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Inseguire il vento

Zenone di Elea
(se vuoi, puoi scaricare l'articolo in formato ODT o PDF)
26 luglio 2009

Verso la Capitale

Giovedì sera, 9 luglio 2009, mentre stavo in chat con un amico del Principato Citeriore mi ritrovai a leggere un suo post: “domani vai ad inseguire il vento!”.

Si riferiva alla mia partenza imminente per Napoli.  Dove avrei  partecipato ad un incontro coi rappresentanti di una serie di movimenti “meridionalisti” o “sudisti” che dir si voglia.

Obiettivo della riunione – a cui aveva lavorato Emilio, nato in padania dalla diaspora meridionale calabrese –, sarebbe stato quello di verificare la possibilità di creare un movimento unitario o perlomeno di convergere su degli obiettivi comuni.

Il luogo della riunione era l’hotel Sant’Angelo in piazza Garibaldi.

***

Viaggio relativamente tranquillo su un “freccia rossa” proveniente da Milano col locomotore che ogni tanto faceva le bizze e pareva volesse lasciarci a piedi in aperta campagna prima dopo Firenze e poi appena fuori Roma. Nessun rimpianto comunque per quei vagoni di seconda classe, dove montagne di bagagli contendevano il posto ai viaggiatori, che tante volte avevo occupato da giovane durante i viaggi di andata e ritorno dal Sud.

L’arrivo nella stazione partenopea non suscita entusiasmi particolari, le stazioni sono pressoché tutte eguali. Solo il nome “Napoli” smuove qualcosa dentro e scatena innumerevoli ricordi. La luce fuori dalla stazione, però, è quella che ti fa sentire a casa, d’un colpo scompaiono i decenni trascorsi lontano e pare fosse ieri, quando ragazzino delle medie sognavi luoghi remoti da visitare e conoscere. In quel momento né tu né altri avreste potuto presagire che un giorno saresti appartenuto alla diaspora. In diversi se ne andavano via e tanti altri sarebbero partiti per le Americhe, per la Germania, la Svizzera, ma fin quando non tocca a te personalmente non sai davvero quale sarà il tuo futuro.

L’albergo è lì, a pochi passi dall'uscita della stazione, i dintorni denotano una città pulsante di vita ma non certo ricca e ordinata. Questa è Napoli, decaduta a provincia del reame da centocinquanta anni. Prima era una capitale ora solo una affollata metropoli in cui ciclicamente si agitano problemi sociali endemici: disoccupazione, questione igienica, corruzione e insipienza politica. La stessa città che vanta centri di ricerca all’avanguardia nel mondo scientifico internazionale e che regala all’arte e alla musica raffinate produzioni.


L’incontro

Sabato mattina, nella saletta Vesuvio, nome prodromico a chissà quali sviluppi futuri, alle ore undici, si tiene il previsto incontro.

Prima che arrivassi nella ex-capitale pareva che tutto filasse per il meglio, luogo e data dell'incontro promettevano bene. Venerdì sera purtroppo apprendo dall’amico del Principato Citeriore che Gabriele Marzocco ci ha lasciato. Poco noto ai più, Marzocco era direttore responsabile de L’Alfiere (Direttore Edoardo Vitale), di Due Sicilie (Direttore Antonio Pagano), di Nazione Napoletana.

L’incontro inizia con alcune assenze dovute al funerale che si tiene a Chiaiano alle ore 11 del mattino.

I primi interventi fanno subito capire dove va a parare l’incontro, ad un qualcosa di interlocutorio e di indefinito che non da certezza alcuna.

Quando sopraggiungono i cosiddetti “generali” la situazione precipita verso un conflitto che pare insanabile fra “duri e puri” e “politici” (termine nostro, questo) ovvero fra

Emilio è bravo a tenere le fila del dibattito – io avrei alzato il tiro pretendendo l’inizio di una unificazione reale o tutti a casa e “nemici” come prima – e riesce a far approdare la riunione ad un documento unitario, nel quale ci si ripromette

Da un punto di vista teorico, si tratta di un grosso successo, una promessa di intenti è meglio del nulla.

Dal punto pratico, si tratta di un futuro incerto, dove ogni partecipante torna a casa e può ripensarci e far fallire tutto, tanto si trattava solo di pie intenzioni.

