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DUE SICILIE - 4/2005 - pag. 24

La Destra e la protesta meridionale degli anni ‘70
La giovane destra nazional-popolare

di Orazio Ferrara


Una costante ricorrente nella linea politica di movimenti extraparlamentari di destra, quali Giovane Europa dell'ultima fase, Università Europea, Avanguardia di Popolo e altri gruppi d'ispirazione nazional‑popolare, è l'estrema attenzione con cui vengono seguite ed analizzate le proteste che, nel Meridione degli anni '70, sfociano spesso in aperta e violenta ribellione al governo centrale.

Sul come poi abbiano fatto questi gruppuscoli e l'estrema destra nel suo insieme ad inserirsi, anzi a diventare in alcuni casi la punta di diamante, nelle lotte popolari, che in quegli anni squassano, da Avola ad Eboli, tutto il Meridione, molto è stato scritto. Ma questo molto risente negativamente di due ordini di fattori. Il primo è che la maggior parte degli articoli e dei saggi scritti proviene da sinistra e quindi, per ovvi motivi facili da intendersi, non vi è molta obiettività, anzi si nota freudianamente, una subitanea rimozione dell'argomento, quasi fosse uno spiacevole incidente da dimenticare. Il secondo fattore è che quello che è stato scritto dalla destra ufficiale, salvo qualche rara e lodevole eccezione, offre ben pochi spunti interessanti per una riflessione politica sul fenomeno.

Per tentare di comprenderlo almeno in parte, occorre riandare a qualche anno indietro. La fine degli anni Sessanta, con le sue ultime propaggini di benessere economico, vede entrare definitivamente in crisi quei valori di vita e di cultura, che ancora resistono nella comunità meridionale. Ciò è dovuto, tra l'altro, all'eccessivo spopolamento delle campagne per l'emigrazione, avvenuta in modo massiccio nell'ultimo decennio, verso il nord industriale e verso le stesse città meridionali. Quesf’ultime si sono gonfiate oltre ogni ragionevole limite sopportabile dalle loro già fin troppo modeste strutture socio‑economiche, raggiungendo così una esplosiva concentrazione di disgregazione sociale.

Altro motivo dirompente è poi l'affermarsi di un certo tipo di tecnocrazia, che, con il suo falso efficientismo, contribuisce in maniera determinante a rompere quel rapporto organico, che ogni meridionale è riuscito fino ad allora, bene o male, a conservare con l'ambiente, col lavoro e con la famiglia, insomma con la propria tradizione. A questi motivi di malessere di ordine esistenziale si aggiungono, con effetto devastante, quelli di ordine

economico.

Sono gli anni in cui nel Nord il movimento operaio, forte nelle sue organizzazioni sindacali e ormai integrato nella logica razionalista del sistema neo‑capitalista, inizia le contrattazioni per ottenere una maggiore fetta di benessere economico e di potere decisionale. A tali lotte, che portano sulla scena politica un nuovo e più organizzato soggetto, che oggettivamente non può non essere l'alleato naturale delle sinistre, chi detiene il potere risponde strategicamente aumentando ancora di più il controllo sul serbatoio di voti meridionali, mediante l'assistenzialismo, il clientelismo e la corruzione. In pratica ciò significa larghissime sacche di disoccupazione e di sottoccupazione e una totale emarginazione politica dei sottoproletari meridionali.

A questo punto la bomba‑sud è ormai innescata. Soltanto un movimento politico autenticamente meridionalista avrebbe potuto disinnescarla e usare l'immensa energia per la costruzione di una forza politica alternativa. Ma non c'è, ci sono invece le opposizioni ufficiali di quello che può essere definito, senza mezzi termini, un regime: l’MSI e il PCI.

La sinistra non vuole e non può porsi a capo della rabbia dei meridionali. Sia per una scelta precisa dei suoi dirigenti, che, in linea con la tradizione gramsciana, non riconoscono nessuna

funzione alle rivolte del Mezzogiorno, sia perchè essa non ha e non ha mai avuto una politica per il sottoproletariato, che è il protagonista principe delle lotte nel Sud. Ciò in accordo con quel passo del Manifesto del Partito Comunista (1848), in cui si definisce il sottoproletariato come la putrefazione passiva degli ultimi strati sociali della società, e con le parole di Engels, che definisce traditore il dirigente della classe operaia che usi 9e bande degli straccioni sottoproletari".

