma una rivoluzione decisiva si prepara come quella francese. Però, non e da negarsi che grandi uomini della vostra terra sonosi distinti, portando il loro paese ad un' altezza «levata di progresso e civiltà, e basta leggere ciò che fece Peel -, per convincersi che anche in mezzo alla corninone protestante inglese, sorgono dei grandi geni umanitari, e noi speriamo che compresa la verità che tutti i danni domestici dell'lrghillerra nacquero dal protestantesimo, dalla sparizione di esso venga ta felicità a quelle contrade, c un' oligarchia senza viscere e con una religione ufficiale sparirà affatto, tornando l' unità cattolica, e la libertà di essa. Che se poi, signori del Times, vi appellate con sfrontatezza membri della grande repubblica civilizzatrice del vecchio mondo, v' ingannale a partilo, poiché voi intendete per incivilimento la rivoluzione, il predominio dei vostri interessi, l'influenza britannica in tutti gli Slati Europei, come disgraziatamente la slate esercitando da dieci anni in questa bolgia Dantesca detta Italia, e che a voi piace tanto, poiché l'oro delle sue casse è passalo in quelle del tesoro del vostro governo, e tutto ciò che vi era, precisamente nel Napolitano, di centro manifatturiero è scomparso per opera dei settari da voi pasciuti, aiutati, adulati, di talché il vostro governo con le vendite. imprestiti, società, e trottalo di commercio à distnilio le nostre ricchezze, tesorizzando su noi.

Però, qui facciam sosta, non consentendoci la brevità di un articolo dilungarci di più. Avremo forse occasione di ritornarci sopra... Quindi le paure del Times non sono infondale per noi; e malgrado volesse egli fare sfoggio di coraggio, pur si tradisce, poiché il Conte Bismark Y à dimostrato coi fatti che non teme l'Inghilterra, affondando le sei navi che salivano la Senna. Come non s'inganna il Times nel dire che l'Inghilterra sarà chiamata responsabile dell'assistenza data alla Francia. E lo vedremo fra non molto. Invano l'Inghilterra si agita per attirare nella sua orbita P Austria, l'Italia, e la Turchia, per quindi imporsi alla Prussia, Russia ed America unite. Bismark l'à prevenula nei suoi disegni e maneggi segreti con quella nota-avviso, testé mandata al gabinetto Austro-Ungarico, e noi siam certi che gli statisti con

servatori di Vienna sapranno comprendere la posizione del paese... L'Austria impegnandosi in una guerra contro la Germania, la Russia, e 1 America, vedrebbe in fiamme subito la Boemia, la Dalmazia, la Croazia", e perderebbe l'Ungheria... Ricordate questo, o lettori; mentre viceversa, l'Austria tua dannerà moltissimo tanto nell'ordine interno, quanto dalla parte del Danubio o del Po... La Turchia si contenterà piuttosto subire qualche ritaglio e vivere ancora, anzicchè giocar tutto in qualche mese di guerra... L'Italia? oh biso

§na che pensi a se, e certo essa non si adagia sopra un letto i rose... Quindi, l'Inghilterra sarà sola, e appena si muoverà l'Irlanda si emanciperà, e le Indie passeranno sotto il dominio Americano... Ecco perchè giustamente grida il Times, ed invano ricorda a Re Guglielmo la potenza e la caduta di Napoleone III, poiché Guglielmo di Prussia combatte per l'ordine, ed il suo Impero Gei manico lo fonda sul dritto e la giustizia, quindi non a-di che temere!!!

LO TROVATORE.

ANNO VI N.° 4 Sabato 10 Gennaio 1871

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFE' DE L'ALLEGRIA

Caf. Si Tò, dicisteve sere arreto che cchiù de na barracca se derruparrà; spiecateme che bolisteve ntennere?

Ann. Uh Si Tò, dicite, dicite...

Trov. Mo sta venenno D. Criscenzo, è buono che ve responno nnanze a isso.

D. Crisc. Eccoci qui, vogliamo parlare seriamente questa sera.

Trov. Chisto è lo piacere mio.

Ann. Quacche cosa se sente scennere D. Criscenzo pe li rine; tene na brutta cera...

Caf. Eh, l'affare sarranno nozzoluse...Addonca, Si Tò. comme se derruparranno le barracche?

D. Crisc. Appunto voleva questo domandarvi, Si Tore, che intendeste dire per barracche, e che si diruperanno?

Trov. Co tutto che non me pozzo spiecà comme voglio pecchi pe nuje cattolece lo governo se crede de vedè pe lo meno na bricata de sordate co li fucile mpostate nn'ogne parola che dicimmo, pure ve risponno che pe barracche aggio ntiso di lutto chello ch'à fatto ogge la setta...

D. Crisc Si, meno però l'Italia...

Ann. Se capesce chesto, vuò parla de santità nfaccia a lo diavolo?

Trov. Io non annommeno paese, ma dico sulo chello ch'à fatto la setta, chi se sente quacche cosa responnesse...

D. Crisc. Ed io debbo dirvi che la setta non esiste, oggi i settari veri sono i clericali e i papisti, che vorrebbero vedere distrutta l'opera più grande del nostro secolo, l'unità d' Italia...

Ann. Vi comme l'azzecca mmocca chella Italia? manco se fosse na caramella..

Caf. Autro che caramella, è no zuccaro e mele pe lloro.

Trov. D. Criscè, li clericale e li papiste non bonno vedè distrutto niente, ma sulo vonno che le ccose se chiamraassero co lo nomme lloro, e non se dicesse bene lo male, e verità la buscia...

D. Crisc. Spiegatevi.

Ann. Si Tò, parlate cchiù chiaro, pecchè D. Criscenzo stasera tene la mincrania, e poco capesce...

Caf. Sarrà l'ummeto che l'à fatto male... Sta chiovenuo da cchiù de no mese...

Trov. D. Criscè, io v'aggio ditto che non me pozzo spiecà comme voglio, ma mperò, ve pozzo dicere che s'avite coscienzia e site n'ommo annorato mm'avile d'addimoslrà se è bero che l'Italia d'ogge è libera, ricca, e biata comme vonno addimostra li giornale e li pagnottare. e comme non credono che sia chille stesse deputate e senature che l'anno fatta.

D. Crisc. È vero che stiamo un po' male su tutto, ma volendo considerare a quanto si è fatto in soli 10 anni, ci possiamo contentare, poiché ci avrebbero voluti almeno 50 anni.

Trov. È ghiusto, chello che s'è fatto dinto a 10 anne nn'Italia, manco dint'a no secolo s'avarria potuto fà... Nce pazziate, che dinto a 10 anne se songo distrutte cinco regno se sò fatte 200 mila legge una cchiù guappa de n' autra (se lo ccride) se songo poste tasse nfi a ncoppa a ll'arià, s'è fatto no debetuccio de quattomilia meliune, s'è scorrutto lo popolo che manco a li tiempe de ll'abbrieje. se songo fucelate comme brigante, chi non era, o se facette addeventà a fforza de persecuziune, e a bia de miseria, e nn'urdemo s'è ghiuto a sfonnà le pporte de Roma, a bia de cannonate, che manco Alarico e Attila se lo fidajeno de fà...

D Crisc. Ecco che voi uscite di quistione. Si capisce che in tutte le rivoluzioni vi sono interessi spostati, e si fanno dei malcontenti...

Trov. Si, ma pò essere acqua, e non delluvio...

Ann. Io so femmena, e non capesco tanto de cose d'alletterummeche, ma mme fiuro ncapo a me che maje na rocchia simmele de galantuommene nce avesse potuto esistere, pecchè si nò nuje n'avarriamo tenuto tutto chillo bene de Dio ch'avimmo perzo... co li galantuommene de mo...

Caf. Nè lo ddico io chesto, e me diceva Masto Antonio lo stagnaro che teneva 90 anne, che isso mmita soja, non s'allicorda n'ebboca simmele...

D. Crisc. Dunque per voi Si Tore, ciò che à fatto la setta cadrà, non è vero?

Trov. Vero, verissemo comme a lo Vangelo...

D. Crisc. E che ne uscirà dopo?

Trov. Mo mme facite n'addimmanna a la quale io potarria responnere, ma nc'è chi nce sente... N'esciarrà chéllo che à destinato Dio, che è lo triunfo de la Chiesia, e la vittoria de la verità...

D. Crisc. È questo è un altro gergo; ne parleremo. Addio.

Ann. Si Tò, avite visto che brutta faccia à fatto D. Criscenzo? Ogne parola vosta l'era no truono ncapo... Che ve ne pare s'ànno fatto chiena la panza, e mo vorriano padià condente e alliere...

Caf. Mentre nuje stammo carfettiate de sta manera, e mo avimmo avuto chesta chioppeta de tasse ncuollo, che pozzano avè na freva... Addò mmalora l'avimmo da piglia?

Trov Non v'affannate pe chesto, lo carro quanno è a la scesa corre cchiù assaje... E no, mo lo soffri nuosto è na grolia quanno nzieme co nuje soffre lo Santo Patre nuosto. Lo Signore che certo consolarrà a lo Papa, consolarrà pure a nuje, e state sicure che le ppene de Io Santo Viecchio sò fernute, comme fernute so le nnoste. Bonasera.

Ann. Pozzano essere d'Angelo le pparole voste!

ANNO VI N.° 5 Giovedì 12 Gennaio 1871

ANCORA SULL'ALBERGO DEI POVERI

Perché i nostri lettori sappiano come nel nostro paese tutto deve andare allo sfacelo. bisogna che sappiano di un dispaccio Ministeriale con cui si proibivano i sussidi pei sordo-muti. Or questo dispaccio pervenuto ai signori Governatori dello Albergo, fu tenuto celato al Direttore della scuola dei sordomuti, e ciò frodolentemente. finché dietro accordi presi tra questo governo ed il Ministero, ne venne un secondo dispaccio con cui si aboliva perfettamente I' istituzione dei sordomuti, incorporandosi questi infelici nella famiglia comune, e perdendo tutti quei vantaggi personali ad essi devoluti per legge di fondazione ed in virtù di Decreti reali che rimontano sino al governo di Gioacchino. Di più i governanti dello Albergo motn-proprio anno sinora invertita una rendita ad uso dei sordo-muti, per uso della comunità contravvenendo cosi agli statuti. col danno di infelici rei di aver avuto matrigna la umana Natura. Non valsero le sagge ed oneste rimostranze del Direttore dei sordo-muti signor Nicola Pietro Simone, per richiamare il governo del Pio stabilimento allo adempimento dei propri doveri ed obblighi: tutto fu vano. poiché già stabilito da essi la distruzione di questa bella istituzione onore, del paese e della umanità. Ora il Pietro Simone trovasi in Firenze per patrocinare la causa dei miseri sordomuti, e di parecchi maestri adibiti alla scuola ed educazione di essi che andrebbero alla strada. Però malgrado le ragioni storiche, politiche, sociali del Pietro Simone, forse difficilmente riuscirà a stornare l'assolutismo del Ministero, accettalo e riconosciuto dal governo dello Albergo; pure esso Direttore anche non riuscendo, avrà sempre meritato il plauso di tutto del paese, e le benedizioni di lauti infelici. E se il signor Ministro della Pubblica Istruzione, il quale sembra comprendere quest'altro fatale errore dei suoi Colleghi appoggiando le rimostranze del Pietro Simone terrà fermo, noi speriamo non avere il dolore di vedere quest'altra infamia a danno esclusivo di noi meridionali, e non dover deplorare e maledire una volta di più alla tristizia dei tempi in cui la smania di distruggere è divenuta follia, senza pensare, i signori ministri, che una volta per ognuno giunge pur l'ora del rendiconto... Lusingandoci in queste speranze. facciamo plauso all'Operato del Pietro Simone in questa evenienza di sommo momento, malgrado che tra noi e lui ci fosse un abisso in politica. Ma qui non è questione politica, sivvero umanitaria, laonde noi sentiamo l'obbligo di appoggiare il Direttore, e terremo sempre pronte le colonne del nostro giornale per trattare di una questione per noi Napoletani non solo ili umanità, ma di onore e di patriottismo. Noi non ci stancheremo mai finché la camorra, sia alta, o bassa, non venga ricacciata nella melma d'onde è nata, o confinata nelle galere. E tempo di finirla, e alfine bisogna conoscere a che giuoco si gioca !!

