Fu questo il primo anno in cui il vessillo borbonico dello
Stato
indipendente delle Due Sicilie non sventolava piú nelle
nostre
terre, che, avviluppate in un plumbeo sudario di morte, cercavano di
liberarsi dai nuovi barbari invasori: i predoni e assassini piemontesi.
Gli avvenimenti, di cui siamo certi, elencati cronologicamente,
volutamente scarni di ogni commento, fanno inequivocabilmente
comprendere cosa deve essere stato per le nostre popolazioni vivere in
quegli anni.
Non dimentichiamolo. Non dimentichiamolo mai.
Alla fine dell'anno 1861, la statistica, fatta dagli occupanti
piemontesi, indicò che nel solo secondo semestre vi erano
stati
733 fucilati, 1.093 uccisi in combattimento e 4.096 fra arrestati e
costituiti. Le cifre fornite, tuttavia, furono molto al disotto del
vero, in quanto non comprendevano quelle delle zone della Capitanata,
di Caserta, del Molise e di Benevento, dove comandava il notissimo
assassino Pinelli.
Al Senato di Torino, il ministro della guerra Della Rovere, dichiarò che 80.000 uomini dell'ex armata napoletana, imprigionati in varie località della penisola, avevano rifiutato di servire sotto le bandiere piemontesi. Vi erano state migliaia di profughi, centinaia i paesi saccheggiati, decine quelli distrutti. Dovunque erano diffuse la paura, l'odio e la sete di vendetta. L'economia agricola impoverita, quasi tutte le fabbriche erano state chiuse e il commercio si era inaridito in intere provincie. La fame e la miseria erano diventate un fatto comune tra la maggior parte della popolazione, che trovò nell'emigrazione l'unica possibilità di sopravvivenza alla pulizia etnica fatta dai piemontesi.
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