"LA STORIA PROIBITA"Intervista immaginaria a Carmine Crocco Donatello su "LA STORIA PROIBITA"Questo è il testo di una intervista effettuata da Nicola Marmo del giornale "Napoli 2001" attraverso una catena di nymserver. Il giornalista si dichiara certo della sua autenticità. L'intervista è durata alcuni giorni. L'autore dell'intervista ha dovuto cambiare host ogni volta che inoltrava una domanda ed ogni volta che riceveva una delle risposte, tutte rigorosamente numerate. L'ultima, la ottava, è pervenuta il ** luglio ****. Marmo ci ha permesso di riprodurre per intero l'intervista, ma non ha ovviamente voluto rivelare alcun particolare riguardo al come ha fatto pervenire a Carmine Crocco il testo delle domande. |
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- Signor Crocco, la pubblicazione de "LA STORIA PROIBITA" - un evento originale e nuovo nelle ricostruzioni meridionalistiche - ha rinfocolato le polemiche sulla verità storica riguardo alla nascita dello stato unitario. I nostri lettori ci fanno molte domande a cui non sempre riusciamo a dare una risposta, perciò mi son rivolto a Voi per ottenere qualche chiarimento rispetto anche a quanto scritto nel libro in questione.
Prima di tutto, esiste un modo per verificare la Vostra identità, chi mi assicura che Voi siate proprio il signor Carmine Donatello Crocco.
E poi vorrei che mi parlaste di questo nuovo testo. Cosa ne pensate, per esempio, dei numeri riportati nel libro, cifre ricavate dalle ricerche di Romano? Una delle domande che più mi è capitato di sentire in questi anni e che io stesso mi son posto diverse volte riguarda le cifre. Quanti furono effettivamente i morti durante il brigantaggio?
- Generale, prego! Fui acclamato generale di Francesco II in quel di Melfi, tanto tempo fa. Subito un'altra precisazione: nelle tue domande non usare più le parole "brigantaggio" e "briganti" e neppure "partigiani". Chesta è na cosarella che non mi piace del libro: certi termini noi sudisti non dovremmo mai più usarli.
E poi "ricostruzioni meridionalistiche", Nicolì, che brutta espressione! Dalla commissione parlamentare d'inchiesta, la Massari, la prima delle tante che si son succedute in Italia, è disceso il meridionalismo come l'altra faccia della cattiva coscienza padana rispetto ai misfatti commessi ai nostri danni nel periodo postunitario (una commissione d'inchiesta, quella di Massari, che ha dato il via ad una serie di operazioni di insabbiamento dei più grandi misteri e malaffare d'Italia).
La nostra guerra fu "la prima guerra civile italiana" e noi eravamo "guerriglieri" in lotta contro un esercito invasore.
Il termine "partigiano" appartiene ad un'altra storia che non è la nostra.
Invece "guerrigliero" ricorda la resistenza spagnola all'esercito napoleonico: lo sai che gli spagnoli furono i primi a incrinare il mito della invincibilità dei francesi?
Nei libri si parla del "generale inverno" e della tattica da guerriglia utilizzata dall'esercito russo che faceva terra bruciata davanti agli invasori, ma le prima resistenza a Napoleone fu quella degli spagnoli, essi inventarono la guerriglia, furono i primi combattenti per la LIBERTA', la cui triste epopea fu immortalata dal grande Goya.
Le cifre della prima guerra civile italiana? Di sicuro una cifra a cinque zeri.
Se giri in un qualsiasi paese sperduto della Campania, delle Puglie, degli Abruzzi e Molise, della Basilicata o della Calabria, trovi che aleggiano nell'aria le storie dei cosiddetti 'briganti', storie purgate dagli invasori, storie ridotte a eventi criminali, di ruberie e ammazzamenti, ma presenti dappertutto. E questo dimostra quanto fu diffusa la resistenza e che in essa fu coinvolta tutta la popolazione in vario modo, alcuni a favore ed altri contro ed altri ancora che oscillavano tra le due parti, così come è accaduto in qualsiasi parte del mondo.