ANNO VI N.° 5 Giovedì 12 Gennaio 1871

CERTE CURIOSITÀ!

L'Italia nacque per opera di bugie, e virtù di denaro.

L'Italia vive per opera d'intrighi, e virtù di tasse e debiti.

L'Italia giova all'opera dei disperati e alla virtù dei camorristi.

L'Italia è stabile per opera dei consorti, ed in virtù del Pungolo e compagnia.

L'Italia è rispettata, per opera delle migliaja di lire date ai giornalisti esteri, ed in virtù delle parole del Times e mercanti simili.

L'Italia è sola, per opera dei rigeneratori. e virtù degli spogliatori di Pio IX.

L'Italia è forte come tutte le opere, dei matti, e la virtù degli asini.

L'Italia non è chiamata alle conferenze per l'Oriente, poiché l'opera e virtù dei suoi governanti l'àn dichiarata serva, e le fantesche non possono interloquire nei discorsi dei padroni.

L'Italia à dato un gran passo in avanti, per opera e virtù dei suoi reggitori, ma sta per fare il salto di Saffo da Leucade.

L'Italia supererà tutte le difficoltà interne ed esterne, quando l'opera dei suoi dominatori sarà sentenziata e la loro virtù dichiarata malvagità.

L'Italia avrà niente da perdere, perché niente possiede.

L'Italia senza combattere riporterà un grande trionfo, poiché dopo la pace di Parigi essa sarà sbarazzata dai ladri, e vincerà la grande giornata.

L'Italia allora dirà: Io sono !!!


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CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFE' DE L'ALLEGRIA

Trov. Neh, D. Criscè, che ve ne pare de tutte ste ttasse nove ch'à poste lo Menistro Sella?

Ann. Che pozza avè no capostuoteco?

D. Crisc. Eh cari miei, non è Sella che à messo le tasse, ma lo Stato che à bisogno di denaro; come si potrebbe fare diversamente?

Trov. Ma io voglio acconniscennere a tutto chello che buje dicite che lo Stato avesse abbesuogno de denaro, ma però primmo de veni a cchiste estreme de mettere tasse ncoppa a lasse s'avarria avuto da piglia cunto de tutte li denare che se ne sò ghiute, comme se ne so ghiute, a lo manco lo popolo che à da pavà saparria li denare che isso à cacciato a che songo servute; capite?

D. Crisc. Oh si, ma questo è difficile, e ci vorrebbe tempo; e poi?

Ann. E po che? la nasceta vosta? Addonca nuje avimmo da pavà e non avimmo da sape lo pecchè? E po ve ne venite a dicere che lo governo passato era mariuolo?

Caf. Ma tu non saje che certe ccose non se ponno fa sape?

Ann. E pecchè?

Caf. Pecchè che borrisse che li Menistre dicessero Tizio s'à pigliato tanta meliune, chill'autro s'à accattato ville e palazze, no tierzo è addeventato milionario? Cheste so cose che non se ponno fa sapè...

D. Crisc. Voi v'ingannate, poiché il denaro pubblico è gelosamente amministrato...

Ann. Gnorsì, se vede, pecchè da diece anne non sentimmo che tasse e diebete, e lo fatto sta che io sto bedenno tante scauzacane che primma de lo sissanta non tenevano manco la forza de s'accattà no grano de cafè, ogge passerino ncarrozza pe Napole... Neh, me sapisseve a dicere comme è ghiuto lo fatto?

Trov. Cheste songo storie vecchie. Sie Nnarè. ma chello che io non pozzo passa è bedè comme li menistre d'Italia spenneno e spanneno da pazze li denaro de lo Stato, e po alluccano che non ce stanno denare...

D. Crisc. Ma dove spendono e spandono?

Trov. Sarria longa la storia, ma pe ne dicere una, pe mo a Roma p'ammobeglià l'appartamento de Lamarmora se so spise 75 milia lire...

Ann. E che s'à avuto da fa li mobele d'oro sto signore? Eppure io m'allicordo a lo 1860 quanno venettero ccà co che parevano chiIle che benneno le rrobbe-vecchie. e lloro che non se rejevano a ll'erta... e mo...

D. Crisc. Le spese fatte a Roma erano necessarie per il decoro di un Luogotenente del Re...

Trov. D. Criscè, lo decoro e la Maestà non se rappresenta co lo sfarzo e la ricchezza, ma co la justizia, già se sti signure avessero avuto justizia. non avarriano fatto chello che anno fatto, nè starriano comme stanno a Roma; capite?

D. Crisc. Ho capito adesso usciamo di tesi. Addio...

Ann. Quanno ll'ave dinto a le scelle, s'accatta lo ccaso.

Trov. Meno male che nce sta la morte. Santa notte.

Caf. Che se li pozza piglia.

Caf. E quanno la facimmo sta festa??

ANNO VI N.° 8 Giovedì 19 Gennaio 1871

Che Ippocriti!

Zittite, o perfidi! la vostra parola è una menzogna, la vostra pietà è un sanguinoso insulto. Voi malvaggi più della malvaggità istessa, crudeli più del tigre, e dello sciakal; voi che non respirate se non rovina, strage, sangue, che contate le ore con altrettanti delitti; voi osale parlare di civiltà, di umanità dopo dieci anni di pruove che avete date di quello che siete, e quello che sapete e volete fare? Ma per tutti i santi! se siete mostri nutricati di odio, d'inumanità, di sangue, perché osate insultare la pubblica coscienza che vi ha conosciuti, giudicati e condannati, con parole che sono la vostra medesima sentenza? Voi, o ebrea Opinione, o giudaica Roma; voi chiamar barbaro Guglielmo di Prussia, voi domandare, ove sono i progressi della vantata civiltà odierna, ed in che differiscono gli eserciti che pur si dissero barbari? Voi dire che l'esigenze della guerra debbono avere un limite, ed il popolo tedesco che è un popolo serio e civile, comprenderà e che al mondo non si vive solo di forza materiale, e che l'influenza morale ha una gran parte nella vita dei popoli e che non bisogna farsi illusione, il bombardamento di Parigi commuove poni tentemente la fibra popolare europea.» Queste parole in bocca vostra? Oh! e nel momento che le scrivevate non avete voi intesa la voce di migliaia di uccisi che vi gridava, zitti, o infami? Il cuore non vi è scoppiato in petto, la mano non vi restò inerte? Voi scrivere quelle parole? E perché, o giudei non aveste quei sensi di pietà, non scriveste in quel modo nel 1860-61, allorquando il Piemonte consumava il più gran delitto che ricordar potrà il secolo nostro? Allorquando quel piccolo, irrequieto ed audace paese, sorretto dal robusto braccio di Francia ed Inghilterra, pria per mezzo di emissari dei quali voi forse faceste parte, (poiché tutta quella canaglia fu gente perduta, fratricida, rotta a turpezze, avida di oro e possessi, bugiarda, ebrea, o apostata invase con il suo esercito senza dichiarazione di guerra, un regno incedendo nel suo cammino con il ferro ed il fuoco, onde il primo proclama del brutale Cialdini si fu quello avviso ai Sindaci, che egli avrebbe fatto fucilare chiunque gli si opponeva, e già aveva incominciato! Ed il Cialdini a capo di soldati italiani ardeva paesi italiani, faceva fucilare cittadini italiani? Ed il Piemonte entrato nel Regno come invasore, senza dichiarazione di guerra, stando ancora il Ministro Napoletano a Torino per trattar della famósa lega delle Due Corone d' Italia? Il Piemonte operava peggio di ostrogoto, esso era fuori dritto, poiché calpestato aveva il dritto delle genti, il Piemonte sfidava l'Europa civile, il Piemonte veniva a far la guerra non nell'interesse della civiltà e dei popoli, ma nel suo proprio ed esclusivo interesse, per levarsi i debiti, per ingrandirsi, per dividersi con i suoi complici della turpe impresa il bottino di cinque Stati, il Piemonte veniva a distruggere autonomie secolari, e non ad edificare l'Unità italiana, poiché ben sapeva il Piemonte che l'Unità era impossibile, e che avrebbe menato a rovina l'Italia, come rispose Re Ferdinando II alla Commissione degli Scienziati presentatasi in Portici per offrirgli la Corona italica. Esso da vero Re ed italiano, dopo di aver rifiutato e motivato il suo rifiuto, propose la Federazione e se ne fece iniziatore... Ma Carlo Alberto non volle... il perché lo sappiamo ora... Il Piemonte fece una guerra sleale, poiché combattette con immensi vantaggi di armi, uomini e denaro contro un ventenne eroico Re, ed un pugno di bravi in mille guise traditi, vilipesi, senza speranza di vittoria, senza più né tetto, e né patria, senza una voce amica che l'incoraggiasse. Era l'audacia del ferito amor proprio, era l'eroismo di anime ardenti e tenaci perla indipendenza dieci volte secolare del loro paese, era il sublime sentimento del più sublime olocausto che un giovane Re, una giovinetta Regina, e giovanissimi Principi a capo di 10 mila eroi pugnavano in Gaeta per il dritto delle genti, per le Monarchie di Europa, per l'indipendenza degli Stati, perla libertà di tutt'i popoli.., Si, i Napoletani in Gaeta non difesero solo l'autonomia e la libertà del loro paese, non pugnarono da leoni per la Monarchia di Carlo III, ma per tutte le autonomie, per tutte le Monarchie essi pugnarono contro il dritto della forza bruta. E la caduta di Gaeta fu il primo colpo che la setta diè a tutti i troni di Europa, fu il principio di quella terribile epopea che da dieci anni rovina i popoli! Or bene il Cialdini questo snaturato settario più che generale, appunto nell'assedio di Gaeta, malgrado le proteste dei Ministri di Europa colà residenti presso l'Augusta persona del Re di Napoli, comportossi con la più ributtante barbarie

Messo a grande distanza. sicuro di non essere raggiunto dai tiri della piazza, sicurissimo che colà dentro eranvi un nipote del traditore ed ingrato Guarinelli, traditore anche, tirò spietatamente di giorno e di notte prendendo di mira la città e di questa gli ospedali e gli edifici di ricoverò sui quali sventolava bandiera convenzionale proposta dallo stesso Cialdini, e che invece additò ai suoi artiglieri come segno di bersaglio, in guisa che non eravi più luogo sicuro pel ricovero dei feriti, dei tifosi, delle donne, dei fanciulli; e per la Regina istessa che con eroico coraggio divideva insieme al regale Consorte e Principi i pericoli, le privazioni ed i disagi di un terribile assedio con l'ultimo soldato difensore di quella storica piazza. E quando avvenuto traditorescamente lo scoppio della polveriera che diroccò il caseggiato di Porta di terra, sepellendo sotto le macerie due compagnie di soldati, e migliaia di donne e fanciulli, Re Francesco accorso coi Principi sul luogo della catastrofe sotto una pioggia di fuoco lavorava con i soldati al dissepellimento delle vittime: richiesto il Cialdini di sospendere il fuoco, negossi, anzi raddoppiò il bombardamento, di talché dopo tre giorni udivansi ancora attraverso quei grossi macigni il gemito dei moribondi, senza poterli aiutare... Oh allora, o giudei scrittori, voi non aveste nessuna parola di rimprovero pel crudele che inorridir fece I' umanità con le sue efferatezze, sino a spingere la sua bestiale crudeltà a bombardare la piazza cinque ore dopo che erasi già firmata la capitolazione... dicendo:

che questo era suo uso? Per la Croce di Dio! tacete, o tristi, poiché prima di gridare contro il Prussiano che bombarda Parigi, esaminate voi medesimi con uno sguardo retrospettivo, e vedete se siete immuni da peccato... Il Prussiano combatte contro di un popolo straniero, ad armi cortesi con tutte le forme e le regole di guerra, e contro di un nemico bene armato e vettovagliato, ma i vostri eroi da bosco e da scena incrudelirono contro un pugno d'uomini armati solamente del loro straordinario coraggio, della loro inarrivabile annegazione, del solo amor di patria, del solo dovere di cittadini e di soldati, e mentre che una stampa infame, detta liberale, scriveva in Napoli: Affamate, uccidete gli animali feroci rinchiusi in Gaeta... Il Cialdini versava sangue italiano non provocato, non ragionevolmente, non da soldato!...

