Carlo Pisacane, il «romito» di Albaro (Zenone di Elea - Giugno 2024) |
PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI (1857) - ELENCO DEI TESTI PUBBLICATI SUL NOSTRO SITO |
PROCESSO NICOTERA-GAZZETTA D'ITALIARENDICONTO STORICO-ANEDDOTICODIL. D. FoschiniMILANOCARLO FOSCHINI, EDITORE 1876 |
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Quello ch’è gloria non cangia mai
Prati.
Questo Resoconto non comprende le sole Sedute del Tribunale Civile e Correzionale di Firenze, ma bensì — essendo ispirato sui fatti storici, sui motivi che spinsero un partito a far pubblicare dalla Gazzetta d’Italia «L’Eroe di Sapri, autobiografia di Giovanni Nicotera» ; non dimenticando lo scopo della stessa pubblicazione — diverrà per s e stesso un frammento di Storia svolta sulla rivoluzione parlamentare del 18 Marzo 1876 — svolta senza rancore di partito, ma sibbene con verace imparzialità, portando la quistione sul terreno della pubblica coscienza.
Se l’ultima parola di questo Resoconto sarà la sentenza del Tribunale, ciò non torrà che in esso sianvi citate le assennate argomentazioni d’illustri pubblicisti, e ricordata la parola d’uomini probi che alzarono la voce per protestare contro il libello della Gazzetta d’Italia.
Noi procureremo di lasciare nel nostro libro una traccia indelebile d’imparzialità, senza sorvolare sulle fredde domande del presidente e sulle calorose aringhe degli avvocati, noi intercaleremo in questo Resoconto una narrazione veritiera, vivace, e, ci lusinghiamo, dilettevole — che certo varrà a provare come la missione del pubblicista non sia quale l’intende e la dimostra la Gazzetta d’Italia.
Non si creda poi che le nostre parole sian fumo d’incenso al barone Giovanni Nicotera... La nostra penna scorre libera, né per aderire a farsi cara alle altrui brame ritorna sul tracciato per cancellare o correggere.
Firenze, 1° Dicembre 1876.
D. FOSCHINI.
Sommario — Due partiti — Corruzione — Il capitombolo del 18 marzo 1876—-Scioglimento della Camera — Il programma di Stradella — Lotta elettorale— Il sicario dei disperati —Come di una pagina di storia se ne faccia un libello — Sequestro — Timori—Il 5 ed il 12 novembre —L’aurora dell'era novella.
Io parlo por ver dire
Non per odio d'altrui né per disprezzo.
P ETRARCA
Dover delineare due grandi partiti in pochi tratti di penna non è facil cosa tanto più se queste pagine dovessero venir lette da persone affatto ignare degli ultimi avvenimenti politici che commossero l’Italia, e de' quali tutta Europa se n’è occupata seguendone con ansia lo svolgimento. Ma siccome è difficile che gli ignari s’interessino di questo libro, perciò non avremo bisogno di lunghe argomentazioni, per delineare i due partiti che si contrastarono, ed oggi vieppiù si contrastano le sorti del paese.
Basterebbe dire: destra e sinistra, moderati e progressisti per essere già d’accordo col lettore, senza ricorrere ad ulteriori spiegazioni.
Il partito liberale moderato, s’è costituito in maggioranza sull’elemento aristocratico che presentossi in Italia dopo il 1859, le cui aspirazioni differenziavano dai vecchi moderati del parlamento subalpino, i quali dicevansi moderati perchè fidi alla costituzione non permettevano alle loro idee d’oltrepassare il limite dello statuto di Carlo Alberto; mentre i nuovi s’affidarono alla moderazione per far sazie le brame della loro mal repressa ambizione. — Fregiarsi di gingilli di corte — indossare una livrea che lo sfarzo obbligasse il popolo a curvarsi innanti a loro. Ecco il seme che gettarono nel campo moderato, ed il cattivo germe allignò a scapito morale del partito.
Essere unici al potere, disconoscere l’intelligenza di chi stringendo l’incallita mano dell’operaio azzardava proporre dei sollievi per questi, e difendere i diritti del popolo, ecco la loro missione.
«Una volta al potere dobbiamo rimanerci, dissero, e per impedire che gli uomini che siedono a sinistra e che vantano riforme progressiste si facciano avanti, procuriamo l’utile ed il benessere del popolo, ma al popolo non facciamo olocausto della nostra ambizione.»
Gli uomini della sinistra ben differente esprimevano lo loro aspirazioni, pel compimento, delle quali il potere era un legittimo desiderio.
Essi dissero che il popolo deve essere elevato a quei principii che valgono a maggiormente; solidare la libertà, che non deve essere calcolato solo per trarne con speciosi artifizi di balzelli e promesse, le somme necessarie a sopperire alle spese dello Stato ed ai bisogni dei, fondi segreti, ma bensì che i bilanci dello Stato devono essere bilanciati sulle forze del contribuente.
Le idee dei sinistri s'avanzarono coll’avanzarsi del potere dei moderati. — «Se la costituzione ci terrà eternamente legati a questo giogo, dovremo insorgere per ottenere una differente forma di governo!»
La minaccia fu intesa dai moderati, e per scongiurarla, bisognava che s’inchinassero a chiedere fiducia dal popolo; ma questo, curvo sotto il pondo di tanti balzelli, ricchezza mobile, macinato, ecc., questi che assistette agli scandali della Regia, che del diritto del voto ne vide fatto un privilegio, non intese la voce dei moderati.
Allora questi, ricorsero ad un’ nuovo artificio: dimostrarono che se tanti balzelli esistevano erano necessari per coprire il deficit delle finanze, ma che in breve s’avrebbe ottenuto il pareggio...
Ecco annunciata la nuova stella (troppo artificiale) che compare a rischiarare l’orizzonte dei moderati. — A quel barlume di luce il paese affida un barlume di fede.
I moderati si dicono salvi, ed abusano di quel barlume di fede.
I progressisti non si ritengono per sbaragliati, anzi, serbano un leale contegno e dicono: «Conduceteci al pareggio e vi applaudiremo.»
I due partiti restano uno di fronte all’altro, tenendo troppo tesa la corda finché è d’uopo che dall’una o dall’altra parte si spezzi.
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La libertà di stampa — questo diritto affermato dallo statuto — venne scelto dai partiti come la miglior arma con cui battersi nel lungo duello delle aspirazioni.
Ecco i liberali seguaci della sinistra che solo per impulso della propria coscienza prendono la penna, difendono i diritti del popolo, povero paria d’un partito!... smascherano coraggiosamente gli abusi, rifuggendo sempre dalla calunnia.
Qualcuno vuol difendere i moderati, pone in dubbio le asserzioni degli avversari — ciò fa per propria convinzione e coscienziosamente domanda le prove. — Gli avversari provano il loro asserto. — Allora avviene che il giornalista moderato ed onesto depone la penna, non cangia la fede professata, ma non più s'erge a difesa di chi abusa della sua fiducia.
Il moderato che vede diradarsi le file dei suoi difensori anziché correggersi pensa e trova il mezzo di renderle più compatte di prima, ed istituisce, ad esempio di moralità, la stampa mercenaria.
Ecco dunque sorgere ovunque giornali stipendiati dal ministero moderato; — a chi 200, a chi 500, a certi 1000, ed altri 5000 lire al mese vengono pagate. — Ma con qual denaro? — Con quello del paese. — A quale scopo? — A quello di dimostrare come la corruzione possa divenire sostegno d’un partito liberale rappresentante la civiltà ed il progresso.
Ecco dunque lo spettacolo di Vedere il repubblicano dell’ieri, divenire il moderato dell’oggi. — Ecco sfilarci innanzi una lunga schiera di giornalisti fedeli ai loro doveri che son due: inneggiare ed esigere!
Ma la corruzione non si limita a ciò, s’estende sui pubblici funzionari i quali la secondano traendone lucro e gingilli. — Questi abusano della loro autorità sul povero impiegato il quale soffoca la libertà della coscienza per non gettare sul lastrico la famiglia, per non togliere il pane ai suoi figliuoli.
Nelle elezioni si comperano e s’impongono voti. La corruzione innalza ad un tratto uomini oscuri, che accettano il mandato che loro s’impone e taluni lo compiono al bagno.
Si vede un Ministero moderato pagare 2000 lire un articolo ad un giornalista, e lo s’intende cinicamente dichiarare che poco gli importa di pagare 2000 lire col denaro del popolo.
E collo stesso denaro il ministero Minghetti paga 5000 lire al mese a due giornali: Fanf u lla e Gazzetta d'Italia, si sborsano 50,000 lire per rimpianto d’un giornale a Milano I l Corriere della sera e... e si annuncia il pareggio!
Che ve ne pare?
L’aneddoto è storico.
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L’abbiamo detto: i due partiti erano uno di contro l'altro fieri nella loro lotta. — Il moderato per non perdere il potere. — Il progressista — interprete dei bisogni del paese conoscendone le poco floride condizioni causate da un assoluto sgoverno — per riparare agli errori (se non si vuol dire alle colpe) del moderato; promettendo di porre un termine alla corruzione ed agli abusi di potere.
Dopo sedici anni di governo, il moderato comprese esser giunta l’ora del solenne capitombolo: eppure tentò ancora d’aggrapparsi al talismano del pareggio. (Gli è però vero; finché vi è vita, vi è speranza), — Il 18 marzo 1876, quando la crisi era ormai troppo avanzata, annunciò alla Camera il pareggio! La camera rispose con un voto di sfiducia. — Vecchi seguaci, ma coscienziosi, senza curvarsi ad a l cuna pressione, coronarono l’opera del ministero Minghetti con un inesorabile no!
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Il re ripose Ogni fiducia negli uomini che il paese gli indicava, ed affidò pieni poteri all’onorevole Depretis il quale annunziò il governo della Riparazione. — Egli, illustre patriota, si circondò di quegli uomini che gli parvero degni al compimento del programma del nuovo governo.
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Il capitombolo fatto dai moderati il 18 marzo, ad essi fu assai doloroso; e quell’eletta scorta di giornalisti mercenari ne risenti maggiormente le dolorose conseguenze.
Addio sussidio!... Addio sbruffo! Santi benedetti dalle coscienze corrotte.
Non vi saranno più prefetti che sborsano 60,000 lire!
Non vi sarà più alla fine del mese quel dolce compenso!
Non più speranze per l’avvenire!... La cuccagna è finita.
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La caduta del ministero Minghetti vi ha rovinati... poveri mercenari! Che vi resta a fare?
Stendere la mano ai vecchi amici, e perché vi siano cortesi d’una elemosina, odiare, sprezzare e colla diffamazione tentare di gettare il dubbio sulla fede e sull’onestà dei riparatori.
Ecco la vostra nobile missione.
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Il ministero Riparatore cominciò col negare ( 1) ogni sussidio alla stampa. — I mercenari, presi da serio rancore, principiarono col denigrare gli uomini del nuovo gabinetto, tentando di presentarli al paese inabili al governo perchè di poca intelligenza, confusionari, repubblicani, ecc. — Si giunse persino a minacciare delle enigmatiche rivelazioni che maggiormente alludevano all’onorevole Nicotera, appunto perchè nella sua qualità di ministro dell’interno aveva rifiutato agli accattoni l’implorato sussidio: infatti ad un banchetto offertogli nell’agosto scorso a Torino, l’intesimo rispondere a quelle allusive minacele colle seguenti parole:
«C’è un giornale umoristico della capitale che mi fa aspra guerra non avendo io voluto conservargli il sussidio di lire 5,00 0 mensili che il mio predecessore gli largiva. »
Queste parole sfidarono rodio dei suoi nemici, che s’avrebbero ben volontieri adoperati per innalzarlo a forza d’elogi... s’egli non gli avesse negato il sussidio.
Molti di questi spogliati si unirono in complotto per atterrare l’ usurpatore.
Intanto il nuovo ministero portava l’ultimo colpo all’avverso partito. —Scioglieva la Camera, e Giovanni Nicotera ministro dell’interno ne controfirmava il decreto reale convocando i Comizi per le elezioni generali nel 5 novembre 1876.
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Venne, il programma, d etto di Strade ll a, più esattamente de l gabinetto Riparatore. — Il paese a s pettò il programma. annunciato da ll’ono revole Depretis con vero entusiasmo perc hé formulata chiaramente sui diritti e sui dov eri della libertà; chiaro nel passare in rassegna i bisogni del paese; esplicito nel condannare la condotta dei moderati, nel bilanciarne gli errori al poco utile dato; fermo nel proposito di rifugg e re da un sistema immorale di abusi e corruzione; e perchè tutto pieno di fiducia bella nuova Camera che il patriottismo ed il buon senso degli elettori avrebbe formata.
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Ecco inaugurata la lotta elettorale; sin dai primordi la fortuna si presenta avversa ai moderati. — I giornali della consorteria non hanno alcun prestigio.
Le associazioni costituzionali fanno sforzi e sacrifici. — Mandano dappertutto agenti elettorali. — Questa è la prima volta che il partito moderato sacrifica del proprio per tentare come si suol dire l’ulti m a partita d’u n lungo giuoco.
Gli accattoni della stampa trovano ancora un'elemosina — la lotta s’accende con vigore, piena d’odio verso il progressista — la penna non ha più limite, si ricorre alla diffamazione, basse contumelie, ignobili insinuazioni.
Si tenta persino d’intimorire il popolo collo spauracchio della repubblica. — Eleggete i progressisti, si grida, e fra due mesi avremo la repubblica!... La comune!... Saremo spogliati dei nostri beni! Vedremo le nostre case ad ardere!... E mille e mille altri spauracchi, che non valgono però a far crollare la fede che il paese ha riposta nel programma di Stradella.
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Tutto ciò non basta. Bisogna fare un ultimo tentativo, cioè, incolpare delle proprie azioni il Ministero.
Era una rivincita.
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Giovanni Nicotera è preso di mira. C ol suo nome si fanno i più vituperevoli anagrammi... ed è naturale, non è egli che ha rifiutate il sussidio?
Lo s’incolpa di pressione nelle elezioni, si vuole ch’egli imponga voti e candidati, e proseguendo nelle minaccie allusive cosi di lui si parla:
«La crisi del 18 marzo fu per Giovanni Nicotera l’E va Blounth che dal Crapaud-Volan t [ * ] lo introdusse nel Consiglio de' ministri del re d’Italia.
«Ministro dell’interno, egli ha controfirmato il decreto reale che, sciogliendo la Camera de' deputati, ha convocato i Comizi per le elezioni generali nel 5 novembre 1876.
«L’azione di cotesto uomo nella scelta dei candidati si è fatta sentire talmente che si può fin d’ora ritenere c he la nuova Camera italiana sarà quale egli ha voluto che sia, una collezione di uomini fatti ad immagine e similitudine sua.
«Conoscendo lui, si conosce la nuova Assemblea.
«Ma chi è Giovanni Nicotera?
«Ecco la interrogazione, alla quale ben pochi saprebbero od oserebbero rispondere.
«In Italia, dove non è in vigore un codice corretto di cerimonie per la buona società, gli uomini come le donne si accettano facilmente, e nella premura delle accoglienze si dimentica spesso la regolare presentazione de' nuovi venuti.
«Non deve quindi far meraviglia che l ’ I tali a abbia accettato Giovanni Nicotera al governo del proprio paese senza avergli domandato le sue... credenziali.
«Resterà dunque un’ incognita la vita di quest’uomo, destinato a lasciare una traccia di se nel nostro paese?
«Gli lasciamo foggiare a suo modo una rappresentanza nazionale e tutti gli organi suoi, che da mane a sera non si danno tregua di pubblicare menzogne officiali,'verità stroncate, lettere rubate, oscenità pubbliche ed indelicat e zze private a carico di avversari palesi o supposti di lui, non hanno creduto necessaria una biografia documentata ed autentica del grande elettore, del grande e strano alchimista delle nostre elezioni?
