GLI AVVENIMENTI D’ITALIA DEL 1860CRONACHE POLITICO-MILITARI DALL’ OCCUPAZIONE DELLA SICILIA IN POI________________ VOLUME I. - 01B ________________ VENEZIA PREM. TIPOGRAFIA DI GIO. CECCHINI EDIT. 1860 |
I.
Gli avvenimenti di cui ora imprendiamo a trattare e di cui gli Stati pontificii furono il teatro, esigono che diamo alcuni ragguagli sul territorio di quegli Stati, come abbiamo fatto parlando degli avvenimenti della Sicilia e del Napoletano.
Prima della guerra d’Italia del 1859 gli Stati della Chiesa erano divisi in quattro Legazioni, più il circondario di Roma.
La prima comprendeva la Provincia di Bologna, Ferrara, Fori! e Ravenna; codeste Provincie costituivano quella parte che si chiamava le Romagne. Vittorio Emanuele nel 1859 \€ ha unite ai suoi Stati.
La seconda Legazione si compone delle Provincie d’Urbino, Pesaro, Macerata, Loreto, Ancona, Fermo, Ascoli e Camerino. Codesta parte degli Stati pontifici!, designata comunemente col nome di Marche, confina al nord colle Romagne, all'est col mare Adriatico, ai sui col Regno di Napoli, all'ovest colla Toscana e colle Provincie di Spoleto e di Perugia. Essa divide dunque le Romagne dagli Stati napoletani.
La terza Legazione è formata dalle Provincie di Spoleto, di Perugia e di Rieti. Le due prime corrispondono all'Umbria. La città di Foligno, di fatti, nella Delegazione di Perugia, è il Fulginium degli antichi, città principale dell'Umbria.
La quarta Legazione comprende le Provincie di Velletri, Frosinone e Benevento; quest’ultima interchiusa nel Principato Ulteriore del Regno di Napoli.
Il circondario di Roma, finalmente, posto sotto un Governo speciale, è formato di questa capitale, di Viterbo, d’Orvieto e di Civitavecchia, una delle più piccole Provincie amministrative degli Stati romani, composta di un solo distretto; ma essa forma un punto di commercio importante sul Mediterraneo.
II.
La: Provincia di Bologna confina al nord: della Provincia di Ferrara, all’est con quella di Ravenna, al sud colla To scana, da cui è divisa mercé gli Apennini, ed all’ovest eoi Modenese. La sua superficie è di 185 leghe quadrate. È irrigata dal Reno e dal Panaro, dal Quaderno, non che da una. quantità di banali e torrenti, ha campagne deliziose e fecondissime di frutti, vini, grani, gelsi e principalmente di canape. Popolazione 325,042.
La città di Bologna, che ne è la capitale, secondo gli antichi autori, fu fabbricata da Toscani, costituendola capitale delle dodici città che i Toscani possedevano nella Lombardia, da dove furono scacciati dai Galli, al tempo dei Tarquinii, e questi finalmente dai Romani, che vi condussero una colonia.
La sua università, instituita fino dal 1116, fu per varii secoli una delle più famose del mondo e vi si contarono fino a 12030 studenti di ogni nazione. É patria di sei Sommi Pontefici e di oltre a 80 cardinali e di una infinità di uomini illustri nelle scienze, nelle arti, nelle lettere e nelle armi.
La Provincia di Ferrara confina al nord col Lombardo-Veneto, all’est coll'Adriatico, al sud colla Provincia di Ravenna ed all’ovest con quella di Bologna e col Modenese. Ha la superficie di 140 leghe quadrate. Il suolo, bagnato dal Po e da altri piccoli fiumi, è nella maggior parte basso e paludoso; abbonda però di pascoli e di cereali. Popolazione 176,000.
La città di Ferrara, capitale della Provincia, quantunque non sia delle città più antiche d’Italia, però è una delle belle ed illustri. Si dice che per ordine dell’imperator Maurizio l'esarca Smaragdo la facesse circondare da mura nel 585. L’imperatore Federico II fondò in essa un’università, per dispetto dei bolognesi, che tenevan le parli del Papa. Questa università fu ampliata nel 1390 da Alberto marchese di Ferrara, e contiene i manoscritti del Tasso, dell’Ariosto, del Guarini, ecc. Fu patria di moltissimi uomini insigni nelle scienze, nelle armi e nelle lettere, tra i quali il Savonarola Domenicano, il Felino giureconsulto e vescovo di Lucca, il cardinale Bentivoglio, il Verato, il P. Riccioli matematico.
La Provincia di Forlì ha per capitale Forlì detta in latino Forum Livii, che riconosce per suo fondatore Livio Salinatore console romano, il quale la fabbricò un miglio lontano dalla Via Emilia, pei suoi soldati invalidi, dopo la disfatta di Asdrubale.
Oltre il poeta Cornelio Gallo, nacquero in questa città Guido Bonato, astrologo, Ranieri Arsendi maestro di Bartolo, Giacomo Bono filosofo e medico, Flavio, Biondo storico.
La Provincia di Ravenna confina al nord con quella di Ferrara, al sud con quella di Forlì, all'est coll'Adriatico ed all’ovest colla Provincia di Bologna. La sua superficie è di 43 miglia geografiche quadrate. Il suolo è fertile, ma in alcune parti malsano. Popolazione 123,000.
La città di Ravenna, capitale della Provincia, è una delle più antiche città d’Italia, fondata, come vogliono gli antichi, autori, dai popoli di Tessaglia più secoli avanti Fera volgare. I Romani, dopo averla acquistata, la conservarono fino alla declinazione deir Impero, anzi gli imperatori Onorio e Valentiniano vi dimorarono lungo tempo. Odoacre re degli Eruli la prese nel 476, ma ne fu scacciato da Teodorico re degli Ostrogoti, ponendovi la sede del suo impero, che durò 70 anni. Claudio Cesare nobilitò assai Ravenna edificandovi un gran ponte di marmo e facendovi la torre altissima detta il Faro. Giulio Cesare vi stanziò un’armata navale per la difesa dell’Adriatico. Attualmente vi è appena qualche vestigio di quell’antico porto, essendosi il mare assai ritirato e la campagna divenuta paludosa, che rende Faria poco sana. Valentiniano III, Tiberio 11 e Teodorico re degli Ostrogoti, quando la fecero sede del loro impero, la ornarono di superbi edifizii e l’arricchirono delle spoglie delle altre provincie, ed anche attualmente vi si vedono alcune chiese e fabbriche dai medesimi erette. Tra i suoi monumenti distinguonsi il mausoleo di Teodorico e la tomba di Dante.
Cesena, altra città di questa Provincia, era città de’ Galli Sennoni. Si vede ancora sulla montagna il castello fabbricato dall'imperatore Federico II. Si ritiene che questa città sia antica, ma non si ha alcuna memoria della sua origine.
Imola, altra città di questa Provincia, era il Forum Cornelii ed è la prima città considerabile che s’incontri nella via Flaminia dopo Bologna. Le viene dato Cornelio Silla per fondatore ed i Latini la dichiararono città di commercio. Narsete la distrusse nel 500, ma i longobardi la risarcirono e le diedero il presente nome. Questa città produsse grandi uomini in lettere e in armi, come S. Pier Grisologo arcivescovo di Ravenna, Onorio II papa, Benvenuto glossatore di Dante, Giovanni da Imola, Alessandro Tartagni celebre dottore, e Marcantonio Flaminio poeta.
Faenza, altra città di questa Provincia, è separata dai suoi sobborghi dal fiume Lamona. Totila, re de’ Goti, e Federico I e II imperatori l’hanno distrutta, ma i Manfredi, che poco dopo se ne impadronirono, la ristaurarono. È patria di varii uomini illustri, tra i quali Vincenzo e Dionisio Nadi celebri nelle armi, i cardinali Spada, Galmini ed altri, e del celebre matematico Torricelli.
Rimini altra città di questa Provincia, è assai antica, ed anche attualmente si vedono in essa molte antichità. Fuori della porta Romana chiamata di S. Bartolomeo si vede il bellissimo Arco d’ordine corintio innalzato dal Senato ad Augusto per aver fatto ristaurare quattro delle più celebri strade d’Italia.
Alla porta di S. Giuliano sopra il fiume Arimino, ora detto volgarmente la Marecchia, v’è un ponte di marmo fabbricato dagl’imperatori Augusto e Tiberio. Si vedono pure gli avanzi dell’anfiteatro di Bruto e la tribuna di Giulio Cesare. Rimini era riguardata come città dipendente immediatamente da Roma, giacché al di là del Rubicone cominciava la Gallia Cisalpina, la quale aveva il suo particolar governatore. Terminava in essa la via Flaminia e qui aveva origine la via Emilia. In questa città sono sepolti Bastaio poeta, Giusto de’ Conti poeta, Temistio Bizantino filosofo, e Roberto Volturio celebre pei suoi dodici libri re militari.
La Provincia di Urbino è in parte formata dall’antico ducato d’Urbino, della superficie di 150 leghe quadrate. Il suolo è molto sterile e l’aria insalubre. Popolazione 160,000.
Urbino, capitale della Provincia, giace sopra un monte assai alto. Fu nei primi secoli municipio dei Romani, ma i Goti, che se ne impadronirono in seguito, la tennero lungo tempo. Urbino, riacquistata la sua libertà, si governò da sé sino ai tempi di Bonifacio VIII. È patria di Raffaello.
Fano, altra città di questa Provincia, è una bella città detta anticamente Fanum Fortume e si vedono ancora le rovine del tempio della Fortuna. Venne fatta colonia da Augusto, al quale gli abitanti eressero un Arco trionfale, che durò sino al tempo di Pio II. Le sue mura furono ristaurate da Costante e Costanzo. Vi si trovano molti antichi marmi ed iscrizioni, che ricordano molte delle sue antiche fabbriche. Vicino a questa città è il luogo ove M. Livio Salinatore e Claudio Nerone console vinsero e uccisero Asdrubale fratello di Annibale, dopo aver disfatta la sua armata, come pure v’è il campo di battaglia ove Narsete vinse Totila re de’ Goti.
Fossombrone, altra città di questa Provincia, delta dagli antichi Forum Sempronii, non conserva avanzo alcuno d’antichità tranne le reliquie di un antico teatro e un bel pavimento a mosaico. Fuori della città vedesi la via Flaminia aperta a forza di scarpello entro il monte e capace per la sua larghezza dei carri. Quest'apertura chiamasi dalla popolazione Furio, forse pei Foro. È un’opera romana. V'è una iscrizione attualmente molto consumata. Sopra parte di quella via si vede una volta cavata nello stesso sasso, aita e larga dodici passi.
La città di Cagli fu edificata dai Romani alle falde del monte Petrano, facendola colonia. Distrutta dai barbari Ottone IV la ristaurò. Sopra il fiume Boaso v’è un ponte di pietra di meravigliosa grandezza ed opera romana. Qui vicino v’è il Castello di Candiano fabbricato sulle rovine di Luceola, città distrutta da Narsete nella sconfitta che diede ad Eleuterio, che si arrogava il nome d’imperatore.
Sinigaglia, altra città della stessa Provincia, fu edificata da’ Galli Sennoni, dai quali passò municipio de’ Romani. È ora celebre per la sua fiera, ch'è delle più considerabili d’Europa.
Gubbio, o Eugubio, città antichissima, detta Iguvium dagli antichi, conserva ancora le antiche rovine. Fu creata municipio de Romani l’anno 604 di Roma. Nel palazzo pubblico si vedono le celebri tavole eugubine di metallo in numero di sette, alcune delle quali scritte in lingua etrusca ed alcune altre in lingua pelasga.
La Provincia di Pesaro ha Pesaro per capitale, un tempo detta Pisaunim. Fu fondala dai Romani 120 prima dell’era volgare, allo sbocco del Foglia, piccolo fiume latinamente detto Isaurus. Venne distrutta da Totila re de’ Goti e ristaurata da Belisario. È patria di molti uomini illustri, tra i quali il marchese di Guidobaldo del Monte matematico, Simone de Poetis e Mangilio legisti, Giovanni Battista Zunchi e Bartolommeo Giordani capitani, Perticari e Rossini.
La Provincia di Macerata è posta tra quelle di Ancona e di Fermo, gli Apennini e l’Adriatico, della superficie di 60 leghe quadrate. Giace in bella situazione sparsa di monti e di colline e bagnata dal fiume Chienti, Potenza e da altri minori. Dà abbondevole prodotto di grani, fruita, olio e vino. Popolazione 197,400.
Macerata, sua capitale, è situata sopra amena collina, ed al basso della città passa il fiume Chienti, che discende dagli Apennini.
La Provincia di Loreto ha per capitale Loreto situata sopra un’amena collina, in riva al mare. Vogliono che il suo nome sia derivato dagli allori che prima della fondazione della città coronavano questo colle. È celebre per la Santa Casa, che vi esiste in una magnifica chiesa assai frequentata da pellegrini.
Recanati, altra città di questa Provincia, sopra una bella collina, anticamente detta Helvia Retina, colonia romana fondata dall’imperator Settimio Severo. Fu distrutta dai Goti. Tra Recanati e Macerata nella pianura si vedono alcune vestigia delle antiche fabbriche e di un teatro alla sponda di un fiume, che chiamasi Potenza.
La Provincia di Ancona, che confina al nord ed all’ovest coll’Urbinate e coll’Adriatico ed al sud colla provincia di Macerata, ha la superficie di 52 leghe quadrale. Popolazione 148,000.
Ancona, capitale di questa Provincia, vuolsi di origine greca, come dimostra il suo nome, che significa un cubito umano, essendo situata alla punta di un promontorio, che avanza nel mare come un cubito. Secondo Plinio e Strabone, fu fondata dai siracusani che fuggivano dal tiranno Dionisio, onde Giovenale la chiama città dorica. Non si sa precisamente quando fosse colonia romana; ritiensi con verisimiglianza che ciò seguisse dopo la guerra de’ Tarentini, che precedè la prima cartaginese. Passò dal dominio de’ Romani e de’ barbari in mano di Ottone IV. Il superbo suo molo, che fu costrutto sotto Traiano e sul quale esiste un bell’Arco di marmo bianco dedicato a quest’imperatore, è largo 1000 piedi e lungo 2000. L’ angusto ingresso del porto è difeso da batterie e da una cittadella che venne fatta costruire da Clemente VII per premunire la città contro le incursioni dei pirati.
La Provincia di Fermo confina al nord est con quella di Macerata, all’est coll’Adriatico, al sud colla provincia discoli, all’ovest con quella di Camerino, sulla superficie di 40 leghe quadrate. È intersecata dagli A pennini e la irrigano i fiumi Chienti, Tenna, Leta, Àso, ecc. Abbonda di frumento, mais, seta, cera, mele e bestiame. Popolazione 8,900.
Fermo, sua capitale, era anticamente chiamata Firmum. È patria dei due cardinali Azzolini e di Lattanzio.
La provincia di Ascoli confina al nord con quella di Camerino, all’est coll’Adriatico, all’ovest col regno di Napoli ed all'ovest colla Provincia di Spoleto.
Occupa la superficie di 40 leghe quadrate. Il suolo è molto fertile e l'aria salubre. Popolazione 69,000.
Ascoli, sua capitale, ha molte fabbriche tutte formate di gran pietre quadrate, e in essa vi sono ancora di belle torri fabbricale quando la città si governava colle sue leggi. È la patria di Nicolò IV.
La provincia di Camerino confina al nord con quella di Macerata, all’est con quella di Fermo, all’ovest con quella di Perugia ed al sud coll’altra di Spoleto. Occupa una superficie di 60 leghe quadrate. È bagnata dai fiumi Tenna, Chienti e Potenza ed ha un territorio molto fertile. Popolazione 42,000.
Camerino, sua capitale, ha un’università e qualche buon edilìzio.
La Provincia di Spoleto e posta tra le Provincie di Viterbo, Rieti, Fermo e Perugia. È sparsa di molle paludi, che ne rendono l'aria malsana, ma abbonda però di grani, olio, frutta e vino.
Spoleto, sua capitale, città antica dall’Umbria, giace sopra una collina. Dai Romani passò in dominio dei Longobardi e Longino esarca la fece capo di ducato, dopo avérne discacciato Piarsele, titolo che continuò ad avere fino all'anno 1198. In essa si vedono ancora varie vestigia della sua antica magnificenza e tra le altre le rovine di un teatro e del tempio della Concordia, gli acquedotti, la rocca e il ponte di pietra sostenuto da 24 pilastri di non ordinaria grandezza. Vi sono gli avanzi di un suntuoso palazzo edificatovi dal re Teodorico, poi distrutto dai Goti, indi ristaurato da Piarsele. Sussiste ancora nn Arco chiamato la porta d’Annibaie. Nella cattedrale è sepolto Filippo Lippi celebre pittore morto nel 1438.
Amelia, città di questa Provincia, altre volte, è distinta per Roscio Amerino difeso da Cicerone.
Foligno, altra città principale dell'Umbria, è stata fabbricata sulle rovine dell'antico Forum Flaminii distrutto dai Longobardi nel sesto secolo. Fu quasi demolita dai Perugini nel 1282.
Spello, due miglia lontano da Foligno, dagli antichi detto Hispellum, conserva molte rovine ed antichità.
Terni, città nella Provincia, un tempo chiamata Thferamna per essere situala tra i due bracci del fiume Nera, è la patria di Cornelio Tacito e degl’imperatori Tacito e Floriano.
Narni, altra città della Provincia, patria dell’imperator Nerva, è situata sur un monte vicino ad alcuni dirupi. Fuori della città si veggono alcuni frammenti di grand’archi, i quali reggevano un ponte innalzato sul Nera. Le pietre sono congiunte insieme con alcuni perni di metallo. Un arco non intero, che vi resta attualmente, è largo 200 piedi ed alto 130. Da questo avanzo si può formarsi un'idea di quel magnifico edilizio. Narni fu una delle dodici città che assistettero Annibale contro i Romani, detta anticamente, nome che vuolsi derivato dalla contrarietà mostrata ai Romani. Poco lungi da Narni si veggono le rovine dell'antico Ocricolum ove si ammirano i residui di un antico teatro.
La Provincia di Perugia trovasi fra Città di Castello, Spoleto, Urbino, Orvieto e la Toscana. È bagnata da un lago del suo nome, nonché dal Tevere e dà abbondevole prodotto di grani, vini di stupenda qualità. Popolazione 182,000.
La capitale Perugia fu detta un tempo Colonia Pertuia. Risplendé multo ai tempi de’ Romani, avendo sopportato un lungo assedio nei seguire le parti di Antonio, ed uno più lungo ancora per difendersi da Totiila re dei Goti, che, avendola finalmente presa, la rovini Narsete h riedificò, e nuovamente occupala dai Longobardi, ricuperò la libertà colla distruzione di questi ultimi. Ha un’antica università, in cui vi lessero diritto civile i primi dottori, quali Bartolo e Baldo nativo di quella città. È inoltre patria di molti uomini illustri, tra i quali il famoso Perugino, le cui pitture formano le maggiori singolarità del paese.
Bevagna, città non lungi da Perugia, detta in latino Aferama, credesi patria del poeta Properzio.
Assisi, altra città della Provincia, detta dai Romani Assisium, forse dal piccolo fiume, che poco lontano le scorre. Ha molti avanzi d’antichità. Fu illustrata da due grandi luminari dell’ordine serafico, S. Francesco e S. Chiara. È pure patria di Metastasio.
La Provincia di Rieti è formata d’una parte della Campagna di Roma, della superficie di.50 miglia quadrate e di un suolo bastantemente ubertoso. Popolazione 66,000.
La sua capitale Rieti è città molto antica ed illustre, detta dai Romani Reale. È patria degl’imperatori Tito e Vespasiano.
La Provincia di Velletri ha per capitale Velie tri, già detta Felitrae, presso le Paludi Pontine. È patria di Augusto.
La Provincia di Frosinone ha Frosinone per capitale, città motto decaduta sul Busa. È patria de' Sommi pontefici Ormisda e Silverio.
Sezza, altra città della Provincia, già Setia o Setinum, capitale de’ Volsci, conserva gli avanzi di un antico tempio di Saturno. Vicino a questa città, v’è Abbadia di Fossa Nuova, ove morì S. Tommaso d’Aquino.
Terracina, altra città della Provincia, anticamente detta Anxur, fu celebre tra i Volsci e tra i Romani pel tempio di Giove, del quale si ammira ancora la facciata, sostenuta da. grosse colonne di marmo. Non lungi da questa città v'è un bel ponte, opera romana, sopra il fiume Novo, anticamente Amasenus, dove si entra nella via Appia, della quale ancora si ammirano gli avanzi, che conducono a Terracina. È patria di Galba.
La Provincia di Benevento è interchiusa nel Principato Ulteriore del Regno di Napoli, della superficie di 70 leghe quadrate. Il suolo, irrigato dai fiumi Calore e Sabato, è assai fertile e il paese fa gran traffico di bestiame. Popolazione
La capitale Benevento, antica città, già colonia dei Romani, ebbe i suoi proprii principi longobardi e normanni. Conserva preziosi avanzi di antichità. Vuolsi che il celebre giureconsulto Papiniano abbia avuto i natali in questa città.
La Comarca di Roma e le Delegazioni di Viterbo e Civitavecchia occupano una superficie di 235 miglia quadrate geografiche italiane, che comprende 5 distretti,36 governi e 130 comuni. Dal confine toscano, questo territorio segue la sponda destra del fiume Chiana fino al confluente del medesimo nel Tevere; poi segue il Tevere fino a, monte Libretti, e di li, con una linea quasi retta, giunge a Subisco; da quest'ultima città, con un confine irregolare, toccando quasi il suburbio di Velletri, che resta escluso, discende fino al mare in prossimità di Porto (f Anzio.
È popolata da 467,000 abitanti, divisi come segue: Roma e Comarca 320,000; Viterbo 122,000; Civitavecchia 25,000.
Il Circondario di Roma, che ha Roma per capitale, antica e celeberrima città dominatrice un tempo del mondo allora conosciuto. Lunga opera sarebbe tracciar qui la storia di questa città capitale degli Stati ecclesiastici, nonché di tutto Torbe cattolico. D'altronde essa è da tutti conosciuta. Tra gli antichi monumenti ed edifizii noteremo soltanto i seguenti: il Panteon: il Colosseo; il Sepolcro d'Adriano, ora Castel Sant9 Angelo; il mausoleo d'Augusto; la colonna Trapana; la colonna Antonina; il Campidoglio; i templi di Giove Stratore, di Giove Tonante, della Concordia, della Pace, del Sole, della Luna, di Antonino, di Faustina e di Pallade; le terme di Tito, di Diocleziano, di Caracalla; gli archi trionfali di Settimio Severo, di Tito, di Costantino, di Nerone, di Druso; le ruine di un teatro di Pompeo, del Foro Trajano, oltre ad una infinità di obeleschi, di colonne, di statue, ecc. Fra i moderni edifizii primeggiano il Vaticano, soggiorno ordinario dei Sommi Pontefici, che contiene 11,000 stanze; la chiesa di San Pietro, ch'è la più bella e la più vasta del mondo; quelle di San Giovanni Laterano, di Santa Maria Maggiore, di San Paolo, di San Lorenzo, di Sant'Andrea della Valle, di Sant'Ignazio, ecc.; i palazzi di Monte Cavallo, Colonna, Aldovrandi, Farnese, Doria, Giustiniani, ecc.; le magnifiche ville de' Medici, Mattei, Negro Ludovisi, Albani, ecc.; il museo, la galleria e la biblioteca del Vaticano; la galleria ed il museo del Campidoglio; molte sontuose piazze, fontane, ecc.
Viterbo è città la cui antichità e molto contrastata. Alcuni vogliono che sia il Forum, ed altri che sia
formata colle ruine de' paesi circonvicini e particolarmente di Toscanella, ne' tempi a noi più vicini.
Orvieto, città ad un tempo potente, ricoverò molti Sommi Pontefici, in cui ottennero sicuro asilo.
Civitavecchia, altra volta chiamata Centum Cellae, fu quasi distrutta dai Saraceni e di nuovo edificata da Leone IV in luogo più opportuno e per ciò detta Leopoli. Il suo porto fu edificato dall'imperatore Traiano, e dopo distrutto, fu riedificato da Pio IV, ed è l’emporio di Roma e la chiave del commercio di tutto lo Stato coll’occidente.
I.
Non è del nostre assalito indagare i motivi che indussero il Governo piemontese ad occupare gli Stati pontifici! e solo accenneremo ciò che i giornali dissero in argomento, senza però voler dividerne con essi la responsabilità.
Il re Vittorio Emanuele, dicevasi, si determinò ad entrare negli Stati pontificii perché vedovasi la necessità di moderare l'azione di Garibaldi e d’invigilare ch'ei non fosse travolto dalle passioni politiche che gli s'agitavano d’intorno. E di fatto, dalla pubblicazione di un manifesto di Mazzini, da parte del suo giornale l'Unità, e da una risposta del giornale ministeriale l'Opinione risultava che una spedizione contro gli Stati romani era stata ideata da Mazzini e che il Governo piemontese vi si oppose impedendo la partenza dei volontarii, perch’egli non trovava in Mazzini le medesime guarentigie di devozione al re Vittorio Emanuele e di rispetto per le istituzioni costituzionali che in Garibaldi. Quando il Governo sardo ebbe acquistata la certezza che i capi ordinavano quella forza con intendimenti, cui la maggior parte di quelli ripugnava, sotto influenze perniciose,
coi propositi del Mazzini, chiaramente espressi nelle sua risposte alla circolare del ministero Farini e con una bandiera che non poteva essere secondo le ultime dichiarazioni del sig. Pianciani, ma che non era la bandiera dello Stato, allora il Governo, colla sicurezza di compiere un dovere pel bene inseparabile del Re e della patria, impose la sua volontà e la fece rispettare.
II.
Altri giornali parimente asserivano che il re Vittorio Emanuele si decise di porsi alla testa del movimento unitario in Italia per non essere soverchiato per gli opposti partiti, ma altri asserivano che il motivo che indusse quel Re ad occupare le Marche e l'Umbria era precisamente per soccorrere gl'insorti, i quali volevano scuotere la dominazione pontificia.
Dalla Nota diretta dal Gabinetto romano, ch'esporremo nel seguente capitolo quarto, n.° I, e dal Memorandum diretto alle Potenze dal conte Cavour, che parimenti esporremo nello stesso capitolo quarto al n.° V, apparisce che ambi questi motivi indussero il Re Vittorio Emanuele a spingere le soe truppe sul territorio della Santa Sede.
I
Il fuoco della rivoluzione napoletana si estese a Benevento e a Pontecorvo appartenenti allo Stato pontificio. Ai primi di settembre era ormai resa nulla l’azione del Governo; tuttavia v’era ancora un avanzo d'autorità. Ma coi moti del Principato Ulteriore anche Benevento insorse e vi si stabilì un Governo provvisorio.
Nel giorno 8 settembre nella provincia d’Orvieto successe un movimento insurrezionale; i gendarmi ed i presidii pontifici» vennero disarmati; nelle città di Pieve e Monteleone si costituì un Governo e i deputati partirono per Firenze a fine di recarsi a domandar soccorso e protezione a Vittorio Emanuele.
Nello stesso giorno gl'insorti si mossero per Fossombrone, rinunziando così all'idea di tentare un colpo di mano sopra Fano, sostenuta da forti presidii di artiglieria. In questo frattempo erasi avvisato a Pergola qualche tentativo d'insorgimento.
La gioventù di Città di Castello uscì dalla città, ed agli il settembre occupava S. Giustina e Cisterna, ove riunivansi varie colonne d'insorti.
In seguito al movimento dette truppe piemontesi verso la Cattolica e sulle frontiere toscane, si unirono truppe di insorti in quelle località.
In breve, il moto insurrezionale nelle Marche e rtelr Umbria, cominciando alla Cattolica sull’Adriatico, fóce il cohtorno della Romagna e della Toscana e scese pel Trasimeno sino a Orvieto. Scoppiò a Pesaro, internandosi nel Montefeltro fino ad Urbino e aFossombrone. Sulla frontiera toscano-umbriana, laddove Cortona guarda Perugia, il paese rimase quieto. L’insurrezione scavalcò il Trasimeno, lasciò Perugia al nord e si mostrò a Città di Pieve, a Città di Castello, a Monteleone, stendendosi a sinistra, al nord fino a Piagaro, a poca distanza di Perugia e innondò al sud fino ad Orvieto.
II.
Ai 9 settembre giunsero a Firenze, dirigendosi a Torino, i seguenti deputati delle città insorte delle Marche e delV Umbria per domandare protezione al Re Vittorio Emanuele.
Conte Francesco Toni, di Spoleto;
Barone Cesare Danzelta di Perugia;
Conte Zefirino Faini, di Perugia;
Francesco Guardabassi, di Perugia;
Conte Diego Perotti, di Terni;
Conte Ferdinando Crescili, di Ancona;
Marchese Giacomo Ricci, di Macerata;
Avvocato Pacifico Fattori, di Pesaro;
Signor Massaioli, di Urbino;
Signor Vanni, di S. Leo.
Nel giorno 11 il Re Emanuele ricevé queste deputazioni e dichiarò che il Piemonte non può negare il suo aiuto alle popolazioni pontificie, altrimenti esso dovrebbe abbandonare -i popoli ai partiti ed alle sette dell’anarchia, locché avrebbe per conseguenza un’occupazione straniera, e che l'Europa dee scegliere tra Vittorio Emanuele e la rivoluzione, tra la bandiera di Savoia e la bandiera rossa.
I.
Nel giorno 10 settembre approdava a Civitavecchia il vapore da guerra piemontese Tripoli avente a bordo il conte della Minerva, che per qualche anno fh incaricato d’affari a Roma. Il delegato di Civitavecchia non permise lo sbarco, ma il conte dimostrò il bisogno di sbarcare perché aveva importanti dispacci del suo Governò, che doveva consegnare in persona al cardinale Àntonelli. Allora fu concesso lo sbarco, ma con ordine che il conte non potesse partire per Roma fino a che non ne fosse dal delegato ' reso consapevole il Governo. Da Roma fu risposto che non si lasciasse venire il conte della Minerva perché la Santa Sede non poteva riconoscere in lui un inviato straordinario, giacché ogni relazione diplomatica era interrotta fra la Santa Sede ed il Governo sardo; che se aveva dei dispacci pel cardinale Antonelli, li consegnasse al console francese o li mandasse.
Il conte della Minerva, nel dichiarare che aveva un dispaccio del suo Governo, ne disse anche il contenuto. Il dispaccio era una Nota del conte di Cavour in data 7 settembre, del seguente tenore:
«Eminenza,
» Il Governo di S. M. il Re di Sardegna non potè vedere senza grave rammarico la formazione e resistenza dei corpi di truppe mercenarie straniere al servizio del Governo pontificio. L’ordinamento di siffatti corpi, non formali, ad esempio di tutt'i Governi civili, di cittadini del paese, ma d’ogni lingua, nazione e religione, offende profondamente la coscienza pubblica dell'Italia e dell’Europa. L’indisciplina inerente a tal genere di truppe, l'improvvida condotta dei loro capi, le minacce provocatrici di cui fanno pompa nei loro proclami, suscitano e mantengono un fermento molto pericoloso. Vive pur sempre negli abitanti delle Marche e dell’Umbria la memoria dolorosa delle stragi e del saccheggio di Perugia. Questa condizione di cose, già per sè stessa funesta, lo diviene di più dopo i fatti che accaddero nella Sicilia e nel Reame di Napoli. La presenza di corpi stranieri, che ingiuria il sentimento nazionale ed impedisce la manifestazione de voti dei popoli, produrrà immancabilmente la estensione dei rivolgimenti alle Provincie vicine.
» Gl’intimi rapporti, che uniscono gii abitanti delle Marche. e dell’Umbria con quelli delle Provincie annesse agli Stati del Re e le ragioni dell’ordine e della sicurezza dei propri Stati, impongono al Governo di S. W. di porre per quanto sta. in lui, immediate riparo:a questi mali. La coscienza del Re Vittorio Emanuele non gli permette rimanersi testimonio impassibile delle sanguinose repressioni con cui le armi dei mercenarii stranieri soffocherebbero nel sangue italiano ogni manifestazione di sentimento nazionale.
Niun Governo ha il diritto di abbandonare all’arbitrio di soldati di ventura gli averi, l’onore, la vita degli abitanti di un paese civile.
» Per questi motivi, dopo aver chiesti gli ordini di S.; M. il Re, mio augusto Sovrano, ho l'onore di significare a Vostra Eminenza, che le truppe. del Re hanno incarico d’impedire, in nome dei diritti dell'umanità, che i corpi mercenarii pontifica reprimano colla violenza l’espressione del sentimento delle popolazioni delle Marche e dell’Umbria.
