Ringraziamo l'amico e collaboratore Vincenzo da Nocera Inferiore per aver messo a disposizione del popolo della rete alcuni vecchi documenti.
Visto che la ricerca accademica si ostina nel suo filisteismo risorgimentalista (ricordiamo agli amici naviganti che la parola risorgimento risale al periodo fascista) noi continuiamo, con l'aiuto di pochi volenterosi, ad offrire materiali per un'altra storia, meno addomesticata. Ognuno poi trarrà le proprie personali valutazioni.
Nota dell’effemeride di corte, in « Annali civili del Regno delle Due Sicilie», Napoli 1833, vol. I, fasc. II, p. XIII.
II re radunava a Sessa numerose milizie per esercitarle nelle armi. Il dì dieci maggio andava al Garigliano ove voleva sperimentare la saldezza del nuovo ponte su quel fiume sospeso a catene di ferro. Fermatosi nel mezzo, faceva passare sopra di esso a gran trotto due squadre di lancieri e sedici grossi carri di artiglieria.
Soddisfatto della riuscita di quella prova, esaminava tutte le parti
dell'opera, ne commendava l'artificio, la solidità, il decoro, e
lodavane l'ispettore di ponti e strade cavalier Luigi Giura il quale,
eletto a dirigere la costruzione del primo ponte che l'Italia abbia
sospeso a catene di ferro, con felici trovati migliorava i sistemi
altrove finora seguiti.
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Dagli « Annali civili del Regno delle Due Sicilie », Napoli 1839, XXI, pp. 54-55, 57
Era il dì 3 di ottobre dell'anno 1839. La popolazione della città di Napoli e delle terre vicine sapeva, per avvisi fatti pubblici, che seguirebbe con solennità l'aprimento della strada ferrata: accorreva in grandissimo numero, come ad uno spettami nuovo.
Tutte le deliziose ville traversate dalla strada s'andavan riempiendo
di gentiluomini e di dame vestite come in giorno di festa; nei campi e
nelle vie pubbliche, dove queste sono intersecate dalle rotaie di
ferro, erasi gittata sin dalle prime ore del mattino una folla di gente
d'ogni condizione e stato venuta dalla città o dalle vicinanze
del contado: la quale ad ogni istante cresceva per nuovo popolo
sopravveniente; bramosi essendo tutti di vedere per quelle piagge,
state dianzi si quete stanze degli agricoltori, la straordinaria
macchina mossa dal vapore camminar sola e trarsi dietro un seguito
lungo di carrozze o carri.
Fino sulle onde del mare, che furono placidissime in quel dì,
vedevi gran numero di barche cariche di uomini e donne remigare e farsi
presso alla marina, nelle parti dove la via ferrata scopre il destro
lato al lido.
Chi conosce lo spirito pronto, la immaginativa e la fantasia potente
del popol napolitano, non dee maravigliare che con tanto entusiasmo
traesse d'ogni parte sulla nuova strada, e giunto colà facesse
allegrezza grande come per faustissimo avvenimento Non si può
con parole descrivere come si commova e ratto s'infiammi una gran
moltitudine all'aspetto di cosa nuova, grata e maravigliosa: ed in
verità, sur un sentiero apparecchiato prestamente in un breve
anno venia, mirabil cosa, a mostrarsi la locomotrice, non come
già si mostrò agl'inglesi e francesi, sorta a poco a poco
in maggior perfezione dopo cento e cento tentativi ed esperimenti, ma
già tutta elegante di forme, pronta, perfetta e velocissima a un
corso, che oltrepassa i venti.