Dichiarare subito la formazione di un nuovo soggetto politico avrebbe inchiodato tutti alla decisione presa e sarebbe stato molto più arduo il tirarsi indietro. Forse però mi sbaglio, e come continuamente mi bisbigliava un partecipante “hai visto, da lontano è facile predicare, ma qui è difficile”, io non conosco le cose napoletane e anche una tale decisione sarebbe valsa poco.

***

Stilato il documento comune, letto a tutti e da tutti idealmente sottoscritto, la riunione si scioglie e si va pranzo: sono circa le quattro del pomeriggio!

Alcuni vanno via per impegni vari o perché hanno un treno che li aspetta. Noi, i restanti, ci infiliamo in una pizzeria in una traversa laterale della piazza, evitando di seguire il consiglio del ragazzo dell’albergo che aveva indicato altro ristorante che conteneva nel nome la parola “mille” alquanto indigesta a tutti noi!

Come capita quasi dappertutto a Napoli – alla faccia dei luoghi comuni e dei servizi televisivi che vanno sempre a pescare il disonesto di turno che fa pagare una coppa di gelato oltre 15 euro – mangiamo divinamente con spesa proporzionata alla qualità del pranzo.

Alla fine arriva la seconda parte dei saluti, altri vanno via e alcuni restano, tra cui chi vi scrive invitato sia da Emilio che da Fiore Marro a partecipare alla cena conviviale dei Comitati Due Sicilie, prevista per la serata.

Accettare è un piacere oltre che un dovere di ospitalità e anche una occasione per vivere una amena serata nella roccaforte casertana dei CDS. Confesso che faceva un certo effetto il trovarsi fra tante persone di varia estrazione sociale (piccoli imprenditori, militari, politici, sindacalisti) con in fondo alla sala la bandiera delle due Sicilie che campeggiava sulla parete.

Come dice un amico nato fra le colline romagnole da genitori pugliesi, quando certi termini prima demonizzati cominciano a diventare di uso normale fra la gente comune vuol dire che qualcosa di profondo sta cambiando. In un processo che appare irreversibile.

***

Arriva l’indomani, giorno della partenza. Avendo il treno alle 12:54 chiedo al ragazzo dell’hotel a che ora devo liberare la camera e me ne vado, a piedi, verso Piazza Plebiscito, attraversando una città sonnacchiosa che la festività del giorno – domenica 12 luglio – rende ancora più deserta a quell’ora, le otto del mattino.

Come tutte le città mediterranee Napoli comincia a carburare un po’ più tardi rispetto a metropoli del nord, in genere più mattiniere.

Percorro tutto il lunghissimo Corso Umberto. La strada è generalmente pulita, a parte i resti di un paio di bivacchi notturni nei pressi della stazione con corredo di bottiglie rotte – ma in altre città se ne trovano anche di più al mattino in certe zone adiacenti le ferrovie. Sul marciapiede del corso ci sono solamente migliaia di mozziconi di sigarette e qui  mi vien da fare una riflessione: dovremmo sviluppare un po’ di spirito comunitario ed entrare nella logica che se io tengo pulito il davanti del mio negozio o della mia casa do il buon esempio e magari i vicini mi imitano. Aspettare che passi sempre la nettezza urbana non è un bel fare e non aiuta a tenere una città pulita.

Rispetto all’ultima volta che vi passai la zona prospiciente il teatro San Carlo è migliorata. Comunque abbia fatto, lo si condivida o meno, per ora la città si presenta bene e bisogna ringraziare il berlusca. Inutile negarlo.

La toponomastica soltanto è davvero deprimente, dove ti giri e dive ti volti per dirla leggere i nomi delle strade e trovarsi di fronte a personaggi come Pisanelli che furono la rovina di questa città, mette addosso  tristezza e rabbia. Come può un popolo continuare ad osannare chi lo ha condotto alla rovina?


Il mito fondante

A quelli della mia generazione alcune figure del risorgimento sono state presentate – e da noi introiettate acriticamente – come personaggi mitici dediti al bene supremo della patria: il Tessitore, l’Apostolo, l’Eroe dei due Mondi il Re Galantuomo. Questa bella gente, in un suo libello che si legge tutto d’un fiato, fu ribattezzata dal compianto Marzocco ‘na vranca ‘e fetiente.