Ebbene, signori dell'Opinione e del Roma che tanta tenerezza mostrate oggi pei parigini. Se barbara voi credete che fosse la Prussia perché bombarda Parigi, barbarissimo, immane fu il Piemonte che bombardò Gaeta, e mitragliò un giovane Re congiunto del suo sovrano, crudelissimo fu il Piemonte che bombardò Palermo stanca ili tante scelleraggini dei suoi proconsoli, feroce fu il Piemonte quando incendiò 13 paesi, moschettò i Torinesi stessi, gli artigiani di Pietrarsa, i contadini delle Romagne e della Lombardia, e 50mila delle Provincie Meridionali... La Prussia provocata è stata costretta a far la guerra, e l'ha fatta non da scherana e traditrice; ma con armi leali e secondo tutte le leggi di umanità, la Prussia bombardando Parigi non lo fa per libidine di sangue e mine, ma perché a ciò l'hanno spinta prima l'infame che ozia nel castello di Wilhelmshohe, e poi la scellaraggine di coloro che governano oggi la Francia. La Prussia domandando per se l'Alsazia e la Lorena, non fa che chiedere ciò che un tempo apparteneva alla Germania; la Prussia non fa la guerra per levarsi i debiti, per ingrandirsi, per spogliare, ma per difesa, per assicurare sé medesima, per abbattere la setta che vuol distruggere l'Europa Monarchica, ed il benessere dei popoli. Sara una dora necessità, ma la Francia oggi paga il fio delle sue colpe. Il sangue ché tela a Parigi è conseguenza di quello versato a Magenta- e Solferino, a Castelfidardo ed Ancona, a Palermo, e Milazzo, a Capua e Gaeta per volontà della Francia... Si, perdio! Siamo onesti almeno, e pria di tirar la pietra contro gli altri, vediamo se siamo noi esenti da peccato... Ma sapete, o lettori, perché tanta tenerezza nei giornali della rivoluzione? Perché sanno che con la caduta di Parigi, sorgerà ir giorno del rendiconto per la setta... comprendono ciò che gli spetta... e tremano. Essi delirano, poiché la paura gli ha velata la ragione... Miserabili! E che, Iddio forse era un mito, o un vostro complice? Egli è quel Dio che è, e voi lo vedrete!!!

ANNO VI N.° 8 Giovedì 19 Gennaio 1871

APPICCECO DE GALANTUOMMENE

SCENA DE FAMIGLIA
Consorte. Russe. Popolo

Consorte - ltagliani! noi fummo, siamo, saremo quelli che fecero, fanno e faranno, il vostro, osia nostro bene, precetto mistico di carità pelosa, della in lingua barbara, egoismo. Conciosiacosafattasporchissimamenteche... (tipografo attento per le sillabe ! ) noi abbiamo data, cioè ci abbiamo pigliato la debita, necessaria Capitale, esaurendo pria tutt'i mezzi morali moralizzatori, noti in Giudea: rispondano Curletti. Persano, Cucchi... essendoché appresi li ebbimo stando come borsaiuoli, falsari, lenoni, adulteri, e omicidi nei collegi, volgarmente detti bagni, cangiali noi, una volta lì con curiosa metamorfosi, in virtuosi patrioti, avendo dal nostro caposcuola Conte di Cavour, di sporca memoria, il diploma del martirio politico, dopo che quel babbeo di Re Bomba II con inaudita tirannide, ci fe' penare e straziare dai suoi sgherri: deponghino il Conte Pironti, Marchese d'Afflitto, onorevoli Ricciardi. Settembrini, Nisco, Imbriani et omnia genera martirum, tanto da poter da dentro ai detti Collegi, corrispondere con il lodato Conte Camillo, non mancandovi il confortale e pure.... Esauriti essi mezzi morali e sparse le 600 mila lire che il filantropo Sella strappava dalle vostre sacche, per darle generosamente al comitato romano, risponda Ponza San Martino.. onde il dolce suono di quel portentoso onnipossente metallo, i dormienti figli di Bruto e Cassio si fossero patriotticamente commossi con scosse, ondulatorie e sussultarne, leggete il Ravennate.... e poiché il Dio Momo gravato avea il suo scettro di papaveri sugli occhi loro, punto si scuotevano; noi. cioè gli augusti Otto ordinarono al Moline d'Italia, sissignore anche l'Italia à il suo Molthe in Cadorna, come il suo Bismarck, in Lanza; cominciar tosto una campagna d'autunno. Detto fatto, 60 mila uomini divisi in corpi d'armata, brillantemente operarono con marce strategiche, girando posizioni, guadando fiumi, guadagnando monti, sprofondando in valli, correndo pei piani, in cerca dei pappafichi papalini, ossia della grande armata nemica, di forze nove volte superiore, cioè 10 mila tra uomini, cavalli, muli, carriaggi e cani. E fu si splendida, e vittoriosa questa campagna, che per la rapidità delle mosse strategiche due brigale Cadorniane restarono per due giorni senza sale e metà di viveri. Ma che importa? Lo scopo fu raggiunto, il prode Nino, capitano di lungo corso, dalla Maddalena alla Spezia... come Napoleone I alle piramidi di Egitto, rivolto ai suoi soldati, che stavano come gli asini in mezzo ai suoni, non sapendo chi e per chi andavano a battersi, loro disse: Soldati d' Italia, ecco le mura di Roma, dall'alto di esse dieci generazioni vi contemplano ridendo, avanti, cioè voi, non io: fuoco, e pei buchi fatti dalle tricolori granate, la civiltà venne introdotta, e i quirìni si destarono dal lungo sonno, udendo:

«Accenti d'ira, orribili favelle

«Voci alte e fioche, e suon di man con elle...

Perciò, noi ci presentiamo al vostro cospetto, pregandovi, supplicandovii, ricordarvi le istruzioni ad hoc date dal Marchese, e del bamboccio del Risveglio di padre incerto, e natura anfibia. Siate generosi, siate grati, siate riconoscenti, per noi godenti, docenti, volenti, che se voi ci eligerete, come già ci avete eletti, noi vi promettiamo alle 45 tasse, aggiungerne due nuove che saprete, quando aj pubblici orinatoj saranno applicati i contatori meccanici e al sedere il calcolatore del gaz... Noi faremo, preparemo, combineremo, con allo ingegno e felice ritrovato, quel che si aspetta da tutto il vicinato!!!

Popolo - Guarda stupidamente, e non avendo, compreso, un' acca di tante parole, sbadiglia, e sonnecchia...

Rossi-. Alto là, o popolo, per la barba del profeta, pel triangolo e la cazzuola: alto. Non loro, ma noi, si, noi fuimo quel che fuimo. Noi infransimo le tue catene, osia le nostre. Noi ti demmo la civiltà..Voi ti facemmo libero. Noi ti abbiamo aperto... un'era novella. Ma essi? Oh essi hanno ingannato le. hanno tradito noi. Essi divorando a due palmenti, e bevendo rotolano come majali arrivati al punto, fra il letame e gli avanzi del tinozzo; essi non ti hanno voluto mai del bene, essi già ammiccano con l'occhio il prete, e saran pronti a far dietro-front, appena giungerà la nota collettiva che nelle cancellerie si sia elaborando, per lo sfratto dì Roma. Essi ti hanno spogliato, ti hanno deriso, ed ora ti venderanno. Fuggili. Accostati a noi, anime vergini e candide, tenerissimi fratelli tuoi, banditori della verità... Guardaci in viso, vedi, ancora abbiamo le grinze dei patimenti, cioè delle vigili notti passate nei bagordi... Vedi la nostra patriottica pancia tiene ancora le crespe, la nostra sacca è ancora leggera. Deh! se ancora non hai del tutto giocato al piripaccliio il tuo cervello, se ancora la ormai proverbiale tua minchionaggine ti fa essere asino; popolo, non essi, né tu, ma noi... ed allora

Dal volo troppo alto e repentino...

Capitombolerà il S.

Lo popolo seccato da le chiacchiere de li consorte e de li poparuole a cerasielle, doppo no sollennissemo Ahuffffff... a coro s'aiza mparanza e botannose a ll'annorevole galantuommene co la coda dereto. in tuono perentorio, lle dice:

Ve valla cancaro

Ve piglia panteco,

Fussiate accise

Morite mpise

Facce de cuorno

Jate a crepà.

Site una pasta

Consuorte e russe

Mbrogliune e lalre

Brigante a squatre

Che ccà venisleve

Pe nce spoglià.

Songo diece anne e a battere

Ncoppa a sic spalle uostc,

Stale consuorte e russe

Senza d' avè pietà...

Figlie de facce toste

Jateve a ffa squarta!!!

Consorte Eh», oh..., ah...

Russe-Eh... ih... uh...

Popolo -Cucuricù-cucuricù

Non ce iì1 è cchiù

Non ce uaf p cchiù.

Sische, tofe, sceta-vajasse, triccaballacche, vernacchie ecc. inette fine a la scena de lo pallottiamiento de li candidate urdeme de lo Ciarlamiento, lo quale s'è apierto pe cogliere piatuso de Lanza e Sella ll'urdemo sospiro. Ammen , e accossisia!

ANNO VI N.° 10 Martedì 24 Gennaio 1871

LO SPETTRO DELLA CARESTIA

E mentre spunta l'un l'altra matura... È proprio il caso di dire con il poeta: Misera Italia di dolore ostello ! Non bastavano le 45 tasse che ci spogliavano. non erano all'altezza dei tempi e degli uomini, le concussionarie leggi negazione di ogni dritto, non parevano sufficienti gli scorticamenti dei Municipi liberali a danno dei loro amministrali, no, Sella, il famoso venditore di pannilana, l'avvocato dei prestiti e delle tasse, con l' anno 1871 ci à felicitati di una Strenna di altri balzelli, in modo che oggi precisamente, pensionar!, impiegali, militari e popolino anno appena di che sfamarsi, anzi e; correggiamo, tengono appena di che sostentar Io stom;ico perché non avessero la bella sorte di crepare come il Conte Ugolino. Perù a questo si è già pensalo, e sapete dà chi? Dagli ebrei speculatori, che in tempo di comune miseria, riempiono i loro forzieri. e come i corvacci si cibano delle carni dei cadaveri. Ora cotesta ciurma di pubblicani sta ammassando nei magazzini ingente quantità di commestibili e derrate, facendo penuriarne il popolo, in guisa che i generi di prima necessita veggo usi scandalosamente aumentare di prezzo in ogni giorno, e minacciano salire straordinariamente appena si apriranno le porle di Parigi, ove i scortichini speculatori pensano inviare tutti i generi intercettati, per quindi venderli a duplicato prezzo, e così dopo di avere affamati noi. spogliare i poveri francesi. Noi comprendiamo benissimo che in tempi in cui la morale è ridotta a ragione di calcolo aritmetico, e che il furto va tra i dritti dell'uomo, lutto che sa di immorale, di turpe, d'infame è lecito, anzi permesso e incoraggiato; poiché rispondente alla natura del governo, ed all'altezza dei tempi. Ma non possiamo persuaderci, come tanta maligna ciucciaggine sia nella testa dei nostri rigeneratori, che con la cocciutaggine del mulo si ostinano per forza a porre un popolo con le spallo al muro, credendosi bastante forti in caso di giusto e provocato risentimento, operando la carabina, ed il cannone... Ma essi (che pur ne sanno di queste cose) conoscono che non sempre i mezzi violenti ed estremi prevalgono, e si prestano... che quando un popolo si muove per la fame, cessanti i partiti, le divisioni, le opinioni, e resta la fame, si la fame, o Ministri d' Italia, e la fame non teme eserciti, non fugge dalla mitraglia, non cura battaglioni. la fame è una tristissima consigliera, con la fame non valgono le cianciafruscole dei giornali pagati, le concioni di legulei cointeressati, le ragioni le più convincenti, gli argomenti i più stringenti; la fame può esser vinta solo dal pane, e quando voi non avrete da darne, la fame combattuta con le armi si (ramala in disperazione, ed allora, abissus abissum invocat...