Intanto, presso al Granatello, là sopra il ponte che unisce le
due rupi su cui ora si riman divisa la villa Carrione, era preparato un
gran padiglione addobbato splendidamente di arazzi e velluti cremisini
per la maestà del re e per la sua real famiglia: al fianco gli
sorgeva un devoto altare. Quel ponte è a capo della lunga linea
retta della strada, la quale d'ivi si discopre al guardo per 3823
metri, pari a 2 miglia e 1/6. Da un lato era altra tenda per
ambasciadori e ministri di potentati stranieri, pe' capi della real
corte del re, pe' suoi ministri segretari di Stato: una terza tenda ci
avea pe' generali dell'esercito e dell'armata, per primari ufiziali del
Regno civili e militari e per altre persone ancora invitate.
Di sotto il ponte, sulla sponda sinistra della strada, destinavasi un
luogo ricinto ai soci della Compagnia e ad altri gentiluomini ancora; e
da ultimo, in un altro spartimento sorto per cure della città di
Napoli, il sindaco avea raccolto gran numero di nobili e di persone
altre invitate. Le milizie d'infanteria e di cavalleria tutte in armi
ed in arredo eran disposte da un capo all'altro della strada, e
principalmente alla villa Carrione, alle stazioni, ai 67 siti ove son
ponti od aquidotti, e ne' luoghi dove le rotaie intersecano le vie
pubbliche: né di tanto numero di soldati potea farsi di manco,
se si volea esser sicuri che nessun sinistro accidente venisse a
turbare l'allegrezza del giorno; mentre la calca popolare impaziente e
bramosissima di tutto vedere pressava d’ogni banda e facea le
viste di voler invadere gli steccati della stra per farsi luogo sin
presso le rotaie di ferro.
La Compagnia, che ha sua sede in Parigi per l'impresa di questa nostra
strada, fin d'allora che seppe il primo tratto esser vicino a
compiersi, mandava qui in Napoli suo commessario il sig. L. Teofilo
Dubois, affinchè insieme al gerente ed ingegnere signor Armando
Bayard ed al signor Clemente Falcon, che già trovavasi
commessario tra' soci residenti in Napoli, avessero tutti uniti fatto
ossequio alla maestà del re nel giorno che le piacesse
intervenire all'apertura del cammino ferrato. (...)
Finito il parlare del re, un segnale fu dato di sopra il padiglione,
cui risposero immantinente gli spari delle artiglierie de' forti del
Granatello e del Carmine. E ratto dalla stazione di Napoli mosse
velocemente la locomotrice seguita da nove grandi carri, in cui erano
258 uffiziali dell'esercito, dell'armata e delle regie segreterie di
Stato.
Sopra uno di que' carri, scoperto, dava fiato alle trombe una compagnia
militare; sopra un altro, una mano di soldati agitava a dimostrazion di
giubilo alcune aste con banderuole in cima. In nove minuti e mezzo la
macchina giunse da Napoli al Granatello: e di là anco
velocemente sen tornò quivi d'onde era partita. Allora il
vescovo, vestito de' suoi abiti pontificali, recitò le
preghiere, indi benedisse la nuova strada ferrata: e intantochè
tutti gli astanti si prostravano ginocchioni, le artiglierie facevano
rimbombar l'aere d'una salva festiva.
Ed ecco giungere un'altra volta la locomotrice col seguito de' suoi
carri, nel mezzo de' quali vedevi una carrozza ornata pel re ed altra
per la sua regal corte. La macchina s'arrestò di sotto il ponte
Carrione; ed il re colla sua regal famiglia per una scala a posta fatta
discese sulla via ferrata.
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Da un articolo del barone Durini in
“ Annali civili del Regno delle Due Sicilie”, Napoli 1839,
vol. XIX, pp. 13-18.
Ma questi non furono che avviamenti e principi delle alte i sulle quali Ferdinando II vide per sua opera sorgere in i anni il colosso dell'industria presente. Si moltiplicarono le fabbriche, s'ingrandirono i lavori: in ogni manifattura si contarono a più centinaia i lavoratori; si videro fonderie di ferro, cartiere, zucchero di barbabietole: le seterie di S. Leucio quelle del signor Matera, i panni di Sava, di Polsinelli, di Zino' le bambagine di Egg, di Scafati, dell'Imo; i cuoi, i guanti noti solo bastarono al nostro bisogno, ma ne vendemmo a' forestieri. (...)
