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STORIA DI FERDINANDO II.

RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

DAL 1830 AL 1850

SCRITTA

da Giovanni Pagano

LIBRO I.

IL PROGRESSO.

PRIMO PERIODO

DAGLI 8 NOVEMBRE 1830 A TUTTO DICEMBRE DEL 1847.

NAPOLI

DALLA TIPOGRAFIA DI B. CANNAVACCIUOLI

Strada S. Anna de' Lombardi n" 47.

1853

LIBRO III.

LA RESTAURAZIONE.

TERZO PERIODO

DAL 15 MAGGIO 1848 A TUTTO MAGGIO 1850.


CAPITOLO PRIMO.

PRINCIPI DELLA RISTAURAZIONE.

Sommario

Il Real Governo intende con fermo proposito a perseguitare la rivolta, e ristaurare il regno. Pensieri varii intorno alla catastrofe di Maggio. Disposizioni governative intese a ricondurre l'ordine nella disordinata Città. Nota del Principe di Cariati al Conte di Rignon pel richiamo delle milizie terrestri e navali spedite per la guerra di Lombardia. Gesta memorabili del Decimo Reggimento di Linea. Breve descrizione dei luoghi in cui avvennero. Congiunzione dei Napolitani con gli altri Italiani. Il ponte di Goito. Fatto d'armi di S. Silvestro. Bello ardimento dei Napolitani in Marmirolo. Gli Alemanni scacciati dalla Grazie. Gl'Italiani assaliti in Montanara, mandano a vuoto i disegni con estremo valore. Il Feld-Maresciallo Radetzky con un gagliardo corpo di armata si avventa furiosamente contro Montanara; combattimenti che vi succedono. I Napolitani, guidati dal prode Giovannetti, sfondano la linea nemica in mezzo ad una impetuosa guerra. I Tedeschi padroni del campo. Battaglia di Goito vinta dagl'Italiani. Giungono in Bologna gli ordini del rimpatrio dei Napolitani; e divulgati appena vi nasce un rumore incredibile. Cosa facesse il General Pepe. Il Brigadiere Klein mantiene gli animi nella fede del Re. L'esercito si ritira nel Regno. La Flotta rientra nei nostri porti lasciando l'adriatico, dopo tolto il blocco a Venezia, e bloccata Trieste.

Sguainata ormai la spada il Real Governo, veduta inefficace la via delle concessioni, e della bontà, ed oltremodo sregolate le pretese dei novatori, tolse con fermo animo a perseguitare la ribellione dovunque ella si annidasse, e comunque si manifestasse, ed a ricondurre la sovvertita società nel posto e nella maniera

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più opportuna olla conservazione dell'ordine e della pace, e quindi allo sviluppo di tutte quelle sociali condizioni che indarno fra le intemperanze della rivolta si potea sperare.

Dal quale proponimento governativo surse un'altra era o periodo, che fu veramente quello della ristaurazione, in cui, all'opposto del precedente si osserva l'azion governativa preponderante e dirigente, qual dev'essere, non prostrata e diretta dalle passioni, e quindi guarentiti i dritti, le proprietà, le vite, le leggi, tutte le vene del civile benessere riaperte, I edifizio Sociale rassicurato dalle furie che minacciavangli suprema ruina.

Trista orma la catastrofe del 15 Maggio negli animi lasciava, tristissimi presentimenti destava; imperciocché liberi tuttora i Cupi della rivolta, e dileguati dalla Città, per fermo avrebber trapiantato i funesti germi nelle Provincie, dove manchevole o men gagliarda la forza compressiva, il terreno era alla sollevazione più opportuno. Un raggio di speranza pertanto rifulgea nell'attitudine ferma presa dal Governo, il quale ormai certo della fede militare potea con maggior franchezza intender l'animo a ciò che il pubblico bene richiedesse, quantunque non pochi né lievi fossero gli ostacoli con che la ribellione se gli attraversava.

Varii pensieri, passioni varie i casi di Maggio risvegliarono. Il solito suono delle stemperatezze non mancava; giacché nell'atto istesso in coi gli autori di tanto danno avean tinte ancora le mani del fraterno sangue, non si rimaneano dalla ingiustizia di andarne incusando il Governo, né di affermare che agenti regii avessero edificate le barriere, e perfino vibrato il primo colpo.

Troppo lunga e grave fatica sarebbe lo accennare soltanto le intemperanze, le menzogne, le esagerazioni di cui la stampa periodica italiana e di oltremonti ridondava. Le immaginazioni riscaldate non mancarono per inventare, non gli animi maligni per aggravare e falsare

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le interpetrazioni, non le carte per imbrattarsi di cosiffatta melma istorica. Di tal che, ove tante enormità non fossero oppugnate dalla verità e imparzialità della Storia, certo che non vi sarebbe alcuno dei nostri posteri che non vergognerebbe di appartenere a noi, e che non rimuoverebbe inorridito lo sguardo dalle pagini della presente istoria.

Impertanto diversamente riguardavano gli avvenuti fatti dai pacifici Cittadini, i quali sì come avean veduto nella lassezza governativa una non lieve cagione del ribelle rigoglio; così vedevano ora nella fermezza del governo il più saldo fondamento dell'ordine e della tranquilli.

Imperciocché le passioni punto non si correggono né si propugnano con la ragione, ma sì veramente con la forza.

Il Governo intanto, fiaccato l'impeto della rivolta, e prese misure di prevenzione contro ogni possibile tentativo, pubblicava in sul vespro del giorno 16 un proclama e vari decreti che rinfracaron gli animi.

Dimesso il Ministero Troya, ne fu creato un altro (1); sciolta la Guardia Nazionale di Napoli ed ordinato al Ministro dell'Interno di proporre i mezzi opportuni per riordinarla; imposto a tutti i componenti di quella di restituire immediatamente, pene severe ai renitenti, le armi al Comando della Piazza avute già dal Governo (2); dichiarato lo stato di assedio per la città; instituita una Commissione temporanea di pubblica sicurezza (3), la quale

(1) Fu cosi composto. Il Principe di Cariati, alla Presidenza ed agli Affari Esteri; il Cav. D. Francesco Paolo Pozzetti all'Interno ed alla Istruzione Pubblica; il Principe di Torella all'Agricoltura e Commercio, ed agli affari Ecclesiastici; il Generate Carascosa ai Lavori Pubblici, l'Avv. F. Paolo Ruggiero alla Finanza e Grazia e Giustizia, il Principe d'Ischitella alla Guerra e Marina.

(2) Ordine del 17 Maggio 1848 del Maresciallo Labrano, Comandante le Armi nella Provincia e Real Piazza di Napoli.

(3) Era formata dal Direttore del Ministero dell'Interno

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per tutti i reati contro la sicurezza interna dello stato, e l'interesse pubblico, commessi dal 1 Maggio, e durante lo stato di assedio, di rimettere i processi alle Autorità Ordinarie competenti a norma delle leggi di procedura penale; e con la facoltà di poter mettere in carcere le persone per misure preventive, e ritenervele per un periodo non maggiore di 15 giorni, dopo i quali dovrebbe rimetterle alle Autorità competenti per giudicarle (1).

Intanto fu disciolta la Camera dei Deputati 1.° perché si era rilevato da documenti autentici, che nel disastroso giorno gli eletti a far parte della Camera dei Deputati raunavansi indossando il carattere di Assemblea unica rappresentante della Nazione, scegliendosi un Presidente, procedendo a deliberazioni, creando un Comitato di Sicurezza Pubblica dal quale dovesse dipendere la Guardia Nazionale:

2. Perché non essendosi ancora prestato da quelli il giuramento voluto dalle leggi, l'assunto potere era di tanto più arbitrario, illegittimo, e sovversivo d'ogni principio d'ordine civile, in quanto esso traripava dalle attribuzioni di un Collegio meramente legislativo:

3. Perché da malvagi fini era unicamente suggerita una si turbolenta condotta, poiché la voce di moltissimi onesti Deputati non mancò di farsi udire per biasimarla come assurda ed illegale, quantunque ogni grido di ragione fosse stato soffocato dai clamori, e da ogni genere di minaccia dal canto di coloro che avean risoluto di apportare una funesta mutazione nello Stato,

D. Gabriele Abatemarco, Presidente, dall'Avv. presso la Suprema Corte di Giustizia D. Stanislao Falcone, dal Cav. D. Ferdinando Paragallo, Procuratore Generale del Re presso la G. C. Civile di Napoli, e dai Commissarii di Polizia Farina e Silvestri.

(1) Decreto del 16 Maggio 1848.

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ed eccitare i disordini di una guerra civile

(1).

Frattanto le Milizie, passato il tempo della pugna, curarono di evitare il ladroneggio, al quale si eran mostrati corrivi taluni della popolaglia durante il combattimento; e di ricuperare ai legittimi padroni le perdute masserizie. Andavan rifrugando gli abituri, e trovatavi mobilia o altri oggetti furati, li faceano trasportare a Montoliveto, dove le persone, sotto guarentigia potean riprenderli.

Nel giorno 17 furono dischiusi parecchi caffè, e botteghe, le strade si andavan rattoppando, la popolazione circolava con maggior franchezza, gli affari riprendevano il loro corso; i prigionieri furon tutti liberati, ed in sul far della sera le milizie, suonato a raccolta, rientrarono nei quartieri, lasciando i luoghi in cui si eran rimaste fin dal momento della vittoria.

Il Maresciallo Labrano, Comandante la Piazza di Napoli, volse la mente a far tosto ripristinare l'ordine e la calma nella Città, e quindi disponeva. I pubblici spettacoli dover essere autorizzati da lui: le riunioni di popolo mai non potersi effettuire senza permesso dell'Autorità militare, in contrario si dissiperebbero con la forza (2): esser vietato agli editori, e tipografi di mettere a stampa giornaletti, o abissi fino alla pubblicazione degli opportuni regolamenti (3): i permessi d'arme cessare di aver vigore, coloro che li aveano dovessero presentarli una con le armi nella Prefettura di Polizia fra 4 giorni, e ne riscuoterebbero un ricevo (4): essere richiamate in pieno vigore le disposizioni penali della legge del 28 Settembre 1822 affinché tosto si consolidasse l'ordine pubblico.

(1) Decreto del 17 Maggio 1848.

(2) Ordine del 18 Maggio 1848.

(3) Ordine del 19 Maggio 1848.

(4) Ordine del 19 Maggio 48.

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A queste disposizioni varie altre ne seguirono con cui si venne man mano riordinando e rassicurando la disordinata e spaurita Città, delle quali io non parlerò si per vaghezza di brevità, e sì per non allontanarmi di molto dal mio principale proponimento.

Se non che, non potrò passare sotto silenzio un' Atto del Governo per lo quale si menò tanto scalpore in Italia, e riguarda il richiamo delle milizie terrestri e navali spedite per la guerra di Lombardia.

Il Principe di Cariati, Ministro degli Affari Esteri, faceasi a scrivere al Conte di Rignon, Inviato di Sardegna, in questi sensi: non ignorare il Signor Conte i gravi avvenimenti cui tenne dietro la luttuosa catastrofe del 15 Maggio; esser chiaro in essi lo svolgimento continuato di un Partito, il quale dopa tentato di struggere ogni legame sociale, avea fatto l'estremo sforzo d'insanguinare, e mettere in ripentaglio una delle prime Capitali di Europa: il Beai Governo essere stato astretto per salvare la pubblica pace a raggranellare in Napoli il nerbo delle sue forze, sguarnendone quasi totalmente le provincie, nelle quali il disordine e la dissoluzione si erano portati tant'oltre che la proprietà, la sicurezza personale erano io vario modo offese: punto non valere a reprimer tanta iattura la sola forza morale delle non temute Autorità, le quali pertanto istantemente pressavano per lo invio di forze attive e numerose affin di ridare pace alla società, sicurtà alle persone, rispetto alle proprietà, tributi al Governo, esecuzione alle Leggi: per colmo aggiungersi la nemica Sicilia, la quale minaccia con tutta possa i domini continentali, insinua fraudolentemente nelle irrequiete Calabrie la cospirazione, e mira a calarvisi con le armi in pugno e far fondamento alla guerra civile: non essere ignote le tendenze del Partito, che il Real Governo ha curato indarno di blandire

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con concessioni sempre crescenti, forse pericolose ed imprudenti, e non per tanto respinte, sol che si ragguardi alle dottrine pubblicate, alle cospirazioni imbastite, alle dimostrazioni, alle intemperanze, all'aperta ribellione, la quale spenta ormai in guerra giusta nella Capitale, si ripiega nelle Provincie con le arti della seduzione, delle minacce, delle cospirazioni, e col ferro e col fuoco.

In tale stato dì cose, proseguiva il Principe di Cariati, esser manifesto, che al Governo di Sua Maestà corre il debito di menare le sue forze nelle provincie per garentirvi la pace, la proprietà, le persone; di correre il mare sia per guardare ben 700 miglia di costa su terraferma, sia per trasportare in un attimo le necessarie forze nelle maremmane provincie, più esposte delle altre, si pel soqquadro dei tempi, e sì per le insidie delle vicine sponde, sia per la guerra che rumoreggia nel faro, e per lo probabile svolgimento di una marina qualunque nei siculi porti; e in fine di apparecchiarsi forte e gagliardo in tutela e sostegno dei dritti suoi e del suo popolo: apparire quindi la necessità di aver presenti tutte le sue forze, e di richiamarle dai punti dove si erano per determinati disegni sospinte: agevolmente vedere il Governo di S. Maestà Sarda quanto le presenti fosser diverse dalle circostanze passate, allorché il Governo di Napoli si facea di tutto animo a spinger le sue schiere e le sue navi in sostegno dell'Italia superiore, e quanta necessità premesse pel tostano richiamo di quelle.

Egli, il Principe di Cariati, terminava, ammirare le generose gesta dell'Esercito Sardo, ma dolergli di osservare che al Napolitano Governo tornava impossibile imitarle; poiché posto a 600 miglia del Teatro della guerra con basi, e linee militari da prendersi in paesi indifendenti, senza piazza e senza appoggio di stipulazioni, l'esercito napolitano attrovarsi in circostanze molto diverse dal Piemontese: non esservi chi non vede,

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che un Corpo di Ar

Cuoceva pur troppo al Piemontese Governo vedersi trarre d'innanzi un sì valevole appoggio ai suoi preconcetti disegni, qual'era appunto il fiorente Corpo di Armata Napolitano; doleva pur troppo ai seguaci della Giovane Italia il vedere vicino a scrollare il preconcetto edilizio per la emancipazione del Napolitano Governo; funne menato infinito e grave scalpore, non parean bastevoli le parole e le penne a denigrare e maledire un Governo, il quale pressato dai propri casi, richiamava il proprio esercito per garentirsi dalle gravi catastrofi, che in più parti del suo regno minacciavano. Più regolare sarebbe stato, che gl'Innovatori avesser volta la penna e il ferro contro di loro stessi, perché non paghi giammai delle reali concessioni, portarono i pensieri a disegni ed attentati, nella cui collisione era certo che tutto l'edilìzio andasse in rottami.

Intanto correvano gli ordini pel rimpatrio delle milizie; ma prima che io racconti tutto ciò che a tal riguardo intervenne, fa luogo qui narrare in succinto le imprese, gli avvenimenti, e le sorti dell'Esercito e della Flotta nel periodo guerriero da essi corso in Italia.

Gli Alemanni (1) dopo le memorande giornate di Milano, abbandonata questa Città, si erano rannodati

(1) Viglia. Il Decimo di Linea napolitano nella guerra ecc.

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nelle piazze di Mantova e Peschiera che stanno sul Mincio, ed in quelle di Verona e Legnago che sono sull'Adige. Il lago di Garda, in cui si specchiano le gole del Tiralo Italiano, dà origine al Mincio, partendolo in tre rami, dei quali uno traversa il centro della piazza di Peschiera, e gli altri due, scorrendo a destra ed a manca della cinta, completamente la ricingono. Fuori lo spallo il Mincio rauna i suoi sparti rami, solca i campi Lombardi, e pervenuto a Goito li divide in due, e poi li riunisce a Mantova, allargando le sue acque in un Lago che lambisce quei forti e celebrati baluardi, per ultimo prosegue il suo cammino, e va a spegnersi nel Po, vicin di Governolo.

Copiosissime acque fra strette rive fanno del Mincio un fiume rapidissimo, minaccioso, ed in pochi punti guadabile. A Solionzo, a Monzabano, Borghetto e Goito quattro ponti gli s'inarcan sopra, dei quali i primi tre di legno, e l'altro di fabbrica.

Punto non era sperabile che i Tedeschi uscissero in campo dalle mentovate piazze; sì perché avrebbero mutata in dubbiosa vittoria la presente sicurtà, e sì perché troppo lacerato era l'Imperio, troppo divise le sue forze. Quindi alle italiche armi caleva occupare la linea del Mincio, recandosi nel possesso di Peschiera e di Mantova, ed indi fare lo stesso dell'Adige e delle sue fortezze. Daltronde l'armata italiana avendo una ristretta base di operazioni fondamentali, era necessitata a spingersi avanti con cautela, perché non le fossero rammezzati il ritorno e le comunicazioni con Milano e Torino, fonti precipui di sua sussistenza.

La mantovana piazza messa a cavaliere sul Mincio, presenta a chi la possiede il sommo vantaggio di manovrare a suo libito sull'una o sull'altra sponda; mentre che il nemico se rannoda le sue forzo in una parte lascia sguernita l'altra, e se vuol dominarle amendue delove dividersi,

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e quindi indebolirsi, ed esporsi ad essere battuto separatamente; ovvero esser provveduto di due gagliarde armate, che sulle due rive campeggino. Fra le porte che danno ingresso alla fortezza sono da ricordare principalmente quella di Pradella che mena alla riva destra, e l'altra di 5. Giorgio che accenna alla stanca. Fronteggiano la prima le posizioni di Grazie, Cariatone, Montanara, B S. Silvestro, la di cui occupazione porta il blocco a metà, dappoiché per porta S. Giorgio si può aver libera comunicazione con la Venezia e con Verona. Il possesso dell'Isola della Scala toglierebbe compiutamente il commercio di queste due piazze.

Su tali luoghi andavansi a compiere le fasi della guerra italiana. Re Carlo Alberto già fin dal cadere di Marzo, lasciato il Real Seggio di Torino, erasi calato nei campi lombardi con 30 mila soldati, e 40 bocche da fuoco ai cenni del General Sonnanz, e varcato il Ticino si spingeva sopra Milano, e per Cremona e Brescia, dopo occupato Goito, si sprolungava sulla linea del Mincio, accennando con la dritta a Mantova, e con la sinistra a Peschiera.

Il Tenente Generale Ferrari con una divisione toscana di circa 5 mila combattenti, fra volontari e soldati, occupava Bozzolo nel Mantovano, ed a lui dovea congiungersi il 10° di Linea napoletano, il cui 1.° battaglione agli ordini del Colonnello Rodriguez, sbarcato in Livorno, passato il confine toscano, attraversati i più alti Appennini, toccato il modanese, si divallò nelle pianure di Lombardia, e pervenuto alle rive del Pò in Brescello, sur un ponte volante passò all'altra sponda, dove già era il teatro della guerra, e mandava ad effetto la cennata congiunzione.

Rimase il battaglione napolitano in Bozzolo, indi, varcato l'Oglio, occupava Marcaria, e poscia Ospetaletto, e dopo il villaggio delle Crocette, e finalmente nell'

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Posizione interessantissima; poiché non era chi non vedesse, che occupato quel ponte dal nemico, tutta la linea del Mincio, in cui poco strategicamente rimaneasi l'armata piemontese, sarebbe presa di rovescio, e si metterebbero in periglio tutte le comunicazioni dei Piemontesi con la base. Quindi il Battaglione Napolitano, compresa tutta la importanza di quella posizione, si tenea in una perenne vigilanza, visitando accuratamente tutti i luoghi vicini, scandagliando i punti guadabili del fiume, alzando parapetti, tagliando o barricando strade, abbattendo alberi, e provvedendo in mille altri modi alla sicurezza del luogo, per compensare con l'arte il poco numero degli armati.

Guari non andò ed il secondo battaglione del 10.° di Linea, tenendo lo stesso cammino, prese le stanze in S. Silvestro, dove successo ai 3 Maggio il primo fatto d'armi; imperciocché uscito un nervo di Tedeschi da Mantova ingaggiava la pugna con gli avamposti livornesi e napolitani, i quali respinsero il nemico fin sotto i baluardi mantovani, che già tuonavano per proteggerne la ritirata.

Il giorno appresso tornavano al combattimento gli Austriaci, ma più grossi e provveduti del precedente, perché forti di 3 mila uomini con due pezzi di artiglieria ed alquanta cavalleria, situati in colonna sulla strada maestra. Gli avamposti livornesi, sebbene rinforzati dal loro battaglione, dopo valida difesa ripiegarono in ritirata.

Allora i Napolitani, spiegatisi in parte in ordine aperto, e in parte con soldati toscani formati incolonna, si spingevano arditamente innanzi., cercando di avviluppare il nemico, e nel mentre che erano per cogliere il frutto della coraggiosa ed abil manovra, un inganno lo disperse; poiché la colonna tedesca, non vedendo in altro modo salute, poste le armi al riposo, mandava innanzi un Uffiziale sventolando una bandiera tricolare, e gridando in buono italiano viva l'Italia, viva Pio IX.

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A tal mostra, e a tali accenti fu di credere il Comandante, che quella colonna si componesse d'Italiani cupidi di abbandonare le tedesche insegne, e venirsene alle italiane, epperò fece battere in ritirata, e rompere il corso alla gloriosa azione.

Ben presto però successo il disinganno; poiché gli Austriaci, nell'atto istesso della pacifica ritirata, tirarono a scheggia, fecer fuoco di strada per plotone, e si renderono incontanente sotto le mura della fortezza, apportando nove morti, e varie ferite. Il giorno 5 la colonna di S. Silvestro volse il passo alle Grazie, dove già era rannodata la divisione toscana.

Intanto il Battaglione di presidio alla testa del ponte di Goito seppe, che una colonna di ben due mila Tedeschi, uscita di Mantova erasi portata nel villaggio vicino a Marmirolo, minacciando quella posizione. 1 Napolitani spediti tostani avvisi al Quartier Generale Piemontese, ed alla divisione toscana, delle mosse e dei disegni del nemico, ed avuta risposta che non era possibile mandar loro alcun soccorso, si disposero a difender sino all'ultimo sangue il posto ad essi confidato, ed avuto sentore che il nemico si appressava corser tosto all'armi. Nel dì vegnente, conosciuto che altri Tedeschi da Mantova, si eran portati a ingrossare la colonna di Marmirolo, instavano fortemente al Campo Toscano, perché fosser confortati da qualche rinforzo, e per tal modo fu mandato il 2.° Battaglione, che durante la notte si postò alle spallo della posizione.

L'inimico non ardi spingersi alla pugna, e i nostri pensarono di eseguire una gagliarda riconoscenza. In fatti quattro compagnie si avanzarono arditamente fin presso a Marmirolo, e creduta avanguardia, i Tedeschi senza frapporre indugio si ritirarono a Mantova, lasciando i viveri che si stavan preparando. Le ardimentose compagnie, en

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Il General Ferrari, avuta contezza che la guarnigione di Mantova era stata ingrossata di 14 mila uomini, venne nel pensiero di abbandonare la posizione delle Grazie, e trasferire il suo Quartier Generale a Goito, ma eseguito il proponimento nel giorno 10 Maggio, e conosciuta nella dimane la falsità della notizia, si volse al riconquisto dell'abbandonata posizione. Sì che spediva cinque battaglioni, fra quali uno del 10.° di Linea, per una ricognizione a Castelluccio, quivi giunti senza ostacolo si passò alle Grazie con due battaglioni toscani, i quali, soccorsi e sostenuti dai Napolitani, ben volentieri misero in rotta il nemico, che lasciò sul campo non pochi morti o feriti, e ritornarono al possesso delle Grazie.

Nella vegnente notte il Maggior Generale Conte de Leuzier, rioccupò di quieto Montanara con una colonna la cui avanguardia era formata da un battaglione napoletano. Nel giorno 12 l'armata italiana avea già riconquistate tutte le antiche posizioni, e stabilì tre campi il primo col Quartiere Generale alle Grazie, il secondo in Curtatone, e 'I terzo a Montanara, dove nel giorno appresso succedeva un fatto d'Armi. Il campo di Montanara sì componeva di due battaglioni toscani di Linea, due altri di volontari, quattro Compagnie Napolitane, cinque pezzi di campagna ed un plotone di Cavalleria toscana, in tutto due mila uomini ai cenni del Generale Conte de Laugier.

Intorno al mezzodì furono attaccati gli avamposti, od il Generale ordinò, che due pezzi fossero collocati sulla strada maestra dietro un trinceramento, con due battaglioni volontari a dritta e a manca sprolungati alla cacciatori dietro un lungo parapetto, ciascuno dei quali aveva in sostegno un battaglione toscano in colonna in massa dietro il centro, tre compagnie napolitane stavano alla sinistra

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che accenna a Curtatone, affin di mantenere la comunicazione fra i due campi di Montanara e Curtatone: il plotone di cavalleria era mascherato dietro una casina alla, dritta dei napolitani.

Gli Alemanni con molta artiglieria e 4 mila uomini, assalirono di fronte il campo, e spedirono tre battaglioni, girando per la loro dritta a fine di molestare la sinistra della posizione italiana. In questo le tre compagnie napolitane e due toscane si spinsero per una stradetta ascosa nei campi, per colpire l'ala destra nemica. La compagnia dei Cacciatori Napolitani occupò a passo di carica una Casina militarmente tenuta dai Tedeschi, i quali pressati alla bajonetta l'abbandonarono più che di fretta. Simile sorte ebbero gli assalti tedeschi contro di una Casina vicino a S. Silvestro guardata dai Napolitani, i quali non contenti di averli rincacciati più volte, con estremo valore se gli serraron sopra alla carica con la bajonetta, e li dispersero. Per tal modo si compieva il primo fatto di Montanara con la ritirata dei Tedeschi, rimanendo le posizioni in possesso degl'Italiani; ma più eclatante fu l'altro fatto avvenutovi ai 29 Maggio, del quale ora dirò.

Il Feld Maresciallo Radetzky, ricevuto ormai il tanto aspettato aiuto del Corpo d'Armata del Generale Nugoli, che si avanzava sopra Verona per le vie di Treviso e Vincenza, uscì il giorno 28 da Verona con circa 20 mila uomini e formidabile artiglieria, prestamente marciando di fianco, pose il campo sotto Mantova, minacciando l'estrema alla destra della Linea italiana, che era la più debole, come quella che si componea di circa sei mila fra Toscani e Napolitani, scompartiti nei tre campi di Montanara, Curtatone e delle Grazie.

Il Maresciallo spinse una gagliarda divisione fin presso al tiro del cannone di Montanara, e poco stante avvic

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Nello stesso tempo fece occupare da un'altra colonna il Camposanto, ed una Casina,postandovi due cannoni.

Gl'Italiani, comandati dal prode Tenente Colonnello Giovannetti, al primo sentore nemico si eran messi in armi, e venuto il tempo della pugna, furore per furore rendevano. Quattro Compagnie Napolitane, spinte da somma audacia, assaltarono il Camposanto, affine di snidarne il nemico, ma la mole della colonna non gli consentì pieno risultamento, e solo infuriando con fuoco di fila, pervennero a contenerla, o a impedire che sboccasse sul fianco dritto. Si combatteva aspramente in ogni sito con pari coraggio, sebbene il numero dei Tedeschi fosse di molto Superiore.

Il Maresciallo Barone d'Aspre, recato in suo potere Curtatone, spingevasi nel fianco dritto di Montanara, e tagliata la comunicazione, e chiusa la ritirata da quel punto, mirava ad assiepare del tutto Montanara. In questo il Giovannetti ordinava il ritorno per la via di Castelluccio, facendo disporre la truppa in colonna, e mettendo le Compagnie Napolitane in dietroguardia per garentire la ritirata. Ma uscito appena dal paese si vide in un tristo caso; poiché un'altra colonna tedesca avea preso posizione alle spalle, postando quattro cannoni sulla strada e due reggimenti di Cavalleria Ulani, ed Ussari. Il prode Giovannetti, vedutosi compiutamente circondato, gridò a me i Napolitani, e tosto gittatosi nei Campi, si spinse innanzi onde sfondare la linea nemica, e dischiudere un varco di salute a viva forza.

Le Napolitane Compagnie si fecero coraggiosamente innanzi, ed in mezzo al turbine dei tiri a scheggia, e della moschetteria, tutte lacere e sanguinose sfondarono la linea tedesca, e da quella insidia militare trassero buona parte degl'Italiani; ma non tutti perché molti vi restaro

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ne lasciarono sul campo 104; né diversamente dovea succedere in un combattimento in cui 6 mila Toscano-Napolitani propugnarono una mole di ben 20 mila Tedeschi. Fu molto per essi lo aver tenuto il campo per ben sei ore in mezzo a ferale tempesta, fu assaissimo pei Napolitani di avere sfondato le poderose linee nemiche; salvando così buona parte di quella truppa, che sarebbe stata tutta prigioniera, e portando vittoriosa la borbonica bandiera, la quale, segno di ammirazione, sventolava per le vie di Castelluccio e Spedaletto.

L'avanzo di Montanara passato il ponte in Marcheria si ritraeva di là dall'Oglio, mettendo a guardia del ponte il prode drappello napolitano. Nella dimane si presero le stanze in Bossolo, donde dopo la battaglia di Goito, si portarono in Brescia, ove si era rannodata tutta la truppa toscana.

Mentre gli accennati Napolitani gli accennati fatti compievano, altri Napolitani per altri fatti valorosi compiuti in Goito degni di laude si rendevano. Il 30 Maggio succedeva la battaglia di Goito, la quale sarebbe stata vinta per gli Alemanni, ove il Feld Maresciallo Radetzky avesse spinto i suoi su quel punto o in sull'imbrunire di quel giorno, o in sul nascer del venturo. Ma il ritardo, ch'è mai sempre funesto in guerra, fece abilità a Re Carlo Alberto di raccogliere intorno a Goito tutto intiero il primo Corpo d'armata piemontese, una innumerevole artiglieria, e quattro reggimenti di Cavalleria.

Il 1.° Battaglione Napolitano, comandato dal Maggiore Viglia, sotto gli ordini del proprio Colonnello Cav. Rodriguez, stava a guardia ed a tutela dell'interessantissima posizione della Testa di ponte in questo modo. Tre compagnie sul parapetto di essa con un'altra di sostegno: un' altra era postata dietro un muro di giardino crivellato di feritoie

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e guardava alla linea del fiume verso il molino: un'altra occupante due case alle spalle del ponte, e le rimanenti tre alla sinistra della linea di battaglia piemontese, e particolarmente sprolungantisi nella riva destra del fiume.

Alle 3. p. m. gli Austriaci si faceano all'assalto del ponte, e i napolitani prevenendoli si spinsero avanti, e dopo furiosa pugna gli sloggiarono da una Casina gagliardamente occupata. Si proseguiva nel combattimento, dei nostri taluni battevano di fronte, altri costeggiando il fiume facevano di girare la dritta nemica: pervenuti ad un punto in cui il terreno si solleva in rialto ristettero, poiché dagli esploratori si era saputo, che sul culmine di quello molta truppa nemica era in agguato: in questo i Tedeschi si avanzarono a passo di carica; ma i nostri confortati da un'altra Compagnia napolitana, e da un Battaglione Piemontese, li contennero furiosamente, epperò schivando l'ala dritta, rannodaron quelli tutto il loro sforzo sulla sinistra, ai danni del nerbo della Truppa Piemontese, la quale alla sua volta sfolgorando opportunamente con le artiglierie gli apportò danni e disordini, astringendoli alla ritirata, in cui furono inseguiti da un reggimento di Cavalleria Piemontese fin presso al Villaggio di Rivalta.

Così fu guadagnata la battaglia di Goito, commessa il 30 Maggio, durata dalle 3 alle 7 e mezzo p. m. nella quale si distinsero grandemente i soldati del 10 di Linea napoletano.

Qui finivano le gesta di quella nobil parte dell'Esercito Napolitano; poiché in quel punto arrivava l'ordine del rimpatrio del quale ora dirò.

Nella notte del 16 al 17 Maggio partivan per Bologna, Quartier Generale dei Napolitani, il Brigadiere Scala, ed il Capitano de Angelis dello Stato Maggiore, latori degli ordini, che prescrivevano il tostano rimpatrio

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la rimozione del General Pepe, ove fosse repugnante, e l'assunzione del Generale Statella al Comando Supremo.

Il primo Generale, ricevuti appena gli ordini, mosso da particolari fini, rassegnava il Comando nelle mani dell'altro, il quale issofatto diramò gli ordini opportuni in tutti i ponti dure le milizie si attrovavano.

Intanto divolgati in Bologna i proponimenti, e le date disposizioni, vi nascea un incredibile sdegno contro il napolitano Governo. Parole, villanie, intemperanze a più non posso; tutta Bologna ne andava a rumore. Per la qual cosa persuasero facilmente il General Pepe, che per carità della Terra comune dovesse riprender le redini dell'Esercito, e tosto spingerlo là dove gl'itali fati si andavano a compiere. Volentieri il Pepe poco stante facea il desiderio dei Bolognesi, il quale era Certamente anche il suo, e si rimettea nell'or ora ceduto posto. Intanto il Generale Statella, perché si era calato alla obbedienza, che in milizia è il primo e principal pregio, venne in punta delle ire bolognesi, e veduta la freddezza con cui il suo Collega tratta vaio, e volendo obbedire ai regi ordini, elasso qualche giorno, si partiva da Bologna per a Livorno, ed indi a Napoli.

L'operato dal General Pepe fu in mille modi festeggiato. L'accalcato popolo rendevagli centuplicati evviva; la Guardia Nazionale defilava sotto al palazzo ove stanzia va; una larga illuminazione tanto tripudio per tutta la notte rischiarò.

Frattanto la Truppa napolitana, conosciuto il fatto, e vedutovi un abuso del loro Duce Supremo, apertamente dichiarava; non volere disobbedire alla volontà del Re. Per la qual cosa il General Pepe da un lato spinto dalle istanze dei Comitati di Guerra di Venezia, Rovigo, e Padova, che invocavano aiuto, e temendo dall'altro che nulla concluderebbe ove si desse luogo alle riflessioni col

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Brigadiere Klein, successo nel Comando della 2. divisione al brigadiere Nicoletti, ricevuto l'Ordine del Giorno, e varie altre istruzioni, e conoscendo che tutto era in opposizione ai comandi del Re, congregava in consiglio i Capi dei Corpi, e discusso tanto affare, si fece ad emettere un Ordine del Giorno, nel quale questi sensi andava sponendo.

Conoscer tutti lo scopo che fuora dal proprio regno tanti prodi e valorosi soldati avea spinti, i quali in nobil gara fervevano; ammirabile esser tanta generosità, ma più ammirabile la disciplina cotanto necessaria in milizia, ed elogiata cotanto, e dovunque nelle sue schiere; a questa far egli al presente formalo appello, perché ciascuno

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nulla curando le insidiose parole del General Pepe, il quale, messosi in aperta ribellione col Governo nostro, e fattosi strumento degl'Innovatori di Bologna, punto non meritava né fiducia, né obbedienza di chicchessia: il Re pressato dai casi del proprio Stato richiamare il suo Esercito, e l'Esercito doversi rendere al suo Re. Nissuno osasse di appartarsi dalle proprie bandiere e dal suo posto, e tutti ai presenti ordini ciecamente obbedissero: i renitenti come disertori al nemico si riterrebbero. Infine date opportune disposizioni e provvidenze pel ritorno, ed obbedito pienamente in tutto, statuiva per la dimane il suo Quartier Generale in Cento, ove radunava le sue schiere, ed al proposto fine si accingevano, seguendo l'esempio della 1. Divisione giunta a Ferrara, la quale, conosciuti i casi del 15 Maggio, si struggeva del desiderio di rimpatriare per correre in aiuto della propria patria e delle proprie famiglie, e miselo ad effetto come ebbe contezza per mezzo del Generale Scala, degli ordini del Re....

Il General Pepe rimasto in tal forma disconcluso, si offriva a Carlo Alberto come semplice Volontario, ma invitato in Venezia ed in Ferrara, si facea a togliere il comando delle schiere rannodate in Venezia, e di quelle pontificie che campeggiavano sulla sinistra del Po.

L'esercito continuò la sua ritirata non senza opporre la propria virtù a lusinghe minacce, ed insidie che gli Agitatori ad ogni pie sospinto tentavano. Intorno alla metà di Giugno rientravano in Giulianova le partite schiere.

Medesimamente era richiamata la flotta, intorno alla quale dobbiamo alquanto intrattenerci. La napolitana flotta ai cenni del prode Barone de Casa, valicato il turbolento Faro, nelle adriatiche acque a ingolfava, dirigendosi a Pescara affine di sbarcarvi le truppe; ma consentito, sì come si è altrove accennato, il passaggio dei napolitani

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che lo sbarco si facesse in Ancona, sì che si prese l'abrivo per le anconitane acque, e tra il confine di Aprile e i principi di Maggio le napolitane schiere metteano il piè in quella città fra incredibile tripudio.

In questo l'ammirevole Venezia era stretta da blocco dall'austriaca flotta, la quale noverava 3 fregate, 5 brik, 2 corvette, ed un vapore, per la qual cosa una deputazione veneziana confortata da quei di Ancona, facea premura appo il Napolitano Duce, affinché avesse spinto le sue prue per la liberazione della bloccata città. Il Barone de Cosa, avutane licenza da Napoli, preparato a battaglia, si menava innanzi verso Venezia, quando l'austriaco naviglio, benché più forte del napolitano, sì scostava da quel luogo, abbrivando per a Trieste, dove gittò le ancore.

Resa a tal modo libera Venezia sorgevavi un'indicibile tripudio, poiché finirono la stremiti dei viveri, e tutte le altre noje che i blocchi sogliono arrecare: i napolitani vi erano portati a cielo, la compiuta impresa, ed il fraterno amore molto commendati.

Intanto le austriache vele uscirono dal porto forse col disegno di attaccare la napolitana flotta; epperò il Barone de Cosa si spinse coi vapori all'incontro del nemico, e poco poscia mandava a rimorchiare le fregate a vela, ed ove la notte fosse ritardata a sopraggiungere un combattimento navale sarebbe per certo avvenuto. Gli austriaci bastimenti però rientravano nel triestino porto.

In frattanto una flotta Sarda agli ordini del RetroAmmiraglio Albini, composta di 3 fregate, 1 corvetta, 2 brik, ed un vapore, giungeva nelle adriatiche onde, ed univasi alla napolitana, ed alla flottiglia veneziana, comandata dal Capitan di Vascello Bua, epperò fecesi delle tre flotte una squadra di meglio che venti legni, la quale solcava quelle acque a tutela delle italiane sponde.

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Si tese un blocco a Trieste, nel di cui porto l'austriaca flotta era rincantucciata; più volte tirarono i triestini forti ma senza danno alcuno. Si attendeva a questa bisogna quando arrivava in quelle acque il General Cavalcanti, messaggiero degli ordini del ritorno, epperò dopo alquanti giorni la flotta rientrava prima nel porto di Brindisi, e poi nella reggiana spiaggia si ancorava.

A tal modo il Governo, rannodate le proprie forze nel proprio regno, voltava l'animo più francamente ed ordinare la pubblica cosa, e a spegnere le ribellioni, che in vari punti, e precise nelle Calabrie sommamente minacciavano.


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CAPITOLO II.

INSURREZIONE DI CALABRIA.

Sommario

I perturbatori di Montoliveto vanno a trapiantare ingrati semi nelle Calabrie. Cosa facessero i liberali Calabresi dopo conoscimi i cast di Maggio. La rivolta progredisce per lo arrivo di taluni Deputati svignati da Napoli. Giungono in Cosenza Ricciardi e Mileti; l'agitazione al colmo. Istituzione di un Comitato diviso In quattro Dicasteri. Apparecchio di molti armati. Disposizioni ed intemperanze Varie. Due fatti tragici in Cassano ed in Rossano. Arrivano nelle acque di Paola tre Vapori da guerra, e cosa vi succedesse. Sbarco dei Siciliani in Paola. Si organizza l'esercito Calabro-Siculo ai cenni del Ribotti, e poscia ai prestabiliti disegni s'incammina. Breve descrizione dei luoghi in cui si preparavano le insidie e la pugna. Campotenese è fortificato. Da campo è messo in Spezzano-Albaaese, un altro nei dintorni di Fila del Da. il Governo manda tre colonne sulla ribellata regione.

Taluni di quelli, che avean renduta procellosa l'adunanza di Monteoliveto, nell'agonia della loro fortuna, prima di sciogliersi, distendevano una protesta nella quale formalmente dichiaravano, sospender le sedute Unicamente» perché oppressi dalle regie forze; disgregarsi momentaneamente, per riunirsi di nuovo dove ed appena il tempo e la occasione ne scadrebbe, affin d'intender gli animi a quanto i dritti del popolo, la gravità della situazione, e i principii della conculcata umanità e dignità nazionale richiedessero, e poco appresso lasciata Napoli ancora grondante di cittadino sangue, non domati dai casi infelici toccatigli, né sgomentati dalla energia del governo, caldi di sdegno e di furore, si recavano a trapiantare ingrati semi nelle Calabrie, dove per la natura bellicosa, forte, e risoluta di quelle genti era probabile che potentemente allignassero.

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Né non riflettevano, che le altre provincie non avrebbero

Nei quali concetti male non si sarebbero apposti i liberali, ove la piupparte dei Calabresi non avesse avuto il senno di premunirsi contro i rei disegni; non paventato le tristizie del comunismo che già si era radicato e ingrandito; o non rimembrati i tempi crudeli in cui Calabria fu per civili guerre guasta e addolorata, si che quasi ancora grondan sangue le sue rupi, e i suoi campi di umane ossa biancheggiano. Tutti si levarono in armi, è vero, ma più per tutela delle robe e delle proprie famiglie, che per seguire gli Apostoli del comun bene; se così non fosse stato la vittoria sarebbesi ottenuta fra molto sangue, e tempo più lungo, sol che si consideri la natura forte e contumace di quella gente, e la posizione di quegli alpestri ed inospitali luoghi.