Ora spetta a voi, o signori ministri, d'impedire a tempo, una catastrofe sociale. La libertà di commercio è inviolabile, è vero, ma l'alimento del popolo è sacro. Il governo non deve e né può favorire o permettere il monopolio di pochi svergognati ladroni, col danno positivissiino di nove decimi della popolazione. Non basta che oggi i venditori scortichino la gente battezzata, vendendo come e quanto vogliono con qualunque peso, esigendo a soldi, e dando generi più delle fradici e nocivi Non basta che la camorra è gigante sulle piazze, e nei mercati. Volete addirittura che neanche questo istesso genere malsano si trovi più? Ma dunque o Ministri vi siete ficcato in mente di far rimpiangere e desiderare in tutto e per lutto il passato? Se avete ancora un filo di pudore, pensate a tempo. Con apposita legge proibite sino ad un certo punto l'estradizione dei generi vittuari, poiché in contrario saranno dei grossi guai!...

E noi non sappiamo se a questi chiari di luna, vi giovasse una commozione popolare per fame !!! Vedete che dalle province si ànno bruttissimi lampi... e Napoli neanche scherza.


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CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFE' DE L'ALLEGRIA

Trov: D. Criscè. è bero che lo Precursore de Palermo e antre giornale liberale anno portalo no nderizzo firmato da cchiù de 45 milia penane accommenzanno da li nobele nfi a li vasciajuole, e n'inno firmaTo da li Comitate de Palermo, Messina, Catania, Girgenti; Siracasa, Caltanisetta e che ssaccio quante autre cita, a lo Re Francisco II un'occasione de la nasceta soja a li 16 de sto mese, e po diceno li stesse giornale che la sera de lo juorno 16 nPalermo nce fuje no spariatorio de bolle, pe lo quale la truppa ascelle de corza da li quartiere non sapenno che fosse soccieso, senza trova nisciuno. e la sera appriesso se vedettero tutte le montagne attuorno Palermo allummenate a festa' ?

Ann. Ne'è stato sto ppoco de sfracassiatorio?

Caf. Nientemeno li Siciliane anno fatto lutto chesto?

D. Crisc. Cioè non dite i Siciliani, ma dite piuttosto i Borbonici, che non la vogliono finire.

Trov. Addonca è bero. E doppo che fosse comme dicite vuje D. Criscè, che fossero state li borbonece, allora Palermo è tutta borboneca, anze la Sicilia pare che fosse tutta quanta accossi.

D. Crisc. E come?

Trov. Comme? Quanno sulo a Palermo avite avuto no nnerizzo co 45 milia firme, mmiezo a na popolazione che n'arriva a 100 milia perzone, caccianno le femmene e li guaglione ll'autro riesto pare che non ve fossero amice, armeno io accossi me persuado.

Ann. Nò; accossi è, perché chi volile che fosse amico cchiù de chesta sciorta de bammenielle affummechiate?

D. Crisc. Ma anche concesso quello che voi dite, Si Tore, io posso accertarvi che per riempire una carta di firme non ci vuol niente? S'improvisa, capite?

Ann. Vi comme canosce ll'arte D. Criscenzo, che?!

Caf. E lo mestiere propio.

Trov. Sì, va buono chesto che dicite vuje D. Criscè. Ma mprovisà 45 milia nomme, non è tanto facele. E po, quacoheduno che leggiarria lo nomme sujo sotto a no nnerizzo horboneco de chiste tiempe, e non I'avarria a piacere, se sarria protestato, avarria cercato d'appura, chi à posta la firma pe isso, pecchè non se trattarria de na bavattella, ma de ire carcerato tunno de palla... Onne io credo che sta vota comme sempe, avite sbaglialo D. Criscè....

D. Crisc. Sia come si voglia, questi sterili conati non menano a niente.

Trov. Io pure dico lo stesso, ma arrecordateve D. Criscè che sti sterili conati comme dicite vuje, facettero ll'Italia una... e senza le scartoffie, l'affare vuoste non sarriano cammenate...

Ann. Ve lo dico io chesto, lo ssaccio io a lo 1860 quanno manco pe capo passava a le gente sto guajo che nce steva ncoppa a le spalle, quante carluscelle se portavano ccà dinto e quante se no jevauo jettanno, mparticolare da certe meze setiglie che facenno li cicerune te facevano abbedè la luna dinto a lo puzzo...

Caf. Io tanta vote me trovava le ssacche chiene de manifeste e autro senza sape chi nce l'aveva puoste.

D. Crisc. Ma allora era il popolo tutto che lo faceva...

Ann. Gnorsi, mo avite ditto propio buono, era lo popolo de lo Ilario de le Barracene, de chiazza franzese, de lo Mercato, zoè lo popolo pavato da li camorriste li quale tenevano li picciuolte lloro, e li comitate pavavaoo...

Caf. E io na sera, pe dicere na parola n'autro ppoco m'abbuscava na cortellata.... D. Criscè, non parlammo de chille fatte llà, pecchè lo sango se nnacetesce.,.,

Trov. Basta, cheste so chiacchiere che non diceno niente, mo è passato. Ma chello ohe io voglio dicere a D. Criscenzo, è che mo doppo diece anne, sentì ancora che li borbonece fossero capace de fa tuito chello ch'anno fatto, vo dicere che non songo rose le ccose che dicite vuje...

D. Crisc. Vuol dire invece che il governo è troppo indulgente, poiché dovrebbe senza misericordia incarcerare, esiliare ed altro ancora, contro questi incorreggibili retrivi, e nemici della patria.

Ann. Chi po so chiste? Vuje?

D. Crisc. Noi? no, i borbonici, capite...

Ann. Che pozzate avè n'ora de peliate, dinto a no vico stritto.- Comme! Non site manco contiente de chesto che ce stanno facenno quatto birbante; non abbasta che le gente se persequetano, se metteno carcerate pe senza niente volarrisseve vedè cchiù assaie? E buje site li liberale, li fratielle, li cancare fridde che v'afferrano? Ah fauzarie birbante!...

Caf. E tu non lo ssa pi ve, che pasta de surece erano li liberale?

Trov. D. Criscè, lo governo pecchè à fatto sempe accossi se trova male, pecchè che ce corpano li borbonece. se vuje ve site fatte schifa pure da le pprete de la via?

D. Crisc. Ci colpano, perchè essi insinuano; capite?

Trov. E che buò nsinuà, ca chello che nce pare non ce vo l'acchiare... de lo buono non se po dicere male, e de lo male non se po dicere buono...

D. Crisc. Ma perchè oggi si sia male?

Ann. Gnernò, se sta felicissemo e cotoliate, non ce manca che na mazza pe ghì pezzenno tutte quante.. Ma po se sta contiente, pecchè mo nce vo quanno state buone vuje sta buono tutto lo munno, e quanno li patrune nuoste (che lo Signore scanza de salute e bene) stanno co lo core dinto a lo zuccaro, che fa che meliune de gente fanno palicco? Pe chesto nce sta lo Ponte de la Sanità... chi non se fida cchiù se mena da coppa abbascio, e santa notte a chi resta... Che ve ne pare,, neh? è na bella cosa?!

D. Crisc. Ho capito; addio, addio...

Caf. E che bolite capì, che nce vorriano le ttronole da marzo...

Trov. Chesta gente à perduto lo mmeglio che teneva, lo cereviello, è ostenata e non bò capì che essa stessa se sta accedenno co le mmane soje... Figliù, sapite che vedicelo Si Tore vuosto? Non ve ntricate, e non ve mpacciate. Chello che sia scritto nCielo mancà nò pò. Avite fedo a Dio, prijate sempe, e guardate chello che fa lo Santo Patre nuosto a Roma, pecchè isso acconciarrà tutto, non dubetate. Santa notte.

Ann. E nnuje accossi sperammo, pecchè Dio è patre de Misericordia, se ce affrigge non ce abbaiinonarrà....

ANNO VI N.° 11 Giovedì 26 Gennaio 1871

I latrati di un cane inglese!

Da che lo spirito turbolento della setta sorvolando frammezzo ai popoli ed alle Nazioni à cercato scalzare ogni principio di autorità, ogni idea di onestà, ogni linguaggio di verità; una guerra per quanto accanirla, altrettanto infame si è aperta contro la Dinastia antichissima dei Borboni del 1° e i° ramo, vuoi con la penna bugiarda e vendereccia. vuoi con la lingua della calunnia, dipingendo quella Dinastia (che pur tanti legami indissolubili tiene con le storiche vicende di quasi due terzi dei popoli di Europa ) come la più tirannica e dispotica, stata nel suo dominio esiziale alle Nazioni che resse. Eppure, non vi è più vile ed abbietta menzogna di questa. Poiché la storia delle altre Dinastie non è punto intessuta di brillanti virtù, né i popoli potettero vantarsi di godute libertà, di florido reggimento. 1 Borboni è vero ebbero i loro torti, commisero dei grandi errori, ma ebbero benanche delle grandi virtù, e fecero delle stupende cose. E torto fu detto dai ciurmadori politici, di non voler seguire la corrente vorticosa dei tempi, comechè quella che scompigliando la società, le toglieva ogni benessere reale, per un effimero vantaggio; e lottando contro il principio di autorità, scalzando questo, scardinava nel contempo le basi dell'edificio dell'ordine universale. Gli errori poi. commessi dai Borboni furono più causati dalla malvagità di pessimi consiglieri messi loro al fianco dalla setta cospiratrice, e molti di essi errori debbonsi imputare alla setta medesima, la quale con la sua smodatissima ambizione, con la bramosia di tutto voler sconvolgere faceva si che i Borboni Sovrani per dritto divino se no spaventassero, non tanto per loro, ma per la ruina dei popoli che la Provvidenza avea destinati al loro governo. Laonde, non appena si preparava una più larga libertà ai popoli, non appena si rallentava il freno del potere, la setta come cavallo indomito cominciando a tirar calci, costringeva i sovrani a rinfrenare e stringere novellamente le redini. Oltre di ciò i Borboni nulla fecero perché dai romanzieri che voglionsi chiamare storici, si scrivevano tante castronerie, giacche, invece i veri storici dicono al contrario. e noi non vogliamo che ricordare qualche tratto di storia del nostro italiano Canili, tenerissimo per la Casa Sabauda, rigido verso Casa Borbone di Napoli. Ora i nostri lettori saranno curiosi di conoscere il perché di questo articolo? Eccolo:

Il giornale inglese il Times, abborracciato da scrittori di ogni risma, di ogni gradazione e di tutti i colori. Questo giornale-libello, che tiene sempre un posto nelle sue colonne per tutti, meno per quelli che non anno quattrini. Questo fogliaccio protestante, infedele, inconcludente, organo delle più sbrigliate passioni, degli odi più feroci, delle calunnie più svergognate, questo periodico che ostenta grande autorità e sentenzia ex-cathedra, solo perché conta migliaia di protestanti per lettori, ed appartiene al partito settario inglese che dal gabinetto si propaga nelle masse; il Times, diciamo, senza guardare prima un po' la bruttissima e ferocissima storia del suo paese, ardisco scrivere e parlare della storia degli altri, e prèndersi diletto tratto tratto a gettare la sua pietra contro i Borboni dei due rami. Dopo le castronerie e le infamie stampate da esso a tanti marenghi la linea, centro i Borboni di Napoli, ora morde i Borboni di Spagna. Esso nel primo articolo del giorno 5. consacrato alla Spagna, che comincia con le parole cortigianissime e adulative proprio di un mercenario: Viva a lungo Amedeo I Re di Spagna, dopo di essersi stemperato in lodi, che dette da lui non possono meritare la fede degli uomini seri. attacca i Borboni chiamando il loro governo secolare corrotto, e dicendo che: È un fatto che i Borboni non sono voluti nella Spagna... Mentre poi più sopra à detto che la Corona di Spagna era di Ferdinando e d'Isabella.

