Ringraziamo Sirio Smeriglio, webmaster del sito https://www.terreselvagge.com per averci autorizzato a utilizzare alcune fotografie del Forte di Fenestrelle, campo di prigionia dei soldati duosiciliani, all'indomani dell'unità d'Italia. Una pagina di storia sconosciuta ai più.
____________________________________________________________________________________Un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e
dall'emigrazione forzata, nell'inesorabile comandamento di destino: "O
briganti, o emigranti".
Una pagina non ancora completata è quella relativa alle
carceri in cui furono rinchiusi i soldati "vinti".
Il governo piemontese dovette affrontare il problema dei prigionieri, 1700 ufficiali dell'esercito borbonico e 24.000 soldati, senza contare quelli che ancora resistevano nelle fortezze di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto.
A migliaia questi uomini furono concentrati dei depositi di Napoli o nelle carceri, poi trasferiti con il decreto del 20 gennaio 1861, che istituì "Depositi d'uffiziali d'ogni arma dello sciolto esercito delle Due Sicilie".
Cinquemiladuecentododici condanne a morte
6564 arresti
54 paesi rasi al suolo
centinaia di migliaia di morti (qualcuno azzarda 1 milione di morti)
La prima pulizia etnica del mondo occidentale (Legge Pica)
La Marmora ordinò ai procuratori di "non porre in libertà nessuno dei detenuti senza l'assenso dell'esercito".
Per la maggior parte furono stipati nelle navi peggio degli animali
(anche se molti percorsero a piedi l'intero tragitto) e fatti sbarcare
a Genova, da dove, attraversando laceri ed affamati la via Assarotti,
venivano smistati in vari campi di concentramento istituiti a
Fenestrelle, S. Maurizio Canavese, Alessandria, nel forte di S. Benigno
in Genova, Milano, Bergamo, Forte di Priamar presso Savona, Parma,
Modena, Bologna, Ascoli Piceno ed altre località del Nord.
Per oltre dieci anni, tutti quelli che venivano catturati, oltre
40.000, furono fatti deliberatamente morire a migliaia per fame,
stenti, maltrattamenti e malattie.
Quelli deportati a Fenestrelle, fortezza situata a quasi duemila
metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del
Chisone, ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari
borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio
nell'esercito sabaudo, tutti quelli che si dichiararono apertamente
fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai
piemontesi) subirono il trattamento più feroce.
Fenestrelle era un insieme di forti, protetti da altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata nella roccia, di 4000 gradini.
I detenuti tentarono anche di organizzare una rivolta il 22 agosto
del 1861 per impadronirsi della fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il
tentativo ebbe come risultato l'inasprimento delle pene con i
più costretti con palle al piede da 16 chili, ceppi e catene.
Molti prigionieri non erano nemmeno registrati, sicché solo
dopo molti anni venivano processati e condannati senza alcuna
spiegazione logica.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni,
anche per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun
riparo, non superava i tre mesi.
E proprio a Fenestrelle furono vilmente imprigionati la maggior parte di quei valorosi soldati che, in esecuzione degli accordi intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano invece essere lasciati liberi alla fine delle ostilità.
La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi venivano
disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel
retro della chiesa che sorgeva all'ingresso del Forte.
Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora visibile l'iscrizione: "Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce".
Non era più gradevole il campo impiantato nelle "lande di San
Martino" presso Torino per la "rieducazione" dei militari sbandati,
rieducazione che procedeva con metodi di inaudita crudeltà.
Altre migliaia di "liberati" venivano confinati nelle isole, a Gorgonia, Capraia, Giglio, all'Elba, Ponza, in Sardegna, nella Maremma malarica.
Tutte le atrocità che si susseguirono per anni sono documentate negli Atti Parlamentari, nelle relazioni delle Commissioni d'Inchiesta sul Brigantaggio, nei vari carteggi parlamentari dell'epoca e negli Archivi di Stato dei capoluoghi dove si svolsero i fatti.
Cfr. "I lager dei Savoia" di Fulvio Izzo, la più documentata ricostruzione della sorte di migliaia di prigionieri duosiciliani nei lager piemontesi.
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