«All’ombra del suo nome, sotto l’impulso irresistibile della sua volontà prepotente sta da molto tempo aperto un mercato di coscienze, di schede e di voti, e nessuno conosce colui che tiene il banco?
«Quando egli sta per entrare nell’aula di Montecitorio a braccetto di quelli che votarono il loro cuore a Lindau, a Gaeta ed al Vaticano, e di quelli che, per una transazione interessata, s’aggruppano intorno al governo per la speranza di manipolare una Camera che, ad un momento dato e convenuto forse, possa imitare quella del 4 settembre di Francia, non viene spontanea alla mente di tutti la domanda di sapere come e perchè cotesto uomo sia fatalmente avvinto alla mala compagnia di uomini e partiti che furono sempre funesti al loro paese?»
Come il lettore s’accorge, si ricorre ad una assai triste insinuazione non opportuna al momento. Si vuole che l’uomo dello splendido nome, non abbia uno splendido passato.
Bisogna tentare tutti i mezzi possibili quando si vuol pervenire ad uno scopo a cui la vendetta non è seconda!
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Può bene il lettore immaginarsi che la perdita di 60,000 lire all’anno non la si può sostenere con tanta indifferenza, tanto più quando il colpito ne è il giornalista che vede giornalmente diminuire la diffusione del suo foglio, conseguenza della caduta fatta da’ suoi padroni; e, tanto più ancora quando s’accorge che da questi non gli resta nulla da sperare, se non li eccita ad una necessaria vittoria nelle elezioni.
Che non farebbe per riavere le 60,000 lire all’anno? Per poter esistere, e di tanto in tanto far la voce grossa e dire: «Noi siamo quelli che hanno fatto il paese!»
Che gli resta dunque se non se tentare un ultimo colpo sulla coscienza degli elettori, confondendoli col dubbio?
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Non c’è da illudersi, senza sussidio molti sono i disperati! Conviene dunque tentare tutto per il tutto! Che il partito moderato riesca vittorioso nelle elezioni e i disperati, saranno riparati!
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Abbiamo detto più sopra che molti spogliati si unirono in complotto per atterrare l’ usurpatore.
Il genio del male soccorre i tristi che consumano la vita in tenebrose ricerche per nuocere alla società.
A forza di ricerche, hanno trovato. Giovanni Nicotera nel 1857 prese parte nella spedizione di Sapri. — Egli era al fianco di Pisacane, tutto sapeva, intenzioni e segreti. — Pisa cane rimase sul terreno. Nicotera, ferito, fu arrestato, ed assieme ad altri processato e condannato a morte.... ma poscia gli venne commutata la pena.
Ora, non si potrebbe travisare la verità di quella pagina di storia, abbastanza nota, e far comparire nel Nicotera invece dell'eroe del veterano di Sapri, il traditore?
Non si potrebbe alla vigilia delle elezioni porre la pubblica coscienza fra due domande relative ad una sola cioè:
«Qual è stata la parte di Giovanni Nicotera nel processo pei fatti di Sapri?»
«Ne fu l’Eroe ?»
«Ne fu il Traditore ?»
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Ma chi s’avrebbe preso cura d’abilmente travisare i fatti?
Non fu difficile di trovarne il poco onesto compilatore, ed ora che l’arma era approntata bisognava porla tra le mani del sicario.
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Si cercano i giornali che potessero fare il colpo.
Se ne fa proposta all’onorevole Zerbi direttore del Piccolo di Napoli — e la proposta viene fatta dai signori Capitelli, Spirito e Pescando — come lo testifica anche l’onorevole Nicola Botta.
L’onor. Zerbi rifiuta, ed allora la scelta cade su di un povero spogliato delle 60,000 lire annue.
I disperati trovano nella Gazzetta d'Italia il loro sicario che arditamente impugna l’arma e colpisce!
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Ecco che nel N. 307 del giornale la Gazzetta d’Italia pubblicata a Firenze la Sera prima colla data 2 novembre 1876, appare un lungo articolo intitolato: L’Eroe di Sapri — autobiografia di Giovanni Nicotera.
L’articolista si dimostra un abile diffamatore che svolge la sua tela con maestria, sempre intento a spargere il dubbio sugli animi de' suoi lettori.
Egli comincia col domandare chi sia Giovanni Nicotera ed esclama:
«Eppure chi dice a noi che se l’Italia conoscesse a fondo Giovanni Nicotera, non accadesse di lui come del buon Romeo, di cui Dante cantava:
Che se il mondo sapesse ‘ l cuor ch’egli ebbe
Mendicando la vita a frusto a frusto
Assai lo loda e più lo loderebbe?»
Dopo aver cosi con apparenza leggera sparso un dubbio, p er tema che tosto si dilegui al contatto dell’opinione pubblica, s’affretta ad aggiungere:
«Giovanni Nicotera ha trovato negli archivi: del ministero dell’interno un Libro nero, nel quale i suoi predecessori avevano con studio ed amore raccolto le notizie correnti intorno alla vita ed alle opere degli uomini più noti per ardore di principii, per audacia di propositi e di atti magnanimi e per una costante aspirazione a salire e x celsior!
(1).
«Giovanni Nicotera, dopo aver letto la propria biografia officiale, la qualificò un libello infame, si prese per essa d’un odio implacabile con tutti coloro, ch’egli suppose avere in un modo o nell’altro collaborato a quell’opera | indegna del suo stesso futuro biografo, e la, sottrasse, come la sottrae, con una gelosia terribile, all’avida curiosità del pubblico, che non ne mostrerebbe desio se la vita di Giovanni Nicotera gli fosse cosi nota e conta da non poter giammai dubitare che un incidente qualunque della medesima potesse stuzzicare il malsano istinto della maldicenza e dello! scandalo.
«Ma le chiavi del Libro nero sono in mano dell’uomo che sembra averne paura. Forse quel libro non è e non sarà più quando Giovanni Nicotera non sarà più ministro.
«Habent sua fatta libelli!»
La Gazzetta, senza frenare un troppo pronunciato cinismo, dichiara che sarebbe la prima a chinare la fronte innanzi a Giovanni Nicotera, a proclamarne la considerazione, la rispettabilità, la benemerenza, se, aggiunge «ci si potesse infondere nell’animo avido di fede la persuasione ch'egli fu l' Eroe di Sapri.»
Quindi prosegue: (Raccomandiamo al lettore di non dimenticare il brano seguente):
«Ci sembra dunque non inutile far conoscere al pubblico la storia precisa ed esatta delle azioni di Giovanni Nicotera in quella spedizione di Sapri, dalla quale egli ed i suoi biografi traggono il maggior titolo di gloria, di patriottismo e di virtù morali per l u i.
«Noi scriviamo questa pagina di storia, questo capitolo principale della vita di Giovanni Nicotera con gli elementi da lui stesso forniti e perciò la chiamiamo un’Autobiografia, alla quale noi non intercaleremo che poche osservazioni e note illustrative.
«Noi facciamo questa storia con documenti autentici estratti dal processo penale che ebbe luogo in Salerno nel 1858.
«Diciamo Documenti Autentici, cioè tali che nessuno può mettere in dubbio, e da tutti possono essere consultati negli Archivi Giudiziari della Gran Corte Criminale di quella città.
«De’ molti e copiosi documenti però noi non abbiamo scelto per pubblicare che quelli che gettano una maggior luce, che staccano dal fondo del quadro e danno rilievo alla figura del protagonista, integrano il carattere e rendono chiaro ed aperto l’animo nobile, franco, generoso e leale di Giovanni Nicotera.»
In verità che la Gazzetta è stata generosa nel scegliere i documenti che valgono a rendere chiaro ed aperto l’animo nobile, franco, generoso e leale del protagonista!!
*
* *
L’articolista della Gazzetta dichiara non necessario di raccontare la spedizione del Pisacane conosciuta quasi da tutti e, secondo lui, dichiarata di poco giovamento alla fortuna d’Italia... perciò la salta a piè pari; noi però a suo tempo ne daremo sommariamente una relazione, acciocché possa esservi la necessaria chiarezza anche per coloro che ignorassero i fatti che seguirono la spedizione del Pisacane, e sui quali appunto si basa il libello della Gazzetta.
Appena arrestato, Nicotera venne tratto innanzi al giudice supplente del circondario di Sanza e sottoposto ad interrogatorio.
Eccolo:
«L’anno 1857 il giorno due luglio, in Sanza.
«Noi Pietrantonio Rinaldi, supplente al giudicato del Circondario di Sanza ff: pel titolare in accesso assistito, assistito dal cancelliere sostituto signor Pastore.
«Volendo procedere all’interrogatorio degli arrestati nel conflitto faciente parte della banda dei rivoltosi sbarcati in Sapri, esibitici da questa Guardia Urbana, li abbiamo fatti venire alla nostra presenza liberi e sciolti da ogni legame, che, alle dimande, han detto chiamarsi: Giovanni Nicotera, Nicola Nicoletta, Giuseppe Roma, Giuseppe De felice, Antonio Romano, Giuseppe Olivieri, Giuseppe Fanelli, Fortunato Flora, Giuseppe di Muzio, Giovanni Crispi, Luigi Lazzaro.
«I quali si sono fatti situare in una camera divisa da quella dell’esame, e quindi sono stati da noi successivamente intesi nell’ordine che segue:
«Si è fatto introdurre il primo dei suddetti arrestati, il quale alle dimande ha detto chiamarsi: D. Giovanni Nicotera di Felice, di anni 29, Barone di Nicastro.
«Dietro gli avvertimenti, dimandatogli il motivo che ha dato luogo al suo arresto, ha risposto:
«Che per affari politici nel 1848 emigrò dalla sua patria rifugiandosi in Torino, quindi passò in Genova dove nel giorno 25 dello scorso giugno s’imbarcò con vari altri di Genova istessa recandosi in questo regnò onde promuovere una rivoluzione per liberare la sua patria. ( 1)
«Dimandato chi erano i compagni di lui con i quali si parti da Genova, ha risposto: conoscere il solo Pisacane, ignorando il nome. degli altri.
«Dimandato chi abbia noleggiato il legno, dove e a chi apparteneva, ha risposto di non conoscerlo; ma è certo che per mezzo di un legno a vapore si recarono in questi luoghi a fare la rivoluzione.
«Dimandato chi gli aveva somministrato le( ) armi e munizioni, ha risposto: che rinvennero tutto sul vapore e se le presero — Altro non conosce. —
«Dimandato se il signor Pisacane era in loro compagnia, e dove si trova attualmente, ha risposto: di essere giunti uniti in questo comune, e ora dicesi che sia stato ucciso.
«Lettura data, ha detto non potere sottoscrivere perchè ferito alla mano. —
«Firmati — Pietro Rinaldi — Giovanni Pastore, Cancelliere Sostituto. »
A questo interrogatorio la Gazzetta fa seguire le seguenti parole:
(2) «Dopo l’interrogatorio del due luglio, fatto con calma nell’impeto dei primi momenti della persecuzione, il Nicotera si ripiegò sopra se stesso, e cominciò a riflettere. La riflessione gli cominciò a mutare il sentimento del coraggio in quello della paura, il sentimento del patriottismo in quello dell'egoismo. Nel primo momento non fu spaventato dal pensiero del sacrificio. Ma poscia il sacrifizio gli fece orrore e pensò a salvarsi.
«Questo pensiero lo trasse alla risoluzione di cominciare a svelare la cospirazione, per cosi gratificarsi l' animo del governo borbonico, e ottenere la salvezza.»
L’insinuazione non sembrandole abbastanza chiara, e temendo che il lettore non riesca ad afferrare il vero concetto di queste parole, pubblica una dichiarazione del Nicotera seguita a guisa d’illustrazione di commenti che altro non fanno che smascherare il livore del libellista.
«Dietro replicate istanze di un ufficiale dei cacciatori lascio la presente dichiarazione, che potrà giustificare il vero mio modo di pensare.
«Cospirazioni di gran rilievo sono preparate da altri residenti in Francia ma che per mia delicatezza non posso or ora disvelare, epperò siccome a tale cospirazione io sono avverso ed anzi l’’ odio e vorrei combatterla, non voglio prima che fossi giudicato rivelarla per evitare che si possa immaginare che per interesse proprio e per esentarmi da una condanna agissi in tal modo. Dichiaro che la vera mia intenzione nello svelare la cospirazione in discorso è quella di liberare la mia patria da una bruttura che potrebbe rimanergli (sic) di eterno obbrobrio. Parlerò quindi a suo tempo, non per ismentire la mia opinione, non per discaricare le mie gesta (sic), ma solo per non volere addivenire ad un concertato che nel mio animo si reputa di orrore e di viltà.
«In fede di quanto espongo, il giornale addimandato il Diritto in Piemonte, potrà giustificare quanto asserisco, giacche l’anno scorso in esso, fu foggiata una mia dichiarazione contro tal cospirazione, che poscia per mandarla a vuoto ho dato il passo di recarmi nel Regno di Napoli per promuovere una rivolta, e sventare le mene della cospirazione di cui sopra ho fatto cenno, e nel tempo stesso ottenere il trionfo delle mie opinioni.
«Bonabitacolo 3 luglio 1857 — firmato — Giovanni Nicotera.»
(1 ) «Quanta differenza tra il contegno del due e quello del tre luglio! Ieri silenzio, oggi si comincia a parlare!
«Nondimeno non è del tutto perduto il pudore del patriota — Per mia delicatezza — lì dice il Nicotera — non posso or ora disvelare la cospirazione. Sente egli stesso che le sue rivelazioni potrebbero fare immaginare ch’ei le facesse per interesse proprio e per esentarlo da una condanna. E trattenuto da questi ritegni dice — parlerò a suo tempo. — Egli sente che commetterebbe atto turpissimo, se facesse quelle rivelazioni.
«Ma è proprio il pudore del patriota che gli arrestava la parola sulle labbra, ovvero è l’arte d’insinuare nell’animo de' suoi persecutori la febbre della curiosità? La quale certo i divenne grande e smaniosa quando dal labbro stesso dell’eroe superstite di Sapri si apprese ch’egli avrebbe potuto svelare tale cospirazione che, per mandarla a vuoto, avea dato il passo di recarsi nel regno per promuovere una rivolta, e sventare le mene di detta cospirazione.
«Era dunque un servigio ch’ei veniva a rendere alla dinastia de' Borboni.»
(2 ) «Mentre il tre di luglio il Nicotera dichiara di non voler toccare le trame della cospirazione acciocché nessuno avesse potato supporre che ciò egli facesse per interesse proprio e per evitare una condanna, non passarono che appena altri sei giorni, e non dando più ascolto al sentimento della delicatezza, tradotto innanzi al Procuratore Generale del Re presso la Gran Corte Criminale di Salerno, gli apre tutto l’animo suo.»
E quale prova offre un lungo interrogatorio che asserisce avvenuto il 9 luglio 1857 in Salerno, e con apposite annotazioni dimostra che il Nicotera abbia fatte importantissime rivelazioni a quel Procuratore del Re, Francesco Pacifico. — Noi non ci permettiamo di confutare le annotazioni della Gazzetta, tutte intente a farla riescire nell’odioso scopo. — Se realmente il Nicotera abbia svelato a quel Procuratore del Re tutta la cospirazione che precedette la discesa a Sapri. — Se realmente, ha dato i mezzi di conoscere i nomi de' suoi compagni spiegando i fogli in cifre trovati nelle carte del Pisacane. — Se, offrendo dei connotati sapeva di sacrificare due uomini — deve tutto ciò risultare con documenti autentici — e autentici non sono apocrifi.
