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Il crivello


Zenone di Elea

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Rds, 4 Ottobre 2010

Il nostro passato non è lontano millenni, come si racconta, ma solo centocinquant'anni. E' necessario che la coltre di bugie che circonda la nostra identità collettiva sia fugata. La consapevolezza del passato ci aprirà gli occhi e ci permetterà di guardare al futuro.” scriveva Nicola Zitara nel non lontano 22 dicembre 2006.

Quel che ci dispiace di più è che Nicola non potrà raccogliere i frutti del lavoro di una vita. La consapevolezza sta dilagando – grazie anche alla rete che ha permesso ai suoi scritti di raggiungere migliaia di persone – e lo dimostrano gli oltre centoventi messaggi di persone che hanno voluto conoscere quale fosse il suo ultimo appello personale.

Per me è stato commovente soprattutto il fatto che diverse decine di persone lo hanno richiesto nonostante fosse stata pubblicata la notizia della sua scomparsa. E qualcuno ha lasciato intendere che avrebbe fatto qualcosa di concreto lo stesso. A dimostrazione di quanto affetto e riconoscenza lo circondasse, anche da parte di gente che non lo aveva mai incontrato fisicamente.

Noi non siamo separatisti – Nicola lo sapeva che eravamo scettici sul separatismo, che eravamo però per una rappresentanza politica autonoma sganciata dai partiti italiani – ma è chiaro che a questo punto col tracollo prossimo venturo del berlusca (ultimo garante della unità nazionale) gli scenari costringono tutti noi a interrogarci sul destino delle provincie meridionali.

Si è messo in moto una sorta di crivello della storia che lascerà ai margini o spazzerà via per sempre coloro i quali presumono di essere gli unici depositari della rappresentanza identitaria o cincischiano sul da farsi in nome di non si capisce che cosa.

Se si fosse avuto una maggiore lungimiranza politica i napoletani avrebbero candidato Nicola Zitara alle comunali di Napoli di cinque anni fa – non si poteva candidare un calabrese a Napoli! Ruffo infatti riconquistò la Capitale del Regno partendo dal Vomero… Il movimento identitario non avrebbe conquistato il comune, questo è lapalissiano, ma avrebbe acquistato una visibilità locale e nazionale notevole che oggi tornerebbe politicamente utile. Un personaggio come Zitara avrebbe sicuramente suscitato delle curiosità e degli interrogativi negli stessi napoletani che hanno sedimentato nel corso di un secolo e mezzo un assoluto scetticismo nei confronti della politica e della possibilità che le cose possano cambiare in meglio.

Invece siamo qui, Zitara se ne è andato nel mondo della verità (così lo definiva la buonanima di nostra nonna quando parlava di un trapassato, per contrappasso a noi poveri mortali rimasti nel mondo della bugia) e con lui se ne è andata anche la sua straordinaria capacità di collegare presente e passato. Capacità così fuori dall’ordinario che aveva spinto lui, marxista di formazione, ad auspicare la presenza di un appartenente della dinastia borbonica come simbolo vivente di una rinnovata indipendenza nazionale. Perché il nostro popolo, mi diceva per vincere le mie perplessità, ha bisogno di un qualcosa in cui riconoscersi.

Ricominciare era il verbo che non mancava mai nel suo vocabolario. Lucido e combattivo fino allo stremo delle forze – guardatevi l’intervista di Lo Passo su Youtube, un documento eccezionale attraversato dal sogno di tutta una vita: un paese meridionale indipendente e sovrano, in grado di fare i conti con la mafia e di esprimere il meglio di sé per le nuove generazioni senza futuro.

Un suo grande rovello (nel quale entravano anche le sue figlie), era quello di lottare per dare una speranza ai giovani meridionali e impedire che fossero costretti a mendicare fortuna in terra straniera – in questo termine comprendeva anche la padania e diceva che non avrebbe mai più oltrepassato il Tronto.

