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Unità d'Italia - vera storia

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28 Novembre 2009

L'analisi critica dell'Unità d'Italia come conquista Piemontese appoggiata dagli interessi inglesi e dalle Società Segrete è vera e riaffermata dallo storico Arrigo Petacco, però dopo 150 anni non può essere un alibi per nascondere i propri problemi, tutta l'Italia è stata invasa dai Savoia e ci hanno rimesso anche al centro e nello stesso nord, il Veneto e il Centro sono stati a lungo terra di povertà e di emigrazione quasi come nel sud, però Veneto e Centro si sono sviluppati e sono cresciuti anche senza gli aiuti per il Sud della Cassa per il Mezzogiorno.

Forse un po’ di autocritica gioverebbe al Sud, come insegnare la vera storia a scuola.

Saluti e auguri per il Sud.

***

Per mancanza di tempo non rispondiamo quasi mai ai messaggi che  giungono, siano essi di incoraggiamento o di critica. Per non far toro a nessuno. Stavolta rispondiamo brevemente al navigante in quanto ad una critica così garbata e argomentata, occorre dare una risposta

Lei scrive: “tutta l'Italia è stata invasa dai Savoia e ci hanno rimesso anche al centro e nello stesso nord”. Detto così sembra una obiezione senza possibilità di risposta e imporrebbe null’altro che un grande mea culpa, che noi “meridionali” (uso il termine per semplificare, sarebbe meglio dire napoletani e siciliani)  dovremmo recitare dalla sera alla mattina.

Premesso che chi segue questo sito sa bene che noi non ci tiriamo indietro quando si tratta di dar legnate a quei meridionali che hanno contribuito e ridurci nello stato in cui ci troviamo, il tutto secondo noi, va inserito in un contesto storico dinamico, dove non si possono prendere i dati riguardanti il sud e farne una lettura avulsa dagli avvenimenti.

Anche noi ci domandiamo come mai il Piemonte fece combutta con lombardi e toscani e non con noi che eravamo un territorio popolato da nove milioni di anime. Se fosse così semplice la risposta, evidentemente fummo degli imbecilli e sarebbe colpa nostra il non esser stati in grado di legarci economicamente alle classi dirigenti che controllarono la stanza dei bottoni che trasformò l’Italia da paese agricolo in un paese manifatturiero.

La risposta invece non è affatto semplice. Per l’aspetto economico la invito a leggersi l’opera di Nicola Zitara “La legge di Archimede - L'accumulazione selvaggia nell'Italia unificata e la nascita del colonialismo interno”, io voglio soffermarmi sul contesto politico postunitario.

Dopo lo sbandamento iniziale, il tradimento di molti ufficiali e l’abbandono di Napoli da parte del giovane e inesperto re Francesco II, nelle provincie napoletane divampò la rivolta che si trasformò in resistenza armata. Durò dieci anni, qualcuno documenti alla mano sostiene che durò quattordici anni.

Tra il 1860 e il 1870 morirono oltre CENTOMILA meridionali – tra morti in combattimento, fucilati, deportati – e la stima non è di un nostalgico neoborbonico ma di Giordano Bruno Guerri.

Per alcuni anni le due aree del paese furono anche giuridicamente separate, al nord vigeva lo statuto albertino mentre al sud vigeva la legge Pica.

Provi ad immaginarsi cosa accadde in quelle terre durante un decennio di guerra. Per piegare la resistenza armata – come è facilmente intuibile – non si andò per il sottile, la propaganda antibrigantaggio divenne propaganda antimeridionale: l’equiparazione venne di conseguenza. Le attività economiche, la istruzione pubblica, tutti gli aspetti della vita sociale ne furono stravolti.

Si arruolarono nella guardia nazionale, nell’esercito, nelle corti di giustizia, nei pubblici uffici, nelle aule parlamentari i meridionali più propensi al compromesso e ai sotterfugi. I nostri giovani migliori trovarono la morte o in combattimento o passati per le armi dopo un sommario giudizio o in campi di concentramento distanti centinaia di chilometri.

In altre parole, come ebbe a dire qualcuno, noi meridionali ci dividemmo in due gruppi: fucilatori e fucilati.

Al nord intanto cresceva l’incomprensione  verso (tutti) i meridionali refrattari alla patria e che tenevano impegnato metà dell’esercito.

Alla fine lo stato italiano risultò vincitore, ma vi riuscì istituzionalizzando la delazione di massa. Nell’astio e nella sfiducia verso quello stato che da noi si era mostrato solo con la sua faccia violenta si inserirono quei gruppi malavitosi che lo avevano aiutato a nascere: la criminalità organizzata divenne componente indispensabile nella gestione di vaste aree del territorio meridionale, anzi allargò il suo potere sempre di più.

Agli inizi del novecento, l’Italia era un paese irrimediabilmente spaccato in due realtà non-comunicanti. Attraversò fascismo e dopoguerra senza mai ricomporsi in uno stato veramente unitario.

Cosa ha impedito nel secondo dopoguerra  il nostro decollo economico?

1) La bacata teoria, sponsorizzata dalle industrie del nord, secondo la quale al sud non dovevano nascere industrie simili a quelle già esistenti al settentrione;

2) la concentrazione degli aiuti del piano Marshall nelle aree settentrionali;

3) la creazione della Cassa per il Mezzogiorno tesa solo a sostenere la domanda dei beni prodotti altrove.

Zenone di Elea – 28 novembre 2009

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