In sostanza l’eroe di Sapri avrebbe fatto rivelazioni — da eroe sarebbe divenuto traditore — e le di lui rivelazioni favorivano il governo ch’era ormai sicuro d’avere nelle sue mani le fila delle serie cospirazioni che lo tormentavano perciò:
(3 ) «In vista dello scongiurato pericolo per opera della spedizione di Sapri, e in vista delle gravi rivelazioni che il Nicotera faceva al Pro curatore Generale della Gran Corte Criminale di Salerno, potevasi bene sperare che un po’ di gratitudine gli doveva esser po rt ata dal governo Napoletano.
«Mentre l’intenzione apparente del Nicotera nel fare quell’interrogatorio, si restringeva a quello che abbiamo detto, in realtà le sue parole andarono ben più oltre rivelando anche i segreti della cospirazione del proprio partito.
«Tutto egli disse, financo il modo onde si poteva decifrare i documenti in cifre, rinvenuti presso Pisacane.
«Dove ne andò la delicatezza sua di cui parlava nell’interrogatorio del tre luglio? Dove ne andò tutto il suo patriottismo?»
E finalmente la Gazzetta che si chiama d’Italia termina l’opera sua — il cui scopo è troppo chiaro, il cui impasto è troppo lordo per non riconoscere come si sia audacemente travisata una pagina di storia — coll’aggiungere questa sfacciata conclusione:
«Dopo quanto abbiamo raccontato potremmo domandare
«Qual è stata la parte di Giovanni Nicotera nel processo pei fatti di Sapri?
«Ne fu l’eroe?
«Ne fu il traditore?
«Ai lettori la sentenza.
«Noi ci limitiamo a dire che quello che abbiamo raccontato è storia tratta da documenti autentici (!) Sta li nel processo di Sapri ed è incancellabile. E tutt’a l più ripetere con un poeta, fatto senatore dal Nicotera, ministro del regno d’Italia:
«Se iniqua storia vi raccontai
Quello ch’è storia non cangia mai.»
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Ed ora che abbiamo dimostrato il tessuto d’un raffinato libellista, aggiungeremo la verità tale e quale viene affermata da molti superstiti ai fatti di Sapri, ed al processo di Salerno, tale e quale ce lo narra la storia; cosi il lettore potrà farsi un esatto concetto sulla pubblicazione della Gazzetta d'Italia.
Noi già per riconfermare le parole del libellista, anche noi possiamo domandarci: Chi non conosce il Piano di Padula? o almeno che sentendo parlare di Carlo Pisacane, non sa che si parla d’un martire della nostra libertà? Forse la memoria non sarà tanto viva sui fatti di Sapri — su quei fatti che diedero luogo al grande processo di Salerno — e che oggi su d’essi discutesi una causa di diffamazione al Tribunale Civile e Correzionale di Firenze.
Necessita adunque che detti fatti siano noti a chiunque nella loro purezza senza alterazioni, e noi ne delineeremo a brevi tratti i principali episodi, attinti a quella veridica fonte che è la storia, che l’ira di partito e più i mercenari della penna tentano di farla apparire menzognera.
Epperò riteniamo utile di precedere gli episodi colla biografia di Carlo Pisacane.
Eccola:
Patriota italiano, nato il 22 agosto 1818 a Napoli; ucciso a Sapri nel giugno 1857. Giovanissimo' rimasto orfano di padre, pur corrispose, studiando con molto amore, alle cure materne. Sentiva forte inclinazione alle cose della guerra, onde la madre si risolse a farlo entrare nel 31 nel reale collegio militare della Nunziatella. Contemporaneamente fu paggio alla corte borbonica, ma l’animo nobile del giovine soldato non si piegò. Uscito di collegio fu prima semplice gregario, quindi sottotenente del Genio napolitano, ove s’acquistò presto fama di valente sì che fu chiamato a prendere parte ai lavori della ferrovia da Napoli a Caserta. Di lì fu, quasi a punizione, negli Abruzzi, ove assalito e ferito nel petto da un assassino che voleva derubarlo, poco mancò non lasciasse la vita. — Sdegnoso del giogo borbonico, emigrò alla volta di Londra, e non avendo colà bastanti mezzi di campare la vita, s’arruolò nella legione straniera e andò in Africa.
Scoppiati i moti del 48, diede le sue dimissioni, che furono a malincuore accettate, e venne in Italia, dove si arruolò nell’esercito lombardo sotto gli ordini del generale Teodoro Lechi, e fu, come capitano mandato nel Tirolo, dove si acquistò nome di valoroso combattendo contro gli Austriaci. Caduta Milano andò in Isvizzera ove conobbe Gi u seppe Mazzini. Nel 49 corse a Vercelli e si arruolò col grado di capitano nel 22° di linea, d’onde, ottenuta regolare licenza, passò a Roma che aveva proclamata la repubblica, o fece parte nella Commissione sulle cose della guerra nominata dal Mazzini; a lui si devono molte delle cose operate da quella Commissione, come a lui è dovuta gran parte della vittoria riportata il 30 aprile. Volle pugnando sempre, mostrarsi degno compagno dei Dandolo, dei Manara e dei Mameli. Restato a Roma anche dopo l’occupazione francese, fu un bel di arrestato e rinchiuso in Castel Sant’Angelo; ma ottenuta la libertà, esulava nuovamente; in quel tempo scrisse nell’ Italia del Popolo vari articoli contro gli eserciti stanziali. Dalla Svizzera si recò a Londra, ove fece conoscenza coi capi della democrazia francese; nel 50 tornò a Lugano e divenne amicissimo di Carlo Cattaneo, che assai stimava ed ivi scrisse: La guerra combattuta in Italia negli anni 48-49; poi si recò a Genova e poi si ritirò nell’amena valle di A l bara, dove scrisse i Saggi storici, politici e militari sull’Italia. Combatté le pretese di Murat al trono di Napoli ne’ suoi scritti intitolati: Italia e Murat. Nel 56 prese dimora stabile in Genova e vi insegnò matematiche. Alcuni tentativi fatti contro il Borbone in Sicilia e Napoli e che fallirono, lo commossero; e affidandosi ad un passaporto e alla lingua inglese, che conosceva assai bene, andò incognito a Napoli sullo scorcio del maggio 1857, e parlando coi principali cospiratori ricevette rassicurazione che il paese era pronto a insorgere. Sedotto da ciò, fu stabilito il 14 giugno dello stesso anno per la partenza delle navi da Genova; ma il grosso mare impedì a Rosolino Pilo di condurre a buon fine l’impresa, onde dovette gettare in acqua le armi e far ritorno a Genova. Colpito, da questa notizia e temendo serie conseguenze, partì per Napoli ad avvertirne il Comitato affine di provvedere sul da farsi, e venne stabilito il 25 dello stesso mese per ritentare l’impresa. E in quel dì Egli, Nicotera e Rettistino Falcone, seguiti da 22 giovani, sforniti di tutto, s’imbarcarono sul Cagliari, bastimento della società Rubattino, e non appena furono in alto mare costrinsero il capitano a non andare a Tunisi toccando la Sardegna, come doveva; ma preso il comando, attesero la barca di Rosolino Pilo, che, a cagione delle fitte nebbie non potè scorgere il Cagliari e fu sequestrata dal governo Sardo. L’impresa fu nulladimeno tentata, e il 27 il Cagliari dava fondo con bandiera piemontese a Ponza. Quegli animosi s’impadronirono dell’isola, liberarono i detenuti politici, e così saliti a 300 proseguirono la marcia. Ma uno dei detenuti, certo Bolero, poiché seppe la spedizione non essere a favore di Murat, fuggì a Gaeta a denunziare i fatti di Ponza. Di qui i congiurati sbarcarono a Sapri, ma niuno rispose al grido di libertà, né gli armati che erano stati promessi furono trovati. L’impresa fallì; di quei generosi, chi non cadde morto combattendo con Pisacane fu fatto prigione. Nel 1872 gli fu eretto nel campo santo di Napoli a Poggio Reale, a cura e spese del deputato Nicotera, un monumento che è un obelisco mortuario: in cima si vede lo stemma di Roma con la storica lupa, a dinotare il concetto dell’unità italiana, per la quale cadde vittima illustre.
Ora riportiamoci all’epoca, e su quel campo in cui rimase il cadavere di Carlo Pisacane.
Ancora echeggiavano gli ultimi colpi. La notte era oscura e di tanto in tanto s’udivano rumori di voci e di beffarde risa. Era la lurida orgia dei cacciatori del Borbone, Ferdinando secondo re delle due Sicilie, i quali rispondevano al flebile grido che le cadute vittime ancora innalzavano prima di spirare: Viva l'Italia!
Un giovane uomo, fra gli altri trovavàsi( 1 ) disteso esanime da una parte del campo; aveva tre larghe ferite al capo (tre fendenti di scure), ed una quarta ferita alla mano destra, non meno grave delle altre. Al suo fianco scorgevasi un largo cappello alla foggia calabrese, che lo additava uno dei capi della spedizione. Era Giovanni Nicotera.
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Un guardiano lo scorse, e tosto si diè a spogliarlo nudo, e postolo su di una barella ordinò che lo si trasportasse altrove a consegnarlo nelle mani della giustizia.
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Portato a Sanza — durante il tragitto si riebbe. Entrando nel paese poco mancò che l’orda furiosa d’alcune donne lo facessero a pezzi — queste fanatiche si diedero a percuoterlo, a ferirlo ingiungendogli di gridare Viva il Re! Nicotera con uno sforzo supremo gridò invece: Morte al Re!
Certo se non fosse venuto in di lui soccorso il guardiano, quelle donne l’avrebbero lasciato morto.
Il guardiano che l’accompagnava per singolare coincidenza apparteneva a quella cospirazione, quindi non appena si trovò nell’ufficio comunale di Sanza, salvo dall’ira di quelle donne, il Nicotera gli si rivolse e gli indicò il luogo ove trovavasi il cadavere di Pisacane, acciocché arrivasse in tempo d’impossessarsi di tutte le carte ch'erano indosso o sparse vicino ad esso. — Il guardiano obbedì, e fra i documenti che portò al Nicotera ve n’era uno contenente i nomi dei congiurati in tutte lettere. Se quel documento fosse caduto nelle mani dell’Autorità borbonica qual numero di vittime s’avrebbe aggiunto alle tante cadute.
Nicotera abbruciò tutti quei documenti, fiducioso che i mancanti fossero andati dispersi, ciò nondimeno rallegravasi d’aver distrutto una delle maggiori prove processuali del grandioso dibattimento che andava per aprirsi in Salerno.
Frattanto ebbe luogo un primo interrogatorio in Sanza, appunto il 2 luglio 1857 innanzi Pietrantonio Rinaldi, supplente al giudicato di quel circondario (3). Sebbene il Nicotera mal si reggesse per le tante ferite e lividure che lo tormentavano risposò: «Che per affari politici del 1848 emigr ò dalla sua patria e che ora vi era ritornato onde promuovere una rivoluzione per liberare il suo paese dalla tirannia.»
Dichiarava inoltre che dei congiurati conosceva il solo Pisacane ed ignorava chi fossero gli altri, e del pari, che non sapeva chi avesse noleggiato il legno sul quale si trovarono imbarcati, e che perciò non poteva dire chi avesse somministrato, le munizioni e le armi occorrenti all’impresa.
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La fucilazione avrebbe colpito il Nicotera, se l’immediata cattura del Cagliari e del battello che aveva servito all'audace spedizione, non avesse reso indispensabile un lungo e minuzioso processo, perciò non poteva essere sommariamente giudicato; quindi senz’avere riguardo alle di lu i ferite lo caricarono di ceppi e catene e lo fecero tradurre a Salerno.
Molti salernitani ricordano d’aver veduto il Nicotera traversare la città fra gli sgherri del Borbone, lacero, scalzo, ma colla testa alta, collo sguardo provocante, che parea sfidasse i birri che l'accompagnavano.
È da notarsi che lungo la via salernitana, a Buonabitacolo egli stende una dichiarazione, coll'intendimento di stornare le ire del governo borbonico e di attenuare, difendere e giustificare la tanto infelice spedizione di Sapri.
Perciò esagera l’importanza di una cospirazione murattista ed il pericolo per la sovranità di Ferdinando II, allo scopo di rendere più mite l’animo de' suoi accusatori, non tanto per sé, come per i compagni di sventura; ma non gli sfuggì u n nome, non un indizio.
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Giunto a Salerno, venne tratto davanti al ll’Intendente Ajossa assistito da un cancelliere e sottoposto ad un lungo e nuovo esame.
Chi fosse l’Intendente Ajossa bisogna lasciarglielo dire al libellista:
«Era a que’ di, come abbiamo detto, Intendente della provincia di Salerno uno de' più provati stromenti della reazione borbonica, il famoso Ajossa, la cui ferocia nella persecuzione de' patrioti è andata in proverbio in tutte le provincie del Mezzogiorno, perchè, oltre di averne date prove da Intendente di varie provincie, fra cui quella di Bari, nessuno scorderà che l’Ajossa, da Direttore Generale della Polizia, partecipò al governo centrale del regno di Napoli negli estremi momenti del dispotismo borbonico. E tal governo ei fece, e tante ire destò nell’animo de' liberali, che quando il Re Francesco II dette la costituzione del 25 giugno 1860, l’Ajossa ebbe a fuggire per evitare la vendetta popolare.»
Nicotera era ravvolto in una coperta di lana, il capo avea bendato, e la mano destra era sottoposta all’azione di 60 mignatte, fattegìi applicare dal chirurgo per non amputargli la mano; e non già volute da esso come taluni lascierebbero credere.
Poteva curarsi di una mano, chi non si curava della vita?
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Interrogato, egli non fece che ripetere le medesime dichiarazioni fatte a Sanza innanzi Pietrantonio Rinaldi: solamente che non essendo state, dal guardiano, raccolte tutte le carte che teneva indosso il Pisacane, alcune di queste, documenti importanti per chi sapeva decifrarli, erano appunto nelle mani dell’Autorità giudiziaria inquirente.
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Fra i documenti che stavano davanti l’Ajossa ve n’era uno intestato: Nota-campioni — Era una l unga lista di nomi d’oggetti d’industria, merci, commestibili, ecc., che all’Intendente non parevano affatto insignificanti, tanto più scorgendo accanto ciascun nome una cifra numerica.
Guai se si fossero spiegati quei nomi, decifrate quelle cifre, tutti i coinvolti, in quella cospirazione, sarebbero stati irremissibilmente perduti.
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In faccia ad un documento di simile importanza e alle argute domande dell'Intendente — Nicotera giovandosi della sua fermezza d’animo e di proposito, pronto a sacrificare s e stesso per salvare gli altri — resta impassibile, non batte palpebra, guarda quel foglio con indifferenza e dice:
— Si vede benissimo cos’è, è una nota di campioni... Pisacane stesso commerciava...
L’Intendente, all’atteggiamento, alle franche risposte del Nicotera concluse dover esser quello un documento insignificante da non farne vermi conto nella procedura, e come tale lo pose in verbale.
Fra le carte trovate al Pisacane vi erano parecchie lettere in cifre, e la Nota-campioni era la chiave del cifrario!
Frattanto la polizia borbonica fondandosi su vaghi sospetti procedette all'arresto di certi Mattina, Libertini, Agresti, Magnoni, ed altri, per i quali senza dubbio sarebbe stata fatale la giusta interpretazione della Nota-campioni.
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Già il Nicotera con gioia riteneva scongiurato ogni pericolo, quando il processo venne evocato al Procuratore generale, avvocato Pacifico, il quale rivedendo l’istruttoria fatta dall’Ajossa arrestava la sua attenzione appunto sui documenti che in verbale erano citati insignificanti perchè indecifrabili, ed egli pretese interpretarli; perciò il Nicotera venne chiamato ad un nuovo interrogatorio.