Resta quindi la destra estrema, che effettivamente riesce ad inserirsi prima, a guidare poi la protesta popolare. Come una simile manovra possa essere riuscita ad uno schieramento politico che, in quel momento storico, ha come punto centrale del suo programma la difesa ad oltranza del centralismo statale, messo in discussione proprio dalle stesse proteste, può sembrare un paradosso.

Ma è un paradosso soltanto apparente, se si tiene conto di due fatti importantissimi. Il primo è che inizialmente non sono i quadri del M.S.I., ma parte della sua base giovanile e soprattutto quelli che occupano, alla sua destra, l'area extraparlamentare e che militano nei gruppuscoli di Università Europea, di Avanguardia di Popolo, di Avanguardia Nazionale, ecc., a partecipare spontaneamente, meridionali tra meridionali, alle lotte.

Il secondo fatto è che, ritrovatisi quest'ultimi gruppi per vari motivi alla guida della protesta, suscitano l'interesse dei dirigenti del MSI. 1 quali, rinnegata l'iniziale avversione (tra i tanti esempi citiamo soltanto la circolare del segretario provinciale reggino, Sammarco, in cui si diffidano gli iscritti al partito dal partecipare alla rivolta di Reggio), pongono la struttura organizzativa del loro partito, come sempre molto forte nel Sud, al servizio della protesta. Con ciò recuperando la dissidenza ormai molto diffusa tra la base e frenando di conseguenza il rifluire dei giovani verso la più combattiva area extraparlamentare, ma soprattutto assumendo di fatto la leadership della rabbia del Mezzogiorno.,

Al riguardo i gruppi nazional‑popolari denunceranno subito la cosa come meramente strumentale per fini elettoralistici. Sono dunque i giovani meridionali di destra il tramite, a volte inconsapevole, con cui l’MSI riesce a cogliere il più grosso successo politico della sua storia fino a quel momento. Questi giovani, che in uno studio sociologico del tempo, fatto dal professore Carlo Tullio Altan, studioso certamente non sospettabile di simpatie per la destra, si rivelano maggiormente sensibili, dopo quelli dell'estrema sinistra, alle ingiustizie sociali, vivranno in prima fila le tormentate ore del "Sud sulle barricate". Pagando di persona, a volte anche con la vita, la loro dedizione, autenticamente sofferta, a quella che ritengono la causa del riscatto del Sud.

Il Sud sulle barricate

A Reggio, come a L'Aquila, come a Battipaglia, come ad Eboli, come in tutte le lotte del popolo meridionale nei primi anni Settanta un unico motivo conduttore emerge in maniera evidente ed è il rifiuto totale e la condanna violenta della politica ovvero come sarebbe più opportuno scrivere di certa "politica". Rifiuto e condanna che hanno i loro momenti più eclatanti nel palco dei sindacalisti incendiato a Battipaglia, nelle sedi dei partiti distrutte all'Aquila, nella contestazione al comizio d'Ingrao a Reggio.

La prima reazione che provoca questo rifiuto quasi irrazionale della politica è quella di noti intellettuali che parleranno subito di qualunquismo, tirando in ballo, come sempre a sproposito e in ciò aiutati per la verità da certi ideologi di una destra incasellata ancora nella logica reazionaria di un De Maistre, il solito cardinale Ruffo. Eppure la condanna della politica è il primo atto veramente politico che, dopo anni di torpore, molti meridionali compiono contro quel modo di governare, che in realtà è la vera non politica e che da anni esercitano nel Sud gli apparati, a dir poco clientelari, dei partiti e dei sindacati.

Il rifiuto della politica e la logica conseguenza di non accettare le regole del gioco "democratico" portano fatalmente a far coincidere le posizioni tattiche delle masse meridionali con quelle strategiche dei gruppi di destra, già spontaneamente presenti nelle lotte. Gruppi anch'essi emarginati, ma per altri motivi. Questa convergenza di posizioni viene subito analizzata dai circoli più attenti della destra estrema, che tentano così di stabilire anche un' identità ideologica, che però non vi sarà mai.