» Ho inoltre l’onore d’invitare Vostra Eminenza, per i motivi sovra espressi, a dar l’ordine; immediato a disarmare e disciogliere quei corpi, la cui esistenza è una minaccia con tinua alla tranquillità dell’Italia.
» Nella fiducia che Vostra Eminenza vorrà comunicarmi tosto le disposizioni date dal Governo di S. Santità in proposito, ho l’onore di rinnovarle gli atti della mia considerazione.
» Di Vostra Eminenza,
C. Cavour.»
li.
Il re Vittorio Emanuele avverti per telegrafo l'Imperatore dei Francesi della necessità d’intervenire negli Stati romani, che le più imperiose congiunture gl’imposero. Dopo aver ripetuto all’Imperatore gli argomenti esposti nell’indirizzo al Governo della Santa Sede per giustificare tale intervenzione, il Re altri ne adduce che dice fargli una legge assoluta di far entrare un esercito nelle Marche e nell’Umbria.
Vittorio Emanuele dice ch'ei fece ogni poter suo per ristringere alla Sicilia le imprése di Garibaldi. Questi passò oltre, malgrado de’ consigli del Re; per conseguenza il Governo di S. M., e S. M. personalmente, non hanno di far assegnamento sopra un’obbedienza da parte di Garibaldi. Il prestigio di questo generale ed il suo ascendente crebbero fuor di misura; non è sicuro che, nell’ebbrezza de’ suoi trionfi, ei conservi molto religiosamente i principii monarchici, e si potrebbe temere che, in tal momento di sconsigliatezza, e’ patteggiasse con Mazzini.
Di più, Garibaldi ha formalmente dichiarato di voler andare a Roma, ad onta dell’esercito francese, che vi si trova. Il re Vittorio Emanuele misura tutta l’ampiezza delle sventure che deriverebbero all’Italia da un conflitto fra Garibaldi e l’esercito francese d’occupazione a Roma. Ei vuol quindi risparmiare all’Italia, al Piemonte, alla sua corona stessa, i tremendi ed incommensurabili pericoli di una lotta, nella quale il repubblicanismo sarebbe alle prese ad un tempo co’ principii monarchici, col Piemonte medesimo e con un esercito francese.
Un esercito piemontese dee dunque varcar il confine ed impossessarsi delle Marche e dell’Umbria. Per tal maniera, la bandiera piemontese si troverà posta, per separarle, fra la bandiera francese a Roma e quella di Garibaldi, attualmente nelle Due Sicilie.
Il re Vittorio Emanuele scongiura l’Imperatore di prendere in seria considerazione lo stato delle cose della penisola e la situazione, ollremodo difficile è penosa, del Re. Egli spera, anzi è convinto che, in qualsivoglia caso, l'aiuto dell'imperatore non sarà per mancargli.
III.
Intanto arrivò da Marsiglia a Roma un dispaccio telegrafico dell'imperatore Napoleone al suo ambasciatore, il duca di Grammont. Napoleone dichiarava che egli andava ad aumentare l'armata di occupazione a Roma a fine di proteggere la Santa Sede. Grammont, che soleva abitare Frascati, corse immediatamente a Roma, scrisse al segretario di Stato e per telegrafo rispose al suo sovrano. Così Sua Santità seppe le intenzioni dell'imperatore prima di avere la Nota del conte Cavour, mentre questa nota arrivò la sera.
Il Papa ordinò che fosse risposto alla nota del primo ministro di Vittorio Emanuele, e nella sera del 10 riuniva presso di sè i cardinali Mattei, Patrizi, Alfieri, Della Genga, Di Pietro, Marini e Antonelli, e fece leggere alla loro presenza il progetto della risposta, che venne approvato. In tale occasione fu letta anche la lettera che a nome del suo Sovrano aveva scritto l’ambasciatore di Francia, e quella che il generale Fanti scrisse al generale Lamoriciére.
La risposta al conte Cavour in data 11 settembre e sottoscritta dal cardinale Antonelli, segretario di Stato pontificio, era del seguente tenore:
«Eccellenza,
» Astraendo dal spezzo, di cui V. E. stimò valersi per tarmi giungere il suo foglio del 7 corrente, ho voluto con tutta calma portare la mia attenzione a quanto ella mi esponeva, in nome del suo Sovrano, e non posso dissimularle ch’ebbi in ciò a farmi una ben forte violenza. I nuovi principii di diritto pubblico, ch’ella pone in campo nella sua rappresentanza, mi dispenserebbero per verità da qualsivoglia risposta, essendo essi troppo in opposizione con quelli, sempre riconosciuti dall’universalità dei Governi e delle nazioni.
Nondimeno, tocco ai vivo dalle incolpazioni che si fanno al Governo di Sua Santità, non posso ritenermi dal rilevare dapprima essere, quanto odiosa, altrettanto priva d’ogni fondamento ed affetto ingiusta la taccia, che si porta contro la truppa recentemente formatasi dai Governo pontificio, ed essere poi inqualificabile raffronto che ad esso vien fatto, nel disconoscere in lui un diritto a tutti gli altri comune, ignorandosi fino ad oggi che sia impedito ad alcun Governo di avere al suó servizio truppe estere, siccome in fatto molti le hanno in Europa sotto i loro stipendii. Ed a questo proposito sembra qui opportuno il notare che, stante il carattere, che riveste il Sommo Pontefice, di comun padre di tutt’i fedeli, molto meno potrebbe a lui impedirsi di accogliere nette sue milizie quanti gli si offrono dalle varie parti dell’orbe cattolico in sostegno della Santa Sede e degli Stati della Chiesa.
» Niente poi potrebb’essere più falso e più ingiurioso che l’attribuirsi atte truppe pontificie i disordini deplorabilmente avvenuti negli Stati della Santa Sede; né qui occorre il dimostrarlo.
Dappoiché la storia ha già registrato quali e donde provenienti siano state le troppe, che violentemente imposero alta volontà delle popolazioni e. quali arti, messe in opera, per gettare nello scompiglio la più gran parte dell’Italia e manomettere quanto v’ha di più inviolabile e di più sacro per diritto e per giustizia.
» E rispetto alle conseguenze, di cui si vorrebbe aecagionare la legittima azione delle truppe della Santa Sede per reprimere la ribellione di Perugia, sarebbe in vero stato più logico l’attribuirle a chi promosse la rivolta dall’esterno: ed ella, signor Conte, troppo ben conosce donde venne quella suscitata, donde furono somministrati danaro, armi e mezzi di ogni genere, e donde partirono le istruzioni e gli ordini d’insorgere.
» Tutto pertanto dà luogo a conchiudere non avere che il carattere della calunnia quanto declamasi da un partito ostile al Governo della Santa Sede a carico delle sue milizie, ed essere non meno calunniose le imputazioni che si fanno ai loro capi, dando a crederli come autori di minacce provocatrici e di proclami proprii a suscitare un pericoloso fermento.
» Dava poi termine alla sua disgustosa comunicazione FE. V. coll’invitarmi, in nome del suo Sovrano, ad ordinare Immediatamente il disarmo e lo scioglimento delle sud dette milizie, e tale invito non andava disgiunto da una specie di minaccia di volersi altrimenti dal Piemonte impedire l’azione di esse per mezzo delle regie truppe. In ciò si manifesta una quasi intimazione che io ben volentieri mi astengo qui di qualificare. La Santa Sede non potrebbe che respingerla con indignazione, conoscendosi forte del suo legittimo diritto ed appellando al gius delle genti, sotto la cui egida ha fin qui vissuto l’Europa:
qualunque siano, del resto, le violenze, alle quali potesse trovarsi esposta senza averle punto provocate, e contro le quali fin da ora mi corre il debito di protestare altamente in nome di Sua Santità.
» Con sensi ecc.
» G. Card, Antonelli.»
IV.
In seguito à questa risposta il Re ordinò alle sue truppe di entrare nelle Provincie pontificie col seguente proclama in data dell'11 settembre:
» Soldati,
» Voi entrate nelle Marche e nell’Umbria per ristaurare l'ordine civile delle desolate città e dare ai popoli la libertà di esprimere i proprii voti.
» Non avete a combattere potenti eserciti, ma a liberare infelici Provincie italiane da straniere compagnie di ventura.
» Non andate a vendicare le ingiurie fatte a me ed all'Italia, ma ad impedire che gli odii popolari rompano a vendetta della mala signoria. Voi insegnerete coll’esempio il perdono delle offese e là tolleranza cristiana a chi stoltamente paragonò all’islamismo l'amore della patria italiana.
» In pace con tutte le grandi Potenze ed alieno da ogni provocazione, io intendo a togliere dal centro dell’Italia una cagione perenne di turbamento e di discordia.
Io voglio rispettare la sede del Capo della Chiesa, al quale sono sempre pronto a dare, in accordo colle Potenze alleate ed amiche, tutte quelle guarentigie d’indipendenza e di sicurezza che i suoi ciechi consiglieri si sono indarno ripromessi dal fanatismo della setta malvagia, cospirante contro la mia autorità e la libertà della nazione.
» Soldati!
» Mi accusano di ambizione. Sì, ho un’ambizione, ed è quella di restaurare i principii dell'ordine morale in Italia e di preservare l'Europa dai continui pericoli della mozione e della guerra.»
V.
Il Gabinetto piemontese diresse alle Potenze il seguente Memorandum in data del 12 settembre:
«La pace di Villafranca, mentre. assicurava agl'Italiani il diritto di disporre di sè medesimi, collocava le popolazioni di parecchie Provincie del nord e del centro della Penisola in grado di surrogare al loro Governi, sottomessi all’influenza straniera, il Governo nazionale del re Vittorio Emanuele.
» Questa grande trasformazione si è operata con un ordine mirabile, e senza che alcuno dei principii, su cui riposa l'ordine sociale, ne fosse scosso.
Gli eventi, che si compierono nell’Emilia e nella Toscana, hanno provato all’Europa che gl’Italiani, ben lungi dall’essere travagliati da passioni anarchiche, non domandano che di essere retti da istituzioni libere e nazionali. Se questa trasformazione avesse potuto estendersi a tutta la Penisola, la quistione italiana sarebbe ormai pienamente risolta. Lungi dall’essere per l’Europa una causa di apprensione e di pericoli, l’Italia sarebbe d’ora innanzi un elemento di pace e di conservazione. Sventuratamente la pace di Villa franca non ha potuto abbracciare che una parte dell’Italia. Essa ha lasciato la Venezia sotto il dominio dell’Austria, e non ha prodotto alcun cambiamento nell’Italia meridionale e nelle Provincie rimaste sotto il dominio temporale della Santa Sede.
» Non è nostra intenzione di trattare adesso la quistione della Venezia. Ci basterà di rammentare che, fino a tanto che questa quistione non sia risolta, l’Europa non potrà godere d’una pace duratura, sincera. Rimarrà sempre in Italia una potente cagione di torbidi e di rivoluzione, che, a dispetto degli sforzi de’ Governi, minaccerà incessantemente uno scoppio d’insurrezione e di guerra nel centro del continente. Ma questa soluzione bisogna saperla attendere dal tempo. Qualunque sia la simpatia che ispira a buon diritto la sortè ognor più infelice de’ Veneti, l’Europa è talmente preoccupata delle conseguenze incalcolabili di una guerra, essa ha tale un vivo desiderio, un sì irresistibile bisogno di pace, che sarebbe poco savia cosa il non rispettarne la volontà. Cosi non è delle quistioni relative al centro ed al mezzogiorno della Penisola.
» Legato a un sistema tradizionale di politica, il quale non è stato meno fatale alla sua famiglia che di suo popolo, il giovane Re di Napoli si è messo, tosto che salì al trono, in opposizione flagrante col sentimento nazionale degl’Italiani, come pure coi principii che governano i popoli inciviliti. Sordo ai consigli della Francia e dell’Inghilterra, ricusando persino di seguire gli avvertimenti che gli dava un Governo, di cui non poteva mettere in dubbio né la costante e sincera amicizia, né l’attaccamento al principio d’autorità, egli ha respinto per un anno intero tutti gli sforzi del Re di Sardegna per indurlo a un sistema di politica più conforme ai sentimenti che dominano il popolo italiano.
» Quel che la giustizia e la ragione non hanno potuto ottenere, l'ha testé compiuto la rivoluzione. Rivoluzione prodigiosa, che riempi l’Europa di stupore pel modo quasi provvidenziale in cui ebbe luogo, e le ha incusso ammirazione per un guerriero illustre, le cui gloriose gesta richiamano alla memoria quanto di più sorprendente racconti la poesia e la storia.
» La trasformazione, ch'è avvenuta nel Reame di Napoli, benché siasi operata con mezzi meno pacifici e regolari, che non quella dell’Italia centrale, non è punto meno legittima: le conseguenze non ne son punto meno favorevoli ai veri interessi dell’ordine ed al consolidamento dell’equilibrio europeo.
» Tosto che la Sicilia e Napoli faranno parte integrante della grande famiglia italiana, i nemici dei troni non avranno più alcun valido argomento da accampare contro i principii monarchici; le passioni rivoluzionarie non troveranno più un teatro dove le più insensate imprese avevano possibilità di riuscire, o almeno di eccitare la simpatia di tutti gli uomini generosi.
» Si avrebbe dunque ogni motivo di credere che l’Italia possa alfine rientrare in una fase pacifica, tale da dissipare le preoccupazioni europee, se le due grandi regioni del nord e del mezzodì della Penisola non fossero separate da Provincie che si trovano in uno stato deplorabile.
» Il Governo romano, avendo rifiutato di associarsi menomamente al grande movimento nazionale, avendo anzi continuato a combatterlo col più lamentevole accanimento, si è posto da lungo tempo in lotta formale colle popolazioni, che non erano riuscite a sottrarsi al suo dominio.
» Per contenerle, per impedir loro di manifestare i sentimenti nazionali, da cui sono animate, esso ha fatto uso del potere spirituale che la Provvidenza gli ha confidato ad uno scopo ben più elevato che non sia quello assegnato al Governo politico.
» Presentando alle popolazioni cattoliche la situazione dell’Italia sotto colori cupi e falsi, facendo un passionato appello al sentimento, o, per meglio dire, al fanatismo, che tanto può ancora su certe classi poco istrutte della società, esso ha potuto raccogliere danaro ed uomini da tutti gli angoli dell’Europa e formare un’armata, composta pressoché esclusivamente di gente straniera, non solo agli Stati romani, ma a tutta Italia.
» Era riserbato agli Stati romani di presentare nel nostro secolo lo strano e doloroso spettacolo di un Governo ridotto a mantenere la sua autorità sopra i propri sudditi per mezzo di mercenarii stranieri, accecali dal fanatismo o animati dall’esca di promesse, che non potrebbero effettuarsi, eccetto che gettando nella desolazione intere popolazioni.
» Tali fatti provocano al più alto grado l'indignazione degl’Italiani, che hanno conseguita la libertà e l’indipendenza. Pieni di simpatia pei loro fratelli dell’Umbria e delle Marche, essi manifestano da ogni parte il desiderio di concorrere a far cessare uno stato di cose, ch'è un oltraggio a principii di giustizia e di umanità, e che vivamente irrita il sentimento nazionale.
» Il Governo del Re, benché partecipasse a questa dolorosa emozione, ha creduto di dovere sino adesso impedire e prevenire ogni tentativo disordinato per liberare i popoli dell’Umbria e delle Marche dal giogo che gli opprime. Ma esso non potrebbe dissimularsi che l’irritazione ognor crescente delle popolazioni non potrebb’essere più a lungo contenuta senza aver ricorso alla forza ed a misure violenti. D’altronde, la rivoluzione avendo trionfato a Napoli, chi potrebbe arrestarla alla frontiera degli Stati romani, dove la invocano abusi non meno gravi di quelli che spinsero irresistibilmente in Sicilia i volontari dell’alta Italia?
a Alle grida degl’insorti delle Marche e deir Umbria l’Italia intera si è commossa. Non è forza che possa impedire che dal mezzodì e dal nord della penisola migliaia dltaliani accorrano in aiuto de’ loro fratelli, minacciati da disastri simili a quelli di Perugia.
» Se esso rimanesse impassibile in mezzo a questo universale rapimento, il Governo del Re si metterebbe in opposizione diretta colla nazione. L’effervescenza generosa che gli eventi di Napoli e della Sicilia hanno prodotto nelle moltitudini, degenererebbe tantosto nell’anarchia e nel disordine.
» Allora sarebbe possibile, e persino probabile, che il movimento regolare, che si è sinora operato, assumesse tutt'a un tratto i caratteri della violenza e delle passioni. Per quanto le idee d’ordine possano sugl’Italiani, vi hanno tali provocazioni, a cui i popoli più inciviliti non resisterebbero. Certamente; eglino sarebbero più a compiangere che a biasimare, se, per la prima volta, si lasciassero strascinare a reazioni violenti, le quali si trarrebbero dietro le più funeste conseguenze. La storia c’ insegna che popoli, i quali sono oggigiorno alla testa dell’incivilimento, hanno commessi, sotto l’impero di cause meno gravi, i più deplorabili eccessi.
» Se esso esponesse la penisola a cosiffatti pericoli, il Governo del Re si sentirebbe colpevole verso l’Italia: e non sarebbe meno grave la sua colpa rimpetto all’Europa.
» Esso verrebbe meno a’ suoi doveri verso gl’Italiani, che hanno sempre prestato orecchio ai consigli di moderazione, ch'esso ha loro dati, e che gli affidarono l’alta missione di dirigere il movimento nazionale. Mancherebbe a’ suoi doveri verso l’Europa, perch’esso ha contratto verso di lei l’impegno morale di non permettere che il movimento italiano si perda nell’anarchia e nel disordine.
» Egli è per adempiere a questo doppio dovere ohe il Governo del Re, dal momento che le popolazioni insorte dell’Umbria e delle Marche gli hanno inviate deputazioni per invocare la sua proiezione, si è fatto sollecitò di loro aceordarla.
Contemporaneamente egli spediva a Roma un agente diplomatico per domandare al Governo pontificio l'allontanamento delle legioni straniere, di cui esso non potrebbe servirsi per comprimere le manifestazioni delle Provincie con termini alle nostre frontiere, senza forzarci ad intervenire in loro favore.
» Dietro il rifiuto della corte di Roma di ottemperare a tale domanda, il Re ha dato ordine alle sue truppe di entrare nell’Umbria e nelle Marche, colla missione di ristabilirvi l’ordine e di lasciare libero campo alle popolazioni di manifestare i loro sentimenti.
» Le truppe regie debbono rispettare scrupolosamente Roma ed il territorio che la circonda. Esse concorrerebbero, se mai ne fosse d’uopo, a preservare la residenza del Santo Padre da ogni attacco e da ogni minaccia; perché il Governo del Re saprà sempre conciliare i grandi interessi del1 Italia col rispetto dovuto al Capo augusto della religione, a cui il paese è sinceramente attaccato.
» Così operando, esso ha convinzione di non urtare i sentimenti de’ cattolici istrutti, i quali non confondono il potere temporale, di cui la Corte di Roma è stata investita durante un periodo nella sua storia, col potere spirituale, ch'è la base interna ed incrollabile della sua autorità religiosa.
» Ma le nostre speranze vanno ancora più lungi. Noi abbiamo fiducia che lo spettacolo dell'unanimità de’ sentimenti patriottici, che oggi scoppiano in tutta l’Italia, rammenterà al Pontefice Sovrano ch'esso è stato, alcuni anni sono, il sublime ispiratore di questo movimento nazionale.
Il velo, che gli avevano messo sugli occhi consiglieri ani mali da interessi mondani, cadrà; ed allora riconoscendo che la rigenerazione dell'Italia è nei disegni della Provvidenza, egli ridiverrà il padre degli Italiani, come non cessò mai d’essere il padre augusto e venerabile di tutt’i fedeli.»
I.
Il generale pontificio Lamoriciére, ai primi di settembre, aveva circa 21 mila uomini di truppa. Egli non temeva che i Piemontesi passassero i confini, ma parecchie volte erano stati annunziati imbarchi di truppe nella Sicilia e nelle Calabrie per venir ad assalire le coste delle Macché, e dopo l'occupazionale di Napoli, per parte del generale Garibaldi, quel generale ci teneva per certo che le Provincie pontificie del sud non tarderebbero ad essere invase.
Dietro tali convinzioni egli stabilì come segue l'ordinamento dell'esercito sul territorio che doveva difendere:
Prima brigata. Generale Schmid (quartier generale a Foligno): Secondo reggimento di linea, 2 battaglioni; secondo reggimento straniero, 2 battaglioni. Totale 4 battaglioni. Una compagnia di gendarmeria mobile; sesta batteria, 6 pezzi; un distaccamento di gendarmeria a cavallo.
Seconda brigata. Generale marchese di Pimodan (quartier generale a Terni): Primo e secondo battaglione di cacciatori; 2 battaglioni; secondo battaglione di bersaglieri, 1 battaglione; battaglione di carabinieri, 1 battaglione; mezzo battaglione di cacciatori franco-belgi. In tutto 4 battaglioni e mezzo.
Due squadroni di dragoni, uno squadrone di cavalleggieri; undecima batteria,6 pezzi.
Tersa brigata. Generale di Courten (quartier generale a Macerata): Primo e secondo battaglione di bersaglieri,2 battaglioni; primo di linea, 2 battaglioni. Totale 4 battaglioni. Uno squadrone di gendarmi; 7.° e 10.° batteria,12 pezzi.
Questa brigata era destinata a completare il presidio di Ancona nel caso in cui questa piazza fosse seriamente minacciata.
Riserva. Colonnello Cropt sotto gli ordini del generale in cupo (quartier generale a Spoleto): 1.° reggimento straniero, 2 battaglioni volontarii pontifica a cavallo; 8.° batteria, 6 pezzi.
La guarnigione di sicurezza per la città di Ancona era formata del 4.° battaglione di bersaglieri e: della metà del 5.°, della metà del battaglione di S. Patrizio, di 2 compagnie del 2.° straniero e di una compagnia dì gendarmeria mobilitata. Infine egli occupava la cittadella di Pesaro con circa 600 uomini; quella di Perugia con 500, la città di Orvieti con una compagnia, la Rocca di Viterbo con 4 compagnie, quella dì Spoleto con una forza allo incirca eguale; 300 nomini, del. 1.° reggimento straniero erano a Roma, e le prigioni di San Leo, Palliano e Civitacastellana occupavano ciascuna una, compagnia.
«Noi non temevamo, dice Lamoriciére nel suo rapporto ci ministro delle armi; un serio assalto dal mare su Ancona, e siccome l'effettivo delle truppe, organizzate dal generale Garibaldi, non oltrepassava di molto il nostro, la difesa del territorio pontificio ci pareva assicurata.»
II.
Nel 10 settembre il Sommo Pontefice diresse all’arcivescovo, di Nisibi, cappellano maggiore delle truppe pontificie, la seguente lettera:
«Venerabile fratello, salute e benedizione apostolica.
» Siamo compresi da profonda tristezza nel vedere tempi, i più aspri per la cristiana Repubblica, e i danni gravissimi, che empiamente e nefariamente arrecarono e che ogni giorno arrecano a Noi e a questa Sede Apostolica i nemici più accaniti della medesima e della stessa civile società. Nelle estreme nostre angustie, siamo da non leggiero sollievo compensati, quando veggiamo con quanta alacrità e premura moltissimi uomini e giovani illustri anche per nobile lignaggio, dalle varie regioni dell’orbe cristiano, ogni giorno affluiscano nel nostro Stato per associarsi nel nostro esercito sotto la guida del suo supremo comandante, personaggio chiarissimo ed invilissi mo, onde difendere coraggiosamente e con forza la causa nostra, ch'è causa della Sede Apostolica e della Cattolica Chiesa. Noi certamente non cessiamo mai di porgere, nell'umiltà del nostro cuore, fervidissime preci a Dio, affinché voglia concedere a tutti la pace desideratissima. Ma uomini empii, de’ quali ora si serve l’Altissimo per punire i peccati di tutti, per disperderli poi nel giorno del suo furore e punirli, conculcando là legge di Dio, bestemmiando la voce del Santo d’Israello, non cessano di far guerra acerbissima contro la Chiesa e a questa Sede Apostolica.
In fatti, costoro, presi dallo spirito di Satana, eccitati i popoli d'Italia a ribellione, discacciati per somma ingiustizia i legittimi Principi, confuse e turbate tutte le cose umane e divine, irrompendo già nello scorso anno nel nostro Stato, con sacrilega mano occupandoli© alcune Provincie, tentano ora agitare, invadere ed usurpare le altre parli del medesima. E ciò vogliono fard coll'intendimento perverso, che, cioè, manomesso e rovesciato il Principato civile nostro e della Santa Sede, sian valevoli a distruggere, se tanto potesse mai accadere, la Cattolica Chiesa ed il sapremo suo Pontificato, come, per tante empie scritture e abbominevoli fatti, chiaro ed aperto non arrossiscono di dichiarare.
» Adunqué, tra la sfrenata perversità di siffatti Uomini ed in così lagrimevole condizione e stretta necessità, quantunque non sia per niente di dubitare del trionfo della Chiesa, tuttavia con incredibile dolore dell’animo nostro, conosciamo che il nostro esercito, i suoi molto bene animati duci e soldati, debbono e incontrare gravissimi pericoli e azzuffarsi e combattere con audacissimi nemici, architetti peritissimi nelle scelleratezze e nelle frodi. Per la qual cosa Noi abbiamo creduto che con ogni premura questo nostre esercito, valor osamente guerreggiante per la causa della Chiesa e di questa Apostolica Sede, si debba afforzare e corroborare eziandio cogli aiuti spirituali Per ciò, o venerabile fratello. Noi ti scriviamo questa lettera, con la quale a te ed a tutti e singoli sacerdoti e cappellani di quei nostro esercito, con l'apostolica nostra autorità, concediamo la facoltà di dare, nell'atto stesso della sacramentale confessione, la plenaria indulgenza in articulo mortis, a tutti e singoli i duci e soldati di quel nostro esercito.
Inoltre, per la stessa autorità nostra concediamo che gli stessi duci e soldati, quante volte nell’estremo punto della vita non possano avere l'aiuto presente del sacro ministro, conseguano la stessa plenaria indulgenza invocando colla bocca, se lo possono, o altrimenti almeno col cuore, i potentissimi e dolcissimi nomi di Gesù e di Maria. Noi abbiamo per fermo che la causa della Chiesa e della giustizia sarà per riportare, come sempre, una gloriosa vittoria sopra i suoi nemici. Imperciocché, il giusto e misericordioso Iddio, o si degnerà di ricondurre tante migliaia di perduti uomini sul sentiero della salute, come per continue e calde preghiere Noi abbiamo da Lui domandato e domandiamo; ovvero percoterà, schiaccerà e sterminerà nella indignazione del suo furore questi novelli Sennacherib. E cotal nostra persuasione e fiducia ha il suo fermo sostegno prima nelle comuni preghiere di tutta intera la Chiesa, le quali nella fragranza della soavità ascendono ogni giorno come incenso al Trono della grazia; poi àncora nella provata religione, virtù, sapienza e consiglio di tanti specchiatissimi seguaci di Gesù Cristo, figliuoli zelantissimi della Cattolica Chiesa e di questa Sede Apostolica, i quali ripongono la gloria loro nel difendere, con ogni studio e di tutte le guise, i diritti della medesima Chiesa e Sede; ed eziandio nella meravigliosa pietà di quegli stessi figliuoli, i quali non si ristanno dal sollevare con le proprie ricchezze le gravissime angustie nostre e di questa Santa Sede.
Nè dubitiamo punto che le fervidissime preghiere di quegli stessi fedeli, e il loro zelo egregio e degno di ogni encomio, e le generose pie largizioni ed i soccorsi non siano per durare costantemente, finché al Padre clementissimo delle misericordie non piaccia di comandare ai venti ed al mare perché cessi cotanta furiosa tempesta, ed alla Chiesa sua conceda la desideralissima pace e tranquillità. Il Dio poi degli eserciti, nella cui mano sta tutta intera la vittoria e che in Davidde infuse prodigiose forze per conquidere il rubello Golia e a Giuda Maccabeo fé’ portare trionfo sullo accanimento delle genti, colla celestiale sua pietà, al supremo condottiero dell’esercito nostro ed agli altri duci e soldati conceda grazie e virtù di guerreggiare alla difesa propria e della santa Chiesa di Dio e di questa Sede Apostolica, ed a scorno dei nemici della Croce di Cristo e della cattolica fede e religione.
» Ecco, o venerabile fratello, quali cose abbiam giudicato di doverti significare; e come auspice di tutt’i doni celestiali e come pegno della precipua nostra benevolenza, di tutto cuore, o venerabile fratello, al supremo duce del nostro esercito e a tutti e singoli gli uffiziali e soldati, l’apostolica benedizione amorevolmente impartiamo.»
I.
Tal era la condizione per parte del generale Lamoriciére, allorquando nella notte dell’8 al 9 settembre e nel successivo mattino egli seppe che, come vedemmo, Urbino, Fossombrone e Città della Pieve erano insorte ed invase da volontari! venuti dalle Romagne. Diede incontanente ordine al generale di Courten di marciare sopra Fossombrone colla sua brigata e di spingersi in seguito fino ad Urbino, raccomandandogli di esplorare il terreno prima, e procedere ih modo da non lasciarsi tagliare le comunicazioni con Ancona. Al generate Schmid ingiunse di marciare sopra Città della Pieve assalita, come vedremo in appresso, con due battaglioni ed una sezione di artiglieria, per ricuperare quella città e proteggere il territorio.
Ma nel giorno 10, dopo il mezzo giorno, il capitano Farini, aiutante di campo del generale Fanti, ministro della guerra e comandante in capo dell’esercito di S. M. sarda, recava al generale Lamoriciére una lettera scritta dallo stesso generale Fanti, del seguente tenore.
«Eccellenza,
» S. M. il re Vittorio Emanuele II, il quale è interessato sì vivamente al bene dell'Italia, è preoccupatissimo degli avvedimenti che succedono nelle Provincie delle Marche e dell'Umbria.
» S. M. non ignora che ogni dimostrazione nel senso nazionale presso la frontiera meridionale del suo Regno, la quale fosse repressa da truppe straniere non aventi tra sè verun legame, né pur di nazionalità, produrrebbe inevitabilmente un colpo funesto in tutti gli Stati.
» In conseguenza di codeste gravi considerazioni, S. M. ha ordinato una concentrazione di truppe alle frontiere delle Marche e dell’Umbria, ed ei mi fece l’onore di confidarmi il comando supremo d«codeste truppe.
» Ei mi prescrisse, oltracciò, d’indirizzarmi a V. E- per farvi conoscere che queste truppe occuperebbero quanto prima le Marche e l’Umbria ne’ casi seguenti, vale a dire:
» 1.° Se le truppe che vpi comandate, le quali si trovassero in una città delle Marche e dell’Umbria, avessero ad usare la forza per reprimere una dimostrazione nel senso nazionale.
» Se le truppe, delle quali avete il comando, avessero a ricevere l’ordine di marciare sopra una città delle medesime Provincie pontificie, qualora vi si avesse e prodiere una dimostrazione nel senso nazionale.
» Qualora, essendosi prodotta una dimostrazione nel senso nazionale in una città, ed essendo stato compressa coll’uso della forza dalle vostre truppe, queste non ricevessero immediatamente da voi l’ordine di ritirarsi, lasciando la città, ch‘erasi pronunziata, libera di manifestare i suoi voti.
» Nessuno meglio di V. E. può comprendere come il sentimento nazionale debba abborrire da un’oppressione straniera, ed oso confidare che, accettando francamente e subito le proposizioni che vi fo a nome del Governo del Re, voi risparmierete la protezione delle nostre armi a codeste Provincie d’Italia e le funeste conseguenze che potrebbero derivarne.
» Gradite, Eccellenza, ecc,»
Lamoriciére mostravasi sdegnato per la lettera ricevuta. Avendogli il capitano Farini detto ch'ei conosceva il contenuto della lettera di cui era latore, Lamoriciére gli disse che, «ciò che gli si proponeva era lo sgombro, senza combattere, delle Provincie affidate alla sua difesa; ch'ell'era per lui una cosa vergognosa e disonorevole; che il Re di Piemonte e il suo generale potevano fare a meno d’inviargli tale intimazione; che sarebbe stato più leale dichiarare la guerra; finalmente che, malgrado la superiorità numerica del Piemonte, egli non dimenticherà che, in certi momenti, uffiziali e soldati non debbono coniare il numero de’ nemici, né risparmiare la loro vita per salvare l’oltraggiato onore del Governo, cui servono. # Conchiuse, rinnovando la sua dichiarazione che, cioè, quanto gli aveva detto non aveva nessuna qualità ufficiale e ch'egli si riferirebbe a quel che venisse ordinato da Roma.
