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PARMENIDE (Parmenidhς) (biogr.).— Celebre filosofo greco, figlio di Pirro, nacque nella colonia greca d’Elea in Italia, fondata probabilmente non molto prima della 61° olimpiade, e discendeva da una ricca ed illustre famiglia (Diog. Laerz., IX, 21-25, con le correzioni di S. Karsten nelle Parmenidis Eleatae carminis reliquiae Amsterdam 1835, p. 3, nota). Secondo Platone, Parmenide in età di sessantacinque anni venne in Atene alle Panatenee accompagnato da Zenone, allora in età di quarantanni, e strinse conoscenza con Socrate giovanissimo. Questa notizia ripetuta a disegno da Platone (Plat., Parm., p. 127; Soph., p. 217, Theaetet., p. 183) puossi benissimo conciliare con la cronologia apparentemente discrepante in Diogene Laerzio (ix, 23) e fu senza ragione impugnata da Ateneo (XI, 15, p. 505). Secondo la cronologia di Platone, il viaggio di Parmenide avrebbe avuto luogo nella 80° od 81° olimpiade (Socrate nel 4° anno della 77° olimp.), la sua nascita nell’olimpiade 65°, e il periodo in cui fiorì sarebbe soltanto posto da Diogene Laerzio alcune olimpiadi troppo presto (olimp. 69°). Credesi che Parmenide fosse il discepolo di Xenofane (Arist., Meth., i, 5, p. 986), ed altri dicono appartenente, con Zenone, alla scuola pitagorica (Callim., apud Procl. in Parmenid., iv, p. 51; Jambl., Vit. Pythag., g 166). Persino l’acre Timone parla di Parmenide come uomo di grande intelletto, mentre Platone lo chiama il rispettabile, il terribile, il profondo Parmenide, ed Aristotile ed altri lo pongono in cima a tutti gli eleatici (Plat., Theoet., p. 183; Soph., p. 237; Clem. Alex., Strom., v, p. 603). Secondo una tradizione riferita da Speusippo e Plutarco, Parmenide sarebbe stato il legislatore della sua patria, e tutti gli anni il magistrato costringeva gli abitanti d’Elea a giurar di osservar le leggi di Parmenide(Speus., in Diog. Laert., ix, 23).
A somiglianza di Xenofane, Parmenide sviluppò le sue convinzioni filosofiche in un poema didattico in versi esametri intitolato: Sulla natura (Plut., De Pyth. Orac., p. 402), la cui forma e merito poetico non è molto encomiato anche dai suoi ammiratori (Proclo, in Parmenid.,IV, 62; Plut., De audit., p.44; Deaudiend. poet., p. 16; Cic., Acad. Quaest. IV, 23), e questo giudizio è confermato ampiamente dai frammenti esistenti, preservati principalmente da Sesto Empirico e da Simplicio. Che Parmenide scrivesse anche in prosa (Suida,8, v.) fu probabilmente inferito soltanto da un passo male interpretato di Platone (Soph., p. 237), e il passo in prosa che occorre tra i frammenti è senza dubbio d’origine posteriore, aggiunto in via di spiegazione (vedi S. Karsten, l. c„ p. 130).
Nell’introduzione allegorica al suo poema didattico, l’Eleatico
narra come le vergini Elladiche il conducessero sulla strada dalle
Tenebre alla Luce alle porte ove separansi le vie della Notte e del
Giorno, e il presentassero alla dea Sapienza, la quale lo accolse
affettuosamente con la promessa di rivelargli non solamente il cuore
immutabile della Verità (alhθeihς eupeiθeoς atreceς htor), ma anche la fantasia ingannevole dell’uomo (Parmenid. Reliq., in Simon Karstea, l. c., 32, secondo Sext. Empir., adv. Math., VII,
III), ed indica in tal modo dove metta ciascuna di quelle opposte vie,
mentre accenna nell’istesso tempo alla divisione del poema in due
parti. La via della verità incomincia dal principio che l’essere è e
che il non-essereè inconcepibile (Reliq.,I, 33, ecc.), ma
mette soltanto alla meta desiderata evitando non solamente di ammettere
un non-essere, ma anche di considerar l'essere e il non-essere alla
pari l’uno coll’altro, che è la via regressiva della cieca ed errante
moltitudine (ivi, I, 43, ecc.): sulla prima via nostra guida è la
Ragione (logoς fnouς): sulla seconda l’occhio che non coglie l’oggetto
(scopon omma). Sulla prima via rimaniamo convinti che 1’esistente non
venne in essere né può perire, ed è intieramente d’una qualità (oulon
mounogeneς), senza cambiamento e limite (kai atremeς hd ateleston), né
passato, né futuro, racchiuso intieramente nel presente. Imperocché gli
è cosi impossibile ch’esso possa provenire e crescere dal non-essere, come che esso ciò possa all’infuori
del non-essere, dacché il non-essere è assolutamente inconcepibile e
l’essere non può preceder se stesso, ed ogni cosa che viene in essere presuppone un non-essere.