In tal senso ti risparmio qualche esempio molto vicino a noi nel tempo, riguardante la cosiddetta resistenza che altro non fu se non un'altra guerra civile, la seconda avvenuta in Italia dopo la formazione dello stato unitario.
Siamo un caso unico in Europa e forse nel mondo! Due guerre civili nel giro di appena 85 anni!
Ma di grazia tu mi hai interpellato per saper tutt'altro e non per sentir parlare di storia padana.
- Generale, non avete risposto alla mia domanda sulle cifre di quella che Voi chiamate - e concordo con Voi su questo - "la prima guerra civile italiana" ed avete evaso completamente il chiarimento preliminare sulla Vostra identità.
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Fotomontaggio
- Carmine Crocco dinanzi alla casa paterna (Ringraziamo l'amico e
collaboratore FDV per averci fornito la foto)
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- Se sono veramente il Generale Crocco non te lo può
confermare nessuno, Nicolì. E se io non avessi voluto, tu non
avresti trovato sotto quella pietra, vicino alla Fontana del Lupo,
l'indirizzo e-mail a cui inviare le tue domande. Nicolì, t'aggia
fatto girà tutta la Lucania per un'ostia, eh!? Praticamente ti
sei fatto tutti e due gli itinerari turistici del Vulture. Ti ho fatto
scorazzare pure attraverso il mio impero, la Ginestra, ed avrai
compreso perché ad una lotta aperta e cruenta preferii la guerra
d'astuzia, e m'internai nei boschi ove sarebbe stato facile l'agguato e
la vittoria. Adesso conosci meglio la mia bella regione. Mi dovresti
ringraziare! Per quanto riguarda le cifre, siamo molto sotto il
milione, probabilmente intorno alle 600 mila vittime. E nel numero devi
includere guerriglieri, popolazione civile, soldati borbonici. Se il
numero fosse stato maggiore sarebbe stato impossibile cancellare il
ricordo - come sostengono anche autorevoli storici sudisti -, ne
sarebbe rimasto un segno ancor più evidente di quello esistente,
nessuno ci sarebbe riuscito. Comunque 600 mila morti per quei tempi e
per le armi che si usavano allora sono una cifra enorme. Per averne la
conferma, bisognerebbe leggere le 'carte', quelle ufficiali, i rapporti
segreti mai pubblicati, in parte volutamente ignorati dalla Commissione
Massari e in parte ad essa nascosti perché 'quelli' di Torino
non volevano .
- Quell'ostia me la son dovuta pure mangiare, spero solo che non abbiate usato dell'inchiostro tossico!
A proposito delle carte, Generale, di quali carte parlate? Di quelle contenute negli archivi dei Savoia o di altre? Secondo Voi gli archivi dei Savoia esistono ancora?
E se esistono, quando ci sarà il loro rientro in Italia - da
molti considerato imminente, visto il cambio di regime - li apriranno
questi archivi oppure baratteranno l'ingresso col silenzio eterno sugli
anni di quella che Voi definite la "prima guerra civile italiana"?
- Non parlo solo di quegli archivi, ma anche delle migliaia di pagine - intorno alle 100.000 secondo la stima di Franco Molfese - secretate dai Ministeri della Difesa e degli Interni e mai rese accessibili agli storici, né di destra né di sinistra.
In quelle pagine, soprattutto in quelle del Ministero della Difesa - e anche questo è un dato significativo, il Meridione fu considerato un paese nemico, di qui la competenza nelle mani di questo ministero - sono contenuti i rapporti segreti riguardanti le rappresaglie sulla popolazione civile dei vari Maurizio de Sonnaz ("Requiescant" di soprannome per la predisposizione alle fucilazioni sommarie), artefice tra l'altro dell'eccidio di Pontelandolfo e Casalduni, e di tanti altri 'famosi eroi' della patria italiana. Il pretesto per trasformare delle infamie in atti di eroismi è bello, la Patria, la Legge, la prima è una puttana, la seconda peggio ancora.