Se non che, un partito al Governo Regio inimico non mancava, il quale avea con associazioni, parole, scritti, lusinghe, minacce, ed altri modi tenuto in agitazione la calabra terra; né avea mancato al debito suo intesi appena i casi del 15 Maggio; ché di repente, proclamata la patria, e le franchigie in periglio, instituiva addì 18 di tal mese un Comitato di salute Pubblica in Cosenza (1) il quale non ritardava punto ad ordinare: che ciascun Comandante della milizia nazionale della provincia approntasse un nerbo di armati atti a marciare per la Capitale ad ogni cenno: che si facesse dai principali possidenti un prestito Volontario opportuno alle necessarie spese,

(1) Atto di accusa, e Decisione per gli avvenimenti politici della Calabria Citeriore, pag. 35 Cosenza 1852.

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di cui si rivalerebbero sui pubblici fondi: che fossero creati dei Commissari civili, i quali tutelando l'ordine, rapporterebbero al Comitato qualunque avvenimento per lo convenevoli provvidenze.

Nel tempo stesso molti altri Comitati andavansi a stabilire in tutti i paesi della provincia, e molte altre cose a fare; sì che sorgevanvi un rumore ed uno scompiglio indicibili, i quali montavano al più alto segno nello arrivo dei Deputati, e di coloro che li avevano convolati. Allora non vi fu né modo né misura, grandemente inacerbirono. Arsione di carte di polizia strappate ai Giudici Regi, illegali imprigionamenti; discorsi ostili al Trono; persecuzione delle più fedeli e commendevoli Autorità; disarmo, e scioglimento della Guardia di pubblica sicurezza, e della forza Doganale, e distribuzione delle di loro armi agl'insorti; pubblicazione di scritti sediziosi; statue regio infrante; gli amici dell'ordine tassati di realismo e nella vita minacciati, proposte frequenti di repubblica; e mille altre intemperanze.

Intanto il Comitato Centrale, cresciuto l' abbottinamento, era premurato dai buoni Cittadini; perché in carità e tutela della pace comune, arrogesse nel suo grembo altri membri di conosciuta probità, ed alla pubblica tranquillità volgesse tutto l'animo suo. Per tale scopo non si denegavano molti rispettabili Personaggi, ma notata d'illegalità dal Governo quella Consorteria, tutti si ritraevano. Però un novello Comitato era tosto al primo sopperito secondo il desiderio dei Novatori.

Se non che, a sopraggravare quello scompiglio concorrevano eziandio Agitatori forestieri; ché nell'ammutinata Cosenza arrivavano emissari di Basilicata e di altri luoghi, e segnatamente un Pacchione, da Bologna, quel desso che spintosi coi Fratelli Bandiera nelle Calabrie, era

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confinato in Marsiglia, e ritornato in Napoli nel 1848.

Ma il rivolgimento a tal guisa preparato cominciò a prendere consistenza e direzione nei principi di Giugno, poiché giungevano in Cosenza fra smodati applausi un Giuseppe Ricciardi, un Pietro Mileti, ed altri di pari ardore, ma di minor fama; dei quali il primo faceasi tosto ad arringare l'accalcata moltitudine da un balcone del Palagio dell'Intendenza con parole, e nel senso dei tempi che correvano: nell'atto istesso instituiva un governo provvisorio col titolo di Comitato di Pubblica salute, e poscia pubblicava un proclama agli Abitanti del Napoletano, nel quale fra la altre cose diceva: ricordevoli della solenne promessa fatta nella protesta del 15 Maggio intorno al riannodamento dei Deputati, invitare egli tutti i suoi Colleghi, perché nella metà di Giugno si rendessero in Cosenza, onde ripigliare il corso delle deliberazioni. Mandatari della nazione, fare appello alla fede ed allo zelo delle milizie cittadine, affin di sostenere e difendere un'Assemblea che intendeva al comun bene.

Frattanto il Comitato veniva scompartito in quattro Dicasteri, Guerra, cioè, Interno, Giustizia e Finanza; e fu creato un Commessario del Potere Esecutivo. A tal modo la rivoluzione con molto calore avanzava. Ordinavasi la subitanea formazione di due colonne, delle quali una ai cenni di Mileti, occuperebbe le montagne di Paola onde travagliare o impedire qualche sbarco dei Regi, e l'altra comandata da un S. Altimari terrebbe Cosenza, S'instava presso il Commessario del Potere Esecutivo di Messina per lo pronto invio di armi ed armati giusta il concertato. Si prescriveva l'accordo coi Comitati di Potenza, Salerno, e delle altre parti delle Calabrie, nelle quali sorgevano i governi provvisori per opera di un Commessario Ordinatore per ciascun Distretto. Si provvedeva eziandìo perché sì fosse munito il Pizzo, e raccolto un nervo di forze nel Piano della Corona in Provincia di Reggio

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onde agevolare lo sbarco dei Siciliani, altri campi venivano ordinati in Fascaldo, Amantea, Curinga e Spezzano Albanese, non che attivata la organizzazione delle bande armate.

Oltreacciò molte altre cose si metteano ad effetto. Dissuggellati i plichi che venivano da Napoli; riorganizzata la guardia nazionale; tolte le armi a molti soldati infermi; ordinato ai Doganieri di lasciare i fucili in mano della forza cittadina; lanciate minacce e lusinghe perché tosto si pagasse la fondiaria; scosse le borse particolari, e le casse comunali di beneficenza, e le mense vescovili; imposte tasso forzose; stabiliti prestiti, estorte offerte volontarie, e violentemente riscosse; smantellati i telegrafi dell'Intavolata, e di Dino; ordinato un rigoroso cordone lunghesso la spiaggia del paolano distretto affin di stare alla vedetta dei Regi bastimenti; messo in luce un giornale intitolato l'Italiano delle Calabrie, mezzo efficace al divulgamento di menzogne, intemperanze, e di eccedenze grandi; ridotto il prezzo del sale da 8 a 5 grani al rotolo; abolito il giuoco del lotto; nominati impiegati amministrativi, e giudiziari; fatte moltissime altre cose, le quali per colmo di sventura doveano essere da cittadino sangue bruttate.

Ad un sospetto di tradigione una certezza di morte in Cassano succedeva. Liborio Malito, stretto in carcere per supposto realismo, era subillato perché rilevasse il Capo dei realisti, e dopo non guari due accattoni G. de Simone ed A. Praino, creduti spie di questi, erano all'ira pubblica, ed alla morte furiosamente chiamati. Parve, com'era, un'enormità al Regio Giudice di spegnere tre vite per sì inetta cagione, epperò alfine di apportarle salute, ordinava che gl'incolpati fossero tradotti nelle carceri di Castrovillari. Ma al pietoso divisamento, fatto crudele sus

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e allontanatesi alquanto da Cassano, Simone e Praino caddero estinti per le fucilate di quella scorta, a cui erane stata raccomandata la sicurtà. Il solo Malito per le istanze d'un suo parente si sottrasse al supplizio.

Per altri sospetti, altre vittime s'immolavano. L'odio innato ed irreconciliabile dei non possidenti, contro i possidenti spingeva taluni faziosi in Rossano a mulinare l'esterminio di alcune agiate famiglie; né si mancò di trovarne il pretesto nei veleni, di che si buccinarono spargitrici, cagione facile a suggerire, difficile a discuoprire, e quindi opportuna ai disegni, perché fra le ignorante plebi, le ignorate cose han peso di prestigio, e favore di credenza.

Ed ecco negli li Giugno di quell'anno Rossano tutta sossopra, perché un fanciullo con in mano una cartolina dì voluto arsenico, ripetendo le imboccate parole, andava dicendo, averla trovata sotto alle finestre dei Signori Martucci, e poscia, mutato linguaggio, ricevuta da un V. Federico, il quale d'un subito fu stretto nelle carceri, pesto con mille battiture, e notato a morire. In mezzo all'esagitazione dell'animo, lusingandosi di far migliore la sua sorte, asseriva lo sventurato Federico aver ricevuto il veleno da un V. Lazzi e da D. Pipino; i quali benché negativi ed innocenti, e abbenché quegli stesso avesse tale innocenza mostrata, ritrattando le sue assertive, furon dannati a morire come avvelenatori, e quindi senza venire alla ricerca della verità, senza forme giudiziarie, per un solo detto di un ingannato, ed ingannatore fanciullo, rotte le more, caddero estinti i tre sotto i colpi dei preparati archibugi, fuori la città, presente la inorridita popolazione, la quale pur vide i laceri e insanguinati cadaveri per alcun tempo senza sepoltura.

In mezzo a cotanta crudele e rea vicenda di timori, di speranze, di azioni mandavansi a compimento i campi, le fortificazioni, e l'armata; e giungevano nelle acque di

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Uno scompiglio indicibile surse nel paolitano campo; tutti furono in armi, prendendo le più opportune posizioni nei monti e nella marina; tostani avvisi chiamavano in quel minacciato punto dai conterminali paesi aiuto, e rinforzo, e subito le concitate torme d'un animo all'invito si rendeano.

Fra tanto congitamento, nel disegno di spiare le intenzioni e conoscere il numero dei Regi, andavano due parlamentari sui fumiganti navigli, e ad essi il Comandante diceva: avere disbarcati 3 mila uomini nei lidi di Basilicata; sperare e pretendere che gl'insorti cedessero le armi, in contrario bombarderebbe Paola. Al che uno dei parlamentari arditamente rispondeva, che i Calabresi non eran capaci di viltà; che mai essi avrebbero consegnato le armi, se non dopo di avere ciascun cittadino lasciato la vita; che gli abitanti della intera Provincia avrebbero adempito al sacro dovere di dividere le di loro abitazioni coi fratelli Paolani, e che poco temevansi le Milizie in Sapri disbarcate. Se non che, tentatisi a vicenda con tali parole i Regi e i Calabresi, nulla successe di più, perché i Vapori si allontanavano, prendendo l'abrivo di altri punti in cui il Governo volea portare i suoi colpi, e gl'insorti dirigevano le forze in altri punti in cui già l'oste regia accennava.

In frattanto a colmo dei calabresi eventi succedea in Paola lo sbarco dei Siciliani. Dopo la napolitana catastrofe, coloro che avean volto l'animo alla calabrese insurrezione, non avean mancato di adoperarsi appo il Siciliano Governo, affinché con una spedizione armata avesse dato favore ai loro disegni, al che volentieri si condiscendeva; poiché i Siculi non eran cosi gonzi da non vedere, che la loro isola sarebbe sicura sempre e quando una larga sollevazione dei domini continentali premesse il napolitano governo, e le napolitane forze occupasse.

Perlocché, designato Melazzo come luogo di riunio

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In due divisioni veniran partite, e comandate da E. Fardella, e Granmonte, ai cenni del Duce in Capo Ignazio Ribotti, che tenea le redini della messinese guerra. Facevan parte della spedizione G. Longo, e M. delli Franci, che avean disertato dalle reali bandiere fin dal primo uscire della palermitana rivolta, nonché C. Carducci, F. Petruccelli ed altri liberali. I vapori il Vesuvio, ed il Giglio, carichi di tante ire, di tanti sdegni, e di speranze tante, sciolsero nella notte del 13 Giugno da Melazzo abbrivando per a Paola, ma scorto al romper dell'aurora un regio legno, volgean le prue a Stromboli, donde il Giglio, dopo scomparso il napolitano bastimento, ritornava a Milazzo, ed il Vesuvio accennava alle acque di Paola, dove nel mattino del 14 giunse.

Non è a dire come montassero le allegrie, gli evviva, le congratulazioni, le feste, il moto pel sospirato arrivo, corsene tosto la fama, la quale dubbi presentimenti ingenerava, sì che la piupparte dei Calabresi si mise e si tenne in armi per difender le proprie sostanze e le proprie famiglie da quelle torme, che portavano in Calabria gli orrori della loro isola. Pervennero in Cosenza le sicule bande, e qui le grida furon molte, la esagitazione moltissima: qualunque regio segno, zimbello di mille ire; ammattivano i gregari, i capi ammattivano, tutto a rumore ed a socquadro andava.

Il Cosentino Comitato intanto nominava Capo Supremo dell'Esercito Calabro-Siculo il Ribotti, il quale, ordinandolo lo scompartiva in due divisioni, e quattro brigate. Assumeva egli il comando della prima divisione, e quello della seconda a G. Longo conferiva; e preponeva alle quattro brigato Fardella, Landi, Granmonte, e Carducci, ed alle redini dello Stato Maggiore delli Franci.

Ordinate le armi, il Ribotti spingeva le sue genti ai prestabiliti disegni. Una colonna di meglio che 1000

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capitanata da D. Mauro, il quale raunava in consiglio i Capi affin di stabilire, se fosse più conducente aspettare i Regi in Spezzano, occupare lo alture di Tarsia, e combatterli, ovvero gittarsi sui monti dell'appennino, coronare le creste di Campotenese, ed uscirgli alle spalle. Dopo breve discussione si calavano al secondo partito; giacché riflettevano, che chiusa in quel modo ogni ritirata, i regi che già erano in Castrovillari circondati dappertutto, avrebbero dovuto posar le armi o perder la vita; e d'altronde impedivasi il congiungimento delle altre truppe che di già eran partite da Napoli.

Ma prima che io narri le cose successe, uopo è descriver brevemente i luoghi delle insidie e della pugna. Tra il confine di Basilicata ed il principio della Calabria Cosentina profonda e larga si apre la valle di S. Martino, in cui rimugghìan furiose e gonfie le acque nei tempi rotti e piovosi, placide e scarse pei contrari discorrono: un ponte detto del Cornuto si distende sui fianchi di quella,congiungendo la strada regia, che da Napoli fino alla estrema Calabria si protrae: quivi le montagne s'innalzan ripide, aspre, e per lo più di nudi e scheggiati massi di selce composte; elevandosi si stringono in gola, la quale si allarga nell'ampio spianato di Campotenese, dalla forma di ellittico bacino, nei cui dintorni s'innalzan i sassosi greppi; poscia si restringe di bel nuovo terminando nella dirupata di Morano, malagevole ed orrida strada, scavata nel cuore del macigno, che poco men che ripida scende sull'orlo di profondissimo e terribil precipizio. Sul culmine di un pietroso monticello siede la industre Morano, al cui pie indocilità trascorre la regia strada, la quale dopo breve tratto attraversa maestosa la nobile, magnifica, e bella città di Castrovillari. Il monte Pollino per botaniche ricchezze conto, ed altri di minor fama e grandezza, in vario modo si dirompono intorno alla città.

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Progredisce la strada fra montagne e valli, e dolcemente s'innalza sul torreggiante Spezzano-Albanese, che in due partisce, e poscia si fa innanzi serpeggiando nel vallo di Cosenza, che l'appennino a maniera di ampio bacino forma, ed attraversando la cosentina città, che siede regina in mezzo a parecchie centinaia di paesi e borgate che le fan corona, e che variamente posti o nella china, o sui fianchi, o sulla cresta dei monti, o nei piani, o nelle colline, o nelle valli, rendon piacevole e meravigliosa quella regione.

Proseguendo il cammino, la strada s'innalza su monti altissimi, si sprofonda in valli, e su ponti ammirevoli e forti si distende sa grandi e lunghi fiumi. Vicin di Maida, che sarge su di aprico colle a poca distanza dalla consolare, si trova il fiume Amato, il quale ringorgato e minaccioso nel verno, ampiamente si di larga, e precipita lo sue acque sotto ad un lungo e mirabil ponte di frastagliati legni, e ritirandosi nella state lascia un vasto letto ghiadoso e ammelmato, culla di pestilenziali effluvi, e dolcemente scorre. Più innanzi progredendo, a stanca della via regia si veggono Curinga sulla vetta di un'alta collina, Francavilla e Filadelfia su di ameni luoghi. Passato il Pesipe si perviene all'Angitola, grosso fiume, che distende le sue torbide acque su di vasto letto, pien di mota e di ghiare, il quale ristretto alquanto nel luogo dove un solido e maestoso ponte di fabbrica su di vari archi congiunge i fianchi degli opposti colli, si allarga ampiamente nello avvicinarsi al lido. A poche miglia è il Pizzo sul mare, e alquanto più oltre sur una collina Monteleone.

Era mente degl'insorti di opporsi in tutti i luoghi alle armi regie; epperò secondo la stabilita determinazione, il Mauro poneasi in movimento, condocea le sue genti per Firmo e Lungro, con le quali coronava le forti creste di Campotenese, rendendole fortissime con ogni maniera di mezzi, cannoni, barricate, parapetti, e simili,

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Nel tempo medesimo S. Altimari ponea un campo fra Tarsia e Spezzano-Albancse, rimasti sguerniti, il quale non guari dopo veniva ingrossato dalle siciliane e da altre calabresi bande, ed era oltremodo opportuno; poiché minacciava i regi di Castrovillari, ove si muovessero contro Campotenese, e posto quasi nel centro dei minacciati luoghi potea accorrer dove meglio la bisogna ne scadesse.

Dall'altro lato altri armati teneano il campo in Filadelfia e Maida, affine di voltarsi contro i regi che di certo sarebbero sbarcati al Pizzo, ed avrebbero accennato nella provincia di Cosenza, dove più la ribellione scorrazzava.

Il napolitano Governo non si era rimasto freddo spettatore della calabrese conflagrazione; ma tutti i mezzi avea preparato che riuscissero a comprimerla; acciocché non mettesse radici, né si allargasse ai danni del Trono e della Società. Quindi tre Generali con tre armate nella scommossa regione spediva.


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CAPITOLO II.

RIORDINAMENTO DELLE CALABRIE.

Sommario

Si appressa il termine del calabrese rivolgimento, e perché. I Generali Busacca, I.anza, e Nunziante arrivano in vario tempo, in varii luoghi, e con varie schiere in Calabria. Proclami del General Nunziante, e risposta dei liberali. Tornate indarno le trattative di pace, si viene Silo sperimento delle armi. 11 General Busacca tenta il campo di Spezzano-Albanese, e tosto si riduce nella minacciata Castrovillari. Combattimenti attorno a questa città. Pensieri di Busacca, perché non eseguiti. Il Generale Lanza scaccia gl'insorti dalla valle di S. Martino, e da Campotenese; poscia si congiunge col General Busacca. Accuse ed ire scambievoli fra i Capi dei liberali per le toccate disfatte. Ribotti riferisce al siciliano ministero la stremiti dei casi, e chiede ritirarsi. Inutili industrie per soffermare le mine della rivolta. Il Comitato abbandona il suo seggio di Cosenza. Le milizia tolgono le stanze in questa città. Il Generale Nunziante spinge le sue schiere contro i ribelli. Fiero combattimento in Campolongo. Casi miserandi di Filadelfia e del Pizzo. Altre operazioni del Generale Nunziante. Ribotti fugge coi suoi per Corfù. Il Vapore Io Stromboli va in caccia dei fuggitivi, e li cattura. Estreme venture dei Capi del calabrese rivolgimento. Ultimi tentativi di rivolta.

Volgeva al suo fine il calabrese rivolgimento; imperciocché non era chi non vedesse, che poco fondamento poteasi fare in quei rumori, e in quegli sforzi; mentre è ormai conosciuto, che un pugno di organizzate milizie, coi loro calcolati e regolari urti valgono a sgarare gl'incomposti e disordinati impeti delle masse, eziandio numerosissime; daltronde, sì come ho più innanzi accennato, la rivoluzione era imposta alla piupparte

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dei Calabresi colla forza e col terrore, epperò, non nascendo da sentimenti generosi, tanto dovea durare 1'effetto, quanto la causa durava. Inoltre non essendovi alcun patto, non alcun giuramento, che ligasse quella gente raccogliticcia,

In mezzo a questo stato morale erano giunte le regie milizie da Napoli, e cominciate le operazioni per lo spegnimento della rivolta.

Una colonna guidata dal General Busacca (1) sopra tre vapori, sbarcava in Sapri ai 10 Giugno, e serenava su quella spiaggia. Quindi, ripreso il movimento, per quei rotti ed aspri sentieri, si portava a Rivello, poscia a Lauria, a Castelluccio superiore ed inferiore, a Rotonda: al 15 Giugno, appressatasi già nel luogo delle insidie e del fermento, procedea riguardosa, epperò riconoscea dappprìma, e poi occupava la valle di S. Martino e Campotanese, dove già si cominciavano a mostrare le deputazioni palesatici di devozione verso il Re, e di desìo di quiete; si divallava a Morano, e infine occupava Castrovillari, circondandola di numerosi avamposti; poiché gl'insorti avean bandito: l'estenuino su quella città ove non si opponesse alle sopravvegnenti truppe. In tanto veniva al General Busacca ai 18 Giugno l'annunzio ufficiale

(1) Si componeva di un battaglione del 2. di linea, quattro compagnie del 4. altrettante del 13 il 8. cacciatori, una sezione di artiglieria di montagna.

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della partenza del Generale Lanza da Napoli, e l'ordine di ritorcere il cammino per attenderlo in Campotenese; ma conosciuto che ormai quella posizione era stata occupata dai calabresi, si continuò la dimora in Castrovillari, intorno a cui le concitate turbe fremeano, o minacciavano.

Allo stesso fine l'altra colonna capitanata dal Generale Lanza (1) muovevasi a grandi giornate alla volta delle turbate regioni per congiungersi con quella del General Busacca; e poiché fenomeni di concitamenti apparivano per le provincie da traversare, procedea sempre accorta e riguardosa, e intorno al cadere di Giugno si avvicinava a minacciosi luoghi.

Una terza colonna, composta di tre mila combattenti, ai cenni del General Nunziante disbarcava al Pizzo, e posava il Quartier Generale in Monteleone.

Dalle quali mosse e posizioni delle reali milizie bene appariva, che le sollevate masse venivano manmano ad essere costrette e urtate; poiché i Generali Lanza e Nunziante da punti opposti accennavano a Cosenza, nodo della rivolta, ed il General Busacca, benché ricinto all'intorno dalle ribollenti turbe, era pronto ad accorrere dove meglio la bisogna ce scadesse. D'altronde se le squadre unite avrebbero potuto in alcun modo nutrire alcuna speme, divise, e minacciate da tre parti diverse, dovean senza fallo andare in rotta. Infine i movimenti dei Napolitani Duci eran diretti ad una congiunzione fra loro, la quale sarebbe stata inespugnabile da qualunque forza, che non ordinata fosse.

Intanto i Generali pria di venire al funesto esperimento delle armi curavano di richiamare al retto sentiero le traviate menti con inviti, parole, promesse, e proclami, dei quali ultimi riferirò quelli del Nunziante, poiché gli

(1) Risaltava dal 1. battaglione cacciatori, da alcune Trazioni del 3., da 3 squadroni di carabinieri a cavallo, e da uno dei 3. dragoni, e da due pezzi di campagna.

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sì rannodano lo parole dei sollevati, le quali palesano di essi il desio, e le tendenze. Adunque così andava dicendo il Generale.

» Cittadini - Una colonna mobile di operazioni, composta di truppe nazionali sotto il mio comando, giungo nelle Calabrie d'ordine del Re e del governo per mostrarsi ove sarà d'uopo. 11 suo scopo è di rassicurare gli animi de' buoni e pacifici abitanti, di raffermare e coadiuvare il potere delle autorità civili, e per la esecuzione delle leggi. Non porgete orecchio alle false voci allarmanti, alle suggestioni pericolose di mal intenzionati, né prestate fede alle mostruose menzogne che di concerto spargono certi giornali frivoli e sovvertitori sugli avvenimenti ultimi della capitale, e sullo stato attuale delle cose. La Dio mercé tutto è rientrato nell'ordine e nella calma: le prave intenzioni de' tristi furono deluse, i loro tentativi abbattuti: la mano della Provvidenza salvando la capitale dai disordine e dall'anarchia, salvò il regno intero. Possa essa far rientrare in se stessi tutti i traviati se ancor ve ne sono, ove non sia stato sufficiente a farlo il magnanimo procedere del Sovrano, che per le illegalità commesse e tentate, ritrar potea quanto avea concesso, nel momento in cui per forza delle armi il buon ordine era ristabilito».

» lo renderò pronto ed esatto conto al Re ed al governo de' risultati della mia missione, paratamente encomiando que' paesi, i cui abitanti, e sopratutto la guardia nazionale si saran mostrati benevoli alla truppa, e d'accordo con essa sostenitori dell'ordine e della legge. I soldati, credetelo, bramano mostrarsi a voi veri fratelli, e uniti alla maggioranza, che è per certo de' buoni e leali, mantenere il giuramento dato al Re ed alla costituzione; e quando si trovassero oppositori a sì retti sentimenti, tenete per fermo che useranno della forza solo per farsi rispettare e per guarentire l'ordine pubblico».

» Calabresi! Nelle vostre Provincie taluni scaltri se

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Alle quali parole del Generale i novatori punto non si tirarono in dietro dai loro disegni; ma via maggiormente vi s'incamminavano, e nel seguente modo a lui rispondevano.

» Signor Generale.»

» Dopo i tremendi fatti avveratisi in Napoli nella metà dello spirato maggio, non era punto a sorprendersi il vedere una colonna mobile di truppe nazionali sbarcare sul nostro Calabro suolo. Quel che sorprende si è il vedersi annunciare, che questa truppa nazionale comandata

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» Signor generale, bando una volta alle inutile ciance, ed alle vane promesse: fiori seducenti che nascondono l'aspide infido, il suo potente veleno: ora si presta fede ai fatti, non alle vuote parole. Fra noi lo statuto costituzionale per conservarsi non è d'uopo della punta delle baionette, o della bocca de' cannoni; questo apparato di guerra mal si addice ad una missione di pace, e i fratellevoli sentimenti che si sforza a voler esprimere la di lei proclamazione de' 7 stante mese, non troppo bene possono essere ascoltati tra il frastuono delle trombe e de' tamburi soldateschi.»

» Dolorosa esperienza ci addottrinò a qual meta conducono mezzi siffatti: il 15 maggio fu una scuola di sangue ma in pari tempo una scuola che svolse ogni ambage, e svelò ogni mistero.»

» Ella conosce quei fatti che a noi non sono punto ignoti: inutile è quindi tenerne proposito. Inutile però non è signor generale, che ella ed il mondo tutto sappia aver noi imbrandite le armi a sostegno delle nostre libertà costituzionali violentemente attaccate, ed in massima parte distrutte, non già perché spinte da false voci allarmanti, da suggestioni pericolose de' mali intenzionati, o da mostruose menzogne sparse da frivoli giornali; ma sibbene per aver veduto la sacra e rispettabile rappresentanza nazionale minacciata ne' suoi membri, e disciolta col mezzo della forza brutale; per aver veduto il sangue cittadino sparso, e le proprietà cittadine saccheggiate, incendiate, distrutte da quelle mani medesime che avean giurato difenderle; per aver veduto pubblicamente premiati gli strumenti di tali opere nefande; per aver veduto infine, che questi stranienti stessi si preparavano a venire, ed ora son

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» ne' petti calabresi non tacque, non tace, ne tacerà mai il sentimento di attaccamento alla franchigie costituzionali, all'ordine pubblico; questo non venne mai turbato nelle Calabrie, né a sostenere quelle vi à d'uopo di altre armi, che calabresi non siano. Se ella signor generale à veramente a cuore la tranquillità ed il benessere di questo suolo, ove par che si compiaccia aver passato la sua infanzia, senza formarsi a considerazioni personali, che or son coperte da un velo, ne à nelle mani facilissimo il mezzo. Ritorni la colonna mobile alle stanze d'onde mosse per qui: si assicuri il mantenimento della legge costituzionale de' 10 febbraio corrente anno sulle basi dichiarate col programma del ministero Trova. Si richiami all'alte sue funzioni quella camera de' deputati, in onta alle franchigie costituzionali, con tanta brutalità minacciata e sperperata.»

» Come ella ben vede, dritto e ragione sostengono si regolari domande: la legge del 10 febbraio fu accordata dal re, il programma Trova fu l'opra de' suoi ministri, e la camera dei deputati fu eletta e convocossi in esecuzione di apposite disposizioni. Il rinvio immediato della colonna mobile, è l'unica guarentigia e l'unica piuova che ella potrà dare della sincerità delle sue intenzioni, della lealtà delle sue parole. Si allontanino le armi, e le armi cadranno in pari tempo dalle nostre mani. Ma fino a tanto che il soldato minaccioso calpesterà la nostra terra; fino a tanto che in guerresco apparato pretenderà di percorrerla; fino a tanto che si vorrà tenere il linguaggio dell'agnello, mostrando le zanne e le unghie del leone; le armi de' calabresi ferme rimarranno nelle di loro mani, i loro pelli a prezzo della propria vita manterranno quo sacri dritti che solenni giuramenti li guarentiscono; la forza si respingerà colla forza, il sangue si pa

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Il General Nunziante, non pago del primo proclama, un altro ne facea nel modo seguente, sperando che si schivasse la funesta pruova delle armi.

» Cittadini.»

» I fatti àn reso evidente la lealtà di quanto io vi esprimeva col mio proclama del 7 di questo mese. Ma con dolore veggo che l'audacia de' pochi tristi si spinge sempreppiù ad azioni deplorabili, ed aumentano con avventurate minacce la perplessità di tutti i buoni.»

» Prima di usar la forza, come il dovere mi delta, alzerò di nuovo la voce, non rispondendo al certo a ciò che si è scritto in Cosenza, dove si dovrebbe comprendere, che di tutte le monotonie la più nauseosa è quella di ripetere con sempre fresca impudenza le più assurdo calunnie; né potrò sperare che tre o quattro, che falsamente credono non poter per i loro delitti contare su l'inesauribile clemenza del Re (N. S.) mettan senno.»

» Ma è fiducia che si ravvedan tutti gli altri che o per momentaneo predominio di passione, e passaggiero ottenebramento d'intelligenza, o per mire private, ripetono la menzogna di esser lesa quella costituzione, alla quale essi si stanno con tutt'i modi opponendo.»

» La libertà non può sussistere senza la ragione. La follia e la libertà non si trovano mai insieme. Comandante di truppe nazionali per sostenere la costituzione che abbiamo giurata, io non posso, né debbo al certo entrare in discussione su i futili pretesti con i quali i rivoltosi cercano ricovrire le loro inconcepibili azioni. Ma solo pregherò dirmi con quanta buona fede si è stampato in Catanzaro che si allontanino le armi, e le armi cadranno dalle loro mani? Come se prima di venire la truppa, non solo non si fosse procurato colà di emanciparsi in tutto dal governo costituzionale, e usando le maggiori minacce, non si fosse mandato (inutilmente per altro nella maggior parte)

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eccitando i paesi alla rivolta, e non si fosse col fatto riunita, adoprando il terrore, molta gente per sostenersi colle armi.»

» Per quanto si aggiunge che io usi il linguaggio dell'agnello mostrando le zanne del Icone, è ben chiaro che il real governo è forte, assai forte, ed à dovere di essere eminentemente forte; e prima di dimostrarlo io con fatti a' rivoltosi, possan le replicate mie premure, e i miei voti esser da loro sentiti, col rientrare senza ulteriore ritardo nell'ordine, e per godere della giurata costituzione.»

Questa seconda proclamazione sortì il medesimo risultamento della prima, e forse servì a far credere ai sollevati, che muovesse da debolezza o scuoramento, quandoché da sentimenti nobili, filantropici e generosi derivava; per la qual cosa convenne venire al duro sperimento delle armi; e le armi dal vallo di S. Martino fino all'Angitola risuonarono.

Il General Busacca fu esposto ai primi furori della incomposta guerra. Intorno a Castrovillari, ove egli sì era posato e si tenea guardingo, aggiravansi frementi i calabro-siculi. Il Generale per cominciare a distrigarsi dalle imbastite insidie, dopo aver profittato delle spie, venne nel pensiero di tentare il campo di SpezzanoAlbanese, e se occorresse assalirlo, epperò ai 21 di Giugno si muovevano da Castrovillari pel designato luogo il 5.° Battaglione Cacciatori, ed il 13.° di linea, con un cannone da 4.°, e nell'alba del vegnente dì ingaggiavano la pugna, nella quale con furore da amendue le parti si durò per circa due ore, ed in quella che i sollevati faceano dì circondare le milizie, queste rientravano in Castrovillari, con alquanti feriti, e menomate di 10 prigionieri.

Si mostrarono nel giorno gli armati intorno alla minacciata città; ma poi si dileguarono, riprendendo le antiche posizioni. Intanto quella fazione mise animo allo inacerbite squadre,

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scuoramento negli abitanti di Castrovillari; sì che quelle ad imboscate, ed attacchi ardimentosi, e questi alla propria salute intendevan gli animi. Il Sottointendente, il Sindaco, il Capo della Guardia Nazionale, e molti proprietari svignavano dalla città, su cui eran diretti i furori della guerra. Dichiarossi pertanto lo stato di assedio; fu imposta una tassa ai proprietari in conto dei pubblici balzelli, si declinavano tutte le difficoltà per la somministrazione dei commestibili, si raddoppiavano le scolte, si faceano perlustrazione, infine ogni cosa si adoperava, la quale potesse contribuire alla comune sicurezza.

Intanto le ribollenti squadre tutto all'intorno nei monti fornicavano, e nella metà del 26 di quel mese si appressarono a Castrovillari. Il Generale Busacca facea rinforzare gli avamposti, distendea cordoni di cacciatori, e spinge tutta la sua colonna fuori la città. Venner quelle all'attacco, tuonavano coi loro cannoni, infuriavan colla fucileria, le percosse milizie ogni furore con furore riscontravano; quando tutto il cordone dei cacciatori con un cambiamento di fronte a dritta negli Oliveti rincacciava il nemico il quale più che di fretta si riparò nei vicini monti, mentre il Capitano Greneteon due Compagnie si spinse di tratto nella consolare verso Morano per attaccarne l'ala dritta, e impedirne il passo verso Campotenese, e nel proposto scopo riusciva.

Finì il combattere con ferite, e morti scambievoli, assai più numerose da parte dei sollevati, perché le truppe si fecero schermo degli alberi, agendo per lo più in ordine aperto. I morti qui e colà pel campo prostesi eran tristo documento del guerresco furore. Molti si ebber sepoltura dai militari, moltissimi furono arsi dai sollevati. Le ire scambievoli a quella vista si aizzavano.

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Nei susseguenti giorni andavano le Calabre squadre sul monte S. Angelo, minacciando Castrovillari, ma lo milizie, abilmente operando fra quelle dirupate balze, ben presto le metteano in fuga.

Intanto considerando il General Busacca che pel giorno 30 di quel mese dovea agire di concerto col General Nunziante sopra Cosenza, che la colonna del Generale Lanza per quel dì mai non potea innoltrarsi in Campotenese, che essa era del tutto sicura perché non avea nemici alle spalle né popolazione avversa, che cotidianamente aumentava la penuria dei viveri in Castrovillari, perché le bande intendevano a intercettarli; che la inazione delle truppe in quella città non solo ne rendeva critica la posizione, ma benanche potea fare andar fallito le operazioni concertate dal Governo su Cosenza, donde cotidianamente uscivano rinforzi pera Campotanese; che un'ardito e pronto colpo sopra Spezzano-Albanese scompiglierebbe, e annienterebbe quel campo, e porrebbe in fuga il Comitato, si decideva di marciare all'alba vegnente sopra Spezzano, e Cosenza.

Pertanto prima che si eseguissero le stabilite mosse giungevan nunzi del Generale Lanza, i quali portavano, che egli era arrivato in Rotonda con la sua colonna, e che il General Busacca non si muovesse da Castrovillari; per la qual cosa si sospese la partenza.

In frattanto i furori della guerra si dileguavano da Castrovillari, ed andavano a rumoreggiare nella valle di S. Martino. Si è per noi detto in qual modo gl'insorti si fossero fortificati nelle vicinanze di quella valle, e come avessero distrutto il ponte del Cornuto; ora il Generale Lanza venne nel pensiero di far tracciare una nuova via per lo passaggio della sua colonna, e nel tempo stesso ordinava al tenente colonnello de' Cornè, il quale era sbarcato in Maratea con 1500 uomini, ed attrovavasi vicino a Rotonda,

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di spingersi per Laino a Mormanno, e quindi

Tracciavasi la nuova via nell'atto istesso, che alcune partite di fanti e cavalieri tenevano in rispetto le masse, che al sopraggiungere delle milizie, si eran tratte sulla sommità della valle, e traevano a furia.

De Cornè si era già recato nel possesso di Mormanno, dopo averne scacciati gl'insorti, i quali conosciutene le mosse per quel paese, erano accorsi ad oppugnarle; il Generale Laoza si tragittava di là dal Cornuto, e vi serenava. In sull'aurora del nuovo di udivasi il segnale convenuto con De Cornè, per la qual cosa si eseguivano i prestabiliti movimenti, e dopo non guari Campotanese fu inondato di truppe, le quali per diverse vie vi giungevano, e di tratto furono sulle pesta dei sollevati, che dal minacciato luogo a tutta fretta si dileguavano, dirigendosi per Saracena, Lungro e Firmo a Spezzano-Albanese»

Intanto il Generale Lanza si calava a Morano, e nel giorno 3 Luglio si univa in Castrovillari col Generale Busacca; un frapponendo indugio, spediva il Maggiore Marra con un nervo di truppe per Saracena, Lungro, e Firmo, ed il Tenente Colonnello Esperti con altra milizia per Cassano, affine di snidarne compiutamente la ribellione, e ritornar tutto all'ordine primitivo. Le colonne riunite accennavano a Cosenza per distruggervi il nodo della rivolta.

Grave turbamento il progresso dei Regi arrecava nelle innacerbite torme. I capi s'incusavano scambievolmente, addebbitandosi l'un l'altro della infausta piega degli eventi.

Mauro, Commissario del Potere Esecutivo, dirigeva al Cosentino Comitato il seguente rapporto ai 29 giugno.

» Signore - Avanti ieri notte giunse qua Eugenio de Riso, ci annunziò che si era impegnato il conflitto tra i nostri ed i regi di Castrovillari,

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e domandò un rinforzo di 300 persone; il momento era critico, e fu man

» Mileti non fu veduto nel conflitto, ed i nostri rimasti senza capi fecero molto a disperdersi con calma per le diverse colline circostanti. Aggiungasi a quel che è detto, che i nostri credeano di trovare i siciliani e gli altri calabresi intorno a Castrovillari, ma questi erano in Cassano, cosicché i nostri si trovarono nel pericolo di affrontare tutte le forze regie. Questa imprudenza ci dee rendere più attenti, ed io credo ch'elleno debbano richiamare dal comando il Sig. Mileti, poiché in qualunque punto, non farà altro che succidezze, e comprometterà la nostro causa».

» Qui recandosi da Lungro si mise avanti ad una gregge del signor Gallo di Castrovillari, e la condusse in questo campo. Io non la volli ricettare, perché era stata presa fuori di questo campo, e perché si diceva che i siciliani siansi comportati nella stessa guisa con Gallo, riputandolo come nostro nemico. Non vorrei però che questi esempi si ripetessero, ma sino a quando sono tra noi uomini come Mileti, questi avranno sempre la virtù di demoralizzare la massa, la quale dopo un esempio è infrenabile, solo l'avvezza al furto, ma il sig. Mileti in un giorno fu sul punto di far fucilare tre o quattro individui, se io non lo avessi proibito».

» Si è fatto tutto da cotesto comitato perché le nostre genti sbandassero, ed il nemico entrasse vittorioso. Voi avreste dovuto provvederci di tende, e noi dormiamo sopra i nudi sassi, come gli uccelli di rapina.

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Voi avreste dovuto provvederci di scarpe, ed i nostri soldati

camminano a piedi nudi: avreste dovuto provvederci di munizioni,e se il nemico redesse le nostre giberne, gelerebbe le armi e ci vincerebbe colle sole braccia. Voi ci avete fatto mancare di tutto quello di cui non manca un campo di selvaggi. Direte che questo è debito nostro, ma il vostro debito è darci i mezzi per procurarci tali cose. Io vi chiamo responsabili di tutte le nostre possibili sciagure».

» Prendete adunque il partito che solo vi conviene, mandate danaro, munizione non solo qui, ma in tutti i campi, altrimenti il comitato resterà solo, come al primo giorno della sua istallazione».

Lo stesso Mauro scrivendo a delli Franci nel 4 Luglio, così diceva.

» Signore - Si è avverata la mia trista profezia. Ieri giunsero a Mormanno oltre 1500 regi, ed assediarono il paese, cercando di occupare i posti difesi da un cento dei nostri. Questi nei giorni antecedenti erano aiutati e caldamente secondati dalle guardie nazionali di detto paese, ma da un giorno quella guardia non si vedeva più».

» La stessa popolazione che sembrava risoluta prima ad una forte resistenza, cominciò fin da quando intese l'avvicinarsi delle nuove truppe a mormorare contro inostri, chiamandoli autori della loro ruina, e poveri e ricchi disertavano i loro focolari, ritirandosi nella campagna. Questo mutamento non scuorò i nostri, ma il tradimento di alcuni fu compiuto, perché occupato che ebbero le truppe le vicinanze di Mormanno, una mano di guardie nazionali, che sembravano i più caldi della nostra causa, uscirono incontro alle truppe per gratularsi del loro arrivo, recando il pallio, e dopo questo fatto vergognoso un ragazzo del paese avvertì il sig. D. Saverio Toscano che comandava la nostra compagnia stanziata, che le truppe regie aveano circondato tutt'i posti. Allora il bravo sig. Toscano cominciò ad indietreggiare a vista del nemico,

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a seconda che questi si avvanzava. Giunse immantinenti la notizia nel campo di S. Martino, distante solo un'ora e mezza da Mormanno, e non può ella immaginare quali impressioni di sconforto sentissero gl'individui di quella stessa compagnia che sono stati e saranno sempre prodighi del loro sangue a prò della patria, poiché la novella della presa di Mormanno mise loro innanzi lo spettro della fame, più terribile dei battaglioni. Ed in verità la sola Mormanno avea provveduto a dovizia le nostre genti, ed era il solo paese vicino che non avesse mostrato ripugnanza a ciò fare; ora essendo caduto in mano de' reg! Mormanno, quale speranza a' nostri rimane di provvisioni? Non poteva sperare in Rotonda, perché anche in potere delle truppe, non in Morano, perché situato tra i soldati di Busacca e quelli di Mormanno e Rotonda. In breve in un colpo d'occhio io vidi abbandonati tutti i posti occupati da' nostri, e intesi un grido: non possiamo più stare qui, vogliamo unirci a' siciliani».

