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Tratto da "IL
MEZZOGIORNO E L'UNITA' D'ITALIA"
di Carlo
Scarfoglio, Parenti Editore, Firenze 1953 (cfr. pagg. 20-28)
La lunga storia della lotta tra
l'aristocrazia romana dei Patres, e la plebs, nella quale quello che i
Patres rimproveravano agli avversarii era la mancanza di quello che
negavano loro, cioè il matrimonio regolare di diritto paterno
(nubent more ferarum), il diritto del Padre di dar le sue figlie in
matrimonio (mito di Virginia) etc., è stata raccontata da Livio,
e spiega chiaramente come questo istituto abbia potuto, una volta
diventato non più oggetto di dissidio, ma di competizione,
allargarsi cosi completamente da obliterare, in tutte le classi
sociali, ogni traccia dell'istituto precedente.
Le permanenze delle forme più
antiche del diritto paterno sono rimaste nel Mezzogiorno fino ad epoche
incredibilmente tardive, cosi che bisogna credere che nel Mezzogiorno
il diritto paterno abbia spinto radici più profonde che altrove;
cosa che è confermata, del resto, dai costumi ancora in vigore
nel popolo, nel quale fino all'attuale generazione il rispetto del
Padre è assai maggiore che ovunque altrove, e l'abitudine dei
figli di baciar la mano al Padre e di parlargli in seconda persona non
è ancora scomparsa.
Si noti ancora che si può
trovare nel poeta dialettale Cortese come nel 1600 fosse ancora in
vigore nel Mezzogiorno l'uso della sublevatio, uno degli istituti
più antichi e allo stesso tempo più tipici del diritto
paterno, per il quale non era legittimo il figlio o la figlia se, dopo
che erano stati posti a terra dalla levatrice, il Padre non li avesse
sollevati, o avesse dato l'ordine che fossero sollevati.
Anzi nel Cortese è la prima
forma, più antica e più genuina (aizala, cumpà,
dice la levatrice al Padre) che appare esser stata in vigore. Queste
osservazioni mostrano che realmente il sabellismo si è sposato
totalmente all'anima delle stirpi meridionali e ha formato con esse un
ethos unico. Non è necessario di dire che a questa conclusione
non si oppone il fatto che le stirpi meridionali non sannitiche abbiano
conservato la loro indipendenza e si siano atteggiate politicamente in
maniera differente e anche ostile ai Sanniti, perché è
materia di comune conoscenza che popoli dello stesso costume si sono
combattuti e si combattono ferocemente.
In realtà, se andiamo alle
origini, riconosceremo che quello che forma l’ethnos comune è
l'ethos comune per lungo passar di generazioni; e questo è
quanto è avvenuto nel Mezzogiorno nel Il e 1 millennio, fino
alla rottura del baluardo sannitico da parte dei Romani. Ma un terzo
elemento si è fuso in questo crogiuolo, l'elenco greco delle
Città costiere. Qui sopratutto la fusione è avvenuta in
seguito alla lotta tra il demos locale a riti chthonii ed a diritto
materno e le nuove aristocrazie a riti pubblici e maschili ed a diritto
paterno. Mentre infatti l'aristocrazia romana dei Patres ha dovuto
lottare con una plebs che era dello stesso sangue e della stessa
lingua, perché era formata dalle popolazioni latine della bassa
Valle del Tevere, i Greci delle Città costiere del Mezzogiorno
hanno dovuto lottare con un demos di lingua e di razza differente,
perché essi non avevano portato con loro, indubbiamente, il loro
demos dalla Grecia. Il Grecismo si è dunque mescolato alle
stirpi meridionali indigene attraverso l'assorbimento dei demoi
circostanti.