Alcune ore dopo il generale Fanti, per telegrafo, pregava il generale Lamoriciére di rimandargli immediatamente il suo aiutante di campo senza aspettare la risposta del Governo pontificio.
II.
I due corpi d'armata, che vennero radunati alla frontiera degli Stati romani, erano comandati, l’uno dal generale Cialdini, e l’altro dal generale Morozzo della Rocca. Questi corpi d’armata erano di 20,000 uomini ciascuno. V’era pure un corpo di riserva di altri 20,000 uomini.
Il comando della spedizione negli Stati romani venne affidato al generale Fanti, il quale emanò il seguente proclama in data di Arezzo 10 settembre.
«Uffiziali, sottuffiziali e soldati!
» Gli avvenimenti che stanno sviluppandosi al mezzogiorno dello Stato, ed in prossimità delle nostre frontiere, hanno indotto S. M. il Re ad ordinare un concentramento di truppe sui confini delle Marche e dell’Umbria ed a chiamarmi all’onore di comandarle.
» Nel venire fra voi, io non devo tacervi le eventualità probabili che la patria abbia ricorso di nuovo alle vostre armi, per ricondurre la pace nei paesi vicini e far sì che non venga turbata nel Regno.
» Tanto più grato mi è dunque di assumere questo comando in simili momenti, convinto che, qualora vi sia bisogno, voi darete novelle prove di quella disciplina, che vi fa così stimali in paese, e di quel valore, che spiegaste pelle trascorse campagne, e di cui vi guadagnaste tanta fama in Italia.
» Il Re ha piena fiducia in voi, e voi non fallirete né alle sue speranze, né a quelle della patria.»
Lo stesso generale Fanti, pure da Arezzo, emanò un altro proclama del giorno 11:
«Uffiziali, sottuffiziali e soldati!
» Bande straniere, convenute da ogni parte d’Europa sul suolo dell’Umbria e delle Marche, vi piantarono lo stendardo mentito di una religione che beffeggiano.
» Senza patria e senza tetto, esse provocano ed insultano le popolazioni, onde averne pretesto per padroneggiarle.
» Un tale martirio deve cessare, e una tale tracotanza ha da sopprimersi, portando il soccorso delle nostre armi a quei figli sventurati d’Italia, i quali sperarono indarno giustizia e pietà dal loro Governo.
» Questa missione che il re Vittorio Emanuele ci confida, noi compiremo, e sappia l’Europa che l’Italia non è più il convegno ed il trionfo del più audace o fortunato avventuriero.»
Ed il generale Cialdini pubblicò il seguente ordine del giorno in data 11 settembre:
«Soldati del quarto corpo d’armata!
» Vi conduco contro una masnada di briachi stranieri, che sete d’oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi.
» Combattete, disperdete inesorabilmente quei compri sicarii, e per mano vostra sentano l'ira di un popolo, che vuole la sua nazionalità e la sua indipendenza.
» Soldati! L’inulta Perugia domanda vendetta, e, benché tarda, l'avrà.»
I.
Il armata pontificia, condotta dal generale in capo Lamoriciére, aveva ad occupare e difendere un vasto paese in difficili posizioni, considerato sotto l’aspetto militare. Al nord e al sud due estese frontiere a guardare; una catena imponente di monti, che tagliano in due il campo delle operazioni; non un fiume, non una fortezza cui potersi appoggiare. La sola Ancona offriva un punto di difesa, ma quella città forte è situala in località assai lontana da Roma e lungo il mare, ove non avevasi flotta per difenderne gli approcci.
Minacciate le Marche e l’Umbria da rivoltosi, che di fronte, alle spalle o dal mare potevano ad ogni stante invaderle, al generale Lamoriciére non era dato che tener disseminate le sue migliori schiere per tutt'i paesi e le città di frontiera, a fine di premunirle dall’improvviso assalto di quegl’insorti, e ragunare intanto nelle città più centrali i nuovi volontarii arrivati per addestrarli alle armi. Frattanto in due centri principali aveva agglomerato quel numero maggiore di truppe, che per lui si poteva, onde accorrere prontamente ove gli avvenimenti lo avessero richiesto.
II.
Nel giorno 11 i piemontesi passarono il confine e si avviarono a Pesaro.
Le tre brigate che formavano l'avanguardia del corpo d’armata capitanata dal generale Cialdini, e che si avviavano alla volta di Pesaro, erano la brigata Ferrara comandata dal colonnello brigadiere Efisio Cugia; la brigata Parma comandata dal colonnello brigadiere Seismit-Doda, e la brigata Pistoia comandata dal colonnello brigadiere Chiabrera.
I.
Il generale pontificio Schmid essendo partito da Perugia nel 10 settembre di «era, colla colonna del 2.° battaglione del 2.° reggimento estero, comandala dal tenente colonnello di Cóurten, dei 1.° battaglione del 2.° reggimento indigeno, comandato dal maggiore Alboni, 30 gendarmi sotto gli ordini del tenente Lucini e due pezzi d’artiglieria comandali dal capitano Raymont, proseguì la marcia senza incidente sino alle Tavernelle.
Colà seppe che i ribelli avevano fatto saltare gli' archi del ponte di Piegare, borgata situata sur un’altura, in cui il giorno avanti i ribelli, discesi dalla Città della Pieve (1), avevano inalberata la bandiera tricolore, proclamato Vittorio Emanuele e destituite le Autorità. Con una ricognizione fatta in persona, il generale pontificio si convinse che i ribelli si erano tutti ritirati nella Città della Pieve e che il ponte rotto poteva essere messo in istato idoneo per far traversare la truppa, ma per altro con grande lavoro, locché ritardava molto la marcia, essendo impossibile di scegliere un’altra strada.
(1) Città della Pieve, a 7 leghe e un quarto S. 0. da Perugia; conta 2400 abitanti.
Il generale spedì per ciò i due tenenti conte di Maistre e Hefner con venti volteggiatori comandati dal tenente Brunner, del 2.° reggimento estero, nella borgata di Piegaro, dove ristabilirono l'Autorità pontificia, tolsero la bandiera tricolore, fecero innalzare lo stemma pontificio, e raccolsero tutto il legname, uomini e carri occorrenti per la riparazione del ponte.
Dopo due ore di lavoro forzato, il ponte fu aperto e tutta la truppa passò, che senz’altro incidente pervenne alla Città della Pieve verso mezzogiorno. Tutta la città era abbandonata dai ribelli che, alla notizia dell’arrivo della truppa, in parte si ritirarono in Toscana asportando le armi e munizioni e circa 200 si spinsero sopra Orvieto comandati dal colonnello Masi.
II.
I volontari! del colonnello Masi avevano passato le frontiere pontificie a Città della Pieve la mattina dell’8 settembre e si erano uniti agl’insorti di questa città. Quel colonnello si avanzò verso Orvieto (1) con 800 a 1000 uomini.
Questa città, situata sul comignolo di una piramide, che s’innalza in mezzo dell’ampia valle della Paglia, è circondata da macigni tagliati a picco, su’ quali furono edificate le mura, e se numerosi conventi ed alcuni palazzi non avessero occupalo il circuito di essa, un pugno di uomini avrebbe potuto far fronte ad un intero esercito.
(1) Orvieto, città presto il confluente dei fiumi Paglia e Chiana a SO leghe N. 0. da Roma, e conta 7000 abitanti.
Essa era occupata da 110 uomini pontifici sotto gli ordini del capitano Du-Nord e da 28 gendarmi. Il delegato, che diffidava della popolazione, aveva trascurato di armare ausiliari!, locché, per l’interesse della difesa, sarebbe stato necessario, mentre da quel punto si domina la via più breve dalla Toscana al Regno di Napoli per Amelia, Terni e Rieti, e quest’era una delle ragioni che avevan fatto estendere gli alloggiamenti del generale pontificio Pimodan fino a Narni.
Nel giorno 11 le truppe condotte dal colonnello Masi ebbero una scaramuccia colle truppe pontificie sotto le mura di Orvieto. Le truppe si ritirarono nella piazza. Furono inviati tre parlamentar» e la capitolazione fu convenuta. La bandiera nazionale fu innalzala alle ore 6 di sera sulle torri della città.
Sortiti i pontifici!, gl’insorti costituirono un Comitato di difesa, proclamarono il Governo di Vittorio Emanuele e costituirono un Municipio ed una guardia nazionale provvisoria.
Ecco il testo della capitolazione convenuta tra il‘ capitano pontificio Du-Nord ed il colonnello Masi, in data 11 settembre:
1.° Le truppe assedianti entreranno nella piazza di Orvieto oggi alle sei ore, dalla porla Rocca.
2.° La guarnigione, colla gendarmeria ed i veterani usciranno nello stesso tempo della porta Maggiore, per andare a Terni, passando per Viterbo, senza fermarsi per un tempo maggiore di quello richiesto dalle regole militari.
3.° La guarnigione partirà con armi e bagagli.
4.° La guarnigione è garantita fino a Viterbo contro ogni ostilità da parte delle truppe volontarie, e, da sua parte essa dà la stessa garantia ai volontarii.
5.° Il delegato sarà libero di partire colla guarnigione o più tardi, se lo preferisce, co’ suoi addetti o suoi impiegati.
Il capitano pontificio Du-Nord, nello stesso giorno 11, giunto ad Osteria Nuova, a 4 chilometri da Orvieto, incontrò una piccola colonna comandata dal capitano pontificio Petrelli che giungeva troppo tardi in suo soccorso.
Queste due colonne presero insieme la strada di Viterbo, e il capitano Petrelli, che ne aveva il comando, lasciò il capitano Du-Nord a Montefiascone, aumentando la sua forza di 40 gendarmi e di alcuni ausiliarii.
III.
Alcuni insorti, la mattina del 10 settembre, conducevansi a Cisterna e S. Giuliano, piccoli paesi nel confine di Toscana, ed ivi, aiutati dalla guardia nazionale di Borgo Santo Sepolcro, atterravano gli stemmi pontifici!, inalberando lo stendardo tricolore.
Avvisati di ciò il Governo e la forza di Castello (1), si posero a guardia, sia pqr prevenire ogni tentativo d’insurrezione, sia per respingere gl’insorti se movessero contro la città.
Nelle prime ore del mattino dell’11 settembre un dispaccio del generale pontificio Schmid rassicurava il governatore locale ed il comando della forza, avvertendoli che non era a temere da quella parte invasione di bande rivoluzionarie e meno, poi doversi temere d’invasione per parte delle truppe piemontesi.
(1) Città di Castello o Castellana, a leghe N. da Perugia, ha 6000 abitarti.
Stimolava a resistere energicamente coltro i ribelli, ove avessero tentato un colpo di mano sulla città. I gendarmi, che formavano il presidio, si tennero bastanti all’uopo, tanto più che alle IO del mattino venne avviso che i rivoltosi del di fuori, invece di avanzare per Castello, si erano tutti ritirati per Santo Sepolcro in Toscana.
Al mezzodì per altro venne l'annunzio che una moltitudine di gente, con una bandiera innanzi, avanzava sopra la città, e si tenne per fermo che fosse un ritorno dei rivoltosi, tanto più che un turbinio di polvere, nascondendo il loro numero, neppur dava a riconoscerli.
I gendarmi erano già sulle difese, quando quella massa avanzava verso porta S. Giacomo, e senza neppur sospettare di truppe regolari, principiarono una fucilala, che durò breve tempo, giacché fu subito occupata e violentemente aperta la porta, ed ebbero da quella ingresso le truppe piemontesi.
I gendarmi ripiegarono sul centro e giunti in piazza furono raggiunti ed attorniati dai soldati regolari, che allora soltanto vennero riconosciute per truppe sarde. Fu subito innalzata la bandiera di tregua e finì ogni conflitto.
Dal generale di brigata, che comandava quel corpo, fu intimata al governatore locale l’occupazione militare della città, ma si firmò un atto col quale si rispettava la sovranità del Pontefice, il suo stemma ed il suo Governo.
Alle ore 6 pomeridiane però giunse il generale piemontese. de Sonnaz, il quale fece altra intimazione allo stesso governatore dicendogli ch'egli s'impadroniva del Governo a nome del Re Vittorio Emanuele ed intendeva sostituire il suo stemma a quello del S. Padre.
IV.
L’attacco di Pesaro (1) per parie delle truppe piemontesi in numero di 6000 cominciò con quattro batterie alle 3 pomeridiane e durò sino alle 8 del 12. Ripigliò alle i antimeridiane sino alle 9. I pontificii si arresero al nemico infuriato che non voleva venire a patti, ed aveva ordinato ravvicinamento di altre quattro batterie.
Le bombe, i razzi, le palle grandinavano orribilmente. Il forte andò lutto in isfascio.
Il tenente maresciallo Zappi, dello stato maggiore generale, fu ivi fatto prigioniero; la stessa sorte toccò al capitano conte Zichy seniore e al suo fratello più giovane, che prese parie alla battaglia come volontario, senz’essere militare.
Il capitano conte Zichy rimase ferito e quattro compagnie di troppe pontificie, indigene, furono fatte prigioniere.
Lamoriciére allora diede l'ordine di ritirarsi in fretta verso Ancona, dacché le truppe sparse non potevano assolutamente resistere al nemico.
I piemontesi le inseguirono vivamente per tre vie.
(1) Pesaro, città nella legazione di Urbino a 7 leghe E. N. E, da quest'alma città, allo sbocco del Foglio nell’Adriatico, conta 10,000 abitanti.
V.
Fano (1) fu pare attaccata da’ piemontesi e cannoneggiata da 14 cannoni per 6 ore. La ritirata fu fatta da tutte le divisioni di truppe pontificie straniere col maggior ordine.
Nel fatto di Fano restarono prigionieri il primo tenente conte Wurbrand e il primo tenente Dallvig, entrambi feriti. La perdita, fra morti e prigionieri delle truppe pontificie, fu insignificante. I bagagli degli uffiziali caddero quasi tutti in potere de’ piemontesi.
VI.
Nel giorno 15 settembre il colonnello Ranzler voleva marciare sopra Sinigaglia per prendere la via verso il ma- _ re, ma, avendo sentito che la città era occupata da una divisione piemontese, si fermò sulle colline e andò a guadare la Misa, otto chilometri al di sopra della sua foce.
La divisione piemontese, informata della presenza di quella colonna, tentò di sbaragliarla; la sua cavalleria ed artiglieria, seguita dalla fanteria, la raggiunsero verso Sant’Angelo (2).
La battaglia cominciò ad un’ora pomeridiana e durò fino alle cinque della sera. I pontifici respinsero con successo molte cariche di cavalleria piemontese, ma finalmente questa penetrò nelle fila dei pontificii, gli sciabolò e li disperse.
(1) Pano, città sull’Adriatico nella legazione di Urbino e Pesaro ad il leghe O. d» Ancona, conta 7600 abitanti.
(1) Sant’Angelo in Vado, città sai fiume Metauro a 4 leghe 0. da Urbino, ha 1000 abitanti.
Siccome l'artiglieria pontificia recò assai gravi danni ai lancieri piemontesi, questi cessarono d’inseguirla a monte Marciano.
In questo combattimento i pontificii perdettero 150 uomini tra morti, feriti e prigionieri.
Per altro il colonnello pontificio Kanzler seppe resistere aprendosi la strada per mezzo al nemico, e, percorrendo 45 miglia, giunse ad Ancona a notte fitta.
I.
Il generale pontificio Schmid, giunto il a Città della Pieve e non avendo più trovato, come più sopra vedemmo, il colonnello Masi, che l’aveva occupata, venne a sapere, da una parte, che Orvieto aveva capitolato, e, dall’altra, che un corpo di 6000 piemontesi aveva occupato città di Cestello e minacciava Perugia. Si mise in via per quest’ultime città, alla «piale pervenne la mattina del 14.
La città di Perugia (1), posta in buono stato di difesa, era occupata da 400 uomini e provveduta di viveri e di munizioni di ogni qualità. Il generale Schmid, entrandovi, aumentava quella guarnigione di due altri battaglioni di circa 1000 uomini, diede alcuni ordini e fece occupare i posti.
I piemontesi, condotti dal generale Sonnaz, attaccarono il fuoco, e si combatté di contrada in contrada.
(1) Perugia, città e capo-luogo della provincia di questo nome, a 33 leghe N. dn Roma, è ben popolata.
Dopo tre ore di pugna i piemontesi stessi innalzarono bandiera bianca, ed un capitano di stato maggiore si avanzò per intimare la resa al generale Schmid, dicendo che ogni resistenza era inutile, poiché il generai Fanti era per giungere in quello stesso giorno con tutte le sue forze.
Il generale Schmid si accordò col generale in una sospensione d’armi di cinque ore per aspettare il generale Fanti, col quale avrebbe stipulalo le condizioni della resa. Nel frattempo i piemontesi dovevano rimettere alle truppe pontificie la guardia delle porte della città, condizione che non fu eseguita.
Giunse il generale Fanti. Il generale pontificio Schmid, alle ore due, si recò presso quel generale, accompagnato dal colonnello Lazzarinì e dal tenente colonnello Courten, ma non avendo potuto rimanere d'accordo sulle basi d’una capitolazione, domandò che si prolungasse il termine della tregua per prender consiglio. Il generale pontificio fece a lai effetto adunare il corpo degli uffìziali, i quali, veduta la gravità delle circostanze, non si mostrarono alieni a che la proposta del generale piemontese fosse accettata, cioè che la truppa dimettesse le armi, che si concedesse a ciascuno il libero rimpatrio e che gli uffiziali conservassero il loro bagaglio. Allora il generale Schmid incaricò i due ufficiali superiori Lazzarinì e Courten a conchiudere la capitolazione sulle basi proposte dal generale piemontese, aggiungendovi per altro che gli ufficiali potessero cingere la spada, il che fu accordato, e gli vennero consegnati gli articoli della capitolazione.
In quest’azione i piemontesi ebbero a sopportare la perdita del capitano Meana del 1.° granatieri, del tamburo maggiore del 1.° granatieri e di alcuni soldati.
I feriti furono Bassecour, maggiore di artiglieria; Nascimbene, capitano del 1.° granatieri; Pollini sottotenente dei bersaglieri; Gambino, luogotenente di artiglieria. Di soldati ebbero 39 feriti.
Il generale Schmid fu condotto a Torino dai piemontesi. Giunto colà, fu condotto al conte Cavour, il quale gli fece rilasciare un passaporto per ritornare in patria.
Il generale Fanti, dopo il fatto di Perugia, proseguì rapidamente la sua marcia su Foligno, ove giungeva ai 15 settembre di sera e riusciva così a tagliare la ritirata di Lamoriciére a Roma.
II.
Pergola (1) essendo stata abbandonata dagl’insorti, che erano corsi in aiuto dei prossimi paesi, fu invasa da numerosa truppa pontificia. Appena la truppa partì, i cittadini abbassarono di nuovo le anni del Papa.
Lo stesso accadde a S. Lorenzo in Campo, paese prossimo a Pergola, dove i ponti fidi arrestarono il conte Luigi Amateri e il sig. Francesco Monti e li condussero nel forte di Ancona.
III.
Foligno (2) ai 16 settembre innalzò la bandiera tricolore.
(1) Pergola, città nella legazione d’Urbino sul Cesano a 12 leghe 0. da Ancona, ha 3000 abitanti.
(2) Foligno, città sul Topino nella legazione di Spoleto con 7600 abitanti.
La città di Todi (1), insorta, ha battuto e cacciato i gendarmi pontificii. Venne abbassato lo stemma papale ed innalzato lo stemma regio. Si è costituito un Governo provvisorio a nome del Re Vittorio Emanuele.
(1) Todi, piccola città nella legazione di Spoleto ed a 4 leghe N. E. da (quest’ultima città presso il Tevere.
I.
Giunto l'esercito piemontese nel 16 settembre a Foligno, ove stabilì il quartier generale, le truppe proseguirono la marcia per Colfiorito e quindi per Camerino, Macerata, ec. I delegati apostolici di quelle città caddero in potere de piemontesi.
Frattanto il generale Brignone, con una divisione e poca artiglieria, si conduceva a Spoleto (1).
La sera del 17 quella città si pronunciò, ed il delegato pontificio si ridusse in fortezza ove comandava 0’ Reilly.
Il comandante pontificio di quella città,0’ Reilly, era giunto in Spoleto nel 14 settembre a due ore del mattino, sendo partito il 13 da Foligno. La sua prima cura fu quella di approvvigionare la rocca, al qual fine i suoi soldati lavorarono giorno e notte, e fece rinchiudere tutte le munizioni nella nuova polveriera. La guarnigione della città ascendeva a 1000 uomini di truppe estere ed indigene, tra i quali 300 irlandesi ed un centinaio di turcos.
Nella notte del 16 0’ Reilly si avvidde che i piemontesi si avvicinavano e prendevano posizione sulle alture circostanti alla città.
(1) Spoleto, città della legazione del suo nome a 22 leghe da Roma, conta 7000 abitanti.
Egli non potè impedir loro di prendere quelle posizioni per mancanza di artiglieria.
Il delegato pontificio andò ad unirsi alla guarnigione nella rocca, essendosi pronunciata la città.
Alle quattro del successivo mattino la guarnigione era sotto le armi ai varii posti che le vennero assegnati dal comandante. Gr irlandesi furono posti alla porta e sul muro di fianco, ritenendo che questo sarebbe stato il punto principale d'attacco da parte dei piemontesi. Il comandante dispose le reclute svizzere e tedesche del 2.° reggimento estero in numero di 160 sulla banchetta del muro dirimpetto alla montagna, col rinforzo di una sezione d’irlandesi alla gran breccia che trovavasi in quel muro e che aveva in fretta fatto riparare con balle di coperte di letti. Il sergente Schafler con carabinieri e bersaglieri fu posto ad un1 altra piccola breccia. I ti Tagliatori (franco-belgi) furono posti sopra una galleria che metteva sugli approcci della porta. I gendarmi, sotto gli ordini del maggior Calandrelii e del capitano Volta, ed alcuni soldati italiani, furono lasciali in riserva.
A sci ore il forte fu circondato, ed un capitano di stato maggiore venne ad intimare al comandante 0’ Reilly la resa per parte del generale Brignone. 0’ Reilly rifiutò di arrendersi, ed il generale piemontese propose di prendere sotto la sua proiezione tutte le donne che si trovavano nella rocca e di accordar loro un salvacondotto. Il comandante fece uscire sua moglie e quella del capitano Boschan.
A quatto ore i piemontesi aprivano il fuoco, contro i pontifico, che nello stesso tempo erano molestati dal fuoco dei bersaglieri sulle montagne vicine.
A undici ore, monsignor arcivescovo andò come parlamentario a proporre al comandante pontificio di arrendersi, ma quel comandante rifiutò la proposta e ricominciò il fuoco.
A tre ore dopo mezzodì, l’artiglieria piemontese, che aveva tirato continuamente sulla porta, avendo prodotto gran danni ai muri laterali, e diverse palle avendo traforato la porta stessa, il generale piemontese Brignone stimò ch'era tempo di dare l’assalto, e una colonna composta di 2 compagnie di bersaglieri e di 2 battaglioni di granatieri, sotto gli occhi del generale Brignone, il quale era a cavallo al basso della rocca, protetta da un vivo fuoco per parte dei suoi, corse all’assalto.
Quantunque ricevessero due-colpi di mitraglia per parate del nemico, si avanzarono coraggiosamente fino alla porta, che tentarono di atterrarla a colpi di accetta; ma si era usata la cura di barricarla all’interno, ed i pontifici! risposero con colpi di fuoco e di baionetta attraverso i fori che si trovavano; nella porta.
Il tenente pontificio Crean ricevette un colpo di fuoco sul braccio nel difendere la porta. Durante questa lotta un capitano dei bersaglieri piemontesi ebbe la sciabola spezzata da una palla e si salvò con difficoltà da un colpo di baionetta; un tenente fu mortalmente ferito. I piemontesi si ritirarono lasciando parecchi morti presso la porta e su tutta la strada che vi conduceva.
I piemontesi non rinnovarono l’assalto, ma continuarono senza posa il fuoco di moschetteria e degli obici. Ai pontificii fu forza far portare sotto una grandine di palle, cariche, gaiette ed acqua ai soldati, sendo impossibile di farli rientrare nel fabbricato centrale.
Gli obici diedero fuoco due volte al tetto ed alle camere al di sopra della polveriera, ma i pontificii pervennero ad estinguerlo, però con grave fatica.
Questo stato di cose continuava fino al cadere della noi te. I soldati pontificii erano stanchi per le fatiche dei giorni precedenti e per una lotta che aveva durato 12 ore senza interruzione. La parte ed i lati della rocca erano stati crivellati e la fabbrica centrale aveva assai sofferto dagli obici. Il comandante 0’ Reilly risolse quindi di cedere qualora il generale piemontese offrisse patti onorevoli.
Monsignor delegato essendosi presentato come parlamentario alle ere 8 di sera, il comandante rese la rocca con una onorata capitolazione.
La rocca fu subito occupata, e tuffi pontificii uscirono dalla medesima.
Le perdite dei piemontesi furono molto più rilevanti che quelle dei pontificii, i quali combattevano al coperto.
II.
Nel giorno 17 il colonnello Luigi Masi partì da Orvieto per Montefiascone, tenendo la via di Cellino, per girare il nemico e tagliarlo fuori dalla sua base di operazione, ch’era a Viterbo.
La guarnigione di Montefiascone (1) consisteva in 110 bersaglieri della compagnia del capitano pontificio Du Nord e due uffiziali, non che 73 gendarmi,15 sedentari comandati da un uffiziale e tre finanzieri, parimente con un uffiziale.
(1) Montefiascone, città presso il Lago di Bolsena a 20 teglie N. N. E. di Roma, conta 3000 anime.
Nei 18 di sera, una pattuglia pontificia formata da due gendarmi a cavallo e sei a piedi doveva portarsi a Cellino dietro ordini pervenuti al capitano da Viterbo. Era partita da dieci minuti, quando i gendarmi a piedi tornarono a Montefiascone correndo ed annunziarono al capitano Du Nord che avevano dato in un’imboscata. I due gendarmi a cavallo erano stati fatti prigionieri dai piemontesi.
Il capitano mandò una pattuglia a riconoscere il nemico e poscia vide egli stesso dalle vigne sboccare tre colonne di piemontesi di 500 uomini circa ognuna. Fece subito richiamare la pattuglia, già uscita dalla città, che sosteneva un vivissimo fuoco contro gli assalitori, dai quali era inseguita fin dentro la città, che aggredivano in tre punti.
Il colonnello Masi fece occupare i casini e i conventi avanzati a passo di corsa: altra colonna di attacco rintuzzava i sortiti sotto viva fucilata. La lotta durò per due ore.
I pontificii stretti vigorosamente di fronte ed ai fianchi, parte fuggirono per la porta Borgariglia sottostante al forte, e parte rimasero nel forte, che si arrese a discrezione.
Il capitano Du Nord, dopo aver dato Y ordine della ritirata, usci dal giardino in cui trovavasi dal solo lato libero ancora, aprendosi la strada alla baionetta e rovesciando vani drappelli appostati al suo passaggio. Arrivato fuori di città, prese la strada di Viterbo, ma incontrò truppe nemiche che gli attraversavano il cammino, e non fu che col favor della notte che potè guadagnare la strada di Marta, e quindi, dirigendosi verso Toscanella senza mai fermarsi, giunse nella mattina appresso a Corneto.
I piemontesi ebbero quattro morii ed altrettanti feriti. I pontificii lasciarono in potere dei piemontesi 50 prigionieri austriaci, svizzeri e gendarmi; un tenente dei gendarmi, uno dei finanzieri, quattro carri con fucili e un centinaio di stuizen, munizioni, effetti di abbigliamento, tutt’i zaini e dieci cavalli.
III.
Ai 18 settembre le truppe pontificie, condotte dal colonnello Mortillier, capo di stato maggiore generale, rioccuparono Pontecorvo (1) che aveva abbassalo gli stemmi pontifici!. Ecco la relazione che quel colonnello fa al ministro delle armi su questo fatto, in data 19 settembre:
«Ieri a un’ora dopo mezzodì Pontecorvo fu occupato dalle truppe di Sua Santità dopo una marcia forzata e senza seria resistenza per parte degl’invasori. I quattrocento miserabili soldati dell’insurrezione fuggirono al secondo colpo di cannone, spaventati dall’attacco vivissimo della mia testa di colonna, dopo aver tirato tre colpi di fucile.
» Disgraziatamente, la stanchezza della mia gendarmeria a cavallo non mi ha permesso d’inseguirli: coloro passarono ij ponte sul Garigliano, prima che una sezione di gendarmeria a piedi, ch'io mandai a guardare il passo, vi fosse pervenuta.
(1) Pontecorvo, città e castello forse nella legazione cui presta il nome a 50 leghe ad N. O. Napoli sul Garigliano.
» Le autorità pontificie sono state immediatamente ristabilite, come del pari gli stemmi di Sua Santità. Tutti hanno fatto il loro dovere, ed il morale del mio distaccamento si conserva nel grado il più soddisfacente. Avrò l’onore di diriger a V. E. il mio rapporto uffiziale dettagliato.
» È mio solo dispiacere, e le truppe lo dividono con me, che gl’invasori non siansi meglio difesi. La compagnia di gendarmeria a piedi Carrara è al di sopra di ogni elogio, e questo uffiziale merita ogni considerazione.
» L’affetto morale nel paese è stato grandissimo e le popolazioni in generale soddisfattissime.»
I.
La città di Terni (1) insorse al grido di Vittorio Emanuele, e s’instituì un Governo provvisorio.
La guarnigione pontificia abbandonò Viterbo (2) e la città si pronunciò per Vittorio Emanuele. Una deputazione di signori e signore andò ad invitare il colonnello Masi ad entrare in Viterbo, ed i deputati di questa città implorarono la protezione del Re.
La colonna Masi entrò coi cacciatori del Tevere in Civitacastellana (3) ed occupò la fortezza facendo 60 prigionieri. I piemontesi entrarono pure a Corneto (4) nel 24 settembre, avendo saputo che i francesi l’avevano abbandonata ritirandosi a Civitavecchia.
(1) Terni, città a 5 leghe S. 0. da Spoleto e 18 leghe N. E. da Roma, conta 12000 abitanti.
(2) Viterbo, città a 15 leghe N. 0. da Roma, conta 15,000 abitanti.
(3) Civitacastellana, città a 10 teghe da Roma; popolazione 6000.
(4) Corneto, città a 9 leghe 0. da Viterbo; popolazione 2000.
Dopo poche ore di fuoco la guarnigione del forte San Leo (1) si è resa a discrezione ed i regii occuparono il forte a mezzodì del 24 settembre.
Tutti i Castelli che circondano il lago di Yico insorsero in nome di Vittorio Emanuele.
Ai 26 settembre la bandiera tricolore sventolava su tutt’i dintorni di Roma, a Castel Nuovo di Porto, che dista da Roma sole 12 miglia, al Castel del Duca di Rignano e a Castel di Bracciano, ch'è una proprietà del principe Odescalchi.
II.
In conseguenza delle occupazioni eseguite negli Stati della Santa Sede dalle truppe piemontesi, l'em. Cardinale Antonelli segretario di Stato di Sua Santità diramò al corpo diplomatico, residente in Roma, Tatto seguente, in data del 18 settembre:
«È ben increscevole al sottoscritto Cardinale segretario di Stato di trattenere i rappresentanti esteri, accreditati presso la Santa Sede, di sempre più tristi argomenti; ma la forza delle circostanze è così grave, e l'impeto della violenza, che si usa al più pacifico de’ Sovrani, al Capo augusto della Chiesa, è sì inudito, che non può non dirigere loro la presente comunicazione, tanto più che al dovere del suo ministero si unisce il comando espresso ricevutone da Sua Santità.
(1)San Leo, città e fortezza sopra un’eminenza a 6 leghe N. da Urbino.
» Dopo quanto egli ebbe l’onore di esporre a V. S. con la Nota del 10 corrente, il Governo piemontese procedendo nell’intrapresa via delle ostilità contro il Governo della Santa Sede, senza che questa le abbia in alcuna guisa provocate, aggiungendo attentati ad attentati, con mano armata ha spinto la ribellione alla sua legittima autorità per far sue le Provincie, che dopo l’usurpazione delle Romagne restarono soggette alla Santa Sede.