In questo senso vanno interpretate le parole dell'ideologo di Avanguardia Nazionale, Adriano Tilgher, che in una conferenza stampa dice testualmente: "La lotta di Reggio è molto importante perchè, per la prima volta in Italia, vi è stato il rifiuto completo e totale dei partiti e del sistema partitocratico, dei sindacati e di tutti i mezzi che il sistema offre per avanzare delle rivendicazioni". A rinsaldare ancora di più queste convergenze contribuisce poi, in maniera determinante, la difesa ad oltranza, condotta dai meridionali, della propria coscienza etnica. Ciò è maggiormente riscontrabile nelle rivolte per il capoluogo di Reggio e dell' Aquila, difesa che coincide a grosse linee .con il tradizionalismo dei gruppi dell'ultradestra fortemente influenzati dal pensiero evoliano.

Quanta ironia non si è fatta sul "pennacchio" con saccenteria scopertamente razzista da parte di certi giornalisti nordisti? Eppure nella disperata e orgogliosa difesa di certi valori di vita e di cultura e di libertà locali si scorge chiaramente il rigetto istintivo, forse espresso in modo violento, ma culturalmente valido, di quel mostro trionfante negli anni Settanta, cioè la tecnocrazia, che è poi ìl concentrato dell'incultura.

Il rifiuto in blocco della partitocrazia, la contestazione del potere tecnocratico, la difesa dell'autonomia locale sono dunque i punti caratterizzanti attraverso i quali l'ultradestra, con la sua organizzazione abbastanza elastica, riesce a stabilire un'unità nello spontaneismo delle lotte per poi egemonizzare queste ultime con proprie parole d'ordine.

L'intera operazione viene favorita ingenuamente dai comunisti, che, già trovandosi in difficoltà per i buchi teorici della loro ideologia nei confronti del sottoproletariato, compiono anche errori di banale valutazione politica, come nel caso degli inizi della rivolta reggina quando il senatore Chiaramonte, inviato dalla direzione del PCI per un'analisi della situazione, scriverà nel suo rapporto: 'tra due giorni qua è tutto finito". Invece tutto inizierà senza di loro. Questa esclusione, favorita in larga parte anche dai piani di Berlinguer per l'attuazione del compromesso storico, li porterà poi ad essere i più feroci assertori della repressione.

Se la destra influenza obiettivamente con i suoi militanti e i propri slogans il movimento di lotta, subisce però a sua volta un'influenza dovuta alle aspirazioni sociali delle masse diseredate del Sud, influenza che si ripercuote direttamente sul retroscena ideologico, degli stessi gruppi e che porterà molti di questi su posizioni nazional‑popolari molto simili a quelle dei descamisados di Evita Peron.

Sono di questo periodo le polemiche, con accuse di inquinamento ideologico, verso questi gruppi da parte degli evoliani. Non a caso una delle prime azioni abbastanza significative che compie la nuova destra nazional‑popolare, nata nel Sud, è quella di porsi a capo delle occupazioni delle case a Gebbione, emarginando e rendendo vana così la presenza dell'Unione dei Comunisti, che aveva tentato un maldestro inserimento.

L'identità tra fascismo e sudisti in lotta, tesi che trova larga accoglienza in tutti i gruppi politici ad eccezione di alcuni piccoli settori dell'ultrasinistra, viene ufficialmente sancita appena il partito di Almirante riesce a controllare abbastanza bene la situazione, il che significa soprattutto la messa in sordina delle nuove proposte elaborate dall'ala nazional‑popolare.

t dunque con l'accusa di fascismo che si tenta di esorcizzare la presa di coscienza dei meridionali. Accusa che serve soltanto a giustificare la messa in moto dei meccanismi della macchina repressiva, che, in nome dell'antifascismo, schiaccerà o perlomeno farà rifluire su posizioni veramente neofasciste le lotte, ripristinando in tal modo l'ordine "costituito". Quest'ordine contestato finanche simbolicamente dalla verniciatura in rosso del monumento sito nella villa comunale di Reggio e dedicato a re Umberto 1 di Savoia. Verniciatura che vuole cancellare emblematicamente, una volta per tutte, le pagine dei troppi libri di storia che parlano ancora di re galantuomini e di meridionali briganti.

(Dal libro dello stesso autore “l mito negato. Da Giovane Europa ad Avanguardia di Popolo, la destra eretica negli anni settanta" Edizione Centro Studi I Diòscuri, Sarno, 1996)







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