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La partecipazione è stata minima, in sostanza un folto gruppo di neoborbonici-indipendentisti della Locride (che è la fascia marina a est di Mongiana – 40 chilometri di strada), un gruppo di giovani provenienti da San Giovanni in Fiore e Gianmarino del “Brigante”, unico non calabrese.
In compenso, area fresca, boschi, una bella mangiata di funghi, e non solo di funghi, alla trattoria che oggi si chiama “Degli amici” e che presto si chiamerà ristorante “Le Ferriere borboniche”.
Adesione incondizionata al progetto Zitara, ma nessuna partenza del movimento indipendentista, che ha bisogno di un più vasto consenso per poter essere organizzato.
L’incontro è stato invece rilevante per due aspetti:
Primo: l’esigenza di partire dalle realtà locali, in quanto non c’è luogo del Sud dove non divampi la disoccupazione e l’estraneazione politica.
Secondo: l’analisi dell’idea di Macroregione Sud, su cui vale la pena di soffermarsi brevemente.
L’idea di un’Europa macroregionalista viene dal compianto Francesco Compagna, direttore di Nord e Sud e docente a Napoli di una corso universitario di cui non ricordo l’intestazione, ma sicuramente inerente al tema regionale e regionalista. Compagna fu anche ministro o sottosegretario in uno o più governi quadripartiti, in quanto notabile del Partito Repubblicano, che ha sempre avuto nel suo grembo una componente regionalista, quella risalente a Carlo Cattaneo e altri federalisti risorgimentali.
Da Miglio e Bossi, il regionalismo è stato ripreso in termini fiscal-colonialisti. Quindi niente da fare con simili ministeriali cialtroni.
Però se partiamo da loro, si capisce tutto. I padanisti vogliono (e non invece “vorrebbero”, infatti l’hanno già vinta in tutto e per tutto, e per merito non di Berlusconi, ma di D’Alema), dico vogliono e hanno già imposto il federalismo fiscale e il federalismo della burocrazia, della scuola e degli ospedali. L’unità d’Italia resta in piedi
1) per il mercato nazionale delle merci padane, dei capitali bancari e della manodopera operaia;
2) per le istanze in cui viene ben remunerata l’arlecchinesca e pulcinellesca classe politica nazionale, regionale, provinciale e comunale (in sostanza padanista) e gli stessi partiti nazionali.
In comune resterebbero l’esercito, i carabinieri, la guardia di finanza, la polizia (ovviamente, data la paga, uomini del Sud), le strade, le ferrovie, le poste e cose simili.
La parte industriale d’Italia continuerà a vendere alla parte (non so come definirla, chiamiamola=) confusionale dello stato italiano le automobili, le relative assicurazioni, i cotonfiocchi, i cessi, le sedie, i fogli di carta, la farina, le pizze, le brioche, gli aghi, i cucirini, la carne, le mele, il vino, l’olio. Insomma tutto, tranne le arance e i fichidindia.
Da che cacchio dovrebbe, allora, arrivare il lavoro e l’occupazione? Dai vasi di terracotta? Dal sole e dal mare? Dal vento di scirocco?
La civiltà non si mangia. Anzi è bene ribadire che solo i luoghi ricchi e avvantaggiati hanno espresso ed esprimono culture esemplari a livello mondiale. Atene, Firenze, la Gran Bretagna, la Germania, gli Usa hanno vinto culturalmente solo dopo aver vinto commercialmente.
I nuovi investimenti, nonostante il federalismo, andranno “lì dove scorre il fiume”. E’ pazzesco immaginare che:
A) l’armata bancaria possa essere portata in combattimento dai caporali. Gli stati maggiori operano dove opera la borsa, quindi a Milano; qui operano i caporali, più che altro per effettuare dei rastrellamenti di mafiosi.
B) Il rischio, che la banca affronta, non è diluito in ogni sua operazione (cosa che capitava soltanto con le piccole banche locali). La banca lo affronta sotto la copertura della Banca d’Italia lì dove questo rischio è concentrato su un nome nazionale e può essere, quindi, facilmente trasferito sui fessi, come le operazioni Argentina, Cirio, Parlalat hanno fatto vedere a tutti e come ben presto vedremo con Fiat, Alitalia e Ferrovie. La banca non rischia un euro con un Mario Russo qualunque che fabbrica scarpe di corda a Positano o con Pasquale Latassa che concia pelli sulle Serre calabresi. Gli fa credito per una frazione delle necessità di capitale circolante. Al resto provvede la Divina Provvidenza, se uno ci crede. E se uno non ci crede, ipoteca la casa e stringe la cinghia fino alle budella.
Avvocati, ingegneri, medici, professori, operai, studenti, casalinghe, tenetevi l’Italia, se avete le gambe storte come Garibaldi! Fra le sue gambe poteva passarci un porcellino. Il porcellino porta bene, ma può anche farvi inciampare. Viva Bologna, la patria che tutto il mondo sogna!
Clicca qui, se vuoi seguire il dibattito sull'incontro Mongiana 4 settembre 2004 |
Riunione del 4 Settembre a Mongiana
Mongiana - le nostre precedenti indicazioni
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From: "Alessandro Romano" To: eleaml Subject: MSG 04 - 184 - Movimento per il SUD Date: domenica 22 agosto 2004 22.20 |
Rete di Informazione
delle Due Sicilie |
A Mongiana sono ancora visibili i resti di un
complesso siderurgico e di una fabbrica d'armi, destinata alla
produzione di cannoni, doppiette, sciabole, binari, catene ma anche di
utensili (bracieri, mortai) e balconi.
Comprendeva la Fonderia, le ferriere di Santa Teresa e Robinson, le
fabbrichette dell'armeria, gli alloggi della guarnigione militare e il
Boreau.
L'insediamento produttivo fece di Mongiana la capitale industriale del
Sud; si pensi che in certi periodi trovarono lavoro 1.200 persone. La
storia di questo "polo industriale" ante litteram si articola attorno a
tre date.
Nel 1768 sorse il
primo complesso siderurgico, progettato dello spagnolo G.F. conty; la
fabbrica d'armi fu costruita nel 1809 ad opera di P.J. Latour; infine,
nel 1834 venne edificato il nuovo complesso siderurgico che, in onore
di re Ferdinando II, fu chiamato "Ferdinandea". La decadenza
dell'insediamento iniziò con l'unificazione del regno; dopo un
breve periodo durante il quale l'attività produttiva
continuò sotto la gestione dell'esercito, il complesso fu
acquistato da privati. Nel volgere di pochi anni l'attività
cessò e rimasero i resti ancora oggi visibili di quello che
è l'unico vero reperto di archeologia industriale della
provincia di Vibo Valentia.
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