» Io fui colpito come da un fulmine a questa risoluzione; tentai far vergogna a quella gente, ma non vi fu modo in farla rimanere».

» Senza che io ne dessi il segnale si misero a marciare, abbandonando la valle di S. Martino, e allora montai a cavallo e parti, lasciando un mio fratello, che con altri sei individui temerariamente si era spinto, come dicesi, fino a Rotonda, e faceva fuoco col nemico».

» Ora la nostra gente è in Lungro, domani sarà costà. Signore, se in vece di chiedere forza da Campotenese Te ne fosse mandata, se in vece di rimanere in Spezzano si fossero da coteste forze occupate le posizioni che sono tra Busacca e noi, e ci fosse stato lasciato Morano libero dagli assalti del nemico, noi non avremmo abbandonato il posto più importante. Ora io manderò le genti al sig. Ribotti, e cesserò di essere commissario civile».

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Petruccelli, rapportando allo stesso delli Franci, addebitava al Mauro le ruine di Campotenese.

» Mio caro delli Franci - Saprai già la vergognosa ritirata dallo sciocco e vigliacco Mauro provocata. La rabbia mi soffoca, e non mi permette dirne parola. Fammi sapere francamente che condotta terranno i Siciliani. Io non voglio, non debbo scompagnare la mia dalla loro sorte, e Dio ti perdoni di avermi allontanato. Se essi partono, partirò anch'io, se restano ancora a Spezzano, io resto dne giorni qui, perché infermo, ed è sofferto moltissimo nel viaggio. Dunque definiscimi le loro mosse; se essi partiranno domani per Cosenza, o per altrove; ritornando indietro, io vi seguirò».

Né Carducci si rimanea di riversare sugli altri gli eventi contrari di Campotanese. Così scriveva da Lungi al Ribotti.

» Sig. Generale - Se io avessi potuto persuadere la masse a restare nella valle di S. Martino, ove con 50 uomini mi era io compromesso di custodire quel passaggi», l'assicuro che tale importante posizione non si troverebbe, ora in braccio a' regi, che si anno aperto la loro comunicazione colle truppe stanzionate in Rotonda al numero di 1200, ed in Mormanno in simile numero con quella di Castrovillari; con più aggiungere a' due piccioli cannoni di Castrovillari altri due di Rotonda, cioè uno di dodici ed un obice».

» Le masse anzidette decimate di due terzi, comandate da un commessane poeta, generale che non à mai conosciuto l'arte della guerra, e nello stesso tempo di un timore senza pari, praticò nella circostanza quello che altra volta fece in Spezzano, e che l'egregio comitato di Cosenza non seppe rimediare a tempo. Le stesse masse piene di timore non sanno militare, se non alla sua presenza, ed in unione de' buoni siciliani, ed è per questo che per mezzo del tenente colonnello de Simone gliele spedisco,

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con ordine di restare in S. Lorenzo, fino a che riceverà i suoi ordini; prevenendola, che le truppe costà sanzionate potrebbero occupare Cosenza senza quel luogo».

» Io intanto parto per la mia missione, e son certo di avere de' buoni risultati, e ne attenderà i ragguagli. Non già per farle da maestro, conoscendo quant'ella è perita nell'arte della guerra, ma per semplice suggerimento le fo conoscere, che tenendo ella il campo in Spezzano, le truppe regie passando da' confini del territorio di Spezzano, cioè circa otto miglia distante da Spezzano, si potrebbero recare in Cosenza, e serrare le sue truppe in mezzo, come fecero i francesi nel 1806».

» Dalle premesse crederei nelle attuali cose, ed opinerei che il campo generale lo riconcentrasse in Cosenza, (dove mercé le cooperazioni del sig. tenente colonnello de Simone, che ne' casali à molta influenza, potrebbe colà riunire molta gente: tanto più se la mercede di ciascuno la porta a grana 40 invece di 25, come con 10 persone che io meco porto nella provincia di Salerno è fatto; prevenendola che in Cosenza potrebbe tra gli arrestati in quelle carceri centrali, scegliendone un paio di centinaia, che potrebbe armare con i fucili de' particolari di Cosenza, accrescere di molto le sue forze».

Però il Ribotti non si era illuso sulla rivolta calabrese avea già preveduto quelle disfatte; epperò così aveva scritto al Ministro Siciliano della Guerra» Signor Ministro - Quando il popolo di Palermo domandava al governo che si fosse spedita una forza in ajuto de' fratelli di Napoli, quando il governo cedeva a questo generoso sentimento e con alacrità straordinaria apparecchiava con infinite spese la progettata spedizione, il popolo e il governo stabilivano un fatto, quello della rivolta nelle Provincie ove i nostri si sarebbero presentati per combattere. Disgraziatamente questo fatto non esiste, e secondo tutte le probabilità non potrà esistere per molto tempo.

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Si era promesso un movimento nella provincia di Catanzaro, che seguito subito dai paesi limitrofi della provincia di Reggio avrebbe potuto mettere in cattiva posizione le truppe regie in Reggio, occupando con forte mano di armati la posizione dei piani della Corona, ove i nostri avrebbero dovuto raggiungere i Calabresi. 17 giorni si atteso in Milazzo l'arrivo dei Calabresi, ed in questo intervallo i comitati di Cosenza e Catanzaro si sciolsero, il nemico occupò Monteleone, la rivolta per dir così si soffogò da se stessa. In seguito la lentezza del governo di Napoli fece si che i pochi liberali ripresero il di sopra, costituirono nuovamente i comitati, ed allora fu che noi muovemmo da Milazzo, e a traverso a mille pericoli giungemmo in Paola, nel tempo che il colonnello Lungo per altra via si portava nella provincia di Catanzaro ove raccoglieva uomini per opporli a Nunziante in Monteleone, formando un campo in Filadelfia».

» Giunta la nostra colonna in Cosenza, si cominciò a capire lo stato del paese quasi quasi simile a quello in cui fu trovato da' Bandiera e compagni. Si doveva marciare sollecitamente per unirsi a Lungo e attaccare Nunziante, ed invece avendo i Calabresi fatto passare il generalo Busacca con la sua gente per le gole di S. Martino, si dovette cambiar proposto e correre contro il nuovo nemico. Si promettevano 10,000 uomini, e se ne trovavano appena 2000 mal disposti. Si (arda a marciare verso Filadelfia ed il corpo di Longo si scema ogni giorno di uomini che disertano, di compagnie intere di guardie nazionali, che con gli uffiziali intesta abbandonano il campo. In tutti i paesi per dove si passa non si trova che freddezza per la causa, e paura per l'avvenire; scarsi i mezzi di trasporto; usciti da Cosenza non si è più in un paese in armi per difendere la libertà; tutti spauriti, tutti avviliti, e financo i ladri che infestano armati le pubbliche vie.

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Si giunge in faccia al nemico, il quale credendosi forte ci attacca; è respinto, ma non si può profittare della vittoria mentre due corpi Calabresi ben postati per prendere l'inimico in fianco restano con le armi al braccio. Un comandante di questi corpi prima protesta di non volere ubbidire, poi dico chiaramente che non può guidare le sue genti. Dopo il piccolo vantaggio, il campo non si accresce, e forse scade in morale e si scema, ed il perché sta che le truppe sono guardie nazionali obbligate a marciare e non persone decise ad impugnare le armi per la difesa dulia patria. Il nemico forte e trincerato in Castrovillari; i nostri senza marcate simpatie, inferiori del terzo alle forze avverse, con capi non ubbidienti, con scarse munizioni, senza la speranza di trovarne in paesi in rivolta. A Cosenza un comitato fiacco e che non comanda. I distretti di Rossano e Cotrone tranquilli. Monteleone e tutta la provincia di Reggio nelle mani del nemico. Il campo di Filadelfia che scema di forze ogni giorno e messo a 8 lunghe miglia da noi. La vicina Basilicata tranquilla. Le truppe di Lombardia già rientrate nel Regno: ecco lo stato delle cose nel teatro della guerra, da dove ella può capire qual'è la posizione della nostra divisione. Si voleva attaccare il nemico in Castrovillari, ma non tutte le truppe vi si prestano, ed essendone l'esito più contrario che felice per noi si è deciso attendere; ma l'attendere per noi è un male maggiore, mentre il nemico cresce in forza, il partito retrogrado alza la visiera, i liberali paventano, e noi non possiamo attendere soccorsi di Sicilia».

» E però troviamo indispensabile ritirarci; né si può dire che abbiamo mancato al nostro impegno. Noi dovevamo appoggiare la rivolta cominciata, e non rivoltare il paese, anzi conquistarlo, né si potrà mai pretendere che 509 uomini senza disciplina, 7 cannoni senza mezzi di trasporto e con soli 70 tiri a pezzo, fossero bastevoli per conquistare un paese».

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» Ammessa la necessità della ritirata sorgeva l'altra

Intanto i ribelli punto non disgomentati dagli occorsi eventi s'industriavano di sostenere la loro agonizzante fortuna, sia raggranellando armati nei punii in cui avrebbero potuto ostare, sia trasportando in altre provincie le favilla della insurrezione. A SpezzanoAlbanese affluivano armati ed armi da ogni parte, dove il Ribotti gli avrebbe sotto ai suoi cenni guidati a ristorare le patite sconfitte. Il Comitato procedeva in tanto affare accesamente.

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Richiamavansi gli armati dal Campo di Paola affine di rannodarsi in Spezzano-Albanese, venivano estorte varie somme dai

Le quali però punto non sortirono if loro effetto; poiché le truppe man mano ai loro disegni progredivano, si che il Ribotti, veduto appressarsi il temporale, abbandonava le stanze di Spezzano-Albanese, e si riducea coi suoi in Cosenza, dove sperava di meglio propugnare le milizie, anche perché parca che si dovessero rinfrancare gli animi per la disfatta che si dicea toccata al General Nunziante, e che appunto i quei dì appositamente divulgavasi, e con isvariate feste si celebrava. Cosenza adunque era ritenuta come il cardine della vittoria, o come la tomba in cui la fortuna dei Regi si seppellirebbe.

Vide la straziata città scene di terrore. Si parlava di barricate, e di altri preparativi ostili; la vita di coloro che teneano pel Governo era ad ogni pie sospinto minacciata. Frattanto, veduta inutile ogni resistenza, e in pericolo la esistenza di una bella città, che al certo sarebbe stata guasta o arsa in mezzo ai furori della guerra, il Cosentino Comitato abbandonava Cosenza, divolgando il seguente avviso.

» Agli abitanti di Calabria Citra - Il comitato di salute pubblica di Cosenza».

» Per cagioni, ch' è inutile il riandare, le nostre forze avendo dovuto retrocedere in questo capoluogo, desiderosi di evitare al paese gli orrori di una guerra accanita, e le conseguenze di una invasione per parte dei regi, invasione che il sito sfavorevole di Cosenza renderebbe probabile, questo comitato à risoluto ritirarsi spontaneamente da questa città».

» Fermo però sempre mai nei principi da lui proclamati fin dai 2 giugno, giorno della sua istallazione,

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trasporterà nella vicina Calabria la sua bandiera, che anzi,

» Forti schiere di calabri e fratelli della Sicilia faranno siepe al governo, e secondandone energicamente i dettami, lo porranno ben presto nel grado, non solo di rioccupare questa provincia, ma d'allargare la rivoluzione nel rimanente del regno».

» Cosenza 3 luglio 1848».

Partiva il Comitato, partivano i suoi consorti, nella conterminale Calabria catanzarese i tristi germi si proponevano di trapiantare. Di tratto il Crati e il Buscato, deposta la torbida mota, limpide acque portarono. Che una Deputazione di personaggi conti, a cui era capo e guida l'Arcivescovo, tosto si avviò per a Castrovillari, e presso il Generale Boiacca istava, perché sì fosse renduto nella cosentina città, ormai sgombera e spazzata dai ribelli, la quale devoti sentimenti avea sempre nutriti pel Re, eziandio quando era oppressa dall'impelo della sollevazione; goder l'animo a tutti i buoni Cosentini di vedere le conservatrici milizie fra le loro mura, aspettarle con ansia. Il Generale pertanto, aggiustata fede alle manifestazioni della solenne Deputazione, e sicurato dalle notizie delle ruine estreme che oggimai toccavano alla sollevata consorteria, si calava al cennato desìo, e dopo non guari fra la festante Cosenza con le sue genti si ridusse.

Lieti eventi si ebbero i Regi nella cosentina provincia, lieti se l'ebbero nella catanzarese. Ormai dappertutto il turbolento vessillo si sbarbicava. Il General Nunziante portatosi, come si è più innanzi cennato, io Monteleone, avea attesamente vagliato le forze della ribellione, epperò si spingea a prostrarle, sì con le sue truppe condotte da Napoli, sì con altre milizie arrivale di fresco dalla Lombardia, e sì con un buon nervo di calabresi,

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che egli,

Scompartite le sue genti in due colonne, giva il napolitano Duce all'assalto del campo di Filadelfia, dove sì eran rannodati i Calabresi. Una colonna di 1200 fanti e due pezzi da montagna, guidata dal Maggiore Grossi, s'incamminava pei monti affin di trovarsi alle spalle del filadelfiese campo; l'altra composta dal rimanente della fanteria e da due pezzi da campagna, e da altrettanti da montagna, capitanata da lui medesimo, accennava per la strada regia ad assalirlo di fronte. Perveniva egli in sul far della sera vicino all'Angitola, e quivi ponea il campo, affin di spingersi ai suoi disegni al sopravvenire della nuova luce; poiché già le sentinelle nemiche, gli ostili proponimenti fino a quella non breve distanza dal campo annunziavano.

Intanto gl'insorti abbandonato quasi totalmente il campo di Filadelfia, si erano affoltati vicino all'Angitola per combattere i Regi, ed avean preso tutte quelle posizioni ed espedienti che per loro si seppero e poterono il meglio, traendo partito dall'asprezza, dalle boscaglie, e dagli altri incidenti che in quei luoghi esistono.

Le notturne tenebre tennero infrenate le preparate insidie, e gli scambievoli sdegni, i quali allo schiarire della nuova aurora (27 Giugno) impetuosamente irruppero. Tuonavano i cannoni dei Regi, tuonavan quelli dogl'insorti; le navali artiglierie dei Vapori Archimede, e l'Antelope, costeggianti il vicino lito, sfolgoravano; vari cordoni di cacciatori, in ordine aperto sui vicini monti bersagliavano; alla lor volta i liberali impeto con impeto rendevano: quelle silenziose, e pacifiche valli di guerresco rumore echeggiavano.

In frattanto l'arte ed il coraggio militare prevalevano: la colonna si spingeva innanti, allorché in grave ostacolo a Campolongo s'imbatteva;

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poiché quivi era fermato un forte nodo di Calabresi, i quali dalla opportunità dei luoghi garantiti, e da estremo sdegno spinti, resero gagliardo ed esiziale il combattimento. Le milizie da simile ardore mosse, contro di quell'ostacolo furiosamente traevano. Ormai le morti eran molte, moltissime le ferite, infinite le ire, la terra bevea largamente il sangue, quando i liberali gravemente percossi e menomati si diedero al disordine, e poscia alla fuga, «In quel punto pertanto (così è detto in un rapporto) più ardente e accanita fu la pugna. Parecchi dei sollevati scesero a combattere fin sulla strada dove incontrarono la morte e fra questi il Mazzei ed il Morelli ricevitore di Catanzaro. Ei fu sì fiero conflitto che taluni soldati, sgomentati, si precipitarono a sinistra della Consolare cercando uno scampo verso le marine, altri imitando il tristo esempio, si diedero a seguitarli trascinando seco loro i cavalli dello stato maggiore e quelli del Generale, il quale per viemeglio inanimire i soldati a penetrare nei boschi per snidarne il nemico, era disceso a piedi ed erasi inoltrato a quella volta. I fuggenti si avviarono al Pizzo dove per giustificare il loro fallo asserivano aver la loro colonna toccato una compiuta rotta, a stento aver dessi potuto salvarsi; la vista dei cavalli del Generale aggiungendo fede a tali detti, fe' che la falsa nuova si divulgasse rapidamente da per ogni dove: or ora diremo quali terribili conseguenze produsse al Pizzo codesto incidente». Si disser moltissime le morti; infiniti i danni scambievoli; ma nulla di positivo si conosce. Certo è bene, che il combattimento fu sanguinosissimo, e che fu vinto per le milizie, le quali serenarono all'aperto.

In frattanto la fierezza, e la durata della orribil pugna, e più ancora lo sbandamento della partita che recavasi al Pizzo, fecero invalere la voce di una rotta dei Regi,

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fra le più enfatiche parole, asserendosi benanche la morte del prode Condottiero di quelle armi.

Mentre tali fatti succedevano alla colonna del General Nunziante, altri fatti compieva il Maggiore Grossi; o casi miserandi avvenivano in Filadelfia e nel Pizzo, che io con le stesse parole del cennato rapporto narro.

» La mattina del 29 Giugno pertanto il Generale Nunziante levò il campo da Maida indirizzandosi al Pizzo, dove pervenne la sera; trovò le milizie del Maggiore Grossi che bivaccavano fra la Consolare e la strada trasversale del Pizzo. Fatto chiamare il Maggiore Grossi conobbe da lui com'egli, partito da Monteleone la sera del 26 Giugno per la vecchia strada delle altare, e diligentemente visitati i paesi pei quali transitava, nessuno ostacolo avesse incontrato, da che i sollevati, non sospettando di esser presi alle spalle, si erano tatti portati sul lato occidentale delle montagne per opporsi al cammino della colonna principale; come, giunto presso Filadelfia, eragli venuto incontro una deputazione protendendo parole di pace, ma egli, postatosi ciò non ostante militarmente fuori

Il paese e mandato dentro una mano di truppa, le si fece fuoco addosso dalle soprastanti abitazioni; ond'egli comandò che la città si prendesse di assalto, e dopo breve contrasto fosse riuscito a porre in fuga i sollevati conquistando cinque cannoni che inutilizzò momentaneamente, e poscia fe' trasportare al Pizzo giusta le istruzioni. Fece altresì perquirere le case e raccolse buona copia di munizioni da guerra e di armi da fuoco e da taglio. Ma la malagevolezza delle strade per le quali aveva dovuto transitare fra balze o montagne, il fatto d'arme e il disarmamento di Filadelfia, la stanchezza dei soldati e degli animali del treno ed altrettali ostacoli gli avevano impedito di trovarsi la sera del giorno 27 in sulla Consolare innanzi Filadelfia per congiungersi alla Colonna principale,

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giusta le istruzioni ricevute: ciò aver prodotto ch'ei mancasse di vettovaglie nel giorno 28, e per provvedersene alla meglio si spendesse assai tempo tanto che non potò giungere sulla Consolare prima del declinare del giorno 28. Nessuna notizia vi trovò della colonna principale, ond'egli, in tanta incertezza di avvenimenti, risolvé d'indrizzarsi al Pizzo; ma prima di giungervi s'imbatté nei soldati che eransi colà rifuggiti e seppe da costoro la falsa novella della patita sconfìtta; laonde ei giudicò sano consiglio di fermarsi al Pizzo per venire in cognizione dello stato vero delle cose.»

» Sopravvenne allora un funestissimo caso. Stavano lo soldatesche in riposo dentro il paese, quando un colpo di archibugio scagliato, come poi si disse, dal castaldo di un signore Stillitano (lo Stillitano era stato condotto al Pizzo fra prigionieri presi in Filadelfia), uccise una sentinella del sesto Reggimento Cacciatori; allo scoppio, alla, vista del compagno ucciso, i soldati credendosi sopraffatti, traditi, si precipitarono alle armi e furiosamente scagliaronsi sui cittadini; indarno gli Uffiziali s'interponevano, indarno gridavano, pace, pace. Orribile ad oltremodo miseranda fu quella giornata per la infelicissima città del Pizzo.»..

Le vittorie, la maschia attitudine delle regie armi, e i casi miserevoli di Filadelfia e del Pizzo; ormai facean ritrarre gl'illusi da quei giudizi, che, troppo leggiermente comportandosi, avean fatto sulla fiacchezza delle forze del Governo, e sulla valentia di quelle della rivoluzione. Perlocché tutti i paesi, e le città all'antica obbedienza si riducevano. Catanzaro sulla quale avean fatto disegno gli avanzi delle sconfitte cosentine, e catanzaresi, chiuse udito ad ogni loro proposta, e minacciò di respinger la forza con la forza, ove le sue parole non fossero tenute in cale, né tardò un solo istante a invitare le regie armi fra le sue mura in tutela dell'ordine, e di

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Guari non andò e quella Città si vide rinverdita, poiché disparvero i timori che vi regnavano, le guardie nazionali furono disciolte l'amministrazione riordinata.

Intanto i Capi della rivolta, perduta ogni speme di salute, fuggivano il temporale, che gli rumoreggiava d'intorno, lasciando alle Calabrie trista eredità di sangue, di lacrime, e di dolori.

Ribotti, si come fu antecedentemente detto, già aveva inclinato l'animo ad una ritirata, ed augurandosi, che non fosser sì tostani e violenti i precipizi della calabra rivolta, nutriva speranza, che il siciliano Comitato, calandosi ai suoi voleri, manderebbe le salvatrici prue; ma ormai arrandellato dalla ressa degli eventi, pensava a mettere se e i suoi in salvo, e con questo proponimento nei catanzaresi liti dell'adriatico si tragittava; dove avvenutosi in un brigantino, ed un trabacolo, di tratto insignorivasene, e alzate le ancoro abbrivava per a Corfù. Lieto fu il principio, tristo il fine: la imbelle fortuna prima benigna, e poi accigliata secolui mostravasi. Ché venuta a conoscenza del General Nunziante la fuga, tosto mandava lo Stromboli in traccia delle fuggenti navi. Nel 9 Luglio il Comandante Salazar spingeva a corso lanciato il suo naviglio, e due giorni dappoi, solcato accortamente il mare, raggiungeva le svignate prue di qua da Corfù, e traevate a rimorchio dopo aver tolte le armi, ed assicurati i Capi. In Reggio andavan captivi 500 delle ribottiane squadre, ed in Napoli erano portati 30 dei capi, e fra essi Ribotti, Longo, e delli Franci, i quali dannati nella vita da un consiglio di guerra, si ebber grazia da quel Re istesso, che avean cercato in mille modi intristire ed agitare!

Pietro Mileti dalla sua Calabria non si apportò; cosicché rimpiattandosi or là or qui, traeva innanzi la sua

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Costabile Carducci, svignato di Calabria con alquanti suoi fidi, dirigevasi a Torraca per innalberarvi l'infranto vessillo, ed avvenutosi in un nervo di Regi, susseguì una zuffa, nella quale duo dei suoi rimaneano uccisi, ed egli ferito, e dopo non guari spento.

Gli altri variamente alla loro salute intendevano, sia errando pavidi e silenti di luogo in luogo, sia contumaci ed arrischiati percorrendo in armi la campagna, facendo tallire la rea pianta del brigantaggio, sia volontariamente spatriando dal Regno, sia in altri modi. Né mancavan quelli che a novelle sedizioni inclinavan gli animi; tenendo in continuato sentore le Autorità, e la pubblica forza.

Pertanto fu tentata una sollevazione nei distretti di Vallo e di Sala da due torme che minacciavan la vita, le proprietà dei particolari, e l'ordine gevernativo. Andavano sulle loro orme due forti partite di armati ai cenni del Maggiore Manzi, e del Colonnello Recca, dirigendosi quegli per Diano, e questi per Capaccio. Ed ecco ai 12 di Luglio apparire gl'insorti nella ripida e sassosa Trentinara, poco discosto da Capaccio, i quali aveano guarnito e fortificato il paese, e le vicine vette. Giva Recco all'assalto, spartendo i suoi in tre colonne, i quali irritati oltre a modo per l'ingannevole gragnuola di palle che ebbero vibrate nell'atto stesso, che sventolavano nel paese bianche banderuole, e le campane squillavano a festa, irruppero per quella rotta regione, e dopo soverchiati incredibili ostacoli, s'impossessarono del paese, disperdendone i difensori, dei quali la piupparte, traendosi dal periglio, si era gittata pei vicini dirupi.

Un'altra turba erasi rannodata in Postiglione, ripidissimo paese, torreggiante nel colmo di un'erta montagna, la quale dietro di esso spinge fra le nubi la più alta vetta.

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Pertanto i casi di Trentinara, e Io appressarsi delle troppo, misero sgomento nei ribelli, e più che di frettasi sbandarono.

Per tal modo, spenti in sul nascere i riverberi, o le reliquie dal calabro sconvolgimento, che come altrettanti tizzi si erano portati in altre provincie acciocché l'incendio divampasse; sopravvegliate attesamente tutte le mosse dei novatori, disarmata e sciolta la guardia nazionale, dato ai Tribunali l'ampia e rea materia delle colpe, l'idra del rivolgimento era in tutti i suoi capi mozzata e morta. Ella pertanto tutto, con la sua pestifera bava contaminando, rimanea molte regioni addolorate e triste.


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CAPITOLO IV.

IL PARLAMENTO NAPOLITANO.

Sommario

Il Governo, posata la ribellione, intende l'animo all'apertura del Parlamento. Procedere vario intorno alla elezione dei Deputati. Per le mene degli anarchisti il di della inaugurazione delle Camere si appressa fosco e minaccioso. Un regio Delegato apre il Parlamento con apposito discorso in nome del Re. I Pari e i Deputati incominciano a riunirsi. Interpellazione di un Deputato sai conto del Generale Nunziante. Risposta che gli fa il Ministro dell'Interno. Lagnanze che no mena il Generale in un suo rapporto. Cattivi umori che ne sorgono. Indrizzo alla Corona non accettato, e perché. Il Sovrano proroga la sessione delle Camere. Inutili tentativi di concitamenti.

Il Real Governo, domata nel surriferito modo la ribellione armata, affisate le arti subdole, e invigorito le sue forze, consentaneo alle date promesse, ritornava nelle costituzionali vie, mandando ad effetto l'apertura del Parlamento, dal quale sperava, che ammaestrati gli uomini dai lamentevoli risultamenti delle discordie civili, oggimai si potesse applicar l'animo alla pace ed alla tranquillità, onde far godere ai popoli i frutti di quella onesta e temperata libertà, la quale, inimica degli strepiti lusinghevoli ma velenosi dello incomposto libertinaggio, consente il placido e progrediente sviluppo delle sociali migliorie. Vane speranze! perché se la ribellione era stata prostrata fra i campi, i fiumi, e le valli di Calabria, e del Cilento, non era però divelta dagli animi di coloro che in lei ogni speme avean riposta, e a lei eransi perdutamente dicati!

Il Re avea ordinato, che si convocassero i Collegi Elettorali nella metà di Giugno, affine di scegliere i Deputati al Parlamento, che si sarebbe aperto

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nel primo giorno di Luglio. A questo invito in parecchie Provincie si

Fra i popoli costituzionali l'apertura del Parlamento è giorno di letizia, di brio, e di contento; ma fra i napolitani, per le impetuose passioni, si appresentava come giorno di orrore e di tutto, perché freschissime erano il sangue e le lacrime onde la città fu spietatamente addolorata e trista. Né mancavano le probabilità, o i pericoli di un'altra catastrofe; perché dubbi accidenti nel cuore della stessa metropoli erano intervenuti. Infatti non vi era stato giorno, e dirò pure momento, in cui una sinistra voce non corresse di bocca in bocca, nunzia di minacce, di «sterminio, di sovvertimenti, la quale, come faville scoccate fra infiammabili materie, accendeva le fantasie, e ben volentieri dal timore si passava al sospetto, e da questo alla probabilità, o alla certezza; sì che tutti il fantasma della ribellione temevano, e una generale agitazione regnava.

Né solo con parole, ma con la stampa ai rei propositi s'intendeva; poiché nel torno di quel tempo fu divulgata, oltre alle tante altre carte, il seguente.» Avvisa al popolo del Regno di Napoli. Il maggior bene che la Costituzione fa al popolo, è che il Governo non può mettere nessun dazio senza l'approvazione della Camera, la quale ogni anno deve esaminare la nota di quello che si spende, e questa nota chiamasi stato discusso.

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I Deputati

» Popolo aprì gli occhi! Non si possono pagare dazi senza la legge fatta dalla Camera. E chi paga per paura, corre rischio di pagare due volte, perché i pagamenti non saranno riconosciuti dalla Camera. Nessuno paghi fondiaria, e resista forte alle minacce, e dica: quando vi sarà la legge allora pagherò. Le popolazioni che hanno le saline si piglino il sale senza paura. 11 grano, il vino, il cacio, l'olio, tutto si deve portare senza dazio, perché non ci è legge. Ma facciamo una cosa senza pericolo, facciamo una gran cosa, leviamo le armi dalle mani di chi ci opprime in un modo semplicissimo. Non fumiamo più, non prendiamo tabacco, e non giuochiamo al lotto. Chi ama la patria deve far questo, e così staremo alla Costituzione. Nessuno ci potrà dire niente. Il Governo senza denari cadrà. Facciamo questo, e vedremo che i cannoni scompariranno, riavremo quella costituzione che ora è rimasta solamente in faccia a quel pettolone sporco, che si chiama bandiera. Chiunque ama la patria, chiunque è vero Italiano, è costituzionale, non deve fumare, non devo prendere tabacco, non deve giuocare al lotto. Fermezza, coraggio, unione, e non dubitate, che Dio e la ragione sono con noi».

Per tal modo la liberale Consorteria invitava le genti a propugnare l'azione governativa, cominciando dalla diffidi pruova di fare contrasto alle abitudini, le quali sendo altrettante nature, torna impossibile o difficile svellere. E qui non sia soverchio notare in quali gravi errori i liberali s'impigliassero allorché pretendeano far fondamento al novello edificio con la distruzione delle idee religiose, e realistiche, delle abitudini, degli usi,

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e di ogni altra cosa inviscerata negli animi, e nutritavi per lungo spazio di tempo; imperciocché l'uomo, che è animale di usi, non così facilmente rinnega a quelle idee con le quali, dirò così, si è amicato ed immedesimato. Ma l'eia fu balorda; perché non era la ragione, ma l'allucinata e riottosa fantasia, che dirigeva il filo di tutte le operazioni innovatrici.

Impertanto il Governo, sempre intento alla pace, ordinava che ventiquattro centinaja di armati, fossero scelti dall'antica guardia di Pubblica Interna sicurezza, e addetti al servigio dei Collegi Elettorali, e delle Camere Legislative. Ad ogni modo le voci che correvano, tenevano in trepidazione, la piupparte della Città; sì che molti, come se un' alta sciagura si appressasse, si ritraevan fuori nella campagna.

In mezzo a tali auspici, e a tanti timori apparve la luce dal 1.° Luglio. Già si era tutto apparecchiato perla solenni là di quel giorno. La maestosa e vasta sala della Biblioteca del Borbonico Museo, era stata vagamente addobbata; e contenea varie e moltiplici Tribune, decentemente ornate, le quali servir dovevano per tutti i personaggi di grado nostri e forastieri, pel corpo diplomatico, per la Real Camera, i Ministri, i Generali di terra e di mare, i Direttori, il Consiglio di Stato, l'Ordine Giudiziario, i Pari, i Deputati, ed altre Corporazioni. In fine sorgevavi il Real Trono; e poco discosto il luogo del Delegato. Un nervo di Guardie Nazionali crasi affilato dinanzi a quel celebratissimo edilìzio.

Il Re sceglieva il Duca di Serracapriola, Vice-Presidente del Consiglio di Stato, e Pari del Regno, acciocché nel suo Real Nome dischiudesse il Parlamento. Un'ora prima di mezzodì muoveva il Regio Delegato dal luogo della stia dimora con carrozze di Corte, convocato da un conveniente seguito, e traversato a passo di cerimonia le strade di Chiaja e di Toledo, contro l'usato vuote di gente,

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arrivava al Real Museo, dove dieci Pari, ed altrettanti Deputati lo riceverono appiè della scala, e lo accompagnarono al posto destinato, e quivi in piena udienza, a nome del Sovrano, il discorso che siegue pronunziava.

» Signori - Mentre nel mio animo io vagheggiava il sospirato giorno, in cui sarei stato circondato dalle camere legislative del regno, un fatale disastro, del quale non lascerò mai di contristarmi,sopraggiunsc sventuratamente a protrante la solenne riunione. Al dolor profondo di un sì malaugurato ritardo, mi è oggi di conforto di vedervi qui ragunati; poiché a far prestamente rifiorire in questa comune patria dilettissima la prosperità vera, cui ogni popolo incivilito à ragion di pretendere, è bisogno del vostro leale, illuminato e provvido concorso».

» Le libere istituzioni, da me irrevocabilmente sanzionate e giurate, rimarrebbero infeconde se apposite leggi dettate sopra basi analoghe non venissero ad affiancarle coi loro vari sistemi di applicazione. Invoco dunque la vostra particolare sollecitudine su questo prominente obbietto».

» Su i diversi progetti, che vi saran presentati, voi fermerete sopratutto le utili norme a stabilirsi per la speciale amministrazione delle comuni e delle provincie, che dan primo stato ad ogni società politica; quelle che debbono ordinare definitivamente la guardia nazionale, a cui si appartiene di vegliare al sostegno della tranquillità interna dello stato; quelle finalmente che son dirette a diffondere con più sicuri metodi la pubblica istruzione in tutte le classi, affin di promuovere la ognor crescente civiltà, e serbare nell'avvenire intatta quella gloria che tanti egregi ingegni ci procacciarono per lo passato».

» Le finanze pubbliche meritano di occupare innanzi tutto la vostra particolare attenzione. Al dissesto inevitabile, cui esse istantaneamente soggiacquero per tante po

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si richiedono pronti e generosi provvedimenti, né io diffido che in questa ubertosa terra l'equilibrio, fra gl'indispensabili bisogni ed i mezzi più acconci a provvedervi, possa ritardar molto a ristabilirsi».

» Dello sì funeste perturbazioni, che agitando pertinacemente il reame, paralizzarono da una parte ogni specie di industria e di commercio, e strariparono dall'altra sino ad attentare alla proprietà ed all'onore dei privati, voi cercherete di smascherare coraggiosamente le cagioni e i pretesti, e con provvedimenti energici darete opera che un sì rincrescevole stato di cose cessi per sempre, né più si riproduca; essendo questo un bisogno universale di cui tutti sentono l'urgenza e l'importanza. l'ordine, senza del quale non è possibile alcuna prosperità civile, non può derivare che da savie leggi, e la libertà sta esclusivamente nell'ordine».

» In generale, io non è ragion di credere che Io nostre pacifiche relazioni con le altre potenze di Europa sieno in nulla cangiate. Posti così nella felice attitudine di rivolgere tutte le nostre cure all'amministrazione interna dello stato, noi potremo contribuire d'accordo a farla prosperare tranquillamente nelle sue vie. Inflessibile nel mio proponimento di assicurare il benessere a tutti e il godimento di una ben' intesa libertà, farò di questo nobile obbietto la costante preoccupazione della mia vita; ed il vostro autorevole concorso me ne garantirà pienamente il successo. Avendo chiamato a giudice Iddio della purità delle mie intenzioni, non altro mi rimane oggi che chiamare a testimoni voi e la storia».

Finito il discorso, il Regio Delegato faceasi a dichiarare nel nome del Re L' apertura dello Camere Legislative, che il tuonare dei castelli annunziava al pubblico, e poscia con gli stessi onori facea ritorno alle sue stanze.

Il riportato discorso fu ben presto oggetto delle critiche di moltissimi, ai quali, seguendo nel reo proposito

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di tutto

Gli atti preparatori tennero occupate ambo le Camere pei primi giorni; perché non per anco legale il numero dei Deputati e dei Pari; ma dopo non guari si pervenne al numero competente, e si potè vacare alle diverso discussioni, ed elucubrazioni; fra cui monta qui riferiro soltanto le principali, e segnatamente quelle che con lo antecedenti cose si rattaccano.

Il General Nunziante, il quale avea una coi suoi Colleghi, ritornato l'ordine nelle disordinato Calabrie, e che tuttafiata ne tutelava il corso, fu il soggetto di una discussione. Un deputato così dicea.

» Domando di fare una interpolazione al ministero sulla autorità discrezionale che à esercitato ed esercita nelle Calabrie il generale Nunziante. Dicesi investito dei grandi poteri che son contenuti nella formola dell'alter-ego, ma io non è veduto alcuna ordinanza segnata da un ministro responsabile che gli abbia conferito un sì ampio potere politico-amministrativo, qual si è quello che egli esercita in quelle provincie. Dal foglio ufficiale rileviamo, che egli à in diversi comuni usato la sovrana prerogativa di sciogliere la guardia nazionale, e l'altra di ricomporne una nuova, e con norme differenti da quelle della legge provvisoria del 13 marzo, che è la sola vigente in questo regno, dapoiché dalla convocazione delle camere dal 15 maggio in poi, il potere esecutivo non avea più dritto di far leggi da se solo, segnatamente in rispetto alla guardia nazionale, essendo stato espressamente prescritto dallo stat

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Nel giorno appresso il Ministro dell'Interno Bozzelli sì facea a rispondere in questa guisa.

» Signori, pria di ogn'altro domando all'onorevole deputato da cui mi parte l'interpellazione, d'onde mai egli abbia tratto la notizia che il generale Nunziante nel1' ultima increscevole congiuntura sia stato rivestito dellWterego? Quella frase mi è nuova, e se il ministero ne à veramente fatto uso, bisogna dire che il ministero sia il solo che nonne sappia nulla. Quando in quell'infelice provincia scoppiò la conflagrazione che pose in tanta ansietà tutto il reame, e di cui fra non molto io confido di presentare alla camera i particolarizzati ragguagli da me altra volta promessi; il governo stimò suo positivo dovere di accorrere immediatamente per apporvi un argine, ed al generale Nunziante, cui venne affidato il comando di una parte della truppa colà spedita all'uopo, furono date in iscritto delle apposite istruzioni, le quali discusse e consentite dall'intero consiglio dei ministri, furono pagina per pagina da tutt'i ministri contrasegnate. Nel quadro storico di quelle deplorabili vicende, di cui sto raccogliendo a tutto potere gli svariati elementi, per darne comunicazione alla camera, era mio preordinato disegno di comprendere tra i promessi documenti una copia legalo di queste istruzioni; ma poiché si à tanta impazienza di saperne il contenuto, eccomi a darvene lettura».

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E poscia renduti a conoscenza della Camera i documenti e le istruzioni dato dal Governo al Generale Nunziante a questo modo proseguiva.

» Ora il generale à seguito con esattezza ed onoro le tracce che queste istruzioni gl'imponevano di calcare».

» Se voi siete compiacenti di attendere i ragguagli promessi, ne sarete appieno convinti. Si è detto inoltre che il generale sciogliesse varie parti della guardia nazionale delle Calabrie, e ne ricomponesse delle nuove a sua posta. Qui signori vi è un doppio equivoco a chiarire. Le varie parti della guardia nazionale che furono ivi disciolte non per fatto del generale, ma per ordine preciso o posteriore del real governo, avevano preso parte diretta nella conflagrazione che incendiò quelle provincie. Sciogliendole il governo, non fece che seguire le facoltà che la legge gli accordava, e voi consentirete, spero, che non si possa comprimere una rivoluzione lasciando armi e poteri nelle mani di coloro che erano concorsi a suscitarla. Correa obbligo al real governo di riorganizzarla tra lo spazio improrogabile di un anno, ciò non offre addentellato a' reclami; poiché se il calendario non m'illude, il periodo dell'anno non è al certo decorso. In quanto alle guardie nazionali che si dicono ricomposte a capriccio, l'equivoco è ancor più flagrante. Le Calabrie o signori sono state iniquamente calunniate. Si è preteso che quelle popolazioni volessero da capo a fondo rovesciare la costituzione del 10 febbraio per istabilirne non so qual altra immaginata nella beatitudine de' monti platonici, e favolosi. È falso: quella fu opera di pochi deliranti ivi rifuggiti alla ventura, e forti soli di pochissimi proseliti stranieri, e da un'orda di condannati di ogni specie, che a dispregio di ogni conosciuto principio di dritto delle genti l'Etna ne vomitava dal fondo delle sue ciclopiche viscere. Quindi avvenne che le popolazioni delle Calabrie, dispersi al solo apparir della forza i sovvertitori dell'ordine,

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stanche dalla divorante anarchia che le agitava, fedeli alla costituzione giurata, e non altro volendo che la costituzione giurata, offersero spontanee il concorso del loro aiuto. Perché? Non per altro che per Io stabilimento dell'ordine. Il Generale Nunziante non poteva certo dispensarsi d'accogliere una sì cittadina offerta; ecco a che si riduce la guardia nazionale ricomposta a capriccio, io credo che in ciò non vi sia nulla né di straordinario, né di abusivo. In quanto alla guardia nazionale di Napoli, di cui parlava l ' onorevole preopinante, io osservo ch' essa fu disciolta per gravissime ragioni. Era dritto, o per dir meglio dovere del governo di riorganizzarla, ma tra lo spazio improrogabile di un anno, e siccome si avvicinavano i collegi elettorali e le susseguenti camere legislative, il governo credè spedìente di riprendere l'antica guardia civica che vi era in Napoli per attendere a' servizi delle camere e de' collegi, ed in ciò anche mi sembra che non vi sia nulla né di straordinario, né di abusivo; l'anno non è ancora decorso, e fra breve voi dovete votare una legge difinitiva sulla guardia nazionale. Nell'ultima discussione mi sembra di aver letto P avviso di un' altro onorevole deputato il quale, allegando gli usi de' governi rappresentativi, dichiarava esser dovere de' ministri rimanersi inchiodati su' banchi della camera se per avventura l'estro venisse a qualcuno di far loro delle straordinarie interpellazioni. Ma anche noi, peregrinando in Europa per lo spazio di diciotto malagevolissimi anni, abbiamo studiati gli usi de' più celebri governi rappresentativi, ed il vero liso è quello di annunziare le interpellazioni in una tornata, e di attenderne la risposta in un'altra; del resto io mi restringo qui ad osservare solamente che dopo i nuovi ordini civili tra noi stabiliti P attuai ministero si trova in uno stato eccezionale di straordinarie cure e fatiche, dalle quali non può esser troppo distratto senza paralizzare in danno di tutti la intera macchina governativa

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il ministero da' tanti progetti di legge che si stanno da per tutto elaborando per sodisfare a' medesimi desideri della camera, e poiché si parla della dottrina e degli usi, io credo uso costante ne' governi rappresentativi di Don passarsi a discutere progetti di legge senza ebo sia prima pubblicato l'indirizzo in risposta al discorso della corona, come quello il qualo dovendo manifestare la fisonomia politica dell'assemblea, dee servire di stella polare al ministero per illuminarla Della sua via, e a quanto io sappia, l'egregio deputato a cui accenno, non à mai alzato la sua voce per far cessare un ritardo che tiene il paese in una prolungata e desolante agonia».