A parte per noi le Sacro Persone dei Principi e dei Re, e non negando nel Principe Italiano sobbarcatosi al peso pericoloso della Corona spagnuola le sue qualità, diciamo al Times, e per esso al regicida Gallenga che vi scrive, lenendo sul tavolo il pugnale dal manico dì lapislazzoli datogli dalla setta per uccidere Re Carlo Alberto, avo del Re Amedeo I, che se la Spagna à trovato un Re, non à trovato però la sua pace, e l'ordine di che abbisogna, e questo non lo diciamo noi, ma la stampa madritena, indipendente e non venduta come è il Times. Certo che sotto i Re Borboni la Spagna salì al grado di prima Nazione e la sua bandiera fu vista sventolare sopra un terzo dell'Europa e al di là dell'Oceano. La gelosia e la malvagità degli uomini e non dei Re suoi. ridussero la Spagna a potenza di second'ordine. pure salvata dal totale annichilamento politico-territoriale dal patriottismo dei Borboni. Il Times, e per esso il Gallenga, dovrebbero leggere un pò la storia, ed ivi apprenderebbero clic ogni grandezza passata e presente, ogni gloria della patria dei Cid è grandezza e gloria della Dinastia Borbonica, ed oggi tutti sappiamo a menadito come l'attuale rivoluzione fu fatta nella Spagna dal partito militare agitatosi per gelosia e voglia di potere, non per odio ai Borboni regnanti. Il morto Prim, il Serrano, Topete, Olozaga ed altri furono tutti strenui difensori del trono dei Borboni da questi elevati ai più alti ranghi di nobiltà, e portati all'auge delle dovizie e della potenza. Essi sedotti dal Bonaparte, il quale nella Spagna come nelle Due Sicilie ebbe ad esercitare delle vendette di famiglia, ambiziosissimi, tristi arnesi di una setta nemica giurata dei Borboni; allori e complici di. una storia segreta d' immoralità domestiche ove il cognome di Montijo figura, rinnegarono i propri benefattori, avvalendosi del beneficio come arma contro di essi. E la Spagna, fu ribellata, ed Isabella corse la via dello esilio. Ma però i Borboni nulla perdettero del loro radicalo all'etto nel cuore dei popoli spagnuoli, giacché per ciò succedete. bisognava che quei popoli rinnegassero alla propria storia. Se ciò sia vero, rimandiamo il Time» ed il Gallenga a leggere gli alti del governo di Prim e compagni contro i Carlisti, le tornate delle Cortes, le proteste di centinaia di migliaia di cospicui cittadini e della più alta aristocrazia, contro l'elezione di un re straniero. E poi, anche sotto l'Impero di Napoleone I la Spagna vide i suoi re Borboni scacciati dal loro trono, ma però gl'intrusi che vi si sedettero, malgrado poderosi eserciti, e sanguinosissimi governi, non potettero restarvi e l'occupazione di Spagna fu una delle potenti leve che rovesciarono il trono del Primo Napoleone. Ma la storia pel Times, pel Gallenga e per tutti gli idrofobi settari, cosa è mai? Non ànno essi, parlando con noi Meridionali che pur ne dovevamo conoscere più di loro, dette le più svergognate menzogne contro i Borboni di Napoli? Si è gridato tanto contro Ferdinando Il'e Carolina d'Austria, ma il Times conoscendo (almeno supponiamo ) la storia del suo paese, sapeva che Ferdinando Il'e Carolina d'Austria, furono vittima della egoistica ed orgogliosa politica inglese, e troppo deboli per potersi opporre, dovettero subirla, coprendo col loro nome tutti gli intrighi e le infamie di essa. Si è gridato contro Re Ferdinando II; ma qui non vogliamo parlar noi, lasciando la parola allo storico Cantù. Egli dice:

«Napoli pagò a oro e sangue tre rivoluzioni, che lasciarono piaghe e rancori. Ferdinando il venuto al trono in giovane età, senza vendette da esercitare, e ricco di sentici mento religioso, cominciò con larghe promesse, e in parte vi adempì. Nel regno fu conservato molto del buono che vi aveano introdotto i francesi, e tra il resto i codici, adattandoli al paese. I beni degli ordini religiosi che già teneva il popolo, lasciati ad esso, il clero non sproporzionato ai bisogni, regolati i rapporti con Roma. Un Codice Corallino per la pescazione del Corallo, crescenti le navi mercantili e l'Esercito. Conservati i privilegi. particolarmente in Sicilia, rispettati i contratti, cresciuta la marina militare, garentiti in vari punti il regno e la Capitale. Il popolo incaminato al meglio, i costumi antichi, resi civili. Il volgo benché chiassoso, non è insubordinato, né dissoluto, e gli altri vizi corretti dalla istruzione e pubblici lavori. Un paese di 6 milioni di abitanti capaci di 400 milioni di tributo a che non può aspirare? E lo volle Ferdinando che lontano dal contatto dell'Austria (mentre il Piemonte era con essa) stette Indipendente anche dalla costei politica, fino a non volere con essa far trattati di commercio, né garanzia di proprietà libraria (sentite signor Times?) intanto allestiva con passione un bello esercito (che gli scrittori del Times poi chiamarono vile, ma alle spalle però).... le memorie del quale cominciavano dalla sconfitta degli austriaci data da Carlo III a Velletri. Organizzò una guardia urbana, che lasciava in occasione porre in movimento l'Esercito (dunque i popoli amavano la dinastia); soprattutto procacciossi la flotta più robusta che veleggiasse ne,l Mediterraneo (causa non seconda delle gelosie inglesi).... Agli antichi rei di Stato perdonò (quando in Piemonte al dir di Brofferio, il carnefice avea ben lavorato) ...Scoppiato il cholera. Egli accorse da un suo viaggio, si mescolò alla plebe, ne mangiò il pane, ne alleviò i dolori. Protesse le lettere pagando, e credendo nell'efficacia della scienza, laonde non solo l'antiquaria ma la filosofia e le scienze civili v'ebbero benemeriti cultori in terra ferma, e nella vivacissima Sicilia. L'Erario dilapidato, egli rinsanguò, stringendo le spese di Corte e rinunziando a duc. 360mila annui dalla sua cassetta privata, la banca dello il stato fè salire al 130. Il primo saggio di ferrovie fu fatto da Lui. Esso fondò eccellenti fonderie, un rispettabile corpo Telegrafico ed un rinomato osservatorio. Il governo e le Commissioni provinciali studiare la migliorazione dell'Agricoltura con metodi e prodotti nuovi, svincolo di servitù agrarie, provvidenze allo immenso Tavoliere delle Puglie, ai fedecommessi, ai molti fondi di manomorta o comunali».

Noi qui non proseguiamo oltre con le parole dello storico, poiché non ce lo consente la brevità di un Articolo di giornale. Ma conchiudiamo col Cantù, che malgrado tante virtù e tanto bene vero reale, lamenti ci erano, sempre inevitabili in un paese che à troppi beni per soffrire servitù, non bastanti per assodare la libertà. Eppure venir doveva la nefasta epoca presente perché noi italiani ci dovessimo cosi sanguinosamente sentire insultati da quegl'inglesi, la cui morale è la frode, la cui coscienza il baratto, la cui parola la menzogna. Per la Croce di Dio! Non si poteva cadere più in basso. I lenoni, i furfanti, le baldracche, i ladri trinciando a loro talento osano insultarci anche nella storia, come se» noi fossimo stati tanti vili, o bruti da soffrire in pace un governo corruttore per secoli!...

Volete essere infami, siatelo pure; ma almeno risparmiatevi d'essere vili. Voi traditorescamente insultate ai caduti, solo perché son caduti, e ne temete la rialzata; inneggiate ai godenti, solo perché si attagliano alle vostre interviste, e possono gettarvi in bocca un pugno di oro, non loro; ma la merce di Dio che il mondo diplomatico e pensante non è certo formato dagli scrittori e comparì del Times, e noi scommetteremmo che l'adulatore Times, tutto dimenticherebbe in caso di rovescio del re di Spagna, quanto in sua lode à detto nel 1. articolo del giorno 5, disdicendo se medesimo, insultando la sventura, e bruciando il suo incenso al fortunato vincitore. Lettori, per gl'inglesi in generale, per il Times in particolare, non vi è fede ed onore che tenga; persuadetevi, quando leggete le colonne dì quel giornale, di sentire il racconto di una baldracca -contro una persona onesta, o di un falsario contro la sua vittima. Se si volessero confutare tutti gli strafalcioni e le malignità del Times, in qualunque senso, e di qualsivoglia cosa o persona parli, ci vorrebbero dei grossi volumi... Ma tanto l'è. Questo giornale essendo organo esclusivo del vecchio partito protestante ed utilitario inglese, scrive, ragiona, e parla come un barattiere, e la paura gliene fa dire delle grosse.... Però, può ben d'ora accomodarsi alla propria sconfitta, poiché la vecchia Albione à fatto il suo tempo, e checché ne dicano il Times, il Gallenga e soci, questa volta l'Europa farà davvero, sbarazzandosi dalla melma settaria e protestantica, giacché il dritto è sempre dritto e l'ordine sapientissimo dell'economia che regger deve i popoli, potrà scuotersi per poco, ma non cadrà giammai; anzi dal suo stesso scuotimento si rassetterà maggiormente sulle proprie basi. Sappia infine il Times, e con esso Io sentano gli speculatori politici e diplomatici, che non si oltraggia impunemente al dritto delle genti, che la legge eterna che diede all'uomo il proprio dritto non si viola senza castigo, poiché al disopra della malizia degli uomini, vi è la sapienza di Dio, e dove gli uomini finiscono, Iddio comincia!... Forse non andrà molto, e i lettori del Times avranno a leggere altre cose in quel giornale in opposizione di quelle di oggi, poiché i vili non ànno principi, ma solo calcolo, ed Interesse.... Se ne ricordino i nostri lettori !!!

ANNO VI N.° 12Sabato 28 Gennaio 1871

L'ultimo errore dell'Italia

Allorquando il celebre Statista e storico francese Adolfo Thiers, misurò con una profonda occhiata lutto l'abisso che stava sotto i piedi dello Impero Napoleonico, nell'aula legislativa disse: Un altro errore che l'Impero commette, esso sarà spacciato. Queste profetiche parole figlie di grande perizia diplomatico-politico-storica, furono accolte con leggerezza a riso dai Bonapartisti che si lusingavano, il secondo Imperò non poter crollare per qualsisia evento, fidando sul vasto genio malefico del Bona parie. Non trascorse un anno e gli avvenimenti diedero piena ragione al Thiers, il secondo impero cadde, come corpo morto cade. Ora noi, servendoci della scuola e delle parole del Thiers, diciamo rivolti al Ministero Lanza-Sella-Venosta: Un altro errore che farete, avrete distrutto l'Italia. E l'errore pare che siasi deliberato a commetterlo, giacché l'Italia nuova surta dagl'inganni e dagli intrighi, si è sorretta a furia di essi, camminando cosi da errore in errore, sino a quello grandissimo della invasione dir Boma, il quale oggi fatalissimamente conduce all'ultimo sbaglio, che potrà essere il colpo di grazia dato all'Unità. Un qualche giorno in qua, la stampa officiosa governativa ci avverte di un prestito che alla chetichella sia. combinando il Sella, della cifra di 700 milioni, ci avverte di forniture di scarpe, cappotti ed armi partite dall'Italia per commissioni della Francia, ci avverte di lavori attivi per la riorganizzazione dello esercito italiano, e della nuova leva prossima a chiamarsi dei nati 1830-51. Che vuol dire tutto ciò? Almeno sino a che altri fatti non giungano a farci vedere il contrario, vuol dire che l'Italia nutra l'idea di un intervento armato a favore della Francia. Noi ponendo da parte ogni prevenzione e passione, vogliamo fare le seguenti considerazioni ai Ministri del Regno.