» Il Governo pontificio, forte nel suo diritto, ha fatto e fa ogni sforzo, mercé il valore del numero ristretto delle sue truppe, per declinarne l’impeto; ma tale è la troppo sproporzionata preponderanza delle forze nemiche, che si rende impossibile tenersi a lungo nella difesa. Occupata Pesaro, ne fecero prigioniero il delegato pontificio che soffrì anche degli insulti, e il comandante perché sostennero l’attacco e la giusta difesa. Dall’altra parte, un numeroso corpo attaccò Perugia, la quale, dopo aver respinto un vigoroso assalto, è stata costretta a cedere, fattone prigioniero il generale comandante col resto della guarnigione. Quindi rivolse la sua marcia verso Foligno ed è giunto a Spoleto. Orvieto fu invasa dai così detti volontarii, che agiscono per conto del Piemonte e che minacciano di attaccare Viterbo. Egli è per ciò che il Santo Padre si vede a poco a poco con la forza rapire quasi tutti i suoi dominii, che sono il patrimonio della Chiesa e dei cattolici, non ostante che S. M. l’Imperatore de’ Francesi abbia dichiaralo al Piemonte che si sarebbe opposto da avversario alla recente invasione, che avrebbe rotto con quel Governo le relazioni, se non venisse data assicurazione che il noto intimo, fatto al Governo della Santa Sede, non avrebbe avuto seguito, e che Tarmata sarda non avrebbe attaccato le truppe pontificie.
» In questo stato di cose, il sottoscritto Cardinale, in nome di Sua Santità, reclama e protesta contro atti così distruttivi di ogni sacro ed umano diritto, e come lesivi della indipendenza del supremo Gerarca e dell’integrità de’ temporali dominii, di cui la Provvidenza ha disposto che egli, pel bene della religione e della Chiesa, sia stato rivestito, e da lunghi secoli ne abbia avuto il legittimo possesso.
» Prega quindi V. S. a voler portare a notizia del suo augusto Sovrano tali reclami e tale proteste. I principii poi di giustizia, di ordine e di moralità che ad ogni Principe incombe di sostenere e difendere per la solidità de' loro troni, danno certa fiducia che si vorrà porre un argine ad uno spirito usurpatore, che, calpestando ogni legge, con eserciti d’armati spinge il disordine negli altri Stati per consumare uno spoglio a danno della legittima sovranità. Nè minor fiducia deriva al Santo Padre nel considerare altresì che vorrà farsi ragione al grido di tanti milioni di cattolici sparsi in tutT i regni, i quali reclamano per le strettezze e calamità, in cui è stato gettato il loro Padre comune.
» Lo scrivente profitta di questa opportunità per confermare a V. S. i sensi della sua distinta stima.
«ANTONELLI.»
I.
Nella notte del 16 al 17 settembre il generale Lamoriciére occupò Loreto (1) abbandonata dai piemontesi. Al levar dei sole quel generale riconobbe che gli avamposti dei piemontesi non erano che 1,800 metri lontani da lai.
Al nord della collina, su cui s innalza la città di Loreto, scorre il fiumicello chiamato il Musone, che si gitta in mare ad una lega e mezza incirca sotto della città. La valle di quel fiume ha una larghezza, che varia da 200 a 500 metri, piena di alberi tagliata da fossi d’irrigazione. Circa una lega sotto Loreto ed a 200 metri circa dalla sua foce, il Musone riceve dalla sua riva sinistra un grande affluente chiamato l'Aspio. Tra questi due fiumi, e nell’angolo che formano prima di unirsi, si stende la catena delle colline, sulle quali è posto Castelfidardo (2), e, due leghe più lungi, il comignolo sul quale è costrutto Osimo (3). All'est dell’Aspio, e sulla sua riva, s'innalzano gradatamente le colline, che sono unite al monte di Ancona, e che separano quel grosso ruscello dal mare.
(1) Loreto, città nella legazione di Ancona a 47 leghe N. E. da Roma, celebre per la Santa Casa, conta 6800 abitanti.
(2) Castelfidardo, borgata a 3 leghe e un terzo da Ancona.
(3) Osimo, città sul Musone nella legazione e a 4 leghe S. S. 0. da Ancona, ha 6700 abitanti.
La valle d’Aspio è meno larga di quella del Musone, ma, vicino al confluente dei due fiumi, le due pianure si riuniscono e là hanno l'estensione di una lega in ogni senso.
In questa parte il terreno è generalmente umido, non v’hanno alberi, e la terrai è tutta scoperta. Per andare da; Loreto ad Ancona si scende nella valle del Musone, si passa questo fiume sopra un ponte di legno a circa 1500 metri dalla città, e 500 metri più lungi si trova un affluente del Musone (riva sinistra), detto Vallato. Quest’affluente, che si passa sopra un ponte di legno vicino al suo sbocco nel Musone, presenta un grave ostacolo. Le sue rive sono erte, il letto è pieno d’acqua e di fango profondo, che lo rende difficile a guadarsi dalla fanteria e impraticabile alla cavalleria ed ai carri.
Fra questi due ponti i piemontesi avevano tagliata la strada e posto due cannoni, che la sera innanzi avevano fatto fuoco contro gli esploratori pontificii.
Vicino a quest’ultimo ponte, la strada si biforca e si hanno due strade, quasi del pari buone, che mettono ad Ancona. La prima, quella che segue la strada di Osimo, risale per la valle del Musone, lascia a destra Castelfidardo e s’innalza con pendio dolce sulle colline. La seconda, detta il Camerano, monta le prime salite del comignolo, su cui è posto Castelfidardo, lascia questo villaggio a 200 metri sulla sinistra, passa pel cascinale delle Crocette, discende nella valle d’Aspio, varcandolo sopra un ponte di pietra, sale sull’alta collina di Manierano, per dove passa, e continua direttamente sopra Ancona.
Il piccolo affluente del Musone, su cui i piemontesi avevano collocato le grandi guardie con due cannoni, era occupato da bersaglieri. Di dietro, circa un chilometro, otto cannòtti, sostenuti da due reggimenti di cavalleria, appoggiavano (fucsia avanguardia. I pendii delle colline di Castelfidardo erano occupati dalla fanteria, nascosta dietro gli alberi e nelle strade affondate; il villaggio stesso era occupalo da soldati.
Dopo il mezzodì una colonna piemontese dì fanteria di tre battaglioni discese da Castelfidardo. I pontificii credettero ad un assalto. Una divisione piemontese, veduta il giorno innanzi ad Osimo, discendeva nella pianura del Musone, s’avviava verso Recanati (1), e si riteneva che fosse per assalire i pontifica dal lato della strada che da quella città si dirige a Loreto. La cavalleria aveva lasciato il suo posto, che occupava il mattino, e camminava da questo iato. Tra breve si vide nella valle, circa una lega e mezza al di sopra dei pontificii, una forte linea di battaglia, dietro il ponte della strada d'Osimo a Recanati, e quasi nello stesso tempo i pontificii scopersero la testa di colonna del generale pontificio Pimodan a tre leghe dietro di loro, sulla strada da essi fatta nei giorno innanzi. Il movimento notato dei piemontesi non continuava.
(1) Recanati, città nella legazione d'Ancona, sopra un monte presso il Musone a 0 toghe S. da, Ancona, una toga S. 0. da Loreto e 44 leghe N. E. da Roma.
Dalle relazioni il generale Lamoriciére sapeva che una forza considerevole d’artiglieria e di fanteria piemontese occupava Camerano, e come quasi tuffi villaggi tra Castelfidardo, Osimo e Camerano avevano ricevuto truppe, quel generale giudicò di aver a fronte tre divisioni di fanteria. Il generale pontificio Pimodan giunse poco prima di sera, e Lamoriciére approfittò del rimanente. del giorno per indicargli le posizioni del nemico, dargli gli ordini per le distribuzioni e gli fece parie delle disposizioni da lui prese pel giorno dopo, perché egli voleva attaccare senza badare a ciò che aveva di fronte.
II.
Il generale pontificio Lamoriciére venne a sapere da una lettera del colonnello Gaddy, comandante superiore d’Ancona, che una flotta composta di undici navi da guerra era passata, nel mattino, innanzi ad Ancona per andare a collocarsi innanzi a Sinigaglia e che il bombardamento d’Ancona seguirebbe nel giorno seguente.
I pontificii, per recarsi ad Ancona, non potevano tentar di passare per la strada d’Osimo o per quella di Camerano, ' perché sarebbe loro stato uopo di passar prima di tutto i due punti del Musone e del Vallato, operazione che avrebbe costato troppa gente. Passando per la strada di Osimo si avrebbero avvicinato al centro del nemico, che circondava Ancona dalla foce dell’Esino fin presso a quella del Musone. Passando per quella di Camerano essi avrebbero dovuto, come per giungere ad Osimo, cacciar il nemico da Castclfìdardo per arrivare alle Crocette, operazione difficilissima, varcare due volte l’Aspio, i cui punti dovevano essere tagliati e certamente difesi, e finalmente impadronirsi di Camerano, città cinta di mura e posta sur un comignolo molto erto.
Al generale Lamoriciére sembrò dunque che la sola probabilità, che gli rimanesse, di giungere ad Ancona, era di dirigersi verso quella città per la strada detta del monte d’Ancona. Seguendo questa direzione Lamoriciére assaliva l’estrema sinistra, si appoggiava al mare o a terreni impraticabili della montagna, e se alcune difficoltà del cammino lo avessero costretto ad abbandonare una parte de1 suoi bagagli, era per lui un minimo inconveniente nella situazione in cui si trovava. Egli decise dunque d’impegnatisi e determinò il suo piano pel combattimento e per la marcia.
III.
I piemontesi occupavano, come abbiamo veduto, le colline, che discendono dal comignolo di Castelfidardo verso la pianura, estendendosi fino aio 600 metri dal Musone. Nel mattino del 18 un grosso distaccamento era posto in una cascina, sita in mezzo alla costa, ed una forza, circa di due battaglioni, occupava un’altra caseina posta a 5 o 600 metri più indietro o sull’alto di un monticello, che forma la corona di questa prima posizione. Un bosco, situato vicino a questa cascina, era altresì occupato, e numerosa artiglieria batteva i pendii di ogni lato. A fronte della prima cascina si trova un guado del Musone, praticabile dall’artiglieria, a cui mette una strada, e dall’altro lato del quale v’ha una strada rurale, che va a congiungersi colla strada delle Crocette ad Umana. Il generale Lamoriciére doveva pigliare le due cascine, di cui si tratta.
Il generale Pimodan ebbe ordine di dirigersi sopra quelle posizioni, di guadar il fiume, di pigliare la prima cascina, di farvi montare l'artiglieria per battere la seconda nel bosco vicino, e dopo andare all’assalto.
Per questa operazione egli aveva 4 battaglioni e mezzo della sua brigata,8 cannoni da sei e 4 obici sotto gli ordini del colonnello Blumensthil,100 irlandesi condotti da Spoleto e finalmente 520 cavai leggieri, due squadroni di dragoni e di volontarii a cavallo, tutti sotto il comando del maggiore Odescalchi. La cavalleria, che, partendo, era dietro alla colonna, doveva portarsi sulla sua destra, ove il terreno era più scoperto. Lamoriciére teneva in riserva i quattro battaglioni, che formavano il rimanente delle sue forze, ed una parte dello squadrone dei gendarmi a cavallo, di cui l’altra parte mar ciava col parco d’artiglieria ed i bagagli.
Questa colonna usciva da Loreto per una strada che metteva in quella tenuta dal generale Pimodan; doveva poscia pigliar più a destra verso il guado del confluente dell’Aspio, per servire nello stesso tempo di seconda linea e di scorta al convoglio, il quale, condotto da Terouanne, volontario a cavallo, doveva direttamente recarsi sul guado, di cui or ora si parlò, pigliando una strada rurale più lontana dai piemontesi.
IV.
La prima colonna pontificia cominciò a marciare alle 8 e mezzo e la seconda alle nove. La sponda destra del Musone non era occupala dai piemontesi; alcuni bersaglieri, appiattali in un boschetto ed in un campo di giunchi vicino al guado, fecero fuoco sopra i tiragliatori dei carabinieri svizzeri, che erano alla lesta della colonna; questi guadarono rapidamente la riviera e si riordinarono dietro un argine, che giace sulla sponda sinistra.
Mentre i primi cannoni pontificii guadavano la riviera, il 1.° battaglione dei cacciatori e i tiragliatori franco-belgi seguirono i carabinieri, e questi tre battaglioni si formarono in tre colonne dietro L’argine sotto il comando del colonnello Corbucci.
Appena i primi cannoni pontificii passarono il guado, il generale Pimodan ordinò ai carabinieri d’impadronirsi della prima cascina occupata dai piemontesi, ed ai 1.° dei cacciatori come ai tiragliatori di appoggiarli.
In questo assalto, avendo il comandante dei cacciatori pontificii dato prove di fiacchezza, il generale Pimodan ne affidò il comando ali’ aiutante maggiore Arranesi.
Mentre i carri delle artiglierie erano impigliali nel guado, i due ultimi battaglioni della colonna del cacciatori e del 2.° bersaglieri, essendosi rinserrati nei giardini dietro un canneto, alcune palle dei piemontesi caddero sopra il 2.° cacciatori e il maggiore schierò una compagnia di tiragliatori tra le canne, la quale compagnia cominciò a sparare nella direzione, dalia quale venivano le palle, e così naturalmente sparava addosso i proprii battaglioni d'assalto.
Il generale Pimodan fu quindi obbligato di mandare i suoi ufficiali per far cessare quel fuoco che aveva ucciso un soldato de’ proprii.
V.
Il primo alloggiamento de’ piemontesi, benché da questi vigorosamente difeso, venne espugnato dai pontificii, i quali fecero un centinaio di prigionieri, ira quali un ufficiale.
I pontificii condussero subito due cannoni in fondo alla discesa per proteggere contro un nuovo assalto la posizione da loro conquistata, e due obici, sotto gli ordini del tenente Daudier, furono condotti, sotto un gagliardissimo fuoco, fino dinanzi alla Casa, colf aiuto degl'irlandesi. Quattro cannoni e due òbici della batteria Richter erano arrivati alf altezza della posizione presa dai pontifici, e questa artiglieria recò gran danno ai piemontesi. Il capitano Richter, benché avesse una coscia traversata da palla, restava in mezzo al fuoco.
Si viene all’assalto del secondo alloggiamento o cascina de’ piemontesi. Il generale Pimodan forma una colonna sotto gli ordini del comandante Becdeliévre composta di tiragliatoli franco-belgi, di un distaccamento di carabinieri e del 1.° cacciatori. Questa colonna procedé risolutamente malgrado il fuoco de’ piemontesi che sparavano dall’alloggiamento e dal bosco, ma giunta a circa 150 metri dai comignolo della cascina, dopo la perdita di molti uomini, dovette ritirarsi.
I piemontesi inseguirono i pontifici], ma al punto in cui erano per agguantarli, questi si voltarono e li aspettarono a 15 passi di distanza, li ricevettero con un fuoco ben nudrito e corsero sopra di essi alla baionetta.
I piemontesi indietreggiarono 200 passi circa, la qual corsa permise ai pontifici di guadagnare la posizione dalla quale erano partiti. Il fuoco dell’artiglieria pontificia proteggeva questi movimenti.
Due battaglioni pontificii del Estranierò, sotto il comando del colonnello Alet, ebbero ordine di guadare la riviera ed avanzarsi fino all'altezza delle riserve della 1. colonna coi secondo battaglione straniero e col battaglione del 2.° di linea, per attestarsi indietro.
Il generale Pimodan, benché ferito al volto, conservava il suo comando. Le perdite dei piemontesi erano molte, ma maggiori quelle dei pontificii.
Il generale Lamoriciére, riconoscendo che i due battaglioni e mezzo, che aveva seco il generale Pimodan, erano insufficienti per impadronirsi della seconda posizione, inviò il capitano Lorgeril alla ricerca dei due battaglioni di riserva e li surrogò con due battaglioni del 1. straniero; finalmente spedì, per mezzo del capitano Palffy, l'ordine alla cavalleria di guadare la riviera e di seguire sul fianco destro dei pontifici i la marcia di quelle colonne.
VI.
Mentre il generale Lamoriciére prendeva queste disposizioni, i piemontesi tentarono d’investire la posizione da due lati, malgrado il fuoco dell’artiglieria pontificia, ed i loro tiragliatori cominciarono ad assalire di fianco le riserve pontificie schierate dietro i fabbricati.
Il maggiore Becdeliévre, radunando gli avanti del suo mezzo battaglione ed alcuni distaccamenti degli altri due, si slanciò addosso a que’ tiragliatori e li costrinse a ripiegarsi nel bosco, donde erano usciti.
I movimenti prescritti alla fanteria pontificia si eseguirono, ma appena il 1. straniero fu schierato, si sbigottì, e dopo alcuni minuti i due battaglioni fecero un mezzo cerchio, fuggirono e si dispersero. Il secondo ordine di riserva fece lo stesso.
2.° bersaglieri ed il 2.° cacciatori pontificii raggiunsero la prima stazione od alloggiamento, ove era rimasto il solo generale Pimodan. Il 2.° cacciatori, vedendo che gli svizzeri erano spariti, prese la fuga e discese a passo di corsa la salita che aveva allora asceso.
In mezzo a quell immenso disordine il 2.° battaglione dei bersaglieri pontificii, comandato dal maggiore Fucliman, rimase fermo al suo posto e difese colla maggiore fermezza la posizione assegnatagli.
L’artiglieria pontificia restava avviluppata nella strada sulla quale veniva tratta con difficoltà tra i parapetti che la circondavano.
11 terrore si comunica ad una parte dei cannonieri pontificii; gli uni volevano fuggire facendo un mezzo cerchio coi loro cannoni, ma ciò era impossibile a cagione della strettezza dell'argine; gli altri tagliarono le corde dei carri e coi loro cavalli fuggirono in mezzo ai campi.
Il generale Lamoriciére prescrisse allora al colonnello Cropt ed al colonnello Alet di avviare i fuggiaschi verso la ripa, e gli argini del Musone, ove sarebbero riparati contro i colpi dei piemontesi, e di condurli così fino al confluente dell'Aspio, di guadarlo e di dirigerli sulla strada d’Ancona.
Alla Gasa continuava il combattimento più feroce che mai. Il generale Pimodan, mortalmente ferito, veniva trasportato all’ambulanza presso la riviera (1).
Il generale Lamoriciére ordinò al» colonnello de Coudenhove di entrare nella Casa e di ordinare alle truppe, che si battevano, la ritirata verso la riviera, perché non potevano resistere più oltre; per altro di tentare gli estremi sforzi per salvare la loro artiglieria.
(1) Sull’eroica morte del generale Pimodan, ecco che cosa viene riferito:
Tutto ad un tratto il generale Pimodan si vide dinanzi agli occhi sedici pezzi di cannone che dall’alto, vomitavano mitraglia sulla sua truppa, già decimata dalle palle della fanteria, nascosta dietro i pioppi, quando una palla Io colpì sotto all’occhio: — Non è nulla, soldati, gridò egli, avanti — e continuarono a camminare. Un’altra palla lo colpì nel braccio destro, ed egli, presa la spada colla sua sinistra, ripeté: — Avanti, miei soldati! — Una terza palla gli entrò nella coscia destra, rimase sul cavallo e gridò con voce più robusta: — Figliuoli, Iddio è con voi, avanti. — Poco dopo una palla da cannone preselo in mezzo al corpo; ei cadde.... Dio era con lui. Quell’eroe lasciò due figli, uno di quattro anni e una figlia di due anni appena.
La famiglia del generale marchese di Pimodan fece chiedere il corpo di lui ed il Governo piemontese aderì alla domanda.
Net Si. settembre il generale Cialdini rendé gli estremi onori al corpo del generale di Pimodan; lo fece imbalsamare e chiudere in una bara di zinco e lo mandò alla marchesa Pimodan moglie del defunto. Il principe de Ligne, ufficiale de’ cavalieri pontificii, ed il sig. Rainville, del corpo de’ volontarii pontifica a cavallo, detto le guide, aiutante dello stesso defunto, ambidue prigionieri e messi appositamente in liberti, accompagnarono la salma del generale in Francia.
Appena il telegrafo di Civitavecchia dava l’avviso che il cadavere del generale Pimodan, colà trasferito, stava per essere portato a Roma, S. E. Monsignor proministro delle armi recavasi alla stazione per riceverlo, insieme ai membri della famiglia, dai quali veniva accompagnato e ch'erano i signori Couronel e Mirpoix, La compianta salma era eziandio seguita dal principe de Ligne, e dal sig. Rainville.
«Fortunatamente pei noi, dice il generale Lamoriciére (1), il nemico al quale il fumo del combattimento ed alcune spalliere d’alberi non lasciava veder bene le nostre linee, non conobbe il disordine immenso delle nostre schiere, e per ciò restavano immobili le masse che occupavano le posizioni rimpetto a noi; e soddisfatto della vittoria, supponendo certamente che nelle ville e nei giardini, i quali separano il Musone da Loreto, esistesse una riserva di truppe, si arrestò dietro il fiume e cessò di seguitarci.»
VII.
Si può ritenere che in questa battaglia le due parti contrarie fossero in forze eguali, perché il generale piemontese, nella marcia forzata che lo condusse da Fano ad Osimo, lasciò dietro a sé un’immensa quantità di, a cui la fatica improvvisa e continuata non permise di assecondare la rapidità di quel movimento.
Il cadavere fu collocato in deposito nella chiesa di S. Francesco a Ripa, dove fu accolto da quella religiosa famiglia di Minori riformati, che fecero le assoluzioni prescritte dal Rituale Romano. Quivi, in una cappella, si conservò fino a che vennero fatte le solenni esequie ordinate dal Santo Padre in S. Maria in Trastevere; fatte le quali, la salma venne condotta alla chiesa nazionale di San Luigi de’ Francesi.
Nella piazza di S. Luigi era schierato un battaglione dell armata francese colla banda musicale. Arrivato il corteggio funebre alla chiesa nazionale di Francia, il cadavere fu ricevuto da monsignor Level, superiore, e dal clero della medesima, non che dal conte di Goyon, generale comandante in capo dell armata francese in Roma.
(1). Relazione del generale Lamoriciére al ministro delle armi di S. S. Pio IX sull’invasione piemontese, parte 3. za.
Del resto, tutto l’interesse, da parte dei piemontesi nella campagna dell’Umbria e delle Marche, consisteva nel separare Lamoriciére dalla sua base di Ancona, interesse non solo militare, ma altamente politico, perché Lamoriciére, seguitando le istruzioni della Corte di Roma, non poteva avere altro scopo che quello di tirare a lungo le cose, per lo stesso motivo che ai piemontesi importava di finir presto. A fine di ottenere l’intento, Lamoriciére, non possedendo forze sufficienti per campeggiare contro le due colonne piemontesi d’invasione, doveva per necessità gettarsi nella piazza fortificata d’Ancona, ed obbligare i piemontesi ad intraprendere un assedio, che, sostenuto da un presidio di oltre 15,000 uomini, avrebbe potuto durare parecchie settimane.
Perciò la prima cura dei piemontesi, entrando nella Cattolica, fu di gittarsi colla massima celerità sopra Ancona, e la marcia forzata del generale Cialdini raggiunse quella meta, occupando forti posizioni al sud di quella piazza e padroneggiando la strada per cui si può andarvi da Macerata a Loreto: e ciò precisamente mentre Lamoriciére, col nerbo delle sue truppe, scendeva egli pure a marce forzate, ma troppo tardi, da Spoleto, Foligno, a Macerata e Loreto per soccorrere Ancona e farvi centro di resistenza.
Per ciò la battaglia di Castelfidardo e vicinanze si deve riguardare come il fatto decisivo della campagna.
I.
fi generale Lamoriciére era deciso di marciare sopra Ancona con tutte le truppe che poteva raggranellare. Gli uffiziali, che aveva inviato per trattenere i fuggiaschi, erano riusciti a formare una colonna di 350 a 400 uomini, i quali, avendo guadato la riviera al di sopra delf Àspio, erano sulla’ strada di Umana. La cavalleria però non comparve e Lamoriciére rimase solo con 45 cavalli.
1 battaglioni di Pimodan, come abbiamo veduto, dopo essersi trattenuti per lungo tempo nella cascina, di cui si erano impadroniti in principio, si erano ripiegati sulla riviera. De’ dodici cannoni che avevano guadato la riviera ne avevano perduti tre colle loro casse e con 150 prigionieri. La massa di cinque battaglioni, che si erano dispersi un’ora prima, si era ripiegata sopra Loreto. L’artiglieria, eh$ si era ritirata per la prima, aveva preso la stessa direzione.
I pontificii indigeni e stranieri ridotti a Loreto ammontavano a poco più di 4000 uomini, giacché, come vedemmo, gli altri furono dispersi, o rimasero prigionieri.
Privi del loro capo, circondati da una cerchia di ferro, si arresero alla prima intimazione che ad essi fece Cialdini, il quale volle ancora accordare loro gli onori della guerra.
Ecco la convenzione combinata di mutuo accordo fra il luogotenente generale Cialdini, comandante il 4.° corpo di S. M. il Re di Sardegna, ed il colonnello Goudenhove dell'armata pontificia, comandante superiore delle forze riunite a Loreto, in data 19 settembre:
«Art.1. Le forze sotto gli ordini del predetto signor colonnello usciranno da Loreto, con direzione a Recanati, con tutte le armi, bagagli, artiglieria, carri, munizioni, cavalli ecc.
» Art.2. Dette forze marceranno per frazioni non maggiori di un battaglione, a distanza, l'una dall’altra, di venti minuti almeno.
» Art.5. Giungendo presso Recanati, le predette frazioni di truppe pontificie defileranno militarmente innanzi il generale Leotardi, comandante la 7. divisione, tl quale avrà un reggimento sotto le armi per rendere loro gli onori militari.
» Art.4. Ognuna delle frazioni predette, dopo aver ricevuto gli onori militari, deporrà le armi fuori di Recanati ed entrerà nel paese. I signori ufficiali, sfilando innanzi a) signor generale Leotardi, faranno atto di consegnargli la spada, ed egli li inviterà a conservarla.
» Art.8. Le truppe pontificie, così disarmale e rinchiuse in Recanati, saranno ivi sorvegliate da truppe sarde, che permetteranno ai soli uffiziali di uscire; s’intende che staranno in (ali condizioni, fino a che il Governo di Sua Maestà il re Vittorio Emanuele, trovi il mezzo di mandare ognuno al paese cui appartiene.
» Il generale Cialdini impegna la sua parola d’onore di valersi di tutta la sua influenza per accelerare la partenza delle truppe capitolate per la loro rispettiva patria, uffiziali e soldati.
» Art.6. Il generale Cialdini comandante il 4.° corpo d'armata di Sua Maestà Sarda assume in questo momento l’obbligo di fornire i viveri necessarii alle truppe capitolate e riunite in Recanati, accordando doppia razione agli uffiziali ed una alla bassa forza.
» Art.7. Il signor colonnello Coudenhove, dal canto suo, assume l'obbligo di mantenere l'ordine e la tranquillità in Recanati, e di far sì che le persone e le proprietà degli abitanti siano rispettate.
» Art.8. Per qualsiasi caso, non previsto da questa convenzione, il signor colonnello Coudenhove si dirigerà al generale Leotardi comandante la 7. a divisione, che resterà colle sue truppe attorno a Recanati.
» Art.9. Tutte le artiglierie, munizioni, carri di magazzino, cavalli ed effetti dello Stato, saranno consegnati, unitamente alle armi; i cavalli e bagagli di spettanze particolari saranno lasciati ai loro proprietarii.
» Art. IO. Una Commissione composta di due ufficiali, nominati dal generale Leotardi, e di altri due, nominati dal signor colonnello Coudenhove, deciderà sommariamente quali siano gli effetti di spettanza del Governo pontificio. I membri di questa Commissione potranno essere presentemente ufficiali amministrativi, ossia d'intendenza militare.
» Art.11. Il generale Cialdini permette che il sig. colonnello Coudenhove mandi in Ancona un intendente a prendere danari per le sue truppe. Quest’uffiziale amministrativo passerà nell’andata e ritorno per la strada di Camerano, e sarà accompagnato, fino agli avamposti delle truppe sarde, da un uffiziale designato dal generale Leotardi. Questo uffiziale si arresterà agli avamposti di Camerano verso Ancona, per accompagnarlo di nuovo a Recanati. Il predetto intendente sarà munito di un salvocondotto, firmato dal generale Leotardi.
» Art.12. Ad ogni buon fine si dichiara che gl’impiegati amministrativi, religiosi, delle poste, de’ telegrafi e del corpo sanitario, sono considerati col rango di uffiziali.
» Art.13. Il generale Cialdini s’incarica dei feriti che saranno lasciati dalle truppe capitolate a Loreto; egli manderà guardie e medici per averne cura e proteggerli; essi s’intendono naturalmente compresi nella presente convenzione, c si accorda di buon grado che i signori uffiziali feriti ritengano presso di essi le loro ordinanze.»
Lamoriciére era arrivato a comporre un non disprezzabile corpo, benissimo armato ed. equipaggiato, con eccellenti cavalli e discreta artiglieria. Assieme ai dragoni, ai cacciatori a piedi e a cavallo, agli zuavi, artiglieria e infanteria (tedesca, belgia, irlandese, ecc. ), sfilò in quel giorno dinanzi al generale Leotardi anche il superbo corpo delle guide a cavallo di Lamoriciére, tutti francesi della prima nobiltà e legittimisti ohe servivano il Papa a proprie spese.
II.
Il generale Lamoriciére, coi pochi che potè raccogliere, tentava di giungere in Ancona, ma questi pochi dovevano ancora essere minorati.
Il generale, continuando la sua marcia verso Umana, scorse sulla sua sinistra 50 bersaglieri piemontesi, che, a guisa di tiragliatori, si avanzavano verso il mare. Questi cominciarono subito a sparare sul fianco e sulla coda del piccolo corpo pontificio di fanteria, e la metà di esso, compresi due ufficiali superiori, cercarono scampo a settentrione del mare e deposero le armi. Quasi 80 uomini, col capitano Delpéche, serrati intorno alla bandiera, continuarono a marciare per la strada dal generale indicata. I bersaglieri piemontesi si contentarono di condurre seco i prigionieri e cessarono d’inquietare il resto della colonna, 'che continuò la sua marcia sopra Ancona.
Attraversarono Umana e Sirolo; cammin facendo le persone che incontravano dicevano che la strada era sgombra fino ad Ancona, ma che Camerano era occupata con molta forza. Ora, cominciando da Sirolo, la strada piega a sinistra, serpeggiando alle radici del monte d’Ancona, dal lato opposto al mare, e per quasi 8 chilometri, resta in vista di Camerano, dal quale è separata per mezzo di un profondo burrone; da Canterano un eccellente strada di comunicazione va a raggiungere la strada di Poggio, in chi riandò verso Ancona.
Era credibile che le truppe di Camerano, se avessero veduto i pontifici], sarebbero venute ad impedir loro il passo, come facilmente lo potevano. Questa considerazione persuase il generale Lamoriciére a lasciare la strada ed entrare in un sentiero attraverso i macchioni, che, con discese assai erte, conduce al convento dei camaldolesi. Da là, dopo un breve riposo di un i{uarto d’ora, per radunare la piccola colonna, si rimisero in via, seguendo, a traverso dei boschi, la strada che conduce alla sommità, sopra la quale è il telegrafo. Di là, scesero un po’ avanti di Poggio. Durante questa corsa fortunata essi scoprirono la squadra che bombardava Ancona ed udivano il cannone da qualche tempo. Alle 5 e mezzo entrarono in città.
I.
La città di Ancona (1 ), sul fianco di un monte, perfettamente isolato, si stende fino a bagnarsi in mare. Sul colle vicino, ch'è parte e si lega cogli altri, stanno i forti, cui fa corona un campo trincerato.
Con proclama dei 7 settembre la città e Provincia d’Ancona è stata posta in istato d’assedio. Il colonnello Gady, comandante superiore, della città e fortezza, assunse i poteri civili e militari, e delegò i poteri civili al conte Quatrébarbes, capo di stato maggiore della suddivisione di Ancona. I servizii che dipendono dal ministero dell’interno, la direzione generale di polizia, dei lavori pubblici e del commercio furono posti sotto la direzione del conte Quatrébarbes, con facoltà di conservare o sostituire gl’impiegati..
Il sullodato comandante civile conte Quatrébarbes, emanò il seguente proclama nel giorno 10 settembre:
«Anconetani,
» In seguito alla Notificazione dell’8 corrente di S. E. il generale in capo, Il signor colonnello commendatole di Gady, comandante civile e militare della città e provincia di Ancona, avendomi delegati i poteri civili, è utile e giusto che voi conosciate in principio il sistema che voglio seguire.
(1) Ancona, città capitale della Marca e della Delegazione dello stesso nome, in riva all’Adriatico, al pendio di una collina e tra due punte che si prolungano in mare trovasi a 47 leghe N. E. da Roma. Popolazione 80000.
» Membro per più anni della grande Assemblea rappresentativa del mio paese, immischiato nella sua politica, ho di recenle abbandonato la Francia e la mia famiglia per riprendere una spada, che nella mia gioventù ho impugnato con onore, ed offrire nel tempo stesso al Summo Pontefice l’ùltima goccia del mio sangue. Ecco in queste parole un' idea della mia vita.