» Signori, in ciò che si esige dal governo in questa difficilissime circostanze, vi à qualche cosa che passa l'umana intelligenza, passa tutte le forze umane; poiché nel reame vi è calma bastante sì, ma di quella calma, che succeduta di fresco alla tempesta, è ancor più spavento volo della tempesta. né poi vediamo sparito da per tutto quello spirito di effervescenza, di novità, di anarchia, di disordine, onde il paese è stato tanto agitato e sconvolto. Vogliate, o signori, vogliate per poco gittar lo sguardo su questo miserando spettacolo che ci sovrasta son già due mesi, da per ogni dove suscitata la cieca plebe ad impadronirsi della proprietà de' privati, l'industria paralizzata, il commercio distrutto, le casse pubbliche depredate, lo città in convulsione, le campagne deserte, la miseria entrata in tutte le famiglie, il terrore a tratti scolpito e dipinto in tutte le fisonomie.

» Da per ogni dove la guardia nazionale prender parte ai più gravi disordini, spesso suscitarli e difenderli; da per ogni dove la sfrenata stampa inventar menzogne, spander l'allarme, insultar tutti, calunniar tutti, non rispettar né l'umano, né il divino; e coprir financo di calunnie, d'ingiurie, e far bersaglio d'immoderate minac

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i collegi elettorali farsi giudici delle operazioni del governo, e non dubitate il carro è sul suo bel pendio; andranno un giorno fino a destituire voi stessi dalle vostre alte funzioni».

Queste ultime parole esagitarono l'uditorio grandemente, si che l'Oratore non poté continuare il suo dire; ma tornato poco poscia la calma, mise termino con questi detti.

» Signori, io non so come poter rannodare le fila del mio discorso; il mio spirito non è turbato, ma bastantemente commosso; fino ad oggi, avvezzo ad essere bersaglio d'ingiuste contumelie, io so pur troppo, che non ci è vita intemerata, la quale possa resistere alla ferocia ed al furore de' partiti, se non che pubblicate, or sono già ventisei anni, le mie politiche opinioni al cospetto di Europa, sfido chiunque ad imputarmi, che io mai abbia deviato da queste tracce; volli sempre la libertà dell'uomo onesto, e per questo solo ed innocente desiderio, le mie guance sono ancora solcate di lacrime, le mie mani portano ancora l'impronta delle catene; il non aver parteggiato con tutti, à rivolto tutti contro me, io non curo le ire, bastando aver meco la testimonianza della mia coscienza; oggi specialmente in cui fermo è in me il proponimento di non trascinar più oltre queste pesanti catene, e rientrare nella solitudine della mia condizione privata. Provvederete voi, o signori, a' mezzi di ritirare questo infelice paese dalla voragine de' mali, in cui più volte fu sommerso e risommerso; e di me, di voi, di tutti saranno giudici severi l'Italia, l'Europa, il mondo, la posterità».

Finito il discorso del Ministro, due Deputati con eloquenza e calore vario si cacciavano a propugnarlo, nò la discussione si sarebbe posata, ove il Ministro delle Finanze non fosse sorto a dimostrarne la inopportunità,

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Pertanto siffatta quistione non si rimase nella camera, perché il Generale Nunziante, offeso dalle parole dei Deputati, lagnavesene in un ufficio diretto al Ministro della Guerra, nel quale fra le altre cose andava dicendo. Non essere straordinario, che i ribelli si fossero avventati contro di lui per la commissione compiuta nelle Calabrie, esserlo si bene, che taluni Deputati non avesser saputo reprimere il loro dispetto: sotto qualunque governo in circostanze simili alle calabresi si sarebbero affermatamente sospese tutte franchigie, ed eseguito rigoroso disarmo; maravigliarsi perciò, come fra noi si menasse tanto rumore per avere ristretto il numero delle guardie nazionali, e provvisoriamente tolti dal ruolo quelli che avean variamente parteggiato per la sedizione; essere unico esempio nella storia la mitezza e la benignità con cui si procedeva in una regione in cui l'anarchia e la rivolta aveano largamente scorrazzato: sorprendersi della temeraria e ingiusta denominazione di corpi franchi data nella camera ai contingenti delle guardie nazionali sceverate di sediziosi: non recargli meraviglia, che vari Deputati sotto la sicura veste che li protegge si menino a lanciar calunnie contro colui che ha prostrato la rivoluzione; non soffrirgli l'animo però che la sua riputazione ed il suo onore fossero bistrattati e manomessi: ce io debbo reclamare i miei dritti (egli diceva) di cittadino, e di generale, quando veggo che mascherandosi fatti, ed abusandosi della ragione, io son calunniato da quegli medesimi che avrebbero a sostenere le leggi, delle quali si dicon custodi, intanto che io non per altro apparisco colpevole agli occhi loro, se non per averle osservate con troppa religiosità»: male a proposito addebitargli i fatti di Filadel

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i pacifici cittadini essere stati sempre amati e rispettati, i perversi perseguiti: perché amore con amore, ferite e morti contro morti e ferite i suoi soldati rendevano; per ultimo duolergli l'animo immensamente, nel vedere «che persone le quali seggono al posto di deputati invece di gridare contro di chi si ribella alla costituzione, gridano invece contro i soldati provocati».

A cosiffatti risentimenti del Generale si reagiva da taluni Deputati, affermandosi costituire essi una formale offesa alla Camera, chepperciò Poerio, consenzienti 56 Deputati, repugnanti gli altri, si recava a proporre, che in un ordine del giorno si dicesse, che la dignità della Camera non le consentiva di discendere alla discussione di quel documento indiritto al ministero, e passava all'ordine del giorno. Le quali cose fatte ad onta di un Generale, portavano un cattivo riverbero nella intiera milizia; sì che guari non andò, e ingrossati gli umori per altre cagioni, veniva fuori una protesta nella quale l'esercito formalmente dichiara vasi offeso da taluni Deputati, e si ponea termine dicendo, e perché i più di loro appartengono alla ribellione del 43 Maggio, e a quella delle Calabrie, e del Vallo, si dimanda che siano esclusi dalla Camera tutti i rappresentanti imputati, illegali, imputabili. Questa dimanda debbe essere soddisfatta, e quando non foste, l'esercito si appiglierà a quei mezzi che la necessità saprà imporre.

Ai quali detti forte s'inacerbivano i liberali, variamente tassandoli cosicché da queste percosse e ripercosse, in cambio di fecondarsi la concordia, maggiormente gli animi si dislegavano, i partiti via più si chiarivano, si guardavan biechi, forbivano le armi, e non altro aspettavano cho la occasione di soppozzarsi, e distruggersi a vicenda.

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Tali frutti preparavano allo sgomentato popolo quei novatori che afforestierati essendo, o viziosi in altro modo, duravano a spigliarsi dalla pania crudele delle intemperanze!

Posate le discussioni intorno al Generale Nunziante, molte altre per altri obbietti ne sorgevano. Una Commissione di Deputati distendeva, plaudente la maggior parte della Camera, un progetto d'indrizzo al Sovrano, il quale contenea la risposta al discorso già profferito dal Regio Delegato. Fu esso l'obbietto di lunghe e vibrate questioni; ma poiché fra l'altro, comprendeva una manifesta censura alle operazioni governative già fatte, un ritorno a varie cose che il Governo avendo schivato pel passato, non potea più vagheggiare senza involgersi in nuovi e rinascenti perigli; non era possibile che fosse accettato. Però ad evitare gli attriti, il Re prudentemente comportandosi, incaricava un Personaggio distinto affinché si fosse adoperato appo i Deputati per fargli temperare l'indrizzo in modo che Egli potesse accettarlo. Ma sebbene il Presidente e parecchi Membri della Camera si fossero calati alle reali ragioni, nondimeno la piupparte furono renitenti; sì che la concordia sempreppiù si dilungava dagli animi; e i Deputati contrastando al Principe, al Ministero, ed all'Armata si scavavano colle proprie mani il precipizio in cui sarebbero traboccati. La immoderatezza perdè l'ordine sino dal principio, e la immoderatezza continuava nello affoltamento di perderlo!..

Per la qual cosa guari non andò, e il Re decretava che» La sessione delle Camere Legislative aperta nel primo dello scorso mese di Luglio è prorogata per la discussione dei corrispondenti lavori al dì 30 Novembre di questo corrente anno». Il qual decreto partecipato alla Camera dei Deputati per mezzo del Ministro delle Finanze, ed a quel

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tolse il campo agli agitatori di sconvolgero in momenti trepidi la tribuna e il pubblico.

Frattanto i liberali procurarono di soffiare nel popolo, spargendo odi contro al Governo; sì che Napoli fa per brevi rumori conturbata. Ché di S. Lucia mossero delle torme di popolani con bandiera bianca. e manifestazioni ostili alla Costituzione; dall'altro lato altre plebee torme, alle luciane inimiche, si scontrarono nel quartiere Montecalvario, e stormendo, appiccarono una zuffa accanita, la quale per altro fu di tratto repressa dalla pubblica forza.


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CAPITOLO V.

ANTECEDENTI DELLA SPEDIZIONE MESSINESE.

Sommario

Le Camere Siciliane, compiuto lo statuto fondamentale del nuovo regno, onorano in singolar modo Ruggiero Settimo, e proclamano il Duca di Genova a loro Re. Delirii e Feste. Ferdinando II pubblica una protesta contro il nuovo atto. Una Deputazione si porta ad offrire al Sabaudo Principe la sicula corona; la quale vien rifiutata. In Napoli si prepara una spedizione contro la sconvolta Sicilia. Come nel parlamento britannico si condannasse la condotta di taluni Inglesi nelle sicule vertenze. Giustificazioni del Ministro Lansdowne. Discorso vibrato di Disraeli. Il napolitano governo partecipa ai Ministri Esteri le sua mosse guerriere sulla Sicilia. L'Incaricato della Repubblica Francese s'industria di opporvisi con una nota. Lord Napier fa lo stesso. Il Principe di Cariati non risponde. La Russia. minaccia contro ogni intervento. La spedizione è in pronto.

È ormai tempo che io riprenda il filo dei siciliani avvenimenti; poiché gravi casi erano vicini a svolgersi sulla contumace e sventurata isola. Fu narrato in qual modo il siculo Governo, non pago alle turbolenze interne, curasse di avventare il politico incendio nelle Calabrie e dargli fiato, e consistenza, ora cennerò, che nell'atto istesso in cui mandavansi ad effetto quei proponimenti non si preteriva la cosa essenziale ed importevole dello statuto fondamentale, che avrebbe dovuto reggere la nuova Monarchia; che anzi formò l'obbietto delle meditazioni, e delle discussioni di ambo le Camere, cosicché la Costituzione del 12 fu riveduta, modificata, e quasi totalmente rigenerata, nella quale sovrattutto era rimarchevole, che il Sovrano

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vi era considerato in una sfera angustissima, troppo disdicevole ad un Capo di una Nazione.

Intanto approvati tutti gli articoli della Carta fondamentale, si venne alla deliberazione di nominare un Re,che onoravano il Siculo Capo alla stessa guisa che gli Americani il celebratissimo Washington, emettendo il seguente decreto Ruggiero Settimo avendo immortale dritto alla gratitudine palermitana, gli è accordato a perpetuità

Il privilegio di ricevere da ora innanzi tutte le sue lettere franche di porto.

La seduta delle Camere Siciliane si potraeva a notte alta, non soffrendo l'animo che sorgesse la nuova luce senza Io splendore di un Re Siciliano; si che fra clamorosi e frenetici applausi veniva nominato a quel Trono il Duca di Genova, secondonato di Re Carlo Alberto. Approvata la proclamazione nella notte istessa si distendevano i due articoli del decreto: cioè i Il Duca di Genova figlio di Carlo Alberto di Savoja, re di Sardegna, è chiamato, come pure i suoi discendenti a regnare sulla Sicilia secondo la costituzione del 4848.

Assumerà i nomi e titoli di Alberto Amedeo Re dei Siciliani.

Il quale avvenimento fu al solito preceduto dallo arrivo di due Vapori Inglesi nelle palermitane acque, e destò allegrezze, deliri, e moti indicibili. II campanile di San Domenico a gran ressa festivamente squillava; io strade gli edifici pubblici e privati rischiarati da largito luminarie; gli abitanti con grida, gesti, parole in brio; nella ventura aurora innalzavasi la nazionale bandiera fra mille deliri e mille speranze sul castello che per ben cento ed una volta tuonò, e i navigli di Francia e d'Inghilterra salutarono con ventuna cannonata.

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Il Re, venuto a notizia di quest'altro atto sregolato, riserbandosi a miglior tempo gli opportuni spedienti, si limitava per ora a protestare ne' seguenti termini.

Visto il nostro allo di protesta del 22 Marzo 4848

Visto l'altro nostro atto solenne di protesta del dì 48 aprile 4848, col quale dichiarammo illegale, irrito, e di niun valore la deliberazione presa in Palermo il dì 45 Aprile 4848, perché lesiva dei sacri dritti della nostra real persona e dinastia, e della unità ed integrità della monarchia.

Essendo venuto a nostra conoscenza l'altra deliberatone presa in Palermo nel 14 Luglio corrente con la quale, violandosi il principio di unità, e d'integrità della monarchia, ed i sacri dritti della nostra reale persona e dinastia, è chiamato al trono della Sicilia S. A. R. il Duca di Genova, figlio secondogenito di S. M. il Re di Sardegna. Udito l'unanime parere del nostro Consiglio dei Ministri.

Dichiariamo di protestare, e col presente solennemente protestiamo contro l'atto deliberativo di Palermo del dì 44 luglio 1848, dichiarandolo illegale, irrito, nullo, e di niun, valore.

In frattanto il Duca dì Serra di Falco una con i Principi di S. Giuseppe e di Torremuzza, il Barone di Riso, e tre Deputati, si affrettavano a partire nel 21 luglio per Torino, onde offrire al piemontese Principe la sicula Corona; ma Re Carlo Alberto loro rispondea: Non posso accettare per mio figlio una corona, che appartiene di dritto al mio parente ed alleato Ferdinando li. Tornavansi disconclusi i Siciliani dalla missione, nella quale ardentemente si erano cacciati; un sentimento di trepidazione o cattivi presagi in tutta Sicilia seguirono; poiché mancato il valido appoggio della sabauda spada, l'edificio sarebbe più facilmente scrollato.

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Ed alla verità il napolitano Governo, tornata vana ogni trattativa di pace, schiacciata la rivolta nei dominii continentali, ingrossate le sue schiere, applicava l'animo a dirimer con le armi ogni quistione sulla sconvolta Trinacria. Intanto ciò non andava a sangue a taluni Agenti dell'Inghilterra, i quali scopertamente avean dato favore alla rivoluzione, sperando di emancipare da terraferma quella importante isola.

Se non che, fa luogo qui accennare, che se la condotta di taluni inglesi negli affari di Sicilia fu plaudita da coloro che erano travolti nel reo girone di quei tempi, ritrovò biasimo nello stesso grembo del parlamento inglese; in cui parecchi commende voli personaggi, squarciato ogni velame di passioni, vagliavan la cosa secondo i dettami del dritto e della ragione. Infatti lord Brougham instava presso il Ministro Lansdowne, affinché fosse richiamato un Fagan, pertinente all'ambasceria brittannica nel regno di Napoli, ove risultasse, che egli si era menato in Palermo per dire al Governo provvisorio, che l'Inghilterra stornerebbe dall'isola ogni protezione se fra 24 ore non si fosse proclamato il Duca di Genova a Re di Sicilia.

Sulla medesima interpellazione dopo qualche giorno si cacciava lord Stantey facendo spiccare il principio «che nell'evento di civile contesa (son sue parole) insorta in uno stato indipendente, sia che questa contesa fosse di natura da cangiare la dinastia esistente in tutto il territorio dello Stato, o riguardasse semplicemente una separazione di dipendenza, fosse sempre essenzialissimo dovere di ogni straniero paese di mantenere in tali circostanze la più assoluta e stretta neutralità, e d'astenersi da ogni intervento in una lotta d'un carattere affatto interna e domestica»: e continuando nel suo discorso il nobile Lord esprimeva il desìo, che si «dovrebbe stabilire come massima, che il riconoscimento di una rivoltata porzione di territorio non potrebbe mai aver luogo sin tanto

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che il potere del governo dominante fa travedere l'intenzione di perseverare nel disegno di ridurre all'obbedienza i suoi sudditi, avendo anche i mezzi di effettuare una simile sott

Nè a questo si rimanea l'egregio Oratore, ma si facea a domandare al Ministro, se l'Ammiraglio Comandante della squadra del mediterraneo avesse avuto istruzioni di attraversare in menoma parte il libero esercizio dell'autorità del Re di Napoli nello spedire un'armata in Sicilia affine di ristabilirvi i suoi dritti.

Al che rispondeva il Ministro, Marchese Lansdowne agognare innanzi ogni altra cosa, che si fosse sgomberata dalla mente della nobil camera la idea, che il gabinetto inglese avesse menomamente volto il pensiero alla separazione di Sicilia da Napoli: godergli l'animo nel potere affermare, che in tutte le discussioni intorno alle siciliane cose l'Inghilterra era stata o continuava ad essere in amicizia col regno di Napoli; epperò manteneva lo sue relazioni tra Napoli e Sicilia nello stesso piede in cui erano state sempre: l'unico oggetto di Lord Minto consisteva appunto nel promuovere l'adozione di quelle misure, sulle quali riposava l'unica probabilità di serbare quelle relazioni: potere assicurare, che fino dal momento in cui Sicilia avea spiegato un assieme di forze tali, che eran valevole fondamento alla indipendenza, il Governo di S. M. Britannica non si era rimasto dallo allontanare i pensieri repubblicani dall'isola, e farvi rifiorire i monarchici; né avea esitato di consigliare ai Siciliani, che volendo eliggersi un Re, non si appartassero dai principi italiani , ch'epperò era un' inganno ciò che si era detto intorno al Duca di Genova: infine riguardo alla condotta dell'ammiraglio Parker in Napoli, potere accertare, che la presenza della flotta non avea alcuna relazione con questi affari (??).

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Un discorso più franco, e vibrato facea il sig. Disraeli nella Camera dei Comuni addì 17 Agosto contro il pro

» 11 lord presidente del consiglio in un' altra circostanza ricusò di dare una risposta a simile interrogazione; e questi fatti furono ammessi dal primo ministro in altro luogo, cioè che noi siamo intervenuti negli affari della Sicilia solo per indicare a quel popolo le basi sullo quali la Sicilia sarebbe divenuta indipendente, la forma del governo che dovrebbe scegliere, la maniera nella quale dovrebbe esser fatta la scelta, e l'individuo che l'Inghilterra approverebbe come sovrano. L'intervento era completo per parte nostra».

» Signori, il sistema di finta mediazione, è il sistema che questo paese non dovrebbe incoraggiare.

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Il corso che il nobile lord à da percorrere, se desidera assicura

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to, e ci dette un altro nome per difendere il partito, ch'è spesso stato usato per descrivere il loro sistema. Signori, io conosco le stesse antiche circostanze, e perciò uso lo stesso nome. E un sistema che principia con fraternità, e finisce con assassinamento. E un sistema che comincia col predicare carità universale, e termina col fare uno spoglio generale. Signori, non m'importa qual sia l'individuo, se sia Ledru Rollin. Non posso riconoscere persone di quella sorte, come la nazione francese, o come quelle persone colle quali desidererei che il mio paese fosse in alleanza ed intendimento cordiale. Io, signori, sono persuaso che se il nobile lord segue questo sistema, sarà colui che renderà prestamente questo paese della stessa sua opinione. Il nobile lord può anche adesso agire in modo da ingrandire il suo potere, ed ingrandire anche la riputazione di questo paese. Potrà in questo secolo matto asserire i principi di giustizia pubblica in un modo che conviene ad un ministro britannico; e troverà allora che nessun bandito, qualunque sia la sua posizione, attraverserà le montagne o invaderà le città, quando saprà che l'Inghilterra è preparata per sostenere i principi di legge pubblica. Perché, signori, tanto in cose pubbliche, quanto nello private, è veduto assai, e sono sicuro che ogni onorato gentiluomo presente, sulla sua personale esperienza, à veduto abbastanza per convincersi, che niente può resistere alla maestà delle leggi, alla forza del vero, ed all'ispirazione dell'onore».

In quella che si maturava la spedizione sopra Sicilia, il napolitano Governo partecipavala a tutti i Ministri Esteri accreditati appo lui; dei quali alcuni erano plaudenti, altri dubbi. Fra questi il signor di Rayenval, incaricato del governo della Repubblica Francese, addì 28 Agosto scriveva a S. E. il Principe di Cariati, una nota del seguente tenore.

» Il sincero interesse che il governo della repubblica prende a tatto ciò che concerne la prosperità dell'Italia,

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ed in particolare dei regno di Napoli e Sicilia, mi à spinto in molte occasioni ad esporre a V. E. i voti del mio governo per una pacifica soluzione della quistione siciliana; voti ispirati tanto dai sentimenti di umanità, quanto dai motivi che lo àn condotto di concerto col governo britannico ad offrire la sua mediazione nel nord dell'Italia affin d'arrestare l'effusione del sangue».

» Il mio governo crede che un tentativo colla forza delle armi, il cui successo sarebbe problematico, non paolo che aggiungere delle difficoltà ad un conveniente aggiustamento. Non avrebbe meglio a profittare delle nuove probabilità che l'andamento degli avvenimenti nel nord dell'Italia offre alle misure conciliative? Io desidero di tutto cuore che una tal considerazione, diunita a quelle che à già avuto l'onore di sviluppare al governo di S. M. siciliana, Io invitino a rinunziare di ricorrere alle armi, adoperando in preferenza le vie della conciliazione. Non esito punto a dichiarare, che qualunque proposizione conducente ad una soluzione pacifica, non solamente sarebbe ricevuta con trasporto dal governo della repubblica, ma ne avrebbe pure il suo cordiale appoggio».

» Confido che V. E. comprenderà, che nella presento condizione dell'Italia il momento è propizio per un aggiustamento fra Napoli e Sicilia. Il duca di Genova à rifiutato la corona siciliana; l'esercito del Re Curio Alberto non esiste più; i siciliani non possono più contare su questo appoggio, ed evidentemente sono inquieti e scorati. Il loro vero interesse li spingerà dunque a far la pace con Napoli. L'unione di Napoli colla Sicilia è per i due paesi una condizione di prosperità e di forza; per la Sicilia è essa una condizione d'indipendenza. In quali modi questa unione potrà realizzarsi? Vi sono due estremi partiti, da una parte l'indipendenza assoluta, che la Sicilia pretende di ottenere, dall'altra la fusione di due corone con

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Fra questi due estremi esiste un mezzo termine che potrebbe accertarsi. Per esempio, un figlio del Re Don sarebbe ben accolto in Sicilia?».

» Ma il governo napoletano avrebbe da opporre molto obbiezioni ad una tal combinazione, e si nega di prestarvi la roano. In tal posizione à egli il dritto di ricorrere ad estremi spedienti adoprando la forza? Non à esso argomenti per credere che le ostilità ravviverebbero lo spirito di resistenza e di antipatia di razza, la quale come tutte le passioni, estinguasi quando non viene eccitata, ma si rianima quando si viene a toccarla? L'evento è certo? Sarà intero? Non è sottoposto a varie probabilità? Una spedizione può non andare a vuoto e produrre al tempo stesso pochissimo effetto? In tal caso essa addiviene un male; perciocché fa rivivere l'animosità dei siciliani, impedendo così il progresso della conciliazione. Se non riesce che in parte, essa desta la guerra civile fra una porzione della Sicilia e l'altra: risultamento questo deplorabile e per nulla adatto a preparare le relazioni che per l'avvenire devono esistere fra Napoli e Sicilia».

» Una spedizione non può avere che una favorevole sortita, e sarebbe nel caso in cui la Sicilia intera all'apparire della flotta napolitana distruggerebbe da se medesima tutto che à creato, sottomettendosi immediatamente a quelle stesse milizie, contro delle quali con tanta ira à combattuto ora volge poco tempo. Per una probabilità tanto problematica è prudente lo esporsi a tanti rischi, disconoscendo i vantaggi che potrebbe produrre una negoziazione?»

» Riguardo alle condizioni proposte dal governo napoletano, non sarebbe utile di cedere qualche cosa? E evidente che la fusione delle due corone è la più grande delle sue pretensioni, e che se si contenta di meno, potrà contare sull'influenza del tempo, sugl'interessi finora poco compresi per giungere poi ai grandi mutamenti,

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ed

» É inutile il far notare quanto la cooperazione dì queste due potenze ne assicuri il successo, e di quanto peso possa essere nella bilancia. I due governi occupati a pacificare l'Europa e l'Italia, si oppongono fortemente in principio per una spedizione militare, ed in conseguenza quali siano i loro sentimenti intorno alla quistione italiana, vi è luogo a temere che questi stessi sentimenti tornino a detrimento della corte di Napoli, se la spedizione à luogo».

» Uno dei vizi della spedizione si è quello che mentre dà una dubbia probabilità per ciò che riguarda la Sicilia, conduce certamente ad un cattivo risultamento per quel che concerne le due potenze. È di fatti più probabile, che il Re Ferdinando agendo ostilmente in Sicilia perda in gran parie quel concorso, che oggi troverebbe in queste due potenze, se prendendo in considerazione i loro desideri tenterebbe con modi pacifici raggiungere Io scopo, che cerca conseguire colla forza delle armi; avendo luogo una lotta in Sicilia, (a malgrado che la simpatia delle due potenze non possa manifestarsi, mentre essa dura, in favore della causa siciliana) il governo del Re è esposto ad aver bisogno di ricorrere alle due potenze, ed ove s'impromette qualche cosa dalla loro cooperazione, deve riflettere alle modificazioni che una spedizione militare in Sicilia, fatta loro malgrado, non può mancar di produrre nei loro animi».

» Le loro ottime disposizioni sono abbastanza note, perciocché trovansi più che mai meglio disposte, ed il loro buon volere potrebbe aumentarsi di più. La Francia, da sua parte si compiacerebbe nel pensare che l'unione

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ma se i voti del popolo siciliano non sono contrari a (al combinazione, non correte il rischio di rendere questa opposizione più violenta, senza costringere al tempo stesso la Francia a sacrificare la opinione sua ai voti del popolo siciliano?»

» Non v' ha mezzo di uscire da tal difficoltà? Non sarebbe possibile di sottoporre alle due potenze l'ultimatum del governo napoletano, e chieder loro, senza proporre una formale mediazione, se vogliono appoggiar questo ultimatum 1 Supponendo che questa dimanda non riuscisse, il governo napolitano avrebbe minor responsabilità, ed in seguito maggior libertà di azione».

» Riassumendo, le probabilità sono favorevoli per una negoziazione. 11 governo napoletano avrebbe sempre la libertà di accettarne o di rifiutarne le condizioni. Se il nord dell'Italia sarà pacificato, nulla verrà a mutarsi qui nella posizione degli affari. Se la lotta continua il campo rimarrà tanto più aperto. Lo ostilità al contrario, indipendentemente dalla quistione di umanità, non offrono di presente alcuna probabilità al governo napoletano; tutte lo probabilità son contro di lui. Esso deve correre la ventura di tutte le vicissitudini che accompagnano ogni spedizione; successi incompiati, guerra civile, accanita resistenza, odio ed esasperazione del popolo, ed in conseguenza una prospettiva molto più trista di quella che à ora d'innanti. Inoltre esiste la possibilità, e si può anche dire la certezza, di perdere le simpatie della Francia e dell'Inghilterra, e conseguentemente di diminuire i vantaggi del concorso, che il governo napoletano a causa degli avvenimenti potrebbe esser condotto a chiedere à queste due potenze».

Il giorno susseguente Lord Napier, a nome del Britannico Governo indirizzava anch'egli una nota al Principe

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Se non che, il napolitano governo nessun riscontro foco a tali note, e continuò a mandare ad effetto i suoi proponimenti; e veramente non si vede quale conciliazione poteva farsi o sperarsi con persone che giammai avean prestato ascolto alle ragionevoli trattazioni, e che tant'oltre si erano spinte, sobbalzandosi dalla costituzione alla indipendenza, alla detronizzazione, ed alla nomina di un altro Re? Assai meglio avrebbero benemeritato dalla Società, e dalla Umanità i sullodati Personaggi, se avessero vietato ai loro nazionali di riversare sulla sventurata isola i prodotti delle armerie e degli arsenali, o mostrato riprovazione alla sommossa, che pure si affidava nel loro valido appoggio. A tal modo veramente il sangue, le lacrime, il tutto, le sventure della guerra sarebbero state scarse o nulle! Né Messina, né Catania, avrebbero mostrato il seno lacero, arso, e sanguinoso!.

Intanto era manifesta la irregolarità di quello intervento, e nella istessa Inghilterra menossene rumore, ma le parole e gli scritti sarebbero tornati a vuoto se la spada Bussa non avesse poggiato le proteste contro qualunque intervento.

Per tal modo terminava col terminar di Agosto la guerra delle parole, e dei gabinetti, per dar luogo a quella dei fatti e dei campi. Il nembo sul procelloso Faro andava a scoppiare.


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CAPITOLO VI.

SPEDIZIONE ED OCCUPAZIONE DI MESSINA.

Sommario

Schizzo storico e topografico di Messina. I Siciliani, subodorato le regie mire, fortificano in mille guise con armi, domini, e munimenti Messina ed altri luoghi. I Napolitani vanno alla messinese spedizione con valida armata terrestre e navale. Cenno biografico di Carlo Filangieri, Comandante sapremo di quella guerra. Inutile proclama di pace. Primo Impeto dei Regi, contro la batteria delle Moselle. Furioso bombardamento fra la Cittadella e I forti siciliani. Messina da vasto e furioso incendio divorata. Sbarco delle milizie nella sponda delle Moselle. Mire e partizione dei Begii. Combattimento, e fatti atroci in Contessa. Conquisto di Campanarolungo. Caso orrendo nella divisione del Maresciallo Pronio. Il sopravvenire della notte sospende il combattimento. Tristo cumulo di miserie nel 6 Settembre. Schiusa appena l'alba del di vegnente si riaccende la guerra. Inutili trattative di pace. Porta Zaera. e l'Ospizio di 9. Clemente espugnati. Fiero combattimento della Maddalena. Le troppo vincono in tutte le posizioni, e conquistano la insanguinata e combusta città. Resa di Melazzo, del Vapore Vesuvio e di altri luoghi. La flotta sì ancora nel porto, e la truppa si accaserma dentro ta città. Lamentevole stato di Messina dopo la guerra Morti e Feriti. Dolce ricorda di militare pietà. Provvedimenti varii pel riordinamento dell'addolorata Città. Abbandono delle batterie di Torre di Faro. Mediazione Anglo-Francese. Sospensione delle ostilità.

Era ormai lunga pezza da che la infelice Messina rimaneasi oppressa e addolorata fra le ire della guerra. Dal tempo in cui la sollevazione vi si era chiarita e abbarbicata non sorgeva mai più per lei sereno il giorno, non più tranquilla ritornava la notte: una crudele e perenne vicenda

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di agitazioni, congiure, furori, sangue, terrore, e tutto, la teneva lacera ed intristita. Ma i trascorsi fati erano assai da meno di quelli, che il crudo destino aveale serbati, e che ora a gran calca, e a gran furia si

Sorgo Messina, e si dilarga in ampio anfiteatro sulle facili e verdeggianti colline, che prospettano gli ultimi fianchi dell'Appennino, e che son lambite dal vorticoso faro, nelle cui profonde viscere si giaccion sommerse le terre che gli opposti paesi riunivano. Fu nomata lande da una colonia cumana che la fondò, e Messana dai Messemi fuggitivi, dopo la seconda guerra di Messenia, dai quali venne ingrandita. Anassila tiranno dì Reggio se ne insignoriva nel 495, stabilendovi nuovi Messeni. Dopo due secoli presa dai Mamertini, era minacciata di esterminio dal secondo Gerone, Re di Siracusa, collegato coi Cartaginesi, quando quelli chiesero ed ottennero aiuto dai Romani, il che mosse la prima guerra punica. Sostenne in tempi men lontani un lungo assedio contro Carlo d'Angiò, dopo l'orrendo massacro dei siculi vespri: nel 1674 assediata dagli Spagnuoli fu libera per opera dei Francesi;disertata dalla peste del 1743, e scrollata dal tremuoto del 1783. Non poche borgate le fan corona, e scompartita in sei rioni, è stanza a meglio che 90 mila abitanti.

Per sei porte si entrava in Messina, appellate Imperiale, Nuova, Porta legni, Boccetta, Ferdinanda, o Real basso, delle quali soltanto le prime due esistono, e la mettono in comunicazione col vicino sobborgo Zaera. In riva al mare una strada si distende fino al Salvatore dei Greci, ultimo fabbricato, e di qui a Torre di Faro.

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La maestosa strada Ferdinanda le stà dietro, e parallela a questa l'altra denominata del Corso, la quale, di

A mezzogiorno di Messina, a 200 tese circa dal mare, si ergono le borgate di Contessa e di Gazzi, separate dal torrente bordonaro, i cui fabbricati si elevano ai lati della strada di Catania. La Chiesa di S. Nicola dei Gazzi, è anche chiamata Campanarolungo, perché si estolle molto in alto, e domina sulla regione. Dal lido alla strada regia per due sole vie si comunica, dette fiumare, perché son fondi asciutti di torrenti. Vien dopo il sobborgo S. Clemente, attraversato da una strada che accenna fino a porta Zaera,a sinistra della quale sorge l'Ospizio di Collareale.

La strada consolare divide il villaggio Zaera, e poco prima del convento della Maddalena si bipartisce accennando a porta Imperiale, e porta Nuova. Alla dritta di questa è la Chiesa della Maddalena, spettante ai Benedettini, la quale consegrata nel 1836, è sormontata da un duomo, ai cui fianchi s'innalzano due altissimi campanili, e torreggia su Messina, e sul vicino contado; il quale ricoperto di ameni giardini per circa uu miglio, corre fino alla spiaggia di Maregrosso.

Le antiche mura bastionate, tranne a settentrione, ricingono la Città, e verso mezzogiorno si profonda eziandio il fosso delle vecchie fortificazioni erette per cura del Viceré Conzaga, le quali contano i 13 bastioni di Porta Reale, S. Vincenzo, d'Andria, Bocca guelfonia, Torre vittoria, Spirito Santo, Porta imperiale, S. Bartolomeo, Mezzo Biondello, S. Chiara, e D. Blasco; e i due di Porta di legni. La Cittadella, di cui si è già parlato, sorge nel porto. Il quartiere di Terranova, che era fra i più popolati, smantellato nel 1674, forma uno spianato

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che corre in giro più di duo miglia, ed è posto fra Messina, la

I Siciliani e i Regi con egual furore all'aspra tenzone si preparavano. Cuoceva ai primi di coglier la vittoria, per compiere il fondamento di quell'edificio al quale con tanto ardore eransi adoperati; cuoceva ai secondi di raccoglierla affine di ristaurare l'onore militare, che ingrate circostanze avean prostrato; e di mozzare il capo alla sollevata idra, e sommergerla nei vortici del Faro.

Venuti appena i Siciliani nella certezza di una napolitano spedizione, grandemente si scommossero, e con tutta ressa ed alacrità si adoperarono ad osteggiarla. Tenuto consiglio intorno al luogo dove fosse plausibile uno sbarco dei Regi, eransi portati a credere, che avrebbero potuto mandarlo ad effetto nel lido di Melazzo, o in quello che s'incurva da Torre di Faro alla Città, o nell'altro che si distende fra io Moselle e la Cittadella. Epperò deliberarono di fortificarli tutti. Stabilite delle batterie a fior di acqua nella milazzese spiaggia; ristaurati gli alloggiamenti fatti dagl'Inglesi nei tempi del decennio; trincerato un campo ben largo; rinforzato il poderosissimo castello di Milazzo fatta provvisione di gran quantità di guerresche munizioni.

Dall'altra parte ersero molti fortini nel faro e lunghesso la spiaggia che si protrae fino alla città, e con cannoni di lunga portata intendevano ad impedire o travagliare il passo alle navi napolitano, le quali pertanto a schivare quei perigli rasentavano il calabrese lido, nell'atto che a loro tutela folgoravano i forti di Torre Cavallo, e di Alta Fiumara, i quali messi in luoghi opportuni sulla calabra terra, prospettavano, e dominavano le fortezze di Torre di Faro.

In fine altre batterie eran surte nell'ultimo lito, con le quali ad un tempo si percuotevano le opere avanzate

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In frattanto era chiaro, che il pondo della guerra si andava a riversare su Messina; epperò il siculo governo voltò l'animo a renderla forte e munita. Già per noi si è detto, che vari fortini o batterie erano state in vario tempo erette sui punti più culminanti della città, sulle sovrastanti colline, e da altri luoghi dai quali si potessero batter la Cittadella e le sue opere avanzate; ora soggiungerò, che nello appressarsi della guerra ben centoventi cannoni o trenta mortai eran parati a tuonare; che furon mandati in Messina uffiziali di artiglieria ed architetti militari, i quali aveano rinforzati e ristaurati tutti i forti, aumentate le batterie, costruite validissime barriera nello sbocco di tutte le strade, che mettono alla marina munendole di cannoni e di fossi, murate non poche porte della città, disposti opportunamente tutti gli edilizi per farsene schermo, ed in altri modi vacato alla fortificazione della città. Oltrearciò si era scompartita la guardia nazionale in tre divisioni, delle quali una mobilizzata, un'altra in riserva, e l'ultima sedentanea; né mancavano due reggimenti di truppe regolari, ed una formicante moltitudine, organizzata a squadre, o sciolta e provveduta di armi e di munizioni. Per ultimo era fermato, che ogni volta che i campanili stormeggiassero, tutti gli abitanti dovessero mettersi in guardia e difendere la patria, usando armi da taglio e da fuoco, liquidi bollenti, pietre ed ogni altro mezzo che potesse arrecar danno e morte al nemico. né si era pretermesso di armare dei legni sottili, e di scavare non poche mine. Giusta il rapporto del Comitato Messinese fatto a quello dì Palermo, Messina era difesa da 80 mila combattenti; Q veramente parea agl'intendenti delle cose militari opera piuttosto impossibile, che difficile, di recarsi alla occupazione del suolo messinese.

Impertanto il Governo di Napoli, inclinato l'animo lilla conquista della Sicilia, volgeva le prime operazioni su Messina, la quale in verità era di somma importanza;

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sì perché aveansi grandissimi vantaggi nella Cittadella, e nel porto; e sì perché rifletteasi, che ove i tempi col sopravvenire della rea stagione si rompessero, sarebbe stato, se non impossibile, certo difficile valicare il siculo stretto. Si mandarono pertanto in epoche diverse delle navi da guerra nelle acque di Reggio, dove stanziarono, non che vari contingenti di soldatesche per ingrossare la guarnigione della Cittadella; si ordinò alle milizie dimoranti in Calabria, che si rannodassero in Reggio; si appratirono non poche fregate a vapore e molti altri legni minori a vela ed a vapore, i quali, stipati di troppe, e di provvisioni, mossero ai 30 Agosto dal porto militare di Napoli per a Reggio, dove giunsero al 1 Settembre.

Parte delle arrecate milizie furono sbarcate nella Cittadella, e parte in Reggio, ove convenuti già i calabresi contingenti, si era fatta una grossa raunata di combattenti. La reggiana città formi cava di soldati, il vicino lido era gremito di ogni maniera di bastimenti. Tutta l'osto napolitana sommava a circa 15 mila individui, ed era capitanata dai migliori Generali. L'esercito era spartito in due divisioni, rette dai Marescialli Pronio (1)

(1) 1. Divisione -maresciallo di campo Pronio. Capitano Ceci, capo dello stato maggiore.

1. Brigata - brigadiere Schmid t II presidio della cittadella di Messina, cioè: 4.° di linea 9 compagnie: S.° di linea 4 idem: 6 di linea; 1 battaglione: Zappatori e pionieri 3 compagnie; Artiglieria 6 idem.

2. Brigata-brigadiere Diversi: Carabinieri 1 battaglione: 13.° Reggimento di linea 2 idem: 4.° Battaglione cacciatori 1 idem: 3 Svizzero 1 idem: Quattro cannoni di montagna.