Spiegata una carta dell'Italia, vedremo che il Regno di Napoli stassi
come un capo che largamente avanzasi ne' mari Adriatico, Ionio e
Tirreno, che formano parte del Mediterraneo; che da un sol lato
attaccasi al rimanente d'Europa, e ne forma come un ramo distaccato che
avanzasi ad oriente ed a mezzogiorno. Il mare dunque ne cinge quasi per
ogni dove, e dopo questo non largo mare incontransi l'Albania,
l'Illirio, la Grecia, il lido dell'Asia e le coste dell'Africa,
Schiavoni, Turchi, Beduini.
Siamo dunque a' confini del mondo incivilito, e dopo noi vengono popoli
o incolti o barbari che sicuramente non vorranno de' nostri squisiti
lavori, contenti di grossolani e vili, e che dal solo basso prezzo
lasciansi allettare. In tal situazione a chi venderemo le nostre
manifatture?
E potremo sperare che quelle nazioni che son già potenti nelle
arti vorranno comprar da noi ciò che esse vendono a tutto il
mondo? (...) Per siffatte ragioni vedesi apertamente quali insuperabili
ostacoli si oppongano all'ingrandimento delle nostre manifatture e come
saremo forzati di rinunciare a quelle lusinghiere speranze di cercare
in esse e ricchezza e potenza.
Non vorremo però iscoraggiar ne avvilire. Se le nostre
manifatture non sapranno direttamente arricchirci, potranno ben farlo
con francarci di pagare agli esteri il nostro oro, e cosi col risparmio
accrescere le nostre ricchezze, che il risparmio è la più
facile strada di arricchire sicuramente, e noi con esso conserveremo
quelle dovizie delle quali tanto ci fu generosa natura.
Supplire a' nostri bisogni, francarci di comprare dagli esteri, tale
debb'essere lo scopo delle arti nostre. Indi è che le grandiose
e magnifiche fabbriche male a noi si convengano; anzi, veramente
più vantaggiose ci saranno le modeste ed economiche. Che se pure
alcune grandiose ne vorremo, non sapremmo consigliarne altre che quelle
della seta e del cotone» perché noi siamo ricchi di tali
generi, ed invece di estra» grezzi, potremmo farne di bei lavori
che, per il basso prezzo delle materie prime sostenendo la
concorrenza colle forestiere, non saran per recarne utilità e
vantaggio.
S'ingrandiscano esse sole dunque, e le altre tengansi a livello delle
necessità nostre, nulla sperando dagli esteri. La copia del
nostro olio potrebbe consigliare ancora d'ingrandire le saponerie,
siccome l'uso di uccidere gli agnelli e capretti di estender l'arte de'
guanti e delle corde di minugia che già vendiamo a' forestieri.
Dunque moderazione, giudizio, convenienza deggiono esser le guide e le
norme delle nostre manifatture, se vorremo per esse acquistare
ricchezze.
Or dall'industria volgendo il discorso all'agricoltura, ad altre
considerazioni essa ci chiama. La natura, negandoci l'oro e l'argento
delle miniere, ci fu larghissima in feracità di terre, in dolce
temperatura di clima ed in ordinato corso di stagioni. (...) La
verità però ne costringe a confessare che, a paragone
delle manifatture, trovasi molto al disotto la coltivazione de' nostri
campi. Né vorremo maravigliarcene.