» Nemico dell’arbitrario, ed altrettanto devoto al Padre comune de’ fedeli, non vengo qui per aggravare i rigori necessari! nello stato d’assedio; voglio anzi, al contrario, col consiglio e coll’aiuto dei vostri più onorevoli cittadini, addolcirlo, per quanto lo permetterà il mantenimento dell’ordine.
» Voglio prevenire ogni disposizione di rigore inutile, rispettare le vostre franchigie municipali, preparare de’ lavori per l'inverno alla classe laboriosa, consultare il commercio nei suoi bisogni, ed aiutarlo, se è possibile. Voglio infine riunire, pel tratto avvenire della vostra città, tutti gli eleménti di buòna amministrazione, di prosperità e di pace.
» Oso sperare che quéste intenzioni non vi saranno disaggradevoli.
» Voi mi aiuterete a realizzare ed a trascorrere felicemente tempi così difficili. Lo farete, io ne sono certo, per l’amore che avete per l’ordine e per la devozione che quirite pel più paterno e più dolce de’ Sovrani.
» Se il vortice della rivoluzione si agita sul vostro capo, se si tenta sedurvi ed ingannarvi per mezzo di false teorie, ricordatevi quel crudele anno 1848, nel quale il pacifico cittadino non era garantito dal pugnale dell'assassino La rivoluzione non è forte che quando si teme!
» Guardate quanto è maggiore il numero degli onesti, e come piccolo quello dei fautori del disordine. Voi conoscete questi ultimi dalle loro azioni. L'Autorità, che vigila sopra di essi, conosce il loro nome, lo li esorto, nel loro interesse, di non costringerla ad esercitare una giustizia rigorosa.
» In fine, protezione benevola viene assicurata a tutti gli uomini pacificasi commercio, all'industria, a tutt’i lavori ed a' progressi utili, mantenimento della pubblica tranquillità o repressione energica dei disordine e dello rivolta.»
II.
Il comandante civile d'Ancona conte de Quatrébàrbes, nel 15 settembre, emanò la seguente notificazione:
» In seguito al proclama di S. E. il governatore in capo sullo stato d'assedio, emanato il giorno 7 settembre, e per tutelare la pubblica quiete e la tranquillità dei cittadini nei momenti presenti, si crede utile di emanare le seguenti disposizioni:
» 1.° Viene diffidata qualunque licenza da caccia od altri permessi di porto d'armi, per cui tutti coloro che ritengono armi di qualunque genere, sia dà fuoco che da taglio, anche non proibite, nello spazio di 24 ore dalla pubblicazione della presente, dovranno depositarle al palazzo governativo. Spirato questo perentorio termine, si procederà a rigorose perquisizioni domiciliari, ed i contravventori saranno giudicati dai Consiglio di guerra straordinario, come ritentori d’armi proibite, e puniti a norma di legge.
» 2.° Le porte della città saranno aperte dalle ore 6 antimeridiane fino al colpo di cannone della sera. Le piccole porte delle medesime si apriranno la mattina alle ore 4 antimeridiane e saranno chiuse alle ore 11 pomeridiane.
» In caso di attacco, ni primo colpo di cannone, tutt’i cittadini dovranno ritirarsi. nelle proprie abitazioni, tenendo le finestre chiuse, colle persiane o sportelli aperti.
v 4.° Gli attruppamenti Sono proibiti, e la gendarmeria è incaricata di dissiparli, venendo anche all’arresto de' renitenti.»
Lo stesso comandante emise inoltre la seguente proclamazione:
» Anconetani,
» L’invasione delle Marche senza alcuna intimazione di guerra, l'assedio sanguinoso di Pesaro, sostenuto dal colonnello Zappi con 400 valorosi soldati contro più di 8000 uomini, la dimenticanza assoluta del diritto delle genti e di tutte le regole stabilite fra le nazioni civilizzate, rendono inevitabile una battaglia tra le truppe pontificie e armata piemontese. ché il generale Lamoriciére non è uomo da lasciare senza una solenne vendetta il delitto di. offesa nazionalità.
» Noi siamo sicuri, coll’aiuto d’iddio, che il trionfo coronerà il buon diritto, ma la vittoria stessa è sempre sanguinosa.
» Sul campo di battaglia non vi saranno più nemici, vi saranno solo dei feriti; per ciò si rende necessario formare un’ospitale nella chiesa di San Domenico con almeno 400 letti.
» Invitiamo pertanto tutti gli abitanti di Ancona, a qualunque opinione appartengano, ad una santa emulazione di carità, col prestare temporaneamente uno o più materassi ' e guanciali sui quali sarà iscritta la marca del proprietario. Il nome del medesimo, col numero ed indicazione degli oggetti prestati, sarà descritto dalle benemerite Suore di San Vincenzo di Paoli, alle cure delle quali sarà affidato l'ospitale, per essere restituiti tosto che i letti si saranno resi vacanti.
» Noi speriamo che questo invito sarà ascoltato dalla eccellente popolazione di Ancona, e che risparmierà le misure, che sarebbero inevitabilmente prese dall’Autorità militare, il cui primo dovere si è aver cura de’ ferita»
III.
Nel giorno 21 settembre il Governo di S. M. il Re di Sardegna notificò ufficialmente alle potenze estere il blocco effettivo del porto e della fortezza di Ancona, soggiungendo che durante il corso della presente guerra saranno scrupolosamente osservatici principii di diritto marittimo sanciti dal Congresso di Parigi 16 aprile 1836.
Furono dati tre giorni di tempo affinché i sudditi esteri, dimoranti in quella città assestassero i loro interessi.
IV.
Ecco le forze marittime piemontesi destinate ad attaccare Ancona sotto gli ordini di Persano:
Quattro fregate da 60 e sette navi meno importanti avevano insieme più di 400 bocche da fuoco. I cannoni erano o pezzi che scagliavano proietti di 40. chilogrammi, o pezzi rigati ohe portavano palle da 66 chilogrammi. La portata di questi congegni passava i 300 metri.
Ai 19 di settembre, dal lato di terra, i piemontesi restavano ancora molto lontani dalla piazza L’ ala destra della sua linea era a Camerano e si stendeva in un semicerchio schiacciato per chiudersi in riva al mare vicino a Falconara, che distava pur essa dalle mura circa 2 leghe e mezzo. Sopra questo semicircolo, alcuni punti, scelti naturalmente sugli sbocchi principali, erano fortemente occupali e fra essi alcune pattuglie battevano la campagna. In somma la piazza non era per anco investita.
I pontifici, oltre i forti, possedevano ancora presso Camerano due ridotti in terra, costrutti dagli austriaci nella loro ultima occupazione e posti sopra i rialti di monte Pelago e Monte Polito, a una distanza di 2000 a 1600 metri dai forti. Fuori, dalla parte di Sinigaglia e sopra le chine di Montagnolo, i pontifica possedevano altresì, a.1600 metri dalla cittadella, il ridotto chiamato di Scrima, alzato al tempo medesimo. Le fortificazioni stabili, dal lato della campagna? erano, più solide che le difese dal lato di mare. Di fronte alla campagna i pontificii avevano sopra i muri 110 pezzi d’assedio e più 14 pezzi leggieri. I loro più grossi cannoni erano da 36, e di questo calibro soltanto 18 pezzi.
V.
I primi effetti del bombardamento di Ancona per parte di mare, incominciato ai 18 settembre, aveva fatto più danno alla stessa città che alla difesa della piazza. Molte tettoie erano state sfondate: due fanciulli e una donna uccisi; un uomo tronco del braccio. La guarnigione ebbe soltanto cinque uomini fuori di combattimento, tutti gravemente feriti. L’artiglieria pontificia rispose vigorosamente al fuoco dei piemontesi, ed essendosi alcuni bastimenti avvicinati alle batterie pontificie, buon numero di palle gli avevano colti e danneggiati.
La squadra non aveva cessato, dopo il 18, di far fuoco e la mattina del 22 i piemontesi mandarono una barca con bandiera parlamentaria. L’uffiziale che vi era dentro, era latore di una lettera dell’ammiraglio Persano, il quale notificava ai generale Lamoriciére il blocco del porto e lo pregava di rimettere al console inglese un grosso piego di dispacci unito alla sua lettera.
La signora di Lamoriciére, inquieta pel suo consorte, mandò a chiedere al Governo del Re per averne notizie. Il generale Fanti inviò un parlamentario per soddisfare il desiderio di lei, alla quale furono trasmesse le notizie.
Il fuoco della squadra, sospeso per istanti, si riaccese più vivo. Ogni giorno cagionava agli assediati una perdita ragguagliatamente di 20 in 25 nomini posti fuori di combattimento, fra’ quali circa una metà era, per ordinario, di cannonieri.
VI.
Gli assediati tenevano sempre dinanzi alle loro opere esteriori alcune compagnie di guardia, che battevano il paese ad una assai grande distanza. Siccome i loro spalti e tutto il terreno dinanzi erano coperti di orti foltissimi, così questa cautela era perdessi necessaria onde evitare le sorprese.
Quantunque le forze dei piemontesi si fossero notevolmente cresciute, pure i loro avamposti restavano sempre ad una distanza considerevole. Il generale Lamoriciére non dubitava che ben presto si sarebbero ravvicinatile che fra poco dovesse esser egli investito molto d’accosto. Con questa previsione ripartì il comando e diede a ciascuno posto definitivo di combattimento.
La guarnigione era composta: del 1.° reggimento di linea sotto il comando del colonnello Serra: di due compagnie del 1.°'esteri; il depositò di questo reggimento e il distaccamento che il generale aveva condotto da Castelfidardo, formavano un piccolo battaglione che egli aveva collocato sotto gli ordini del capitano Castellaz; del 1.°, 3.° e 4.° battaglione bersaglieri; di quattro compagnie del 5.° medesimo, che si stava formando; di quattro compagnie del battaglione S. Patrizio; di una. compagnia di gendarmeria mobile e di un distaccamento di gendarmi a cavallo; de’ cavalleggieri condotti da Castelfidardo; di circa 400 artiglieri di varie batterie, e di un distaccamento di operai del genio.
I Ire battaglioni bersaglieri avevano perdute compagnie a Pesaro a Fano e a S. Leo, e sopra ciò questi corpi avevano toccato perdite ragguardevoli nel combattimento di S. Angelo. I viaggi e le fatiche avevano fatto cadere molti malati. La fanteria disponibile si riduceva quindi a 3200 uomini per difendere Ancona, il cui corpo di piazza, coi forti, ha uno sviluppo di 7Ó00 metri.
Al generale Courten venne dato il comando della cinta propria della città, del Lazzaretto, del ridotto di Monte Scrima, occupato da una compagnia.
Il generale Kanzler ebbe il comando de’ forti esteriori e dei ridotti di Monte Pelago e di Monte Polito. Il comando della piazza fu dato al colonnello Gùt.
La difesa della cinta fu ripartita fra il colonnello Gaddy, il maggiore Einen e il capitano Castellai II maggiore Qiiatrébarbes continuava il suo ufficio di governatore civile.
Il colonnello Vogelsang e il maggiore Ginzel, col 1.° e 3.° battaglione de’ bersaglieri, occupavano alternativamente il Gardetto e i ridotti di Pelago e Polito. Il maggiore Prossich, con una parte del suo battaglione e 3 compagnie del battaglione S. Patrizio, occupava il campo trincerato. Una compagnia del suo battaglione e una compagnia irlandese erano nella cittadella. Finalmente due compagnie, che si mutavano ogni tanto, difendevano la vetta di S. Stefano.
VII.
Nel 23 il bombardamento si fece vivissimo fin dal primo albeggiare dopo aver durato tutta la notte quieta. La città fu molto maltrattata.
Uno dei bastimenti della squadra, avendo fatto mala via nell’appressarsi a bombardar Pelago, Ai molto danneggiato dall’artiglieria dei Cappuccini e del Gardetto. Fu mandato un altro bastimento per aiutarlo a pigliare il largo; ma, innanzi che questa impresa fosse compiuta, due obici di campagna, diretti dal capitano pontificio Mayer, si appostarono in fondo alle Valle degli orti, sotto l'alta spiaggia e con un fuoco ben governato costrinsero tosto le due navi a scostarsi. Ma altri bastimenti vennero a surrogare i due che avevan dovuto lasciare il combattimento.
VIII.
Nella serata parecchie masse di soldatesche si videro a spiegare le tende sui colli vicini. Non distavano più che di 4000 metri dai pontifico, ma i loro avamposti non discendevano ancora nelle vallate che separavano i pontificii da quei colli. Correndo la notte, i pontificii ritirarono la compagnia che occupava il ridotto di Scrima per timore che non venisse sorpresa dagli assedianti, e l’indomani all’alba quella compagnia tornò al suo posto. Quindi i pontificii scopersero una forte colonna che da Falconara sboccava sulla spiaggia del mare e che mandava una parte della fanteria sopra le chine di Montagnolo. La colonna era seguita da molta artiglieria.
I pontifici! ritennero che dovesse essere o una parte del parco d’assedio o l'artiglieria Si riserva dei corpi d’esercito riuniti per concorrere all’assedio.
La fanteria piemontese occupava allora i villaggi e le case sopra le pendici volte ai pontificii, ed alcuni tiragliatori essendosi inoltrati verso il ridotto di Monte Seriola, s’impegnò la fucilala. I pontificii non volevano mantenere una postura così sporgente, e per ciò fu dato ordine alla compagnia di ripiegarsi sopra Borgo Pio.
Rapidamente la cresta coronasi di artiglierìe e i piemontesi aprono il fuoco coi loro pezzi rigati a 3000 metri incirca, ma i proietti scoppiavano prima di giungere al nemico. I pontificii tentarono di rispondere. Allora i piemontesi scese ro dalla china e vennero ad allogarsi un poco dietro al ridotto di Scrima, facendo sostenere l’artiglieria da uno o due battaglioni di fanteria. A questa distanza il fuoco diventò più efficace, e le granate scoppiavano sopra la cittadella, sopra il campo trincerato e dentro la città.
Allora i pontificii concentrarono il fuoco di parecchi dei loro grossi pezzi sopra. alcuni di quelli dei nemici; altri furono rivolti sopra i gruppi di fanteria che scorgevano, e li costrinsero a ritirare i pezzi ch'erano scoperti e a risalire nel silo dal quale erano discesi.
IX.
Nella notte i piemontesi eressero ed armarono nel ridotto Scrima una batteria di otto pezzi rigati. Oltracciò, nelle pendici del Montagnolo avevano posto 20 o 26 potei di cannone di qualità pari agli altri della batteria e gli avevano riparati solo con piccoli spalleggiamenti 0 coi vantaggi che loro offriva la forma del terreno.
Dal primo albeggiare cominciò il fuoco sopra le opere e la città ed alcuni bastimenti della squadra vennero ad assalire. Il fuoco di tutti i pontificii, che miravano il ridotto, venne loro concentrato sopra ed a! medesimo scopo essi portarono due mortai. La batteria piemontese soffriva molto e nel termine di poche ore il suo fuoco era quasi spento. Quanto ai pezzi collocati a piccoli gruppi, i pontificii li attaccarono di poi, ma i loro colpi erano troppo incerti.
Un bastimento piemontese avendo di bel nuovo dato a traverso nel passare vicino al Gardetto, fu maltrattato dal fuoco nemico. Il cannoneggiamento ed il bombardamento erano fuor di modo continui. Una bomba cadde nella sala degli archivii del console di Francia, mentre il console con tutta la famiglia erano in casa. Un’altra scoppiò dentro il palazzo dell’arcivescovo.
Proseguendo il fuoco senza smettere fino a notte ferma, i pontificii ebbero parecchi pezzi smontati ed alcuni affatto guastati. La popolazione della città contava una dozzina di morti o feriti. Le perdite della guarnigione erano alquanto più rilevanti degli altri giorni.
X.
Nella sera del 26 i piemontesi tentarono di prendere il Villaggio di Piè della Croce posseduto dai pontificii a 600 metri innanzi il ridotto di Pelago. Il terzo battaglione de’ bersaglieri del maggiore Ginzel guardava in quel giorno i due ridotti; una compagnia custodiva il villaggio, e, dopo un leggiero combattimento, i bersaglieri piemontesi e pontificii avevano conservato ognuno un' estremità della posizione, impadronendosi delle case in cui si erano chiusi.
Il battaglione pontificio numerava più di 600 uomini: 100 erano in questa gran guardia,300 con sei pezzi nel ridotto Pelago, e 200 in quello di Polito con un’altra batteria. Queste milizie avevano ordine di non difendere tali posti a oltranza, ma bensì di ritirarsi lentamente in modo da permettere all'artiglieria di calare le chine ripide, in cui si doveva impegnare.
Il capitano Castellaz propose al generale Lamoriciére d’impossessarsi, un’ora prima di giorno, dell’estremità del villaggio di Piè della Croce, stato tolto la sera innanzi dai piemontesi. Il generale accettò la proposta ed il capitano assalì i piemontesi all’ora convenuta; la loro guardia fece fuoco e gli svizzeri risposero, poi si ritirarono alla scompigliata. I piemontesi, ciò vedendo, li caricarono, e poco mancò che il capitano Castellaz venisse preso. La fuga del suo paio di compagnie si tirò dietro la ritirata della compagnia del 3.° bersaglieri, la quale si sosteneva ancora alla testa del villaggio dall’altra banda. Questa si fermò nel ridotto di Pelago, e le due compagnie estere rientrarono in città.
Dal lato di Scrima, i piemontesi, i quali avevano abbandonato nel dì innanzi la batteria fatta nel ridotto, ne avevano una nuova un po’ di dietro a quest'opera, e l’avevano armata con 10 pezzi rigati, i quali mandarono incontanente proietti di un calibro assai maggiore di quelli che la stessa batteria aveva scagliali il dì innanzi.
Una trentina di pezzi, posti a destra ed a sinistra di questa batteria, aprirono aneli’ essi il fuoco. I pontificii ripeterono il giuoco che loro aveva riuscito il giorno prima. Il fuoco della batteria scemò ben presto e poi si spense del tutto, ed ai pontificii non rimase da combattere altro che i piccoli gruppi dei pezzi dispersi.
XI.
La flotta, fin dalla mattina, era venuta ad aprire il fuoco sopra Monte Pelago. Verso le 9 e mezzo, questo posto fu assalito da tre battaglioni, di cui due si presentarono di fronte, ed il 3.° girava la posizione per la destra a traverso l'orto. Le quattro compagnie pontificie, così assalite, si prepararono alla ritirata e cominciarono ad acconciar i pezzi di artiglieria, che fino a quell’ora avevano fatto fuoco; quando tardi si accorsero ch'erano avvolte. La strada per la quale si poteva calare il cannone era occupata da un battaglione. Le compagnie pontificie si ritirarono senza poter condur seco l'artiglieria. L’uffiziale, che comandava le tre compagnie che occupavano il ridotto di Monte Polito, fece all’istante acconciar i pezzi e si ritirò.
XII.
Presi Monte Pelago e Monte Polito, i piemontesi tentarono di prendere la lunetta S. Stefano. Il generale Lamoriciére, vedendo che l'attacco di quel punto si spiegava, fece dire alla lunetta ed ai forti, che la proteggevano, che lasciassero venir innanzi il nemico fino alla cima degli spalti è di non cominciare il fuoco se non quando vedessero gli assalitori nei fossi.
I tiragliatori piemontesi aggredirono francamente e taluni scesero fino ai piedi delle scarpe. Allora un fuoco terribile li fulminò da ogni parte, di fronte, di fianco, di dietro e furono costretti a ritirarsi. Tentarono bravamente di riordinarsi dietro le siepi e le case, ma le palle e le granate vennero ben presto a cacciameli, né si riordinarono più se non dietro i ridotti, che poche ore prima avevano conquistato. Alcuni uffiziali a cavallo sostennero molto valorosamente la ritirata, che aveva costato molta gente alle loro milizie.
XIII.
La flotta piemontese, che non aveva più ridotti da bombardare, si appigliò invece al forte dei Cappuccini. Una. bomba mise fuoco al corpo di guardia, uccise varii uomini e ferì gravemente il capitano Capucini, comandante quel posto. Uno dei grossi pezzi pontificii fu rotto da un proietto e due affasti vennero ridotti inservibili.
Poco stante lungo il lido del mare inoltravasi una colonna d’artiglieria piemontese con molti carriaggi ed attrezzi scortati da 3 o 4 battaglioni di fanteria. Questa salì pei clivii di Montagnolo, pigliando la stessa via che l'altra indicata nel giorno precedente. Verso le ore 4 una fortissima pioggia ridusse al silenzio una parte e l'altra; fu ripreso il fuoco 2 ore dopo, né si fermò più che a notte cupa.
Le perdite di questo giorno 26 furono pei pontificii di 40 uomini uccisi, feriti o presi nell'assalto dei ridotti; 29 circa nella batteria e un numero quasi eguale nel resto della guarnigione. La città aveva 4 o 5 vittime.
XIV.
I piemontesi, nella notte 26 al 27, con quattro battaglio ni occuparono il vasto sobborgo di Porta Pia, di cui nel giorno innanzi i pontificii avevano sgombrato le tagliate da essi fatte sulle vie. Il fuoco dei bersaglieri piemontesi che, protetti dalle case, si avvicinava, diventò molesto, ai difensori delle mura e nei dintorni di Porta Pia e fino al Capo di Monte.
Di gran mattino gli avamposti piemontesi si appressarono alle mura e fecero ripiegare nella piazza le compagnie che i pontificii avevano mantenuto negli orti. In questi combattimenti il sottotenente di Metternich, dei bersaglieri, fu gravemente ferito, e il luogotenente Balisoni, del 1.° di linea, fu colpito a morte.
Alcuni colpi di cannone delle batterie di terra e delle navi erano stati tirati al mattino, ma presto il fuoco cessò e la giornata fu tranquilla.
Ciò faceva meraviglia nella città e fra la guarnigione; gli uni si abbandonarono alle speranze e gli altri all’avvilimento.
XV.
Il fuoco contro Ancona durava da otto giorni; si udiva il cannone da Venezia, dalla costa della Dalmazia, e si disse ancora da Trieste.
Verso Camera no i pontificii scorsero una grossa testa di colonna di artiglieria, la quale venne presso che sopra un alto piano di Monte Acuto. Alcuni abitanti gl’informarono allora dell'andirivieni che avevano fatto alcune vaporiere fra Sinigaglia e la foce del Musone. Era una parte del parco d'assedio che si trasportava ad Umana e che d’indi veniva a prender posto per salire alla destra delle fronti d'attacco dei piemontesi.
Il silenzio delle batterie, che avevano fino allora fatto fuoco, e l’arrivo di questo parco d’assedio sembravano indicare ai pontificii che i piemontesi cesserebbero da quella specie di fuoco da bersaglieri ch'essi avevano ingaggiato i giorni precedenti con 40 o 50 pezzi di artiglieria e senza grande effetto contro stabilì fortificazioni.
Il Lazzaretto, ch'è come un grande ridotto in opera muraria, circondato da un piccolo braccio di mare e posto fuori della cerchia delle mura innanzi alla Porta Pia, conteneva una parte dei magazzini dei vari corpi. Nella serata, forse per caso, forse pei colpi che il nemico vi aveva scagliati, il fuoco si apprese a que’ magazzini. Avendo il fuoco dei bersaglieri, agguatati in qualche casa del sobborgo, colpito qualcuno dei difensori di quell’edilìzio, esso fu in tutta fretta sgombrato.
I magazzini furono in parte saccheggiati e ben tosto fu bruciato il ponte che li metteva in comunicazione colla città.
I pontificii avevano sui parapetti del Lazzaretto otto pezzi di cannone, che battevano all entrata della rada e furono da essi abbandonati dopo di averli inchiodati. Ma il giorno appresso ebbero vivamente a rammaricarsi di averli perduti.
XVI.
Nella notte del 27 al 28 la squadra piemontese tentò colle scialuppe di spezzare la catena del porto. I cannonieri pontificai se ne avvidero, e colpi di mitraglia tirali su quelle scialuppe impedirono ai piemontesi di riuscire nel loro disegno.
Nel mattino i pontifici scoprirono nna batteria che i piemontesi avevano eretta nel Borgo Pio sopra la strada a 600 metri dalla Porta Pia, contro la quale si cominciò a far fuoco. Concentrarono subito sopra questa batteria tanto fuoco che costrinse i piemontesi a partire. Il cannoneggiamento di Monte Scriraa continuava come il dì innanzi.
Ma i battaglioni, che occupavano i sobborghi, si erano procurati battelli nella notte, e l'un di essi, introdotti nel Lazzaretto i suoi bersaglieri, ch'erano a 40 o 60 metri da Porta Pia, molestò gravemente i cannonieri delle batterie pontificie e i fanti che le sostenevano.
Ma subito quattro pezzi di campagna, sotto gli ordini del capitano Mayer, furono portati sopra la spianata di Capo di Monte e cagionarono al battaglione, che occupava il Lazzaretto, perdite sì ragguardevoli, che tosto spense il fuoco. Cercò di ritirarsi, ma conveniva attraversare il piccolo brac eio di marej che circonda l'opera, e le batterie pontificie resero tosto difficile quella mossa.
Indi a poco, una forte colonna di fanteria piemontese s’incamminava a Monte Pelago. Fece sosta fuori della portata dei cannoni pontificii; solo alquante bombe giunsero alla testa della colonna.
Il movimento di quella colonna non proseguì. In vece, a mezzogiorno le fregate presero la rotta verso le batterie del Molo e della Lanterna, e contro queste cominciarono un combattimento a oltranza, sostituendosi le, une alle altre. La batteria Barbetta della Lanterna fu presto conquassata e un gran numero di cannonieri uccisi o feriti; il resto, pochi uomini, si ricoverò nella bassa batteria. Allora una fregata girando le batterie del Molo, la prese alle spalle. I cannonieri pontiftcii voltarono i pezzi e si batterono alla scoperta. Alcune gittate di mitraglia e due bordate della fregata ebbero ben presto smontati i pezzi e messi fuori di combattimento più di tre quarti di que’ difensori; gli altri seguirono quelli della Barbetta e rientrarono nella batteria coperta di casematte, nella quale sola si potevano reggere in quel momento.
Questa batteria aveva 9 pezzi, e come le fregate non l'assalivano se non sopra una faccia, così tre soli pezzi potevano rispondere al loro fuoco. I proietti enormi, scagliati da 400 a 500 metri, demolivano rapidamente i muri ed allargavano ogni tratto l’ampiezza delle imboccature. In poco d’ora, la mitraglia divenne quasi altrettanto formidabile nella batteria coperta, quanto era stata sopra la Barbetta. La fregata, che assaliva in testa, vedendo la propria prevalenza, si accostò a meno di 250 metri. In un istante uno dei pezzi pontificii fu rotto da una granata da 80. I cannonieri, che lo servivano, furono tutti messi fuori di combattimento. Sopra 120 cannonieri, che difendevano quella parte di mura, ne restavano appena tanti che bastassero a servire i due unici pezzi che facevano fuoco. I feriti erano impiegati a somministrare le munizioni. La fregata ricevette non poche palle che la maltrattarono.
Il luogotenente Westminsthal, mentre puntava uno dei suoi ultimi pezzi, fu colpito a morte da una scarica di mitraglia.
XVII.
Questa lotta erasi continuata per un’ora e mezzo, ma presto doveva finire. Una granata dei piemontesi, entrando per una delle imboccature allargate, penetrò in un magazzino di polvere e fece saltare le batterie. Il parapetto fu danneggiato gravemente, e i muri, ai quali era affissa la catena del porto, essendo stati atterrali, tutte le sue difese erano distrutte, ed una breccia larga 500 metri era aperta al corpo della piazza, poiché, dietro questa, non offrendo la cinta della città nessun ostacolo di momento, il nemico poteva sbarcare sopra il parapetto e prendere i pontificii d’assalto, senza che questi potessero impedirlo.
Lamoriciére innalzò allora la bandiera bianca sopra la cittadella, e tutti i forti ripeterono questo segnale.
Immediatamente egli spedì il maggiore Mauri a bordo del vascello ammiraglio per trattare di capitolazione. Erano circa le 4 e mezzo della sera. Il fuoco cessò sull’istante da una parte e dall’altra, e le cose così restarono fino alle 9 di sera. Allora i piemontesi ricominciarono a tirare da qualcuna delle loro batterie, e il domani, verso le ore 9, il fuoco nuovamente cessò. Poi, dopo diversi scambii di parlamentarli, alle ore 2 fu sottoscritta la capitolazione.
Ecco il testo della capitolazione d’Ancona combinata di mutuo accordo d’ordine del generale Fanti, comandante in capo l’armata di S. M. il Re di Sardegna nelle Marche e nell’Umbria, e d’ordine del generale Lamoriciére, comandante in capo le truppe pontificie, dai sottoscritti commissarii.
«Art.1. La piazza d'Ancona col suo intiero armamento, magazzini e polvere, di vestiario, di vettovaglie, di carbone, legni da guerra, casse pubbliche, cavalli, carri e qualsiasi altra cosa appartenente al Governo, tanto del ramo militare sì di terra che di mare, come civile, verrà immediatamente consegnata alle truppe terrestro- marittime di S. M. il Re di Sardegna.
» Art.2. A tale effetto saranno immediatamente consegnate alle truppe di terra di S. M.: La fortezza ed il campo trincerato; le opere esterne del Gardetto e lunetta S. Stefano; il forte de’ Cappuccini. La Porta Pia, Calamo, Farina, e la porta del Molo saranno consegnate alla regia marineria.
» Art.5. Le parti contraenti nomineranno una commissione mista e composta per ciascuna di esse di un ufficiale di artiglieria, di un ufficiale del genio, di un ufficiale di marina, e di un impiegato d’intendenza militare per ricevere o dare in consegna, facendo un inventario di tutto quanto esiste di pertinenza governativa nella piazza e dipendenze.
» Art.4. L’intiera guarnigione della piazza di Ancona, compresi tutti gl'impiegati militari che si trovano in detta piazza, usciranno cogli onori delle armi da Porta Pia, con direzione alla Torretta, costituendosi ivi prigionieri di guerra.
» Art.5. Le forze, che compongono la guarnigione, usciranno successivamente di mezz’ora in mezz’ora, per battaglioni, o per armi speciali riunite insieme.
» Art.6. Giungendo i varii drappelli alla Torretta, do po aver resi gli onori militari, deporranno le armi, e saranno avviati senza di esse in Val di Jesi, di dove proseguiranno pel Piemonte.
» I signori ufficiali, sfilando innanzi alle truppe di S. M., faranno atto di consegnare la sciabola al comandante di esse, il quale li inviterà a conservarla.
» I signori ufficiali, imbarcati sur un vapore dello Stato, proseguiranno fino a Genova; la bassa forza, per la via di terra, ad Alessandria.
» S. £. il generale Fanti impegna la sua parola d’onore di valersi di tutta la sua influenza presso il Governo, perché, giunte in Genova ed Alessandria, tutte le truppe capitolate, vengano subito dirette alla loro rispettiva patria, sotto la loro parola d’onore di non combattere per un anno contro le truppe di S. M. il Re.
. a I signori ufficiali tutti potranno condurre seco loro il rispettivo bagaglio ed i cavalli di loro privata spettanza, in ragione del grado.
» Art 7. Gl’impiegati amministrativi, religiosi, sanitarii, delle poste, dei telegrafi, saranno considerati con rango di ufficiali.
» Art. 8. I feriti saranno lasciati in Ancona sotto la garantia del Governo di S. M.: ad essi, se ufficiali, si permette di tenere presso di loro la propria ordinanza.
» Ufficiali e truppa s’intendono di fatto compresi nella capitolazione.
» Art.9. Alle truppe comprese nella capitolazione, e finché non vengano rinviate alle loro case, sarà giornalmente corrisposto il seguente trattamento:
» Ai signori ufficiali generali, italiane lire 10 al giorno;
» Id. superiori, italiane lire 5. id.;
» Ai signori capitani, luogotenenti, sotto-tenenti, italiane lire 3 id.
» La bassa forza riceverà giornalmente una razione-di viveri, ed a mano 20 centesimi se sott’ufficiali, e centesimi 10 se caporali o soldati.
» Art.10. Mentre si farà la consegna delle porte e delle parti fortificate alle truppe assedianti, il capo dell’amministrazione militare in Ancona, e tutti i contabili di ogni corpo ed azienda militare o dei Governo, faranno pure la consegna dei danaro che ritengono, e quale sarà dimostrato dai loro registri, verificati dai funzionarii d’intendenza del corpo assediante. Saranno pure consegnate quelle somme levale dal Tesoro pubblico, che in questi ultimi tempi possono essere state irregolarmente introdotte in Ancona.