Il tentativo fatto dalla destra storica prima, dalla sinistra trasformista poi, quindi dal fascismo e dai resistenziali di creare una civil religion imperniata sul risorgimento è miseramente fallito.

Nessuno vuole ammetterlo ma è così. Dopo il disegno socialista craxiano di modernizzare il paese legando la borghesia più avanzata lombarda con boiardi di stato capaci di far decollare il mezzogiorno, la pochezza di una classe politica che non ha saputo esprimere nulla di grande respiro unitario ci ha condotto in un vicolo scuro. Non si vede il fondo della strada ed un mattino ci sveglieremo in un paese spaccato irrimediabilmente e molti non si renderanno manco conto di come sia potuto accadere.

A nostro modesto avviso, questo paese si sarebbe potuto salvare se la sinistra comunista prima e pidiessina poi fosse stata meno risorgimentalista e avesse spinto per un riesame critico del mito fondante.

Scrive Giordano Bruno Guerri in un articolo che trovate sul Giornale del 25 luglio 2009 a pagina 27 con un grande occhiello colorato “A furor di Patria” oppure nel suo blog  www.giordanobrunoguerri.it/ col titolo “Cercando l’Italia ci si scopre italiani”:

 “Pavento, piuttosto, che le celebrazioni dell’Unità saranno ancora una volta un comodo rifugio per evitare il riesame critico della nostra storia risorgimentale, dandone la solita versione edulcorata, mitica e quasi acritica. Quando invece - per capire noi e i nostri problemi di oggi - occorre anche affrontare i nodi di un’Unità dai quali sono iniziate molte divisioni, molte ingiustizie, come la tremenda guerra civile che venne chiamata «lotta al brigantaggio». Quello sì, sarebbe un contributo al concetto di patria e della sua unità.”

Parole sante che nessuno, a questo punto, è in grado di raccogliere. Noi come movimento unitario “sudista” - o “duosiciliano” se lo preferite – non siamo ancora nati  e non contiamo nulla e comunque l'orientamento montante a Sud a questo punto pare sia la separazione, in molti cominciano a convincersi che non vi siano alternative, che la secessione tanto invocata dalla lega nord sia già avvenuta e che manchi solo la ratifica formale (1).

Ci sarebbero i parlamentari dell'MPA ma il movimento di Lombardo non ha la cultura storica per capire quanto sia importante quello che scrive Guerri. Anche se ci sovviene una frase del  berlusca pronunciata il 25 aprile di quest'anno:

“Come per il Risorgimento, occorre ricordare anche le pagine oscure della guerra civile, anche quelle nelle quali chi combatteva dalla parte giusta ha commesso degli errori, si è assunto delle colpe. È un esercizio di verità, è un esercizio di onestà, un esercizio che rende ancora più gloriosa la storia di coloro che invece hanno combattuto dalla parte giusta con abnegazione e con coraggio.”

Il che potrebbe aprire a spiragli oggi imprevedibili e magari qualcuno nel centrodestra stia lavorando ad una ipotesi del genere. Probabilmente sono fuori tempo massimo, per il centocinquantenario, ma la politica è l'arte del possibile (2) e il berlusca magari tira fuori dal cappello un coniglio!

L'editoriale di Panebianco sul Corriere del 26 luglio, che ha il dono della chiarezza e della sintesi, spiega bene il ruolo della politica e delinea la funzione di elemento federatore svolto dalla Democrazia Cristiana prima e dal partito di Berlusconi oggi:

“Il partito federatore, subentrato alla Democrazia Cristiana, è il Popolo della Libertà, primo partito sia al Nord che al Sud. E’ la conseguenza di quanto accadde negli anni Novanta. Spazzati via i partiti della Prima Repubblica fu allora Silvio Berlusconi, insieme ai suoi alleati, a colmare il vuoto lasciato dalla Democrazia Cristiana.Ma il Popolo della Libertà ha due evidenti punti di debolezza. Il primo è che si tratta di un contenitore mal amalgamato, nato dalla recentissima fusione di Forza Italia e An. Un contenitore che si è formato solo per mantenere competitivo il centrodestra nel momento in cui è stato creato il Partito democratico.