Per simiglianti argomenti la divisibilità, il moto o cambiamento,
come anco l’infinità sono esclusi dall’assolutamente esistente (I, 81,
ecc.), e l’ultimo è rappresentato come chiuso in sé, si che puossi
appareggiare ad una palla rotonda (I, 100, ecc.); mentre il Pensiero è
appropriato ad esso come sua sola definizione positiva, coincidendo il
pensiero con ciò di cui si pensa (oggetto) (I, 93, ecc.; veggansi nelle
Commentat. Eleat. di Brandis tutti i passi corrispondenti di
Platone, Aristotile, Teofrasto ed altri che autenticano l’esposizione
di questa teoria). Per tal modo a Parmenide si presentò l’idea
dell'essere in tutta la sua purezza con l’esclusione d’ogni attinenza
con lo spazio, il tempo, la moltiformità, e fu costretto a decidere sul
considerare come fallacia ed illusione umana quel che ci apparisce
connesso col tempo e lo spazio mutabile e moltiforme (I, 97, ecc.,
176), quantunque si sentisse però obbligato di tentare spiegare almeno
questa illusione. In questo tentativo, ch’egli qualifica come mera
opinione mortale e ingannevole accoppiamento di parole, egli pone due
forme primordiali (morfai), il sottile, leggiero ed uniforme fuoco
etereo della fiamma (flogoς terion pur), e il freddo, fitto e pesante
corpo (demaς) dell’oscura notte (I, 112, ecc.) rappresentata da coloro
che ne hanno preservato l’informazione come Caldo e Freddo, Fuoco e
Terra (Arist., Phys.,I, 3; Metaphys.,I, 5; De gener. et corrupt.,I, 3; Teofr., in Alexand.); il primo riferito all’essere, il secondo al non-essere (Arist. e Teofr., ll.cc.).
Quantunque le ultime espressioni non trovinsi in Parmenide, egli
considerava manifestamente il primo, il principio primordiale del
fuoco, come l’attivo e reale, l’altro come passivo e non reale in sé, e
raggiungendo la realtà soltanto quando animato dal primo (I, 113, 129).
L’intiero universo è pieno di luce e tenebre, e dalla loro mescolanza
ogni cosa nel mondo è formata dalla divinità che regna in mezzo ad esse
(I, 127, en de mesw touton daimwn h panta cuberna), sorgente primaria
della procreazione e mescolanza fatale (stugeroio tokou kai mixioς
arxh,I, 127, ecc.). Questa deità pose primo degli dei Eros, principio
dell’unione fra i principi! primordiali mutuameli opposti (Arist., Metaph.,I, 4; Sesto Empirico, adv. Math, IX, 16; Plut., De primo Frigido, pag. 946), e dopo di lui altri dei per rappresentar potenze e gradazioni delle nature (Platone, Sympos., pag. 195; Menand., De encom., 1 e 5) fra gli altri il Desiderio, la Guerra, la Lotta, ecc. (Cic., De nat, Deorum,I, 11). Ma l’ultimo principio spiegativo mondo
di esistenza originata dee, a parer suo, essere stato la necessità o il
destino, e come tale Parmenide può benissimo aver qualificato a volte
quella deità che modera gli opposti (Stobeo, Eclog., I, 23; Plat., Sympos., pag. 195), ed altre volte gli stessi principii opposti (Plut., De anim. procreat. c. Timoeo, p. 1026).
Della Cosmogonia di Parmenide possediamo soltanto pochi frammenti e notizie difficili a comprendere (I, 132, eco.; Stob., Ecl. Phys.,I, 23; Cic., De nat. Deorum,I,
11), secondo le quali, avvicinandosi alle dottrine dei pitagorici, ei
concepiva il sistema sferico mondano circondato da un circolo della
luce pura (Olimpo, Urano); nel centro di questo sistema mondano la
terra solida, e fra i due il circolo della via lattea, della stella
mattinale o vespertina, del Sole, dei pianeti e della Luna, il qual
circolo era per lui considerato come un misto dei due elementi
primordiali. Come in ciò, cosi ne' suoi tentativi antropologici egli
dedusse le differenze sulla perfezione dell’organismo dalle varie
proporzioni in cui furono mescolati (vedi Karsten, p. 257, ecc.), e le
differenze nelle capacità mentali dalla più o men perfetta mescolanza
dei membri (wς gare kasto ecei krasiς μελέων πολυπλάγκτων, τως νόος
ανθρώποισι, I, 445, ecc.; Karsten, pag. 266, ecc.), ponendo per
principio, nel primo caso, che i principii primordiali sono animati, e
che tutte le cose, anche quelle che sono morte, condividono il
sentimento non per vero del calore, della luce, del suono, si del
freddo, dell’oscurità e del silenzio (Teofrasto, De sensu princip.).