La vita rustica, i lavori faticosi della campagna, le cure agrarie, gli
stenti della vita de' pastori, non hanno certo quegli allettamenti che
ci chiamano ad abitar le città: gli agi, le distrazioni, i
piaceri delle numerose Società fanno aborrire quel viver
solitario e stentato; vediamo quindi a folla i nostri villici
abbandonar le campagne per correre alle arti, a' mestieri, ed anche
alla servitù domestica; e quindi insuperbire del novello stato
come più nobile e dignitoso, e credersi così da
più del contadino che rimanesi avvilito e disprezzato. E questo
stato di avvilimento e disprezzo in cui vediamo starsi l'uom di contado
è un male gravissimo, anzi il maggior torto che possa farsi alla
buona agricoltura ed alle sue produzioni.
Pur non ostante tutto ciò, lieti osserviamo quanto in pochi anni
siasi la nostra agricoltura migliorata. Già scorgiamo sorgere
novelli boschi, moltiplicarsi l'olivo ed il gelso, introdotta la grossa
coltivazione della robbia e del guado, la barbabietola, ia medica, la
sulla estese a vasti campi; ma pur confesseremo Qo non accadere
nell'universale del Regno. Alcuni luoghi e ran mostrano tal progresso;
ma, nella gran parte, o poco ne scorgi o nessuno. Non diciamo de'
contorni di questa metropoli né di Terra di Lavoro; dove la
numerosa popolazione, immenso consumo, la feracità del suolo, la
copia degl'ingrassi, concorrono a far di esse terre il modello di ogni
coltura. (...)
Conchiudiamo questa ormai lunga diceria. Si è veduto di quanto
la protezione e gl'incoraggiamenti abbian migliorate 1e nostre arti e
manifatture; facciamo lo stesso per l'agricoltura che a miglior ragione
e con utilità maggiore il faremo, e pronte ne saranno e non
lievi le conseguenze e piene ancora di alte speranze avvenire. Le
nostre Società economiche pongano studio particolare ne'
miglioramenti agrari più acconci a ciascuna provincia, e non con
le sterili dottrine, ma dando l'esempio e l'istruzione a' loro
concittadini. Nelle esposizioni annuali che celebransi in ogni
capoluogo, non altro si mostrino che prodotti di coltivazione e di
pastorizia, e non altri che questi siano premiati e lodati. Le stesse
Società s'incarichino di acquistate le semente più utili,
ed i loro orti addivengano semenzai e vivai di belle pianticelle.
Sono questi i mezzi provinciali. Lasciamo al governo in ogni anno
dispensare premi maggiori e dare incoraggiamenti ed onorificenze al
miglior agricoltore, all'ottimo pastore. In fine si onori in qualche
maniera la professione del contadino, ed il pubblico disprezzo non
insulti alle sue miserie ed alla sua ignoranza. Ricordiamo che il pane
delle nostre mense, le vesti che ci difendono dal rigido inverno, quel
lino che conserva la nostra nettezza, tutto il dobbiamo al sudore ed
agli stenti di quei miseri che ce ne sono generosi. Ricordiamo in fine
che se essi non fossero, noi, selvaggi feroci miserabili, ci nutriremmo
ancora di ghiande, e sudice pelli coprirebbero la nudità nostra.
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Memorandum di F. Lattari al congresso
scientifico di Napoli in « II progresso
delle scienze, lettere ed arti »,
Napoli 1846, XXXIX, pp. 119-21.
Verso il principio del secolo XVI, l'industria italiana cadeva dalla grandezza a cui si era innalzata ne' cinque secoli antecedenti. Principali cause di questa decadenza furono, come ognun sa, le scoverte di America e del Capo di Buona Speranza. La prima di queste scoverte rivolse il commercio europeo dall'Oriente verso l'Occidente; la seconda fe' cader tra le mani delle nazioni situate sull'Oceano il commercio rimasto tra l'Europa e l'Asia: l'Italia, per le sue condizioni geografici.