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e Nunziante (1), o in quattro brigate ai cenni dei Generali Schmid, Diversi, Lanza, e Busacca. L'armata navale, comandata dal Brigadiere Cavalcante, componevasi di tre fregate a vela l'Isabella, la Regina, e l'Amalia; di sei fregate a vapore il Ruggiero, il Sannita, il Roberto, l'Archimede, il Carlo III, e l'Ercole; di due corvette a vapore lo Stromboli, e l'Ercolano; di cinque pacchetti a vapore il Nettuno, il Copri, il Polifemo, l'Antelope, e la Maria Cristina; di venticinque tra barche cannoniere e scorridoje, e di dodici barcacce ed altri legni paesani da trasporto. I cannoni di vario calibro che munivano tutti questi legni ascendevano a ben 246; e stava eziandio da parte dei napolitani la fortissima cittadella, con le sue opere avanzate.

Comandante supremo delle regie armi era S. E. il Tenente Generale Carlo Filangieri, chiarissimo nei fasti della patria nostra; sì che sarammi grato di destinare questa pagina della mia istoria a qualche fuggevole ricordo delle sue gesta guerriere. Sormontato appena il 18.° anno di sua età, andava nel 1802 da Tenente di fanteria a militare coi Francesi che stavano al freno dei Paesi Bassi, ed a guardia dello coste della Manica e dell'Olanda | minacciate dalla nemica Inghilterra. Quivi successo un aspro combattimento, nel quale egli, essendo di presidio con una mano di soldati sur un legno della flottiglia

(1) 3. Divisione - maresciallo di campo Marchese Nunziante. Capitano Bertolini, capo dello stato maggiore.

1. Brigata-brigadiere Lanza. Capitano de Werra, capo dello stato maggiore. Quattro compagnie del 5.° di linea: 7.° di linea 2 battaglioni: 1.°, 3.°, 5.°, 6.° battaglione cacciatori 4 idem. Quattro cannoni di montagna.

2. Brigata-Brigadiere Bosacca. Capitano Grenet, capo dello stato maggiore. Pontonieri 2 compagnie: Pionieri 1 battaglione: 3° di linea 2 idem: 3.° Svizzero 1 idem: 4.° idem 2 idem. Una batteria di otto cannoni di montagna.

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Batava, guidata dall'Ammiraglio Werbuel, pugnò valorosamente, e sebbene avesse infranta una gamba da una nemica scheggia, non si ritrasse dal conflitto se non dopo aver menato al porto il suo naviglio.

Risanato dalla grave ferita erasi ridotto a Parigi, deputato ad assistere alla incoronazione di Napoleone, donde si parti nel 1805 con quell'esercito meraviglioso, che dallo spiagge dell'Oceano, ove avea fatto impallidire l'Inghilterra, sobbalzando come fulmine da vittoria in vittoria, andò a cogliere palme non periture nei campi di Osterlizza. I bei fatti che in quelle memorande pugne il Filangieri commise, e le ferite riportate gli frullarono il grado di Capitano, avendo appena 22 anni.

Ajuiante di Campo del Generale Dumas, Ministro della Guerra in Napoli, nel 1806, fè parte dell'assedio di Gaeta, in cui virilmente propugnò le inglesi aggressioni dirette a incendiare il ponte di battelli disteso sul Garigliano. Nell'anno appresso portatosi in Calabria con l'esercito guidato dal Generale Reinier, distinguevasi nell'assedio del forte di Scilla difeso dagl'Inglesi.

Già chiaro per tanti o sì onorevoli fatti il Filangieri fu invitato a prender parto nelle orribili guerre di Spagna.. '

Nel 1812, ormai colonnello nel secondo reggimento di fanteria leggiera, partiva per la guerra di Russia, ma giunto a Firenze fu richiamato per propugnare gl'Inglesi, i quali sbarcati nei lidi del Principato Citeriore, minacciavano il reame.

Nel Luglio di quell'anno, nominato Maresciallo di Campo, guidava la vanguardia dell'armata napoletana che spingevasi a guerreggiare sul Po. E giunto a Roma, divisa la sua dalle altre brigate, occupava la Toscana, e attraversata poscia Bologna, si fermava in Ferrara, spingendo una porzione dei suoi fino alla riva, destra del Po.

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un lungo tratto di paese da Ancona a Rimini, ebbe a fare, che in Ferrara non si Cacciassero ne' Tedeschi ne' Francesi, poiché non ancora si era chiarito chi si dovesse contrastare, e chi favorire con le sue armi. Il laudevol modo con che erasi egli comportato in quelle malagevoli circostante lo spinse al grado di Aiutante di Campo del Napoleonide che reggeva queste nostre provincie 5 e poco poscia a taluni importantissimi negozi a Parigi, a Vienna, ed in Milano presso il Maresciallo Bellegarde.

Usciva di nuoto in guerra il Filangieri nell'Aprile del 1815 contro gli Alemanni retti dal Cenerai Bianchi, i quali già si erano avanzati fino al Panaro, e posti al possesso del ponte di S. Ambrogio, che affortificavano con monimenti ed armati. Conveniva espugnare il ponte, Un Generale straniero, a quella impresa destinato, si denegava per codardia, il Napoletano Maresciallo si esibì tostamente a prenderla i accettata la generosa offerta, ordinava egli il modo dell'assalto, e postosi alla testa di scelto nervo di Lancieri avanzò animosamente contro il nemico, ma tradito da quel Generale, che amò piuttosto disonorarsi che seguirlo, si trovò tutto solo nella opposta riva con pochi dei suoi cavalieri in mezzo al tempestoso trarre del nemico, il quale maravigliato vedea commettere l'inegualissimo assalto.

Intanto grondande sangue per quattro colpi di fuoco, e semivivo, giacevasi in mezzo ai suoi prodi ago Rizzanti o spenti, e in tale stato era menato captivo, allorché il Napoleonide si spingeva con la sua colonna a trarlo in libertà, e già essendo in volta gli Alemanni, gittarono in un fosso semivivo il napolitano duce, il quale rinvenuto, ebbe io quel punto istesso il grado di Tenerne Generalo.

Qui finiscono lo gesta guerriero del Filangieri, ma non i fasti della sua vita, ampia ed onorata materia della sua biografia.

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Le siciliane rivolte pertanto davano opportunità, che agli antichi altri lauri si aggiungessero, si come saremo per dire.

Ridottosi in Reggio il Duce sapremo, prima di ve» «ire allo sperimento delle armi, tentò l'animo dei Siciliani con un proclama del 1. Settembre, nel quale andava ricordando le sventure passate, i pericoli della guerra, ed invitava tutti perché si rendessero alla obbedienza e piegassero gli animi alla pace, poiché, assicurante lui, ogni piaga si sarebbe molcita, ogni ferita risanata. Pertanto le benigne voci in mezzo al tumulto delle passioni, e fra gli apparecchi guerrieri non furono ascoltate; si che convenne dar di piglio alle armi.

Era intenzione del Generalissimo di operare lo sbarco sulla sponda delle Moselle, affinché avesse potuto far concorrere al combattimento l'agguerrita guarnigione della vicina Cittadella; e siccome i Siciliani aveano eretto una batteria allo sbocco del torrente Zaera, la quale mentre percuoteva il forte D. Blasco, poteva eziandio percuotere le navi che vi si appressavano; così abbisognava in primo luogo smantellarla. Per tale oggetto in sull'annottare dei 2 Settembre furono dati ordini opportuni ai Comandanti di vari legni a vapore ed a vela, in concordanza di altri già dati al presidio della Cittadella.

Oltrepassata appena la mezzanotte, salparono dalla rada di Reggio le fregate a vapore il Ruggiero, il Sannita, ed il Roberto, ed il piroscafo la Maria Cristina, e abbrivarono lentamente per la Cittadella, tirando a rimorchio sedici cannoniere, le quali al far dell'alba si disponevano in due linee a scacchiera di rimpetto, e lateralmente alla sicula batteria; rimaneano in seconda linea le tre fregate a vapore, ed in rctroguardo la fregata a vela la Regina, rimorchiata da quella a vapore il Carlo III.

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Intanto era chiaro il giorno, e nessun movimento sì faceva nel forte delle Moselle; forse perché i Siciliani credevano che non incominciasse a scoppiare in quel luogo la tempesta, o che quella fosse una spedizione di scoverta. Tutto era placido e tranquillo, ma di una quiete minacciosa, allorché intorno alle 5 a. m. Il Ruggiero ruppe il silenzio con una cannonata; e di tratto le preparate prue irruppero con un fuoco vivo e nutrito contro la moselleso batteria, la quale, percossa da un lato dalle artiglierie di mare, e per t altro dalle opere avanzate della Cittadella proseguì a tacersi, come si era fin dal principio taciuta.

Non si tacquero però gli altri forti siciliani; ché appena veduto lo scoppio dei fuochi dei Regi, inalberata bandiera rossa, incominciarono un cannoneggiare crescente, rabbioso contro la Cittadella, la quale con pari rabbia e valore rispondea. Ed ecco in un istante ingombrarsi il messinese ciclo di denso fumo, illuminato continuamente dai lampi delle artiglierie; rintuonare quelle valli orrendamente per lo scoppio dei mortori, e dei cannoni; scuotersi i ' aere per ogni dove; mutarsi infine in un istante quella scena di quiete in una scena di guerra orrenda, terribile, furente.

Durava da due ore il trarre dei nostri contro del forte delle Moselle, quando la fregata Regina fè segnale al Roberto di eseguire la commissione avuta; ossia quella di innalzare nell'albero di maestra la bandiera Russa, e passare alla più breve distanza possibile dalla Cittadella, affinché la guarnigione nello scorgerla facesse una sortita per finire di sguernire il forte, e per addentarsi nello terre messinesi. Incontanente il Roberto innalza la convenuta bandiera, e si spinge nel luogo del pericolo, dove

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In quella che le milizie terrestri facevano queste operazioni, le navali continuavano a scorrere lungo la sponda tirando nella vicina campagna affine di snidarne i rivoltuosi. In questo movimento, essendosi il Roberto spiato oltre, fu tirato da una siciliana scorridoja, che era stata portata a terra; epperò fu spedita una lancia per impossessarsene; in un attimo gli snelli marinari sono vicini al lido, e si slanciano sul nemico navicello; lo vuotano delle provvisioni di guerra, o di ogni altra masserizia; quando da un muro contiguo partono ai loro danni delle fucilate, le quali tosto si tacquero per gli orribili tiri a scheggia che il Roberto prestamente fece.

Intanto il Colonnello Rossaroll, raggiunti i proponimenti prefissi, riducea le sue genti nella Cittadella menomate di un soldato morto e di alquanti feriti. La squadra, eziandio raggiunto dal suo canto quello che si era stabilito, preso il largo dirigendosi per Reggio, e rimanendo alcune cannoniere vicino alla Cittadel

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Terminarono così le ostilità dalla parte di mare verso la metà del giorno 3 settembre, ma non quelle della Cittadella, e dei forti sovrastanti, che anzi con maggior calore e rabbia scambievolmente si tempestarono pel rimanente del giorno, di tal che non la stanchezza, non il bisogno di rifocillare la vita, ma il sopravvenire della notte, mise sosta, non termine al combattere.

Ma ormai quietato il fragore della orrenda giornata, e dileguato il fumo dalle farine brezze, uno spettacolo più terribile offrivano gl'incendi di varie case messinesi; i quali già si eran facilmente preveduti da tutti, perché non era possibile che la infelice Messina in mezzo a tanta ira di guerra non patisse: invero, fra le migliaja di bombe briccolate dall'una e dell'altra parte, talune screpazzavansi per via e quindi incendiavano i luoghi dove quei divampanti sprazzi cadevano. Gl'incendi non eran pochi; si spegnevano in un luogo, si riaccendevano in altri; qui erano smorti, là rinvigoriti e vivi per le aura che soffiavano e pel molto combustibile; le fiamme s'innalzavano giganti in taluni punti e guizzavano per l'aere, La notte avea sopite in parte le ire, ma ne rimaneano le conseguenze funeste nella infelice Messina.

Dissi in parte perché nel corso della notte vi furono due accaniti fuochi Accadde uno verso le 10 p. m. o l'altro 3 ore dopo la mezzanotte. Si scorgevano nel bolo le linee e le direzioni degli spari, il corso delle granate; si udiva il fitto scoppiettio della fucileria interrotto spesso dal rumore delle artiglierie.

Corsero varie voci intorno a questi fuochi. Si disse che in Messina vi era un partito regio, il quale ormai

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era ito a rumoreggiare sulle linee nemiche, avealo sorprese, e in ultimo avea ridotte le sue genti nella Cittadella, lasciando al nimico non pochi danni, e seco portando parecchi cannoni.

Rompea appena l'alba del giorno 4 Settembre, e lo parti avverse ritornavano al combattere. Infuriavano i cannoni dei Siciliani, infuriavan quelli della Cittadella. La giornata fu più orrenda e più trista; perché gl'incendi si protassero non pure, ma si moltiplicarono; e perché il tempo da sereno e buono divenne nuvoloso e cattivo; cadde la pioggia non dirotta ma neppure scarsa, sovrattutto nelle ore di vespro; il vento si fe' gagliardo; cosicché un singolare accordo offrivano lo avversità del cielo, e quello degli uomini. Pertanto, sopraggiunte le tenebre della notte quietarono i bellici rumori; ognuno diè riposo alle stanche membra per risorgere con maggior vigore alla pugna., 11 tempo al cadere della notte crasi abbonito, cosicché l'alba del giorno 5 Settembre non ritardò, espuntata appena si ripreso il combattimento dei forti e della Cittadella col solito furore. Muovi incendi non mancarono di svolgersi, i quali aumentavano senza modo l'orrore di quella guerra furibonda. Come annottò si sospese il combattere. La infelice Messina era da tre giorni straziata, divampante, piena di orrori; eppure sorti peggiori le aveano i Cieli riserbate nel dì venturi.

Il Tenente Generale Carlo Filangieri nella sera dei 5 Settembre, convocati tutti i Comandanti dei bastimenti a vela ed a vapore, e dei vari corpi dell'esercito, diede loro le opportune disposizioni per lo sbarco delle milizie sul lido delle Moselle, e perle operazioni sussecutive intese alla oppugnazione ed al conquisto di Messina. Al

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I Siciliani, che dalle coso operale nella mosellese sponda, avevano penetrato in parte le intenzioni e i disegni del Generalissimo, non avevano mancato da parte loro, per quanto la brevità del tempo e le altre circostanze il consentivano, di render forti e muniti tutti quei luoghi pei quali le regie truppe sbarcando nelle Moselle avrebbero dovuto passare per menarsi nella città. Avevano pertanto in tutta fretta aumentati e moltiplicati i raggi delle mine, portati parecchi cannoni di lungo tiro in luoghi più vicini al lido, ordinato di caricare sforzatamente i cannoni degli altri forti per colpire il luogo dello sbarco, disseminata la vicina campagna,e stipate le case le chiese i monisteri e i campanili di gente armata, messi due reggimenti regolari di scelti e giovani soldati nelle vicinanze del lido, fatti nascondere dei feritori dietro i muri dei giardini, infine operato in modo che i regii o non potessero spingersi innanzi affatto, o spingervisi con gravi perdite e gran sangue.

Volgeva la notte dei 5 Settembre al suo termine, quando tutta la napolitana flotta, già stivata delle milizie, salpava e muoveva pel designato luogo. Le acque del Faro eran solcate dalle regie prue; le fregate egli altri legni a vapore, traevano a rimorchio gli altri legni e le fregate a vele. Già era sorto il giorno 6 Settembre; già una furia di cannonate si vibravano a vicenda la Cittadella o i forti Siciliani, quando la squadra si approssimò alla costa delle Moselle, e si dispose in due file, prolungandosi a mezzogiorno della Cittadella; delle quali una formata dai legni sottili era vicinissima al lido, e l'altra composta dei Legni Maggiori discostavasene tanto quanto le nautiche circostanze permettevano. Lo Stromboli, corvetta a vapore comandante fu' segnale alla squadra che si aprissero i fuochi sulla vicina campagna, e dato esso medesimo principio con una cannonata, in un momento tutte le navali artiglierie

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scoppiarono sfolgorando sulla vicina regione, onde sgombrarne il nemico. Percosso il piano dallo cannoniere, percosso le collino e gli edifizì dalle bombe delle fregate a vapore, percossi gli altri luoghi dai fianchi delle fregato a vele, non rimanea punto dell'agro messinese incolume da quella fitta gragnuola di orribili proiettili. Sbrancati, disvelli o spezzati gli alberi; scossi o diroccati i muri che assiepavano le ville, sfondate le tettoje, smantellate le campestri casipole, sgretolati i forti palagi, disseminato tutto il contado di orrore e di spavento, parea che anima vivente non dovesse più albergare in quella funesta regione; eppure i Siciliani, confirmati nel coraggio e stizziti nella ferocia, schermendo quella tempesta con ascondersi in luoghi opportuni, aspettavano impavidi il nemico.

Pertanto scoppiali appena i fuochi della squadra i Siciliani drizzarono il loro furore contro di essa; cosicché i soli cannoni ai quali era impossibile di tirare fino alle Moselle rimasero a sostenere il combattimento con la Cittadella, gli altri furono adoperati a quel fine. Lo palle rumoreggiavano spesso a traverso. il sartiame delle navi, o cadevante vicino con orribil tonfo, spruzzandole delle scommosse acque; ma volle il Cielo che in tanta moltitudine di legni nessuno soffrisse; solo la fregata Regina fu percossa in uno dei pennoni da una palla.

Il navale cannoneggiare incominciato con impeto alle 7 e mezzo a. m., elassa un'ora, si andò man mano minorando, e i bastimenti presero altre posizioni per eseguire lo sbarco. Bello era osservare quella nautica operazione. I legni sottili si scostavano dal lido per far luogo a quelli che eran carichi di milizie, e si distendevano a mezzodì per tempestare i punti dove si mostravan segni di movimento. Eran quelle acque solcate da una moltitudine di barcacce, di lance, di battelli, i quali scor

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e di munizioni, che tosto sbarcavano nel vicino lido, e dopo ritornavano al loro ufficio. Sgravati i primi legni dalle milizie, si allargavano, dando il luogo agli altri per fare lo stesso, e discorrevano per quelle acque proteggendo lo sbarco. Tutto in quel luogo era movimento e vita ed operosità. Le milizie dalle 8 1|2 a. m. fino all'1 p. m. sbarcarono..

Mandata a compimento questa parte delle militari operazioni, ossia Io sbarco, rimaneane un'altra ad eseguirsi più importante e difficile, cioè la espugnazione di Messina. Chiunque avesse preso a considerare lo stato di Messina, non avrebbe potuto sconvenire, che il nerbo della sua difesa consistea precipuamente nelle fortezze del Noviziato, di Matagrifona, di Torre Vittoria, della Vicaria, di Mezzomonnello, di Andria, della Maddalena, di Real Alto, di S. Chiara, e di altri luoghi, erette, come si accennò di sopra, nei punti più opportuni. Per la qual cosa era evidente, che colui che fosse riuscito ad espugnare quelle terribili batterie, si avrebbe senz'altro recato in mano il possesso di Messina. A questo intendimento Volse, a quanto parve, la sua mente il Generalissimo, e ad esso mirarono segnatamente le disposizioni per lui date. Però non è a tacere che gravi difficoltà conveniva superare, e moltissimi ostacoli abbattere per giungere a tal fine. Le vie che menavano ai forti brulicavano d'armati, e d'armati erano stivate le case, i monasteri, i campanili, dai quali avevasi il vantaggio di tirare al coperto delle offese nemiche: le strade erano state disselciate, spezzate, o ingombrate di terra e di pietre, o intersecate da fortissime barricate: d'altronde a cagione della difficoltà naturale dei luoghi le artiglierie portatili mal poteano essere trasportate; cosicché non altro rimanea che assaltare i Forti con la bajonette e conquistarli, operazione ardua, sì, ma unica per la salute delle armi napolitano.

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Tutta l'osto fa scompartita in vario divisioni, delle quali una comandata dal maresciallo Nunziante, era destinata a farsi strada ed operare sui monti e sulle colline che sovrastano e ricingono Messina, e poscia divallarsi sulla città e giungere a Porta Imperiale nel momento che sarebbevi giunto il maresciallo Prooio. La seconda capitanata dal Generale Busacca, dovea spingersi dentro la città per Porta di Legno, affine di attaccare i Forti che vi corrispondevano. La terza diretta dal General Zola, era intesa ad aprirsi il passo per Porta Nova, e riuscire alle spalle delle fortezze di S. Chiara e di D. Giovanni di Austria. La quarta, che obbediva al Maresciallo Pronio, dovea uscire dalla Cittadella, ove stanziava, e senza farsi scorgere, spingersi a traverso dei vani praticati dai Messinesi nel muro posteriore della Caserma di Terranova, e del vicino Monistero di S. Chiara, e giungere per l'interno al coverto dei fuochi delle sovrastanti batterie del Noviziato fino a Porta Imperiale, dove, come si è or ora cennato, sarebbesi incontrata con la divisione del maresciallo Nunziante.

Disposte presso a poco in tal maniera le cose, andavano i soldati con indicibile ardore alla pugna. Siccome prima a mettere il piede a terra erano stati il 1 e 3 battaglione dei Cacciatori, cosi essi furono i primi ad impegnare l'attacco, affin di proteggere la composizione e Io svolgimento della intera colonna. Le prime compagnie si spinsero in ordine aperto nei vigneti e nei giardini, ed in breve pervennero al muro che, assiepando questi, li separa dalla strada consolare che da Catania mena a Messina; poiché era stata opinione del maggiore Pianeti di profittare del primo impeto dei soldati per impossessarsi di Contessa, piccola borgata che resta sulla strada mentovata. Una spessa grandinata di palle che usciva dalle innumerevoli feritoje degli edilìzi, imperversava sullo compagnie, quando, avvisato il Generale Lanza del pericolo,

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furono

In tal circostanza accaddero fatti atroci, che la storia vuol palesati per Io esatto giudizio della civiltà dei nostri tempi. I cacciatori avevano occupate non poche case del mentovato paesetto, dove virilmente combattevano; ma qualcuna di esse, assalita ed espugnata dai Siciliani, fu teatro di scene crudeli, perché questi impadronitisi dei soldati, con efferato coraggio e studiata crudeltà gli deridono, gli martirizzano, gli smembrano, distribuendo alla contrastante gente le desiderate membra, le quali tuttora calde e sanguinanti sono in un attimo portate in segno di vittoria dentro Messina e per via addentate e masticacchiate, cosicché, intrise di umano sangue le labbra umane, eravamo serbati dai fati maligni a vedere riprodotti sotto al mite cielo d'Italia e nel secolo della civiltà gli orribili bagordi dei cannibali. I quali pertanto saputi e divulgati nell'esercito aggiunsero sensi di vendette ed offese alle naturali offese e vendette proprie delle armi. t Non andò guari ed il combattimento impegnato in Contessa si estese sur una linea lunghissima; imperciocché il Duce Supremo, intese le mosse che si operavano nello straziato villaggio, spedì dapprima il 3 ed il 5 Cacciatori sulle ali del primo battaglione, e poscia fece avanzare tutte le divisioni, le quali ormai si erano organizzate compiutamente. Irruppe tutta la colonna sul luogo contrastato «tosto se ne impossessò. Contessa arsa, rossa di sangue, e sparsa di cadaveri, offriva le prime e terribili orme della guerra. Occupata Contessa, la colonna volse il passo per Messina, ma giunta appena a Campanarolungo, incontrò una grave resistenza; imperciocché i Siciliani vi si erano ben bene fortificati.

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Aspra fu questa set onda battaglia, ma i soldati trionfarono. Lo morii, le ferite, le arsioni furon molte.

Conquistato Campanarolungo, la colonna procedé innanzi; i Siciliani scampati a quell'ira di guerra presero le alture, dove furono inseguiti, e mantenuti in rispetto dai cacciatori, e dalla divisione destinata pei monti o per le colline. Tutte le milizie intanto combattendo sempre, si spingevano innanzi, eseguendo ognuna le rispettive missioni, quando accadde una circostanza, da ricordare, alla divisione del Maresciallo Pronio.

Verso lo 5 p. m. di quel giorno, avuto costui il segnale stabilito dal Generalissimo, usciva con 7 battaglioni, e si recava in mano le caserme di Terranova, procedendo a traverso di una tempesta micidialissima di schegge, di tiri curvilinei, e di fucileria. Una mano di 130 scelti soldati aveva occupato l'edilizio di Porto Franco, ed era intesa a proteggere la colonna nella sua dritta. La compagnia dei Pionieri incontanente ponea mano a forare il muro della caserma per passare in S. Chiara; poiché l'antico vuoto era stato murato con una fabbrica 5 palmi spessa. Già il lavoro era al suo termine, già era per giungere il desiderato momento d'irrompere e di allontanarsi da quel pericolosissimo luogo, in cui molti morti e feriti si noveravano, quando verso il tramonto del sole, briccolata dal nemico una bomba da 12, e caduta nella caserma di Terranova in mezzo ai battaglioni, e segnatamente fra duo compagnie del 6 di linea, si crepò, accese le polveri che esse tencano nei sacchi a pane, e produsse ferite, scottature, morti, confusione, ed altri danni.

Questo grave incidente, l'ora larda, l'imbarazzo dei molli feriti, lo scompiglio generale dei soldati, la probabilità di un tristo esito, marciando di nottetempo in terra nemica, determinarono il maresciallo Pronio a far rientrare le sue genti in Terranova ed in Porto Franco.

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Intanto, sopraggiunta la notte, Il Generalissimo ordinò, che le truppe sospendendo qualunque movimento, prendessero posizione. Invero i corpi che formavano la colonna principale serenarono sulla strada consolare e nei giardini prossimani, a poca distanza dall'ospizio di Collereale e della formidabile batteria, con cui erasi barricata Porta Zaera; tutti i battaglioni dei Cacciatori sulle colline o sui monti; ed i soldati del reggimento Marina sulle arene del lido delle Moselle, ove aveano il debito di guardare la strada consolare, affinché la colonna fosse sicura da quel lato, e di prender pietosa cura dei feriti, raccogliendoli, e convogliandoli fino al lido, donde per mezzo delle lance erano portati sul vapore Capri, e poscia all'ospedale di Reggio.

Tali furono nella somma gli avvenimenti del giorno 6 Settembre, ai quali mise termine il sopravvenire della notte. Nessuno si pensi che siavi stato un altro giorno, più di quello ricordevole per casi miserandi, per atti di ferocia, e per orrore di guerra. Le vie disseminate di morti e di morenti: i cadaveri di varie età, di varie specie, perché non pure uomini, ma asini, cavalli;, cani, gallino ed altri animali casalinghi si vedeano distesi a terra; quasi un turbine devastatore avesse colà sbrigliati i suoi furori ed ogni vivente spietatamente mietuto: i morti giacenti in attitudine strana con viso tuttora torvo ed aspro, quasi lira fosse stato l'ultimo anelito della vita: individui testé nemici, ora prostesi nello stesso luogo e da comune sventura uguagliati; gli effetti delle armi svariati, strani, innumerevoli, per quanto il caso e gli strumenti del ferire svariati; membra infrante, o strappate; corpi contusi, o forati, o mutilati, o schiacciati, o arsicciati; il suolo bagnato di sangue; le ville devastate; gli edilizi distrutti dalle fiamme, o tuttora divampanti, o crivellati dalle palle; tutta la Città immersa nello spavento;

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gli abitanti fra i gemiti traevano chi nella campagna, chi

Né la notte poté fare disparire colle tenebre tutti i segni del terribil giorno; poiché, in mezzo ad un alto ed universale silenzio, e ad una folta oscurità, osservavasi Messina non presa da un incendio, ma avviluppata in un inferno che rendea massi spaventevoli di fiamme che riverberavano nelle vicine colline, e globi immensi di fumo che s'innalzavano nell'atmosfera. Pertanto le miserie di Messina non ebbero qui termine, ben altre avrommene a narrare.

La notte del 6 Settembre non si passò quieta nei campi. 1 Cacciatori furono bersagliati da impetuoso fuoco di moschetteria, che scaturiva a quando a quando dagli edilizi e da altri luoghi: gli altri corpi dell'armata ebbero anche qua e là diversi urti; staccatamente udivansi benanche gli scoppi delle artiglierie dei forti, e il corso curvilineo di qualche granata solcava il bujo. La piùpparte di questi fuochi fu fatta dallo parti avverse, per tenersi scambievolmente in rispetto; ma nessuna azione d'importanza fu tentata. I preparativi però non mancarono, soprattutto da parte dei Siciliani, i quali fecero una grossa raunata sulle alture che sovrastavano alle posizioni della truppa per assaltarle nel far del giorno. La flottiglia continuò a mantenersi lungo la spiaggia per esser pronta a tutti i bisogni delle milizie,

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tranne le fregate a vela la Regina, l'Isabella, e l'Amalia, le quali rimorchiate da treReggio.

Declinava al suo termine la notte dei 6 Settembre, e nei campi si preparavano alla pugna; di tal che, schiusa appena l'alba, si venne alle mani in tutte le linee e le posizioni nemiche. Le masse rassembrate sulle alture delle colline e dei monti, urtavano con vivo fuoco di moschetteria le milizie sottostanti, le quali alla lor volta si spingevano innanzi, inerpicandosi per quei sentieri alpestri e difficili, e giungevano a snidarne il nemico, impadronendosi di tutte le creste dei monti e delle casine che vi erano. Un altro fuoco impetuoso usciva dalle finestre, dalle tettoje, dai balconi gremiti di materassi, dai vani artificiali praticati nelle mura degli edifizi, né i forti fulminavano con minore impeto dei precedenti giorni; perché molti colpi eran diretti nelle file dei soldati. A tali furie dei Siciliani rispondevano mirabilmente i regi, si combatteva aspramente in tutti i luoghi; i moschetti, i cannoni, i mortari producevano un rumore orribile di guerra, e ferite e morti innumerevoli.

Le quali cose mossero l'animo dei capitani di vascello Nonay e Roob, dei quali il primo era comandante della stazione francese in Messina e del vascello l'Ercole, ed il secondo comandante della stazione inglese nella medesima città e del vascello il Gladiatore. Essi alle 4 a. m. del giorno 7 mandarono al Tenente Generale Filangieri, per mezzo del maresciallo Pronio una lettera in francese, che italianamente suona così:

» A bordo del vascello l'Ercole innanzi Messina li 7 Settembre 1848 alle 4 del mattino - Al sig. Generale in capo dell'esercito del Re di Napoli innanzi Messina.

GENERALE.»I legni da guerra inglese e francese non possono più ricevere famiglie messinesi che fuggono il sacco e la rapina di cui si credono minacciate.

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» È però che in nome del Dio della Misericordia i

» I sottosegnati offrono i loro rispetti e l'assicurazione dell'alta stima, che professano pel Generale incapo.»

Ricevuta questa lettera, il Generalissimo in cambio di rispondere in iscritto, credette più opportuno di mandare sul vascello francese l'Ercole il tenente colonnello Picenna, capo del suo stato maggiore, onde manifestare al comandante Nonay, che egli sospenderebbe incontanente le ostilità, purché i Siciliani le avessero pria sospese col proponimento di sottomettersi al loro legittimo Sovrano; in contrario proseguirebbe a combattere insino al punto in cui tal sommissione si fosse compiutamente ottenuta.

Il Picenna si portò immediatamente nel designato luogo, dove erano anche ricoverati tutti i membri del Potere esecutivo di Messina; epperò si ebbe la opportunità di far loro conoscere le cennate condizioni. Essi pertanto, mandarono al Generalissimo un foglio, sul quale erano abbozzato del tenor seguente le Basi della capitolazione.

» 1. I regi si abbiano di fatto il possesso della città.

» 2. La quistione governativa rimanga a decidersi dal Parlamento.

» 3. Siano rispettati in tutta la estesione e senza eccezione alcuna l'onore, la vita, la libertà personale o le proprietà.

» 4. Restituzione de' prigionieri, reciprocamente, che forse si saran fatti».

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Il comandante Nonay, consegnando questo foglio nelle mani del Picenna, disse esser egli anticipatamente pers

» Signor Comandante. Qui sopra è la copia delle pretese basi della capitolazione, che il mio capo di stato maggiore mi fa tenere da parte vostra. Il mio dovere o l'onor militare mi vietano di accettarle; il che anche voi fareste.

» Io colgo questa occasione per ringraziarvi, insieme al vostro collega, della vostra mediazione amichevole! sebbene disgraziatamente infruttuosa».

Mentre queste trattative si facevano, già si combatteva in tutt'i punti, e la fortuna delle armi siciliane declinava. I Cacciatori continuavano a tener fermo sulle alture donde aveano fugato l'inimico, ed a fiancheggiare la colonna principale, la quale operando con immenso valore si recava in mano l'un dopo l'altro tutt'i forti, in cui la difesa di Messina consisteva.

La poderosa batteria di Porta Zaera, assaltata impetuosamente, cadde nelle mani dei Napolitani. Egual sorte ebbero altre batterie. né resistettero gran pezza quelle case, dalle quali faceasi fuoco vivissimo. l'Ospizio di S. Clemente, donde si tempestava l'8. fucilieri del 2.° reggimento svizzero, fu assalito furiosamente, e scardinate in un istante le porte, furon presi e massacrati tutti quei che vi erano. Da questo edifizio fu scorta una barricata munita di 4 pezzi di artiglieria, che fulminavano sulla colonna principale; e la medesima 8.» incontanente le diè l'assalto, trucidò i difensori, e il capitano di essa fè chiodare 3 pezzi, e per mezzo di alquanti soldati trasportò con sé il 4.° pezzo denominato l'Amalia, il quale fa dirizzato utilmente contro dei nemici.

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Un altro grosso cannone di ferro fuso, che muniva una barricata fatta sul ponte, fu preso e chiodato.

Né la fortuna delle armi napolitane si arrestò nelle più forti Latterie. La fortezza della Maddalena era la più munita e la più valida, ed arrecava maggiori iatture ai regi, perciò si ebbe l'ordine di assaltarla. Erano destinati a questa difficile azione il 1.° battaglione del 3.° svizzero, le compagnie del 6.° di Linea, le quali sortendo dalla cittadella per la saracinesca del forte D. Blasco, dovevano congiungersi sotto a quel terribil bastione col 1.° battaglione del 3° di Linea, e col 1.° del 4.° Svizzero. Una compagnia di Cacciatori del 3.° indicato, cominciò l'attacco, agendo in ordine aperto; ed in quella che essa respingeva è tenea in rispetto l'inimico, un distaccamento di Zappatori e Pionieri preparava il passaggio alla truppa ed alle artiglierie. Scrollate le due prime muraglie di recinto, si avanzarono le milizie fin sotto al terzo muro, che attornia la fortezza ed è vicinissimo al monastero della Maddalena. Traevano a furia i Siciliani, producendo ferite e morti innumerevoli. Quivi fu morto il 2.° tenente Bossi, aiutante di campo del General Zola, e ferito il capitano Svizzero aiutante maggiore Manuel: il colonnello Murald ebbe traforato il cappello da una palla che gli strisciò sul capo, ed il prode capitano Andruzzi fu percosso da una palla sotto la clavicola, la quale lo tolse dopo non molte ore ai commilitoni, che amaramente il piansero, e l'esanime spoglia sulle proprie spalle nel sepolcro portarono.

In mezzo a quel ferale combattimento procedevano con ardore le milizie. Alla sinistra di quella posizione si ergeva una batteria di sei mortari di bronzo, la quale assalita dal 1.° battaglione del 4.° Svizzero, fu presa alla baionetta, ed i siciliani rifugiaronsi nelle case a sinistra del monastero, donde si posero a trarre furiosamente. Tutti gli edifizi dai quali usciva quel tempestoso archibugiarc fu

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Il Colonnello Murald fe' situare sul parapetto della batteria nemica 3 pezzi da montagna coi quali si tolsero a percuotere le mura, le finestre ed il campanile di quello; poscia, veduta la impossibilità di penetrarvi, si pensò di mettere i 3 mentovati pezzi di montagna innanzi al muro vicino al monastero: e per tal modo si fecero non pochi fori, i quali ingranditi dai guastatori e dai soldati potettero dare comodo passaggio alle truppe, che incontanente vi si addentarono, e piantarono la regia bandiera sulle mura del monastero; e facendo man bassa dei nemici s'impossessarono di una gran quantità di munizioni, di armi, bandiere, ed altre masserizie. Fu cosi vinta la terribile posiziono della Maddalena, o le soldatesche, chiodati i cannoni, passarono innanzi.

Fu benanche conquistato il forte Conzaga. Gl'intrepidi Cacciatori con 4 Compagnie del 2.° reggimento Svizzero, si spinsero avanti in mezzo al fuoco che infuriava dagli edifizi, e superando tutte le difficoltà, abbattendo tutti gli ostacoli, pervennero per la sinistra sotto ai rivestimenti di quello. Scardinata la porta, entrarono i soldati avidi di vendetta, ma non poterono sfogarla, perché i Siciliani da un recondito uscio erano fuggiti. Tolsero la bandiera sicula, ed inalberarono la napolitana.

La colonna progredendo e pugnando giunse a Porta Imperiale; donde si apparecchiava allo assalto delle formidabili batterie del Noviziato, di Real Alto, di Torre Vittoria, di Matagrifona, e della Vicaria; ma i nemici, vedutala appena, stimarono miglior consiglio quello di abbandonare i forti che combattere.

Era pressoché 1 una p. va. quando accadde questo simultaneo abbandono, di tal che da un fragore orrendo di artiglierie si passò di tratto in un silenzio cupo universale. La meraviglia fu grandissima in coloro, che stando su la flotta non sapeano cosa fosse successo;

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mas

Non aveano essi mancato di sostenere la fortuna dolio loro armi; ma le masse cedevano alle genti ordinate, e la strategia vinceva il numero eccedente. Negli ultimi loro momenti, tratti da disperazione, avean messo fuori ad una tremenda mina, fondamento ultimo di loro salute, la quale era scompartita in varie gallerie, che comunicavano per mezzo di appositi condotti, ma volle il Ciclo, che le accese polveri si spegnessero; in contrario gravissimi danni sarebbero avvenuti; mentre fu opinione dogl'intendenti, che lo scoppio di quella mina scuotendo il terreno siccome forte tremuoto, avrebbe fatto trabalzar per aria buona parte di quella regione. Questo fortuna lo evento devesi attribuire alla pioggia del giorno 5 settembre, più sopra ricordata, la quale inumidì od annaffiò i condotti entro cuj erano stipate le polveri.

Per tal guisa rimasero prostrate le armi sicule, e la difesa città, occupata dai regi, ritornò nella divozione del Re. Finì la pugna, ma non finirono le miserie della desolata Messina; imperocché molte continuarono, e di moltissime restarono tracce lagrimevoli ed orrende. Chi si fosse aggirato pel messinese suolo avrebbe avuto di che piangere, inorridirsi, e maravigliarsi insieme. Ma fra tutte le scene la più deplorabile, ed orrenda era quello interminabile incendio, che cominciato al 3 Settembre era ito imperversando ed allargandosi nei giorni 4, 5, 6 e 7

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dello stesso mese; di tal che nella notte del 7 era più che

I soldati sopravvenendo la notte, presero posizione, attorniando di scolte il conquistato paese, in quella che la flotta si aggirava nelle vicine acque.

Il Duce supremo dell'oste napolitana, dopo occupata Messina, volse la mente a molti ordini d'importanza, i quali miravano a prevenire gli ulteriori mali da cui era quella città minacciata, e riordinare l'amministrazione ed il governo dei Messinesi, e ad ostendere il movimento di occupazione in tutti quei paesi ove meglio si potesse; dello quali cose andrò man mano discorrendo, incominciando dalla resa di Milazzo e dalla presa del vapore Vesuvio.

I Siciliani, nel giorno 3 Settembre, credendo che la truppa condotta dal colonnello Rossaroll fosso rientrata nella Cittadella per la resistenza da essi opposta, e non mai perché avea compiuta la sua missione, che era consistita nel chiodare i cannoni del forte delle Moselle, e nello spingersi innanzi per scovrire se altre batterie esistessero, furono solleciti di far volare sulle ali dei telegrafi per Palermo la notizia di una prima vittoria; ma sgannati dappoi, vedendo ridotta a mal partito la loro causa, con egual sollecitudine, e per lo medesimo mezzo si fecero a chiedere soccorsi a Palermo. Il palermitano parlamento fu pronto a spedire il vapore di ferro il Vesuvio, stivato di 1500 armati, i quali sbarcati a Spadafora, lunghesso Torre di Faro, dovevano spingersi innanzi ed arrivare in Messina per sostenervi la fortuna delle loro armi.

Il Generalissimo informato del movimento del Vesuvio, ordinò al comandante della flotta, che ordinasse al comandante della fregata a vapore il Roberto di avviarsi per Milazzo, e dar la caccia a quel vapore.

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Erano le 9 e mezzo pomeridiane quando il Roberto si mosse per la sua commissione, lasciando Messina, e passando per Torre di Faro donde fu tempestato di cannonate, ultimi colpi che partirono da quelle fortezze; perché nel dì vegnente furono abbandonate: uscito fuori lo stretto, volse la prua a Milazzo.

È Milazzo un affienissimo paese fondato, a quanto si crede, dai Geti, che rimano sul pendio di una collina, la quale sorgendo dalla vicina pianura, e mai sempre serbando la medesima altezza, si spinge in mare per lungo tratto, curvandosi alquanto a mezzogiorno, e formando una baia (Basilicus sinus) Su di quella si erge un antico castello, forte per sé stesso, fortissimo per vari ordini di muraglie di cinta, provvedute di formidabili batterie, le quali innalzandosi in varia altezza, secondo il declivio della collina, si guardano 1'un l'altra, e proteggono il paese e la baja. Altre batterie a fior di acqua si elevano in lido al mare dalle quali il seno medesimo è più da vicino difeso. Meglio di sessanta cannoni di vario calibro, munizioni da guerra e da bocca in abbondanza, la stessa posizione della milazzese terra, rendeano quel punto fortissimo, ed inespugnabile, e la baja al nemico onninamente inaccessibile. Famoso è Milazzo nella istoria per due vittorie navali riportatevi dai Romani sui Cartaginesi l'anno 259 prima di nostra salute, e da Agrippa sulla flotta di Sesto Pompeo 223 anni dopo. Indarno fu assediato dagli Spagnuoli nel 1719.