Cosi troviamo come elementi
formativi dell'ethnos meridionale, anzitutto, la vasta piattaforma
delle stirpi originarie, quelle che abitavano indubbiamente il
Mezzogiorno nel II millennio av. C., e che era già preparata
alla fusione col Grecismo da un attivo rapporto di scambi, di commerci,
e di passaggio di culti; il sabellismo, che occupando il centro della
penisola ha trasformato il suo ethos e i suoi culti fino a dove
giungeva la sua influenza, e ha probabilmente avuto in questo fenomeno
il peso più decisivo e più importante; il Grecismo, che
fondendosi colle popolazioni costiere ha addolcito il durissimo costume
sabellico - tetrica gens Sabella,
la chiamavano i Romani, che pure non erano di vita facile - e ha
mantenuto costantemente aperte le vie del mare, aumentando fino al
massimo possibile quella immersione del Sud nella vita delle stirpi del
Mediterraneo meridionale e orientale che gli è sempre stata
assai più naturale, più istintiva, più
profittevole che qualunque legame cogli affari del resto della
Penisola.
Non è necessario dire che la
formazione dell'ethnos settentrionale è stata differentissima.
Trascurando il mito della «discesa dal
Nord», per il quale non abbiamo nessuna base
scientifica, tutto quello che ci dà il poco che è rimasto
dagli scrittori antichi, tanto parchi di notizie per quello che
riguarda il Settentrione d'Italia quanto ricchi per quel che riguarda
il Meridione, è l'esistenza di popolazioni sparse, nominate
Ligures nell'Occidente, Veneti nell'Oriente, sulle quali ad una certa
epoca si stende la grande coperta Etrusca (tal Tevere all'Arno fino
alle foci del Po.
Successivamente sappiano con
sicurezza che le Alpi sono superate da una invasione storicamente
accertabile di tribù Celtiche, le quali battono a poco a poco
gli Etruschi e contendono loro il territorio, meno fortunatamente in
Occidente, più fortunatamente in Oriente, fino a stabilirsi, da
questo lato della Penisola, sul Rubicone, è difficile dire
quanto gli Etruschi prima, i Celti dopo, abbiano contribuito
fisicamente, come mescolanza diretta di sangue, alla formazione
dell'ethnos di questa vasta regione; indubbiamente tuttavia vi è
stato un lunghissimo regno di culti, conseguentemente, di costume e di
vivere, tenuto dagli Etruschi prima, dai Celti poi, cioè da due
civiltà, quali che siano state, completamente estranee alla
formazione meridionale.
Dall'altro lato è indubbio
che per le Alpi le stirpi settentrionali e centrali hanno comunicato
molto coll'esterno, perché mentre tutti i passi alpini
conservano ancora tracce di frequentazione antichissima, esistono anche
vere e proprie vie commerciali, aperte indubbiamente dopo l'invasione
celtica, come quella del Piccolo San Bernardo, sul cui passo esistono
ancora i resti del tempio celtico a Pen, poi trasformato dai Romani in
quello di Iupiter Perminus, secondo il sistema romano. E poiché
le vie commerciali antiche conducevano da un Santuario all'altro,
è indubbio che la strada del Piccolo San Bernardo terminava
nell'Ad Penninum, che è il vero nome dell'Appennino
toscano-emiliano, poi esteso a tutta la catena interna italiana; e si
può notare che la forma ad indica precisamente, l'esistenza di
un Santuario.
E' una catena che si potrebbe far
giungere fino ai Pennine Range, in Inghilterra, che anch'essi hanno
avuto il nome da Pen. La toponomastica di tutta la Valle Padana, cosi
tipicamente celtica, dimostra che, anche sotto il predominio etrusco,
quel celtismo che ha dato la forma definitiva etnica al massiccio
dell'Europa centrale, dalla Bretagna per la Francia fino alla Germania
e almeno fino alla attuale Czecoslovacchia, aveva unito etnicamente
tutto il Nord di Italia a questo grande crogiuolo.
Non si può quindi non concludere che mentre niente dice che le
stirpi originarle siano state le stesse nel Meridione e nel
Settentrione d'Italia, anche la formazione successiva, i contatti
coll'esterno, la direzione geografica, la direzione politica, e,
infine, il culto ed il vivere sono stati per l'una e per l'altra
assolutamente differenti, e, si potrebbe anche dire, contrarii, almeno
in quello che riguarda la direzione politica e geografica.
