A proposito di Gioia Tauro, debbo confessare la mia ignoranza e presunzione, che corrisponde all'ignoranza e presunzione comune in Calabria e altrove. Ho visto, infatti, lo sviluppo del porto di Gioia Tauro nei termini della solita contesa Nord/Sud in materia d'industrializzazione. Posti di lavoro, traffici commerciali inquadrati nella logica interna della spartizione delle risorse e dell'occupazione. Gioia Tauro come acceleratore della modernità in materia di impieghi e salari, in un paese meridionale il cui male strutturale è la sovrappopolazione della persone in età lavorativa rispetto alla domanda padronale di lavoro.
Una visione peraltro incastonata nella rozzezza e pochezza della nostra classe politica, nell'autofeticismo di quella toscopadana, nel subdolo e inconfessato scontro tra gli interessi terragni, filoromani e filogovernativi del padronato cosentino e l'eversività seminsulare e filosiciliana di Reggio, della costiera dello Stretto e della Piana. Insomma un fatto nazionale, tipico e di resistenza secolare del dualismo statuale italiano.
Mi sbagliavo, e ho insistito nell'errore nonostante qualcuno me ne avvertisse. Forse al lettore non importa saperlo, ma chi è impegnato in una battaglia ideale sente la mortificazione di aver professato un'idea sbagliata o limitata o fuorviante.
La lezione di Broudel sul Continente mediterraneo, quelle di Saitta circa la politica dello Stato unitario per il mare, la grande politica del penultimo Borbone volta a rivitalizzare il commercio marittimo si nascondevano nei bassifondi della cognizione come residuati libreschi e inattuali per i tempi nuovi, europei, continentali, eurici e terragni. Vanità mussoliniane senza supporto sia allora che oggi.
Un articolo di Antonio Aprile sullo scorso numero di "la Riviera" mi ha aperto gli occhi: l'Europa comunitaria non scherza, non inganna se stessa e gli elettori dell'intero continente quando si spinge fino a enunciare una politica mediterranea, facendo questo con l'autorità di chi ha danaro da spendere e con l'autorevolezza di chi progetta per tempi lunghi. Antonio Aprile fa chiarezza: il punto centrale dello scontro supera in discesa le piccolezze della politica romana che a questo punto è obbligata a sottostare all'Europa e si coagula tutto nella malavoglia delle classi politiche regionali, la quali intendono trarre sugo dal bilancio comunitario per le loro velleità provinciali e per concimare il proprio orticello elettorale.
Adesso le strade sono due, e due le logiche, ma non sono in contraddizione l'una con l'altra, anzi l'una sorregge l'altra. Da una parte Gioia Tauro e dall'altra il Nordafrica, i nostri cugini arabi o arabizzati che vivono sul cordolo mediterraneo dell'Africa, da cui ci siamo separati circa mille anni fa nel contrasto tra Mare e Terra, tra Maometto e Carlomagno.
Cosa vuole l'Europa euro dal Nordafrica? Chiaro e pacifico: vendere merci, un nuovo sbocco. L'Italia di Mattei ha polarizzato nella Romagne e le Marche la grande politica democristiana con il mondo arabo. Noi vogliamo partecipare al gioco nuovo che, sulla scia della Francia imperiale, l'Europa vuole intraprendere in Nordafrica, però nel modo antico: a livello di parità, del do ut des, di reciproco rispetto, secondo le regole che l'Europa carolingia ha rifiutato. Riapriamo nel Continente mediterraneo i porti alla marineria di modesto tonnellaggio, che fu l'essenza della vita, della tolleranza religiosa, della cultura civile e tecnica nell'Italia dell'Umanesimo e del Rinascimento.
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