La fregata a vapore il Roberto in poco tempo, scoccando luna dopo la mezza notte, si trovò al traverso de' capo di Milazzo, ed a pochissimo moto si pose a solcare quelle acque sulla speranza di incontrare il nemico vapore; ma, riuscite indarno tutte le cure, ritornò sulla stessa via, per trovarsi rimpetto alla baja al far del giorno, aspettandosi miglior frutto.

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In vero dopo poco tempo giunta allo spuntar dell'alba degli 8 Settembre al prospetto del milazzese seno fu scorto il vapore Ventino, il quale era vicino a salpare, e porsi in viaggio.

Il Roberto era tutto intento ad impossessarsene; ma le poderose batterie che lo proteggevano gli attraversavano il proponimento, di forma che si limitò a prendere una posizione tale, che avesse potuto tagliare ogni cammino al Vesuvio, ove si fosse azzardato a tentare una fuga. Pertanto veduto ciò le genti siciliane, stimarono miglior consiglio di spegnere il fuoco, lasciare ancorato il vapore nella sicura baja, ed avviare gli armati per terra. Infatti dopo non guari, tutta la banchina di Milazzo la coverta delle stipate genti del Vesuvio le quali volsero il passo per Palermo innoltrandosi pei monti. Alle 8 a. m. il castello milazzese inalberò la sicula bandiera, e tirò Ire cannonate alla regia nave, la quale in un subito innalzata la propria bandiera, briccolò tre bombe da 117.

La popolazione di Milazzo scossa da quel terribile mezzo, e temendo non le avesse a toccare la sorte di Messina, profittando dell'assenza degli armati, cominciò a persuadere la guarnigione, perché avesse vuotato il forte; ma tutte le premure riuscirono indarno. Frattanto veniva la notte ed era a temere che il Vesuvio, profittando delle tenebre, non fuggisse; e perciò nulla lasciò intentato il comandante Marselli; affinché rimanessero sventati tutti i possibili disegni dell'inimico: d'altronde man mano spingendosi a poco moto, si strinse la crociera; ed a notte innoltrata il Roberto si appressò talmente sotto la fortezza di Milazzo, che chiaramente si udivano le voci delle sentinelle nemiche, ed anche il baiare dei cani.

Praticata questa somma vigilanza, il Vesuvio non poté svignarsela; epperò al far dell'alba fu visto immobile nello stesso luogo.

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Intanto al sopravvenire del nuovo giorno (9 Settembre) la piupparte delle milazzesi famiglie migravano,

Mentre si disponeva a muoversi il Milazzese legno, si vide nna lancia con bandiera russa a prua, e bianca a poppa, che allontanatasi dalla banchina di Milazzo dirigeva pel Roberto, e poscia avvicinatasi in mezzo alle grida reiterate di Viva il Re che le sue genti facevano, alle quali tutto l'equipaggio del Roberto rispondeva. Portava una deputazione, la quale sali sul bordo, e distese la dedizione della piazza, e del Fesumo. Incontanente si prese possesso del Vesuvio fra la esultante popolazione, innalberandosi la regia bandiera sul castello milazzese.

Intanto siccome correva voce, che i Siciliani non si erano molto allontanati dal paese; e che poteano fare una sorpresa al forte;

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così il comandante del Roberto dall'un de' lati si approssimò alla rada, per proteggerlo in caso di bisogno, e dall'altro mandò ad inchiodare vari cannoni.

Si temeva inoltre dai Milazzesi, che nella notte del 10 sarebbero stati assaliti dai ribelli, e messi a sacco ed a fuoco, a causa della fatta deduzione; perciò nella sera sì fece tra militari e paesani un buon nervo di armati, i quali guardarono il paese.

Mentre cedeva nel surriferito modo la rocca di Milazzo ed era preso il vapore Vesuvio, seguiva la sottomissione di Barcellona, e di Lipari, e di altri punti, e sarebbe seguita quella di tutta l'isola ove una importuna e fraudolenta diplomazia non si fosse attraversata. Intanto ben altre cose faceansi in Messina. Nella sera del giorno 7 Settembre, siccome ho notato di sopra, la squadra solcava le acque del Faro vicino alla città, ebbe però l'ordino di entrare nel porto nel dì vegnente per ancorarsi sotto al forte del Salvatore, e della Cittadella. Così dopo molta stagione sventolava per la prima volta nel porto di Messina la napolitana bandiera. La truppa, dopo avere scorsa la campagna, assicuratasi della fuga compiuta del nemico, rientrava nella città, lasciando innumerevoli scolte in molti posti avanzati, e prendendo quartiere in diversi punii. Lo stesso Generale in capo che per poco tempo si era rimasto nella Cittadella dopo ottenuta la vittoria, toglieva le stanze dentro Messina nel palazzo municipale.

Frattanto gl'incendi si andavano man mano smorzando, poiché mancava nuova esca per le naturali distanze fra i gruppi dei palazzi divampanti e quelli che erano intieri. Le vampe non si osservavano più, ma si svolgeva in cambio un fumo denso e nero, il quale continuò per lunga pezza, empiendo laria di un puzzo infame di arso.

Vuolsi qui notato,che gl'incendi furono in parte incidentale ed inevitabil frutto della guerra, ed in parie apposito effetto dell'ira;

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poiché le truppe a massa nell'agonia della loro causa, venute nella credenza di tradimento da parte di qualche Messinese, si dettero a saccheggiare ed ardere le case. In mezzo a tante cause d'incendi, gl'in

Lo stato di Messina fu deplorabile in tempo della guerra, né lasciò di esserlo dopo di essa.

Se a te fosse piaciuto di aggirarti per la dilaniata città avresti osservato cose degne di ricordanza. 1 luoghi dove si era combattuto, rossi di sangue, sparsi di estinti, ripieni di proiettili. Tutto il paese che comprende Contessa, Campanarolungo, e Messina infino ai quattro cavallucci, consumato dalle fiamme: dove prima s' innalzavano gradite dimore e graziosi palagi, ora non eran altro che confuse macerie, e nude ed affamate mura, ovvero ammassi di tizzoni, di travi slogati dai muri o spezzati, di tegole di pietre, e di rottami di ogni maniera: rimanea fra le arse qualche cosa intiera, la quale facea vieppiù risaltare l'orrore di quelle. Gli edilìzi non tocchi dal fuoco erano per le palle o crivellati o scrollati o cadenti; i balconi sterpati, o spezzati, o in modo strano curvati e pendenti dalle mura; le finestre e le porle scardinate, abbattute e forate; le tettoie sfondate o fracassate; le sottostanti vie cosparse di calcinacci, di polverio, e di frantumi di legno di ferro, di vetri, di mattoni. I quali danni non è a dire quanto fossero moltiplicati ed orrorosi nei casamenti vicini alle fortezze, che soffrirono sì pei colpi delle palle, e sì pel fremito continuato, che scuoteva orribilmente 1 aere circostante.

Scena consimile, osserva vasi nei forti e nei castelli. Taluni cannoni dalla violenza delle palle spezzati a tronco, altri in vario modo rotti, o tempestati di fossette; altri sbalzati dagli affusti;

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ed altri infine screpazzati per le cariche sforzate: gli affusti medesimi anneriti o sconquassali pel frequente trar

l'acro balsamico di Messina reso pestilente da un puzzo di arso, e da un lieve fetore cadaverico. Le strade deserte; gli abitanti fuggiti in gran parte, ed i rimasii, presi da sommo spavento, non ardivano, non che uscir di casa affacciarsi dalle finestre. né a contristar l'anima mancavano pensieri affliggentissìmi dei quali non toccherò per non riuscir di peso agli animi gentili: solo rimembrerò, che quante sono le tristizie e le miserie dello guerre civili, tutte gravarono sulla straziata Messina.

Corsero molte voci intorno al numero dei morti e dei feriti. Dicevano taluni, che dei Siciliani fossero mancati cinque o sei mila, sì per lo effetto delle armi da fuoco, quanto per quello delle arsioni, perché, assaltali ed arsi gli edilizi dai quali sparavano, furon preda della fiamme. Altri al contrario affermavano che di quelli fossero periti pochissimi, poiché tutti tiravano al coperto, e dai casamenti per reconditi usci svignavano. Solo i due reggimenti di regolari, tutta gente nel fior dell'età, tennero piè fermo contro le regie truppe, ed in molta parte rimasero estinti. Pertanto si può ritenere, che un tremila Siciliani perirono.

Intorno al numero dei Napolitani anche si dissero tante rose esagerate, massime da coloro che erano lontanissimi dal teatro della guerra, nella cui mente allignò l'idea,

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che tutto intiera l'oste napolitana fosse stata dal siculo ferro mietuta. Le quali esagerazioni vanno bene spiegate dallo spirito di partito che sovente fa velo allo intelletto, e le cose prospere de' contrari fa vedere impiccolite, e magnificate le sfavorevoli. Tra feriti a spenti si noverarono fra i regi meno di due migliaia. I primi furono portati nell'Ospedale di Reggio, ed in quello di Messina, nei quali erano chirurgi, farmacisti, e pratici napolitani, partiti a bella posta da Napoli con la spedizione. Gli estinti furono interrati nella vicina campagna

Pochissimi furono i prigionieri, e presi fra quelli che combattevano; poiché il furore della vendetta sacrifico tutti.

Prima di dar fine alle cose riguardanti il combattimento, esattezza istorica richiede, che io non trascurassi di narrare un fatto notevole fra i molti che avvennero, il quale farà grata impressione nell'animo ormai da sì crudi e gravi casi inorridito. Dimoravano nella strada di D. Giovanni d'Austria un sartore, con padre, madre e una zia decrepita, non che una moglie giovane, e vari bambini. La casetta era di loro proprietà. Appressandosi la tempesta della guerra, si decidevano a fuggire, ma il vecchio padre non volle abbandonare la sua dimora; né la sorella stroppia, che era impossibilitata a muoversi.

(1) Fra gli ufficiali morti si annoverarono il colonnello Cesare Mori; i capitani Demetrio Attirimi, Francesco Pellegrini, e Carlo Manuel, aiutante maggiore; i tenenti Paolo Rossi, Luigi Monetti, e Andrea Borrelli.

Tra gli ufficiali fen'U, vi furono il generale Ferdinando Lanza; i maggiori Tommaso Clarv, Pietro Paolo Mauro, Carmine Bruno; il tenente colonnello Alvisio Hedinger; i capitani Giovanni Antonelli, Carlo Dupuy, Vincenzo Polizzi, Nicola Hetendes, Giacomo Livrea, Ferdinando Verdinois, Ferdinando de Torrent, Domenico Skeinauer, Eugenio de Stokalper, Luigi Carisiet, Carlo Ulrich, e Pietro Wolff; il cappellano Errico Suter, i tenenti Cantore, Castellano, Valente, Ardizzone, Negri, Ventura, Gatti, Paolo, Giuseppe e Carlo de Stokatper, Dufnur; e gli Alfieri Fiorillo, Lombardi, Tufani, Cesare, Enea, Lavezza, e Stassano.

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Si partirono dolentissimi il sarto, la moglie, i figli e la vecchia madre volgendo il passo sulle colline fra mille tiro» ri, e dopo molti stenti si ricoverarono in una campestre casipola. Dato l'attacco dai soldati alla strada suddetta, fu assalita fra le altre, la casa del sartore che rinvennero aperta, e infiammati da vendetta vi s'introdussero; ma giunti appena al cospetto di quei vecchi venerandi, che barbugliavano appena miti parole, buttano le armi, se T inginocchiano ai piedi, e le rugose e tremule mani gli covrono di mille affettuosi baci, mentre se li offrono a tutti i loro bisogni. Tanto poté negli animi d'inviperiti soldati il rispettabile aspetto della canizie! Così fu salva non pur la vita dei rimasti; ma benanche la casa. Ritornarono i fuggitivi, e con estremo contento videro non tocche le domestiche mura, e tuttavia viventi quei cari vecchi che essi aveano come estinti deplorato.

Molte e gravi erano le piaghe di Messina, ma ormai cominciavano man mano ad essere se non in tutto saldate, almeno molcite; ché il General Filangieri applicò l'animo a fare allignar l'ordine nella disordinata città. L'amministrazione municipale fu rimessa, invitando a reggerla tutti quei funzionar! siciliani, che la reggevano nella fine di agosto 1847, e che non avean presa parte attiva, né volontaria nella rivoluzione. Essi accettarono tuttocché fosse corsa voce, che i Palermitani avessero di pena capitale minacciati coloro fra i Messinesi, che si facevano ad occupare impieghi.

Furono nominati Sindaco il marchese Loffredo, accerchiato da sei decurioni; direttore dei Dazi Indiretti e del Porto Franco D. Giuseppe Mancini; direttore dei Rami e Dritti diversi D. Placido Donato; ricevitore generale il Principe di S. Elia; conservatore delle Ipoteche il principe di Alcontres. Inseguito furono riempite tutte le altre amministrazioni, e riaperti i vari tribunali.

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Mentre queste cose si facevano, molti avvisi si leggeva

» Avviso. Sua Eccellenza il Tenente Generale D. Carlo Filangieri, Principe di Satriano, Comandante in capo del Corpo di esercito di spedizione, mi ha incaricato di annunziare al pubblico: j.. :.

» Che S. M. il Re (N. S.) qual padre amoroso dei suoi popoli dimentica i passati traviamenti nella sicura persuasione, che da ora innanzi i suoi sudditi Siciliani ritorneranno a quel devoto e fedele attaccamento per la Sacra sua Persona, che li ha sempre resi sì cari al suo cuore.

» Per la sola mancanza di facoltà la prefata E. S. è nell'obbligo di eccettuare da questo generale ed amplissimo perdono i capi della ribellione e gli eccitatori a gravi disordini, che sì gran danno arrecarono a questa bellissima Isola. Costoro nulladimeno, dando pruove di sincero ravvedimento, debbono serbare la speranza di ritrovare nella nota clemenza di S. M. la stessa benevola indulgenza.

» Attesa l'affliggente posizione in cui Messina trovasi per le conseguenze delle passate vicende, permette l'Eccellentissimo Generale in Capo che rimanga fino a nuova disposizione sospeso il dazio sul macino, il quale nella, maggior parte è soddisfatto dalla classe meno agiata ch'è pure la più numerosa.

» Viene parimenti per ordine di S. E. il Generalo Principe di Satriano dichiarato, che da oggi innanzi la intera Città di Messina in dentro della sua cinta murata sarà Porto Franco, e godranno lo stesso privilegio i sobborgo di S. Leone, Boccetta, Portalegni, e Zaera, tosto che sarà compiuto il muro di cinta che formerà d'allora in poi l'intiero novello ambito del cennato Porto Franco.,

» Da ultimo ha stabilito l'E. S che tanto le Autorità ecclesiastiche, quanto i funzionari finanzieri ed am

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si restituiscano immediatamente al posto che occupavano alla fine di agosto dello scorso anno, affin di riprendere senza indugio l'esercizio dei rispettivi loro uffici.

» Quanto riguarda i magistrati, le autorità giudiziarie, e la riapertura dei Tribunali verrà in prosieguo stabilito.

» Messina 10 Settembre ecc.

» Un altro avviso degli 11 Settembre ordinava: tutti gli abitanti di Messina e sue dipendenze suburbane, che posseggono armi di qualunque sorta dovessero depositarle fra tre giorni (12, 13, e 14) all'uffiziale superiore che farebbesi appositamente rattrovare nel Palazzo Senatorio. Con altri avvisi infine si annunziava al pubblico la riorganizzazione del Banco, della Posta, e di tutte le altre amministrazioni. I Messinesi per tal modo rientravano man mano nelle loro dimore, il Porto cominciava ad essere frequentato; infine tutto dava a vedere che si riprendesse lo stato dell'ordine e della calma.

Nel giorno 8 Settembre dopo talune minacce furono abbandonate le fortezze innalzate lungo il Faro dal SS. Salvatore dei Greci fino ai Canzirri; e per tal modo si rese libero il passo delle navi. Furono benanche prese le cannoniere siciliane, le quali erano state lasciate sotto al bordo del vascello francese l'Ercole.

Intanto il Generalissimo, avuta contezza delle cose falle dal Roberto in quel di Milazzo, ed avvisato del bisogno imminente di truppa, perché si diceva che molte masse di Siciliani ronzavano intorno a quel punto, spedì con la fregata a vapore il Sannita 4 compagnie di Linea sotto il comando del tenente colonnello Nini, affiancato dal capitano dello stato maggiore Buonopane, le quali arrivate a Milazzo presero posizione nel Castello, donde si estendevano nel vicino contado, e resero libera la strada che mena alla volta di Messina.

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Impertanto se il valore delle armi regie non avea trovato ostacoli nelle vantate forze della rivolta, veniva a trovarle nelle tergiversazioni della diplomazia, la quale da rei motivi spinta man mano si attraversava al progresso della occupazione sicula, che sarebbe stata in breve e intieramente compiuta. Primo a muoversi fu Lord Napier con una nota del 10 Settembre al Principe di Cariati, nella quale, rimembrato che ai 29 Agosto si era fatto a mandargli un'altra scritta contenente la proposta di una mediazione anglo-francese; e lamentatosi del silenzio serbato intorno a ciò, e deplorati i casi di Messina continuava a dire» il sottoscritto invita di nuovo con rispetto, ma con fermezza Sua Maestà Siciliana ad accettare le negoziazioni proposte, ed a spedire gli ordini per sospendere le ostilità, e stabilire un armistizio, che dovrebbe essere osservato da ambe le parti, fino a che non si potran conoscere le risoluzioni de' gabinetti inglese e francese».

» Tale è stata la impressione del vice ammiraglio Sir William Parker divisa col sottoscritto, che nel qui accluso dispaccio di lui il vice ammiraglio à manifestato l'intenzione, nel caso ricomincino le ostilità contro la sua aspettazione, d'interporre la sua autorità per stabilire una sospensione d'armi, fermamente convinto, che così agendo servirà agl'interessi permanenti del Governo di Napoli, ed a quelli della pace generale in Europa, che si trova minacciata mercé la lotta di simigliami passioni».

Medesimamente nel giorno istesso il sig. di Rayneval sulla partecipazione avuta dall'Ammiraglio Baudin degli avvenimenti di Messina così scriveva al napolitano governo.

» La mancanza di ogni atto perentorio preliminare, di ogni tentativo per un accomodo all'amichevole; la continuazione del fuoco dopo la sottomissione de' Messinesi; il carattere di ferocia

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onde si mostra questa lotta, e che minaccia le più orribili scene ove la guerra si prolunghi; le interminabili e sanguinose rappresaglie che ne seguirebbero; il grand'eccitamento dato agli odi che dividono il paese, che debbono estinguersi; l'impossibilità nella quale si sarebbe per stabilir saldamente un ordine di cose qualunque; tutti questi motivi han portato l'Ammiraglio a considerare come un dovere di umanità l'arrestare una lotta fatale, fino a che non sian conosciute le intenzioni della Repubblica sulla pacificazione di questa parte dell'Italia».

£ poscia manifestò che l'Ammiraglio avea dato gli ordini opportuni al Comandante delle forze francesi sulle coste di Sicilia, perché ottenesse dal Comandante supremo delle armi regie, e nel bisogno imponesse ad ambe le parti una sospensione di ostilità.

Faceasi a riscontrare il napolitano governo ad amendue le note, e ricordava «che il Ministro degli affari esteri della Repubblica francese ha detto il di 8 Agosto al conte Ludolf PEL MOMENTO BRAMIAMO RIMANER FUORI QUISTIONE»; nondimeno assicura «che il governò del Re farà tutto il possibile per mitigare i mali inerenti alla guerra. Ma d'altra parte egli crede aver diritto di domandare alle potenze straniere una stretta neutralità. Esse potenze non debbono per nulla incoraggiare i ribelli siciliani, né assisterli, la qua! cosa avrebbe per iscopo il renderli più pertinaci nelle loro pretensioni di prolungare la lotta, e quindi lo spargimento del sangue; estremi dal quale il governo del Re rifugge».

Rispondeva poi a Lord Napier il Ministro degli affari Esteri nel seguente tenore.

» Il sottoscritto (Cariati) avendo ragioni a credere che i rapporti i quali han dato luogo alle osservazioni ed ai suggerimenti del signor incaricato d'affari sono stati alquanto esagerati, cosa avvenuta spesso durante gli avvenimenti che da otto mesi hanno afflitto la Sicilia,

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crede necessario, prima di rispondere alla noia summentovata,

» Questo indugio è addivenuto indispensabile dopo il dispaccio telegrafico che l'incaricato d'affari troverà annesso alla presente. Secondo esso dispaccio, la popolazione rientra nella città, e l'ordine è sul punto di esservi ristabilito.

» Aspettando, il sottoscritto dichiara a Lord Napier, che ogni misura presa dal viceammiraglio Parcker por attraversare i piani del governo del Re, in violazione manifesta dei dritti d'un sovrano libero ed indipendente, e dei riguardi dovuti ad una potenza amica, sarà necessariamente considerata come un atto emanante dalla volontà particolare dell'Ammiraglio, e non dalle intenzioni del governo britannico. In fatti, Lord Palmerston ha più volte dichiarato ai rappresentanti di S. M. a Londra, e particolarmente nella conferenza del 4 caduto Agosto, che il governo di S. M. Britannica non metterebbe ostacoli di sorta alla spedizione militare che preparava il governo reale per ristabilire la pace e l'ordine nella Sicilia, e per liberare questo paese dal giogo di alquanti scellerati, che sebbene in piccol numero, gridano ed opprimono la maggioranza de' loro compatrioti con mezzi di terrore, minacciando incessantemente le loro proprietà o la loro vita.

» Il sottoscritto non può trattenersi dal far osservare al signor incarito d'affari il cattivo effetto che la sua nota può produrre nello spirito de' ribelli siciliani appena sarà da questi conosciuta; perché, essendo certi più che mai della protezione e del buon volere degli agenti di Francia e d'Inghilterra, saranno inclinati a perseverare negl'insensati progetti che han fatto finora inefficace ed impossibile qualsivoglia tentativo per effettuare una riconciliazione tra le due parti del regno delle due Sicilie».

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In frattanto nessun valore avea la forza delle ragioni, contro la ragion della forza; e mentre i Plenipotenziari

Il General Filangieri riscontrava che nessuno meglio dei Comandanti le forze navali anglo-francesi, potea conoscere in qual maniera egli si fosse comportato per ammansire le piaghe che la guerra all'afflitta Messina avea aperto; e che intanto andava a rapportare al suo Monarca il contenuto delle loro inchieste, affine di avere le opportune istruzioni per le sue ulteriori operazioni..., Ma l'ammiraglio Parker procedeva più accesamente, «nel 16 Settembre dopo avute le risposte del Principe di Cariati; scrivea a Lord Nàpier: la mediazione anglo-francese essere stata accettata dall'Austria per portare a fine le sue vertenze con gli Stati Italiani; nutrire però speranza che si distenderebbe anche a comporre quello fra Napoli e Sicilia: esser chiaro, che gran sangue si effonderebbe, e gran dolore nascerebbe nell'isola ove non si vietasse quella fatale collisione, e non si spegnessero quegli sdegni, al quale proponimento certo si calerebbero i governi francese ed inglese. I miei sentimenti di umanità (finiva dicendo) m'impongono in questo frattempo d'insistere più fortemente presso il governo napolitano acciò accordi una prolungazione d'armistizio, domandata dalle forze francese ed inglese

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a Messina, accordata condizionalmente dal Principe di Satriano il giorno 11. La umanità richiede ciò, ed io spero che non saremo costretti ad usare la forza per conseguirla.

Le quali ultime parole svelavano qual fosse la indotte dei tempi, nei quali bandivasi a tutta gola libertà, protestavasi contro ogni intervento, mentre col fatto s'interveniva negli affari di Napoli, e non si permetteva la libertà di agire di un Sovrano nelle proprie Provincie. Ben sovente avviene chela forza del dritto, deve dar luogo al dritto della forza! Se non che, il Ministro degli Affari Esteri, Principe di Cariati punto non si rimanea dal rispondere decorosamente all'inglese Ammiraglio per mezzo di Lord Napier, nel seguente modo.

» Il sottoscritto à ricevuto, con la nota di lord Napier del 17, la copia di una lettera del viceammiraglio Parker del 16 relativa alla sospensione delle ostilità in Messina».

» Il sottoscritto non può trovare, né riconoscere alcuna somiglianza fra l'accettazione da parte dell'Austria della mediazione offerta dalla Francia e dall'Inghilterra per aggiustare le differenze tra quella potenza e gli stati italiani, e la sommissione de' siciliani al loro legittimo Sovrano; dappoiché nel primo caso l'oggetto è di stabilire la pace tra due indipendenti potenze belligeranti, e nel secondo trattasi di liberare una parte de' domini reali dallo insoffribile giogo di una perniciosa banda d'individui faziosi o male intenzionati, di ristabilire la pace e l'ordine nel regno delle due Sicilie, e di conservare riunita la monarchia, della quale quell'isola forma una parte integrale».

» Oltre a ciò dal rapporto ricevuto dall'ammiraglio, è chiaro e manifesto, che i capi della insurrezione non avrebbero avuto altro mezzo di salvarsi, che di fuggirsene sulle montagne, da dove anche sarebbero stati cacciati, se fossero stati privi dell'ajuto morale e materiale delle potenze straniere, essendo a loro ben nota

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la disposizione

» In riguardo poi al modo di abusare della forza armata con la veduta di comprimere la libera indipendenza di un governo che non può essere rimproverato di alcuna violazione della legge internazionale, il sottoscritto Don à altra alternativa che di protestare formalmente ed innanzi a tutto il mondo incivilito contro un atto simile. E le potenze di second'ordine al certo osserveranno con sorpresa e dispiacere gli eventi che in tal momento àn luogo nel regno delle due Sicilie, e la ingiuria che può tornar dannosa in un tempo, in che il principio della indipendenza e della libertà delle nazioni è in tutte parti proclamato».

Malgrado cotante ragioni il Real Governo, pressato da tanti urti, e sperando che le trattative uscissero a buon fine, si calava a sospender lo ostilità, e a far sosta al movimento di occupazione, rimanendo nel possesso della conquistata regione.


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CAPITOLO VII.

IL PONTEFICE PIO IX A GAETA.

Sommario

Duri casi d'Italia, e segnatamente di Roma. Assassinio del Conte Rossi. Gravi circostanze di Pio IX, il quale protesta innanzi al Corpo Diplomatico, e dopo non guari abbandona celatamente la sconvolta Città, e ripara in Gaeta. Cenno descrittivo e storico di Gaeta. Il religioso Ferdinando II, conosciuto appena l'arrivo del Pontefice, corre a prestargli omaggio, e fa provvedere di ogni maniera di comunodità la pontificia dimora. Pio IX con ineffabile bontà accoglie tutti. Memorabili parole dette al Ministero di Stato, e al Consiglio di Stato Napoletani. Ricordevole preghiera indritta all'Altissimo. Interpetrazioni maligne della pontificia fuga. Pietoso desiderio di varie nazioni. Il Pontefice pubblica una protesta contro i suoi sudditi ribelli, e nomina una Commissione Governativa. Fraudolento invito dei Romani. Seconda protesta del S. Padre. Sorge la Costituente in Roma, Pio IX protesta, ella va innanzi e dichiara decaduto il Papato. Solenne protesta orale del Sommo Pontefice; e richiesta di un intervento armato per domare la ribelle Consorteria. Arrivo di Leopoldo II a Gaeta.

Nel torno dei tempi in cui sì rilevanti fatti compievansi nella sventurata Messina, altri avvenimenti notabili in altre parti d'Italia si svolgevano. La italica stella che avea brillato nei campi delle Grazie, di Goito e di Pastrengo, ormai andavasi ad ecclissare, sobbalzando di precipizio in precipizio. Palmanova pei Tedeschi espugnata; Udine senza contrasto resa; vittorie alemanne in Villafranca; Milano e Modena perdute; Re Carlo Alberto fra le sventure dei campi, e la persecuzione dei liberali arrandellato; l'edilìzio delle novità barcollante; ogni cosa in rovina; dal che derivava, che i novatori via maggiormente innacerbivano,

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ed in ogni maniera di smodatezze uscivano, cosicché varie città della contristata Italia divenner focolai di pratiche e di progetti volti a quello scopo che ormai

Pertanto in Roma più che altrove l'incendio infieriva; sì che Pio IX a cessare il minaccevol nembo, si sgombrava del Ministero Mamiani, che sentiva grandemente dei tempi torbidi in cui nacque, e collocava nella sedia ministeriale il Conte Pellegrino Rossi, già chiaro nel mondo politico e scientifico per sensi moderati, pensamenti profondi, ed odio alle sfrenate libertà. Si mise il Conte nel difficile aringo, ma la tempesta nei suoi orribili gironi lo travolse. Nel dì 15 Novembre, quando appunto egli recavasi, repugnanti gli amici suoi, all'apertura delle Camere romane, morì di pugnale, che segogli la gola nell'atto che ascendeva le scale. Questo estremo eccesso di delitto, il quale in documento della stravolta età riscosse anche approvazione ed entusiasmo pel novello Bruto, destò grave impressione per tutto il mondo incivilito, e più grave apprensione a coloro che tenean le redini governative, sì che l'un dopo l'altro il contaminato Vaticano abbandonavano.

Lo stesso Pontefice per tante stemperatezze addolorato ed intristito fra gravi perigli versava; poiché nella dimane, tenutosi fermo alle stravolte pretensioni de' novatori, tutti i sette colli furon di rumori pieni; e la stessa pontificia dimora fra mille pericoli involta. Urti orrendi all'uscio maggiore di essa, diretti a scardinarlo; grida furibonde e confuse; drappelli accigliati ronzanti d'ogn'intorno; estrema confusione nel palazzo del Quirinale;

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sassate contra le finestre; l'uscio del palagio che prospetta Porta Pia in fiamme, spente poscia dai Pompieri;

la frattanto nella sera del 16 Novembre il Circolo Popolare Nazionale pubblicava un programma, nel quale fra le altre cose era detto, che assumeva esso «l'imponente responsabilità di dare le opportune disposizioni provvisorie per assicurare le vite, l'onore, le sostanze dei Romani, e per cercare di stabilire l'ordine, e ciò finché non si sarà costituito un governo. Si fa noto perciò al popolo, che il centro delle operazioni è posto nella Sala del Circolo Popolare, e sono invitati i buoni cittadini a rispettare per ora le disposizioni che emaneranno da questo centro come quello che rappresenta la vera e assoluta volontà del Popolo».Dopo ciò il Circolo si ponea a diramare moltissime disposizioni; e i nuovi ministri, assunti appena al potere, Sguernivano di guardie svizzere il Vaticano, il Quirinale, e il Monte di Pietà, sopperendovi la Guardia Nazionale; e poscia comportandosi con più fervore nella via di spodestare della temporale potenza il Papa, e d'impastoiarne la volontà, e farla servire di strumento alle proprie voglie, si facevano a disertare la pontificia magione di tutte le persone di Corte;

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per la qual cosa il gran Pio spinto a A crudele emergenza, convocato intorno di se il corpo diplomatico, così andava sponendo.

lo sono, o signori, come consegnato, li i voluto togliermi la mia guardia, e mi circondano altre persone; il criterio della mia condotta in questo momento che ogni appoggio mi manca, sta nel principio di evitare ad ogni costo che sia versato sangue fraterno. A questo principio cedo tutto, ma sappiano lor signori, e sappia l'Europa ed il mondo, che io non prendo nemmeno di nome parte alcuna agli alti del nuovo governo, al quale io mi riguardo estraneo affatto. O' per tanto vietato, che si abusi del mio nome, e voglio che non si adoprino neppure le solite formale.

Intanto le ire cotidianamente s'ingrossavano, ed era a temere che alcuna disavventura non soprastasse alla sacra persona del Sommo Pio, ove si fosse negato a firmare atti, i quali doveano essere per tutti un comando, per Lui una crudele servitù. I Rappresentanti delle nazioni estere vedean chiaro la deplorabile condizione del S. Padre, e che le pretensioni non si sarebbero sostate; epperò si venne in sul progetto, particolarmente dai Ministri di Francia, e di Baviera, di porre in salvo il Pontefice facendolo allontanare da Roma. Ottimo era il disegno, pericoloso l'eseguirlo; ma Cristo vegliava sul suo Vicario.

Però era titubante il Sommo Pontefice intorno alla progettata partenza, quando gli pervenne un involto suggellato da parte del Vescovo di Valenza, il quale conteneva una pisside di argento per. riporvi delle ostie consagrate, per dar vigore e conforto ne 11' ora del pericolo, e il viatico in quella della morte; preziosa e dolce suppellettile che portava sospesa al collo il buon Pio VI nel tempo delle sue sventure, e che lasciava in Valenza con la sua addolorata vita. A quell'arrivo, il IX Pio scosso come da soprannaturale influsso, sgomberò i dubbi e si decise a lasciare la ingrata e perigliosa Roma.

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Poiché i Nazionali stavano a guardia del pontificio

(1) «Al Marchese Girolamo Sacchetti Conterò Maggiore di Sua Santità. Affidiamo alla sua nota prudenza ed onestà di prevenire della nostra partenza il Ministro Galletti, impegnandolo con tutti gli altri Ministri non tanto per premunire i palazzi, ma molto più le persone addette a lei stessa, che ignorano totalmente la nostra risoluzione. Che tanto ci è a cuore e lei e i famigliari perché ignari tatti del nostro pensiero, molto più ci è a cuore raccomandare a detti Signori la quiete, e l'ordine della intera città. 25 Novembre 1843. P. PP. IX».

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Legazione Spagnuola presso la S. Sedo; e dopo non lungo riposo si condussero tutti a Gaeta, eccetto il Conte Spaur, il quale proseguì il viaggio per a Napoli.

Ma prima che io narri le cose principali occorse in Gaeta per cosiffatto avvenimento, non sarà fuor di proposito un cenno descrittivo e storico di questa città. Sorge dal grembo delle tirreno acque nel golfo di Gaeta un monte irregolarmente ovale che prospetta le torbide foci del Garigliano, e le amene montagne di Castellona e d'Itri, con le quali comunica per mezzo di una pianura ineguale, che restringendosi man mano fra le sponde dell'istimo, va a riunirsi in angustissimo punto con la scoscesa e rotta pendice di quello. Corre il monte in varia conformazione, inclinando variamente dal lato di terra, precipitandosi a picco dall'opposto; nel quale è ammirevole la così detta montagna spaccata, poiché dal più alto comignolo della gaetana regione fino al più profondo delle acque il monte è spaccato in parti disuguali, presentando le sue viscere calcaree giallognole rigate qui e colà di vene bianche. Se a te venisse pensiero di dubitare della prisca unità del monte, ben presto ti sgannerebbe l'aspetto delle due interne superficie; imperciocché in una di esse osserveresti solchi di varia e bizzarra direzione, fovee, cavernette, grandi cavità, e Dell'altra rilievi, sporgenze, rialti, e grandi masse corrispondenti esattamente a quelle; di tal che se possibil fosse di combaciare le divise parti, avverrebbe che ogni prominenza s'innicebierebbe nella sua cavità: solo un masso ne mancherebbe, poiché nel violento slogarsi del monte si distaccò, e cadde in mezzo alla gran crepacela, rimanendovi incuneato. Su di esso la pietà, che si piace di luoghi solinghi, erse una malinconica chiesina, dalla cui finestra si smarrisce l'occhio in un profondissimo precipizio, nel quale cupamente mugghia il sottostante fiotto. Una scala di fabbrica comunica la cappella col monistero della Trinità,

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dal quale lo sguardo si spazia in panorami sva

Gli edifizi di Gaeta stanno sul declivio del monte che prospetta la terra, epperò la città si allarga come in anfiteatro. Consimile andamento serban le mura della fortezza; epperò si sprolungano a serra ed a scaglione, formando bastioni, cortine, angoli sporgenti, o entranti, e il mare qui e colà ne batte il piede. Dalla fronte di terra una seconda cinta si distende innanzi alla prima; e per fossi, cammini coperti, varie piazze d'armi, solide porte, e ponti mobili, la turrita città si rende forte e munita; solo in duo parti non son difficili le rovine, nella cittadella cioè, e nel bastione della breccia, che ha nome dalle sue catastrofi. l'arte dai descritti lati rende forte Gaeta, la natura dall'altro; poiché orrendi e ripidi precipizi di dura selce solcata dall'impeto dei flutti, lo rendono inaccessibile.

Antichissima città è Gaeta, e per molti capi nota. Intorno alla origine dal suo nome Strabone, Diodoro Siculo, Virgilio, ed altri variamente tengono. l'Arpinate si ebbe villa e tomba nella prossimana Formia,dopo la cui distruzione, fatta dai Saraceni nell'856, Gaeta crebbe di popolo, e di estenzione. Nei gaetani dintorni furon le ville di Tiberio Imperatore, di Faustina moglie di Marco Aurelio, e di Antonino Pio. Sul culmine dei monte s'innalza la Torre di Orlando, edificata 16 anni avanti Cristo, e creduta un mausoleo di Lucio Manuzio Planco, in cui erano l'arco trionfale di Sempronio Atracino, il tempio di Serapide, del dio Api, e di Giano, e fra le altre cose un vaso di marmo scolpito dal celebre Sai pione Ateniese, oggi consegrato ad uso di fonte battesimale nella Cattedrale.

Fu soggetta al dominio de' Longobardi; dei Greci; della S. Sede; di Guaimaro Principe di Salerno; di Riccardo

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che s'intitolò duca di Gaeta; dell'Imperatore Federico II, che v'innalzò un castello, espugnato, e poscia rilasciato dalle truppe di Gregorio IX.; di Giacomo d'Aragona che l'assediò nel 1289; di Isabella, moglie di Renato d'Angiò Conte di Provenza; di Ferdinando il Cattolico, che la ricuperò per lo valore del Gran Capitano Consalvo di Cordova, e la ricinse di nuove mura, e fortificò il castello già edificato per Alfonso nel 1140. Ugo di Moncada, Viceré di Napoli nella venuta di Lautreck la munì, e Carlo V, faceala circondare di forti muraglie fin sotto la chiesa della Trinità, e guernire un' altro grosso castello vicino all'antico; Carlo III Borbone nel 1736 vi fece costruire un comodo quartiere.

La poderosa flotta di Barbarossa nel 1534, allorché appunto si sprolungava sui lidi della trepidante Italia, approdò con universale terrore nel gaetano porto. Il Duca di Guisa rimase captivo nel castello, donde fu convogliato a Spagna. Nel 1707 Gaeta fu presa pei Tedeschi; che la cederono nel 1734, dopo non breve né inglorioso assedio, alle armi di Carlo III, il quale quattro anni dopo vi ritornava, conducendovi dai confini del regno la sua consorte Maria Amalia Walburg, la quale vi tolse dimora come in sicuro asilo nel 1744, quando Carlo si condusse a pugnare e vincere in Velletri, e vi partori una bambina nel dì 16 Luglio di quell'anno.

Gaeta cedè in sul tramonto del passato secolo al General Bey, che conduceva le francesi legioni al conquisto di Napoli; ritornava al legittimo Re poco poscia; e nel Luglio del 1806, dopo valorosa difesa sostenuta dal prode Principe Philipstadt, che vi fu mortalmente ferito, si arrese ormai lacera e stremata di viveri, al Maresciallo Massena, che veniva ad usurpare il regno per Giuseppe Bonaparte; infino nel 1815, dopo spente le aquile francesi nei campi di Waterloo, svendolandovì anco

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Ebbe Gaeta il vescovato nel IX secolo, e in varii tempi uomini insigni, e non pochi privilegii.

In questa cotanto celebrata rocca riparava il nono Pio, ma non fu egli il primo Pontefice che Gaeta vedesse, imperciocché avea di già veduto Papa Costantino IV, eletto nel 708; non però di meno assai diversa dall'antico fu la dimora dell'attuai Pontefice, della quale riprendo ormai la narrazione.

Il Conte Spaor, giunto in Napoli nella notte del 25, condotto subito nella Reggia dal Nunzio Apostolico Monsignor Garibaldi, presentava al Re una lettera autografa dell'esule Pontefice, nella quale, manifestava il suo arrivo, e chiedeva ospitalità pel Capo dell'Orbe Cattolico. Il religioso Monarca, letta appena la lettera, sentì giubilo e maraviglia insieme, e con una premura grande pari alla sua gran pietà, diede ordini opportuni e solleciti per tutto ciò che potesse render comoda ed onorata la gaetana stanza al Pontefice; e nel cadere di quella stessa notte abrivarono da Napoli per Gaeta il Tancredi e il Roberto, fregate a vapore, portanti il Re la Regina, i Conti di Aquila e di Trapani, l'Infante D. Sebastiano, con conveniente seguito, e due battaglioni di milizie addette alla guardia ed al servigio dell'eccelso Ospite.

All'arrivo dei Reali in Gaeta, stava tuttavia incognito il sommo Pio nella locanda del Giardinetto, ma tosto passava al regio palazzo, dove gli Augusti Sovrani, e i Beali Principi, con meraviglia, piacere, e divozione indicibili andavano a baciargli il sacro piede; ed il Pontefice era lieto di accogliere fra le Sua braccia il discendente di S. Luigi: poscia erano ammessi a quell'onore il seguito e gli Ufficiali accennati, ai quali con ineffabile bontà disse, voi fate parte, o signori, di

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Intanto divulgato il sorprendente fatto dello arrivo, accorrevano alla fortunata Gaeta da ogni parte regnicoli e stranieri; e fra questi oltre a tanti Personaggi Romani, conti per grado o per sangue, o per sapienza, notavami il fratello del Papa Conte Gabriele Mastai, ed il suo figliuolo Conte Luigi. Tutti i più illustri personaggi napolitani, Cardinali, Prelati, Generali, Magistrati, Ministri, Principi, Duchi, Marchesi, ed anche particolari givano a prestare i debiti omaggi al Principe Supremo della Cristianità, e tolti ringraziavano Iddio di averlo sottratto sano e salvo dalle infernali bolge della romana demagogia; ed Egli con viso benigno, e pronta mano tutti accoglieva e benediva di cuore, e memorabili detti o discorsi facea. Al nostro Ministero di Stato così parlava «Signori. I Principi han fatto quel che potevano per l'utilità dei popoli; ma parte di essi, non contenti, si sono dati a pretendere cose ingiuste. Innalzo fervide preghiere all'altissimo perché gl'illumini; ma molti sventuratamente ad ogni raggio di lume han chiuso gli occhi. Segnate figliuoli miei questo giorno! La Chiesa da me Vicario di Cristo indegnamente rappresentata, si vede nelle ore della tempesta, quando, come al presente, è perseguitata dai nemici di Dio. Questi avvenimenti vi confermino nella fede, ed accrescano le vostre forze per sostenerla. Segnate figliuoli miei questo giorno, segnate.»