L'Italia gettandosi ora in un intervento armato a prò della Francia, non giova a questa, e attira sopra sé l'ultima rovina. Non giova alla Francia, poiché 100 mila soldati italiani non faranno corto retrocedere 800 mila tedeschi già sotto Parigi. Essi non bastano per un polente diversivo, invadendo la Germania, poiché colà francesi e italiani troverebbero 40 milioni di tedeschi pronti a combatterli. La strada per penetrare nella Germania sarebbe difficilissima. anzi impossibile senza la connivenza dell'Austria, dunque l'Italia non farebbe che rovinare sé medesima senza alcun frutto; dappoiché, essa unendosi alla Francia già vinta, provocherebbe quella tanto temuta e sinora scansata guerra europea. Se l'Italia avesse avuto uomini seri alla testa e non burattini, doveva sul principio di questa fatale guerra gettarsi dal lato della Francia, e ciò non solo per ispeciale suo interesse, ma per gratitudine verso quel Bonaparte che I' aveva creata... Ma magnificamente;tenuta a bada dalla scaltra politica austriaca, credette non doversi immischiare. Ora poi che 30 vittorie consecutive e la resa di Parigi ànno fatta fa Prussia strapotente, ora che la lega nordica è un fatto, uscir l'Italia di punto in bianco per aiutar la Francia ci sembra una pazzia, poiché l'Italia sprovista in tutto, zoppa, tisica, e rea di colpe positive andare essa medesima a provocare la catastrofe, pare incredibile. E chi assicura l'Italia che mentre manda il suo contingente nella guerra contro la Prussia, l'Austria, che pur tiene parecchi conti da saldare con lei, non se ne' ricordi, e passi il Po? E la Baviera, e il Belgio ed altri Stati in dove ferve l'agitazione cattolica non potrebbero prendere la palla al balzo, ed altercare l'audace ed imprudente Italia? a ci si dice: l'Inghilterra, In Spagna, il Portogallo sarebbero con l'Italia. Si, neh? ebbene la Russia e l'America non potrebbero essere con i tedeschi? Non si ànno forse bastanti indizi di ciò? A conti falli, per noi sta, che I' Italia oggi è ridotta a do:r subire uno scacco; potrà, attaccala, difendersi, ma questa difesa non sarà seria e produttrice di vittorie, poiché all'Italia mancano gli elementi per vincere, e la' prima di questo mancanza è l'ingiustizia della causa che propugna, a cui si aggiunge l'immenso scontento dei suoi popoli stanchi di più vedersi spogliati, ammiseriti e tiranneggiati. Si è dato da principio il passo falso, ora o un salutare pentimento a tempo, o subire tutte le conseguenze del primo errore dopo il 1859. Di qui non si esco. Che poi i giornali in livrea ci vorrebbero, far vedere che l'Europa darà il suo placet ai fatti compiuti, nei tenaci, non per passione, ma per ragione ed esperienza, nelle nostre idee, rispondiamo che allora lo crederemo quando-dopo uh Congresso, l'Italia resterà qual è. Solo allora ci persuaderemo e ci convincere mo, ma in contrario diremo sempre: Signori d'Italia, ossia del bisticcio italiano, attenti ai mali passi, il sole non ancora è tramontato, probabile che vi coricherete di una maniera, per alzarvi Dio sa come !!


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CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFE' DE L' ALLEGRIA

Gnaz. Viva sempe Zi-Peppe, Viva chillo guappo vicchiariello, sehiatta chi nò lo pò sentì. '

Ann. Muore de subeto. tu, isso e lloro; guè sto ftltattapanelle è comparzo n'autra vola, e tene sempe la stessa malatia, sa...

Caf. Gnaziè, ma mme pare che quanno se trase dinto a la casa de n'autro se saluta, capisce, e mme fà maraveglia che tu che pratteche co tante cimme accemmate, non t'ànno mparato a essere no galantommo.

Ann. Nò, àie da dioere no gallodinnia... Ma pò Luì , tu si curiuso, èje da vedé se lì petrune de Gnaziello anno saputo maje de crianza... dico buono, neh Si Tò?

Trov. Che nce volile fà! la tanta prejezza de la vittoria de Zi-Peppe Nasella à fatto perdere lo sentemiento sapite a quante Gnazielle?

Gnaz. Ma fuorze non aggio ragione de ire pazzo pe l'allegria, quanno no vicchiariello à saputo fà chello che non à fatto Napolione?

Ann. Ma che à fatto sto viecchio? s'avarrà sciusciato lo naso? segno che tene lo ciammuorio... guè; lo catarro è una de li tre c pericolose pe li viecche ammature.

Trov. Io te compatisco, Ghaziè, pecchi non si tu che parie, ma songo li busciarde che te mpapocchiano... e me maraveglio de li francise che songo tante judiziase e se fanno coffià e ngannà da quatto bàcamunne...

Caf. Sapite che l'ommo quanno se crede d'essere cchiù deritto, allora è meglio mpapocchiato?

Ann. Comme nce soccedette a nnuje... che sciorta nera che avimmo avuto neh!... Ma eccove cca D. Criscenzo, mo sentite le bongole de chisto...

D. Crisc. Viva l'Italia, eh sì, almeno ora il nome italiano si può dire che sarà registrato in tutta la storia...

Ann. Anze sarrà scritto porzì dinto a le ccarte de Rafaele a la Galitta, che servono pe nce mettere dinto lo pesce fritto.

D. Crisc. Queste parole sono indegne di una cittadina italiana.

Ann. Io songo tanto na femmena, che parla, cammina e magna, e non m'aggio maje sonnata d'essere cetatina d'Italia, pecchè nce site vuje che site autro che carrettone.

Gnaz. Mo dicite buono, pecche non pò essere cetatina de ll'Italia chi non crede a essa.

Trov. Guagliù, fernitela mo. D. Criscè, addonca seconno veco è meglio che lo Re Guglielmo se ne tornasse a lo paese sujo, si nò avisa che le soccedarrà...

D. Crisc. Ve lo dico io questo, poiché Garibaldi à intenzione di andare nel Baden...

Ann. Ched'è, Garibalde vo ire dinto a lo bagno? Ma a qua neh? chillo de Niseta, o chillo de' Vintotene?

Caf. La scevota no sta a isso...

Gnaz. Lià nce varino tutte li nemmice suoje...

Trov. Neh D. Criscè, e credile che nce jarrà llà Garibalde?

D. Crtsc. E perché no? Tutto è facile per quel grande genio.

Trov. D. Criscè, nfi che se pazzeja e nnuje pazziammo, ma quanno pò volimmo essere accossi mosche-mmocca de nce credere tutte le chiacchiere de lo Pungolo, de lo Roma e autre giornale rivoluzionarie, ve dico che se fa na brutta fiura.

D. Crisc. Spiegatevi, Si Tore.

Trov. E che mm'aggio da spiecà, se songo cose che fanno ridere porzì le galline?

D. Crisc. Ma perché?

Trov. Pecchè quanno vuje volite fa credere che Garibalde, uno che non sape fa autro che lo pulecenella, e lo mbroglione, fosse capace de vencere chille prussiane ch'ànno vinciuto l'armate francese, e generale co li mustacce, ve dico che simmo arrivate propio mmiezo a li pazze d'Averza

Gnaz. Ma pecchè addonca Garibalde fuorze fosse la primula vota che bence armate e generale?

Trov. Nò, ma diece anne fa vincetto pecchè tutto era combinato, e isso non facette autro che lo pupo de no triato.

Ann. Ma io vorria sapè, comme ancora se pò parla de n'ommo che, se sti sbriognate che ne chiacchiarejano, tale e quale, non parlo de vuje, D. Criscè, avessero vriogna nfaccia e core dinto a lo pietto, l'avarriano da smaledicere, pecchè à ruinato tante figlie de mamme... e chille mmece te lo metteno sempe nchicchera, comme a lo guappo de lo muolo. Sciù!

Caf. Ma nfine pò, che n'avarriamo nuje de buono vincenno Garibalde e l'amice suoje?

D. Crisc. Ecco quello che voi non capite. La libertà sarebbe assicurata e non ci sarebbe nessun timore...

Ann. Che fusseve beneditto mmiezo a la casa vuje e sia smafarata de libertà. Non siente dicere autro che libertà, nuje ntanto nce assennechimmo de la famme, non avimmo cchiù che nce mpignà e bennere, e lloro nce parlano de libertà! che ve venga no cancaro prieno a buje a essa, e a chi la vò.

Gnaz. Vuje non la mmeretate, perzò parlate accossi...

Caf. E tu te la mmierete neh?

Trov. La libertà è la cchiù bella cosa che l'omino potesse avè ma quanno è bera, è bona, è gin usta, non già la sbriognatezza, e la scostumatezza comme a mo...

D. Crisc. Voi, miei cari, siete guastati.

Ann. Nò, vuje site guastate, e nce vò na bona cauda dinto a na forgia, o na martellata ncoppa a na nennia pe v'acconcia n'autra vota.

D. Crisc. Noi non abbiamo bisogno di niente, e voi resterete con un palmo di naso vedendo il nostro trionfo.

Trov. Caro ve costa D. Criscè sto triunfo... a ghiuorno sentite le botte.

D. Crisc. Ah... ah... ah... Si Tore, Si Tò, come v'ingannate!

Gnaz. Si Tò. avite pigliato sto zarro...

Trov. E buje avite pigliato sta chicchera!

Ann. A lo ffrijere siente l'addore...

D. Crisc. Vedremo. Addio.

Gnaz. Seh, state frische. Addio.

Trov. Ora vedilo che pazze songo cheste gente, che fanno tanta fracasse pe niente! povere scieme stanno co la prora nfunno, e manco lo ccredono... peggio pe lloro.

Ann.Se credono che lo munno jesse sempe de na manera... e non bedeno la trobbeja.

Caf. Ma da li pazze che ne vuò sperà? Chiste accossì anno da morì, parlanno, parlanno...

Ann. Ammen, e fosse mo, che n'è tiémpo!!!

ANNO VI N.° 13 Martedì 31 Gennaio 1871

Due parole al Ministro Sella

Ministro! Noi popolo avvalendoci del dritto che ci concede lo Statuto da Voi giurato, ma tuttodì spergiurato vi diciamo, che la vostra Amministrazione finanziaria ò un vero flagello. Voi stesso o ministro siete insopportabile, e se si fosse in un paese nel quale la giustizia non sia un mito, o una parola senza significalo come qui, voi o Sella avreste dovuto essere tradotto di già innanzi alla sbarra. Voi arrabbiato tassatore, non sapete altro far di meglio che tassare, premere il popola con balzelli insopportabilissimi, affamare quei gaglioffi che la mercé loro oggi da un tingitore di pannilana, vi ànno fatto Ministro despota, e tiranno. E chi fu mai goto, ostrogoto, vandalo che può paragonarsi a Voi che pur vi dite liberale, civile, progressista, italiano? Dove e quando voi troverete nella istoria un riscontro uguale alla vostra amministrazione? Dove o Ministro avete appresa la scienza economica che applicate all'Italia? Ma se non come Ministro, poiché in tale qualità voi non temete di nessuno, essendoché l'articolo dello Statuto che dichiara i Ministri responsabili è precisamente del valore di quello che dice la religione Cattolica è la religione dello Stato, se non come Ministro dunque, almeno coma uomo dovreste arrossire dei vostri atti, dovreste pensare all'Avvenire... Voi pure, crediamo, avete famiglia. Ebbene non vi sentite stringere il cuore quando vi corre per la mente il pensiero che con le vostre tasse, in quell'ora in cui voi assiso ad una magnifica mensa vi cibate di squisite vivande, tante migliaia di famiglie basiscono per la fame? Ma con quale coscienza o Ministro, voi potete prendervi la tassa da vecchi, vedove, ed orfane che appena ànno una meschinissima pensione non bastevole neppure per mangiare solo pane? Ma che dunque avete voi trovato forse il mezzo di uccidere tanti cristiani, senza incorrere nella giustizia punitrice? Se lo stato à di bisogno, perché non tassare il doppio i grossi soldi di tanti impiegatoni, perché non tagliare le grosse prebende, perché non falciare tra quelle tali spese di appannaggio, di rinfreschi. di rappresentanze, di lusso, od altro che si fanno per far fare gli epuloni a tanti faccendieri, a tanti poltroni, a tanti esseri inutili e nocivi? Quale morale avete voi che strappale di bocca al povero vecchio pensionato alquanti bocconi di pane, con tassargli quella pensione che lo Stato non paga col suo denaro, ma col denaro lascialo dall'istesso pensionato sul proprio soldo per tanti anni? Voi avete tassato il soldo dei Militari attivi, costringendo questi ad appena poter sopperire ai bisogni di prima necessità, quandoché la paga del Militare dovrebbe essere intangibile, essendo quella una mercede di sangue... Avete tassato le pensioni in generale, commettendo un furto precisamente come l'usurajo il quale prende l'interesse dal! interesse, di modo che voi rappresentante dello stato che siete debitore verso i pensionati, nel pagare le quote del vostro debito, vi credete nel dritto di prendervi una tassa, rubando a quegli infelici vostri creditori due, tre e più giornate di alimento, Ministro Sella. Voi perché nuotate nelle ricchezze, non sapete di quali tormenti è cruciato un infelice che cacciato in disponibilità, o al riposo con poche lire al mese non sa e né può tirare innanzi la vita, e vedo la moglie, i figli languire di fame, intirizzirsi dal freddo, messo tante volte sulla strada per non poter pagare la pigione di un basso.... Voi non pensate che cosi facendo avete procacciati al governo tanti nemici accaniti, che tutte le cospirazioni non avrebbero potuto fare. Voi o Ministro avete aperto un abisso sotto i piedi dell'Italia. Voi, siete il nemico di quell'Italia, che cosi enfaticamente proclamate di amare. Lo stato à bisogno? ebbene, perché avete sciupati 75 mila lire per mobigliare l'appartamento del Lamarmora a Roma? Che forse i cittadini non debbono essere uguali, ed il Lamarmora andando a Roma, non era suo dovere lo andarci, essendo un generale dello Stato? Perché avete sciupati 2 milioni al Quirinale, per guastare vandalicamente le preziose pitture di quello Apostolico palaggio, dopo di averne fatto scassinare col grimaldello le porte? Perché avete sciupali 100 milioni per comprare i voti degli spagnuoli? E dite che lo Stato à bisogno? Ma allora, perché o Ministro voi ed i vostri colleghi non rinunciate al vostro vistoso stipendio? Ministro Sella! Noi vi diciamo questo, onde voi ci pensiate sopra. Sappiate che le vostre tasse ànno affamato il popolo, e la fame è una cattiva consigliera... pensateci.