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Fra il Procuratore generale e l’accusato avvenne un vivace diverbio, e in quell'interrogatorio notevoli sono due incidenti.
Erasi trovata una cartolina sulla quale era scritto il nome di certo Matta cappellaio, che il Nicotera s’affretta dichiarare di non conoscere, sebbene invece sapesse benissimo che il Matta era uno della cospirazione — e ciò fece il primo incidente; il secondo invece riferivasi ad un portafogli contenente pagine e foglietti affatto bianchi — il portafogli portava le sigle G. N. ed in esso eravi anche un piccolo piego contenente certa polvere che fu dispersa al vento avendola il Nicotera dichiarata veleno ch’egli teneva per suicidarsi.
Quella polvere era cia m uro di potassio; i foglietti bianchi erano scritti con inchiostro simpatico, e per farne apparire i caratteri sarebbe bastato lo spargervi quella polvere!
Mercé dunque le sue astuzie il Nicotera riesci che quei foglietti bianchi rimanessero inconsiderati dal Procuratore generale.
Ecco che il regio Procuratore domanda di decifrare vari documenti e lui stesso si prova a riescirvi; il Nicotera tremava che quell’uomo tanto fido a Ferdinando II, riuscisse, e per stornare e confondere la mente del magistrato dice, che fra le carte del Pisacane dovevasi trovare un Libro a riscontro col quale solo si potevano decifrare i documenti.
L’immaginata esistenza del Libro a riscontro confuse il magistrato che non si diede però per vinto.
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A forza di ricercare il Regio procuratore trovò la N o ta-campioni, ostinossi che quella f o sse appunto la chiave del cifrario, anzi volle in alcune di quelle cifre leggervi i nomi degli ultimi arrestati, cioè Libertini, Mattina, Agresti, Magnoni, ecc. Cosicché venne redatta la relativa requisitoria di accusa, ed il dibattimento fu aperto innanzi la gran Corte criminale a Salerno.
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Allorché il Nicotera vide interpretata a quel modo la Nota-camp i oni, protestò energicamente, e le sue prime parole furono una severa e vivace aggressione contro il Regio procuratore, chiamandolo porcospino! — Egli sostenne Resistenza del libro a riscontro, disse che la Nota-campioni, non era e non poteva essere che una veritiera nota di campioni, e che perciò la fattane interpretazione era un arbitrio, un’eccedenza di zelo verso Ferdinando II. — Insomma nella sua protesta il Nicotera fu sublime, e la Noia-campioni ritornò insignificante, e Libertini, Mattina, Agresti, Magnoni ed altri furono rilasciati in libertà.
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Una sentenza di morte non tardò a colpire il Nicotera e due suoi compagni seco lui arrestati a Padula. Allorché gli venne annunciata la sentenza, diede in una risata, ringraziò i giudici e si pose a danzare nella cella.
E quando, mercè l’intervento d’una nazione amica dell’Italia gli si comunicò ch’eragli stata fatta grazia della vita, rispose:
— Va benissimo, sarà ver un’altra volta!
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Il graziato venne tradotto a Favignana; con poco pane al giorno, ed una catena di 30 libbre al piede, rinchiuso in un’ oscura e fetida fossa, dalla quale l’estrasse nell’anno 1860 il generale Garibaldi.
Termineremo col ricordare che mentre Ferdinando di Borbone, prima, e Francesco II dopo, concedevano pieno ed assoluto condono ai detenuti politici, solo il Nicotera era escluso, dalla grazia e con essa dalla libertà.
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Eccovi o lettori, presentato Giovanni Nicotera quale la storia lo dimostra e lo ricorderà ai posteri. Ora sapete chi sia il traditore di Sapri!
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Ed ora che abbiamo fatto seguire la storia al libello, che ognuno può farsi un’idea del come l’ira mal repressa di un partito, o meglio dei difensori mercenari di un partito che a d ogni costo volevasi che rappresentasse la maggioranza del paese, toccasse l’apogeo della corruzione non indietreggiando nemmeno in faccia alla verità, al rispetto della storia, quando travisandola potevasi denigrare la fama dell’avversario politico, di colui che rifiutò di mantenere in lurida orgia gli inneggiatori a prezzo fisso: trascendendo cosi ad un’ azione che lo stesso generale Garibaldi ebbe a chiamare infame, passiamo a dimostrare quali, furono i benefici che il famoso libello fruttò a’ suoi costruttori.
Comparso nel N. 307 del giornale — Ga zz etta d'Italia pubblicata in Firenze la sera del 1 colla data di giovedì 2 novembre — sollevò di ogni angolo d’Italia un grido d’indignazione. — Tutti i superstiti di Sapri, quanti presero parte alla santa causa della libera z ione per l’unità del paese, se ne sentirono offesi, e provarono il bisogno di protestare, senz’attendere l’altrui esempio. — Cittadini llustri — autorità — uomini del popolo — all’unanimità affidarono alla stampa le loro proteste.
L’autobiografia dell’eroe di Sapri era pubblicata alla vigilia delle elezioni generali, nel m omento in cui la fiducia del paese era interrogata dal gabinetto riparatore, e conseguentemente anche da Nicotera — il compito era, e l’abbiamo detto altrove, quello di rendere diffidente il paese, e di farlo dubbioso, prima di gettare il suo voto nell’urna, contro tutti quelli che si presentavano sostenitori al nuovo gabinetto. — Erano gli scribi di un partito per il quale, (e al precipuo scopo di riavere l’assegno mensile), volevano rispondere ai progressisti:
«Voi dite che' nel Ministero Minghetti vi era la corruzione, nel vostro vi è l’infamia!»
La coscienza degli elettori non si turbò in faccia a quel libello — anzi si rinfrancò e vi rispose col voto del 5 e 12 novembre.
Il partito moderato, perciò, oggi sopporta le conseguenze dei propri errori — ora vede a che lo condussero certi giornali delle azioni de' quali s’era reso solidario. — A noi — lo confessiamo — ce ne duole assai; poiché nel partito moderato vi sono ancora uomini egregi, che non meritavano di dividere il rossore della vergogna.
Il 2 novembre il Procuratore generale del re, di Firenze, ordinava il sequestro della Gazzetta d’Italia portante il libello, e ciò in seguito ad un telegramma ricevuto dal Procuratore generale di Roma, dove pure l’articolo fu incriminato.
Non appena che il barone Giovanni Nicotera ministro dell’interno,, ebbe contezza del libello, sparse, formale querela per diffamazione contro Sebastiano Visconti gerente responsabile della Gazzetta d’Italia — ecco la querela:
L’anno 1876 il giorno 2 novembre in Roma, bel Gabinetto di S. E. il Ministro dell’Interno,
Avanti di noi Avv. Cav., Antonio Capelli Sostituto Procuratore Generale-reggente la R. Procura di questa città, assistiti dal sottoscritto Segretario,
Si è presentato Nicotera Barone Giovanni, del fu Felice, di anni 48 nato in Cambia g e (Calabria) Ministro de ll ’Interno, il quale ha dichiarato di porgere la seguente querela:
Nel N. 307 del Giornale — La Gazzetta d'Italia — pubblicata in Firenze alla data di giovedì 2 novembre 1876, si contiene un articolo intitolato — L'Eroe dì Sapri — che incomincia colle parole «La crisi del 18 marzo » e finisce colle parole — «quello che è storia non cangia mai» — nel quale si contengono fatti ed apprezzamenti a mio carico che qualora sussistessero, non solo offenderebbero la mia reputazione, ma mi esporrebbero all’odio ed al disprezzo altrui. Fra i periodi che piti segnalatamente tendono a denigrarmi, giova ricordare il passaggio che sta alla terza colonna della prima facciata, e che fa parte del processo dell’articolo, tendente ad aprir l’animo del lettore per ricevere le impressioni della diffamazione di cui l’articolo è scopo. Ivi si legge: «Qual luce non si potrebbe dunque sperare da una serie di documenti irrefragabili, intorno ad un uomo come Giovanni Nicotera tanto discusso dagli uni per innalzarlo, dagli altri per denigrarlo? Non sarebbe tempo che si troncasse con una prova di fatto, l’ardente questione, se egli sia un uomo di cui ogni partito debba onorarsi, od un audace volgare di cui ogni partito dovrebbe pronunciare il solenne ostracismo?»
L’articolista venendo quindi a spiegare la tela delle diffamazioni comincia con spargere il dubbio sul modo come siasi condotto il querelante dinanzi il Giudice Istruttore. Comincia per dichiarare che il Nicotera nel suo primo interrogatorio siasi te nato in un prudente riserbo, e che poscia per rendersi grato il Governo Borbonico e per salvarsi da una condanna, abbia rivelato i complici, e narrato tutti i fatti della cospirazione. A tal uopo il libellista scrive: (1) .
Continuando con siffatto colpevole scopo più sotto si legge: (2)
Il senso delle trascritte parole è troppo evidente, e vanno esse meglio spiegate ove l’articolista soggiunge: (3)
Il giornalista trascrive l’interrogatorio che asserisce avvenuto il 9 luglio in Salerno, e commentandolo con note, vuol dare a credere ai lettori che in esso, il querelante, abbia fatto tali rivelazioni da indicare al Procuratore generale del Re presso la Corte criminale di Salerno,’ la cospirazione che precedette la discesa a Sapri, e conseguentemente a fargli conoscere il nome di coloro che vi avevano preso parte. Quindi persistendo nel proponimento che il Nicotera avesse parlato nello scopo di salvarsi dalle ire borboniche, dichiara che egli svelò non mai i fatti che pareva volesse addebitare ai suoi avversari politici, ma quelli che implicavano i suoi amici (4) .
È vano l’indicare altri passaggi dell’articolo tendenti tutti ad offendere l’onore e la riputazione del querelante, e ad esporlo all’odio e al disprezzo altrui. Tutto l’articolo rivela cotesto intendimento, tanto che chiude col dilemma presentato ai lettori, nel quale dopo essersi chiesto se egli sia un eroe o un traditore, dà il suo giudizio coi due versi seguenti del Prati:
«Se iniqua storia vi raccontai
«Quello ch’è storia non cangia mai.»
Per tutte queste ragioni io sottoscritto propongo formale querela contro il signor Sebastiano Visconti, gerente responsabile del giornale La Gazzetta d’Italia e contro l’autore e complici dell’articolo diffamatorio affinché a termini dell’art. 28 della legge sulla stampa e dell’art. 367 Codice Penale toscano, siano dichiarati colpevoli del reato di diffamazione, e come tali puniti a termini di legge.
Mi costituisco parte civile in giudizio, nominando a mio procuratore il dottor Luciano Luciani, domiciliato in Firenze, che mi rappresenterà in tutti gli atti occorrenti nel giudizio. — Diffidato a meni e degli articoli 116 e 564 Codice di Procedura Penal e .
Risp. Mi sono note le disposizioni di legge contenute negli articoli sovramenzionati; dichiaro ciò non ostante di. insistere nella presentata querela.
Presento, perchè sia unito alla querela, il giornale incriminato.
Letta, confermata è sottoscritta:
G. Nicotera.
Capelli.
Gordini, Segretario.
Successivamente S. E. il ministro G. Nicotera ha soggiunto: Dichiaro che intendo di dare, come do, ampia facoltà al gerente del giornale La Gazzetta d'Italia, da me querelato, di provare la verità dei fatti a mio carico pubblicati nel giornale sovram e nzionato.
Letto, confermato e sottoscritto:
G. Nicotera.
Capelli.
Gordini, Segretaria.
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* *
In seguito a questo verbale e requisitoria del Procuratore del Re presso il Tribunale civile e correzionale del Circondario di Firenze, il Presidente dello stesso, a sensi degli articoli 371, 372, 384 del Codice di Procedura Penale, mandava a citare l'imputato Sebastiano Visconti, gerente della Gazzetta, per la pubblica udienza del giorno 17 novembre.
Ecco i frutti che s’ebbero gli autori e coloro che si prestarono alla pubblicazione del libello: — la pubblica disapprovazione ed un processo — che rivendicherà una pagina gloriosa della nostra storia, dall’insulto portatole dai mercenari di fede politica; e qui non finisce.
I redattori della Gazzetta ebbero paura dell’indignazione popolare, e si fecero circondare da carabinieri e guardie — e i corrispondenti di certi giornali di Milano, ammiratori degli eroi della Gazzetta perchè forse a parte dello sbruffo, s’affrettavano a scrivere:
«Intanto da molti giorni nelle vicinanze degli uffici della Gazzetta è stato organizzato un servizio continuo di guardie di pubblica sicurezza, le quali notte e giorno, piova o vi sia il sole, in abiti borghesi esercitano una vigile sorveglianza, ed hanno l’incarico di notare e seguire tutte le persone che entrano ed escono dagli uffici suddetti (!).
«Il Pancrazi poi è alla lettera guardato a vista (che paura!); vi basti il sapere che quando sere indietro parti per Roma e Napoli, fu egualmente seguito dalle solite guardie fino a Napoli. Quale sia poi lo scopo di queste persecuzioni birresche (V insinuazione è degna del corrispondente e del giornale che pubblicò la corrispondenza), lo saprà l’on. Nicotera, ma posso assicurarvi che sono criticate da tutti.»
Invece quei carabinieri e quelle guardie non rappresentarono che la sicurezza di certe coscienze.
Intanto le elezioni del 5 novembre, confermando ciò ch’è detto nel programma di Stradella «lasciate passare la volontà del paese» condannarono alla minoranza quel partito che nulla avrebbe tralasciato di fare, purché si fosse mantenuto nella maggioranza: e condannarono altresì all'ostracismo i mercenari della penna.
Orsù dunque, non saranno né i libelli, né gli artifizi dei tristi che impediranno al gabinetto Depretis V opera di. riparazione e di epurazione che s’è imposta; e la quale soltanto ci farà salutare l’aurora di un'era novella.
Sommario — Curiosità — L’Aula di S. Firenze — Réporters — Udienza del 17 novembre 1876.
Un nuovo processo sui fatti di Sapri. Un processo per diffamazione intentato da un Ministro ad un giornale! Non vi poteva essere uno stimolo più grande per risvegliare la curiosità di chi è abituato di leggere il giornale, ad aver fede nel Ministro.
Il pubblico dibattimento d’un processo in coda a quello svolto innanzi la gran Corte Criminale di Salerno circa diciannove anni or sono, non poteva ammeno d’essere del più grande interesse — e per i vecchi patrioti, onde riudire la narrazione delle loro gesta — e per tutti in generale che in un simile processo scorgono la conseguenza della lotta dei s ue grandi partiti che sempre tennero agitato il paese.
La curiosità del popolino, come direbbe la Gazzetta, era poi sommamente stimolata, per vedere in viso i grandi personaggi — per poter battezzare il generale Fabrizi, Crispi presidente della Camera — per prendere l’avvocato Andreozzi per l’imputato Visconti, — ritenere i giornalisti per i giurati, scambiare il Presidente per l' usciere, il P. M. pel Cancelliere e gli invitati per testimoni.
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In faccia ad un simile risveglio della pubblica curiosità con savio proponimento si è pensato di traslocare le udienze solite a farsi negli angusti ed incomodi ambienti sotto gli Uffizi corti, in una sala dove il pubblico potesse aver agio e comodità di assistere allo svolgimento di una causa da ritenersi celebre per le circostanze che la promossero. — Perciò la scelta è caduta sull'aula di Santa Firenze, dove appunto si discusse ultimamente la causa degli internazionalisti.
La tribuna riservata ai giurati, in questa occasione è messa a disposizione dei giornalisti, o rèporters, i quali, non bastando la tribuna, si spargono vicino ad appositi tavolini, e rappresentano i seguenti giornali: La Nazione, Corriere Italiano, Gazzetta d’ Italia (parte interessata), L’Opinione, Il Diritto, Fanfulla, Il Bersagliere, Casa Sonzogno, (cioè la Capitale ), La Ragione, Scacciapensieri di Milano, La Neue Freje Presse di Vienna, Times di Londra ed altri.