Non era possibile che non si
creassero lentamente dei tipi antropologici differenti. Il primo,
quello settentrionale, appartiene a quello del massiccio dell'Europa
Centrale, fatto di una sovrapposizione del Celtismo all'homo alpinus.
Il secondo tipo antropologico non può esser invece definito che
come
homo mediterraneus.
Su una piattaforma di stirpi mediterranee pure le sole immissioni sono,
se possibile, ancora più mediterranee; il sabellismo che forma
la colonna vertebrale del sistema non sembra dovere alla Sabina propria
altro che il nome originale, che è stato probabilmente una forma
di distinzione religiosa, non etnica; per il resto, infatti, non
troviamo tra la Sabina e il Sannio antico alcun doppione toponomastico,
alcuno di quei segni che indicano la provenienza da una determinata
regione. Al di fuori del sabellismo, in tutta la zona costiera, se vi
sono immissioni, nuovi arrivi, sono tutti mediterranei puri. E'
difficile immaginare due formazioni etniche cosi differenti.
Ma
dall'altra parte, è innegabile che fino a quando il mezzogiorno
ha vissuto la sua vita mediterranea pura, senza esser mescolato ad
altri affari che ai proprii, che non erano che affari mediterranei,
esso ha vissuto la sua grande epoca. La potenza, la forza e la
ricchezza alla quale giungono in poco tempo le Città greche del
litorale supera di molto persino quella straordinaria espansione della
Grecia propria, che pure ha dato i meravigliosi frutti dell'epoca
periclea.
In Italia il genio greco sembra aver polinoni più grandi, o
più aria da respirare; quel particolare carattere dell'ellenismo
che è la megaloprepeia, la grandezza della visione e della
concettuazione nell'arte, nei monumenti, nella politica, nella vita
pubblica e privata trova nel Mezzogiorno d'Italia un ambiente ancora
più favorevole, si direbbe, che nella piccola e ristretta
Grecia. Ma quello che è notevole è che in nessun luogo si
ha la sensazione che si tratti di un puro e semplice fatto di
importazione. Le date, del resto, smentirebbero una interpretazione
cosi ristretta. E’ strano a dire, ma il linguaggio delle date parla in
senso differente; come se l'importazione fosse stata dall'altra parte.
E’ in ogni caso certo che il primo tempio dorico è stato
costruito a Taranto, non nella Grecia propria. E’ certo che Cuma
è di due secoli anteriore all'Atene di Pisistrato, che è
anteriore di un secolo all'Atene di Pericle. Dire che l'ellenismo sia
nato nel Mezzogiorno d'Italia potrebbe sembrare un'assurdità; ma
sarebbe soltanto assurda l'espressione, la quale dovrebbe esser
soltanto differente, e dire invece che l’ellenismo, in realtà,
è un fenomeno mediterraneo che va dall'Asia Minore alla Sicilia,
che ne è la manifestazione più occidentale.
Questa colossale fioritura artistica
e civile, politica e militare, non avrebbe mai potuto verificarsi senza
la piattaforma di una straordinaria prosperità materiale, che
è stata fornita dal Mezzogiorno d'Italia, soltanto perché
viveva nel modo che la natura e la geografia hanno preparato e
destinato per questa regione. Se la prosperità materiale
può esser misurata in volume, le colossali proporzioni delle
rovine di Selinunte, Acragas, Syracusa, parlano di una ricchezza in
mezzi e in possibilità che nessun’altra parte del Mediterraneo
ha goduto in quei tempi, e forse anche nei tempi successivi.
Le rovine di Roma imperiale, per non
parlare di quelle di Roma repubblicana, diventano meschine al paragone,
soprattutto se si pensa che alla costruzione degli edifici della Roma
imperiale sono state impiegate le ricchezze di tutto il mondo allora
conosciuto, mentre alla costruzione degli edifici delle Città
greche del Mezzogiorno non sono state impiegate che ricchezze di
origine 'locale e quello che proveniva dal commercio. Né questo
si restringe alle sole Città greche, perché anche dove
sono altre stirpi, per esempio nella organizzazione Etrusco-Opicia
della Campania, Capua sta come la città più ricca
dell'Italia di allora, ricca per agricoltura, industria, arte; di
fronte alla organizzazione Etrusco-Opicia, l’organizzazione Greca sale
alla stessa prosperità, e la fossa graeca, che non è se
non la Dicearchia cumana fino ai confini di Capua e di Nola, conserva
la sua fama di prosperità e la sua prosperità attuale
anche a lungo sotto l'Impero. Altrettanto deve dirsi delle Città
non greche sulla costa orientale, tutte in diversa misura fiorenti per
commerci, agricoltura, industria.