» Fatto in duplice copia al quartier generale dell’armata sarda, a Villa Favorita, sotto Castro, addì 29 settembre 1860.»
» I commissarii pontifica:. L. Mauri;. Lepri, aiutante di campo.
I commissarii sardi: Cav. Sonnaz, maggiore di stato maggiore; Cav. Bertole Viale, id.
XVIII.
Deposero le armi più di 6000 prigionieri. I cannoni presi ammontavano a 164, comprese due batterie da campagna. I cavalli d’artiglieria ammontavano a 500 ed a 60 quelli di gendarmeria; si trovarono 100 buoi, molti fucili, varii magazzini, due piccoli vapori e sei trabaccoli. Nella cassa militare si rinvennero 750,000 franchi e nella cassa camerale 4115,000 franchi.
S. M. il Re Vittorio Emanuele ha fatto esprimere tutta la sua riconoscenza all’armata ed alla squadra, che tanto si distinsero nella presa d'Ancona.
I.
Nel concistoro segreto tenuto il $8 settembre tl Santo Padre proferì la seguente allocuzione:
«Venerabili fratelli,
» Siamo costretti a fard oggi pure a detestare e a deplorare, nel più amaro dolore dell'anima nostra, i nuovi ed inuditi eccessi, commessi contro di Noi, contro questa Sede Apostolica e contro la Chiesa cattolica, dal Governo subalpino. Codesto Governo, voi il sapete, venerabili fratelli, abusando della vittoria, ch’ei riporta mercé l’aiuto e il «occorso di una grande e bellicosa nazione, durante una guerra Innesta; ampliando la sua dominazione in Italia con vitupero di tatti i diritti divini cd umani; istigando i popoli alla ribellione, scacciando con somma ingiustizia i principi legittimi da’ proprii loro dominii, invase ed usurpò, con sacrilega audacia, alcune Provincie dell'Emilia, poste sotto la nostra obbedienza. Mentre il mondo cattolico, rispondendo alle nostre più giuste e più gravi lamentazioni, non cessa di gridare altamente contro codesta empia occupazione, quel medesimo Governo deliberò d’impadronirsi delle altre Provincie della Santa Sede, situate nel Piceno, nell'Umbria e nel Patrimonio di S. Pietro.
Ma, vedendo che le popolazioni di codeste Provincie godevano la più perfetta tranquillità e, profondamente affezionate a Noi, non potevano essere né sottratte, né strappate alla nostra legittima autorità ed a quella della Santa Sede, né col danaro a profusione versato, né cogl'intrighi più disonesti, ei si risolvette d’inviare in queste medesime Provincie, primieramente torme di sciagurati per suscitare disordini e sedizioni, poi finalmente la sua potente armata, per costringerle coll'invasione violenta e per sottoporle colla forza.
» Conoscete perfettamente, venerabili fratelli, le lettere impudenti che il Governo subalpino, per ammantare la suà rapina, ha indirizzato al nostro cardinale segretario di Stato, lettere nelle quali ei non ebbe vergogna di. annunziare che aveva dato ordine alle sue truppe, di occupare le nostre Provincie sovraccennate, ove non si congedassero gli stranieri, ammessi nel piccolo esercito, eh era stato raccolto per mantenere la sicurezza nel nostro Stato pontificio e delle popolazioni di esso. Non ignorate neppure che codeste Provincie furono occupate da truppe subalpine, quasi nel medesimo tempo in cui si ricevettero queste lettere.
» Certamente, niuno può sottrarsi alla maggiore commozione ed alla più forte indignazione rammentandosi le accuse menzognere, le calunnie e le ingiurie di ogni maniera, che codesto Governo, a puntello delta sua empia e criminosa aggressione, non ha vergogna d’invocare contro il potere temporale della Chiesa e contro il nostro Governo. Chi mai non rimarrà stupefatto di udirci rimproverati di aver ammesso stranieri nel nostro esercito, quando sa tutto il mondo che il diritto di arrotare di codesti ausiliarii non potè essere negato mai a verun Governo legittimo?
Codesto diritto appartiene anzi, per una specie di preferenza, al nostro Governo ed a quello della Santa Sede, perché il Pontefice romano, padre comune di tutti i cattolici, non può accogliere se non con favore tutti que’ cattolici, i quali, animati dal zelo per la religione, vogliono servire nelle truppe pontificie e concorrere alla difesa della Chiesa. E stimiamo per anco doversi osservare che codesta affluenza de’ cattolici esterni fu soprattutto stimolata dalla perversità di coloro che assalirono la potenza temporale di questa Santa Sede. Nessuno ignora, infatti, quale indignazione e qual lutto invadessero tutto il mondo cattolico quand’ei conobbe rempia ed odiosa aggressione indirizzata contro i dominii della Sede apostolica. Ne seguì che un gran numero di fedeli di tutte le contrade della Cristianità volarono spontaneamente e con mirabile impulso al nostro Stato pontificio e si offersero di entrare nella nostra milizia per difendere valorosamente i nostri diritti, que’ della Chiesa e della Santa Sede. Con singolare malignità dunque il Governo subalpino non teme d’imporre calunniosamente l’onta del nome di mercenarii a’ nostri soldati, la maggior parte de’ quali, sì fra gli stranieri, come fra gl’indigeni, nacquero d’illustre casato ed appartengono a nobili famiglie, e, mossi unicamente dall’amore della nostra santa religione, vollero porsi al nostro servigio senza veruno stipendio.
Non dobbiamo, dopo ciò, trattenerci a ribattere l'accusa di barbarie, sì indegnamente volta contro le nostre truppe, perché i loro detrattori non possono addurne veruna prova. E ben piuttosto questo rimprovero ritorcer potrebbesi contro di essi, come provano troppo manifestamente i selvaggi proclami pubblicati da' generali dell'esercito subalpino.
» Or qui. giova avvertire, venerabili fratelli, che il nostro Governo non poteva in veruna maniera sospettare codesta colpevole invasione, imperciocché eragli stato assicurato che le truppe subalpine eransi appressate al nostro territorio, non già coir intenzione d’invaderlo, ma, per lo contrario, a fine di vietarne l’ingresso alle torme de’ perturbatori. Per la qual cosa, il generale in capo delle nostre truppe non poteva neppur immaginare ch’egli avrebbe a combattere contro l’esercito subalpino. Ma dappoiché le cose furono d’improvviso, e contro ogni aspettazione, si criminosamente cangiate, tosto ch'ei conobbe l’irruzione ostile commessa da quell’esercito, di tanto superiore per numero, ei pigliò il saggio divisamento di chiudersi in Ancona, piazza perfettamente fortificata, a fine di non esporre i nostri soldati a morte troppo certa. Impedito, per viaggio, dalle mosse del nemico, ei dovette appiccare la zuffa per aprirsi a viva forza il passaggio.
» Mentre offeriamo un tributo di lodi, indubbiamente ben meritate, a codesto comandante in capo delle nostre truppe, a’ suoi uffiziali ed a’ suoi soldati, i quali, assaliti da inattesa irruzione, hanno si coraggiosamente combattuto e con forze ineguali per la causa di Dio, della Chiesa e di questa Sede Apostolica,
Noi possiamo appena frenare le lagrime, pensando quanti valorosi soldati e soprattutto quanti eletti giovani, ch'erano accorsi, con sì pio e nobile zelo, a soccorso della sovranità temporale della Chiesa romana, siano in tale ingiusta e crudele invasione caduti.
» E soprattutto ci commuove il lutto, che ricade sulle loro famiglie; così a Dio piacesse che Noi potessimo cessare le loro lagrime colle nostre parole! Abbiamo fiducia che non sarà per codeste famiglie tenue consolazione e poco alleviamento la menzione onorificentissima che Noi accordiamo in questo momento a’ trapassati loro figli pel magnifico esempio di pietà, di fedeltà e di amore ch'ei porsero al mondo verso di Noi e verso codesta Santa Sede, a gloria immortale del loro nome. Ed eziandio Noi sorgiamo a salda speranza che tutti coloro, i quali soffersero, per la causa della Chiesa, morte così gloriosa, abbiano ottenuta la pace e la beatitudine eterna, che implorammo, né cesseremo d’implorare giammai per essi da Dio ottimo massimo. Indirizziamo egualmente, a questo proposito, le nostre meritate lodi a’ nostri cari figli, i governatori delle Provincie, precipuamente di Urbino, di Pesaro e di Spoleto i quali, in codeste tremende vicissitudini, adempierono a’ loro doveri con continua sollecitudine e coraggiosa costanza.
» Ed ora, venerabili fratelli, chi potrebbe tollerare la insigne impudenza e ipocrisia con cui gl’indegni aggressori osano, ne’ loro proclami, affermare ch'essi entrano nelle nostre Provincie, per ristorare i principii d’ordine morale? E codesta temeraria asserzione è proferita da coloro medesimi, i quali, dichiarando una guerra implacabile alla Chiesa cattolica,
a’ suoi ministri ed a’ suoi beai, disprezzando assolutamente le leggi e le censure ecclesiastiche, non esitarono a porre in catene eminenti cardinali di santa romana Chiesa, o vescovi, od uomini onorandissimi dell’uno e dell’altro clero; a scacciare comunità religiose da’ proprii loro monasterii; a spogliare la Chiesa de’ suoi beni e a devastare il patrimonio di questa Santa Sede. I principii dell’ordine morale sarebbero dunque ristorati da coloro, i quali fondano scuole pubbliche di dottrina falsissima e case di perdizione; i quali si sforzano, con abbominevoli scritti e spettacoli infami, di offendere e distruggere il pudore, l’onestà e la virtù; di volgere a derisione i sacri misteri della nostra divina religione, i sacramenti, i precetti c le leggi della Chiesa, i suoi ministri, i suoi riti, le cerimonie; di annientare ogni nozione di giustizia, e di scuotere e di rumare la fondamenta della religione e della società!
» Per la qual cosa, in questa aggressione, in questa orribile invasione del nostro poter temporale, operata dal Re di Sardegna e dal suo Governo contro tutte le leggi della giustizia e del diritto delle genti, rammentandoci del dovere del nostro uffizio, alziamo di nuovo energicamente la voce di mezzo alla nostra illustre adunanza e in faccia al mondo cattolico; riproviamo e condanniamo i colpevoli e sacrileghi eccessi di codesto Re e di codesto Governo; dichiariamo tutti i loro atti nulli e di niun effetto, e domandiamo, nella forma più pressante, l'integrità di quel Principato temporale, che appartiene alla Chiesa romana, come pure i diritti, che sono i suoi è quelli di tutt’i cattolici, e non cesseremo giammai di domandarne la restituzione.
» Qui non possiamo dissimularvi, venerabili fratelli, ohe siamo oppressi dai più vivo cordoglio vedendo che, in cosi scellerata e per sempre esecrabile spoliazione, Noi siamo ancora privi di esterni soccorsi, in conseguenza delle pa recchie difficoltà che sorsero. Certamente, sono a voi notissime le replicate dichiarazioni, che ci furono fatte da uno dei più possenti principi dell’Europa. Tuttavia, mentre pur ancora attendiamo l’effetto di codeste dichiarazioni, non possiamo non essere desolati e turbati vedendo che gli autori e fautori di codesta spaventevole usurpazione persistono e progrediscono con audacia e insolenza nel loro detestabile disegno, come se fossero assicurati che niuno vi si opporrà efficacemente.
» La loro perversità è giunta a tal segno che, essendo le truppe nemiche dell’esercito subalpino state inviate quasi appiè delle mura della nostra amatissima capitale, ogni circolazione è interrotta, gii affari pubblici e privati sono sospesi, le strade sono intercettale, e, cosa più grave, il Sommo Pontefice ne riceve il più doloroso impaccio pegli affari della Chiesa e non saprebbe provvederci, imperocché è chiusa la via principale di comunicazione colle varie parti del mondo. Dunque, venerabili fratelli, in codeste sì amare angoscie, in tale stremo, voi comprendete come Noi siamo indotti alla dolorosa necessità di pensare, pur nostro malgrado, a prendere risoluzioni opportune per salvare la nostra dignità.
» Intanto non sapremmo astenerci dai deplorare particolarmente il funesto e pernicioso principio, che fu chiamato il principio del non intervento, proclamato da certi Governi alcun tempo fa, tollerato dagli altri e posto in prati ca anche quando si tratta dell'odiosa aggressione di uno Stato contro un altro;
donde viene che una specie d’impunità e di licenza è assicurata, con vitupero di tutte le leggi divine ed umane, all’invasione ed alla spoliazione de’ di- ritti, delle proprietà e dei dominii altrui; la qual cosa, al postutto, noi vediamo succedere a questi giorni deplorabili.
E veramente mirabile è che al solo Governo subalpino sia impunemente lecito di calpestare e di violare codesto preteso principio, sendoché lo vediamo, dinanzi agli sguardi delT intera Europa, irrompere colle sue truppe ne’ dominii degli altri Stati, detronizzarne e scacciarne i legittimi principi; donde segue la pericolosa assurdità che l’intervento esterno non è ammesso se non per suscitare e favoreggiare la ribellione.
» L’occasione è dunque opportuna per voi di esortare tutt’i principi dell’Europa a riflettere, nella gravità dei loro consigli e nella meditazione della loro sapienza, quanti mali e pericoli sono accumulati ne’ detestabili avvenimenti che deploriamo. Trattasi, in fatti, di una barbara violazione attuata contro il diritto universale delle nazioni, e se essa non è completamente repressa, non avvi più sicurezza né stabilità quindinanzi per verun diritto legittimo. Trattasi del principio di ribellione, del quale il Governo subalpino subisce ignominiosamente il giogo; principio che fa agevolmente comprendere quali pericoli minaccino i Governi e ricadano su tutta la civil società, imperocché per esso s’apre la breccia dinanzi al fatal comunismo. Trattasi della violazione de’ patti solenni, che guarentiscono l’integrità e l'indipendenza, così dello Stato pontificio, come di tutti gli altri Stati europei.
Trattasi della violenta spoliazione di codesto potere, il quale, per disegno speciale della divina Provvidenza, fu dato al romano Pontefice per assicurargli nella Chiesa universale la piena libertà dell’esercizio del suo ministero apostolico. 'Codesta libertà debb’essere, da parte di tutti i Principi, oggetto della più viva sollecitudine, affinché il Pontefice non soggiaccia all’influsso di verun esterno potere, e conseguentemente i cattolici, che dimorano nei paesi di que’ Principi, rimangano in piena sicurezza.
» Per la qual cosa, i grandi sovrani dovrebbero avere il convincimento che la nostra causa è congiunta affatto alla loro, e che, recandosi essi in soccorso di Noi, provveggono a tutela de’ loro diritti, come de’ nostri. Perciò gli esortiamo colla più viva fiducia ad accordarci la loro assistenza, ciascuno giusta il proprio potere; e non dubitiamo che particolarmente i Principi ed i popoli cattolici pongano in opera ogni loro cura per aiutare, conforme al loro comune dovere, il Padre e il Pastore di tutto il gregge del Signore, e si affrettino a difenderlo e proteggerlo contro l'assalto che gli danno le armi parricide di un figlio degenere.
» E siccome sapete, venerabili fratelli, che Noi dobbiamo riporre ogni nostra speranza in Dio, il quale è nostro rifugio e soccorso nelle nostre tribolazioni, il quale percuote e risana, ferisce e salva, mortifica e vivifica, trae nelr abisso e ne ritrae, non cessiamo, con tutta fede ed umiltà di cuore, d’innalzare le più assidue e fervide preci del nostro cuore dinanzi a Lui, implorando soprattutto il valido patrocinio di Maria, Santissima e Immacolata Vergine, Madre di Dio, e l'intercessione dei Santi Pietro e Paolo, affinché,
manifestando la potenza del suo braccio, Egli infranga l’orgoglio de’ suoi nemici, trionfi di coloro che ci attaccano, umilii e distrugga tutt’i nemici della Santa Chiesa, e affinché, per la virtù onnipossente della sua grazia, Ei muova a pentimento il cuore di tutt’i prevaricatori, e la Santa Madre Chiesa possa prontamente consolarsi della loro conversione, sì vivamente desiderata.»
II.
Il Governo spagnuolo, verso i primi di ottobre domandò la riunione di un Congresso alle Potenze cattoliche, simile a quello tenuto in Gaeta nel 1848, a fine di garantire l'integrità degli Stati della Chiesa.
Il gabinetto francese, sebbene ammettesse l'opportunità di un Congresso, fece però osservare che i cambiamenti territoriali, seguiti negli ultimi avvenimenti d’Italia, rendevano necessario riferire la quistione romana ad un Congresso delle grandi Potenze.
I.
La guerra delle Marche e dell’Umbria è ormai completamente finita giacché quasi più non esiste esercito pontificio. Per altro monsignor di Merode, proministro delle armi pontificie, continuò ad arrotare.
Il generale francese Goyon, che presidia il Patrimonio, dichiarò che l’occupazione francese si limiterò a Viterbo, Velletri, Frosinone, Civitavecchia e Comarca.
II.
Nei giorno 9 ottobre giungeva una colonna di truppe francesi di 800 uomini a Castel Nuovo di Porto diretta a Civita Castellana.
Al suo appressarsi furono da quella popolazione rialzati gli stemmi di Sua Santità, e la Magistratura comunitativa, dimessa pochi giorni prima dagl'insorti, ripigliò subito le sue funzioni; locché pure si è verificato nei Comuni tutti del Circondario, che ripristinarono il Governo pontificio.
La stessa colonna di truppe francesi, sulla mezza notte del 10 all'11, giunse a Civita Castellana. Fu incontrata dalla Magistratura comunitativa, ed arrivando sulla piazza pubblica, vedeva già rialzati gli stemmi del Governo pontificio.
Nel giorno 10 ottobre nella città di Nepi fu spontaneamente dalla popolazione ripristinato il Governo pontificio. Lo stesso avvenne anche nel capoluogo di Governo.
In quel giorno eziandio entrava nell’abitato di Ronciglione la truppa francese, che trovò già ripristinato il Governo pontificio.
Il commissario straordinario del Re in Viterbo aveva dichiarato che rimetterebbe la città solamente in mano dei francesi, e che piuttosto abbrucerebbe la città che consegnarla ai ponimeli, u colonnello francese promise che i suoi soldati precederebbero i gendarmi, ma avere missione di ristabilire il Governo pontificio.
A mezzodì del giorno 11 ottobre la truppa francese entrò in Viterbo.
Nel giorno 21 ottobre un distaccamento di francesi, composto di tre compagnie, entrò in Montefiascone e trovò già lo stemma pontificio rialzato.
Simil cosa avvenne, senza il concorso di forza armata, ad Acquapendente, à Ponzano ed in Cotnarca.
III.
Vediamo ora quante provincie siano rimaste, fino a questi giorni, sotto il dominio della Santa Sede.
Gli Stati pontificii si partivano in due grandi divisioni: divisione del Mediterraneo e divisione dell’Adriatico.
La divisione del Mediterraneo conteneva dieci provincie, cioè: 1. Roma e Comarca; 2. Benevento; 3. Civitavecchia; 4. Frosinone; 5. Orvieto; 6. Perugia; 7. Rieti; 8. Spoleto; 9. Velletri; IO. Viterbo.
La divisione dell’Adriatico partivasi egualmente in dieci provincie, cioè: 1. Ancona; 2. Ascoli; 3. Bologna; 4. Camerino; 5. Fermo; 6. Ferrara; 7. Forlì; 8. Macerata; 9. Pesaro e Urbino; IO. Ravenna.
Ora il Sommo Pontefice perdette tutte le dieci provincie dell’Adriatico e cinque del Mediterraneo, Di venti Provincie, non rimangono più a Pio IX che cinque, e sono la Provincia di Roma e Comarca, Civitavecchia, Frosinone, Velletri e Viterbo.
In complesso gli Stati del Papa, che si estendevano a 41,294,76 chilometri quadrati colla popolazione di 3,124,668, sono ora ridotti ad una superficie di 11,876,62 chilometri quadrati colla popolazione di 684,71.
IV.
Il popolo delle provincie e delle Marche è convocato pei giorni 4 3 del venturo novembre in comizii per istabilire con plebiscito sulla seguente domanda: far parte della Monarchia costituzionale del Re littorio Emanuele?
Il voto debb’essere espresso per si o per no, col mezzo di un bollettino scritto o stampato ed a scrutinio secreto.
Sono chiamali a dare il voto tutt’i cittadini che hanno compiuti 21 anno, domiciliati nel Comune e che si trovino nel godimento dei diritti civili.
Sono esclusi dal dare il voto tutti coloro, i quali sono colpiti da condanna, per imputazione di frode, di bancarotta con falsità, come pure quelli, i quali per sentenza sono dichiarati falliti.
V.
II re Vittorio Emanuele arrivato ai 2 in Ancona, partì ai 9 per la frontiera napoletana, ed a quest’epoca due terzi dell’esercito che slava nelle Marche e nell’Umbria avevano già passato.
Nel giorno 8 era in partenza anche la regia marina. La Maria Adelaide salpò la mattina e la Dora e il Tanaro nel pomeriggio di quel giorno, avendo a bordo il parco d’assedio e due mila uomini circa di truppe.
I.
Il proministro delle armi monsignor Merode volle in seguito riordinare l’esercito pontificio e già verso la fine di ottobre egli aveva quindicimila soldati messi insieme alla meglio. Si diceva che questo esercito si volesse portare a quaranta mila. E continuamente giungevano ad arrolarsi tedeschi, svizzeri e qualche belgio.
E fino dal 13 ottobre il sig. Bécdeliévre, ch’erasi già trovato a Castelfidardo e ad Ancona, rivolgeva al nuovo battaglione di franco-belgi il seguente ordine del giorno:
» Soldati,
» Il servizio del Santo Padre, al quale vi siete dedicati e pel quale il sangue di 120 vostri compagni corse a Castelfidardo, richiede da voi nuovi sforzi; sarete ciò ch’essi furono, rassegnati, sommessi, affezionati. L'opera vostra sarà più facile della loro: non avete che ad imitarli in tutto. Essi furono soldati nel più nobile significato della parola e coprironsi di gloria, rendendo il nome di Castelfidardo eternamente memorabile.
Il nome di franco-belgi, lo dico con orgoglio, si è fatto immortale, e quelli che in gran numero, come spero, ingrosseranno questa gloriosa falange, saranno degni de’ suoi antecessori. Uniamoci dunque in vista del pericolo, che minaccia il Santo Padre; facciamogli un propugnacolo della vostra persona: conduciamogli altri difensori: Dio farà il resto.»
II.
Nel 7 ottobre il generale Lamoriciére giunse in Genova col vapore Conte Cavour assieme ad altri 50 ufficiali dell’ex armata pontificia, per essere trasportati a Marsiglia con altro vapore.
I prigionieri stranieri, ch'erano al soldo dell'armata pontificia, furono mandati alle loro case. Tutt’i prigionieri irlandesi vennero trasportati a Malta.
Al generale Lamoriciére venne poi accordata facoltà di recarsi a Roma unitamente al suo aiutante. Egli si recò quindi a Roma per render conto a Pio IX dell’avvenuto.
Santo Padre scrisse una lunga lettera autografa al generale Lamoriciére onde esprimergli tutta la sua gratitudine per la sua eroica condotta, ed ba incaricato il conte di Levis di Mirépois di andare egli stesso a rimetterla al comandante in capo delle truppe pontificie. «Vogliate, ha detto Sua Santità al conte di Mirépois, vogliate portare colle mie felicitazioni una benedizione al generale, e ditegli da parte mia queste parole di un recente scritto di Cochin: Nel punto in cui siamo, davanti a davanti alla storia e davanti l'onore, chi non amerebbe chiamarsi Lamoriciére?»
I.
In Perugia il regio commissario generale per le Provincie dell’Umbria, Pepoli, diramò ai commissarii per le Provincie, vicecommissarii di circondario e capi delle amministrazioni comunali una circolare, sulle istruzioni di governo e di riordinamento organico, che si conchiude così:
«Le Provincie dell’Umbria, corrispondenti alle cessate Delegazioni, sono amministrate dal regio commissario generale.
» Ciascuna Provincia è retta da un regio commissario provinciale.
» Ciascun Circondario, corrispondente al cessato Distretto, è retto da un vicecommissario.
» Al regio commissario generale sono soggette tutte le Autorità dell'Umbria. Ad esso spetta qualunque nomina ad incarichi tanto onorifici che stipendiati.
Nessuna disposizione, che tocchi all'ordinamento fondamentale del Governo e riguardi misure di generale pubblica sicurezza, può essere emanata da altri che dal regio commissario generale. Ad esso debbono essere rivolti tutti quegli affari, la cui soluzione prima dipendeva da Roma.
» La legge piemontese sull’ordinamento comunale e provinciale, che quanto prima sarà pubblicata, specificherà precisamente le attribuzioni governative. Intanto, perché non avvenga confusione, sembra che possa darsi una sufficiente norma con quanto segue:
» I commissari! provinciali pubblicano ed eseguiscono nel Circondario dove risiedono e fanno pubblicare ed eseguire in tutta la Provincia da loro amministrata gli ordini e decreti del regio commissario generale; curano tutti gli affari ordinarli della loro Provincia, a norma delle leggi; promuovono gli affari straordinarii, che siano di evidente utilità nella loro Provincia; propongono agl'impieghi ed hanno debito di trasmettere al regio commissario generale tutte le domande e reclami che i loro amministrati vogliono fargli pervenire.
» In ogni capoluogo di circondario risiede anche un giusdicente, che ha le sole competenti attribuzioni giudiziarie; e un giusdicente risiede pure in ognuno di que’ luoghi, nei quali, senza essere capi di Distretto, risiedeva un governatore sotto il cessato Governo, e prendono nome di capoluoghi di Mandamento.
» Nulla è innovato per ora sui Tribunali collegiali.
» Tanto i commissari! provinciali che i vicecommissarii hanno sotto i loro ordini i delegati di pubblica sicurezza, i quali sono specialmente incaricati di vegliare alla tranquillità e sicurezza pubblica.
Risiedono questi in tutt'i capoluoghi di Circondario e in tutt’i capoluoghi di Mandamento, ed anche in altri comuni importanti se il bisogno lo richieda.
» In quei comuni dove non risiede né commissario provinciale, né vicecommissario, né delegato di pubblica sicurezza, il capo dell’Amministrazione comunale, ch'è in parte ufficiale governativo in ogni Comune, ha potere politico immediatamente subordinato al vicecommissario del suo Circondario, e provvede alle cose più urgenti per Y ordine e la sicurezza pubblica, riferendone sempre al vicecommissario.
» Questa è l’organizzazione del Governo per le trafile ufficiali e per le attribuzioni in massima, ma da leggi speciali sono specificati i diritti e i doveri di ciascun funzionario.»
II.
Lo stesso regio commissario generale Pepoli pubblicò varii decreti, fra quali uno dei 20 settembre che abolisce il Tribunale detto della Sacra Inquisizione e Sant’Ufficio.
Un altro della stessa data ordina un formale processo d’inchiesta sui fatti avvenuti in Perugia per opera delle truppe pontificie non solo nel giorno 20 giugno 1809, ma anche in tutto il tempo successivo fino alla loro partenza,
Con posteriore decreto vien ordinato che gli stabilimenti e corpi morali, sieno ecclesiastici, sieno laicali, non potranno acquistare stabili senza esservi autorizzati con decreto del regio commissario generale, dietro il parere del suo consiglio, e parimente non avranno effetto a favore degli stessi corpi morali le donazioni tra vivi e le testamentarie disposizioni, se non venga, nel modo suaccennato, autorizzata l'accettazione.
Sono pure soggette alla medesima autorizzazione tutte le disposizioni e provvisioni ecclesiastiche, le quali non riguardino il foro interno e le pratiche puramente religiose.
Un decreto del 28 settembre stabilisce che tutti gli Istituti sì pubblici che privati, che riguardano la istruzione e la educazione, sono sciolti dalla soggezione e sorveglianza dell'autorità dei vescovi e loro mandatarii e sono sottoposti in vece al governo del commissario generale.
III.
Il regio commissario generale straordinario nelle Provincie delle Marche, Lorenzo Valerio, pubblicò un decreto con cui viene stabilito che siccome l'eguaglianza dei cittadini in faccia alla legge è corollario dell’eguaglianza naturale degli uomini, la differenza della religione non porta alcuna differenza nel godimento e nell’esercizio dei diritti civili e politici, e che quindi sono abolite tutte le interdizioni a cui andavano per lo addietro soggetti gl’israeliti ed i cristiani acattolici.
Un altro decreto dello stesso regio commissario abolisce la Compagnia di Gesù e scioglie i suoi Collegii, vietandone ogni adunanza a qualunque numero di persone e mettendo in vigore il decreto agosto 1848 del Principe Eugenio di Savoia Carignano concernente quella Compagnia.
Un decreto del 16 ottobre dello stesso regio commissario ha quanto segue:
«Art.1. Nessun decreto, rescritto od altro atto qualunque che emani da persone od autorità amministrativa ecclesiastica, sia essa o no residente nelle Provincie delle Marche, non potrà avere effetto senza l'ordine di esecuzione emesso dal regio commissario generale straordinario.
» Art. % Le compere e vendite di beni stabili, in cui abbiano interesse corpi morali, sì ecclesiastici che laicali, come pure le donazioni fra vivi e le disposizioni testamentarie a loro favore, non avranno effetto se non sia riportata la debita autorizzazione dal regio commissario suddetto.
» Art.3. Le bolle, encicliche, pastorali ed altri atti ordinari! e straordinarii delle Autorità ecclesiastiche, prima della pubblicazione, dovranno essere presentate al commissario della Provincia, che le trasmetterà col suo avviso al regio commissario generale.
» Art.4. Le trasgressioni al presente decreto saranno punite colle norme del vigente Regolamento penale.
» Art.5. Tutte le leggi, disposizioni e consuetudini contrarie sono abrogate.»
Ed un decreto del 19 ottobre statuisce quanto segue sui feudi, sulle primogeniture, sulle sostituzioni fedecommessane e sulle disposizioni di ultima volontà per via di fiducia.
«L’istituzione di feudi di primogenitura ed ogni altra sostituzione fedecommessaria è vietata sotto pena di nullità.
» I feudi, le primogeniture ed ogni altra sostituzione fedecommessaria, esistente prima d’oggi, finiscono nel possessore attuale.
» La semplice proprietà della metà dei beni, già vincolali, è riservata al primo od ai primi nati o concepiti all’epoca della promulgazione di questo decreto, qualunque sia la linea a cui appartengono. La divisione dei beni può essere promossa tanto dal possessore attuale, come dal primo o dai primi chiamati.
» Le disposizioni di ultima volontà per via di fiducia sono vietate e nulle di pieno diritto.
» È adottato ed avrà forza di legge in queste Provincie l'articolo 809 del Codice civile vigente negli Stati di S. M. Vittorio Emanuele II.
» La fiducia di persona defunta, non ancora spiegata o dichiarata, dovrà esserlo nel termine di mesi due dalle persone dimoranti nelle Marche, di mesi quattro da quelle che si trovano in qualunque parte d’Italia, di un anno dalle persone dimoranti altrove, e la spiegazione o dichiarazione si dovrà farsi in persona o per mezzo di procuratore al Tribunale di prima istanza, nella giurisdizione del quale fu aperta la successione.»
FINE DEL VOLUME PRIMO.
PREFAZIONE.
PARTE PRIMA
Occupazione della Sicilia.
CAPITOLO PRIMO
Spedizione e sbarco di Garibaldi Sicilia.