Or in quest'ultimo periodo sociale sono avvenuti due fatti he han
cangiato nuovamente la direzione del commercio europeo ed han rimessa
l'Italia nella sua posizione primitiva riguardo A movimento industriale
del globo. Il primo di tali fatti si è l'emancipazione delle
colonie americane dalle loro metropoli; emancipazione che, distrutto
ogni interesse speciale del vecchio sul nuovo mondo, ha rivolto di bel
nuovo l'azione dell'Europa verso l'Oriente. Il secondo fatto si
è l'abbandono della strada che mena verso l'Oriente pel Capo di
Buona Speranza, perché troppo lunga e dispendiosa, e la
ripigliata dell'antica strada per l'Egitto e pel Mar Rosso.
Questi due avvenimenti hanno innalzato l'Oriente ed il Mediterraneo
alla più alta importanza, e li han renduti il soggetto di tutte
le ambizioni europee, il nodo di tutte le difficoltà
internazionali, il problema dell'avvenire del continente.
In tal condizione di cose, una novella èra si apre all'industria italiana. Qual paese, infatti, trovasi collocato più favorevolmente del nostro sul Mediterraneo in faccia all'Oriente? Qual tempo adunque più opportuno del presente per rialzar la sua industria e farla entrare a parte della lotta economico-politica che oggidì forma la vita delle grandi nazioni di Europa? (...)
[La proposta di Lattari era di organizzare un'esposizione dei prodotti dell'industria, di cui individuava i vantaggi nei seguenti punti:
1. Accomunamento delle idee industriali de' diversi produttori italiani, e trionfo delle più sulle meno perfette, ossia, tendenza generale ad una unità miglioratrice dell'industria della penisola.
2. Riunione delle voci tecniche adoperate dalle diverse provincie d'Italia, epperò grande agevolazion materiale per la compilazione del Dizionario tecnologico del nostro paese.
3. Precauzione utilissima che tutti i produttori usereb-et0 nel lavorìo delle proprie fatture, conoscendo anticipatamente di dover essere giudicate da tutta Italia, ed importanza «lana che acquisterebbero i primi e le seconde.
4. Emulazione che nascerebbe tra i produttori ed i governi della penisola per offrire in mostra migliori prodotti
5. Sommissione di tutti gli oggetti dell'industria peninsulare agli occhi di tutti gli scienziati d'Italia, e salutari consigli che questi potrebbero dirigere nello stesso momento tutti i produttori del nostro paese.
6. Maggior conoscenza che l'Italia acquisterebbe di tutte le proprie produzioni, e perciò maggiore smercio di esse nell'interno e nell'esterno della penisola.
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Dagli Atti della ottava riunione
degli scienziati italiani tenutasi in Genova dal 14 al 29 settembre
1846, Genova 1847, pp. 122-2
II sig. Mariano D'Ayala conviene coi voti espressi dalla commissione sul bene che promuove l'educazione elementare e teorica della quale dice esser già ricca l'Italia, ma osserva esser essa ancora poverissima di istituzioni che tendano alla più elevata istruzione delle classi fabbrili. Nota come entrando nelle officine vi si veggano per direttori persone d'altri paesi: esser questa una umiliazione per gli italiani in cui pur tanto risplende la scintilla di Dio, la sapienza: esservi urgente bisogno che ne' mestieri discenda la luce de' principi scientifici: che la scienza guidi la mano, il concetto regga l'opera.
Nota le varie professioni industriali in cui sono necessari certi studi
scientifici, come sarebbero quelli della geometria descrittiva,
sferometria, stereometria e meccanica. Essere argomento massimo di
studio per questa sezione l'avvisare anche ai migliori programmi di
istruzione per la classe degli artieri e meccanici. Doversi
all'istituto esordiente di Napoli il consolante frutto di trovare da
artefici italiani costrutte già trenta macchine locomotive, e
macchinisti italiani che le governano.
Essere pertanto urgente di proclamare la necessità di buone
scuole tecnologiche le quali rinnovino per noi quelle pagine memorande
della nostra storia, quando nell'antichità e nel medio evo le
industrie nostre erano le più acclamate fra tutto il mondo
civile; e quando le arti della lana e della seta trovavano seggio nel
reggimento degli Stati.
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