Al Consiglio di Stato diceva. «Ci è molto grato ricevere un atto di affettuosa divozione del Consiglio di Stato Napoletano, di questo Regno che in Italia presenta ancora l'esempio dell'ordine e della legalità, due cose che sono, per così dire, e van sempre congiunte.

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Io prego Iddio che, in mezzo a tanta effervescenza di passioni, vi si conservino, mediante il Divino suo aiuto; senza del quale vane sarebbero le speranze. Benediciamo con tutta l'effusione del cuore i componenti del Consiglio di stato, secondo ci pregano. Possano così assistere continuamente, con alacrità e coraggio, un Re buono e pio, il quale mostrasi tanto pieno di zelo per il meglio di questo paese. Qui noi riceviamo ora ospitalità, prevenuti in ogni Nostro desiderio, e quando era alieno da' Nostri pensieri di abbisognare. E ora sfrenate passioni, commosse e attizzate da' tristi, sconvolgono Italia tutta; né può dirsi qual termine sia proposto a cosi reo sconvolgimento. É vero che nella bocca di molti è la parola indipendenza; ma fossero pur dieci milioni desiderosi di ciò, e potessimo qui interrogarli, noi senza dubbio ritroveremmo, che neppur due sono insieme di accordo su' mezzi convenevoli a siffatto scopo. Noi vediamo l'Italia somigliante a un infermo, oppresso da fiera febbre, che rivolgesi da un lato all'altro, bramoso di un sollievo che non ritrova: Iddio solo può largire nella sua clemenza il rimedio a tanto male; e Noi umilmente lo preghiamo che diradi le tenebre le quali ora ingombrano gli uomini, e indirizzi tutti nella sua luce.»

» Voi vi occupate presentemente, Noi pensiamo, in apparecchiar nuove leggi, le quali vogliamo sperare sieno per ritornar profittevoli a queste buone popolazioni. Ma già di buone leggi Noi vediamo che il Regno abbonda; e ci sarebbe solo bisogno, col Divino aiuto, della loro esatta esecuzione. Prudenti modificazioni qui richieggono i tempi, non grandi riforme legislative.»

Nel mattino del 28 si portava il Pontefice nel Santuario della Trinità, nel quale volle Egli medesimo impartire la benedizione col Santissimo Sagramento; ma innanzi tratto, genuflesso ai piedi dell'altare, spinto da sacro fervore, con voce commossa, indrizzava all'Ente

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la seguente prece in mezzo alla sentila commozione dei Reali, e di quanti altri erano in quel tempio raccolti.

» Eterno Iddio, mio Augusto Padrone e Signore, ecco ai vostri piedi il vostro Vicario abbenché indegno, che vi supplica con tutto il cuore a versare sopra di lui, dall'altezza del trono Eterno nel quale sedete, la vostra Benedizione. Dirigete, o mio Dio, i suoi passi; santificate le sue intenzioni; reggete la sua mente, governate le sue operazioni, e qui, dove voi nelle vie mirabili lo conduceste, e in qualunque altra parte dovesse egli trovarsi del vostro ovile, possa essere degno istrumento della vostra gloria, e di quella della Chiesa vostra, presa, ahi troppo! di mira dai vostri nemici. Se a placare il vostro sdegno, giustamente mosso da tante indegnità che si commettono colla voce, colle stampe, e colle azioni, può essere un olocausto gradito al vostro cuore la stessa sua vita, egli fino da questo momento ve la consagra. Voi concedeste a lui questa vita, e Voi, Voi solo siete nel dritto di toglierla quando vi piaccia. Ma deh! o mio Dio, trionfi la vostra gloria, trionfi la vostra Chiesa. Confermate i buoni, sostenete i deboli, e scuotete col braccio della vostra Onnipotenza tutti coloro che giacciono fra le ombre di morte.»

» Benedite, o Signore, il Sovrano che vi sta qui innanzi prostrato, benedite la sua Compagna e Famiglia. Benedite tutti i sudditi suoi, e la sua onorata e fedele Milizia. Benedite coi Cardinali tutto l'Episcopato ed il Clero; affinché tutti compiano nelle vie soavi della vostra legge l'opera salutare della santificazione de' popoli. Con questo sperar potremo esser salvi non solo qui, nel pellegrinaggio mortale, dalle insidie degli empì, e dai lacci dei peccatori, ma speriamo altresì di poter mettere il piede nel luogo della eterna sicurezza, ut hic et in aeternum, Te. auxiliante, salvi et liberi esse mereamur.»

Intanto la venata del Sommo pio nelle napolitani regioni era variamente interpetrata dagli nomini.

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I Romani appresero estatici l'assedia del loro Principe; non però si trassero dal baratro in cui erano traboccati, anzi ria maggiormente vi si sprofondarono; e intanto non si rimaneano di sparger la voce che la pontificia fuga fosse un colpo di Stato, e che Gaeta fosse la S. Elena di Pio IX; al che mirabilmente i settari. del nostro paese facean eco; imperciocché in sull'aurora dei 4 dicembre fu rinvenuta per le cantonate di Napoli una infame scritta, nella quale, a documento delle malvage menti, dalle quali emanava, asserivasi, fra le altre cose, che la fuga del Pontefice fu il frutto di concerto del Re coi Cardinali, i quali lo aveano spaventato, ingannato, raggirato, e che «saputo l'arrivo del Papa, Ferdinando vi manda i soldati, e va egli stesso per vedere la sua vittima, e non lo farà uscire da Gaeta se non, o quando è morto, o avrà fatto quello che egli vuole: poscia aggiungevasi «Povero Pio IX tradito, carcerato! Popolo delle Due Sicilie correte tutti in Napoli a liberare il Vicario di Gesù Cristo ed uccidere il traditore con tutti i suoi Ministri e compagni. Molte furono lo osservazioni che si fecero contro questo scritto,, onde preservare gl'ignoranti dalla peste delle false credenze; ma più eloquente di tutti gli argomenti fu lo spontaneo procedere del popolo, il quale appena seppe cosa contenesse immantinenti lo strappava con isdegno dalle mura, e lo facea in pezzi. Dir verbo adesso sulla malignità di quelle parole, sarebbe veramente opera sprecata, dopo i fatti che si compierono.

Ben diversamente operavasi in tutto il resto del Mondo Cattolico; poiché da tutti i punti uscivan segni e parole di profondo cordoglio, di affettuosa carità, e di generose offerte verso il Sommo Esule. Venite, dicevano gli Spagnuoli, venite o Sacro Fuggitivo nella patria dei Pelagi.... voi troverete la fede ardente. Il più miserabile, il più

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In frattanto il Santo Padre sciolto ormai dai legami che teneano arrandellata la sua mente, pubblicava ai 27 Novembre la seguente protesta avverso gli atti del romano governo.

» Le violenze usate contro di Noi nei scorsi giorni, e le manifestate volontà di prorompere in altre, che Iddio tenga lontane, Ci anno costretto a separarci temporaneamente dai Nostri sudditi e figli, che abbiamo sempre amato ed amiamo».

» Fra le cause che ci ànno indotto a questo passo, Dio sa quanto doloroso al Nostro cuore, una di grandissima importanza è quella, di avere la piena libertà nell'esercizio della suprema potestà della Santa Sede, qual esercizio potrebbe con fondamento dubitare l'orbe cattolico, che nelle attuali circostanze ci venisse impedito. Che se una tale violenza è oggetto per Noi di grande amarezza questa si accresce a dismisura ripensando alla macchia d'ingratitudine contratta da una classe di uomini perversi al cospetto dell'Europa e del mondo, e molto più a quella che nelle anime loro à impresso Io sdegno di Dio, che presto o tardi rende efficaci le pene stabilite dalla sua Chiesa».

» Nella ingratitudine dei figli riconosciamo la mano del Signore che Ci percuote, il quale vuole soddisfazione de' Nostri peccati, e di quelli dei popoli; ma senza tra

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Noi non ci possiamo astenere dal protestare solennemente al cospetto di tutti (come nella stessa sera funesta de' 16 Novembre, e nella mattina del 17 protestammo verbalmente avanti al corpo diplomatico, che ci faceva onorevole corona, e tanto giovò a confortare il Nostro cuore) che Noi avevamo ricevuto una violenza inaudita e sacrilega. La quale protesta intendiamo di ripetere solennemente in questa circostanza, di aver cioè soggiaciuto alla violenza, e perciò dichiariamo tutti gli atti che sono da quella derivati di nessun vigore, e di nessuna legalità».

» Le dure verità e le proteste ora esposte ci sono state strappate dal labbro dalla malizia degli uomini, e dalla nostra coscienza, la quale nelle circostanze presenti, ci ha con forza stimolato all'esercizio de' Nostri doveri. Tuttavia Noi confidiamo, che non ci sarà vietato innanzi al cospetto di Dio, mentre lo invitiamo e lo supplichiamo a placare il suo sdegno, di cominciare la nostra preghiera colle parole di un santo re e profeta: memento Domine David et omnis mansuetudinis eius».

Terminava Sua Santità raccomandando ai suoi sudditi che stessero tranquilli, e che volgesser preci all'Altissimo, per allontanare dalla inclita città i suoi flagelli. Intanto perché la cosa pubblica non rimanesse senza governo, si facea a nominare una Commissione Governativa, preseduta dal Cardinale Castracane, al quale con lettera autografa dava opportune disposizioni prescrivendo, che si. prorogassero i due Consigli, né si riunissero senza ordine sovrano; che la Commissione potesse deliberare in tutti gli affari dello Stato; che le nomine ai pubblici uffici dovessero essere provvisorie, e abbisognassero della sovrana sanzione quando Egli sarebbe ritornato nei suoi domini. Molte altre cose facea il S. Padre intese a ricondurre l'ordine e la legalità nella disordinata Roma; ma le sue benigne parole eran come la semenza del Vangelo

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beccata dai rapaci stormi, appena seminata; poiché la Casta sovvertitrice un solo istante non preteriva, e sfrontatamente assicurava al romano popolo, che esse eran false, non autentiche, né legali; perché il Papa era prigioniero in Gaeta fra gli artigli della Diplomazia, e intanto non ad altro mirava che a cessare o ammansire in vario modo la indegnazione suscitata in tutto l'orbe cattolico per la sacrilega condotta verso dell'Augusto Pontefice, epperò andava asserendo le più stravolte menzogne, e più che ogn'altra cosa ribadiva sempre che il Papa in Gaeta era captivo, che i suoi atti eran comandati, e impietosendo sul suo Martire, volle mostrare che Roma tuttavia desiderava avere ira le sue mura il suo Principe; epperò faceasi a spedire Deputazioni le quali con tre lettere del Municipio, dell'alto Consiglio, e del Consiglio dei Deputati, pregavano Sua Santità a voler ritornare in Roma, e si dolevano di essere trattenute sul confine napolitano. Facea rispondere il Pontefice esser note le cause principali che lo avevano spinto fuori dei suoi domini, e che era dolente perciò di non poterle ammettere alla sua presenza. Sarebbe stata stoltezza rendersi all'invito in una regione tuttavia scommossa dai saturnali della demagogia, per ritornare nello esizial piede dei 16 Novembre, essendo tuttora stillante dell'innocente sangue di Rossi l'infame ferro. La contumacia e le intemperanze ebbero in Roma gli stessi frutti degli altri luoghi, ossia il totale scrollamento del reo edificio.

Intanto il Santo Pontefice frustrato nella sua aspettazione, e conosciute le ulteriori stemperatezze di cui la sua Roma era ostello, pubblicava una seconda protesta ai 17 Dicembre del seguente tenore.

» Per divina misericordia ed in un modo quasi mirabile assunti noi, sebbene immeritevoli al Sommo Pontificato, una delle nostre prime cure fu quella di promuovere l'unione fra i sudditi dello Stato temporale del la Chiesa,

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di rassodare la pace fra le famiglie, di benefi

» Rifugge il nostro animo dal dover qui lamentare particolarmente gli ultimi avvenimenti, incominciando dal giorno 15 del passato novembre, in cui un Ministro di nostra fiducia fu barbaramente ucciso in pieno merigio dalla mano dell'assassino, e più barbaramente ancora venne quella mano applaudita da una classe di forsennati, nemici di Dio e degli uomini, della Chiesa non meno che di ogni onesta politica istituzione. Questo primo delitto aprì la serie degli altri che con sacrilega sfrontatezza si commisero nel giorno seguente: e poiché questi hanno già incontrato l'esecrazione di quanti sono gli animi onesti nel nostro Stato, nell'Italia, nell'Europa, e la incontreranno nelle altre parti del mondo, così noi risparmiamo al nostro cuore l'enorme dolore di qui ripeterli. Fummo costretti di sottrarci dal luogo ove furono commessi, da quel luogo ove la violenza e impediva di arrecarvi il rimedio, ridotti solo a lagrimar coi buoni e

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ai quali il più tristo ancora si aggiungera di vedere isterilito ogni atto di giustizia contro gli autori degli abominevoli delitti. La Provvidenza ci condusse in questa città di Gaeta, ove trovandoci nella nostra piena libertà, furono da noi contro i suddetti violenti attentati solennemente ripetute le proteste, che in Roma stessa, fin da principio avevamo già fatto innanzi ai rappresentanti, presso di noi accreditati, delle Corti di Europa e di altre lontane nazioni. Nello stesso atto non tralasciammo di dare temporaneamente ai nostri Stati legittima Rappresentanza Governativa, senza derogar alle istituzioni da Noi fatte, affinché nella Capitale e nello Stato rimanesse provveduto al regolare ordinario andamento dei pubblici affari, alla tutela delle persone e delle proprietà dei nostri sudditi. Fu da noi altresì prorogata la sessione dell'Alto Consiglio de' Deputati, i quali erano stati recentemente chiamati a riprendere le interrotte sedute. Ma queste nostre determinazioni, lungi dal far rientrare nella via del dovere i perturbatori ed autori delle predette sacrileghe violenze, gli hanno anzi spinti ad attentati maggiori, arrogandosi quei sovrani diritti, che a Noi solo appartengono, con aver essi nella Capitale istituita per mezzo dei due Consigli una illegittima rappresentanza Governativa, sotto il titolo di provvisoria e suprema Giunta di Stato, e pubblicato ciò con atto del giorno 12 di questo mese. Le obbligazioni indeclinabili della nostra Sovranità, ed i giuramenti solenni con cui abbiamo al cospetto del Signore promesso di conservare il Patrimonio della Santa Sede, e trasmetterlo integro ai nostri successori, Ci costringono a levare alto la voce ed a protestare avanti a Dio ed in faccia di tutto il mondo contro questo cotanto grave e sacrilego attentato. Dichiariamo pertanto nulli, di nessun vigore e di nessuna legalità tutti gli atti emanati in seguito delle inferiteci violenze, ripetendo altresì che quella Giunta di Stato instituita in Roma non è altro che una usurpazione

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Nulla non concludevano le pontificie proteste, anzi punto non si ritrassero i novatori di Roma da ulteriori eccessi, poiché vennero con calore al fatto della Costituente; epperò l'Augusto Pontefice nel 1.° giorno del seguente anno pubblicava un' altra protesta, nella quale ripetendo i sensi delle precedenti, proibiva ai suoi sudditi di accedere alle elezioni dei membri della Costituente romana, ricordando la scomunica maggiore fulminata dal Concilio di Trento. Malgrado ciò, si mandava innanzi la Costituente in mezzo a deliri e feste, e suo principale atto fu la dichiarazione della decadenza del Papato, e la istituzione della romana repubblica; contro di cui protestava a tal guisa il trambasciato Pontefice innanzi al Corpo Diplomatico ai 14 di febbrajo del 1849.

» La serie non interrotta degli attentati commessi contro il Dominio degli Stati della Chiesa preparati da molli per cecità, ed eseguiti da quelli che più maligni e più scaltri avevano da gran tempo predisposta la docile cecità dei primi, questa serie avendo oggi toccato l'ultimo grado di fellonia con un decreto della sedicente Assemblea Costituente Romana in data 9 febbraio corrente; nel quale si dichiara il Papato decaduto di diritto e di fatto dal Governo temporale dello Stato Romano, erigen

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ci mette nella necessità di alzare nuovamente la nostra voce contro un alto, il quale ai presenta al cospetto del mondo col moltiplico carattere della ingiustizia, della ingratitudine, della stoltezza e della empietà, e contro il quale Noi, circondati dal Sacro Collegio e alla vostra presenza, degni Rappresentanti delle Potenze e Governi amici della Santa Sede, protestiamo ne' modi più solenni, e ne dichiariamo la nullità, come abbiamo fatto degli atti precedenti. Voi foste, o Signori, i testimoni degli avvenimenti non mai abbastanza deplorabili de' giorni 15 e 16 novembre dell'anno scorso, e insieme con noi li deploraste e li condannaste; voi confortaste il nostro spirito in. quei giorni funesti; voi ci seguiste in questa Terra, ove ci guidò la Mano di Dio, la quale innalza ed umilia, ma che però non abbandona mai quello che in lui confida; voi ci fate anche in questo momento nobile corona, e perciò a voi ci rivolgiamo, affinché vogliate ripetere i nostri sentimenti e le nostre proteste alle vostre Corti e ai vostri Governi».

» Precipitati i sudditi Pontifici per opera sempre della stessa ardita fazione, nemica funesta della umana società, Dell'abisso più profondo di ogni miseria, noi come Principe temporale, e molto più come Capo e Pontefice della Cattolica Religione, esponiamo i pianti e le suppliche della massima parte de' nominati sudditi Pontifici, i quali chiedono di vedere sciolte le catene che li opprimono. Domandiamo nel tempo stesso che sia mantenuto il sacro diritto del temporale dominio alla Santa Sede, del quale gode da tanti secoli il legittimo possesso universalmente riconosciuto, diritto che nel!' ordine presente di Provvidenza si rende necessario e indispensabile pel libero esercizio dell'Apostolato cattolico di Santa Sede. L'interesse vivissimo, che in tutto l'Orbe si è manifestato a favore della nostra causa, è una prova luminosa che questa è

la causa della giustizia, e perciò non osiamo neppur dubitare

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che essa non venga accolta con tutta la simpatia e con tutto l'interesse dallo rispettabili nazioni che rappresentate».

Pertanto chiaramente si scorgeva, che le parole benigne, od aspre punto non valevano in animi indurati nella ingratitudine, e sprofondati nella stupida ebbrezza delle sregolate passioni; che il timore o la realtà dello pontificie censure non faceano impressione in cuori corrotti, e scemi di ogni sentimento religioso; per la qual cosa onde non gittare il tempo invano, e salendo il tostano sgombero di tanta contaminazione dal Vaticano, il Sommo Pio faceasi a chiedere alle Potenze l'intervento armato nei suoi Stati, affinché si potesse giunger con le armi là dove era impossibile pervenire con la ragione, e sì come sarà narrato in altro luogo vi si giunse.

Nel tempo che Pio IX a tal maniera era urtato dai novatori di Roma, e grandi mutamenti in altre parti della Penisola intervenivano, il Gran Duca di Toscana era minato nella sua Firenze. Aperte in persona le Camere toscane nel 9 Gennajo del 1819, fra gravi agitazioni la concitata tribuna era dimenata dai patriotti di Livorno; pel progetto di legge Montanelli, risguardante la Costituente romana il disordine venne al più alto segno, il circolo fiorentino a malo stento era frenato nel suo proposito di grandi dimostrazioni popolari; fu proclamata la repubblica in Livorno; il Granduca lasciava la sconvolta Firenze e si portava in Siena, stanza della sua famiglia, indi a S. Stefano. Incontanente fu instituito un governo provvisorio composto da Montanelli, Guerrazzi, e Mazzoni; formato un nuovo ministero; stabilita la decadenza del Principe; piantati gli alberi della libertà; combuste le armi austriache e napolitane; invigilato il contado, che, amando di vero amore il Granduca, si era mostrato avverso alle novità; inaugurata la repubblica. Intanto ii buon Leopoldo Principe Umanissimo, udiva rumoreggiare dal suo asilo il turbine, e aveva avuto seniore,

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che Montanelli si era fatto ad ordinare alle truppe di andare a S. Stefano e imprigionarlo. A questo i Ministri francese, inglese, e sardo, con cui stava a consiglio, avevan quasi stabilito di riparare in Torino, quando giungeva lieto un Saint-Marc, Aiutante di campo del Generale Charrelte, il quale in mezzo alle dubbiezze del toscano Principe, si era spinto sur un piccolo e fragile schifo fra mille perigli per a Gaeta, ed aveva portato confortevoli lettere di Pio e di Ferdinando; sì che il Granduca si muoveva per la sicura Gaeta, lasciando l'intorbidato Arno.

CAPITOLO VIII.

RIAPERTURA DEL PARLAMENTO NAPOLITANO.

Sommario

Le Camere son prorogate per la seconda volta, e perché; infine sopraggiunto il prefisso tempo sono aperte. Il Ministero per diverse e contrarie vie urtato, e riurtato. I Deputati dietro gagliarde e prolungate discussioni vanno scopertamente ai danni di quello con un indrizzo al Re. Quanto fosse imprudente un tal procedere. Il Ministero si tien saldo io mezzo alle tempeste, e con un memorando rapporto al Sovrano, difende se, dipinge a minuto le improntitudini, le sregolatezze, e gli eccessi della Camera dei Deputati e ne domanda la chiusura. Il Re con un decreto scioglie la turbolenta tribuna, né più di lei si cale.

Fu da noi detto nel capitolo quarto del presente libro, che le Camere Legislative erano state prorogate ai 30 Novembre, ora soggiungerò, che pei nuovi incidenti svolti in Italia, e segnatamente in Roma, il Re ai 23 di tal mese estendeva la proroga al 1.° di Febbrajo dell'entrante anno. Ed alla verità la fuga del Pontefice dal Vaticano, il forte ribollimento degli animi romani, l'attrito violento dei partiti, la contumace accidia dei Siciliani, le discussioni intorno allo stato discusso, ed altri obbietti d'importanza non avrebbero fatto altro che recare in momenti così trepidi urti, contrasti, e conflitti di passioni nel campo del nazionale parlamento; mollo più perché non eran per anco posate l'esagitazioni delle Camere; il Ministero e i Deputati tuttora si guatavan biechi; e d'altronde l'intorbidato Tevere, non si sarebbe rimasto dal mandare un funesto rivo al dubbio Sebeto, e spingerlo a gravi mutamenti.

Frattanto arrivate le calende di Febbrajo,si dischiudevano le Camere Legislative. Napoli memore della lamentevole catastrofe di Maggio, era fra timori e speranze tempellaate, e deserta;

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nondimeno non. mancava un brulicame di curiosi nella strada del Salvatore che menava all'edilìzio delle Tribune, non che nel Cortile di quello. I Deputati e i Pari, riuniti in uno dei gabinetti della Università, si recarono nella chiesa del Gesù vecchio per una scala interna, e dopo ascoltatavi la messa, invocato l'aiuto dello Spirito Santo, e ricevuta la S. Benedizione, verso il 'mezzodì si portarono nelle rispettive stanze. Eran presenti alla funzione i Ministri Torcila, Carascosa, Bozzelli, Gigli, Ruggiero, e Longobardi. Vari drappelli di soldati si aggiravano per le vicinanze dell'Università, pronti ad accorrere ad ogni bisogno; ma l'apertura riuscì tranquilla in ambo i Consessi legislativi, e solo in quella dei Deputati vi furono fragorosi applausi.

Nelle susseguenti tornate, varie cose si ventilarono, nelle quali tralucea quella stizza contro il Ministero che sventuratamente la piupparte dei Deputati non avea saputo attutire o spegnere, e che man mano ingrossando finì con aperta guerra, nella quale per altro essi rimasero prostrati, e per sempre. Il Ministero veniva tempestato da molti lati, per contrarie cagioni; sì che era in punta degli odi, e se ne desiderava la caduta. Alcuni lo tassavano, perché non si era attraversato validamente alla riapertura di quelle Camere., le quali non pace, né progresso, ma guerra, tutto, e catastrofi aveano al paese procacciato; e di cui non pochi si Servivano per andar difilati alla distruzione del Trono, ed al completo sovvertimento della società. Altri che avevano a cuore la conservazione, e il progresso del costituzionale reggimento, gli portavano mala volontà, perché non sapeva o non voleva calarsi a concordia col Parlamento, mentre dalla discordia nessun bene, ma tutto il male al paese derivava. Altri infine gli tenevan broncio, perché avea applicato tutto l'animo suo allo spegnimento della rivoluzione di Calabria, cardine delle più lusinghiere speme, ed alla messinese guerra che tanto avea sconfortato i liberali ed innalzato i Regi.

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In mezzo a tante cagioni di odio, il Ministero era in mille modi minato, e cotidianamente alla sua distruzione si mulinava; e nella Camera dei Deputati, focolajo di tutte passioni, si andavano a rannodare gli sdegni, e le forze riunite per lo conseguimento dello scopo; e fu stabilito dì farne subbietto di un indrizzo al Principe.

Molte e calorose discussioni nacquero intorno alla convenienza dello indrizzo; nella tornata degli 8 Febbrajo fu agitatissima la tribuna parlamentaria; ben dodici gagliardi oratori con vario impeto, proposito, argomentare, ed eloquenza parlarono: infine fu concluso che l'imprudente indrizzo avesse il suo corso. Dissi imprudente e non a torto; poiché il governo non era si gonzo, che non vedesse gravi disegni nel mutamento di un Ministero che avea timoneggiato accortamente la nave dello Stato in mezzo alle politiche procelle, e massime in un tempo in cui i Ministeri di Piemonte e di Toscana erano sbalestrati per la demagogia, ed in sul Tevere, affascinate le menti dalle memorie antiche, e solluccherate dalle fantasime future, era vicina ad innalzarsi la repubblica. Adunque non tenersi fra i limiti della moderazione in quelle trepide circostanze, e gittarsi ad un certame col Ministero, era veramente una manifesta imprudenza, o una condannevole improntitudine. Le ire municipali, vecchia cangrena d'Italia, perderono le antiche istituzioni; le imprudenze, e gli odiuzzi personali dei moderni, passioni puerili schernite mai sempre da fortuna, le recenti instituzioni perderono. quest'esso è l'indrizzo.

» Sire - La camera de' deputati volendo provare a Vostra Maestà ed al paese intero ch'è suo costante desiderio di prestare al potere esecutivo il suo franco e leale concorso, nel silenzio de' ministri, à votato spontaneamente la riscossione provvisoria delle imposte».

» Ora sente il dovere e la necessità di rivolgersi alla Maestà Vostra, e con fiducia ella si rivolge al Principe,

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che primo inaugurava nella penisola italiana gli ordini costituzionali, e con fiducia ella attende una voce che riconduca l'armonia tra i poteri costituiti, ed impedisca che uno statuto liberamente dato sia da' supremi agenti responsabili più oltre manomesso».

» Sire. I deputati della nazione persuasi che i veri bisogni del principe si confondono con quelli del popolo, di cui è capo e vindice supremo, non dubitano di manifestare francamente a Vostra Maestà, che l'attuale ministero non à la fiducia del paese, e ch'esso falsandole istituzioni, tradisce ad un tempo gl'interessi del Principe e quelli del popolo. Cosiffatti bisogni ed interessi si riassumono, Sire, nell'attuazione sincera e piena del regime costituzionale consentito dal Principe, legittimo dritto del paese, voto precipuo de' suoi rappresentanti».

» Non è dubbio, o Sire, che il ministero à contro di se quasi unanime la riprovazione della camera elettiva; riprovazione giustificata abbastanza dal tenore ch'esso à serbato, e serba tuttora».

» Il ministero ostinatamente à celato alla camera tutto ciò che riguarda l'interna politica del governo di V. M., facendo sembianza di crederla ostile ad ogni ragionevole ed onorata proposta; le à negato ogni ragguaglio intorno alle condizioni economiche ed amministrative del paese, à trascurato colpevolmente ogni iniziativa di leggi, di cui suprema era la necessità ne' primordi del nuovo reggimento; né contento di ciò interamente, prorogando le camere e fino impedendo che la loro voce giungesse innanzi al trono, à renduto impossibile ogni salutare provvedimento, né à temuto, fatte silenziose le camere, di sostituir la sua voce a quella de' rappresentanti della nazione, usurpando la potestà legislativa con atti aggravanti sopratutto la condizione della finanza o de' contribuenti. Infine à trascurato e trascura, con gravissimo danno del paese, di adoperarsi a spegnere

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le funeste cagio

» Che più? Gli stessi dritti scolpitamente assicurati alla nazione dallo statuto, non furono pel ministero oggetto di religiosa osservanza, ma di ludibrio. Vostra Maestà voleva garentita la libertà individuale, libera la manifestazione del pensiero, inviolabile il domicilio, indipendenti i giudizi, egualità innanzi alla legge: ma invece il ministero non uno solo di questi sacri dritti lasciava inviolato».

» E ben poteva qui la camera ritrarre agli occhi di V. M. un quadro doloroso di sofferenze e di angoscie indicibili; le carceri riboccanti d'imputati e di sospetti per opinioni politiche; innumerevoli famiglie vedovate de' loro più cari, astretti a' dolori dell'esilio, e l'universale mestizia inacerbita dal ministero che indugia a V. M. la gloria e le gioie del perdono».

» Sire la camera non può sperare ornai che un ministero, tante volte indarno censurato, si ritraesse dalla sua via; né dall'altra parte essa stima convenire alla propria dignità ed agì' interessi della nazione consumare il tempo in una sterile lotta per combattere la illegalità e la ignavia de' ministri. Contro le colpe di costoro ben sente ella di avere dritti severi ad esercitare, ma per temperanza civile antepone oggi di rivolgersi al principe. Collocata Vostra Maestà nell'alta sfera di quelle sublimi attribuzioni costituzionali, che spogliandola di ogni possibilità di fare il male, le lasciano l'onnipotenza di operare il bene, non tarderà a profferire quella regia paro la, medicina suprema a' travagli dello stato: come dal loro canto i deputati sono stati sempre, e saranno parati a dure al governo di Vostra Maestà quel pieno e costi

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che le frutterà non men sostanza dì forma, che amore e riverenza de' popoli».

Il Ministero a lai forma percosso, ripercuoteva, e in questi sensi andava il suo animo al Sovrano dichiarando.

«Sire - Nella mancanza di ogni possibile accordo fra il Ministero e la pluralità della Camera elettiva, in tempi nei quali, per le tristissime vicende in cui gli stati confinanti sono miseramente travolti, questo Reame, divenuto segno da ogni parte ai più malvagi tentativi di sovversione, riman perplesso ed agitato nella incertezza de' suoi destini; non altro espediente offrivasi a noi, suoi fedelissimi sudditi e ministri, se non quello di rivolgersi alla inevitabile alternativa, o che fosse a noi dato il ritirarsi tutti; o che la suddetta Camera fosse sciolta. Nella gravità di sovrastanti casi, la inefficacia de' nostri voti perché la Maestà Sua si appigliasse al primo dei due proposti partiti, ci rende unanimi nel richiamar la Sua Sovrana attenzione sulla imperiosa, urgentissima, invincibile necessità di ormai ricorrere al secondo. Conceda quindi la Maestà Sua, che a meglio indicarnele i prominenti motivi, noi percorriamo d'un rapido sguardo gli avvenimenti a cui si rannoda l'attuale stato delle cose, da quelli che per lo innanzi ci percossero, sino a. quelli che tuttavia ci premono e c' incalzano».

» La Maestà Sua inaugurava un' era novella in questa patria dilettissima con la Costituzione che spontaneamente concedea il 10 febbraio dello scorso anno ai suoi popoli: ed esser già stato il primo a formolarne il dettato in Italia, è una gloria che niuno le può contendere. Se non che mentre a questo inatteso mutamento di civil comunanza le masse applaudivano a gara con leal rendimento di grazie al Cielo, un pugno di audaci, avidi di far mercato delle lacrime nostre, concepirono sordamente il reo disegno di avvelenare la pubblica gioia delle lo

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» Or non è da obbliarsi che il Ministero attuale, onorato dalla fiducia della Maestà Sua in momenti disastrosi, nei quali sarebbe stata viltà il rifiutare di obbedirla, prendea le redini dello Stato dopo la spaventevole catastrofe del 15 maggio; la quale, benché compressa nelle strade di Napoli, pur prorompea in cento altri luoghi, pari a fuoco sotterraneo che cercasse violentemente un'uscita; e dopo aver commosso tutto, balzando di provincia in provincia, si dilatava con nuovo e più efferato mugghio nelle Calabrie, ove minacciò irreparabile una generale conflagrazione. Vidersi allora fra cittadini e cittadini, come se ogni vincolo sociale fosse andato in pezzi, attentati alla vita, attentati alla proprietà, attentati all'onore, e tutto rimescolato e confuso in una congerie di orribili ed inaspettati disordini. In questo convulsivo stato di cose, il dover primo e più sacro dell'attuai Mi

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e preservar la Costituzione dagli attacchi di chi avea voluto lacerarla: esso la riguardò come l'albero della vita, intorno a cui tutti, calmata la effervescenza delle passioni impure, si sarebbero un giorno riordinati e raccolti. Se questo non produsse immediatamente i suoi frutti, non fu colpa del Ministero; ma fu suo merito che in mezzo alle tempeste di esterminio esso non rimanesse schiantato fin dalle sue radici, perché oppose alle percosse che il crollavano una resistenza in gran parte passiva, ma sempre ferma e perseverante. Convinto che mercé la Costituzione la libertà si era identificata con la Corona, il Ministero, per serbare ad entrambe la loro integrità e la loro inviolabilità, si collocò intrepido fra la Corona e i pericoli che le sovrastavano; affinché divenuto esso solo bersaglio a tutt'i colpi, quest'area dell'alleanza si rimanesse invulnerata per la futura prosperità de' popoli. Tutto quello che ha operato nell'intervallo è stato in vista di questo eminente obbietto; e forte della sua coscienza, il Ministero se ne applaude, aspettando la retribuzione di giustizia, non da' suoi contemporanei ma dall'imparziale posterità.»

» I primi nostri provvedimenti governativi portarono infatti la duplice impronta della fermezza e della più riconciliante moderazione. Poiché mentre dall'un canto, a tutelare la interna sicurezza dello stato, e così preservar di rimbalzo il resto della minacciata Italia dalla funesta dissoluzione d'ogni ordine sociale, noi non fummo perplessi a richiamar subito nel Bearne quella parte del napoletano esercito che già preparavasi a combattere pugne gloriose in regioni esterne, mostrammo dall'altro che non dovendosi eriger trofei alle civili vittorie, ogni rincrescevole classificazione tra vinti e vincitori dovea sparir senza ritardi: per cui oltre a 600 individui, presi nella maggior parte con le armi alla mano, e ancor luridi, e fumanti del terribile conflitto del 15 maggio,

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vennero il dì appresso tutti rilasciati, e quest'atto di longanimità in un consimile clamoroso avvenimento, che avrebbe dovuto comporre immediatamente a stabil concordia le anime più ostinate nel mal operare, non ci riuscia malagevole, quando trattandosi di perdonare, il nobil cuore della Maestà Sua precorrea di gran lunga fino alte nostre intenzioni più occulte. né le altre simultanee misure che adottar ci convenne a garantia della tranquillità pubblica, furono suggerite da spirito men temperato ed indulgente; lasciando noi alla rigida storia il decider con facili confronti, se lo stato di assedio, a cagion di esempio, in cui fu dichiarata la Città di Napoli fosse stato più di nome che di fatto».

«Fermi così nel preconcetto nostro politico sistema di rianimar la devozione per l'Augusta persona della Maestà Sua, ed il rispetto dovuto alla Costituzione accordataci dal suo grande animo, noi ci rivolgemmo a pacificare per gradi le agitate province senza insoliti rigori, senza persecuzioni cieche, senza spargimento di sangue. E siccome in talune di esse offria perenne incitamento alle turbolenze lo stato di anarchia deplorabile in cui la contigua città di Messina si ritrovava, noi non fummo irrisoluti a spinger fin là i mezzi di disperdere a cornuti vantaggio i perturbatori dell'ordine, e ricongiunger di nuovo la intera isola al rimanente del Reame: al che bastarono pochi bravi di un esercito eminentemente intrepido e devoto, anche in breve spazio, affrontando con valore ogni specie di pericolo, restituirono alla desiderala calma quella derelitta contrada. Indispensabile quanto salutare impresa, che unita sempre alla franca lealtà ed alla costante buona fede della politica del Governo, ci meritò al punto la stima dell'Europa che due grandi Potenze vollero esse, ad attestato di antiche benevole relazioni, delegar due rinomati Ammiragli

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a portar parole di

» Se non che le passioni sovvertitrici eran represse ma non disarmate negl'indomabili faziosi che avean tentata la rovina di tutti; e divenuti impotenti a sfogarsi per le antiche vie, si gittarono, sotto le ipocrite apparenze dell'esercizio di un dritto, a macchinar più iniqui attentati ne' Collegi elettorali che si convocavano per la novella Camera, dopo che restò sciolta la precedente. Le liste degli elettori eran già incompiute; perché in tanta general commozione i più timidi si ritrassero dal farvisi comprendere. Ciò malgrado la fazione audace, cui offri a si propizia l'opportunità di risommergere il reame ne' tumulti, abusando della generosità del Governo, il quale si astenne da qualunque atto che potesse inceppare la libertà de' suffragi, stimò che fosse ancor troppo esteso il numero di coloro che vi si trovavano iscritti; e pose tutto in opera per allontanarne la maggior parte col turpe mezzo delle menzogne; delle frodi, delle calunnie, delle minacce e delle violenze d'ogni specie. E che i successi rispondessero all'intento, lo provano geometricamente i fatti, poiché a Napoli, di 9384 elettori iscritti, soli 1491 intervennero alla elezione; ad Aversa di 2822, ne comparvero soli 483; a Lagonegro di 3448 se ne mostrarono soli 652; a Catanzaro, di 5853, soli 1140; a Nicastro, di 3623, soli 932; a Foggia, di 4608, soli 1300; a Bovino, di 2108, soli 421; a Lecce, di 3568, soli 508; a Bari, di 9652, soli 2175; ad Altamura, di 2801, soli 478; e cosi di tutti gli altri. né mancarono dei Collegi che o non si riunirono affitto, o che facendosi giudici essi delle più alte prerogative della Corona, dichiararono illegalmente sciolta la precedente Camera, e ne confermarono senza forma di elezione i Deputati».

» Frutto di tante inique pratiche e di una sì scandalosa minoranza di elettori fu l'attuai Camera de' Deputati,

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tra coloro che ne fan parie, rappresentate da personaggi che intimamente convinti non potersi la vera libertà disgiugner mai dall'ordine, si fecero dell'una come dell'altro ardenti e leali propugnatori, spregiando i biasimi che lor ne veniano da una turba facinorosa ed insolente di spettatori, non parve riunirsi nella Capitale del Reame se non per mettere in piena mostra la impurità della sua origine. Poiché nella verifica dei poteri si lasciò trarre ad intrudere nel suo seno taluni individui a' quali mancavano i requisiti richiesti per sostenere un sì alto mandato; ed avvertita dell'errore, sdegnò fieramente di emendarlo; dando così l'esempio di un Consesso che delegato a concorrere alla formazione delle Leggi, cominciava esso medesimo dal conculcarne i più aperti dettati. E indi si organizzava in assemblea legislativa, fingendo di obbliar nettamente, che innanzi di prender seggio ne' suoi recinti, primo ed indispensabil dovere di ciascun Deputato era quello di prestare alla Costituzione in vigore quel giuramento temuto che rappresenta un atto, non sol di religione, ma di probità civile; e fingea di obbliarlo come obbietto di pochissima importanza, e come se Dio è la virtù non dovessero esercitar la menoma influenza sulle sue future ispirazioni; mentre la Maestà Sua e tutta la Sua Regal Famiglia sin dai primi giorni la giuravano con lealtà di benevoli affetti a pie degli Altari; e la giuravano i pubblici funzionari negli svariatissimi rami dell'Amministrazione dello stato, e la giuravano l'esercito e l'armata nelle loro più infime classi».

» Al certo Dell'indirizzo con cui rispose al discorso della Corona, la Camera non trascurò d'inserire per la Maestà Sua talune vaghe proteste di devozione, le quali prive di quella ingenuità espansiva che le indicasse surte dal profondo del cuore, vennero smentite immediatamente dai fatti; essendosi visti alcuni fra coloro che la com

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e fuori e dentro il Reame, sia per mettere in brani la Monarchia, sia per sovvertirla o venderla bruttamente ad altri. E per impadronirsi del potere supremo, di che avea fatto innanzi si tristo esperimento, rifulsero fin da allora i lampi di quella irrequieta sua impazienza di allontanarne sotto qualsiasi pretesto l'attual Ministero; cui ai suoi occhi eran gravissime colpe di esser pervenuto con la sola perseveranza de' mezzi temperati a ricondurre la calma nel paese, a reprimere sempre rinascenti tumulti, a soffocar la perversa tendenza che ha posto due vicini stati sull'orlo di un abisso, a serbar la Costituzione intatta e ne' soli precisi termini onde ci fu largita, a sostener finalmente con saldo animo, senza temerità e senza bassezza, la dignità e la indipendenza dello stato in faccia allo straniero».