I. | Lato politico della spedizione di Garibaldi in Sicilia. — Chi sia Garibaldi. — All'epoca della spedizione di Garibaldi l'insurrezione siciliana non era ancora interamente repressa............................................................................Pag. | 7 |
II. | Garibaldi dà le sue dimissioni da deputato di Nizza e da generale dell’armata piemontese e s’imbarca per la Sicilia tra Genova e la Spezia. — Opinioni de giornali sulle conseguenze della spedizione di Garibaldi | 10 |
III. | Il Governo sardo si oppone alla spedizione di Garibaldi, ma questi impedimenti vennero sventati. — Il signor Thouvenel, all’annunzio della partenza di Garibaldi, mandò due note, una al principe di Talleyrand. rappresentante della Francia a Torino, e l’altra al cavaliere Nigra ministro di Sardegna a Parigi. —Il Governo francese rimane soddisfatto delle spiegazioni date dal Gabinetto di Torino sul suo contegno circa la spedizione di Garibaldi | 14 |
IV. | La spedizione di Garibaldi s’imbarca sopra due bastimenti. — Getta l’ancora a Talamone, ove il capitano Castiglia dice che il grido di tutti debb’essere Italia e Vittorio Emanuele, | |
e fa conoscere i nomi degli ufficiali di stato maggiore e dei comandanti di compagnia. — Nessuno conosceva i disegni del generale Garibaldi. — A Napoli si danno grandi disposizioni per impedire lo sbarco della spedizione................................pag. | ||
V. | Descrizione della Sicilia, cui è diretta la spedizione di Garibaldi | 17 |
VI. | Come si componesse la spedizione. — La spedizione, lasciando Talamone, va verso Y Africa, tocca il capo Bon sulla costa in faccia a Marsala. — Come navigasse questa spedizione. — Garibaldi si accorge della crociera napoletana e da le sue disposizioni per evitarla. — I vapori della spedizione proseguono la corsa verso Marsala inseguiti da una fregata napoletana, mentre un’altra girava in modo da tagliare la via ai Garibaldini. — Giunti i legni vicino alla costa, viene aperto un tenibile fuoco contro la spedizione. — Sopraggiunge la flotta, che comincia un furibondo cannoneggiamento dt palla e mitraglia, il quale disturbava assai lo sbarco. — Una nave inglese tenta di far cessare il fuoco napoletano. — Lo sbarco della spedizione ciò nullostante si compie | |
VII. | I volontari sbarcati a Marsala si organizzano e vengono collocati su tutt’i punti elevati. — Fanno una ricognizione verso Trapani. — Le torme napoletane, che avevano preso parte all’ultima rivolta, si congiungono al corpo di spedizione. — Si deve marciare ai 13 maggio. — Il comandante delle truppe napoletane fece sgombrare Trapani e tutt'i siti intermedii, e si concentrò a Palermo. — La Giunta insurrezionale di Marsala si mise in relazione colle provincie di Girgenti, di Siracusa, di Caltanissetta per rigettare la difesa sull’estremità nord e nord-est dell’isola. | 22 |
VIII. | Garibaldi nel 13 maggio è a Salemi, ove dichiara che prende la dittatura in nome di Vittorio Emanile Re d’Italia. — Combattimento di Calatafimi. — Perché questo combattimento sia stato ritenuto, tanto da’ napoletani quanto da’ garibaldini, una vittoria propria. — Nel 20 Garibaldi minacciava direttamente Palermo. — Ordinamento ed approvvigionamento del suo esercito. — È tolta ai napoletani la comunicazione per via di terra da una costa all’altra fra Trapani e Palermo. — Garibaldi è accampato a Monreale, fa grandi ricognizioni ed ordina le sue forze per un attacco decimo.....................................................pag. | 23 |
IX. | Combattimento fra i regii e gl’insorti al Parco del 24 maggio.— Altro del 26. — La sconfitta de’ garibaldini è un’astuzia di guerra per allontanare le truppe regie da Palermo. — Garibaldi raccoglie, strada facendo, tutte le bande d’insorti che vi rinviene e si accinge ad un colpo sopra Palermo.......» | 26 |
Presa di Palermo.
—
I. | Descrizione di Palermo. — Come sia difesa questa città.............» | 27 |
II. | Agitazione in Palermo prodotta dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia. — Dimostrazione del 13 maggio, in cui si sparse sangue. — Le armate del re Francesco II si ritengono in grado di reprimere l’insurrezione. — Il re nomina il generai Lanza a suo commissario straordinario in Sicilia. — In Palermo viene nuovamente proclamato lo stato d’assedio. — Lanza, arrivato a Palermo nel 20 maggio, radunò il consiglio di guerra. — Violenti diverbii tra Lanza ed il suo predecessore. — Che cosa restasse di fare al Lanza. — Piano del Lanza proposto al Governo di Napoli. — Vantaggi di questo piano. — Il piano non viene approvato..........» | 28 |
III. | Il general Lanza assume un contegno opposto a quello del suo predecessore; fa cessare le continue pattuglie in Palermo; concentra su tre punti principali forti colonne, le quali devono mantenere le loro comunicazioni colle opere del mare. — Gli abitanti di Palermo si pongono in relazione cogl’insorti, e convengono che il loro capo giunga in vista della città nel 28 di sera. — Nel 27 scoppia l'insurrezione alle grida Viva la Sicilia! Viva Vittorio Emanuele! — Le truppe aprono il fuoco e comincia un terribile combattimento. — Garibaldi giunge in mezzo alla folto; l’insurrezione si fa più vigorosa e combattono perfino le donne. — Come Garibaldi potesse penetrare in Palermo. — Bombardamento di Palermo. — Il bombardamento viene ripreso alle 10 antimeridiane del susseguente giorno. — Le truppe regie non possono mantenere la situazione e si ritirano nei forti. — Garibaldi, non volendo perder tempo, attacca con tutte le sue truppe il castello. | |
Il generale Salzano viene fatto prigioniero col suo stato maggiore. — Dopo una lotta di cinque ore i consoli stranieri s’interpongono fra i combattenti per un armistizio di sei giorni. — Garibaldi accorda l'armistizio. — Pubblica gli articoli della convenzione 31 maggio. — Proclama di Garibaldi ai siciliani, con cui gl’invita a preparare armi ed armati e ad allestire ogni mezzo di difesa e di offesa. — L accordato armistizio viene prolungato a tempo indeterminato. — Si conchiutle una convenzione tra il tenente generale Ferdinando Lanza ed il generale Giuseppe Garibaldi coll’intervento dei consoli d'Inghilterra e di Francia. — Danni cagionati a Palermo dal bombardamento.....................pag. | ||
IV. | II re di Napoli rattifica la capitolazione di Palermo. — I regii sgombrano Palermo recando seco loro le armi e tutto il materiale di guerra, ma occupano ancora il castello. — li forte di Castellamare doveva, in forza della capitolazione, essere consegnato in cauzione all’ammiraglio inglese finché fosse pienamente seguito lo sgombro dei regii. — Come venisse interpretato questo punto della capitolazione. — L’occupazione inglese di quel castello non ebbe effetto. — Il forte venne demolito per ordine del dittatore..................................................» | 36 |
V. | Come mai Garibaldi con 1800 soli volontarii potè attaccare e vincere una potenza, che disponeva di una flotta ragguardevole e di un esercito di almeno 120,000 uomini? — Il ministro napoletano degli esteri Carata emanò una circolare a tutti i rappresentanti della Sicilia all’estero onde giustificare, con una relazione storica degli avvenimenti di Sicilia, i successi delle armate regie in confronto di Garibaldi. — Nota dello stesso ministro Carata all’ambasciatore inglese Elliot sullo sbarco di Garibaldi a Marsala.......................................................................» | 38 |
Ordinamenti civili e militari in Palermo ed aumento delle forze garibaldiane si terrestri che marittime.
—
I. | Garibaldi instituisce un governatore in ciascuno dei 24 distretti della Sicilia. — Forma il suo ministero, ed ordina una leva straordinaria. — Punisce severamente i furti e gli omicidii. — Quota di terre comunali da darsi a chiunque si sarà battuto per la patria. | |
Stabilisce in ogni capo-distretto una commissione speciale che durante lo stato attuale di guerra deve conoscere dei reati comuni commessi da semplici cittadini e procedere secondo la forma stabilita dallo Statuto penale militare e dalle leggi in vigore sino al 15 maggio 1849. — Decreta il sequestro di tuttM beni del cessato Governo; abolisce il titolo di Eccellenza ed il baciamano; stabilisce piena libertà nei porti e nelle isole della Sicilia. — Punisce di morte l'uccisione e U grave ferimento contro un cittadino per motivi politici, e punisce coll’esilio perpetuo l’arbitrario arresto. — Promulga un decreto per la difesa della città di Palermo.........................................................................pag. | ||
II. | Nomina del ministero di Palermo. — Il dittatore fa allontanare dall’isola Giuseppe La Farina, Giacomo Griscelli e Pasquale Totti per aver cospirato contro l'attuai ordine di cose. — Dimissione di tre ministri e loro surrogazione. — Modo con cui La Farina venne arrestato. — Dichiarazione di La Farina, con cui indica la cagione della sua discordia con Garibaldi.................................................» | 46 |
III. | Il consiglio municipale di Palermo chiede a Garibaldi la pronta annessione della Sicilia al Piemonte; Garibaldi non avversa l'annessione, ma dice essere inutile che venga prontamente effettuata; per altro egli fa tutto come se fosse già avvenuta l'annessione al Piemonte. — Un decreto del dittatore ordina la preparazione delle liste elettorali pel tempo in cui l'isola dovrà dichiararsi sull’annessione delle provincie emancipate dell'Italia.......................................................................................» | 48 |
IV. | Il Governo di Palermo instituisce il servizio marittimo per cui vengono formate parecchie compagnie di marinai onde essere addette a parecchi porti posseduti dall’insurrezione. — Importanza di queste operazioni.................................................» | 50 |
V. | Spedizioni in Sicilia che accrescono le forze di Garibaldi. — Numero complessivo dei volontarii dell’Italia settentrionale e meridionale che andarono in Sicilia. — Agenti di Garibaldi in Inghilterra che fanno acquisto di armi e bastimenti....................» | 50 |
VI. | Defezione delle truppe regie che accrescono le forze di Garibaldi. — Defezione del Veloce, dell’Elba e del Duca di Calabria...........» | 53 |
Provvedimenti civili e militari Napoli
e promulgazione della costituzione.
I. | Il consiglio dei ministri, unitamente al ministro della guerra, sottopone al Re una relazione delle operazioni in Sicilia. — Il ministro della guerra fa un quadro delle presenti condizioni di Sicilia ed accenna ai pericoli che minacciano il Governo nelle Calabrie. — Il ministro dell’interno espone che la confusione ed il disordine esistente nella Sicilia porgerebbero al Governo del Re il mezzo di ricondurre le cose nel primitivo stato, come nel 1848, e che questo mezzo sarebbe quello d’indurre il Governo di Vittorio Emanuele a disconoscere pubblicamente e riprovare gli atti che Garibaldi emanava in Sicilia in nome di lui............................ pag. | 54 |
II. | Militari sottoposti a consiglio di guerra in seguito agli avvenimenti della Sicilia................................................................» | 56 |
III. | Destinazione delle truppe napoletane in Napoli. — Movimento generale di concentrazione dell’esercito napoletano sopra alcuni punti. Piazze alle quali principalmente si appoggia la difesa. — Vien dato ordine alla colonna mobile di partire alla volta delle Puglie e delle Calabrie contro gl’insorti. Come sia composta questa colonna e da chi comandata. — L’esercito napoletano è posto sul maximum piede di guerra e si vuole ridurlo a 160,000 uomini. Un secondo esercito di riserva, composto di 40,000 uomini deve sostituire il primo. — La difesa spiega tutt’i mezzi e provvede ad ogni bisogno.............................................................» | |
IV. | Il Re di Napoli, in seguito ad un abboccamento coi suoi zii, il conte d’Aquila e il conte Trapani, accorda al suo popolo istituzioni liberali e per consiglio dell’imperator Napoleone si determina a stringere con Vittorio Emanuele un’ alleanza. — Alto sovrano del 25 giugno sulla concessione degli ordini costituzionali e rappresentativi. — Come venisse accolto questo proclama. — Ha luogo una collisione nella via Toledo tra i due opposti partiti. — Ammutinamento della popolazione nel 28 giugno. —In conseguenza di questi avvenimenti Napoli viene posta in istato d’assedio; Ordinanza in proposito. —Proclama del ministro dell’interno Federico del Re.— La bandiera nazionale napoletana fu innalzata nel 26 sul forte Sant’Elmo allo sparo delle artiglierie........................................................................ pag. | 58 |
V. | Il ministro di Francia Brénier viene percosso nel capo nel tumulto del 25 giugno. — Visite che gli vennero fatte. — Il comandante la squadra francese era munito di poteri estesissimi e si disponeva ad operare uno sbarco per la protezione degl’interessi affidati alla sua custodia, ma non ebbe ricorso ad un provvedimento sì grave. — Indirizzo al barone Brénier dell’Anzianato della città di Napoli. — Risposta del barone Brénier...............................................» | 64 |
VI. | Cangiamento di persone nel ministero di Napoli. — Decreto riguardante l’amnistia pei reati politici. — Decreto per l’istituzione e l’ordinamento di una guardia nazionale nei dominii al di qua del Faro onde mantenere l'obbedienza alle leggi e tutelare l'ordine e la pace pubblica. Come debba comporsi questa guardia......................................................................................... » | 68 |
VII. | Il ministero propone di rimettere in vigore la Costituzione che il re Ferdinando promulgò nel 1848. Rapporto de’ ministri in cui si espongono i motivi di tale proposta. — In seguito a questo rapporto il Re richiama in vigore la Costituzione del 1848 con decreto 1. luglio. — Con altro, decreto il Re convoca il Parlamento nazionale. — Decreto con cui si provvede alla stampa.
Commissione istituita dal Re per alcuni oggetti. — Sostanza della Costituzione del 1848 ora richiamata in vigore in Napoli. Giuramento che debb’essere prestalo da tutti gl’impiegati civili e militari.........................................................................................» |
72 |
VIII. | Il barone di Lechina, D. Salvatore Carbonel, è nominato direttore del ministero e segretario di Stato dei lavori pubblici. — Nuovo Corpo di Consiglio di Stato. — Il generale principe d’Ischitella, D. Francesco Emanuele Finto, è nominato al comando della guardia nazionale per la provincia di Napoli. Nomina dei capi-battaglioni e comandanti di ciascuna sezione di quella guardia..................» | 77 |
IX. | L’impartita Costituzione non valse a cangiare la situazione di Napoli. — Angustie e timori dei cittadini. — Persecuzione degli impiegati di polizia licenziati. — La popolazione si spaventa pel concentramento delle truppe nell’interno e d’intorno alla città. —Il ministero vacilla e si nominano nuovi ministri. — Il marchese Camillo di Bella rifiuta il posto di ambasciatore a Parigi............» | 78 |
X. | Controrivoluzione militare in Napoli. — Eguali fatti successero nelle vicine città. — Ordinanza del ministro dell’ interno che rassicura gli animi..........................................................................» | 79 |
XI. | Proclama del Re ai regii Stati. — Proclama del Re all’esercito
ed all’armata...................................................................................» |
81 |
Catania, Milazzo, Messina.
I. | Le truppe regie sorprendono i garibaldini accampati presso Catania. — Vivissimo combattimento, che terminò colla ritirata dei garibaldini. — Alquante centinaia d insorti attaccano Catania. — Ordine reale che ingiunge alla guarnigione di Catania di ritirarsi a Messina. — Una colonna mobile di garibaldini va a Catania per piantarvi un’amministrazione insurrezionale. — Si organizzano due altri corpi di truppe per investire le piazze di Siracusa e di Augusta...................................................................» | 85 |
II. | Garibaldi dispone per dirigersi sopra Messina. — Una piccola squadra si tiene alla vista della costa siciliana fingendo l’intenzione di uno sbarco nelle Calabrie e per ciò i regii a marcio forzate andarono direttamente alla costa. — I regii, concentratisi, a Messina. muniscono fortemente i passi che conducono alle fortezze..........................................................................................» | 86 |
III. | Garibaldi arriva al campo dei Meri, dopo aver sostenuto combattimenti parziali. — Le truppe de Medici lo accolgono con entusiasmo. — Nel 20 luglio tutte le truppe si muovono per assalire i napoletani usciti dal forte della città di Milazzo. — Incarico e comando dei varii corpi; Garibaldi si colloca nel centro, ove l’azione debb’essere più viva. — Comincia il fuoco; i napoletani sono nascosti dietro i cannetti. — Il centro di Garibaldi sloggia i napoletani dalle prime loro posizioni; la destra li scaccia dalle case, ma non possono arrivare rinforzi.— I garibaldini non possono caricare alla baionetta perché i napoletani sono nascosti dietro i canneti. — Garibaldi vuole affrontare i napoletani ed attaccarli di fianco, ma incontra una batteria di cannoni che fa ostacolo a tale manovra. | |
87Due ufficiali ed una cinquantina d'uomini con Garibaldi s’impadroniscono del cannone. — I napoletani vogliono riprendere il pezzo, ma Garibaldi, Missori, Statella é cinque o sei uomini chiudono loro la strada. — Lotta de’ garibaldini, e finalmente i regii fuggono. — Tutta l'armata napoletana è in rotta, viene inseguita sino alle prime abitazioni ed i cannoni del forte si uniscono al combattimento. — Garibaldi domina l'azione sulle antenne del Tuberi. Dirige un pezzo da sessanta contro una truppa di cavalleria napoletana, la quale usciva dal forte per recar soccorso ai regii, ma quella truppa, mitragliata, fugge al primo colpo. — S’impegna il fuoco tra il forte e la fregata, e Garibaldi, vedendo di essere riuscito ad attirare verso di sè il fuoco della fortezza, torna tra le fucilate di Milazzo. — I napoletani respinti di casa in casa, entrarono nel castello. — La notte passa tranquilla. — Il combattimento fu una vera carnifìcina, e gran disordine regnava in città......................................................................... pag. | 87 | |
IV. | Un comandante di un pachebotto, che doveva mettersi a disposizione di Bosco, giunge a Milazzo e trova la città occupata da’ garibaldini. — Gli viene permesso da Garibaldi di abboccarsi col colonnello, e contemporaneamente egli porla le proposizioni di Garibaldi per una capitolazione. — Risposta coraggiosa di Bosco. — Garibaldi, commosso da questa risposta, propone a Bosco ch'egli possa imbarcarsi colle sue truppe, ma senz’armi e con riserva che i soldati napoletani non partiranno se non per propria volontà. — Bosco ricusa di accettare queste condizioni senza ordine del suo Governo. — Appaiono dinanzi a Milazzo quattro fregate napoletane, tra cui la, la quale innalza bandiera parlamentaria; era il colonnello Francesco Ànzani, inviato dal Re per trattare, la capitolazione. —Fu convenuto che le truppe regie sgombrassero la cittadella con, armi e bagaglio e che il materiale del forte venisse diviso in due parli, metà agli assedianti e metà agli assediati................................................................................ » | 91 |
V. | Presa Milazzo, Garibaldi e Medici marciarono sopra Messina. —Come Messina fosse difesa. — Situazione della città. — Si attendeva una difesa disperata. — Alle 7 pomeridiane del 25 luglio ebbe luogo un attacco di poco momento tra gli avamposti napoletani e le truppe di uno dei capi di Garibaldi, interdonato, ad onta del fatto divieto. | |
Al levar del sole i napoletani eransi ritirali in città ed incominciavasi ad evacuare il forte. — In seguito a nuovi ordini emanati da Napoli il generale Clary stabilì con Medici la convenzione 28 luglio...............................................................pag. | 95 | |
VI. | In seguito alla convenzione Medici-Clary i regii abbandonarono
la città di Messina in numero di 12,000, i garibaldini occuparono la città e i forti delle colline, e le truppe regie ritennero la cittadella coi forti Don Blasco, Lanterna, San Salvatore. — Festeggiamenti. — Nel 26 agosto la colonna Medici entrava solennemente in Messina. Il generale Clary si ritirò nella fortezza. — Nel 27 entrò il dittatore, ed in seguilo i generali Bixio, Cosenz, ecc. colle loro truppe. — Rientrano in città gli abitanti; i bastimenti ritornano in porto; alle finestre sventolavano le bandiere sarde e le botteghe si riaprono.......................................» |
99 |
VII. | Occupata Messina da Garibaldi, molti impiegati regii cercano rifuggirsi a Reggio, e la popolazione vi si oppone armata mano; avvenne un tafferuglio, ma finalmente l’ordine fu ristabilito.......» | 100 |
Sbarco sul continente ed ingresso di Garibaldi in Napoli.
CAPITOLO PRIMO
I Dominii continentali napoletani.
Il Governo di Napoli si prepara a respingere l'invasione
I. | Descrizione dei Dominii napoletani al di qua del Faro, o continentali..................................................................................» | 103 |
II. | Il Governo napoletano dà opera per respingere la
minacciata invasione — A chi venga affidato il comando delle truppe. —
Come sia distribuito l'esercito sul territorio — Numero delle truppe a
disposizione del Governo napoletano. — Chi sia Pianelli, ministro della
guerra e comandante delle regie truppe. — I provvedimenti militari napoletani mostrano la risoluzione di una disperata difesa............................................................... pag. |
111 |
Proposta d'alleanza fatta dal re di Napoli al re di Piemonte
e successiva protesta del Gabinetto napoletano.
I. | Manna ministro delle finanze, Winspeare ministro plenipotenziario e Bianchini — Nel 24 luglio i signori Manna e Winspeare sono ricevuti in udienza dal Re di Sardegna. — Proposizioni del Governo napoletano al Governo sardo. — Proposizioni del Governo sardo al Governo napoletano. — Le controproposte del Governo sardo vennero comunicate anche a Parigi per mezzo del barone Talleyrand e del cav. Nigra...........» | 113 |
II. | IL Gl’. inviati napoletani espongono ch'essi debbono sollecitare il Piemonte per indurre Garibaldi ad abbandonare qualunque disegno di attaccare la terra ferma napoletana. Il conte Cavour risponde non esser ciò in suo potere e che per indurre a ciò Garibaldi si dovesse sgomberare la Sicilia dalle truppe regie. — L’inviato napoletano Manna comunicò al suo Re tale risposta insistendo per lo sgombero della Sicilia. — I consigli di Manna sortono l’effetto. — Il Governo piemontese comunica a Garibaldi le disposizioni del Governo napoletano e lo invita a cessare dalle ostilità. — Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. — Risposta di Garibaldi con cui non aderisce all’invito di cessare dalle ostilità. — Il conte Cavour, parlando cogl’inviati napoletani, conclude ch'egli si vede costretto ad attendere che nuove circostanze offrano al reale Governo un’occasione di esercitare con miglior successo la propria azione moderatrice e conservativa..................................................................................» | 115 |
III. | Il marchese La Greca propone alla Francia ed all’Inghilterra ch'esse Esercitino una pressione su Garibaldi onde ottenere una tregua di sei mesi per poter meglio conchiudere i negoziati d’alleanza col Piemonte; — Risposta dei due Governi. — Rimostranze del re di Napoli a Napoleone III...........................» | 118 |
I. | Gl’inviati napoletani, abortite le negoziazioni, vogliono partir da
Torino, ma vengono trattenuti dal conte Cavour....................pag. |
120 |
II. | Circolare 21 agosto del ministro degli affari esteri di Napoli ai
rappresentanti delle Potenze estere accreditate presso di S. M. Siciliana........................................................................................» |
ivi |
Rinforzi de garibaldini e loro passaggio al di là dello Stretto.
I. | Aumento delle forze di Garibaldi dal 19 luglio in poi. — Inglesi che s’incorporano nell’armata di Garibaldi. — Bastimenti acquistati.....................................................................................» | 123 |
II. | Per passare lo Stretto Garibaldi provvede barche e fortifica la
Punta del Faro. — Descrizione del Faro. — Il generale Orsini ha il comando di tutte le forze di stazione al Faro e dirige i lavori di fortificazione. — Opere sulla spiaggia presso il Faro. — Batterie |
128 |
III. | Come sieno disposte le truppe regie nelle Calabrie; loro numero. — 11 dittatore spedisce armati nelle Calabrie ed emissarii nelle altre Provincie per operarvi sollevazioni; scopo di queste operazioni......................................................................................» | 129 |
IV. | Nella notte del 7 agosto Garibaldi fa sbarcare sul continente 250 uomini. — Disegno fallito di Garibaldi.........................................» | 130 |
V. | Sbarco impedito sul continente nella notte dell’8 agosto............» | 131 |
VI. | Le truppe regie aprono un fuoco di artiglieria e di moschetteria contro un brick proveniente da Malta, carico d’armi e di munizioni, per isbarcarli in Calabria; il brick si arrena sulla spiaggia e cade in potere dei regii.................................................» | ivi |
VII. | Sbarco del grosso della truppa de’ volontarii sulle’ coste della Calabria.........................................................................................» | 132 |
Situazione delle cose in Napoli.
I. | Il ministero napoletano è sopraffatto dalla rivoluzione, che cerca
di spingerlo fino agli estremi. — Il Governo spera di respingere qualunque attacco e si prepara ad una disperata difesa. — Molte persone si allontanano da Napoli per tema di un bombardamento. — Il ministero è tra due forze contrarie.... pag. |
134 |
II. | Il vapore Veloce, caduto in potere di Garibaldi, tentò di abbordare il Vascello Monarca, ma vinto dal fuoco vivissimo aperto contro di. esso, si ritirò e prese il largo. — Come venisse spiegato questo fatto. — Il ministro della marina palermitana è sconfortato dal mal esito di questo colpo di mano, ed accusa gli uomini di mare aver mancato al loro dovere..............................» | 135 |
III. | Dietro questo fatto, il maresciallo di campo, Giosuè Ritucci, comandante della piazza e provincia di Napoli, pubblica una ordinanza, con cui si dichiara lo stato d’assedio. — Ordine del giorno del ministro della guerra...................................................» | 136 |
IV. | Seduta burrascosa nel consiglio di Stato di Napoli del 13 agosto. — Il principe Luigi di Borbone id il principe d’Ischitella propongono di unire i bastimenti della flotta napoletana per andare a distruggere le barche di Garibaldi nel porto di Messina. — Il ministero ad unanimità si oppone a questo progetto. — Il sig. Martino accusò - il principe conte d’Aquila di personale ambizione e conchiuse col chiederne l'esilio. — In questo stesso giorno si operava il tentativo di far gridare Viva la pubblica per produrre una lotta intestina. Il tentativo fu sventato. — Al principe conte d’Aquila viene intimato d’imbarcarsi immediatamente sullo Stromboli, ove deve trovare istruzioni in piego suggellato. — Il principe risponde ch’egli s’imbarcherà nella stessa sera e sur una goletta. — Il generale Palomba gli ordina, da parte del Re, d’imbarcarsi immediatamente per evitare ogni effusione di sangue e risparmiargli dispiaceri e mancanza di rispetto. — Lettera del Re al principe conte d’Aquila. — 11 principe non volle imbarcarsi sullo, e montò sopra un suo jacht di piacere per recarsi sul bastimento brasiliano il Menai. —- Protesta del principe diretta a Sua Maestà...............» | 139 |
V. | Lettera 24 agosto del conte di Siracusa al Re, eolla quale consiglia il nipote a cedere alle circostanze e risparmiare una pagina sanguinosa alla monarchia. — Il conte, al 30 agosto, s'imbarcava sulla fregata sarda la Costituzione e andò a Livorno.........................................................................................» | 144 |
Insurrezioni nella Basilicata. Fatti di Reggio, Piale,
Scilla e Villa San Giovanni. Altre insurrezioni.
I. | Rivoluzione della Basilicata ai 18 agosto. — In Potenza i gendarmi che prima si affratellavano col popolo, fanno fuoco contro di lui, ma devono cedere le armi. —Il colonnello Boldoni con 1500 insorti si muove da Corleto a Potenza; il moto si estende per tutte le Provincie e sono in armi più di 15,000 uomini. — In Potenza è stabilito un governo prodittatoriale per dirigere la grande insurrezione lucana. — Diserzioni delle truppe regie...............................................................................................» | 147 |
II. | Le forze regie, nelle varie città e provincie, formano un totale di 90,000 uomini. Napoli si prepara ad una viva resistenza. — li Re assume il comando supremo dette truppe. — I principi della Casa comandano le truppe...........................................................» |
148 |
III. | Garibaldi, sbarcato sul continente, prende il cammino delle montagne, girando le posizioni occupate da’ napoletani. — Piccoli sbarchi a Reggio, che si diressero verso Aspromonte per cui venne tagliala la base d’operazione ad una parte della troppa napoletana. — Attacco di Bagnara. -— Tiene minacciata l'unione del generale Melendez con Monteleone, ov’era il grosso dell armata. — Attacco di Reggio per parte dei garibaldini. Lotta terribile; i napoletani si ripiegano in massa nella cittadella. — La guarnigione esce coi fucili e coi bagagli personali. — Materiali da guerra rimasti in potere di Garibaldi...........................................» | 149 |
IV. | Le truppe napoletane, cacciate nella fortezza della città, dopo aver sostenuta un'accanita pugna, debbono ritirarsi nella posizione che i generali Melendez e Briganti avevano preso presso Piale. — Nel domani s’impegna di nuovo il combattimento. — Tutt’i corpi napoletani sono sbaragliati o fatti prigionieri. — | |
Il combattimento di Piale fu decisivo ed ebbe per risultato che tutt’i reggimenti, stanziati a Monteleone, si ritirassero in disordine............................................................................... pag. | 151 | |
V. | Presa da Garibaldi l’altura di Piale, la guarnigione napoletana di Scilla dovette capitolare. — Garibaldi domina ora lo Stretto, ed ha libero movimento per terra ed alle coste di Reggio................» | 152 |
VI. | A Villa S. Giovanni e nelle due borgate adiacenti eransi raccolte tutte le forze testé sparpagliate tra Reggio e Scilla. — Garibaldi fece annunciare ai regii che se entro tante ore non si arrendevano, sarebbero tutti distrutti. — Il generale napoletano stipula con Garibaldi una convenzione, in forza della quale i napoletani sarebbero usciti senz’armi e bagagli.......................» | ivi |
VII. | Un piccolo corpo di Garibaldi trae a sé nelle
Calabrie tutte te, forze militari, mentre quello di Sargi opera nella
Basilicata, in Cilento, in Salerno e così di seguito. — L’insurrezione
sempre più progredisce e sostituiscono Governi provvisori. - Rivoluzione di Cosenza — Garibaldi entra in Bagnara. — Insurrezione di Sora. — Numerosi armati poggiano sulla provincia di Molise. — Da tutte le parti accorrono giovani a rinforzare
la sollevazione.............................................................................. » |
153 |
Deliberazioni prese in Napoli. Nuovo ministero.
Il Re parte per Gaeta.
I. | A Napoli non si è ancora convenuto nulla di decisivo........... pag. | 155 |
II. | Consiglio di generali a Palazzo nel 27 agosto. — Proposta di Pianelli. — Il generale Ulloa scopre i vizii e gli errori del concetto Pianelli. — Il consiglio di Ulloa viene approvato e si decide che l'esercito verrà richiamato dalla Calabria e si raccoglierà intorno a Napoli. — Anche il ministero approva questa risoluzione. — Fu stabilito che il Re ed i Principi della Casa reale si porranno a capo dell’esercito, il quale verrà diviso in tre corpi; il primo dei quali verrà collocato ad Eboli col generale Bosco; il secondo a Capua e il terzo a San Germano. — In caso di rovescio, l’esercito napoletano, col Re a capo, riparerà nell’Umbria e si riunirà a quello di Lamoriciére; la città di Napoli verrà dichiarata neutrale...................................................................................... » | 155 |
III. | Il ministro napoletano dell’interno M. Giacchi spedisce nel 29 agosto una circolare agl’intendenti e sotto-intendenti onde reprimere i movimenti interni.....................................................» | 157 |
IV. | I ministri danno la loro dimissione allegandone i motivi. — Il Re consulta varii, ma nessuno accetta il ministero. — Il Governo dimissionario deve restare al potere fino alla formazione di un nuovo ministero. — Pianelli rinuncia al portafoglio della guerra. | 159 |
V. | Insurrezione della Basilicata e di una parte del Principato Ulteriore. — A Potenza e nella Provincia di Salerno erano instituiti Governi provvisorii; sollevazione del distretto di Campagna; fatto questo, tutta la Provincia era insorta meno il distretto di Salerno. In Altamura orasi formato un Governo provvisorio. — Anche le Puglie erano insorte, come pure la Terra di Lavoro. — Avellino insorto. Sollevazione del Malese. — A Mondragone era avvenuto uno sbarco da tre vapori. — Garibaldi vittorioso andava sopra Salerno................................................. » | 160 |
VI. | Sapendosi che Garibaldi marciava sopra Salerno, nel 4 settembre, si tenne a Palazzo consiglio di guerra, in cui vennero proposti tre disegni. — Il piano di Francesco II era di. dare una battaglia dinanzi a Napoli, ma tutto si sventò coll’entrata di Garibaldi in Napoli...................................................................... » | 161 |
VII. | I più intimi consiglieri di Francesco II lo esortarono a partire vedendo coni’ egli non potesse contare su valida difesa. — Francesco II si dispone a partire per Gaeta. — Prima di partire il Re fece una protesta. — Proclama del Re al popolo in data 7 settembre...................................................................................... » | 162 |
VII. | Il prefetto di polizia Giuseppe Bardari pubblicò un proclama in occasione della partenza del Re.................................................. » | 167 |
IX. | Mentre Francesco II partiva per mare alla volta di Capua, la sua truppa da Napoli vi si recava per terra. Le truppe che si condusse dietro il Re si scaglionarono tra Caserta, Santammaro e Capila. — Di che si componessero codeste forze. — In Napoli non restarono che 4 battaglioni di cacciatori come ausiliari! della guardia nazionale........................................................................ » | 168 |
Garibaldi entra in Salerno.