Per quanto riguarda gli archivi dei Savoia, Nicolì, quelli discendono da una genia di conti e vescovi, che fecero fortuna controllando piratescamente alcuni passi strategici, Sono disposti a vendersi l'anima per convincere il governo in carica a farli rientrare e quando saranno in Italia continueranno a fare gli sporchi affari che hanno fatto da un millennio a questa parte.
Se conviene loro e se li hanno ancora, gli archivi se li venderanno al migliore offerente, politico o finanziario che esso sia poco importa. Una volta sposavano le figlie dei nemici ed attaccavano gli alleati dell'ultima ora per bramosia di denaro e di potere.
- Generale, non lo dico per piaggeria, ma leggere le Vostre risposte è veramente illuminante. In poche righe avete delineato un millennio di storia della dinastia Savoia, praticamente quello che sta venendo fuori ultimamente grazie al lavoro serio ed onesto di storici non allineati.
Ma torniamo alla prima guerra civile italiana. Furono schierati oltre 100 mila uomini e le ultime zone militari furono tolte intorno al 1870, è evidente che la resistenza all'invasore fu diffusa e interessò migliaia di persone. Parlatemi un po' dei vostri uomini, delle loro motivazioni, dei loro ideali, delle loro compagne.
- Nicolì nu accumincià a ffà domande cretine, da psicologo, le motivazioni, gli ideali. Sono stronzate! Gli invasori erano giunti dal Piemonte con le divise stirate e le mostrine luccicanti; che ne sapevano di noi, della nostra vita, delle nostre montagne, delle grotte numerose, dei sentieri e delle gallerie nascoste attraverso cui sfuggire ai loro attacchi?
I boschi erano i nostri palazzi, non avevamo altra casa. Non ci avrebbero preso mai!
Essi combattevano una guerra lontano da casa, noi difendevamo la nostra terra, la robba nostra, e femmene nostre.
«Eh sono femmine e basta!» questo ai miei uomini non ho mai permesso di dirlo. La femmina è la madre dell'uomo, la femmina è la moglie dell'uomo, senza di essa non vi è vita. Quando tiene nu criaturo, la donna lo corica nella culla, quello si butta giù, e la mamma pazienza, lo bacia, lo vince coll'amore. Le donne nostre non erano delle semplici vivandiere, erano le nostre compagne, a volte più determinate e spietate degli stessi uomini. E diversi soldati piemontesi lo sperimentarono di persona.
Noi uomini eravamo sani e vegeti, avvezzi ai disagi, per cui avremmo faticato volentieri tutto il giorno pur di coltivare col tempo un pezzo di terreno che fosse nostro, ma non eravamo nati per zappare il suolo a testa bassa. Avremmo voluto farlo a testa alta, da uomini liberi.
Purtroppo così non fu.
Tra le pieghe della letteratura di regime e nelle pagine di quei pochi che dopo l'unità - e sono stati tanti, ignorati o vilipesi dai collaborazionisti prima e dai servi del regime poi - mantennero intatta la dignità del sentirsi appartenenti all'Antico Regno, emerge qua e là il dramma antirisorgimentale della nostra gente e del perché molti presero la via della montagna.
Per la Sicilia basti citare Verga, rileggiti "Libertà", "L'amante di Gramigna", (anche il romanzo "Malavoglia", la cui lettura nelle scuoleè veramente stomachevole, costituisce una lettura istruttiva, in esso traspare tutta la genesi del sottosviluppo delle regioni meridionali).
In Calabria trovi Nicola Misasi con Racconti calabresi, Magna Sila, Cronache del brigantaggio, dove si racconta la storia del guerrigliero solitario Giosafatte Tallarico.