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFE' DE L'ALLEGRIA

Trov. D. Criscè, è bero che lo Menistro Sella sta trallanno de fà n'autro debeto de 700 meliune?

D. Crisc. SI, è vero, lo Stato à bisogno, e non vi è altro mezzo per far denaro.

Ann. E che d'è n'autro debeto? Ma nzomna chiste non sanno fà autro de meglio? E allora tntnece de dicere che songo venute a portarece la libertà, ànno da dicere che songo venute a mpararce comme se fanno li diebete... Facce de cuorno, truffajuole e bacamunne.

Caf. Nnarè, tu mo t'ammoine de tinte cose, e non saje che sti signure ànno faticato, e mo s'ànno da piglià Io premio?

D. Crisc. Come s' intende, spiegatevi?

Caf. Me spiego, cioè che a chi fatica spetta premio, lo Piemonte pe no muodo de dicere à faticato pe nce fà libere? e addonca lo Piemonte aveva da essere premiato, lassannole la libertà de fà lo mariuolo... lo Menistero nce à portato a Roma? embè à da essere premiato, co darle le facordà de co leva l'urdemo straccio do cammisa che nc'è rommasa.

Ann. Lui, tu dice buono, e chi cancaro l'à priate a sti fauzarie de nce veni a rialà sta mmalora de libertà?

D. Crisc. Cosi parlate, poiché non sapete quanto preziosa sia la libertà...

Ann. Neh? E che sarrà quacche brillante, o quacche marzo de perne?

D. Crisc. Altro, altro, mia cara: è vero, Si Tore?

Trov Verissemo; ma la libertà verace, e non già chella a posticcio. Se vuje ve jate ad accatta no finimento d'oro, certo non accattate chillo fauzo, pecche si nò qua preziosità avarria lo finimento vuosto?

D. Crisc. Dunque, volete dire che la libertà che abbiamo noi oggi sino un finimento di oro falso, non è vero?

Trov. Non songo io che Io dico, ma sò li fatte che da diece anne l'addimostrano... e mo doppo 4 milia meliune de diebete, se ne vene chisto de 700 meliune.

D. Crisc. Ma caro Si Tore, sapete voi quante e quali spese à dovuto fare il governo?

Trov. Gnorsì, le spese pe mbroglià li romane e li spagnuole, e pe scassà tutte le magnificenzie e li capelavure che stevano dinto a lo Quirinale, passanno la cauce nfaccia a tutto chelle pitture antichisseme, e co quatto mobele puoste dinto a duje appartamiente, porta nn'eseto la bavattella de 2 meliune de spese.

Ann. Si Tò, songo uommene de penna!... A proposeto de janchià, me ricordo no fatto che me diceva la bonarma de paterno; ve lo voglio di...

Caf. Nnarè, non ce seccà co sii fatte...

D. Crisc. No, no, dite, mi piace sentirlo.

Ann. Lo fatto è chisto. Nce steva na vota no guardiano de commento (che fuorze aveva da essere parente a li vavune de lo menistro Sella) sto povero guardiano no juorno jette pe ffà li cunte, e se trovaje co la capo sotta... considerate comme poteva stà, quanno la bona sciorta soja fa trasì dinto a la cella no pecuozzo de lo Commento, lo quale vedenno lo guardiano affritto, affritto, le dicette: Patre che avite? E che aggio d'avè, risponnette lo guardiano, me trovo nsotto co la cascia... Uh. e tutto chesto era? Quanto site buono: Pitta guardiano mio, e la cascia jarrà a ciammiello. D.Criscè, ve piace?

D. Crisc. Ho capito, volete dire che a Roma si è fatto lo stesso nel Quirinale?

Ann. Io non saccio sto quintale che dicite vuje, ma s'è comme à ditto lo Si Tore, me pare che sia no fallo simmele de lo guardiano.... e pò non è na cosa nova chesta, songo diece anne che se fa sta joja...

Caf. E nuje nce spremmimmo lo cravugnolo...

D. Crisc. Io poi non veggo le cose cosi nere come le vedete voi...

Ann. E buje non le potite vedè, pecche tenite l'uocchie fotarate de presutto.

Trev. Nò. nò, la vista è bona, ma pe non darla pe benta. fegneno... capite?

D. Crisc. Ho capito. Addio.

Ann. Acqua e biento e neglia appriesso; vi che rocchia de signure. neh....

Trov. Eh care mieje s'ànno da sazia, lo tiempo è curio, e chi afferra, afferra. Santa notte.

ANNO VI N.° 14 Giovedì 2 Febbraio 1871

CHIACCHIARIATA DINTO A LO CAFE' DE L'ALLEGRIA

Ann. Si Tò. è bero che la guerra è fernuta?

Trov Accossi pare, e sia beneditto Io Signore che s'è smuosso a pietà...

Caf. Beneditto pe sempe, e sperammo de non senti cchiù guerre.

D. Crisc. Che cosa dite?

Ann. Aggio spiato se la guerra era fernuta, e lo Si Tore m'à ditto de sì. Onne ne laudammo Io Signore.

D. Crisc. Ossia finita non è la guerra; Parigi à capitolato, ma il popolo non vuole la pace, né la vuole il governo di Bordeaux....

Trov. È boscia che lo popolo non vò la pace: chille che no la vonno songo li settarie, pecchè co la pace fernesceno de fà li capodiece.

Ann. E pe na frotta de scannapiecore la paca non s'à da fa? Quanno le piace de vedè sango e accisetorie, pecchè non se scocozzano nfra de lloro, che bonno fa accidere tante figlie de mamma?

D. Crisc. I settari, come voi chiamate i liberali, vogliono la pace, ma non vogliono che la libertà acquistata con tanti sacrifici si perdesse...

Ann. Che se pozza perdere la semmenta de sta libertà, e vi se non la siente annommenà a ogne botata de lengua?

Caf. Sta libertà me pare lo ppetrosino d'ogne menesta.

D. Crisc. E perchè?

Caf. Pecchè nn'Italia nce anno arreddutto senza cammisa e te siente dicere: avimmo la libertà. Se caccia Roma a lo Papa, e se fà pe la libertà, se scannano comme animale nFrancia, e lo fanno pe la libertà, nzomma sta libertà pare a me che fosse stata meglio che non fosse maje comparza.

D. Crisc. Queste parole non sono degne di un cittadino italiano...

Ann. D. Criscè, scusate, nuje simmo Napolitane, e sto nomine taliano pe nnje è parola sbeteca, anze mala parola, pecchè da che nce anno ditto chiamarce italiane stammo assaggianno, famme, friddo, e guaje... Onne tenitevello pe buie sto titolo mbroglione ...

Trov. Siè Nnarè, non confonnite le ccose. Nuje è bero che simmo napolitane e nce ne vantammo, ma simmo porzì taliane, non già comme ntenneno li capecannella d'ogge, ma comme ntennevano li nonne nuoste a li quale li sapute de lo ppresente non ponno porta manco li scarpune...

Caf. Basta, Si Tò, diciteme na cosa, e mo che se fà la pace nFrancia che governo se faciarrà?

Trov. Chesto lo ssape Dio, e lo ssanno li Rri, ma io tengo pe certo che nce jarrà lo governo legitemo de li Borbune.

D. Crisc. Che Borboni andate dicendo, i Borboni non regneranno più né in Francia, né nella Spagna, né in Italia. Essi sono odiati da tutti.... ed in Francia o sarà eletto il figlio di Napoleone, o il Principe Tommaso di Genova, o pure la Francia si annetterà il Belgio, ed il Re del Belgio sarà Re di Francia.

Ann. Te-a-ta frittata... ebbiva D. Criscenzo, vuje site guappo p'acconcià quatt'ova dinto a no piatto... ebbiva!

Caf. Lo sentite neh Si Tò?

Trov. Lo ssento, ma non pozzo risponnere comme vorria, pecchè nce sta chill'amico che nce sente. D. Criscenzo à letto l'articole de cierte giornale de la cuccagna, e pecchesto parla a schiovere...

D. Crisc. Oh, oh, vi prego credere, che quando io parlo, so quel che dico: capite?

Trov. E io ve suppreco de farve persnaso, che chello che buje avite ditto mo è na papocchia..... e ve l'addimostro. Primma de tutto li Borbune songo Rri, e nisciuno ll'àve anniato, a ll'infuore de li settarie... Se ànne, o non ànno da regnà cchiù, me contento pe prudenzia dirve, che chesto no lo ssapite né buje, nè nnuje e sulo Dio lo ssà... non me pozzo spiecà cchiù chiaro... Che pe nFrancia tornasse la streppegna de Ncpolione, facitevenne no suonno... che nce jarrà lo Princepe Tommaso, è no desiderio vuosto e de ll'amice vuoste, pecchè accossi mettarrisseve a lo sicuro la panza pe le flìco... che Io Belgio s'aunesce a la Francia e lo re de lo Belgio fosse re de Francia, è n'autra vongola de pertose, pecchè lo Mperatore Gugliermo à fatto la guerra pe distruggere la rivoluzione, e no pe la favorì ne li designe suoje.

Ann. Ma se sti signure songo asciute pazze, se ànno perzo propio le chiancarelle, che nce volile fà?

D. Crisc. Danqoe per voi sta che i legittimisti la vinceranno?

Ann. Si Tò, chi songo li legittemiste?

Caf. Scema! chille che bonno lo vero Rre Moro, li cattolece....

Ann. E allora nuje pure simmo legitemiste?

D. Crisc. Anzi sfegatati...

Ann. Nò, nuje non simmo sporcate, chiavecune songo li galantuommene che nce venettero e nchiaccà d'ogne sciórta de manera a lo 60...

Trov. D. Criscè, sentite a me, è meglio che non parlammo de chesto, pecchè poche parole e caudo de panne non à fatto maje danno. Sentite a me li tiempe sò cagnaie, e le maschere sò fermile...

Ann. Ma Carnevale non è fernuto ancora, Si Tò...

Trov. Fernarrà, e bene na bruita Quaraesema pe cchiù d'uno. Santa notte.

D. Crisc. Siete ostinati. Addio.

Caf. Mo vedimmo chi è cchiù tosta la preta o la noce...


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ANNO VI N.° 15 Sabato 4 Febbraio 1871

Un ricordo del Lanza

Pensate, o signori, che noi rappresentanti del gran partito Cattolico qua dentro siamo una pattuglia, ma fuori siamo un esercito. Voi invece qua dentro siete un esercito, ma fuori siete una pattuglia.

Il deputato Toscanelli.

Dopo lutto quello che bellamente si è discorso dalla stampa cattolica intorno alle garenzie Ponteficie, oggi che il progetto del Lanza, ed il parere del comitato privato sono sul banco del Parlamento, si sente il cinguettare distesamente ed a dilungo, e si vede l'accapigliarsi dei Deputati, ci piace dare uno sguardo su quegli stemperati articoli, su quelle promesse dei Lanza, che non contengono alcuna novità, ma sono una ripetizione di tutti gli errori già conosciuti, e che' sodo vari nomi, e con diverso fraseggiare la demagogia mette in mostra ogni volta che la rivoluzione prende il disopra del dritto e della giustizia.