Il buon ordine della sala è affidato ad un centinaio di individui fra carabinieri e questurini in montura e travestiti alla Rocambole — nonché agli Uscieri Canto e Pesci. — Il Pesci guizza sempre fra la folla di gente, il Canto, canta ogni qualvolta annunzia la Corte e l’apertura dell’udienza.
Gli avvocati della Parte Civile e della difesa siedono ad un banco dalla forma di un ferro di cavallo, nel cui vuoto stanno ad un tavolo i stenografi.
Gli avvocati della Parte Civile sono: Luciano Luciani, P. Puccioni, prof. E. Pessina, G. Rossi, F. Crispi, A. Vestarini-Cresi, Serio, T. Villa, C. Tottoli, A. De-Leo, F. Paolella, E. Messina, ecc.
Per Sebastiano Visconti, gerente della Gazzetta, sono gli avvocati: A. Andreozzi, G. De Notur, D. Martini, F. Bottari, T. Lopez, Gì Marcolti, T. Minucci, Panpaloni, U. Pelosini, N. Madigliani, A. Spirito, ecc.
Presiede il Tribunale il sig. cav. avv. L. Benci assistito dai signori cav. avv. E. Pompano e avv. T. Pratesi-Giudici, e dal signor F. C arpino cancelliere.
Il Pubblico Ministero è sostenuto dall’avv. G. D e l itala d’Arcagne.
Dietro al banco del cancelliere trovasi una tavola carica di filze, volumi ed incartamenti inerenti alla procedura di cospirazione avvenuta in Salerno nel 1858.
Il Visconti siede vicino al collegio de' suoi avvocati.
I testimoni prodotti dal barone Nicotera prendono posto sulle sedie imbottite, a loro riservate, e sono:
Comm. La Francesca, gli avvocati Carelli, Capone, Brasone, Frani, De Majo, Taiani, De Meo; i signori Della Corte, Rossi, Condò, Lobisco, Dalia, Ferrez, Valletta, Rota, Medasei, Mercurio, Peroni, Gagliani, Verdolina, fratelli Magnoni, Albini, Mattina, Aldini, Doveri, Acquazzone, Pateras, Pasiano, Griglia, Fasciotti, Wrefort, Caputo, Massa, Chiurovesi, Bracco, Ferringno, Colonna, Damiani, Polizzi, Aug lieri, deputato Botta, generali Cosenz, Fabrizi e Stocco, e per ultimo Odile Poggi, madre di un superstite della spedizione di Sapri.
Alle 11 ¾ precise entra il Tribunale.
Il Presidente procede all’interrogatorio dell’imputato Sebastiano Visconti il quale dichiara essere figlio del fu Vincenzo, d’avere moglie e figli, tintore di professione, d’anni 32, nativo di Valfenera in provincia d’Asti.
Domandatogli da quanto tempo avesse lasciato la gerenza della Gazzetta d'Italia, si mostra confuso nel rispondere, finalmente l’avvocato Andreozzi gli mostra la mano, ed egli risponde al Presidente.
— Da cinque dita!
Ilarità generale a questo primo incidente, per il quale il Presidente non crede opportuno di ritirarsi a deliberare.
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A richiesta della difesa son letti l’atto di citazione, e la requisitoria all’atto d’accusa del Procuratore del Re.
Poscia l’avvocato Andreozzi esordisce col lamentare il modo col quale procederono le cose, non lasciando all'imputato il tempo necessario per studiare gli atti del processo e di raccogliere e presentare documenti destinati a comprovare quanto venne stampato nella Gazzetta, si meraviglia come non sia stato accordato il rinvio della causa replicatamente chiesto da ll ’imputato.
Solamente, egli dice: il 10 corrente il P, M. ha reso avvertita la difesa ch’erano arrivati i documenti del processo di Salerno; come si oserà sostenere che ci si è concesso d’esaminare il contenuto di quei 293 volumi?
Insiste acciocché sia accordata la proroga respinta concludendo... «ove poi il Tribunale, l’accusa e il querelante non volessero concedere l’aggiornamento richiesto, lo sappiano essi, lo sappiano tutti, noi abbandoneremo la difesa, lasciando che gli avvocati della parte civile da soli cantino le laudi del loro cliente!»
Risponde l’avv. Puccioni esprimendo il suo rammarico per sentire ripetere un’atroce accusa contro il Nicotera; si meraviglia come ha fatto l’Andreozzi, ma non per lo stesso motivo, cioè, come il gerente della Gazzetta dice di non trovarsi pronto a porgere le prove del suo asserto. — Osserva che per compilare l’articolo l’ Eroe di Sapri con documenti, che si dicono autentici, bisognava avere spogliato l’intiero processo, e che perciò non doveva essere necessario di voler ripassare quei 293 volumi per cercarvi cosa, se già da essi s'era estratto il libello?
Osserva anche che la Gazzetta non s’arresta sulla via dell’insinuare insidiosi sospetti, come per esempio col dire che il gerente Visconti sarà condannato all'ergastolo.
Andreozzi. — Ma questo, scusi, non è serio!
Da una si ingenua confessione ne sorge un battibecco che minaccia di divenire un... un battimani.
S’intromette il P. M. col richiamare gli avvocati a quella calma confaciente alla maestà della legge.
Puccioni, riprende il suo discorso e dichiara di non ravvisare nella difesa ragioni e motivi bastanti a sostenere la tesi del domandato rinvio.
Il P. M. fa le stesse meraviglie del Puccioni, e domanda: «Come può essere possibile pubblicare dei documenti senza averli conosciuti prima? Ed avendoli la Gazzetta pubblicati come può dirci ora che desidera aver tempo di prenderne cognizione?
Ciononostante però, onde non essere accusato di parzialità preconcetta e di denegata giustizia, il P. M. domanda al Tribunale che si conceda l’aggiornamento richiesto dalla difesa.
Il Tribunale si ritira per deliberare in proposito, e un’ora dopo rientra e legge l’ordinanza di rinvio della discussione della causa al 1 dicembre.
Da questa prima seduta appare abbastanza nettamente quanta verità ci si sia messa nella compilazione del libello, e come la delicatezza della Gazzetta, accettandone la pubblicazione, si sia curata di assicurarsi che i documenti prodotti in appoggio fossero tutti estratti dal grande processo di Salerno.
Ma che! si era alla vigilia delle elezioni... come trovare il tempo di sfogliare 293 volumi?
E chissà che un giorno la Gazzetta non risponda come il suo difensore avv. Andreozzi:
«Ma questo, scusi, non è serio!»
Sommario: Le udienze di dicembre — Nuovi tentativi — I testimoni —Piccoli incidenti — Le udienze di Gennajo — Apprezzamento della causa — Requisitoria — Difesa — Sentenza — L’ultima parola.
È il 1 dicembre. — Il tempo tiene il broncio -come i testimoni i quali temono un nuovo rinvio.
Alle 10 ¾ l’udienza è aperta; — ad un testimone che non si leva il cappello il Presidente grida: — Giù il cappello!
Gli avvocati sono al loro posto, quelli della difesa sembrano assai allegri, pieni di spirito, raggianti — non -si sa di che.
Che fosse la presenza dell’avvocato Spirito... o gli occhiali d’oro dell’Andreozzi?
Sarebbe il caso di dire: al Tribunale la sentenza.
E fra gli avvocati del Nicotera... Non c’è Spirito... né occhiali d’oro.
Si procede al l’appello dei testimoni, ne mancano parecchi, dei quali il cancelliere con tutti i riguardi possibili ai polmoni ne legge i relativi certificati medici ed atti di decesso, e se ne sentono di belle. — Uno, scusate, non può muoversi perchè costretto ad evacuare il ventre ogni momento, un altro è affetto da catarro cronico, e qualcuno è morte per mancanza di respiro!
Intanto l’avv. Audreozzi dichiara d’aver perduto il codice —sensazione generale! Una causa che fa perdere il co...dice alla difesa!
Se ne vola in cerca del codice sul quale ha' fatto degli appunti, e lascia l’Aula in una mezza oscurità,
Il Presidente sta per ordinare i lumi, quandotornano a rifulgere gli occhiali dell’Andreozzi.
Il codice non era perduto... l’avea consegnato al custode insieme al parapioggia... ritirandone la relativa contro marca.
La parola è all’Andreozzi, parla un’ora e mezza per finire col dichiarare che la Gazzetta dopo di avere il 17 novembre domandato un rinvio onde cercare e. produrre prove e testimoni, confessa di non aver trovate nè questi nè quelle, ma che invece a forza di ricerche trovò che il sequestro del 2 novembre era stato arbitrario, imperocché il Procuratore del Re l’ordinava senz’avere ricevuto la regolare querela del Nicotera, ma solo affidandosi ad un dispaccio insignificante speditogli dal Procuratore del Re. di Roma, mediante il quale lo preveniva della spedizione di un plicco raccomandato, contenente la querela del Nicotera, senza dire contro di chi fosse stesa quella querela. — Conclude perciò, domandando l’annullazione del sequestro della Gazzetta operato per dare una prova di zelo a S. E. il ministro dell’interno.
Gli risponde il P. M. e dichiara che la causa deve proseguire senza interruzioni appunto perchè lo si taccia di zelo, zelo e zelo!
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Il prof. Pessina prende la parola per la parte civile, e cosi si esprime: — Perchè ciò che dite ora non lo diceste il 17 novembre? — Voi, o signori, che vi siete costituiti futuri gerenti della Gazzetta, perchè allora chiedeste un rinvio onde provvedervi di testimoni e prove? Avanti questi testimoni, fuori le prove! — Non ne avete? Lo sapevamo. —E voi ora, onde portarci alle calende greche con sottigliezza di cavilli volete ottenere non una proroga ma che s’annulli addirittura il processo! — La vostra è una sottigliezza cosi sottile che non si regge!
Lopez, volle ribattere sostenendo la..tesi dell’Andreozzi, e fa rimbombare l’Aula della sua... vocine, che udendolo a breve distanza, il suo discorrere poteva esser preso per il miagolio d’una mezza dozzina di micci.
Il Tribunale si ritira per deliberare; alle 4 pom. rientra rigettando le istanze della Gazzetta!
Si comincia l’audizione dei testimoni presenti — per quelli assenti, cioè: l'ex Procuratore generale Pacifico, l’intendente Ajossa, il signor Petruccelli della Gattina ed il corrispondente del Times all’epoca del processo di Salerno, viene autorizzata l' audizione per delegazione essendo questi per malattia impossibilitati a recarsi in Firenze.
Il Presidente formula le stesse domande a tutti i testimoni i quali, uno ad uno sono introdotti e prestano il richiesto giuramento.
Tutti conoscono od hanno conosciuto il barone Nicotera, e tutti chi come difensori, chi come impiegati, altri come imputati ebbero parte nel grande processo di Salerno, tranne alcuni chiamati a ricordare relazioni di poca importanza, come per esempio la fattura di un abito pel Nicotera, altri per assicurare che questi aveva inebito a suo padre di domandare la grazia al Re, altri ancora per dare dei dettagli sulla fossa di santa Caterina a l Bagno di Favignana dove stette rinchiuso dal 1858 al 1860: della quale fossa eccone una breve descrizione desunta dalle deposizioni dei testi.
In questa isola (Favignana) vi sono due orridi bagni, uno quello di S. Giacomo, l’altro di santa Caterina, posto sopra una piccola altura e abitato da scorpioni e da zanzare, e ordinariamente dalla nebbia che dà tutta la pioggia che può dare alle venti buche o prigioni di quella fortezza. Fra queste venti buche ve ne è una detta: La stanza del somaro.
Accanto a questa ve ne è una che difficilmente si può descrivere, ma per chi ha letto Victor Ugo non ha che a chiudere il cancello e troverà il vero buco dei topi. Questa buca dei topi ha un sedile in pietra dove il disgraziato può stare rannicchiato, e se osa mettersi ritto si fracassa il cervello nella volta; se si distende bisogna stia con metà corpo sino al ventre sul sedile, le gambe penzoloni: se vuole poi avere posizione un poco comoda bisogna che scenda nel pavimento e stia nel fango. Qui fu messo Giovanni Nicotera — gli davano due soldi di pane al giorno; era pane di terra o di orzo.
La buca era attraversata da un piccolo canale che vieppiù aumentava l’umidità — luce, non ve n’era quasi affatto. Nicotera tentò suicidarsi. — Ma l’uomo che dovea in quella buca cercarvi la morte, dovea distendersi nell'acqua limacciosa del canale, e con essa coprirsi. — Egli f e ce simile tentativo ma non vi riuscì — e tenuto calcolo del carattere del Nicotera, dovette essere qualche cosa di serio.
Tutti i testimoni furono concordi su due punti cioè di non conoscere Sebastiano Visconti gerente della Gazzetta d’Italia e nel rispondere alla domanda del Presidente.
Quale fu il contegno del Nicotera, durante la sua prigionia e il processo?
Quello d’un uomo deciso a sacrificare s e stesso per salvare gli altri. — Quello d’ uneroe!
Del resto, tutti altro non fecero che rispondere le stesse cose, ed è appunto sulle risposte dei testimoni che noi abbiamo compilato il capo I di questo Resoconto.
Vi furono vari incidenti che noi dobbiamo notare.
L’onor. Tajani, difensore del Nicotera nel-' processo di Salerno concluse la sua deposizione colle parole.
— Il Nicotera mi fece l’impressione di un pessimo cospiratore.
Con queste però non intese ammettere il 'dubbio che Nicotera avesse fitto delle rivelazioni; per pessimo cospiratore, intendeva dire che era pessimo appunto perchè anziché favorire la propria difesa sempre più la comprometteva.
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La difesa aveva calcolato sulla deposizione -dell’onor. Tajani, attesoché, anni sono, fuvvi una viva polemica fra il Nicotera ed il suo difensore, ed alcuni avrebbero riportate certe parole del Tajani che potevano essere interpretate come un rimprovero d’aver, durante il processo di Salerno, tradito gli amici x con delle rivelazioni.
Il Tajani, però, in omaggio alla verità s’affrettò a smentire quelle dicerie, e la stessa sua deposizione innanzi il tribunale, oltre all’affermare i fatti da noi esposti nel capo I, fu una nuova e solenne smentita a quelle dicerie; — perciò la difesa della Gazzetta, che tanto sperava dal Tajani essendole note i vecchi rancori di questi col Nicotera, rimase delusa, e schiacciata dalle stesse sue insinuazioni.
L’onorevole Nicola Botta, rispondendo a d( ) una domanda della parte civile cioè se gli era note d ’Autobiografia pubblicata dalla Gazzetta rispose di si, ed anzi che trovandosi qualche giorno avanti al caffè del Parlamento a Roma, seppe che la pubblicazione di detta Autobiografia era stata esibita all'onore voto Zerbi per il Piccolo di Napoli — e che questo avea rifiutato, minacciando altresì di cedere — la sua comproprietà nella Gazzetta di Napoli se questa ne avesse accettata la pubblicazione.
Aggiunse anche che l’offerta al Zerbi era stata fatta dai signori conte Capitelli, marchese Pescarolo ed avvocato Spirito.
L’avvocato Spirito, presente alle dichiarazioni dell’onor. Botta, s’alza e protesta dicendo che assolutamente non era vero. — I l Presidente richiama all’ordine.
L’avv. Spirito dichiara: per me la è finita!
— Ma non per me I ribatte l’onor. Botta.
Infatti qualche giorno dopo si lessero sui giornali delle dichiarazioni che provavano come l’onor. Botta avesse detto il vero; nello stesso mentre che la Gazzetta inveiva contro il Nicotera, tentando di far credere che i testi erano stati pagati da S. E. il Ministro dell’interno.