Della Lucania inutile parlarne, sto qua io: a Melfi riuscii finanche a proclamare la restaurazione del Regno Borbonico. Sui libri non lo scrivono purché l'oleografia risorgimentale non lo può digerire, ma è la pura verità: tenemmo in pugno Melfi per molto tempo.
In Campania negli ultimi decenni c'è stato un proliferare di ricerche sulle storie minori, sui guerriglieri degli Alburni - purtroppo ancora definiti dagli autori dei testi "briganti" - , su Tardio di Piaggine nel salernitano, su Cosimo Giordano, ex sottufficiale borbonico diventato, dopo la battaglia del Volturno, il più temuto capoguerrigliero del Matese.
E poi ci sono le Puglie, gli Abruzzi e Molise, solo di capiguerriglieri potrei citare decine e decine di nomi. Nicolì, ti potrei subissare di esempi!
Anche della Sicilia e della particolare guerra civile che fu combattuta nell'isola in quegli anni - differente da quella che combattevamo noi del continente - ci sarebbe tanto da dire. Per esempio, sarebbe interessante ricostruire la commistione tra funzionari piemontesi e i cosiddetti patrioti siciliani che avevano spianato la strada alla vittoria garibaldina. Ne verrebbe fuori un bel quadretto, basti dire che secondo me la mafia fu allevata e foraggiata in quegli anni dai metodi amministrativi piemontesi e dai vari Montezemolo e Bolis che si succedettero nel governo dittatoriale dell'isola.
Noi avremmo potuto vincere! Fummo traditi Nicolì.
Fummo traditi dalle città.
- Generale, ripartiamo dalle Vostre ultime affermazioni. Cosa
intendete dire quando affermate "Noi avremmo potuto vincere! Fummo
traditi Nicolì. Fummo traditi dalle città"?
- E città, Nicolì, i "cittadini" non ci sostennero. Anzi, si schierarono subito con gli invasori. Molti, tanti Don Liborio, burocrati, ufficiali superiori dell'esercito, paglietta, notai, insegnanti, tutti quelli insomma che sapevano parlare "civile" passarono dall'altra parte: per non perdere il loro miserabile stipendio vendettero l'anima al nostro nemico.
Quei vili! Se fosse stato ancora vivo il nostro Re Ferdinando, non avrebbero avuto il coraggio di tradire il loro popolo, di vendersi per trenta denari agli scellerati Savoia.
E restammo soli.
Noi, poveri cafoni ignoranti, a combattere contro un esercito moderno e agguerrito una guerra che da soli non avremmo mai potuto vincere.
Infatti la perdemmo.
E la nostra guerra, inutile e disperata, pesò come un macigno sul destino della nostra gente e della nostra amata Terra, il Sud.
- "E la nostra guerra, inutile e disperata, pesò come un
macigno sul destino della nostra gente e della nostra amata Terra, il
Sud"...!? Spiegatevi meglio, non riesco a comprendere il senso
di queste Vostre ultime parole.
- Sconfessare se stessi, Nicolì, non è bello, è na cosa da "pentiti", da quaraqua direbbe il buon Sciascia - pace all'anima sua, uno dei pochi scrittori meridionali moderni con gli attributi giusti -, ma guardando da lontano a volte si vedono delle cose che da vicino sfuggono alla nostra attenzione.
La nostra azione gettò le classi padronali del Sud, i proprietari terrieri e non solo per intenderci, completamente nelle braccia degli invasori. Atterriti dalla paura delle conseguenze - che per loro consideravano nefaste - di una nostra vittoria si schierarono dalla parte dei piemontesi e senza condizioni.
Nicolì, senza condizioni.