Bisogna anche aggiungere che come
popolazione, in questo più felice tra tutti i periodi della sua
lunga vita, il Mezzogiorno d’Italia sembra esser stato anche molto
fittamente abitato. t probabile che nel Il millennio il centro
montagnoso lo fosse scarsamente, o niente, e che soltanto sulle coste
si trovassero zone densamente abitate; e, infatti, i nomi più
antichi di stirpi meridionali appartengono tutti a popoli costieri. Ma
nel I millennio il Mezzogiorno è popolato dovunque, dal Sanniti
nel centro, dalle antiche popolazioni (Apuli, Calabri, Messapi.,
Salentini, Lucani, Bruttii) sulle coste o sulle pendici che declinano
alle coste. Che questi popoli siano numerosi lo si desume dalle grandi
battaglie che contro di loro debbono sostenere i Greci, quando entrano
in conflitto con essi, e in una delle quali, secondo Erodoto, morirono
più Greci che non ne fossero morti in nessuna delle battaglie
combattute su suolo greco.
Questo fenomeno si verifica
egualmente in Sicilia, e forse in misura maggiore. Noi non abbiamo dati
precisi per stabilire quale fosse la popolazione del Mezzogiorno negli
ultimi secoli della sua autonomia, ma Polibio, che passa per il
più accurato degli storici greco-romani, ha lasciato un
singolare documento di quello che è stata la potenzialità
demografica e militare del Mezzogiorno d'Italia ed anche del segreto di
molte vittorie romane. In un'epoca che era già di decadenza e di
spopolazione causata dalle Guerre Sannitiche, egli racconta che quando
nel 528 a. U. C. i Galli Cisalpini decisero di por fine alle continue
invasioni romane della loro zona, e chiamarono gesati (mercenari celti)
e altre tribù transalpine per un attacco a fondo contro Roma,
questa fece appello alla solidarietà nazionale di tutti i socii
Italici a sud dell'Adpenninum. Il Mezzogiorno, che si trovava in fase
di pacificazione e alleanza con Roma, rispose all'appello. Secondo
Polibio l’esercito che cosi si radunò alla difesa di Roma fu
formato di 768.000 uomini a piedi e a cavallo, dei quali il
Mezzogiorno, senza la Sardegna, forni 581.000, cosi divisi: 77.000
Sanniti, 50.000 Iapigi e Messapii (lapigi era il nome che i Greci
davano agli Apuli), 8800 Siculi e Tarentini, 30.000 Lucani, 24.000
Sabelli abruzzesi, 25.000 tra Campani e cittadini romani meridionali,
cioè quei meridionali delle colonie e dei municipia che non
erano soci, ma avevano ricevuta la piena cittadinanza romana. 1 Romani
proprii non fornirono in questa guerra che due eserciti consolari,
cioè 22.000 uomini, più 20.000 restati a difendere Roma;
in tutto 42.000 uomini. E bisogna notare che probabilmente la Sicilia
avrebbe potuto fornire quattro o cinque volte il contingente che forni
se le Guerre Puniche, allora in corso, non avessero consigliato di non
sguarnirle e di far loro assumere una partecipazione nominale.
Perché non bisogna dimenticare che Syracusa soltanto, tra le
Città greco-sicule, è stata indubbiamente più
grande e più popolosa di Roma, se è vero che all'epoca
del suo fiorire ha raggiunto 600.000 abitanti, cifra che non sembra
Roma abbia mai raggiunta.
Queste cifre sono sufficienti a mostrare quale pienezza di vita e di
forza abbia raggiunto il Mezzogiorno nella sua grande epoca, che
è poi la sola, con qualche eccezione di breve durata, nella
quale ha goduto di una piena autonomia.