Non solo a questo incidente diede luogo la deposizione del deputato Botta, (il quale come è noto prese parte al tentativo rivoluzionario del novembre 1856 e fu condannato a morte, quindi gli venne commutata la pena a 18 anni di lavori forzati). Egli fu compagno di prigionia al Nicotera, e nella sua deposizione del 2 dicembre, cosi parlò:
«Voglio ricordare che nei momenti di estremo dolore fra i 18 condannati politici a Favignana, nelle ore di dolore, nei momenti della suprema miseria e disperazione non ci arrivava come conforto che la sola voce di Giovanni Nicotera. Egli ci esortava alla pazienza ed alla rassegnazione, raccomandandoci di aspettare la riscossa. E la riscossa venne. Nel 1860 il generale Garibaldi tutti ci liberava. Partiti per Palermo con Garibaldi mi ricordo che una sera eravamo in compagnia di mio fratello e di altri sui quattro cantoni.
Il Nicotera riceveva amici i quali lo felicitavano: fra questi si presentò una figura patibolare: un uomo dal cappello a larga tesa, era il Santelmo. Non lo avesse mai detto il suo nome! Nicotera voleva ucciderlo e lo investiva chiamandolo traditore del povero Pisacane e di tutti noi. Fu allora che noi tutti abbiamo cercato di trattenerlo ed a stento lo portammo via; anche perchè egli non tornasse in quel carcere d’onde usciva colla condanna per un delitto comune.
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La Gazzetta nell’interesse di convincere il paese che tutti i testimoni erano stati comperati dal Ministero dell’Interno, onde smentire lo stesso onorevole Botta, s’è affrettata di mandare a Padula a cercarvi il nominato Santelmo e lo ha invitato a firmare una deposizione da potersi pubblicare come se l’avesse di moto proprio dettata, in quale chiama la narrazione fatta dall’onorevole Botta, uno sproloquio nell’intento di circondare di un nuovo alloro la fronte del ministro dell’interno.
Il Santelmo si rammarica ed esclama: «Oh fossi morto allora (quando il Nicotera lo riconobbe) che non avrei assaggiato le amarezze di tanti oltraggi, né sarei stato bruttato da un onorevole presso il tramonto di una travagliata esistenza.»
Il punto più saliente di questa deposizione è il seguente:
«Signor direttore, (quello della Gazzetta) trattandosi di dover dare del menzognero e dell’esageratore ad un onorevole, io mi rivolgo a V. S. perché ella ha un coraggio ammirabile.»
Eh! non c’è poi tanto male, l’elogio è molto lusinghiero, e pare che in quelle parole nessuno abbia scorta la giusta definizione della missione della Gazzetta!...
Per dare del menzognero, anche a chi non se lo merita, bisogna rivolgersi al coraggio ammirabile della Gazzetta!...
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E sebbene questa deposizione venisse replicatamente pubblicata dalla Gazzetta e ne’ suoi supplementi, pure non s’ebbe eco migliore di quello della Venezia, Risorgimento e Corriere delle sera, sono i tre campioni che l’assistettero!...
Ad ogni costo però, volendo perturbare l’opinione pubblica si osò muovere lagnanza che i volumi del Processo di Salerno erano prima di giungere a Firenze passati a Roma, e che Giovanni Nicotera abusando della sua posizione di Ministro dell’Interno, ne aveva staccati quei fogli, la lettura dei quali lo avrebbe inevitabilmente perduto; — e la difesa si diede a gridare; come possiamo noi difendere il Visconti quando si sottraggono le prove?...
Il Ministro dell'Interno s'affrettò con suo telegramma al presidente del Tribunale di porre a disposizione della difesa gli archivi di Napoli... ma non occorse tanto che poi si trovarono completati i volumi del celebre processo di Salerno... e non si è potuto più dire che Nicotera presentava dei documenti monchi.
Non sapendo più a che appigliarsi la Gazzetta, estrasse dal processo di Salerno l’ atto di nascita ed il Certificato di possidenza \di G. Nicotera. Ne fece la pubblicazione domandando di quali mezzi il Nicotera abbia vissuto dal 1860 al 28 marzo 1876, e dove abbia trovata la famosa baronia.
Ecco i preziosi documenti che dovevano secondo la Gazzetta atterrare il Ministro dell’Interno smascherandolo come un avventuriero, che s’è appropriato un titolo e che no n può dire quali siano stati i suoi mazzi di sussistenza durante il periodo di tempo sopra indicato.
Ma, sgraziatamente anche questa pubblicazione non s’ebbe miglior sorte di quella della deposizione Santelmo — riprodotti dai soliti giornali Venezia, Risorgimento e Corriere della sera, sul pubblico non fecero altro effetto che quello di riaffermare la sua convinzione: cioè che la Gazzetta sapendo d’avor mentito, tentava ogni mezzo per avvalorare la sua menzogna, e per riuscire a costringere Giovanni Nicotera, l’inesorabile spogliatore di sussidi, a dare le sue dimissioni; ma simili, troppo volgari armi, non potevano che spezzarsi contro la pubblica opinione.
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I testimoni: Petruccelli della Gattina, De Masellis Camillo, Pacifico Francesco, Enrico V refort, Domenico Dalia, Raffaele Pacifico, Gennaro Napoli, Filippo Moscati, avv. Alfonso Origlia, fratelli Stocco ed intendente Ajossa, essendo obbligati al letto per malattia, come risulta dai prodotti certificati, si decide d'interrogarli a domicilio; le parti nominano i loro rappresentanti, ed il Tribunale nulla vede in contrario.
Pervenuti gli interrogatori, la difesa sollevò un nuovo incidente, cioè dichiarò che quegli interrogatori erano nulli perchè non muniti della firma dei testimoni. Che l'interrogazione a domicilio non doveva ritenersi come il proseguimento orale della causa, e che se innanzi al Tribunale il testimonio non appone la sua firma alla deposizione, ciò non poteva essere concesso negli interrogatori per delegazione; — quindi la difesa trova ridicolo che siansi fatti detti interrogatori, aprendo al pubblico la camera degli ammalati, e, a questa formalità nuova e ridicola, valere assai più la firma del testimonio stesso.
Il P. M. trova, e la Gazzetta dice per la prima volta, giuste le osservazioni e le istanze della difesa, cioè che gli interrogatori venissero rifatti colla firma degli interrogati.
Qui osserviamo che la difesa sperava molto da questi testimoni; in particolare poi dal Pacifico e dall’Ajossa. — Essa aveva la speranza che questi vecchi funzionari devoti a Ferdinando II, forse per vecchio rancore non dicessero la verità, oppure dicendola adoperassero delle frasi svaghe da poterle assoggettare a quella interpretazione che più giovasse ad avvalorare i fatti citati nell'Autobiografia, concorrendo a favore del Visconti, nell’interesse della Gazzetta.
Nella seduta del 12 dicembre si diede lettura agli interrogatori dei testimoni. Petruccelli della Gattina, De Masellis, Pacifico Francesco, Enrico Vrefort e Domenico Dalia, che noi riassumiamo come segue:
Petruccelli della Gattina dichiara di non aver mai letto l’articolo incriminato, e di avere con sua lettera prevenuto il Presidente del Tribunale che per malattia non poteva comparire all’udienza del 1 dicembre, come era stato citato. — Ricorda che mentre nel 1860 collaborava con Alessandro Dumas nella storia dei Borboni trovandosi nel grande Archivio di Napoli, venne un giorno assalito da Giovanni Nicotera che gli tirò un colpo di bastone, tra di loro vi fu una breve collutazione e che due giorni dopo si batterono. Dice che l’aggressione del Nicotera era avvenuta in conseguenza d’un suo articolo dettato contro i mazziniani che in quell’epoca compromettevano il paese con agitazioni di piazza. — Dichiara in fine che rovistando negli Archivi, e particolarmente studiando il processo di Salerno sui fatti di Sapri, nulla ha trovato c he potesse far disonore al Nicotera.
De Masellis Camillo di 73 anni, giudice in ritiro. — Era giudice del governo borbonico in un paese di Basilicata quando ci fu il processo di Sapri.
Dichiara di non aver mai inteso da alcuno che il Nicotera avesse fatte delle rivelazioni, e che però egli si senti preso da qualche sospetto quando lesse l’atto d'accusa, è che più ancora s'insospettì quando separé la commutazione della pena di morte in quelli dell’ergastolo.
Pacifico Francesco di 60 anni ex-presi dent e della Gran Corte criminale. Dichiara d’aver letto l’ Autobiografia pubblicata dalla Gazzetta e ritenere infondati gli apprezzamenti nella medesima contenuti. Ricorda che il Nicotera durante il processo tenne un contegno fermo e sprezzante, e che in quanto al cifrario lo interpretò da sé, senza alcuna indicazione del Nicotera, che altro non gli disse che apparteneva al Pisacane e perciò n on ne sapeva nulla.
Dichiara inoltre che il Nicotera cercò sempre di difendere i compagni, non badando se ognor più aggravava la sua posizione; e che non aveva dato alcun ordina che i condannaci dovessero esser messi in cappella perchè era sicuro della commutazione della pena.
Enrico Vrefort di 65 anni possidente. All’epoca del processo di Salerno era corrispondente del Times e in tale qualità vi assisteva, dichiara che la condotta del Nicotera fu piena di coraggio e che non lo ritenne mai capace di rivelazioni.
Domenico Dalia di 82 anni consigliere di Cassazione in riposo. Era presidente della Gran Corte criminale di Salerno. Dichiara che la condotta del Nicotera fu quale si addice ad un uomo fermo e coraggioso, accusatore di s e stesso, Ricorda che allorquando: venne commutata la -pena, gli fu suggerito di gridare: «Viva il Re » ma che noi volle assolutamente. — Dichiara che ritiene di non aver mai fatto dei rapporti al ministro di Grazia e Giustizia su quel processo.
Onde dar tempo che arrivino gli interrogatorii degli altri testimoni muniti dalla richiesta firma, e per citare di nuovo( ;) l’onorevole Tajani, onde chiedergli alcune spiegazioni, la causa viene rinviata al giorno 20 dicembre.
Non bisogna dimenticare che qualche giorno prima che l’ex-presidente della Gran Corte criminale, fosse, interrogato per delegazione, l’avvocato Beniamino Spirito gli fece visita, onde assicurarsi che l’ex presidente avrebbe deposto in favore della Gazzetta, ma questa visita non ebbe lo sperato successo che l’ex presidente non volendo ingannare la giustizia colla menzogna, dimenticò le esortazioni spirituali de ll ’avvocato Spirito» è disse la verità niente altro che la verità come dalla giustizia venne richiesto di dire:
Conte m porane am ente la Gazzetta riempiva le sue lunghe colonne d'improperi e verso Nicotera, e verso i testimoni, dichiarando che il ministro de ll ’i n terno li aveva comperati!
Ed essa perchè mandava l'avvocato Spirito dall’ex presidente Pacifico?
Forse perchè il Pacifico s’accoppiasse allo Spirito onde ottenere al suo libello un appoggio pacifico e pieno di spirito?
La Gazzetta intanto vedendo come tutte le sue batterie non producessero che un misero fuoco di paglia, tentava ancora un colpo sulla buona fede del popolo — e forse oggi sarà convinta che la malafede nulla può su quel popolo ch’essa non tralascia di chiamare ignorante, e sulle persone civili di tutto il mondo a cui giornalmente s’appella.
Noi, per debito d’imparzialità, sottoponiamo a l giudizio del lettore il documento che doveva essere fatale per Nicotera e dalla Gazzetta pubblicato in caratteri da scatola onde annientare Colle parole grandi di piccoli calunniatori un ministrò che crede possa tornare fatale agli interessi del paese.
Oh,: come le stanno a cuore gli interessi e l’onore di questo paese!...
Ecco il documento in discorso pubblicato sotto il fantastico titolo di: Confessioni extra-giudiciali idi Giovanni Nicotera.
PROCURA GENERALE DEL RE presso LA GRAN CORTE CRIMINALE |
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del PRINCIPATO CITERIORE |
Salerno, 15 luglio 1857 |
Riservatissima | |
Negli ultimi due giorni mi sono occupato di dar ordinamento, e formar reperto delle moltissime carte, e documenti che mi sono arri v ati: nello studiarle e far lettura degli atti compitati in Sala, che mi pervennero, lunedi, in raccogliere qualche interrogatorio, a dar corso a note istruttorie e ad eseguire tutti gli adempimenti di regola.
Diretta l’istruzione a stabilire le trame cospirative, il concerto precedente allo sbarco di fazioni in Ponza, i fatti consumati in que ll’I so l a e negli altri luoghi di questa provincia fi n o allo sbandamento dell'orda, ottiene irrefragahili pprove dai documenti e dagl’interrogator i i, ma nulla v’ha ohe possa richiamare l’attenzione particolare di Lei, di cui non le abbia precedentemente fatte Rapporto.
Lo sviluppo istruttorio mi fa concepir la speranza di poter portare in dibattimento dopo qualche mese tutti quelli che estranei al concerto precedente, debbono rispondere de' fatti consumati, e che ascendono a circa 150 detenuti; ciò toglierebbe l’angustia inevitabile che produce un numero cotanto esorbitante di giudicabili; metterebbe nel grado d; poter senza istruzione ottener la pruova delle trame cospirative del concerto, e consacrarsi intieramente a raggiungere questo scopo; si otterrebbe da ultimo il vantaggio immenso che deriva dalla prontezza del giudizio.
Per riuscire a far ciò si vuole che senza il menomo ritardo si abbia il processo de' fatti di Ponza, e si ottengano le altre notizie che occorrono, perchè l’istruzione della classe precitata si compia.
Ma come ottener ciò, se non bastano per lo cammino della posta 15 giorni per avere un riscontro?
Al presente non si ha fra, le carte innumerevoli l’essenzialissimo stato nominativo di coloro che non si sono trovati presenti sull'isola di Ponza colle notizie che riguardano le persone e le condanne cui eran tenuti di espiare. Senza questo, sono inabilitato a provvedermi di documenti, ed a coordinare l’istruzione ed arrivandomi dopo 15 giorni venga a soffrire una perdita di tempo p regiudizievolissima alle mie vedute.
Prego la di Lei autorità a volersi compiacere per Ora nel rimettere questa mia richiesta al mio Collega di Santa Maria aggiungere autorevoli uffizi, pe r chè feria contentata sensori tarde, e provvedere
P( e) rchè non si verifichi ulteriormente il grave inconveniente del ritardo.
Il signor Intendente della Provincia si recherà domani fra il mezzogiorno all’una in codesto Rea l Palazzo per ricevere i comandi di Sua Maestà il Re (D. G.) .
Perchè Ella non ignori quel che mi è riuscito sapere ih ordine a questa gita; è ricapitato in potere del lodato signor Intendente una Circolare, che il Presidente del Comitato rivoluzionario di Napoli, data in de' 3, ha diretto per le Province, in cui deplorando la disfatta, dolendoci di noti essersi corrisposto all’appello; noti cessa dal ravvivare insane speranze; il capo rivoltoso Nicotera strayiudizia l mente ha esternato che fra’ componenti del Comitato rivoltoso di Napoli vi erano Patera Remata, Albino, che son nomi già conosciuti per gli atti processuali, ed un tal Rizzo, uomo di bassa condizione; intende rassegnare a piè del Trono queste notizie. ,
Deve inoltre rassegnare a S.M. (D. G.) il notament o di quelli che son meritevoli di considerazioni per essersi distinti per attaccamento e per operosità.