Dovesse quest’ultimo dividersi (e la possibilità sicuramente esiste), il Popolo della Libertà subirebbe dopo poco la stessa sorte. Il secondo, e più importante, elemento di debolezza consiste nel fatto, naturalmente, che si tratta di un partito carismatico, il cui destino è strettamente legato alla sorte politica di Berlusconi.

Che succederà al Popolo della Libertà quando Berlusconi lascerà la scena politica? Si frantumerà, come è probabile, seguendo la sorte di tanti altri partiti carismatici? Oppure sperimenterà quel raro fenomeno che viene detto «istituzionalizzazione del carisma», sopravvivendo politicamente al suo fondatore? Nessuno è oggi in grado di rispondere.”

Secondo noi non ci sarà alcuna istituzionalizzazione del carisma, senza berlusca  questa l'Italia finisce a brandelli. Il carisma è strettamente legato ad una persona  la cui immagine è stata irrimediabilmente compromessa dalla opposizione con attacchi paragiudiziari e moralistici e berlusca non sopravviverà politicamente a se stesso.

Qualche chance potrebbe averla un Bersani, ma dovrebbe legarsi a doppia corda ai signori delle tessere meridionali, usando una corda a cui finirebbe per impiccarsi politicamente.

Sarebbe in altre parole un metodo democristiano o, se preferite, berlusconiano e non avrebbe un gran futuro. Rinvierebbe la resa dei conti fra nord e sud solamente di qualche altro anno, così come è accaduto con la riforma del 2001 del titolo V della costituzione. Probabilmente D'Alema sta lavorando a questo raccordo Emilia-Toscana-Sud, un disegno meschinello, l'invito di Guerri per rabberciare questo paese vola troppo alto rispetto alla politica del centrosinistra e del centrodestra nostrani.


Il ritorno

In stazione mentre aspetto il treno assisto alla consulenza data al volo ai viaggiatori che si avvicinano da un ferroviere – un distinto signore di nome Gennaro, di circa 55-60 anni, dal bel profilo mediterraneo, magnogreco potrei dire – dai modi squisiti e gentili. Il suo unico limite erano le lingue, quando capitava qualche straniero si trovava in difficoltà sia nel comprendere la richiesta che nel dare la eventuale risposta. E c’era un notevole via vai di passeggeri che lo interpellavano in quanto era in atto uno sciopero dei treni e molti erano disperati.

Sulla “freccia rossa” del ritorno mi trovo pure un’attempata signora milanese – accanita divoratrice di Repubblica – che lamenta lo spreco dei soldi per la TAV fino a Napoli e pretende che vengano completate le opere al nord che è la parte più sviluppata e se le merita. Non ha senso sprecarle al sud. Azz, ha trovato la persona giusta che le da ragione! Dopo un breve battibecco tacciamo entrambi, consapevoli che dall’altra parte stia un muro invalicabile.

Mi convinco, mentre il treno sfreccia verso nord, che con questa signora costituiamo l'emblema di un paese spaccato in due grandi aree incapaci di parlarsi e quindi di capirsi, la cui convivenza sia ormai giunta al capolinea.

La riunione romana del comitato federale nazionale del Movimento per le Autonomie dell'11 luglio, convocata per discutere fra l'altro della proposta di costituire un Partito del Sud che sia forte e radicato in tutto il Mezzogiorno, non ha quagliato apprezzabili risultati, come auspicava il buon Emilio commentando “buon per noi”, nel senso che sarebbe stato più facile per una nuova formazione farsi valere senza riciclati di grande calibro tra i piedi.

In effetti la riunione romana finisce nei distinguo ed in un nulla di fatto. Nei giorni seguenti la stampa si scatenerà sulla questione “partito del sud”, soprattutto in seguito al summit di Sorrento – promosso da Gianfranco Micciché e che ha visto come partecipanti il ministro Stefania Prestigiacomo, Antonio Martino, Adriana Poli Bortone e, anche se solo per telefono, Marcello dell'Utri – e verranno versati fiumi di inchiostro. E' indubitabile che la sola eventualità di un partito del Sud abbia messo in fibrillazione tutti gli abitanti dei palazzi romani e padani. “Al sud serve Obama, non Pulcinella”, ha sbottato il leghista Roberto Calderoli.