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Ecco
dove puoi trovare l'unico documento esistente in rete in cui è
citato il testo di Scarfoglio:
https://www.uqac.uquebec.ca
Riproduciamo
la pagina in cui abbiamo trovato la citazione del testo di Carlo
Scarfoglio, "Il Mezzogiorno e l'Unità d'Italia":
LAURA LEVI MAKARIUS
L'origine de l'exogamie et du totémisme
Collection : Bibliothèque des idées.
Paris : Éditions Gallimard
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1961, 382 pages
Nombreux sont les
éléments indiquant que la conception primitive du mariage
est marquée au sceau de la fraternité. D'abord les mythes
de tous les peuples se réfèrent à des relations
incestueuses des ancêtres ou fondateurs des groupes, ou des
êtres mythiques ; parfois, il s'agit de la forme la plus
étroite de l'endogamie, de l'union du " couple gémellaire
", comme chez les Dogon 1. Ensuite, les systèmes de
parenté les plus primitifs gardent la confusion entre la " sœur
" et " l'épouse ", confusion qui est maintenue en certaines
expressions du langage. En japonais, le terme imo désigne
tantôt la sœur et tantôt l'épouse 2
; dans le Midi de l'Italie, le mot nzorarsi, qui devrait
signifier littéralement insorellarsi (" s'ensœurer "), signifie
se marier, en parlant des hommes 3.
Parmi les nombreux rites de mariage
qui semblent manifester l'intention de rendre les époux
consanguins par l'échange de sang, certains sont étendus
aux parents des mariés. Au Cambodge, le prêtre qui
accomplit le rite de mariage marque le front de tous les parents avec
le signe du sang 4. Dans certaines parties de la Polynésie,
c'était le sang des mères du couple qui était
mêlé au cours de la cérémonie nuptiale 5.
Auprès des Mundar, les mères et les tantes des deux
époux s'arrosent symboliquement d'eau sacrée avec une
feuille de mangue et s'embrassent 6. Des rites de ce genre, souvent
remplacés ou complétés par un banquet, ont
l'allure de fraternisations entre les deux groupes qui vont s'allier
par le mariage.
À mesure que la loi d'exogamie
se précise, s'affirme et se généralise, les
coutumes de fraternisation artificielle entre ceux qui doivent s'unir
sexuellement perdent du terrain et sont repoussées. Au moment
où on s'unit à certaines femmes non pas parce qu'elles
sont devenues des " soeurs ", mais parce qu'elles sont des
étrangères, non pas parce qu'elles sont symboliquement
consanguines, mais parce qu'elles sont réellement non
consanguines, la fraternisation, en tant qu'instrument pour
l'établissement des liens d'interdépendance, non
seulement n'a plus de sens, mais ne peut plus être
effectuée : ce sont justement ces liens organiques entre ceux
qui vont s'unir sexuellement qui sont redoutés, et qui doivent
être repoussés avec la dernière énergie.
Mais l'effet a, désormais, remplacé la cause, et
l'apparentement symbolique est désormais remplacé par
l'apparentement réel, qui est celui de l'intermariage. Si,
auprès de certaines peuplades, on trouve encore des survivances
d'hospitalité sexuelle où l'hôte cède au
visiteur sa sœur, en général dans les coutumes de
fraternisation cérémoniale entre individus, en vigueur
aujourd'hui, on a bien soin de spécifier que les femmes qui
s'échangent entre les partenaires ne sont que les
épouses, car l'échange des consanguines serait
considéré
__________________
1 M. GRIAULE, Dieu d'eau, p. 234.
2 B. H. CHAMBERLAIN, Translation of « Ko-Ji-Ki »,
cité par LÉVI-STRAUSS, loc. cit.,
p. 63.
3 Carlo SCARFOGLIO, Il
Mezzogiorno e l'Unità d'Italia, p. 7.
4 BRIFFAULT, loc. cit., vol. I, p. 559.
5 FRAZER, loc. cit., vol. IV, p. 242.
6 BRIFFAULT, loc. cit., vol. I, p. 559.