Il primo Napoleone nelle sue istruzioni (come riferisce il Cardinal Pacca) voleva «che il Papa si permetterebbe l'esercizio della sua giurisdizione Spirituale, con la facoltà di tenere presso di se i Presidenti delle Potenze Cristiane, e che ivi avrebbe gli onori di Sovrano e due milioni di franchi pel suo mantenimento» ed anche la repubblica Romana nel 9 febbraio 1849, accordava al Pontefice tutte le guarentigie necessarie per la indipendenza ed esercizio della sua podestà spirituale, come nel 1870 si sentono buccinare dal Lanza I 11 povero uomo s'infinge, e dimentica che la massoneria non può stare in concordia con le dottrine della. Chiesa, come non può esservi mai accordo tra il coltello del carnefice con la sua vittima, tra il derubato col ladro, tra la libertà col libertinaggio, tra la virtù col vizio; e mentisce impudentemento chi sostiene attuabili tali estremi,

Quest'ippocriti ànno macchinato contro della Chiesa e del Sovrano Pontefice una spietata tirannia ed una persecuzione più sacrilega di quella dei Neroni e dei Diocleziani, sostenendosi protettori dei suoi nemici per favorire l'empietà e gli errori.

Ora in buon italiano la parola garanzia, dinota sicurezza data pel mantenimento in perpetuo di un patto già convenuto tra le parti contraenti sopra di un designalo oggetto, e che se ne ripromette la osservanza con una malleveria. Quando dunque il Papa-Re a queste istanze rispondeva non possumns, cioè ch'Egli non poteva venir meno per veruna guisa ai suoi giuramenti ed ai suoi doveri come Pontefice, e come Sovrano; eh' era impossibile la separazione dello Stato dalla Chiesa, com'è impossibile la separazione dell'anima dal Corpo; dinota che mancavi l'accordo di una delle parti necessarissimo per la validità del contratto bilaterale che si vorrebbe perfezionare. Quindi cadono nel nulla le garanzie, ed é chiaro che il Lanza proponeva ciò ch'era impossibile ad attuarsi.

Se le garanzie servono per la validità delle cose pattuite, e per farle rispettare, è giusto che queste non debbano esser comandate, perché l'imporre un patto, mentre dinota la mancanza dell'accordo, e della libertà, così necessaria nelle contrattazioni, per contrario rivela la coazione derivante dalla forza bruta, che impera: e quando comanda la forza bruta non vi può essere contrattazione.

Ma di grazia, se le promesse garanzie fossero trascurale chi ne risponderebbe, e difenderebbe l'altra parte di tal mancamento? Qual mallevadore farebbe rispettare col suo potere

10 stabilito centro dei commessi soprusi, dei ladronecci, delle angarie, e delle nequizie di ogni genere*? - Vi sarà mai essere vivente che potrà fidarsi di questa onestà, quando lo stesso Lanza proclamava ai Deputati di non impensierirsi di quelle garanzie, che ciano polvere da gettarsi negli occhi de! mondo cattolico! Deh per pietà, o spogliateci del genere umano, se non volete essere onesti, siate almeno sinceri; onde atte vostre parole non diano una solenne smentita quei versi dell'Esopo

Quicumque turpi fraude semel innotuita,

Etiamsi veruni dicit, amittit fidem

Si, o Lanza amittit fidem, non si è credulo quando colui che parla è assuefatto a mentire; e lo condannano gli efimeri ritrovati, che derivano da animi avvezzi a vivere come il mare in burrasca!

Sono dieci anni, e qual cosa si è delta che fosse stata veridica, o che siasi mantenuta? Qual trattato internazionale è stato rispettato: qual diritto non è stato conculcalo e vilipeso?

Quando la rivoluzione capitanata dal Garibaldi stendeva le sue luride fila e straripava in Napoli, quel religiosissimo Re ne avvisava il Governo di Torino ed eccoti il Cavour sollecito a rispondere di non conoscere il filibustiere. Consumato il tradimento, lo stesso Cavour chiamava la fomentata e prezzolata rivolta, un'aspirazione nazionale I Sul Garigliano, e nei campi di Capua. il Cialdini, l'incendiario, contro il dritto delle genti si smascherava entrando prima del tempo in battaglia, e mentre prometteva garanzie bruciava molti paesi. Che di Gaeta!? Questi fatti degni degli Ottentoti ben lasciavano presagire il futuro!

In Roma non è diversa la scena: dov'è dunque la decantata onestà delle promesse?

Il Cavour balordamente strombazzava libera Chiesa in libero Stato, ed oggi si toglie la libertà, l'indipendenza, ed il dominio temporale al Papa; e si prediligono i tempi anormali delle catacombe e dei ceppi della Chiesa. Contro il dritto delle genti non si rispettava l'inviolabilità del territorio Pontificio; e quell'istesso Lanza che nel 45 settembre 1864, diceva: che non bisognava ottener Roma con la forza, e che l'andarvi con la forza era da barbari, e desposti, oggi da barbaro e despota scrive delle garanzie dopo essersi perforata con le bombe Porta Pia: e chi può fidarsi di queste promesse? E se non si rispettava il Papa nella pienezza del suo dominio di Re, è credibile che Io si voglia onorare quando fosse un semplice cittadino: Amittit fidem, non si è creduto I 0 liberi pensatori, invano agognate di pervenire là dove mai da dieci secoli la setta sperava giungere e non vi arriverà giammai. Voi divulgate di voler fare il Pontefice libero ed indipendente, mentre non siete riusciti ad altro che a spogliarlo ed avvincerlo di catene. Il vostro impudente ragionare difetta di logica, quelle cianciafrnscole sono un ammasso di empietà e di castronerie; e già vel dicono sul muso vari deputati. Non so come il senso comune non vi faccia intendere che i vostri principi ed i vostri fatti, sono in contraddizione con le vostre dottrine e con \e vostre opere: e puro di ciò non ve ne cale un acca. Mentre si prometteva una luna di miele, si dettano migliaia di responsi l'uno che deroga l'altro, tutti vessatori, fatti solamente per tesorizzare e per succhiarsi il sangue del popolo. Purché il vostro egoismo, il vostro vantaggio. ed il vostro tornaconto ne restino soddisfalli, si approva quello che poco innanzi si sosteneva un impossibile; e si attribuisce per fino alle leggi una forza ed un effetto retroattivo, perché così piace là dove tutto si vuole. E dopo questo come si può sperare di essere creduli onesti? Amittit fidem!

Voi, o medico Lanca, dopo invasi tutti i Stati della Sede Apostolica, pur facevate mostra di lasciargli la città Leonina, ed indi a poco anche questa veniva messa in subuglio, ed occupata. Proclamate la libertà del Papa nelle cose spirituali, e si sequestrava in lutti i paesi l'Enciclica; quando già vi eravate arbitrato di sopprimere i giorni festivi in onta della credenza religiosa dominante, e si volle l'osservanza di di un Calendario tutto pagano! prometteste rispetto al Pontefice e di punire coloro che l'insultavano, ed intanto chi punisce gl'insulti di...? e quest'articolo del Codice penale rimane lettera moria, che i rei sen vanno baldanzosi di tali sacrileghi crimini, e rimangono impuniti per questi reati. Voi fate delle modificazioni allo Statuto che dispone esser la Religione Cattolica la dominante dello Stato, e vi appropriate le sostanze dei Vescovi e dei frati lasciandoli nella miseria. Ln vostra politica consiste nell'impostura e nella menzogna! Voi avete sorpassato la nequizia del generale Miollis. che mentre richiedeva il permesso di passare pei Stati della Santa Sede, violando e calpestando ogni diritto delle genti, e della fede pubblica, sulla quale è riposta la tranquillità e la sicurezze) delle nazioni, entrava in Roma in aria ostile ed occupava Castel S. Angelo, e faceva un oltraggioso insulto all'istesso Pontefice Pio VII circondando con le sue truppe l'Apostolico palazzo, e regnava là il Miollis come un Dittatore del primo Napoleone!

Del pari bugiarde erano le note di andare in Roma per mantenervi l'ordine, che si fingeva compromesso ed in pericolo, senza mai recar danno al Dominio Pontificio, e poi contraddicendosi s' invadeva Roma. Dopo tutto questo sperpero che si è consumalo sotto l'impero della forza bruta, come mai. o settari, si potrà prestar fede alle vostre parole, ed ingollarsi queste promesse, che

Se un cotal per bugiardo è conosciuto

Quant'anche dica il ver non gli é creduto.

Avanti ancora. Firenze era collegata anima e corpo col terzo Bonaparte: caduto costui a Sedan si sconosceva la convenzione di settembre 1861, e prevalendosi della guerra franco-prussiana si aggrediva il pacifico territorio Pontificio, si spogliava il Papa della sua Roma, e lo si tiene prigioniero; senza ricordarsi che se era caduto il Bonaparte, la cattolica Francia viveva; ed i patti in buona fede convenuti dovevano rispettarsi, altrimenti la mala fede è patente, ed amittit fidem!

Ma sappiatevelo per vostro marcio dispetto, o settari che Roma sarà sempre del Papa, perché S. Pietro la conquistava col suo sangue.

«Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto» diceva il Dante; ed a Costantino apparve il miracoloso segno della Croce, che oggi si ripete, e gli fu detto in hoc signo vinces: dunque i nemici di questa Roma debbono esser distrutti e dispersi come polvere in preda ai venti ! O italianissimi, fintanto che si parla d'imbrogliare e di atterrare, in ciò riuscite con accorgimento; ma quando si parla di riordinamento, oh allora è un altro paio di maniche, che i figli della rivoluzione son fatti pel disordine, e per gettare il lutto, lo scompiglio e la rovina. Se il proprio interesse è il movente delle azioni, questo cangia al variar dei tempi e delle circostanze, e come si vuol essere credulo con questa contraddittoria condotta, con questo bilingue parlare con questo volpino procedimento l'amittit fidem! Ve ne è anche di più. Con le primitive leggi si prometteva il rispetto del domicilio, della proprietà, e del Debito pubblico. Tutto venne violato; le tasse ed i balzelli sono addivenuti sinonimi dell'Italico regime, e questi sono così strabocchevoli e gravosi che smungono la metà della rendita. Disgraziatamente ricordiamo le parole del Lanza, che il nostro avvenire era perduto; e quando i deputati Macchi e Sella proponevano di gettarsi nelle fiamme i libri del Debito pubblico, in allora come prestar più credito alla sicurezza delle offerte al Papa sul Debito pubblico?!

Il vostro onore, o Lanza, la vostra fede non meritano più credenza, e le vostre garanzie se ne sfumano da modificazioni in modificazioni, et mulier formosa desinit in piscum vi risponde Orazio!

Or le proposte garanzie dei Cardinali si sono già annullate e costoro potrebbero a tutto beli' agio dell'Italia essere incriminati e catturali; e se al voler del Mancini si cede, ed i Nunzi Pontificii sono chiamati ad occuparsi dei soli affari religiosi, come poi credere che si voglia garantire il Papa, quando lo si spoglia sacrilegamente? amittit fidem!

0 Proconsoli voi che in tutte le vostre azioni usaste tal perfidia e tradimento di coi non si trova riscontro che nelle sole nefaste pagine del primo Impero, che godete nel far del male, e la cui fronte non diventa rossa per la iniquità. Noi vi conosciamo per una decennale esperienza, e siamo sicuri che per un'ora di dominio sacrifichereste non già Roma, Napoli, o l'Italia, ma tutto il mondo, e per conservarvi al posto, per regolare il limone poco vi cale e non vi curate dei mezzi, e che vada tutto in rovina ed in subisso! Ascoltate bene però queste parole del Botta nella storia d'Italia: «La «mole Romana è fondamento, e la pietra angolare del Cattolicismo. Il Papa dev'essere assicurato contro i Principi in «materia religiosa e spirituale. L'opinione cattolica è inflessibile ed indomabile, ed ancor più impossibile e di cambiarla che spegnerla.... Insomma Roma e fede Cattolica sono «una medesima cosa, e chi proponendosi di rimaner cattolica vuole separare l'una dall'altra e ridurre il Pontificato Romano a modificazioni, ed a minor Potenza fa opera Indarno. 0 cannibali, o lupi rapaci, o figliuoli di serpenti l'udite? è il Botta che vi dà questo consiglio, che chi vuol toccare Roma, fa opera indarno!

LO TROVATORE.






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