***

Noi ne siamo consapevoli, tutti usano il partito del sud come uno spauracchio per mantenersi o crearsi uno spazio politico oppure per far riallargare i cordoni di una borsa sempre più vuota.

Ti ritroviamo l'MPA di Lombardo che dopo il flop elettorale seguito ad una campagna durante la quale si era voluto ergere a portare degli interessi sia dei meridionali residenti sia di quelli che l'amico Zitara chiama gli “”accomodati” e per far tanto aveva tolto la parola Sud dal proprio logo.

Ti ritroviamo il viceré campano Antonio Bassolino a cui un fuoco di sbarramento ha precluso un seggio in Europa ed ora cerca di riciclarsi giocando pure lui un giorno sì ed uno no la carta del  partito del sud.

Ti ritroviamo la Poli-Bortone delusa per una promessa non mantenuta che ha fondato Io Sud e giura che rimarrà indipendente a chi l'accusa di coprire il PdL sul fianco destro.

Ti ritroviamo l'Agazio Loiero governatore della regione Calabria, che si scaglia contro Gasparri che ha definito il Partito del Sud «una discarica dove raccogliere politici falliti».

Ti ritroviamo Miccichè che va dal notaio a depositare i papabili nomi della futura formazione politica (Sud, Le ali del Sud e Forza Sud) e Dell'Utri, mente raffinatissima, che prima si espone partecipando telefonicamente all'incontro di Sorrento, poi frena facendosi intervistare dal Giornale in edicola il 24 luglio. Nell'intervista parla del  Como! Squadra che potrebbe aspirare alla serie A con Feltri vicepresidente...

A stretto giro di posta, praticamente nella serata del 24 luglio, giunge un commento di Bossi sulla ipotesi della costituzione di un Partito del Sud (3):

'Rischia di essere un pasticcio, ma d'altronde la politica è piena di pasticci... stiamo a vedere, se son rose fioriranno''.

***

In tutto questo bailamme ci siamo pure noi, molti dei quali sulla breccia da oltre un decennio. In tanti anni non siamo stati capaci di esprimere un movimento unitario, spesso per tema di perdere il nostro orticello.

Forse questo è l'ultimo treno che passa per buttarsi nella mischia. Di fronte a noi stanno verdi praterie elettorali di delusi e di sognatori che non aspettano altro: un movimento sganciato dai partiti tradizionali che si faccia interprete degli autentici interessi dei territori dell'ex-Regno delle Due Sicilie.

Uagliù scetateve, ricordatevi dei briganti e inseguiamo il vento!


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(1) E’ notizia di questi giorni il commissariamento della sanità molisana e campana – per chi non lo sapesse i commissari di governo sono i governatori! - e la distribuzione dei soldi alle università attraverso un congegno che privilegia il nord.

(2) Ciampi ha dichiarato la disponibilità a rimettere il proprio mandato di presidente del Comitato dei Garanti per le manifestazioni per il centocinquantenario, per un qualcosa che andasse nella direzione indicata da Galli Della Loggia il quale sul Corriere della Sera del 20 luglio critica aspramente i festeggiamenti scrivendo fra l’altro:

Il modo in cui il Paese si appresta a celebrare nel 2011 il 150˚anniversario della sua Unità indica alla perfezione quale sia l'immagine che la classe politica—tutta, di destra e di sinistra, senza eccezioni (nonché, temo, anche la maggioranza dell'opinione pubblica) — ha ormai dell'Italia in quanto Stato nazionale e della sua storia. Un'immagine a brandelli e di fatto inesistente: dal momento che ormai inesistente sembra essere qualsiasi idea dell'Italia stessa. Leggere per credere. Tutto inizia nel 2007, quando per l'appunto si deve decidere che cosa fare per le celebrazioni del 2011. In altri Paesi si penserebbe, per esempio, ad allestire una mostra memorabile, a mettere in piedi un grande museo della storia nazionale (siamo tra i pochi che non ne hanno uno), a costruire una grande biblioteca (Dio sa se ce ne sarebbe bisogno) o qualcos’altro di simile. Da noi invece no.

(3) Vogliamo ricordare ai poco informati che “Partito del Sud” appartiene come denominazione al partito di Antonio Ciano e “Partito per il Sud” a Domenico Iannantuoni.









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