I. | In Salerno erano trincerati 20,000 regii sotto gli ordini di Bosco e di Barbalunga. — A Sapri sbarcano 4000 insorti. — Garibaldi marcia su Salerno appoggialo alla destra da Cosenz. — Tra Salerno e Nocera erano 4000 regii in posizioni favorevoli........» | 170 |
II. | Modo singolare con cui Garibaldi entrò in Salerno....................» | ivi |
III. | Alle 2 del giorno 6 settembre i garibaldini partirono da Sala ed alle 5 giunsero in Salerno in mezzo agli applausi delle popolazioni. — Dispaccio del ministro dell'interno di Napoli, Liborio Romano, diretto a Garibaldi dopo la partenza del Re....» | 172 |
Garibaldi entra in Napoli.
I. | Proclama del ministro napoletano Liborio Romano al popolo napoletano in data 7 settembre. — Garibaldi giunge in Napoli il giorno 7 con soli cinque de’ suoi, accompagnato da tutte le deputazioni, ch'erano andate, fino a Salerno, ad incontrarlo, e viene accollo con entusiasmo. — La squadra napoletana inalbera la bandiera di Savoia. — Scompiglio prodotto nel popolo nell’udire i colpi, di cannone ohe salutavano l'innalzata bandiera. —Nella cattedrale si canta un solenne Te Deum......................... » | 174 |
II. | All'entrata di Garibaldi in Napoli l'ambasciatore d’Austria, quello di Prussia ed il pontificio lasciarono la città. — Sale la rendita. — Garibaldi proclama Vittorio Emanuele ed i suoi discendenti re d’Italia. — Composizione del suo ministero. — Decreta che tutt’i bastimenti da guerra e mercantili appartenenti allo Stato delle due Sicilie, arsenali, materiali di marina, siano aggregati alla squadra del re Vittorio Emanuele........................ » | 175 |
Pretese al trono di Napoli infante
D. Giovanni di Borbone e di Luciano Murat.
I. | Il segretario dell'infante Don Giovanni di Borbone diresse una lettera, nel 20 giugno, al ministro della Sardegna a Londra, in cui dice che Sua Altezza non vuole immischiarsi negli affari d’Italia, e ch'egli rinuncia i suoi diritti eventuali alla corona di Napoli.................................................................................... pag. | 177 |
II. | IL II principe Luciano Murat diresse ad alcuni napoletani che gli offersero la corona di Napoli, una lettera in data 19 agosto, in cui dice ch'egli accetterebbe la corona di Napoli qualora il popolo napoletano, sciolto da qualunque influenza esterna, manifestasse legalmente e solennemente il desiderio di averlo per re, facendo conoscere il vantaggio che ne deriverebbe ai napoletani in una confederazione. Lo stesso principe dirige al compilatore del Moniteur, nel 1 settembre, un richiamo contro l’interpretazione di quel periodico dato alla sua lettera del 19 agosto...........................................................................................» | 178 |
Occupazione delle Marche e dell'Umbria
per parte delle truppe piemontesi
CAPITOLO PRIMO
Descrizione-degli Stati pontificia
I. | Quali paesi comprendessero gli Stati della Chiesa prima della guerra d’Italia del 1859............................................................... » | 183 |
II. | Provincia di Bologna. — Provincia di Ferrara. — Provincia di Ravenna. — Provincia di Urbino. — Provincia di Pesaro. — Provincia di Macerata. — Provincia di Loreto. — Provincia di Ancona. — Provincia di Fermo. — Provincia d’Ascoli. — Provincia di Camerino. — Provincia di Spoleto. — Provincia di Perugia. — Provincia di Rieti. — Provincia di Velletri. | |
Provincia di Frosinone. — Provincia di Benevento. — Cornarla di Roma e Delegazioni di Viterbo e Civitavecchia. — Circondario di Roma................................................................................. pag. | 184 |
Motivi che indussero il Governo sardo
ad entrare negli Stati ponti fidi.
. | Opinioni dei giornali sui motivi che indussero il Re di Sardegna ad occupare gli Stati della Chiesa.............................................» | 198 |
II. | Opinioni di altri giornali. — Questi motivi appariscono dalla Nota diretta dal Gabinetto sardo al Gabinetto pontificio e dal memorandum alle Potenze del conte Cavour............................» | 199 |
I Movimenti insurrezionali negli Stati pontificii. Il Re di Sardegna accorda agl'insorti la domandata protezione.
I. | Il fuoco rivoluzionario si estende a Benevento ed a Pontecorvo. — Insurrezione della provincia d’Orvieto; nelle città di Pieve e di Monteleone si costituì un Governo e i deputati partirono per Firenze onde domandar protezione al re Vittorio Emanuele. Gl’insorti muovono per Fossombrone. — Tentativo d’insorgimento a Pergola. — Que’ di Città di Castello occupano S. Giustina e Cisterna. — Gl' insorti si uniscono alla Cattolica. — Enumerazione dei luoghi e delle Provincie insorte....................» | 200 |
Deputati delle città insorte delle Marche e dell’Umbria che domandano protezione al re Vittorio Emanuele, il quale nel giorno 11 settembre li riceve e gli accorda la domandata protezione.....................................................................................» | 201 |
Intimazione del Governo sardo al Governo pontificio.
Risposta del Governo pontificio.
Memorandum del conte Cavour alle Potenze.
I. | Il conte della Minerva, latore dei dispacci del Governo sardo pel Governo pontificio, approda nel 10 settembre a Civitavecchia. | |
II. | Non si vuole lasciarlo andare a Roma e gli si dichiara ohe consegni i dispacci al console francese o li mandi. — Contenuto della Nota del conte Cavour al cardinale Antonelli, di cui il conte era latore, e colla quale viene notificato che le truppe sarde hanno incarico d’impedire che i corpi mercenarii pontifici! reprimano colla violenza l'espressione del sentimento delle popolazioni delle Marche e deU'lImbria, ed invita lo stesso cardinale ad ordinare l’immediato disarmo e scioglimento di quei corpi pag. | 203 |
III. | Il re Vittorio Emanuele avverte per telegrafo l’imperatore dei francesi della necessità d’intervenire negli Stali romani.» | 205 |
IV. | Giunge a Roma un dispaccio telegrafico dell’imperatore Napoleone al suo ambasciatore in eui vien detto che si va ad aumentare l'armata di occupazione a Roma onde proteggere la Santa Sede. — Il Papa ordina che si risponda alla nota del conte Cavour. — Tenore di questa risposta» | 207 |
VI. | In seguito a questa risposta Vittorio Emanuele ordina alle sue truppe di entrare nelle Provincie pontificie. — Proclama del Re ai suoi soldati............................................................» | 210 |
VII. | Tenore del Memorandum del Gabinetto piemontese,12 settembre, diretto alle Potenze» | 211 |
Ordinamento dell'esercito pontificio sul territorio. Lettera
di Sua Santità al cappellano maggiore delle suo truppe.
I. | Ai primi di settembre il generale pontificio Lamoriciére aveva 25,000 uomini di truppa. Se egli temesse un’invasione nel territorio pontificio. — Ordinamento dell’esercito sul territorio che quel generale doveva difendere. — Lamoriciére non temeva un serio assalto dal mare in Ancona, e riteneva assicurata la difesa del territorio pontificio.....................................................» | 219 |
II. | Tenore della lettera 10 settembre, del Sommo Pontefice all’arcivescovo di Nisibi, cappellano maggiore delle sue trippe.» | 221 |
Il generale pontificio dispone per reprimere l'insurrezione. Lettera del generale piemontese al generale pontificio. Proclami del generale piemontese alle sue,
che stanno per entrare nel territorio pontificio.
I. | Il generale pontificio Lamoriciére viene 8 sapere ohe alcune città dello Stato erano insorte ed invase da volontari! venuti dalle Romagne. Suoi ordini relativi. Lettera del generale piemontese Fanti, ministro della guerra e comandante in capo 1 esercito di S. M. sarda, - al generale pontificio Lamoriciére, con cui gli notificai casi in cui le sue truppe occuperebbero le Marche e l Umbria. Dichiarazione del generale Lamoriciére, il quale inoltre dice al latore della lettera che riferirebbe la cosa al suo Governo. Il generale Fatti prega per telegrafo il generale Lamoriciére di rimandargli immediatamente il suo aiutante, latore della lettera, seaz aspettare la risposta del Governo pontificio.................................................................» | 225 |
II. | Da chi venissero comandati i due corpi d armata radunati alle frontiere degli Stati romani e di quante forze si componessero. Proclami del generale Tanti alla sua truppa. Proclama del generale Cialdini &.........................................................................» | 228 |
Difesa del territorio pontificio. I piemontesi possano i confini.
I. | Difficoltà di difendere lo Stato pontificio. Il generale pontificio Lamoriciére non poteva che tener disseminate le sue migliori schiere per tutt’i paesi e le città di frontiera, e frattanto in due centri principali aveva agglomerato il numero possibilmente maggiore di truppe....................................................................... » | 231 |
II. | Nel giorno li settembre i piemontesi passano il confine. Tre brigate d’avanguardia capitanate dal generale Cialdini.............. » | 232 |
Movimenti dell'armata pontificia. Fatti di Città di Pieve, di Orvieto, di Città di Castello, di di Fano, di Sant'Angelo.
I. | Il generale pontificio Schmid parte da Perugia e spedisce due tenenti nella borgata di Piegaro a ristabilire l’autorità pontificia. — La truppa pontificia entra in Città di Pieve abbandonata dai ribelli...................................................................................... pag. | 233 |
II. | I volontari! del colonnello piemontese Masi, uniti agli insorti, si avanzano verso Orvieto, occupata da pontifica sotto gli ordini del capitano Du Nord. — Scaramuccia sotto le mura d’Orvieto: le truppe pontificie si ritirano nella piazza; si spediscono parlamentarii e si stipula la capitolazione. — Gl’insorti, sortiti i pontificii, costituiscono un Comitato di difesa e proclamano il Governo di Vittorio Emanuele. — Tenore della capitolazione di Orvieto. — Il capitano Du Nord, a poca distanza d’Orvieto, trova una colonna, che troppo tardi veniva in suo soccorso. — Ove si dirigano' queste due colonne.....................................................» | 234 |
III. | Gl’insorti vanno a Cisterna e S. Giuliano, ed ivi, aiutati dalla guardia nazionale di Borgo Santo Sepolcro, atterrano lo stendardo pontificio. — 11 Governo e la forza di Castello si pongono in guardia. — Dispaccio del generale pontificio Schmid, che riassicura il governatore locale, ed il comando della forza, e stimola a resistere. — I rivoltosi vanno in Toscana, ma sopraggiungono le truppe piemontesi. — Breve fucilata; la guarnigione ripiega sul centro. — Il generale di brigata piemontese, che comandava quel corpo, intimò al governatore l'occupazione militare della città, e si firmò un atto col quale si rispettava la sovranità del Pontefice e il suo Governo; ma il generale Sonnaz, giunto colà, intimò al governatore eh egli s’impadroniva del Governo in nome del re Vittorio Emanuele...» | 236 |
IV. | Attacco di Pesaro. — I pontificii si arrendono dopo eh è ridotto in isfascio il forte. — Prigionieri. — Lamoriciére dà ordine ai pontificii di ritirarsi verso Ancona, che vengono inseguiti dai piemontesi.....................................................................................» | 238 |
V. | Fano è attaccata e cannoneggiata. I pontificii si ritirano. — Prigionieri................................................................................pag. | 239 |
VI. | Il colonnello pontificio Ranzler guarda la Misa; i piemontesi tentano sbaragliarlo. — Comincia la battaglia; i pontificii respingono la cavalleria piemontese, ma finalmente questa penetra nella fila de’ pontificii e li disperde. — Per altro il colonnello Kanzler si aprì una strada per mezzo al nemico e giunse ad Ancona........................................................................» | ivi |
Capitolazione di Perugia. Fatti di, Foligno e di Todi.
I. | Il generale pontificio Schimd perviene ai 14 settembre in Perugia minacciata dai piemontesi. — Il generale aumenta la guarnigione. — I piemontesi, condotti dal generale Sonnaz, attaccano il fuoco e combattono di contrada in contrada; intimano la resa al generale Schimd. — Sospensione d’armi di cinque ore. — Giunge il generale piemontese Fanti. — Schmid domanda che si prolunghi il termine della tregua per prender consiglio. — Viene in questo consiglio accettata la proposta del generale piemontese. — Capitolazione. — Perdite sofferte dai piemontesi. — Il generale Schmid viene condotto a Torino, ove ottiene di ritornare in patria. — Il generale Fanti prosegue rapidamente la sua marcia su Foligno.........................................» | 241 |
II. | I pontificii invadono Pergola abbandonata dagl’insorti. — Lo stesso accade a S. Lorenzo in Campo» | 243 |
III. | Insorgono Foligno e Todi, e vi si costituisce un Governo provvisorio a nome del re Vittorio Emanuele............................. » | ivi |
I piemontesi prendono Spoleto e Montefiascone.
I pontificii rioccupano Pontecorvo.
I. | Le truppe piemontesi proseguono la marcia per Colfiorito, Camerino, Macerata, ecc., ove s’impadroniscono dei delegati apostolici. — Il generale Brignone si conduce a Spoleto. — Spoleto insorge. — Il comandante pontificio di quella città provvede per la difesa. — l piemontesi si avanzano ed egli non può. impedire che prendano le alture circostanti alla città. | |
Disposizione della difesa. — 11 forte è circondato dai piemontesi e viene intimata la resa. — 11 generale pontificio ricusa; — l piemontesi aprono il fuoco. — L’arcivescovo propone al comandante pontificio di arrenderai ma questi rifiuta. — l piemontesi danno l’assalto. — 41 cader della nette, la rocca avendo mollo sofferto ed i soldati essendo stanchi per le fatiche dei giorni precedenti e per una loti a che aveva durato 42 ore, il comandante pontificio risolvo di cedere. — I pontificii escono dalla rocca. — Perdite delle parti belligeranti............................................................................ pag. | 245 | |
II. | Il colonnello piemontese Masi va a Montefiascone per girare il nemico e tagliarlo fuori di Viterbo. — I piemontesi inseguono fin dentro la città una pattuglia pontificia che n’era uscita ed aggrediscono la città in tre punti. — Lotta che dura tre ore. — I pontificii in parte fuggono ed in parte rimangono nel forte, che si arrende a discrezione. — Il capitano Du Nord si apre un passaggio fra i nemici e giunge nella mattina appresso a Corneto. — Morti e feriti..............................................................» | 248 |
III. | Le truppe pontificie, condotte dal colonnello Mortillier, rioccupano Pontecorvo, con poca resistenza degl’insorti. — Relazione del fatto del colonnello Mortillier..............................» | 250 |
Terni insorge. I pontificii abbandonano Viterbo.
I piemontesi occupano Civitacastellana e il forte S. Leo. Insorgono i Castelli che circondano il lago di Vico. Atto del cardinale Antonelli al corpo diplomatico residente in Roma
I. | Terni insorge e vi s’istituisce un Governo provvisorio. — I pontificii abbandonano Viterbo che si pronuncia per Vittorio Emanuele, ed una deputazione della città implora protezione dal Re. —La colonna Masi occupa Civitacastellana; i piemontesi entrano in Corneto abbandonata dai francesi. — La guarnigione del forte S. Leo si arrende a discrezione. — Tutt'i Castelli che circondano il lago di Vico insorgono in nome di Vittorio Emanuele. — Nei dintorni di Roma, a Castel Nuovo di Porto, al Castello del Duca di Rignano e a Castel di Bracciano sventola la bandiera tricolore................................................................... pag. | 252 |
II. | Il cardinale Antonelli, segretario di Stato di Sua Santità, dirama al corpo diplomatico, residente in Roma, un atto in conseguenza delle occupazioni eseguite negli Stati della Santa Sede dalle truppe piemontesi. — Tenore dell atto......................................» | 253 |
Battaglia di Castelfidardo.
I. | Il generale Lamoriciére occupa Loreto abbandonata dai piemontesi, e riconosce gli avamposti nemici. — Natura del paese e della via per andare ad Ancona. — Posizione di Castelfidardo. — Situazione de piemontesi e dei pontificii........ » | 256 |
II. | Flotta piemontese innanzi a Sinigaglia. — Strade che i pontificii potevano tenere per andar ad Ancona. — Vantaggio della via presa da Lamoriciére....................................................................» | 259 |
III. | Due cascine sono occupate dai piemontesi, che Lamoriciére deve
prendere. — Il generale pontificio Pimodan è incaricato di prenderle. — Mezzi ch’egli aveva per questa operazione. — Riserva..........................................................................................» |
260 |
VI. | Alcuni bersaglieri piemontesi fanno fuoco sopra i tiragliatori dei carabinieri svizzeri alla testa della colonna pontificia, i quali guadano rapidamente la riviera del Musone e si riordinano. — Tre colonne pontificie. — Il generale Pimodan ordina ai carabinieri d’impadronirsi della prima cascina occupata dai piemontesi....................................................................................» | 262 |
VII. | Il primo alloggiamento de’ piemontesi, vigorosamente da questi difeso, viene espugnato dai pontificii. — Assalto del secondo alloggiamento de’ piemontesi, ma i pontificii devono ritirarsi. — I piemontesi inseguono i pontificii che si voltano e corrono sopra i primi alla baionetta; i piemontesi indietreggiano, e i pontificii riguadagnano la posizione da cui erano partiti. — Due battaglioni pontificii guadano la riviera. — Il generale Pimodan, benché ferito, vuol conservare il comando. — Riserva chiamata dal generale Lamoriciére..............................................................» | 263 |
VIII. | I piemontesi tentano d’investire la posizione dei pontificii da due lati ed i loro tiragliatori cominciano ad assalire di fianco le riserve. — I pontificii costringono que' tiragliatori a ripiegarsi. — | |
I. | La fanteria pontificia, appena schierata, fugge e si disperde, come pure il secondo ordine di riserva. — Disordine immenso nell’armata pontificia, ma il maggiore Fuchman rimane fermo al suo posto col 2.° bersaglieri. — L’artiglieria pontificia è avviluppata, i cannonieri fuggono. — Lamoriciére ordina che i fuggitivi prendano la via di Ancona. — Alla Gasa continua più feroce il combattimento. — Il generale Pimodan è mortalmente ferito. — Morte eroica di questo generale. — Lamoriciére ordina la ritirata delle truppe che si battevano nella Casa e che si tentino gli ultimi sforzi per salvare la loro artiglieria. — Fu fortuna pei pontificii che i piemontesi non vedessero bene le loro linee e non conoscessero il loro immenso disordine, altrimenti essi gli avrebbero inseguiti..................................................... pag. | 264 |
II. | In questa battaglia le due parti contrarie erano in forze eguali. Tutto l'interesse de’ piemontesi era quello di separare Lamoriciére dalla sua base di operazione di Ancona. — Il generale doveva necessariamente gettarsi in quella piazza fortificata ed obbligare i piemontesi a sostenere un assedio. — I piemontesi per ciò si gettano colla massima celerità sopra Ancona ed occupano forti posizioni verso quella piazza. — Lamoriciére, col nerbo delle sue truppe, andava egli pure a marce forzate, ma troppo tardi, verso Ancona. — La battaglia di Castelfidardo si deve considerare come decisiva........................ » | 267 |
Capitolazione di Loreto. Scontro ad Umana.
amoriciére con poca gente può entrare Ancona.
I. | Quante forze potè raccogliere Lamoriciére per ritirarsi in Ancona. La massa di cinque battaglioni, che si erano dispersi, si era ripiegata sopra Loreto. — I pontificii, ridotti a Loreto, si arrendono alla prima intimazione che fa loro Cialdini. — Convenzione tra il generale Cialdini e il colonnello Coudenhove comandante superiore delle forze in Loreto. — Qual corpo fosse quello di Lamoriciére...................................................................» | 269 |
II. | I pochi che Lamoriciére potè raccogliere per giungere in Ancona vengono ulteriormente minorati. — Scontro ad Umana. | |
Scontro ad Umana. — Metà dei pontifici depongono le armi. — I piemontesi si contentano di condur seco i prigionieri e cessano d'inquietare il resto della colonna, che continuò la sua marcia verso Ancona............................................................ Pag. | 275 |
Presa d'Ancona.
I. | Posizione della città d’Ancona. — Nel 7 settembre quella città venne posta in istato d'assedio. — Proclama del comandante civile conte Quatrébarbes, cui vennero delegati i poteri civili....» | 276 |
II. | Notificazione del comandante civile d Ancona conte Quatrébarbes. — Altro proclama dello stesso comandante........» | 277 |
III. | II. S. M. il re di Sardegna notifica ufficialmente alle Potenze estere il blocco del porto e della fortezza d’Ancona. — Vengono dati tre giorni di tempo affinché i sudditi esteri assestino i loro affari...........................................................................................» | 279 |
IV. | Forze marittime piemontesi destinate ad attaccare Ancona. — Loro forze dal lato di terra. — Posizioni conservate dai pontificii. — Fortificazioni............................................................................» | 280 |
V. | Primi effetti del bombardamento di Ancona. — Parlamentario piemontese. — La signora di Lamoriciére chiede notizie di suo marito. — Si ripiglia il fuoco della squadra.................................» | 281 |
VI. | Compagnie di guardie pontificie percorrono il paese ad una grande distanza. — Il generale Lamoriciére, prevedendo che gli avamposti piemontesi si sarebbero ravvicinati, dispone pel definitivo combattimento....................................................» | 282 |
VII. | Nel 23 il bombardamento si fa vivissimo e maltratta la città. — I pontifica obbligano due navi piemontesi a scostarsi..................» | 284 |
VIII. | I piemontesi non distanno dai pontificii che 4000 metri. — Colonna piemontese che sbocca da Falconara. — I pontificii non vogliono mantenere una posizione sporgente. — I piemontesi aprono il fuoco, ma i proietti scoppiano prima di giungere al nemico, e quindi essi scendono dalla china, per cui il fuoco diventa più efficace. — I pontificii obbligano i piemontesi a salire il sito dal quale erano discesi...................................................pag. | 284 |
IX. | I piemontesi piantano batterie nel ridotto Scrima e nelle pendici del Montagnolo. — All’albeggiare del 24 comincia il fuoco sopra le opere e la città. — Anche la flotta agisce. — l pontificii fanno cessare il fuoco del ridotto. — Un bastimento piemontese è maltrattato. — Una bomba cade negli archivii del console di Francia, ed un’altra nel palazzo dell'arcivescovo. —- Il fuoco de’ piemontesi smonta parecchi pezzi de’ pontificii. —Morti della popolazione e della guarnigione..................................................» | 285 |
X. | Nella sera del 25 i piemontesi tentano di prendere il villaggio di Piè della Croce. — Difesa dei ridotti Pelago e Polito. — I pontifica vogliono impossessarsi dell’estremità del villaggio di Piè della Croce tolto dai piemontesi. — I piemontesi caricano i pontificii. — Combattimento dal lato di Scrima...........................................» | 286 |
XI. | Fin dal mattino la flotta era venuta ad aprire il fuoco sopra Monte Pelago, che poscia viene assalito da tre battaglioni. — I pontifica si ritirano senza poter eondur seco l'artiglieria. — Le tre compagnie, che occupavano Monte Polito, si ritirano..........» | 288 |
XII. | I piemontesi, presi Monte Pelago e Monte Polito, attaccano la lunetta Santo Stefano. — I pontificii li lasciano avanzare fino ai piedi delle scarpe e li fulminano da ogni parte, per cui gli obbligano a ritirarsi dietro i ridotti..............................................» | ivi |
XIII. | La flotta attacca il forte de’ Cappuccini. — Danni che vi cagionò. — Una colonna d’artiglieria piemontese salì pei clivii di Montagnolo. — Una dirotta pioggia fa tacere ambe le parti, ma poscia il fuoco si riprende e non cessa che a notte cupa. — Perdite dei pontificii e della città.................................................» | 289 |
XIV. | I piemontesi, nella notte del 26 al 27, occupano il sobborgo dì Porta Pia, ed il loro fuoco diviene molesto ai difensori delle mura e nei dintorni di Porta Pia fino a Capo di Monte. — Al mattino i piemontesi fanno ripiegare nella piazza le compagnie de’ pontificii ch'erano negli orli. — Feriti. — Dopo alcuni colpi di cannone delle batterie di terra e delle navi, nel mattino, il rimanente della giornata fu tranquillo........................................» | 290 |
XV. | Da otto giorni durava il fuoco contro Ancona, che veniva sentito in lontanissime parti. — Arriva un parco d’assedio. — Il fuoco si apprende ai magazzini del Lazzaretto, che viene sgombrato dai pontifica dopo averne inchiodati i cannoni.................................» | .
290 |
XV. | Nella notte del 27 al 28 i pontifica con colpi di mitraglia impediscono alle scialuppe della squadra di spezzare la catena del porto. — Scoperta una batteria piemontese, i pontificii fanno tanto fuoco che obbligano i piemontesi a partire. — Combattimento al Lazzaretto. — Le fregate prendono la rotta verso le batterie del Molo e della Lanterna e contro queste cominciano un violento fuoco. — La batteria Barbetta della Lanterna è in breve conquassata. — Una fregata gira le batterie del Molo, le prende alle spalle, ma i cannonieri pontificii voltano i loro pezzi e si battono alla scoperta. — La fregata smonta i pezzi e pone fuori di combattimento più di tre quarti de’ difensori pontificii, che rientrano nelle casematte. — Gli enormi proietti de’ piemontesi demoliscono rapidamente i muri ed allargano ogni tratto l’ampiezza delle imboccature. — La fregata si accosta a meno di 200 metri e ben presto non rimangono tanti cannonieri pontificii quanti bastano a servire due unici pezzi che ancora facevano fuoco. — Viene ferito a morte il luogotenente Westminsthal........................................» | .
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XVI. | Una granata dei piemontesi, penetrando in un magazzino di polvere, fa saltare le batterie. — Tutte le difese sono distrutte ed una larga breccia è aperta al corpo della piazza. — Lamoriciére innalza bandiera bianca e spedisce il maggiore Mauri a bordo del vascello ammiraglio per trattare di capitolazione. — Il fuoco cessa all’istante. — Le cose così restano fino alle 9 di sera, in cui i piemontesi ricominciano a tirare da qualcuna delle loro batterie, e il domani, verso le ore 9, il fuoco nuovamente cessa. — Si stipula la capitolazione. — Testo della capitolazione d’Ancona combinata d’ordine del generale Fanti e del generale Lamoriciére...............................» | 292 |
XVII. | Una granata dei piemontesi, penetrando in un magazzino di polvere, fa saltare le batterie. — Tutte le difese sono distrutte ed una larga breccia è aperta al corpo della piazza. — Lamoriciére innalza bandiera bianca e spedisce il maggiore Mauri a bordo del vascello ammiraglio per trattare di capitolazione. — Il fuoco cessa all’istante. — Le cose così restano fino alle 9 di sera, in cui i piemontesi ricominciano a tirare da qualcuna delle loro batterie, e il domani, verso le ore 9, il fuoco nuovamente cessa. — Si stipula la capitolazione. — Testo della capitolazione d’Ancona combinata d’ordine del generale Fanti e del generale Lamoriciére.................................» | 294 |
XVIII. | Prigionieri che deposero le armi. — Cannoni, cavalli, magazzini, barche, ecc., danaro caduti in mano de’ piemontesi. — Il re Vittorio Emanuele ringrazia l’armata e la squadra...................» | 298 |
Allocuzione del Santo Padre in concistoro segreto.
Il Governo spagnuolo domanda la riunione di un congresso.
I. | Tenore dell allocuzione pronunciata da S. S. Pio IX nel concistoro segreto 28 settembre............................................ pag. | 299 |
II. | 11 Governo spagnuolo domanda la riunione di un congresso delle Potenze cattoliche onde garantire l'integrità degli Stati della Chiesa. — Osservazione fatta dal gabinetto francese su questa proposta..........................................................................» | 308 |
Il Governo pontificio continua ad arrolare.
Provincie rimaste sotto quel Governo. Plebiscito per l’annessione delle Marche e dell'Umbria al Piemonte.
I piemontesi passano il confine napoletano.
I. | Monsignor di Merode, proministro delle armi pontificie, continua ad arrolare. — Il generale francese Goyon dichiara a quali luoghi si limiterà la sua occupazione................................. » | 309 |
II. | A Castel Nuovo di Porto, al giungere di truppe francesi, la Magistratura comunitativa ripiglia le sue funzioni. — In tutt'i Comuni del Circondario si ripristina il Governo pontificio. — Lo stesso avviene a Civita Castellana. — La città di Nepi ristabilisce spontaneamente il Governo pontificio, ed avviene lo stesso anche nel capoluogo del Governo. — In Ronciglione si ripristina il Governo pontificio. — Il commissario straordinario di Viterbo dice ch'egli non vuole consegnare la città ai pontificii, ma il colonnello francese dichiara ch'egli aveva missione di ristabilire il Governo della Santa Sede. — La truppa francese entra in Viterbo. — Montefiascone rialza lo stemma pontificio. — Lo stesso avviene ad Acquapendente, a Ponzano ed in Comarca...» | ivi |
III. | Provincie rimaste finora sotto il dominio della Santa Sede. — Territorio ritenuto dal Sommo Pontefice................................... » | 311 |
IV. | Il popolo delle Provincie e delle Marche è convocato pei giorni 4 e 5 novembre in comizii per deliberare se vuole far parte del Governo costituzionale di S. M. Vittorio. Emanuele. — Come debba essere espresso il voto. — Cittadini chiamati a votare, ed esclusi..................................................................................... pag. | 311 |
V- | Y. Il Re Vittorio Emanuele, arrivato in Ancona, parte ai 9 per la frontiera napoletana, dopo che due terzi del suo esercito la avevano già passata. — Parte anche la regia marina con truppa | 312 |
Riorganizzazione dell esercito pontificio. Trattamento
dei prigionieri pontificii per parte dei piemontesi.
Santità Pio IX ringrazia il generale Lamoriciére.
I. | Il proministro delle armi pontificio, monsignor Merode, riordina P esercito pontificio. — Ordine del giorno di Becdeliévre al nuovo battaglione di franco-belgi................................................» | 313 |
II. | Il generale Lamoriciére giunge in Genova con 30 ufficiali dell’armata pontificia per essere trasportati a Marsiglia. — I prigionieri pontificii vengono mandati alle loro case, e gli irlandesi a Malta. — Si accorda a Lamoriciére di andare a Roma. — Il Santo Padre scrive una lettera al generale Lamoriciére onde esprimergli la sua gratitudine per l’eroica condotta di lui..........» | 314 |
Riordinamento organico delle Provincie. Abolizione del Tribunale della Sacra Inquisizione e Sant’Ufficio. Istituti pubblici e privati sciolti dalla dipendenza de vescovi. La diversità di religione non altera l'eguaglianza dei diritti in faccia alla legge. Si abolisce la Compagnia di Gesti. Esecuzione dei decreti dell'autorità amministrativa ecclesiastica. Compere e donazioni de beni stabili. Pubblicazione delle bolle, encicliche ecc. Feudi, fedecommessi, ecc.
I. | Il regio commissario generale per le Provincie dell’Umbria diramò ai commissarii per le Provincie, vicecommissarii di Circondario, ecc. una circolare sulle istruzioni di governo e di riordinamento organico................................................................» | 315 |
II. | Si abolisce il Tribunale detto della Sacra Inquisizione e Sant’Ufficio. — Si ordina un processo d'inchiesta sui fatti avvenuti a Perugia per opera delle truppe pontificie. — Acquisto di stabili per parte di stabilimenti e corpi morali, tanto ecclesiastici che laicali; donazioni tra vivi e disposizioni testamentarie in loro favore. — Disposizioni e provvisioni ecclesiastiche che non riguardano il foro interno e le pratiche religiose. — Tutti gl’istituti si pubblici che privati, riguardo all’istruzione ed all’educazione, sono sottoposti al solo governo del commissario generale........................................................... » | 317 |
III. | Il regio commissario generale straordinario nelle Provincie delle Marche dichiara che la differenza di religione non porta alcuna differenza nel godimento e nell’esercizio dei diritti civili e politici e che quindi sono abolite tutte le interdizioni cui erano soggetti gl’israeliti e gli acattolici. — Si abolisce la Compagnia di Gesù e vengono sciolti i suoi collegii. — Esecuzione dei decreti, rescritti, od atto qualunque emanato da persona od autorità amministrativa ecclesiastica. — Compere e vendite di beni stabili, in cui siano interessati corpi morali, sì ecclesiastici che laicali; donazioni fra vivi, e disposizioni testamentarie in loro favore. — Pubblicazione di bolle, encicliche, pastorali ed altri atti ordinarli e straordinarii delle autorità ecclesiastiche. — Feudi, primogeniture, sostituzioni fedecommessarie e disposizioni di ultima volontà per via di fiducia..................................................» |
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