Ricominciare… Più d’una volta aveva tentato di far decollare il movimento separatista, al punto da stilare progetti di costituzione di un futuro stato meridionale. I tempi forse non erano maturi e pochi intrepidi lo seguivano. Ricordiamo che una volta era assolutamente entusiasta perché gli era stato promesso che il suo programma sarebbe stato pubblicato su una rivista cartacea, poi, stranamente, non se ne fece nulla.

Ultimamente si era avvicinato all’Mpa – era stato anche contattato dal leader di quel movimento – e per questo era stato attaccato duramente da alcuni puristi. Il suo pensiero era lucido come le sue argomentazioni, aveva infatti replicato: “Ora io non so se Raffaele Lombardo sia una cartuccia intera o se si sia sviluppata a metà, sta di fatto che raccoglie simpatie e, più numerose si fanno tali simpatie, tanto più naturalmente Lombardo dovrà agire secondo il numero di tali simpatie e non secondo i sui numeri. Questa è la logica della democrazia; per quanto corrotta possa essere la nostrana classe politica esiste anche per essa un punto di non ritorno. Ci arriverà, non ci arriverà? sull'augurio che ci arrivi io debbo giocarmi il mio buon nome. E se va male si comincerà d'accapo.”

Se va male si comincerà d’accapo. La sua grande forza condensata in poche parole. Quando si trattava di fare qualcosa, che portasse in direzione di una indipendenza del sud, anche fare il soldato semplice era per lui una grande avventura in cui buttarsi senza recriminazioni di sorta.

Tale era il suo entusiasmo per la creazione di una coscienza nazionale meridionale, che non si era tirato indietro neppure quando era stato chiamato a far parte del Parlamento delle Due Sicilie, sul quale noi nutriamo qualche riserva perché non si capisce in virtù di quale investitura popolare ciò possa giustificarsi. Stava già male e questi dubbi non glieli abbiamo mai esternati.

Parlare con lui era sempre sommamente stimolante, come quella volta che a Siderno si parlava del brigantaggio e della situazione dell’ex regno nei primi anni postunitari, ci infilò dentro una frase che era tutto un progetto di ricerca storica, mai fatta da nessun cattedratico nostrano: “la storia della opposizione politica nel sud nei primi anni di storia unitaria è tutta da fare”.

Per novembre è prevista l’uscita della sua opera ultima “La legge di Archimede - l'accumulazione selvaggia nell'Italia unificata e la nascita del colonialismo interno” per i tipi della Jaca Book. Con questa opera, frutto di alcuni anni di lavoro e di ricerca, intendeva consegnare alle giovani generazioni meridionali un punto di riferimento incontestabile sulla genesi di quello che egli definiva "il disastro meridionale".

A proposito del Risorgimento da riscrivere si chiedeva: “Non presumo di essere la persona più intelligente del mondo, se ci sono arrivato io a certe verità, perché non ci possono arrivare anche gli altri?”

Io direi che se non lo fanno è perché conviene loro restare nella menzogna. Siamo un popolo sconfitto e tanti, assisi alla mensa del padrone, vivono della mitologia patriottarda. Non ancora per molto, però, la lega sta chiudendo i rubinetti del foraggio e qualcosa accadrà.

I coperchi messi nel cinquantenario e nel centenario dell'unità d'Italia, sui rapporti fra nord e sud, stavolta sarà molto difficile confezionarli.

A nostro avviso, non ci riuscirà neanche l'ammucchiata tricolorata che si profila all'orizzonte, in nome della patria una e della riforma elettorale per restituire un diritto al popolo sovrano, quello di scegliersi i suoi rappresentanti.

Il motivo vero della probabile cordata antiberlusconiaia a tre colori è riconquistare le praterie elettorali della ricca padania, per fare questo non si fermeranno neppure di fronte al rischio di buttare alle ortiche questo paese. Perché finirà così. Se si proverà a mettere all'angolo la lega, non si farà altro che rimpinguarne lo zoccolo duro. Che sta guadagnando terreno anche nella rossa Emilia-Romagna.



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