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E’ difficile, per una persona resa scettica dall’esperienza, andare
dietro a tutte le cazzate che fanno e dicono i personaggi della grande
e piccola politica.
E’ venuta, tuttavia, in primo piano un’intervista resa a Napoli dal
professor Romano Prodi. Ora, del candidato premier della sinistra
bisogna dire che ha fatto in Italia e in Europa qualche cazzata. Cose,
però, che stanno nella logica degli interessi della classe che
egli rappresenta. Ma non si può certamente affermare che quando
parla dice cazzate.
Si tratta infatti di un uomo navigato, quindi prudente e capace di
compostezza nell’eloquio, e di una persona colta, quindi incline a non
bluffare, come capita ad altri politici e in particolare ad Arlecchino
Ridens in Capillis.
D’altra parte è un politico, e deve quindi sostenere di
aver fiducia che l’Italia sia amministrabile, nonostante il doppio
volto di una Padana industrializzata, ma in declino, e di un Sud
marginalizzato, anzi in punto di morte; vivo soltanto per la presenza
mafiosa.
La sua intervista è un prodotto della migliore sartoria.
Niente di quel che racconta è imbastito a casaccio. Il taglio
del vestito è perfetto. Le cuciture non tirano. Non si vede che
qualche piccola grinza. Peccati veniali. Insomma un vestito tagliato
sulla figura di Marcello Mastroianni, benché tutti sappiamo che
dovrà essere ampiamente adattato, perché a indossarlo
sarà qualcuno con la siluette del Gobbo di Nôtre
Dame.
E tuttavia c’è un limite a tutto, anche alla bravura dei
sarti. Dove il nostro europatride Prodi in-Ciampia maldestramente
è a proposito della classe politica meridionale. Infatti egli,
per migliorare un Sud, secondo lui, già migliorato dal
regionalismo, si auspica o si prefigura, fra l’altro, una “classe
politica sana e saldamente ancorata ai valori della nostra
Costituzione”.
Intanto non è facile capire quali siano i valori taumaturgici
della nostra costituzione. Tanto per fare un esempio, prima della sua
entrata in vigore, nel 1948, la mafia sopravviveva in qualche solitaria
campagna della Sicilia occidentale e su qualche cucuzzolo della
provincia di Reggio Calabria.
Oggi è dappertutto. Al Sud, tutti coloro che hanno un lavoro
produttivo ruotano intorno alla mafia. E se gli uomini di Prodi,
appartenenti “a una classe politica sana”, al Sud vorranno prendere dei
voti, dovranno trattare e contrattare con la mafia. Poco, ma
sicuro.
Prodi sa bene che la democrazia resistenziale e costituzionale
italiana, al Sud vive di voto di scambio; si regge su tale mercato non
politico; propriamente criminale.
L’Italia padana governa il Sud attraverso il voto di scambio,
cioè fomentando il crimine. Anzi, non esiste più la
parvenza di un modo diverso di governare l’immenso disastro che
la moderna Italia - a partire dall’illustre Luigi Einaudi per finire al
poliedrico Berlusconi in Capillis - ha edificato per venti milioni dei
suoi abitanti, più di un terzo dei suoi cittadini.
Nello squinternato Sud, a poter scambiare qualcosa, è rimasta
soltanto la mafia. Prodi lo sa, come sa che – una volta al governo - al
Sud l’Italia non potrà dare altro che qualche chilometro di
strada asfaltata, sempre che convenga a qualche costruttore delle sue
parti; magari a una cooperativa rossa. Nient’altro.
E neppure il Sud vorrebbe altro. E’ inebriato dall’olezzo
d’appassito, di cadaverico, che aleggia dovunque, negli uomini e nelle
cose. Meno che nella mafia, i cui militi e capi, sovreccitati dai
decennali e democratici successi conseguiti in Italia e fuori,
spingono avanti, a dipingere orizzonti padani sotto gli occhi attoniti
di chi è rimasto indietro.
Il circolo vizioso è ineliminabile. Lo Stato spende al Sud
per sostenere uno sbocco coloniale a favore dell’industria
padana. Ma più è la spesa pubblica più cresce la
mafia, il numero degli amministratori mafiosi e dei
parlamentari che hanno giurato su Osso e Carcagnosso si dilata.
Se Prodi e gli italiani di Bologna, Venezia, Genova, Abbiategrasso e
Cavatigozzi amano il Sud, il vero atto d’amore da offrirci consiste nel
liberarci di loro, di emanciparci dallo Stato unitario, che ci ha
portati alla rovina e al disonore. Mafia e usure bancarie: l’Italia
delle città d’arte, quando arriva al Sud, infetta tutto quel
trova.
Andatevene, lasciateci vivere. “Acqua davanti”, a ripulire la strada
su cui appoggerete il piede, “e vento darretu”, in poppa, a rendervi
meno faticoso il cammino.
Alla mafia, allo smaltimento dei rifiuti, a tutto quel che serve,
sapremo provvedere da soli, se liberi dall’osservanza d’interessi non
nostri.
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