Conseguentemente la coscienza e il pensiero altresì, in quanto,
mentre concepito in uno stato di cambiamento, è un oggetto di
apparenza, s'hanno a dedurre dai principii primordiali del mondo
fenomenale, ma deesi astrarre da quel Pensiero coincidente coll'assolutamente
esistente. Ma per quanto definito sia il modo onde Parmenide separò la
vera, unica, immutabile Esistenza dal mondo dei fenomeni che passa
spesso nel cambiamento di forme, e per quanto poco ei si possa esser
sforzato a rintracciar l'ultimo nella prima, non potè però abbandonare
la possibilità di rintracciarla, e par qualificasse per questa ragione
appunto la forma primordiale del Caldo come quella ch'era reale nel mondo dei fenomeni, mentre poneva accanto ad essa l'opposta forma primordiale del Rigido,
perchè gli era soltanto in questo modo ch’ei poteva creder possibile
arrivare all'essere e al cambiamento. Per tal modo noi troviamo in lui
i germi di quel dualismo che Empedocle sviluppò poi più di qualsivoglia
altro Jonio.
A somiglianza di Parmenide, il filosofo siciliano altresì pose la necessità o predestinazione a fondamento supremo dell'esistenza originata e del cambiamento, e concordò per simil modo col suo predecessore eleatico in ciò, che il simile si conosce col simile; nel qual presupposto, come avviene in Parmenide, noi non possiamo riconoscere un’attinenza alla sua convinzione che il Pensiero e l'Essere coincidono. Ma per quanto ei non potesse negare che resistente realmente dee in qualche modo trovarsi alla base del cambiamento e della moltiformità dei fenomeni,ei non potè tentar di dedurre l'ultima dal primo fino a tanto che manteneva l'idea dell'esistente come sola, indivisibile ed immutabile; e ancora ei non poteva non mantener quest'idea fino a tanto ch'ei la concepiva in un modo puramente astratto come pura Posizione o Positivo. Ma per quanto sia insufficiente codesta idea, bisognava svilupparla con accuratezza e precisione anzi che fosse possibile fare un tentativo per trovare l'assolutamente esistente in luogo dell’originalo e perciò quale alcunché moltiforme. 1 primi tentativi per definire l'idea dell'esistente trovansi in Xenofane, e con essi comincia quel corso di sviluppo particolare agli ematici. Ma Parmenide fu il primo che riuscì a sviluppare l'idea dell'esistente puramente per sé senza farlo risalire e poggiare sopra un sostegno come la Divinità in Xenofane. Gli è solo da inaccurate od indistinte relazioni che fu conchiuso aver Parmenide rappresentato come una deità l'assolutamente esistente (Ammonio, in Arist., de Interprete f. 58; Arist., De Xenoph., Gorg. et Melisso, c. 4). Perchè Parmenide fu il solo filosofo che riconobbe con chiarezza e precisione che 1'esistente come tale è scevro d’ogni separazione o giustapposizione del pari che d'ogni successione, d'ogni relazione al tempo ed allo spazio, d'ogni principio di essere e d’ogni mutamento; dal che nacque il problema della metafisica tutta quanta di conciliare le idee vicendevolmente opposte di Essere e Venire in essere.
Dopo la scarsa raccolta nella Poesis philosophica d'E. Stefano (1573), i frammenti di Parmenide furono raccolti e spiegati più largamente da G. G. Fulleborn, Beitrage zur Deschich. der Philosophie. L’illustre Amedeo Peyron ne diede poi un’altra edizione da un codice della biblioteca di Torino col titolo: Empedoclis et Parmenidis fragmenta ex Codice taurinensis Bibliothecos restituta et illustrata ab Amedeo Peyron (Lipsia 1810). Cristiano A. Brandis, professore all’università di Bonn, ne diede anch’egli una raccolta compiuta nelle sue Commentationes Eleaticas (Altona 1813). Ma la migliore e più accurata raccolta è quella di Simone Karsten, che si seni dell’apparato manoscritto del grande Scaligero che conservasi nella libreria di Leida. Essa forma la seconda parte del primo volume delle Philosophorum graecorum veterum Oper. Reliquiae (Amsterdam 1835). Il signor Fr. Riaux ha pubblicato il testo e la traduzione in francese dei frammenti di Parmenide, intitolato: Essai sur Parmenide d'Elée (Parigi 1840).
LA PORTA ROSA |
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Porta di ingresso alla città di Elea nel Cilento. Era detta la Porta Rosa perché al tramonto il sole la rende di questo colore. Parmenide diceva che la porta divideva i sentieri del Giorno e della Notte. Nei suoi pressi egli amava scrivere e declamare i versi della sua opera filosofica "Sulla Natura". |
Le foto seguenti sono state scattate nell'agosto del 2022 da un amico (Daniele da Rimini) che ce le ha "passate".
Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - lho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura! Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin) |
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