Io non ho elementi per richiamare la considerazione di Lei sugl’ impiegati dell'ardine giudiziario, ho scritto per averli e meli attendo; ad eccezione dei giudici di Sanza e di Piella, gli altri hanno con lentezza adempito agli obblighi che avevano verso la Procura Generale.
D al capitano Marcaldi ho int e so, dire che i giudici di Montesano e di Vibonati si siano mostrati alla testa delle Guardie Urbane clic accorrevano per opporsi, ma ciò non l’appresi da altri.
I l Proc. gen. del Re
Francesco Pacifico.
Il valore di queste Rivelazioni extra-giudicia l i, consiste nel provare una volta dippiù la malafede della, Gazzetta. che sapeva benissimo essere questo uno di quei documenti che il Pacific o compilava nell’intento di provare il suo zelo e l'attaccamento suo al Re Ferdinando II. E g li aveva interesse di lasciar supporre che mercé la sua perspicacia aveva saputo ottenere delle rivelazioni da un capo rivoltoso della tempra e fama di Giovanni Nicotera. — Immaginava dunque quelle rivelazioni a suo particolare avvantaggio, , ma noi abbiamo gli narrato che il Procuratore generale s’era divertito dar; lui un’interpretazione alla nota campioni affatto erronea, e che forse a forza di studiarvi avrebbe raggiunto l'antipatriottico scopo, se n on lo avesse dissuaso la fermezza e l’audacia del Nicotera.
Con questa pubblicazione, la Gazzetta tentava ancora una volta di far breccia sull’opinione pubblica. Ma all’indomani il giornale II Bersagliere provava come la Gazzetta nella pubblicazione di detto documento, ne avesse altresì alterata la ortografia, non bastandole di presentarlo cosi isolato e preceduto da calunniosi commenti, ecco il brano in questione secondo la pubblicazione della Gazzetta e del Bersagliere.
Gazzetta ..... il capo rivoltoso Nicotera stragiudizialmente ha esternato che fra’ componenti del Comitato rivoltoso di Napoli vi erano Pateras, Demata, Albini, che son nomi già conosciuti per gli atti processuali, ed un tal Rizzo, uomo di bassa condizione intende rassegnare a piè del Trono queste notizie. |
Bersagliere ..... il capo rivoltoso Nicotera stragiudizialmente ha esternato che fra’ componenti del Comitato rivoltoso di Napoli vi erano Pateras, Demata, Albini, che son nomi già conosciuti per gli atti processuali; ed un tal Rizzo, uomo di bassa condizione intende rassegnare a piè del Trono queste notizie. |
E il Bersagliere esclama a ragione: — Potenza d’un punto e virgola spostati a tempo
Il giorno 20 è ripreso il dibattimento. — Il presidente annuncia che sono arrivati gli interrogatori dei testimoni uditi in Calabria. — Le parti nulla avendo in contrario, si ordina al ‘cancelliere la lettura di detti interrogatori che noi riassumiamo.
Raffaele Pacifico dichiara che non sapeva ne aveva mai udito che il Nicotera avesse fatto delle rivelazioni. — Ricorda solamente che al tempo del processo ebbe occasione di conoscere la signora Adele Poggi madre di un compagno del Nicotera la quale asseriva che costui durante la prigionia era meglio trattato di ogni altro. — Soggiunge che quando fu pubblicata l’Autobiografia, udì raccontare da vari suoi conoscenti, che anche all’epoca del processo era corsa la diceria che il Nicotera avesse fatto delle rivelazioni ma che d'a l lora non se ne era parlato più.
Gennaro Napoli sarto di Salerno, ricorda che due o tre giorni dopo che il Nicotera fu fatto prigione gli si presentò l'intendente Ajossa per invitarlo a fare gli abiti a Nicotera. — Perciò recossi a visitare il prigioniero che stava nella corsia degli infermi perchè ferito alla mano destra. — Il teste fece gli abiti e fu pagato in ragione di 28 ducati. — Il teste conosceva certo Savastano custode d ell e carceri dal quale seppe che il Nicotera veniva di sovente condotto in carrozza alla casa dell’intendente Ajossa, e che un giorno il prigioniero ebbe a dirgli: — «L’Ajossa mi vuole in casa per sapere da me alcune cose: ma esso non è carne per i miei denti. »
Anche il Gennaro Napoli depone che l’avvocato Spirito si presentò recentemente da lui avvertendolo che sarebbe stato citato come testimonio, a favore della Gazzetta— il teste allora gli avrebbe risposto: «Badate io dirò in giudizio anche altre cose oltre quelle che ho detto a voi.» E l’avvocato Spirito servendosi del suo spirito naturale di rimando: «Farete bene, e direte tutto quello che sapete.»
Conclude il teste col dichiarare còme uomo e come sarto ohe non ha saputo mai che il Nicotera avesse f a tte d ell e rivelazioni.
Filippo Moscate durante il dibattimento innanzi la Gran Co rte di Salerno vi ha assistito per qualche giorno. — Dichiara che il Nicotera era coraggioso. Assistette per l’appunto all’udienza nella quale il Tajani fece la sua arringa. Il Nicotera sembrava che approvasse in parte le parole del suo difensore. — Durante il processo molti liberali assicuravano che il Nicotera sarebbe stato condannato a morte, ma che poi gli avrebbero commutata la pen a.
Avv. Alfonso Origlia ricorda con compiacenza come la spedizione di Sapri aveva il santissimo scopo di sventare i piani dei mura t isti. — Coloro che presero parte in quella spedizione furono la prima pietra della indipendenza italiana. — : La condotta del Nicotera durante il processo fu sublime e pieno di coraggio non curante di sè stesso per salvare i compagni. — Racconta che un giorno il Nicotera si volse al presidente e parlando del Pacifico Procuratore generale, gli disse: —
«Presidente, se non ponete un freno alla lingua di quella bestia feroce, io darò un salto dal mio banco e gli strapperò la testa dal busto.» — Dichiara l’Autobiografia pubblicata dalla Gazzetta bugiarda, infame, esacrata, e ne paragona gli autori al Borbone che «era una tigre insaziabile del sangue umano.»
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L’udienza del giorno 21 è stata brevissima, si attendeva il teste deputato Taiani, ma essendo questo relatore degli organici non poteva abbandonare la Camera.
L’onorevole Puccioni (della parte Civile) propone che sia citato a dirittura per quando la Camera avrà preso le sue vacanze natalizie.
Spirito. In tal caso si potrebbe rinviare il dibattimento alla fine del mese.
P. M. Aspettiamo domani per vedere se l’onorevole Taiani potesse comparire.
Spirito. Gli si mandi dunque un telegramma,
P. M. L’ho mandato ieri.
Puccioni. Ma se dico che no n può venire perchè è relatore degli organici.
Presidente. Sospendiamo per ora ogni procedimento riguardo al teste Taiani.
P. M. La difesa chi ha poi scelto a rappresentarla negli interrogatori dei fratelli Stocco?
La difesa dichiara di rinunziare d’essere rappresentata in detti interrogatori. — Dopo qual, che altra osservazione la seduta è sciolta ed il seguito del dibattimento rinviato all’indomani.
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Nella seduta del 22 nulla si discusse se non se sulle ciarle dei giornali. — L’onorevole Taiani è sempre trattenuto a Roma, si attendono gli interrogatori dei fratelli Stocco — e dietro accordo delle parti il dibattimento è rinviato di bel nuovo al giorno 28.
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Il 28 si riprende il dibattimento — l’onorevole Taiani è presente.
Presidente. La difesa formuli le domande da rivolgersi al testimonio.
Spirito. La difesa desidererebbe avere dall’onorevole Taiani qualche schiarimento circa ad una querela che esso sporse nel 1865 contro Nicotera.
Presidente. Ma ciò è estraneo alla causa.
Spirito. No, signor presidente; perchè la difesa sa che la querela del Taiani si riferiva a rapporti passati tra il Taiani medesimo e il Nicotera in occasione del processo di Salerno, nel quale il teste difese l’attuale querelante.
Vorrei dunque sapere se riconosce la querela data nel 1865.
Presidente. Ha inteso onorevole signor Taiani?... Si ricorda di aver dato nel 1865 una querela al Nicotera?
Taiani. Sì; ma fu un affare che non ebbe poi seguito.
Presidente. Desidera altro la difesa?
Pampa l oni. Io prego il Tribunale, a nome del l a difesa, a domandare al testimonio se nel 1865 sporse una querela contro il Nicotera, e se questa querela si riferiva a fatti concernenti i rapporti passati tra il Taiani e il Nicotera durante il processo di Salerno.
Taiani. Ecco, nel 1865 io stava in una villa vicino alla quale doveva passare il tracciato di una ferrovia. Il commendatore Silvio Spaventa, che era mio amico personale allora, come lo è adesso, ed il commendatore Mirabelli, volevano visitare i lavori di quella ferrovia. Io li invitai nella mia villa. Per questo fatto fui denunziato nel giornale Il Popolo d’Italia come un malfattore, dicendo che io, essendo un meschino magistrato, volevo atteggiarmi ad uomo politico, invitando nella mia villeggiatura degli uomini politici. Io non leggeva quel giornale, ma il signor Spera mi mise sott’occhio l’articolo che di me parlava e mi eccitò a rispondere. Io diss i che non ne valeva la pena. Ma i miei amici e colleghi carissimi del foro di Salerno risposero di loro iniziativa per me. Parmi che rispondendo gli avvocati di Salerno accennassero alla gratitudine del Nicotera il quale mi attaccava nel Popolo d'Italia, mentre era stato da me difeso. La risposta degli avvocati di Salerno apparve nel Popolo d'Italia ma fu contemporaneamente seguita da una lettera firmata dal Nicotera nella quale questo riconosceva, a quanto rammento, la paternità del primo articolo e ribadiva le ingiurie per me e ne aggiungeva altre all’indirizzo degli avvocati di Salerno. Io risposi pubblicando un opuscolo. Il Nicotera mi mandò a sfidare. Gli amici mi dissero che, essendo io magistrato non potevo accettare un duello e mi consigliarono a dare querela. Cosi feci. Ma passò del tempo; io fui traslocato e cosi la querela non ebbe più seguito.
Spirito. Si ricorda il testimonio di aver chiamato nella sua risposta il Nicotera molto loquace, e di aver detto che tutto ciò che esso aveva asserito era falso, ricordando in proposito alcune lettere scrittegli dal Nicotera per ringraziarlo dalla difesa fattane innanzi la Gran Corte di Salerno?
Taiani. Sicuro che lo ricordo; ma mi affretto a dichiarare che chiamando loquace ii contegno del Nicotera negli interrogatori che subi, non ebbi allora, come non ho adesso, alcun sospetto che esso abbia fatte delle rivelazioni.:
Puccioni (parte civile). Mi si permetta di rivolgere una domanda al testimonio. La domanda è questa: Se esso crede che il Nicotera durante l’istruzione del processo di Salerno abbia fatto delle rivelazioni: e se si trova in buoni rapporti col Nicotera, malgrado le pubblicazioni delle quali si è sino ad ora discorso.
Taiani. Non ho mai creduto come non credo ora che il Nicotera abbia fatto delle rivelazioni. Le mie relazioni con lui si sono riattaccate quando sono entrato alla camera, e si sono strette a Napoli, in una riunione di deputati, nella quale il Nicotera fu il primo ad offrirmi la mano.
La difesa non ebbe altro a domandare, tutte le sue speranze nella deposizione Taiani erano sfumate.
Puccioni domanda che sia interrogato di bel nuovo il Pacifico Francesco circa il documento pubblicato dalla Gazzetta sotto il titolo di Confessioni extragiudiciali di Giovanni Nicotera, e sulle quali il Bersagliere fece la questione del punto e virgola.
Si attende altresì la deposizione dei fratelli Stocco. Il Tribunale si ritira per deliberare, e poco dopo rientra a leggere un’ ordinanza colla quale stabilisce la nuova aud i zione del Pacifico ed invia ancora una volta il seguito del dibattimento al giorno 4 gennaio. 1877. E le parti promettono di discutere la causa senza sollevare nuovi incidenti.
Alle 10 e ½ entra il tribunale e si apre l’udienza. '
Presidente. Essendo giunti gl’interrogatori Pacifico e fratelli Stocco, ne faccio dare lettura se le parti non si oppongono. Nessuna difficoltà si affaccia per parte degli avvocati, perciò il Presidente ordina al Cancelliere di leggere i succitati interrogatorii.
Stocco Vincenzo e Stocco Francesco, di Nicastro, hanno deposto: che non comprendevano per qual ragione il Visconti gerente della Gazzetta d'Italia li aveva chiamati a sua difesa non avendolo mai conosciuto. Che conoscevano benone il Nicotera pel quale hanno sempre avuto grande stima, e che hanno biasimato la pubblicazione della Gazzetta d'Italia ritenendola calunniosa.
Pacifico Francesco, ex-Procuratore Generale della Gran Corte Criminale di Salerno all’epoca del processo di Sapri, ha nuovamente deposto che Nicotera fu fiero in processo e che mai fece rivelazioni, che l’ultima pubblicazione fatta dalla Gazzetta d'Italia non è una rivelazione del Nicotera, ma uno dei tanti rapporti ch’egli Pacifico, faceva al Ministro di Grazia e Giustizia e dei quali il Nicotera non sapeva nulla.
Presidente. Manca l’interrogatorio dell'Aiossa perchè non è ancora giunto, se le parti non si oppongono credo che si potrebbe aprire la discussione.
Non essend ovi opposizione, il Presidente dà la parola alla parte Civile.
Luciani (P. C.) legge le conclusioni della Parte Civile domandando la condanna de l gerente Visconti alla pena prescritta dal Codice pei diffamatori, la pubblicazione, a termini di legge della sentenza sulla Gazzetta d’Italia e la condanna al pagamento delle spese processuali.
Alaria (P. C.) Apre la breccia come avvocato del collegio dell’accusa. Rivendica all’Italia la figura incontaminata di Nicotera e fa segno di acri rimproveri i calunniatori della Gazzetta d’Italia, Chiamasi soddisfatto d’essere qui venuto a compiere un dovere d’italiano e di concittadino ed amico di Nicotera. È poi lietissimo di riportare ai suoi concittadini la lieta novella che il tribunale punì colui che volle infangare il prode soldato di Sapri ed il fiero detenuto di S. Caterina.
Avv. Puccioni (P. C.) Fa una lunga requisitoria di tutto il processo e della pubblicazione della Gazzetta d'Italia. Purga Nicotera da ogni dubbio sulla condotta tenuta da lui in campo ed all’ergastolo. Nicotera dice il Puccioni, non ha denunziato il barone Galletti perchè questo è stato arrestato pel fatto separato dal processo Nicotera e non ha subito condanna. Non ha denunziato i due giovani di Padula perchè non hanno mai vissuto! Non ha dato la chiave per leggere le cifre della nota-campioni, perché non furono mai esattamente lette. Cade dunque ogni dubbio sulla condotta di Nicotera essendo essa risaltata degna di quel grande patriota ch’egli fu ed è.
Parla quindi di fatti giuridici e di sentenze di tribunali sulle diffamazioni per le stampe onde provare che vi è crimine nella pubblicazione della Gazzetta d'Italia.
Conclude col dire ch’egli non vuole, come si è detto da alcuno, che venga una condanna che sanzioni in nome del Re il fatto repubblicano di Sapri, ma vuole che venga in nome del Re amministrata giustizia, e spera di vedere indubbiamente avverati i suoi desideri che sono quelli di tutti gli onesti liberali d’Italia.
Qui io non ho desiderato, anzi ho allontanato che si facesse della politica, ma ho bramato di far giungere al colpevole la mano della giustizia.
La udienza è sciolta alle 6.
L’udienza è aperta alle ore 10 e 10. Chiamata la causa, il Presidente accorda la parola al Pubblico Ministero.