A noi mancò la testa politica, quella che avrebbe potuto saldare la nostra forza d'urto con quelli che avevano i piccioli, i denari, per tentare di riportare il re Francesco sul trono e scacciare gli odiati piemontesi. Ovviamente anche le misure liberiste e la possibilità di vendere sui mercati esteri i prodotti agricoli giocarono un ruolo importante nel dividere le classi padronali meridionali. Misure che favorivano i proprietari terrieri ma non gli industriali meridionali che avevano bisogno di un passaggio meno traumatico verso il liberismo.
I borghesi meridionali furono miopi - in quel momento al Nord serviva il liberismo e lo scelsero, alla fine degli anni ottanta non gli sarebbe servito più e lo avrebbero abbandonato - e noi contribuimmo a impedirgli di vedere.
Se non fosse scoppiata la guerra civile, per essere più chiari, le classi padronali meridionali avrebbero alzato la testa e non avrebbero accettato una colonizzazione di fatto del Meridione. La loro paura e l'atteggiamento dei "cittadini" per i motivi che ho espresso prima consegnarono il Meridione ai padani.
Non si può credere davvero che i maledetti Savoia avrebbero potuto conquistare uno stato così grande e prospero se la stragrande maggioranza dei meridionali non si fosse schierata dalla loro parte, per un motivo o per un altro.
E pensare che le classi padronali del Sud la forza economica per farsi sentire ce l'avevamo e non la usarono. Finirono per essere complici della dominazione per paura del peggio. In parole povere scelsero la strada del "meglio un uovo oggi".
Una scelta deleteria per le nostre genti, scelta che paghiamo tutti quanti ancora oggi.
- Generale Crocco, credo di avere inteso ciò che volete dire.
La Vostra è una strana tesi, ho letto di tutto sul sottosviluppo
del Sud ma delle cose simili non le ho mai sentite. Riconosco,
però, che hanno una logica: il brigantaggio fu una vera e
propria guerra civile, quindi i meridionali si schierarono da una parte
o dall'altra e gli ignavi rimasero a guardare pensando che non fosse
affar loro. Foste sconfitti perché abbandonati da tutti.
- Nicolì, vedo che hai compreso bene ciò che intendevo dire. Il Borbone non seppe utilizzare tanto valore e tanto eroismo così spontaneo, nei figli di questa forte regione, del tentativo di Borjes non voglio neppure parlare, egli era un essere inconsistente, un inetto e un incapace, sia come uomo che come militare.
I miei uomini non erano tutti "pastorielli", avevo un piccolo esercito con quadri completi, un capitano, un luogotenente, un medico, sergenti maggiori, caporali tutti appartenenti al disciolto esercito borbonico, ma fummo abbandonati da tutti.
Per noi era impossibile vincere.
E dopo alcuni anni iniziò il grande esodo. A migliaia prima, centinaia di migliaia poi, infine milioni. Dispersi per tutti i continenti della Terra, in così tanti che se tornassero tutti non ci sarebbe posto per ospitarli.
- Già... E il futuro? Generale Crocco, cosa vedete nel nostro futuro? Riusciranno questi nuovi padroni, la devolution bossiana e compagnia cantando a cambiare le cose per le genti del Sud? Esiste un futuro per il Meridione?
- Ti rispondo con le parole di Carlo Scarfoglio: "E quando il Settentrione ci chiederà perché ci chiudiamo nella contemplazione dei nostri Morti in luogo di occuparci di affari, potremo rispondere, come Antigone immersa nel lutto di Polinice alla faccendiera Ismene, tharsei, sù dè mèn zès; è d'èmèpsychè palai tethneken, rallegrati, tu che sei viva; la mia anima è morta da tempo."
Il futuro?
Appartiene ai giovani meridionali. Saranno essi, un giorno, forse, in uno scatto di orgoglio a sollevarsi e a impadronirsi delle nostre città e a dire - finalmente! - "chesta robba è a nostra e nuje decidimmo che s'adda fa da oggi in avanti"!
(Ringraziamo la ragazza di Rionero che ce l'ha fornita)
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