Il signor Darcayne (P. M.) comincia dal dichiarare che l'attuale causa non è a carico di Sebastiano Visconti, ma all’intemperanza della stampa italiana che nella generalità, salvo pochissime ec cezioni, è poco o punto educata, che è aggressiva, partigiana e violenta.
Fa quindi una lunga analisi del delitto di dif fama zione di cui è accusata la Gazzetta d'Italia, e venne a concludere per la colpabilità. Prova la mala fede nel pubblicista, perchè ha estratto dal processo di Sapri quello che giovava allo scopo che si era prefisso, ed ha taciuto ciò che cancellava la sua asserzione.
Prova che Nicotera è stato diffamato come libero cittadino e non come pubblico ufficiale: che la diffamazione è all’onore morale e non all’uomo politico. Che nessuna, resultanza lascia il benché minimo dubbio sulla condotta esimia del Nicotera nel processo di Salerno, e che per conseguenza chiama il tribunale a condannare il capro espiatorio del convenzionalismo dei tempi, Sebastiano Visconti, gerente della Gazzetta d’Italia alle pene chieste dalle conclusioni della parte civile ed a 2 mesi di carcere e 500 lire di multa a tenore dell’art. 28 della legge sulla stampa.
L’avv. Martini, difensore della Gazzetta d'Italia, saluta il presidente, i giudici il P. M., gli avvocati dell'accusa e della difesa, il cancelliere, l’usciere, Vittorio Emanuele di gesso ed il pubblico.
Si mostra a m aro, amarissimo di dover sciupare Nicotera e farlo ritornare un uomo da Dio ch’era divenuto. Vuole che i giornali possan dire quello che loro aggrada perchè questi sono le campane moderne. Prima suonavano a vita, a morte, a gogna, a raccolta, a festa, a parlamento le campane, ora suonano invece loro i giornali. Dice che se Nicotera, è tollerato finché si qualifica barone di Nicastro, non lo può essere quando si vuole far grande quanto Ferruccio, Vittorio Emanuele, Farinata degli Uberti e Cavour.
Tutti scoppiano in risa, e il Presidente scioglie la seduta e fa invito per il giorno 8 alle ore 9 ½.
— L’a v v. Martini prosegue il suo discorso fra gli scoppi di risa dell'uditorio,e di c e che se il Nicotera ha fatto delle rivelazioni, le deve aver fatte per la smania di far credere che l’impresa capitanata dal Pisacane fosse stata principalmente preparata da lui, poiché ii\ molte occasioni ha provato d'essere uomo loquace e vano.
Rimprovera il Nicotera d’aver insinuato che la Gazzetta fosse sussidiata a 5,000 lire al mese dal ministro Cantelli; che naturalmente queste insinuazioni dovevano irritare la Gazzetta e quindi dalla polemica passare al processo.
— Si dà lettura all'interrogatorio Ajossa, il quale dice che venne a sapere dello sbarco di Sapri da informazioni anteriori, e non per mezzo di rivelazioni Nicotera. Interrogato che cosa pensasse del documento pubblicato dalla Gazzetta (vedi pag. 89) firmato Pacifico, lo dice in parte erroneo, in parte falso, in parte immaginario, dichiarandone perciò infondato e senza valore il contenuto. Dopo il processo di Salerno, dichiara di non aver avuto relazione alcuna col Nicotera.
In seguito parlarono gli avvocati De Notter, Bottari, Roncalli e Mariotti, tutti della difesa, sostenendo che nella pubblicazione dell’autobiografia mancano gli estremi del delitto.
— La difesa avverte che avrebbe dovuto parlare l'avv. Spirito, e trovandosi questi indisposto, fa istanze onde si rinvìi all'indomani il dibattimento. Il Presidente accorda.
11 e 12 gennaio. — Parlano gli avvocati Minucci e Andreozzi della difesa. Sostengono sempre che nella pubblicazione dell’autobiografia mancano gli estremi del delitto. Ricordano le parole di Nicotera al banchetto di Torino, le insinuazioni che la Gazzetta avesse percepito ad un sussidio governativo. Dette insinuazioni erano una provocazione alla quale la Gazzetta rispose pubblicando in buona fede l’autobiografia, sicura di rendere un servigio al paese e di combattere un ministro che riteneva fatale ai destini d’Italia. Convengono ad ammettere che tale pubblicazione fu anche per rispondere alla provocazione, e quindi esservi compensazione, fra le due parti, d’ingiurie. Sostengono altresì che il Nicotera in processo ha abusato del suo potere di ministra; che per procedere contro Bastiano Visconti doveva porsi ad eguale posizione di questi, e non tenersi e presentarsi al Tribunale quale S. E. il ministro dell'Interno, ma bensì che doveva presentarsi quale privato cittadino, e che allora sarebbe stato più agevole lo difendere il Visconti; ma, esclamano, come difendere un povero gerente che non ha potere alcuno, come difenderlo contro un ministro che abusa del suo potere in odio a questo povero capro espiatorio?
— Luciani, procuratore dell’onorevole Nicotera, chiarisce che questi sta in giudizio come privato cittadino e non quale ministro, come insiste la difesa.
Serio passa in esame l’autobiografia, e dichiara che la pubblicazione non può essere stata fatta in buona fede.
Rossi e Paolella ripetono i fatti di Sapri ed ancora una volta provano non esser stato il Nicotera un traditore, ma bensì un uomo pieno di coraggio, poco curante della propria vita per salvare i suoi compagni.
Vestarini-Cresi esibisce un numero della Gazzetta ove si parla del discorso di Nicotera al banchetto di Torino (vedi pag. 14, ed il lettore non dimentichi che la Gazzetta ha i suoi uffici nella Capitale e si pubblica con eguale data tanto a Roma che a Firenze, perciò colle sue parole il Nicotera smascherava due giornali) che accenna ad un sussidio governativo alla Gazzetta. Ne chiede l’ammissione negli atti per dimostrare erronea la teoria della difesa, che la Gazzetta fu provocata e quindi esservi compensazione nelle ingiurie.
La difesa e il Paolella si oppongono, essendo l’articolo estraneo alla causa. L’incidente non ha seguito.
— Vestarini-Cresi (P. C.) pronuncia un’orazione abbastanza vivace ma giusta, contro le teorie della difesa. Andreozzi, Minucci, Pelosini ed altri abbandonano l’aula. Resta il solo Lopez.
Vestarini, accennando all'asserzione d’essere calunnia quanto disse il Nicotera circa il sussidio che la Gazzetta avrebbe percepito, invita la difesa a ritirare una tale affermazione, per evitare uno scandalo.
Lopez dichiara di non poter rispondere, essendo assenti i suoi colleghi.
Vestarini replica che la difesa è solidale, ed insiste perchè essa ritiri l’affermazione.
Lopez conferma che l’affermazione d’un sussidio alla Gazzetta è un mendacio, una calunnia.
Vestarini, tirando da tasca delle carte, esclama vivamente: ecco quattro lettere con cui l’on. Cantelli ordinava di pagare il sussidio alla Gazzetta!
Il Presidente interrompe l’oratore togliendogli la parola. Il pubblico applaude Vestarini. Giannelli, redattore della Gazzetta, dal banco dei giornalisti si lascia sfuggire delle parole... da Gazzetta.
I membri del Tribunale si ritirano e i carabinieri fanno sgombrare la sala.
Poco dopo si riapre l’udienza.
Lopez vuole che si uniscano agli atti i documenti Vestarini.
Presidente si oppone e dichiara esaurito l’incidente.
La sera stessa, il giorno di presso e per una settimana intera i giornali d’ogni colore e formato s’occuparono degli scandali, come piacque nomarli, di questo processo. Il signor Pancrazi mandò un telegramma all’ex ministro Cantelli, invitandolo a dichiarare pubblicamente se l a Gazzetta fosse stata sussidiata o no; l’onorevole Cantelli s’affrettò smentire le asserzioni Vestarini-Cresi, ritenendo che i documenti riservati del suo ministero fossero, a seconda de' suoi ordini, stati distrutti ma a contraddirlo vennero i documenti autentici in possesso del Vestarini; eccoli, essi sono una prova di più che quando scrivevamo il nostro capo I non scrivevamo a caso, cosi pure tutti gli articoli da noi pubblicati nel giornale Scacciapensieri.
Ministro dell’Interno.
Gabinetto. | Roma, 30 gennaio 1875. |
Oggetto. Invio di somma.
Dalla Cassa di questo Ministero le sarà inviato un vaglia pel tesoro per la somma di L. 5000. Prego la S. V. di rimettere tale somma alla Direzione della Gazzetta d'Italia.
Il ministro G. Cantelli.
Ministro dell'Interno.
Gabinetto. | Roma, 18 giugno 1875. |
Invio di somma.
H o disposto che dalla Cassa di questo Ministero le sia inviato un vaglia del tesoro per L. 6000 e prego la S. V. di consegnare tale somma al Direttore della Gazzetta d'Italia.
Il ministro G. Cantelli.
Il sig. Prefetto di Firenze.
Ministro dell’Interno.
Gabinetto. | Roma, 16 novembre 1875. |
La prevengo che ho disposto che dalla Cassa di questo Ministero le sia inviato un vaglia del tesoro per L. 5,000; e la prego di voler consegnare tale somma al Direttore della Gazzetta d’Italia.
Il ministro G. Cantelli.
Il sig. Prefetto di Firenze.
Luogo del timbro-scudo di Savoia
Leggenda.
Il ministro dell’Interno.
Roma, 15 marzo 1876.
Riser v ata. Invio di somma.
Dalla Cassa di questo Ministero le verrà quanto prima inviato un vaglia del tesoro per lire diecimila. Prego la S. V di voler consegnare tale somma al Direttore della Gazzetta d’Italia.
Il ministro G . Cantelli.
N. B. — Nell’angolo superiore a sinistra di questo documento si leggono di diverso carattere le seguenti parole in linea verticale: Copia della ricevuta — «Firenze 19 marzo. «Il sottoscritto dichiara d’aver ricevuto L. diecimila.»
C. Pancrazi.
Dopo queste prove, altri, al posto del signor Pancrazi, avrebbero con maggior decoro e spirito messa, come si suol dire, la berta in seno; egli è vero però che troppo arditamente la Gazzetta ba voluto dichiarare calunniatori sfacciati, giocolieri, mezzani, Luciani della stampa, coloro che le rinfacciavano il sussidio; ma neanche per questo poi avere il coraggio di farsi credere confidente del ministro dell’interno, piuttosto di convenire di aver percepito al sussidio... Eh via! signor Pancrazi, valeva la pena di dichiarare un giorno, prendendo quasi le difese di Fanf u lla, che non era vergognoso il ricevere un sussidio da un partito per il quale si è sempre lavorato? Ne valeva la pena per trovarvi poi a questo passo?
In tale stato di cose, il signor Pancrazi nulla volle lasciare d’intentato; mandò telegrammi a tutti, ed il Sella, con lodevole franchezza, gli rispose:
«Ove dovessi intervenire in questioni sollevate dalla Autobiografia, non potrei che deplorarla profondamente e riprovarla altamente» (17 gennaio).
Intanto al Tribunale proseguirono le udienze sino al giorno 25. Parlarono della parte civile vari altri fra i quali l’onor. Pessina, che s’ebbe il plauso anche dagli stessi avversari. L’avv. Andreozzi ritirossi eroicamente dalla difesa, dimostrando che accettando il mandato del Bastiano Visconti, aveva fatto per ridere.
L’avv. Spirito, che forse si aveva ragione di ritenerlo in un letto per grave malattia, tornò nell’aula a dar prova di spirito, dichiarando che aveva trovato necessario di fingere un’indisposizione per ben studiare la sua parte.... ed ebbe ragione d’ asserire ciò, che l' arringa sua fu una brillantissima parodia... d’uno dei più drammatici episodi della storia.
Ancora una volta si ritornò sulla questione del cifrario della Nota Campioni, ancora una volta si travisò e si rivendicò una pagina di storia; ed una volta di più si provò la malafede della Gazzetta.
Finalmente il 26 gennaio si terminava questo clamoroso processo, ohe passando alla storia ricorderà pur sempre le miserie di un partito altre volte stimato; d’un partito al quale appartengono ancora uomini di cuore e di merito che vanno distinti, rispettati, poiché tutti non si debbono giudicare dalle azioni di individui che male compresero il loro mandato, e rispetto ai loro compagni ed in faccia ai bisogni del paese. Speriamo che non tardi a sorgere il giorno in cui quelle poche individualità, degne ancora d'affetto e di stima, senza cangiar fede, sciolgano quel nodo fatale che li avvincono ad uomini che se non ristettero dal compromettere un intero partito, soli debbono sopportare l’onta del voluto rossore.
Ecco la sentenza, la lettura della quale durò, due ore.
Il Tribunale condannò il gerente della Gazzetta d'Italia a due mesi di carcere, a cinquecento lir e di multa, oltre alle spese, ai danni verso la parte civile, e alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta.
Alla sera ebbe luogo in Firenze un’ imponente dimostrazione, nonostante fosse pessimo il tempo una folla di cittadini con bandiera e banda si recarono sotto il palazzo del Prefetto gridando: Viva Nicotera! Abbasso la Gazzetta d'Italia!
I considerando della sentenza, non sono che la ripetizione della verità dei fatti, come noi li biamo esposti nel nostro primo Capo.
Ed ora ci si permetta un’ultima parola:
Pubblicando l'autobiografia (vedi pag. 17), la Gazzetta ha chiesto: «Ma chi è Giovanni Nicotera?» ed essa stessa, con ributtante cinismo, rispose: «Giovanni Nicotera è un traditore, un codardo, un avventuriero che si è appropriato il titolo di barone, un uomo che non può dire con quali mezzi abbia vissuto dal 1860 al 28 marzo 1876.»
A quest’uomo la Gazzetta assimilava quelli della nostra Assemblea, colle parole: «La nuova Camera italiana sarà quale egli ha voluto che sia, una collezione d’uomini fatti ad immagine e similitudine sua.»
Ed oggi che fi nalmente è provato come la Gazzetta per vendicarsi del rifiutato sussidio, abbia mentito calunniando G. Nicotera, travisando una pagina d i storia; oggi che sappiamo ch’essa percepiva ad un sussidio, e che le prove stanno sott o i nostri occhi, vorremmo domandarle:
— Qual era il vostro scopo nell’accusare di tradimento di fellonia l’Eroe di Sapri, l’assimilargli gli uomini della nostra Assemblea?…
FINE.
* [NdR] (Ornithologie) Synonyme d’engoulevent d'Europe (oiseau). "Les chèvres se laissent téter aisément, même par les enfants, pour lesquels leur lait est une très bonne nourriture; elles sont, comme les vaches et les brebis, sujettes à être tétées par la couleuvre et encore par un oiseau connu sous le nom de tète-chèvre ou crapaud volant, qui s'attache à leur mamelle pendant la nuit, et leur fait, dit-on, perdre leur lait. — (Georges-Louis Leclerc de Buffon, Histoire naturelle des animaux, «La Chêvre», in Œuvres, Bibliothèque de la Pléiade, 2007, page 615)
https://www.lalanguefrancaise.com/
(1) Qui pare che il libellista voglia far credere che l’onorevole Cantelli si fosse occupato dei fatti di Sapri, e di cercare notizie e documenti sulla condotta tenuta da, Nicotera |n quel processo. — Ma ciò non è vero, è solo detto, così in modo allusivo perchè il lettore abbia a credere che quanto il libellista narra sia stato tolto da quel Libro nero, che s’a f fretta però a spargere il dubbio che sia o possa essere distrutto dal Nicotera.
(2) Il lettore trovando simili chiamate è avvertito che corrispondono al verbale di querela del Nicotera.
(3) Vedi a pagine 27-28.
Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura! Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin) |
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