» E la Maestà Sua non ignora quante volte per solo amore di pace noi l'abbiam sollecitata umilmente a degnarsi di accogliere la nostra demissione. Ma quando la Camera tradita nella sua fremente ambizione si lascia trascorrere in maligne accuse, che uomini d'intemerata vita non si abbasseranno mai a combattere; quando con novello stranissimo indirizzo, trascendendo essa i mezzi che la Costituzione le offre, osa fare alla indipendenza de' poteri del Principe apertissima ed irriverente violenza, per cosi dischiudersi le vie a riaccendere le collisioni Od de il Reame fu per lo innanzi contristato; quando ad accrescere le perturbazioni e i pericoli, osa implicitamente, ma con arroganza intimargli, che terrebbe in poter suo le chiavi del Tesoro pubblico, fino a che le sue superbe insistenze non restino soddisfatte: quando alfine la M. S. francamente sia risoluta di continuarci quella fiducia che noi abbiamo la coscienza di non aver demeritata, mentre ogni ulterior contatto con la Camera de' Deputati è per noi divenuto impossibile; allora è di necessità

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richiamando ai loro veri principi le leggi dell'elezione, affinché i turbolenti fautori dell'anarchia non riescano più oltre a falsarle coi loro perversi raggiri ed improbi attentati».

» E questo il voto che noi presentiamo unanimi a piè del suo Trono con quegli invariabili sentimenti di rispetto, di riconoscenza e di pienissima devozione, onde abbiamo l'onore di raffermarci».

» Suoi umilissimi, obbedientissimi, fedelissimi sudditi e ministri».

» Principe di Cariali. - Principe di Torello. - Ischitella. - R. Carrascosa. - Gigli. - Francesco Paolo Ruggiero. - Bozzelli. - Raffaele Longobardi».

Il vigoroso rapporto arrecò vigorosa risoluzione, e il Sovrano con decreto dei 12 Marzo da Gaeta scioglieva il Parlamento.


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CAPITOLO IX.

SPEDIZIONE DI CATANIA.

Sommario

Le ingannevoli negoziazioni di pace, ricoprono apparecc-hi ostili in Sicilia. Ultimato venuto da Londra sulle sicule vertenze, contro il quale nobilmente protesta il Principe di Cariali. Magnanima condotta del Re. Ultime concessioni regie portate in Palermo dai Mediatori Inglesi e Francesi; e messe a conoscenza del Siciliano Ministero con una nota di Baudin. I Palermitani rifiutano la pace, e voglion guerra, e guerra hanno. Preparativi nimichevoli del Napolitano Governo. Arrivo, e proclami del General Filangieri in Messina; e voci e credenze che vi sorgono. Cominciano le militari mosse. Sei fregate a vapore cariche di troppe accennano a Cefali), fingendo uno sbarco. II resto dell'esercito volge i passi per la via che mena a Catania. Il General Zola combatte in Ali. I Siciliani scacciati da S. Alessio. Le reali milizie espugnano la forte Taormina; si menano innanzi. Apparecchi fatti in Catania, e cenno storico di questa Città. Aci Reale, e molti altri paesi tranquillamente si arrendono, e dichiaran sensi benigni. Le fregate a vapore si defilano per le acque di Catania, e le catanesi batterie tuonano ai loro danni. Furiosa battaglia di Catania, vinta dai Regii.

La mediazione anglo-francese per gli affari di Sicilia, quantunque da insidiosi fini nascesse, e con grave scandalo fosse imposta in prepotenti modi al napolitano governo; pure ebbe desio nel l'animo dei più non lieve compiacimento; poiché parca che il nobile e filantropico proposito schiverebbe gli orrori q"i una guerra accanita e desolante; e si vìvea nella certezza, che a due Potenze primarie del Mondo, quali erano appunto le mediatrici, mai non sarebbe fallito l'intento della pace. Lusinghiera espettazione!

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la umana malizia ogni lieta speranza frustrava; ché il non breve periodo di sette mesi non pure fu speso indarno per la pace; ma servì per far cancellare la grave impressione dei casi di Messina, per attizzare via mag

Vari cangiamenti erano intervenuti nel siculo ministero; immensa quantità di attrezzi ed istrumenti da guerra procurata dalle inglesi fucine; nuovo incremento, e continue istruzioni date al siciliano esercito; due fregate a vapore uscivano dagl'inglesi cantieri; meglio guardato le coste qui e colà; un battaglione francese unito all'armata; né avean mancato di assumer le redini delle preparate forze due generali stranieri, un Antonini Italiano, ed un Trobiant Francese, i quali per altro non ritardarono un sol momento, dopo scorta la materia inopportuna ai loro disegni, di ritrarsi fuori dell'isola; non così comportavasi il Polacco Mierostawskv, il quale dopo le patite sconfitte sul Reno, capitanando gl'insorti Badesi si era ridotto a quel fine in Sicilia; ed avea pasciuto gli animi con ogni maniera di speranze.

Nell'atto che questi apparecchi si facevano, e gli sdegni all'aspra tenzone si attizzavano, le negoziazioni proseguivano. Giungeva da Londra il Ministro Tempie, latore dell'ultimatum per la sicula quistione, il quale rinchiudea quasi gli stessi articoli proposti già da Lord Mintho, e rifiutati dal Re; vai dire, che Sicilia avesse un'amministrazione separata da Napoli, una costituzione particolare, un'armata terrestre e marittima propria, e che pel resto la sicula corona fosse unita a quella di Napoli. Si aggiungeva in ultimo, che le potenze mediatrici si sarebbero ritirate, serbando una stretta neutralità, ove tali condizioni non fossero dall'una delle parti accettate, e lasciando alla fortuna delle armi la decisione della quistione.

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Alle britanniche insidie fortemente e con decoro rispondeva il Principe di Cariati, Ministro degli Affari Esteri. Essere impossibilitato al momento di prendere ordini diretti dal Re, perché assente; ma poter bene rispondere secondo le reali intenzioni, ch'ei appieno conosceva:

» Questo primo punto essendo riconosciuto, voglio supporre per un momento che voi essendo meglio informato sull'oggetto di questa indipendenza, che mi assicurate di voler con tanto impegno difendere, diverrete partecipe della opinione che è creduto mio dovere di appalesarvi, non dovendo questo governo far altro che valersi della vostra gentile assistenza, onde comporre colla vostra ufficiosa concorrenza tutte le altre quistioni pendenti. È d'uopo però che vi domandi, che cosa farete, ove gl'insorti di Palermo ricusassero di sottomettersi al vostro ultimatum, della cui ragionevolezza siete perfettamente convinto? L'attitudine presa dalle forze della Francia e dell'Inghilterra nel giorno 11 settembre non può essere intieramente dimenticata, giacché gli ammiragli Parker, e Baudin minacciarono allora di arrestare colla forza la vittoriosa spedizione in Sicilia, lo sento dunque di aver dritto a dimandare, se in caso di bisogno prenderete un' attitudine capace a troncare queste difficoltà».

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» Permettetemi ora di chiarire un errore che sembra di essere sfuggito alla vostra attenzione. Voi mostrate credere che avesse il Re per un momento acconsentito alle proposizioni che ci faceste. Mi affretto di protestare contro una supposizione di quella natura, che niente è auto

» La quistione non essendo né spagnuola, né inglese, ma esclusivamente napolitana, siciliana e dinastica, nessuna obbiezione può nascere dalle attuali relazioni diplomatiche eh' esistono fra la Spagna e la Gran Brettagna. Sua Maestà siciliana non potrebbe da se stessa, ed in una volta risolvere questa pendente quistione, anche che avesse desiderio di farlo; dovrebbe dunque esser posta in tale situazione da poter rispettare questi dritti come reclami legittimi e giusti, o avere il potere di troncarli con u:t completo rifiuto».

In frattanto le trattative ognora continuavano, e gli Ammiragli francese ed inglese, tanto personalmente che per mezzo dei rispettivi Ministri vi si adoperarono in Gaeta presso il Re, il quale nel benigno scopo di evitare l'ulteriore versamento del sangue, si calava a tutte le condizioni, che la sostanza della cosa non addentassero, e con magnanimo tratto annientò perfino L' ultima clausola dello esilio di un numero dei Capi della rivolta, come l'Ammiraglio Baudin per essi intercedè.

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Compiuto l'ultimato partivano gli Ammiragli e i Ministri Plenipotenziari Inglesi e Francesi, in sull'annottare dei 4 Marzo 1849 per Palermo, affin di renderlo alla

Ecco come andava dicendo il Re da Gaeta. «Siciliani.» Se gli errori di pochi han potuto per un momento far traviare qualcuno fra voi dall'avito vostro attaccamento alla dinastia, che con tanto affetto presiede ai vostri destini da più di un secolo, Noi che avemmo culla fra voi, e non abbiam mai cessato di amarvi con tenerezza di Padre, vogliamo non indugiar più oltre a dirvi, che soddisfiamo ad un bisogno del nostro cuore, adempiamo al più caro dei doveri che impone a Noi l'Augusta, la Santa nostra Religione, assicurandovi che dimentichiamo, e risguardiamo come non avvenuti e non mai commessi i falli ed i reati politici che tanto male vi hanno recato dallo incominciar dello scorso anno 1848 in poi».

» Ritornate quindi alle private vostre bisogne; coltivate in pace i vostri ubertosi campi; restituite alle terre di Cerere, mercé il vostro assiduo lavoro, l'antica loro fertilità, il che sempre la Divina Provvidenza concede all'uomo come ricompensa di prescritto travaglio; ridonale alla vostra industria, al vostro traffico, ai vostri commerci, alla vostra navigazione mercantile Ja pristina attività; chiudete le orecchie alle seduzioni di coloro che cercano d'illudervi per menarvi alla sedizione, alla ribellione, e di là all'anarchia, che di quelle è la inevitabile conseguenza».

» Dopo mature riflessioni ed accurata analisi de' vostri bisogni, e de' voti che possono con equità utilmente e praticamente soddisfarsi, ritenendo come non avvenuti e nulli di dritto e di fatto tutti gli atti i quali hanno avuto luogo in Sicilia dal 12 Gennajo 1848 in poi, concediamo alla stessa uno Statuto di cui è base la Costituzione del 1812,

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salvo le modificazioni richieste dalle mutate condizioni, e dalla vigente legislazione».

» Cotesto Statuto, che ci riserbiamo di formulare ampiamente prima della fine di Giugno del corrente anno, conterrà nella parte sostanziale le seguenti disposizioni:»

» 1. La Religione sarà unicamente e ad esclusione di qualunque altra la Cattolica, Apostolica, Romana».

» 2. La libertà individuale è guarentita, nessuno potendo essere arrestato o processato, che ne' casi preveduti dalle leggi, e nelle formo da esse prescritte».

» 3. Nessuno può esser costretto a cedere la sua proprietà, se non per causa di utilità pubblica e previa indennità».

» Una legge speciale sarà fatta dal Parlamento di accordo col Re per determinare la competenza e la forma delle espropriazioni forzate per causa di utilità pubblica».

» 4. I Siciliani hanno il dritto di pubblicare e fare stampare le loro opinioni, conformandosi alle disposizioni che debbono reprimere gli abusi di questa libertà».

» Il Re riserba a sé nella pienezza dei suoi poteri di emanare siffatte disposizioni con una legge speciale».

» 5. La Sicilia, continuando a far parte integrante dell'unità del Regno delle due Sicilie, sarà retta a Monarchia costituzionale con la divisione de' poteri nel modo che siegue» e qui in modo commendevole accenna le cose risguardanti la Religione, la Sacra Persona del Re e le sue attribuzioni; il Viceré; il Ministero Siciliano; le pubbliche Amministrazioni; L' abolizione delia promiscuità; lo stato discusso; il Parlamento composto dalla Camera dei Pari e dei Comuni; gli Elettori; gli Elegibili; e infine terminava affermando; che tali concessioni s'intendono come non mai avvenute,fatte qualora la Sicilia non rientri immediatamente sotto l'autorità del legittimo Sovrano; poiché se dovesse il Reale Esercito militarmente agire per rioccupare

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quella parte dei Reali Dominii, la stessa si esporrebbe a tutti i danni della guerra, ed a perdere i vantaggi che le assicurano le presenti concessioni. Gaeta 28 Febbrajo 1849.

Arrivati a Palermo i Latori dell'ultimatum o atto di Gaeta che fu chiamato, immantinenti erane fatto consapevole il Principe di Butera, Ministro degli altari Estesi, dall'Ammiraglio Baudin con una nota così espressa.

» Il sottoscritto vice ammiraglio comandante in capo delle forze navali della repubblica francese nel Mediterraneo, ha l'onore di rimettere a S. E. il Ministro degli Affari Esteri di Sicilia i seguenti documenti; cioè una copia autentica della nota del 28 febbrajo diretta dal Principe di Satriano al signor Rayneval, una copia autentica diretta dal signor Rayneval Ministro plenipotenziario della repubblica francese presso S. M. il Re delle due Sicilie all'ammiraglio Carlo Baudin in data del 4 marzo; due copie stampate della proclamazione di S. M. il Re Ferdinando II in data di Gaeta 28 febbrajo ultimo - Saranno sei mesi da che i vice ammiragli comandanti le forze navali di Francia e d'Inghilterra, mossi da un sentimento di pietà cristiana per le calamità di ogni genere che desolavano la Città di Messina, e che minacciavano di allagare ogni parte di Sicilia, s'impegnarono sulla loro personale responsabilità di opporsi alla continuazione delle ostilità cominciate dall'esercito napolitano. Da quel tempo i Governi Francese ed Inglese, approvando la condotta dei loro rispettivi Ammiragli, ed animati da sentimenti di benevolenza per la Sicilia, hanno tentato di portare a termine fra questo paese ed il Regno di Napoli una riconciliazione vantaggiosa alle due Nazioni, che assicurerebbe alla Sicilia la libertà costituzionale che da tanti anni desidera avere. Gli sforzi delle potenze mediatrici sono stati coronati da un felice successo. Essi hanno ottenuto dal Re Ferdinando II un atto che guarentisce alla Sicilia

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le basi della Costituzione del 1812, con un Parlamento, ed un'amministrazione separata, nella quale tutti gl'impieghi saranno occupati dai Siciliani. Tali vantaggi sono accompagnati da una precedente promessa di obliare qualunque colpa ed errore politico commesso dorante l'ultima rivoluziono Siciliana. Pare ai Governi francese ed inglese, che niuno ostacolo impedisca presentemente alla Sicilia ed al Regno di Napoli di rinnovare quei legami che per sì lungo periodo di tempo hanno unito i paesi sotto una stessa monarchia. In conseguenza il sottoscritto vice ammiraglio, è stato incaricato di trasmettere al governo siciliano le condizioni di un piano di conciliazione, e di rinnovata unione fra i due paesi. Spera sinceramente che queste condizioni che considera come perfettamente ragionevoli, ed onorevoli, siano accettate; e che in vece di ricorrere ulteriormente alle armi, ed impegnare le milizie napolitano in un incerto e disuguale combattimento, la Sicilia si affretterà a godere il beneficio delle istituzioni che sono così offerte senza pugna, e senza più costare una goccia di sangue, o una semplice lagrima. Il sottoscritto chiede al Ministro degli affari Esteri di Sicilia, di accettare l'assicurazione della sua alta stima - 7 Marzo - Carlo Baudin».

Il Consiglio di Stato Siciliano, avuti per mezzo del Ministro degli affari Esteri il regio ultimato, e tutti gli atti accennati, non emise veruna opinione, ritenendo che le Camere avessero il dritto di risolvere; sì che si propose al Parlamento cosa si dovesse fare: la risoluzione non potea non esser consentanea alle sregolate passioni che tuttora tenevan grama, ed agitata la infelice Isola, e in quella, che i proprietari, i negozianti, il clero e moltissimi altri avevano gli animi inclinati alla pace, tutti coloro che nella pace nulla speravano furono i fomentatori del rifiuto. Nell'atto che si tentennava fra i dubbi nella Camera un Deputato così disse: la risposta da darsi, l'ha data la Sicilia intiera;

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che perciò il parlamento non può darne altra, che quella già data: la guerra. Al che i Deputati si alzarono con le destre distese, e il popolo ripetè il grido di guerra; il quale grandemente stimolò le concitate turbe le quali andarou tosto gridando per le vie principali della Città in mezzo allo agitar delle bandiere vita la Sicilia, guerra, guerra. Nel ribollimento di quell'infernale tumulto si era ormai reso periglioso di parlare di pace, e inutile addurne le ragioni; il fantasma della indipendenza si era fitto in testa a tutti, ed ogni considerazione ottenebrava, eziandio quelle nascenti dalla disuguaglianza delle forze e dei mezzi della guerra. Diffidi cosa è rattemprare o spegnere le morali febbri tra popoli rinfuòcati dal clima meridionale! Gli Ammiragli però, secondo la data parola, allontanavano dai sconvolti liti le loro prue.

Sperata indarno la pace, e sendo ormai vicina la stagione opportuna al campeggiare, si venne allo sperimento delle armi, il quale mai non poteva esser dubbio per l'oste regia, poiché combatteva con mezzi regolari, ed abbondanti, ed eccellenti generali contro poche milizie stanziali, e molte torme collettizie, non da fede di giuramento, non da ordinanze, non da sensi giusti, ma da furore spinte, il quale pari ad ogni veemente passione, facile è a svolgersi, facile a dileguare. Perlocché nell'atto ispesso della sicula trattazione, il napolitano governo, subodorato, che nessun frutto sarebbesene ricavato, e conosciuti i preparativi di guerra, che in Sicilia si facevano, non si era rimasto dal provvedere alle sue forze; avea fatto aumentare in Messina le truppe di linea, la cavalleria, l'artiglieria da campo, le navi da guerra, le provvisioni, e tutto il bisognevole per le armate di terra e di mare, che dovevano mandare ad effetto questa seconda spedizione; e siccome avea conosciuto che due grosse fregate a vapore siciliane avrebber preso parte alla battaglia; così fece provvedere quasi tutti i bastimenti da guerra di palle incendiarie,

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le quali per fermo in un conflitto navale avrebbero arrecato immensi danni.

Reggeva eziandio questa seconda guerra l'illustre Tenente Generale Filangieri, il quale arrivava in Messina tulio Stromboli ai 23 di quel Marzo, e facea affigger per

Ma i segni della imminente guerra si rendevano incessanti e manifesti dal giorno 25 Marzo in poi. Le milizie addette agli avamposti nella linea di Barcellona ritirate, e portate in Messina dalle fregate a vapore che le aveano imbarcate nel porto di Melazzo: l'Ospedale militare di Messina disfatto, e gl'infermi, le lingerie, i letti, e tutte le altre masserizie portate in Reggio; finalizzati, e forniti di ogni maniera di provvisione i due forti Gonzaga e Castelluccio, i quali posti in luoghi opportuni tenevano in rispetto Messina; ed in questa città si stabilì un contingente di truppe puramente necessario per custodirla, e proteggervi l'ordine, le quali doveano rientrar tosto in Cittadella, ove casi gravi accadessero; medesimamente veniva statuito un nodo di milizia e di volontari siciliani, per difendere le già conquistate regioni da qualunque tentativo nemico dopo uscito l'esercito da Messina, ed ai suoi destini avviato: giunsero da Napoli la fregata a vela Partenone, ed altri bastimenti che dovean formar parte della spedizione: infine tutto era approntito per incominciare la guerra. L'armata di terra ascendeva circa a 20,000 combattenti fra quali noveravansi due reggimenti di cavalleria, altrettanti di svizzeri,

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e circa 80 pezzi tra artiglierie di montagna e da campo. Guidavan queste armi i Marescialli Pronio e Nunziante, duci delle 2 Divisioni; ed i Generali Busacca, Zola, Rossarol, e Murali, collaudanti delle 4 Brigate. La squadra componevasi di tre fregate a vela, sei a vapore, quattro corvette a vapore, fra quali una destinata a balestrare i razzi incendiari, e molti altri bastimenti da trasporto. Comandante di essa era il Coni: Vincenzo Lettieri; e della divisione dei vapori il Marchese de Gregorio. Tutte queste genti di mare, e di terra obbedivano a S. E. il Tenente Generale Filangieri.

Intanto il Generale in Capo fatto attelare ai 29 Marzo tutto l'esercito nella strada della marina di Messina,passavate a rassegna, inspirando e ricevendo fiducia da quegli agguerriti e forti drappelli, i quali nell'atto che si restituivano alle caserme fecero echeggiare l'aere di ripetuti evviva il Re. Però si conosceva, che i Siciliani si erano eziandio validamente apparecchiati a battagliare; e poiché aveano sospettato che Catania formerebbe il primo obbietto degli assalii, non si erano rimasti dal fortificare con opere e con uomini tutti i punti pe' quali i Regi dovean passare. Era fama, che una grossa testa di combattenti avessero essi rannata nella piana di Catania per commettere ad una battaglia campale le loro sorti; che avessero validamente fortificato il passo di Taormina, per natura inaccessibile; che fossero muniti di reggimenti regolari di fanteria di cavalleria, ed anche di artiglieria da campo; e che uscirebbero in mare con quattro legni a vapore da guerra, fra i quali due grosse fregate. Tali erano le voci che correvano in Messina, e che il tempo in gran parte avverò.

In mezzo a tali dicerie, e a tali fatti gli animi si rimane ano in sospeso, quando ai 30 del cennato Marzo apparvero per le cantonate di Messina taluni proclami che dileguarono i dubbi.

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In uno di essi il Ten. Gen. Filangieri diceva, avere gli agitatori di Palermo rifiutate le largizioni politiche offerte loro dal Re; aggiunte le derisioni al rifiuto, e impedito che gli onesti cittadini conoscessero i sensi benigni del Re; doversi ricorrere alle armi affin di distruggere le mene degli anarchisti, che ad altro non intendono se non a suscitare gli orrori

Questa dichiarazione di guerra gittò in costernazione tutt'i Messinesi o perché consideravano, che la loro isola dovesse essere tuttavia lordata da sangue cittadino, o perché temevano, che per qualche capricciosa alzata d'insegne non avessero a gravare sulla loro infelice patria nuovi orrori e nuove miserie. Taluni sgomberarono dalla città; e tutti stavano in paurosa sollecitudine. Pertanto un avviso del Comando Generale riportava, che, rotta la guerra, era utile, per evitare i possibili trambusti, e rassicurare i buoni cittadini, guardare militarmente l'ordine pubblico e la sicurezza delle vite e delle sostanze;

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epperò stabilivasi Io stato di assedio per Messina e i suoi dintorni, ed un tribunale militare.

Bandita la guerra, le menti si rivolsero ben tosto al piano dell'attacco. Credevano i più, che il Generale Supremo avesse in animo di tagliare il nodo dirittamente in Palermo; e che ad evitare la effusione del sangue si limiterebbe a bloccarlo per terra e per mare; che tutta la

Tali erano le credenze, ora scendiamo a raccontare i fatti. Nell'annottare de' 30 Marzo s'imbarcarono sulle sei fregate a vapore circa 5000 uomini di fanteria sotto gli ordini del Generale Busacca. Talune di quelle salparon presto, e si diressero fuori la sponda delle mortelle affine di aspettare le altre che avevano ritardato a distrigarsi dal porto. Al far del vegnente giorno riunite tutte si disposero in linea di battaglia difilando contro la costa che si distende dal Faro a Cefalù. nel fine di far divulgare in Sicilia uno sbarco nelle vicinanze di Palermo, e nel 1.° Aprile ritornavano, e imboccatesi nel faro dalla parte di Scilla

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si tragittavano dal lato opposto. Esse avevano avuto l'ordine di rasentare il lido, e proteggere le milizie, le quali scompartite in due divisioni si eran mosse nella notte da Messina e marciavano a scaloni per la volta di Catania. La prima divisione dal General Pronio era comandata, e, disposta in antiguardo, centro e retroguardo marciava per la via vicina al mare;

La divisione Pronio, il cui antiguardo aveva fugato alquanti ribelli a Scaletta, giunta nei dintorni di S. Alessio incontrò una testa di 800 Siciliani diretti da un Colonnello Polacco, i quali avean preso posizione per impedire il passo ai regi. Vi fu uno scontro, ma bentosto i Siculi si sbandarono. Il vapore Io Stromboli sul quale era imbarcato il Duce supremo, e che rasentava il lido operò con frutto balestrando bombe su quelle masse: i cannoni del capo di S. Alessio più volte tuonarono invano. La divisione si spinse innanzi a piede lento. Molte case di campagna andavano in fiamme: quelle case e quei paesi sui quali sventolava bandiera bianca erano rispettati.

In sul vespro si fecero e condussero 11 prigionieri sulla fregata a vapore il Roberto, dei quali due soltanto erano siciliani, i rimanenti piemontesi, francesi, e veneziani. Più tardi vi pervenne il Colonnello Polacco, presentatosi al General Pronio

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per essere condotto dal Comandante in Capo. Nel suo discorso asseriva, nato ed educato nelle armi, emigrato dalla sua terra natia, aver servito nell'armata di Affrica; scoppiata la ultima rivoluzione a Parigi esservisi menato; infine, premurato, aver preso servigio nella Sicilia: ma pervenutovi appena essersi grandemente sorpreso, quando non rinvenne che truppe a

Spuntò il giorno 2 aprile nel quale dovessi operare pel passo di Taormina. Un monte altissimo s'innalza a picco dalla sponda, ripido, e scosceso, sul dorso del quale si rinverga il sentiero per cui si va a Catania, anch'esso ripido e difficile; nel culmine del monte evvi un forte; ed un pò all'interno di esso la città di Taormina, la prisca Taoromenium, nota nelle istorie sì pei superbi avanzi dell'arte antica; sì per le sue lamentevoli catastrofi dietro i terremoti che in varie volte la distrussero, e segnatamente per le sue vicende guerriere; poiché tenne forte contro i Saraceni, anche quando Sicilia tutta si sobbarcava al loro dominio; e costituì l'ultimo propugnacolo dei Greci, intorno al quale spese ben sette intieri mesi in combattimenti il Califfo al Moezz coi suoi Àrabi nel 971, e per la riportata vittoria tanto inorgogliva,

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che volle fosse dal suo nome appellata Almoessia. Il taorminese passo era fortificato per moltiplici munimenti, e difeso da 4000 armati, cosicché il Generale in Capo avea disposto all'uopo un apposito piano di attacco. Si spingerebbero i cacciatori sui monti alpestri che dominano Taormina, e di là divallandosi di giogaja in giogaja riuscirebbero al fianco del nemico: camminerebber caute le divisioni per attaccarlo di fronte: i bastimenti briccolerebbero spesse bombe: la brigata Busacca, sbarcata sulla riva opposta, attaccherebbe alle spalle: il resto dagli eventi. Il giorno 2 era designato per le manovre di marcia, ed il vegnente per gli assalti.

Frattanto giovava che si forzassero i difensori di Taormina a smascherare i loro cannoni e le loro fortificazioni; perciò fu ordinato che le fregate a vapore bordeggiassero sotto al pie del monte, e talune di esse v' ingaggiassero un' attacco. In vero il Roberto, si appressò per quanto più era possibile, e data la massima elevazione alle sue artiglierie, aprì il fuoco contro il forte Taorminese: parecchie bombe caddero e si screpazzarono in mezzo e nelle vicinanze di esso; e pei Siciliani furono abbriccati alquanti colpi.

Mentre tali cose si operavano da mare, talune altre più utili a terra susseguivano. Due battaglioni di Cacciatori (1.°e 5.°) e alquante compagnie del 6.° guidati dai Ten. Colonnelli Marra e Pianelli, e una frazione del 6.° di linea retta dal Colonnello Grossi, e postata sul culmine di un colle, urtavano man mano i Siciliani, i quali disseminati per quei rotti e malagevoli sentieri con molto impeto faceano di oppugnare i Regi, però man mano pressati dal valore di questi, risalivano sugl'inaccessibili greppi, in quella che le loro artiglierie già tuonavano ai danni degli assalitori, i quali progredendo animosamente a traverso di mille ostacoli miravano ad occupare il passo fra Taormina e Mola, unica ritirata dei ribelli.

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Durava da più ore il bellico rumore, ma i Siciliani investiti da ogni parte, e sgomentati dall'audacia dei Regi man mano andavano in volta. Intanto il Tenente Bellucci con un pugno di 30 Cacciatori, si cacciava nel contrastato paese, il quale di breve era assiepato dal primo battaglione di quell'arma.

Per tal modo nel declinare del giorno 2 aprile cad

Nel romper dell'alba del 3 Aprile, siccome era stato ordinato nel giorno innanzi, tutte le fregate a vapore si accostarono al lido che si stende a mezzogiorno di Taormina, e sbarcarono la brigata Busacca, la quale formatasi in battaglia sul!' arena de' Giardini tolse a marciare per assaltare alle spalle il Taorminese passo; ma mossasi appena si arrestò; perché le truppe del lato opposto comodamente varcavano quel sentiero. Nessuna resistenza si era più fatta da parte de' Siculi, i quali si erano appartati da quella regione Intanto molti edifici di Taormina, e parecchie case villerecce divampavano. Il fumo e le fiamme taorminesi divulgavano alle conterminali regioni la sorte di quelle che tuttavia indurate nella fatale lusinga di dar fiato alla ribellione curavano di contrastare le regie armi; epperò man mano s'incominciarono a vedere banderuole bianche sventolare di qua e di là,

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e molte deputazioni spedite dai paesi per attestare sensi di devozione al Re, e benigna volontà verso le milizie. Traevano a folla le popolazioni agitando il pacifico lino, o rami di ulivo, e riempendo l'aere di moltiplicati evviva al Re, al Duce Supremo, ed alle truppe, le quali anch'esse alla lor volta, deposto ogni livore per le ferite o le morti del compagni, mescolavano le proprie con le lacrime di quei loro fratelli,

La facile espugnazione del difficil passo di Taormina aveva in gran parte dileguati i dubbi intorno alle future sorti delle armi siciliane; imperciocché se nessun frutto avean raccolto là dove eran guarentite dalla naturale difficoltà dei luoghi, nessunissimo per certo avrebbero potuto raccoglierne là dove tali difficoltà, non che minorare, mancavano. Vero è che si eran fatti, siccome cenneremo, non pochi munimenti; ma non potevano equiparar quelli della natura; ed oltre a ciò guai alle armate che difettano del primo ed essenziale munimento, che sorge dal cuore. Circostanza alla quale avrebbero dovuto seriamente badare i Capi della siciliana rivoluzione prima di respingere il regio ultimato: ma la sbrigliata età no 'l consentiva 1!

Al di là di Taormina corre il paese e si allarga per ampio tratto in larghi campi, dolci chine, e facili colli, in mezzo a' quali spinge in altissima regione il suo nevoso capo la fumante e maestosa Etna. Innumerevoli abitazioni campestri, moltissimi paesi, e varie città vi sono qua e là sparse; e fra esse meritano menzione pel nostro proposito, AciReale e Catania; la prima fortunatamente indifendevole, abbandonata dai Siciliani; l'altra atta alla difese, in vari modi munita.

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Il suo porto, che si apre a semicerchio irregolare, guardato da 4 fortini, due antichi e due nuovamente formati, dai quali 14 cannoni di vario calibro incrociavano i loro tiri; una poderosa e lunga concatenazione di grosse travi, validamente connessa ad ambo le braccia del porto, ne chiudeva la bocca. Le principali strade della città asserragliate da varie barriere; l'estremità della strada consolare, per la quale si

Ma prima che io descriva la catanese catastrofe non siano fuori di proposito alcuni ricordi intorno a quella inclita Città. Sull'abbronzata e adusta spiaggia, uscita già dalle ribollenti viscere dell'Etna con grande esterminio e spavento, quasi in piano si distende Catania. Talune vecchie leggende ne riportano la origine ai Ciclopi, altri a Deucalione e Pirro, ed altri ai Sicani. Checché sia di ciò egli è certo, che fiorente era Catania, allorché scacciatine i Sicani, cadeva in potere dei Tirreni, ai quali poscia la strapparono i Siculi, e a questi nel 730 i Calcidesi guidati da Evarco. Gerone la mise a sacco, e diedele l'attual nome; in seguito venne in mano degli Ateniesi, i quali rimpatriando la lasciarono a Dionigi, che seguendo suo reo tenore, la smurò, e ne trasse in Siracusa la piupparte degli abitanti. Sotto il romano imperio fu quasi totalmente smantellata

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dal figlio di Pompeo; indi presa e saccheggiata dai Saraceni, che si recarono al possesso di tutta Sicilia, e più tardi conquistata dal Normanno Ruggiero, il quale prese a murarla, bastionarla, e fortificarla, il che però non impedì che il secondo Federico non se ne insignorisse.

Catania non pure fu zimbello delle tristizie degli uomini, ma mollo più di quelle assai più esiziali della na

L'esercito napolitano al far del giorno 4 Aprile riprese cauto e rannodato le mosse; ma non poté più marciare a vista della flotta poiché la via che mena da Riposto a Catania s'interna e serpeggia fra le pianure e le colline etnee. Tutte le terre prossimane alla strada che battevano le reali milizie non si rimaneano un sol momento dal manifestare allegrezza nel vederle; faceansele all'incontro quelle popolazioni gridando Viva il Re, sventolando bianchi lini, scuotendo rami di ulivo,

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e portando talora secchie di acqua e vino affin di rifocillarle dai disagi della marcia.

La flotta a vapore intanto nel mattino dei 5 Aprile si era diretta e giunta nelle acque di AciReale, e avvicinatasi, ben tosto gli Acitani innalzarono il pacifico lino; ed inviarono una deputazione numerosa di ragguardevoli personaggi ad incontrare il Generalissimo e manifestargli sensi di devozione e di affetto al Re. Le milizie pertanto entrarono verso il mezzodì nella sottomessa città, la quale sbattezzata del nome di Aci-Nazionale, datole dai Siciliani, riprese quello di AciReale.

Furonvi trattate le truppe con ogni maniera di affetto, né a questo si rimasero gli Acitani; perché molte altre cose fecero nei giorni avvenire: indirizzarono al Generale Supremo una supplica per essere umiliata al Trono di Sua Maestà, nella quale esponevano gli antichi sensi di fedeltà serbati in altri tempi calamitosi; le amichevoli largizioni fatte ai regi impiegati, quando, scoppiato il turbine della rivoluzione, andavan raminghi di terra in terra per sicurezza di lor vita; le nuove forme politiche alle quali si eran sobbarcati per effetto della forza; e l'ospitale albergo dato or ora alle truppe: accompagnavan questa supplica la bandiera ricamata in oro ed in argento, e la spada dall'elsa di oro, che Catania avea donato ad AciReale per infiammarla, e renderla corriva al nuovo ordine politico. Così nel corso di breve ora questa Città mutava nome, e sentimenti; ed ogni vestigio della rivoluzione spariva.

Le fregate a vapore, dopo veduti i segni della pace in AciReale, e confirmate nella realtà, disposte al solito in linea di battaglia, abbrivarono per Catania a fine di osservare qual manifestazione si facesse. Furon brevi i dubbi; perché comparso appena il Guiscardo, capofila di quelle, tutti i cannoni delle catenesi batterie fecer fuoco vivo e nudrito, ed allora si ristettero quando l'ultimo vapore si era dileguato.

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I bastimenti contracambiati i colpi man mano si allargarono, perché non vi era ordine di combattimento: non fecero né patiron danni.

Chetato il cannoneggiare, vedeasi da mare un andare ed un venire di gente armata nella Città, un affollamento intorno ai forti, l'incesso regolare de' reggimenti, un generale apprestarsi alla pugna, e per lo allontanamento de' vapori

Le regie navi intanto, raggiunto il prefisso scopo, rivolsero le prue nelle acitane acque, dove si rimasero, nella vegnente notte. Lo Stromboli però dilungatosi alquanto nel ritorno osservò e prese due feluche stipate di fuggitivi; e toltele a rimorchio le trasse innanzi ad AciReale. Le milizie pernottarono in questa città. Il tempo che nel mattino si era mostrato benigno, si rabbruscò nella seconda metà del giorno; un denso nugolato si stese nel cielo; il vento soffiò dapprima moderatamente, e poi fresco; il mare si scommosse alquanto, e non poca spruzzaglia e pioggia caddero. ,

A tal modo finiva il giorno 5 Aprile, ben altra però fu la fine del vegnente. L'alba del 6 fu alba di sangue. I Siciliani e i Regi con assai fieri proponimenti, e sdegni micidiali, andavano a scontrarsi su qucll'arida e bruna regione dell'Etna. Due strade si aprivano al Generale Supremo Napoletano per sospinger le sue armi sulla nemica Catania, delle quali l'una scorre agevole e piana, non lunge dall'abbronzata spiaggia, e l'altra si addentra malagevole pei vicini monti, traversando Aci S.Antonio, Aci Buonaccorso, S. Giovanni la Punta, e Rattiati. Egli con arte sopraffina avea in modo disposte le cose nel giorno innanti, che pareva che volesse andare all'assalto per la maremmana via, sì che le sicule armi a tutta ressa, vi si erano affollate, ed avean preparate le insidie e la pugna; ma il prode Filangieri dischiusa appena la nuova luce,

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di tratto dirigeva i suoi urti per la montagnosa traccia; perlocché addatisine i siculi accorrevano nella minacciata regione, e come poterono il meglio compierono le posizioni già preparate, e validamente vi si postarono, aspettando l'inimico vicin di S. Gregorio, a sei miglia da Catania. Munivano il sito non poche artiglierie, lunghi muri a feritoie; e molti cordoni

l'Oste regia si mosse ai suoi disegni da AciReale, attraversò di quieto Aci S. Lucia, Aci S. Antonio, e pervenuto a Mocari il suo antiguardo vi rinvenne un nervo di Siciliani i quali, presa posizione sur un colle prossimano, abbriccavano spessi e furiosi colpi, in quella che irrompeva una carica di siculi Dragoni postati alla falde di quello. Titubò per un istante la percossa avanguardia, ma dispostasi in opportuno modo, e coronate le vicine alture, si scagliava con forte impeto contro il nimico, il quale di tratto andò in volta. Spazzata a tal maniera quella regione dai fanti e cavalieri siciliani, proseguiva la colonna il suo cammino; passò pacificamente Belvedere è S. Giorgio, ma uscita appena fuori di questo paese, e veduto il nemico grosso ed ordinato, si dispose a combattere. Cinque battaglioni di Cacciatori, e quattro compagnie del 3.° e 4.° di Linea si scompartirono per quella regione; e gli altri soldati direttamente vi accennavano. Fu cominciata la battaglia in tutte le posizioni. In fiammavansi a vicenda i Siciliani; gl'inanimavano i loro Capi, i quali andavan gridando, sostenesser l'impeto nemico, perché perdendo Catania, tutta l'Isola si perderebbe. Presagio avverato. I Napoletani pertanto con estremo valore pugnando si spingevano innanzi, e tutti gli ostacoli soperchiavano; e progredendo con validi movimenti di fianco faceano indietreggiare i Siculi, i quali, convergendo sempre, miravano a riconcentrarsi nella città, dove per altre opere ed altri armati si sarebbe rinfrescata la pugna.

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Mentre tali cose succedevano a terra, non si passava inoperosamente a mare. Alle 7. a. m. tutta la squadra, volte le poppe ad AciReale, indirizzavasi nelle acque di Catania. Le tre fregato a vela si teneano un pò lontano dalla terra; poiché il tempo mostrava d'imperversare

Frattanto il combattimento a terra proseguiva sempre con ammirabile fervore; i Siciliani infine, respinti da tutte le posizioni si erano rannodati nella città, quindi il turbine della guerra prese ad infierire sulla infelice Catania. Accostati i regi alla porta di Aci per addentrarsi nella strada Etnea, una improvvisa ed invisibil grandine di palle cominciò ad infuriare dagli edifizi e dalle barricate.

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Eran mietute le migliori vite, e i migliori corpi feriti. In mezzo a tanto sterminio fumigavan gli edifizi che nei contrastati luoghi sorgevano; scoppiavan talune casse di polvere rimaste in essi; ogni cosa volgeva

Era ormai innoltrata di molto la notte, e tuttavia si battagliava. Chi mai potrebbe appieno ritrarre quel quadro terribile ad un tempo e commiserevole?... Fracasso continuo e fitto di archibuseria; rumor cupo ed interrotto di cannoni; grida incuoranti alla pugna; lamenti di feriti e di agonizzanti; fiamme scoppiettanti e furiose; un nuvolame di fumo illuminato dalla sinistra luce degli incendi che divoravan palagi, case, e casine; e fra tante lugubri apparenze, tuttoché il cielo fosse stellato e sereno, l'Etna anch'essa di fosca nube si ammantò!! Finalmente la notte, benigna dispensiera di quiete, nella sua seconda metà poté sugli stanchi corpi e li trasse al riposo. Chetarono i bellici rumori.

l'aurora del 7 aprile spuntò mesta pei Siciliani, allegra pe' regi, che gustavan le delizie del trionfo. La squadra a vapore si appressò ai forti per combattere; ma ormai le sicule bandiere non più vi sventolavano;

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poiché gli artiglieri col favore della notte eran fuggiti. Verso le 8 a. m. tutta la flotta si riposava sulle ancore nel porto di Catania. Il vapore inglese il Buldog, ed il francese il Descartes, i quali si eran tenuti in quelle acque, anch'essi detter fondo nella rada, e sbarcarono molte famiglie che avevano accolte nel giorno 5.

L'esercito napoletano tolse le stanze nella città. I feriti furon imbarcati sul Capri per a Seggio; ed i cadaveri bruciati. L'aspetto delle cose apparve più che mai affligente al sorger del novello sole. Dovunque si fosse volto lo sguardo l'animo si sarebbe inorridito ed afflitto. Le vie e i campi lordati di sangue; gli spenti tramescolati e giacenti in varie attitudini; uomini divisi in vita per sentimenti, aggruppati sullo stesso suolo e da comune sventura adeguati: il cadavere di un ufficiale, distintissimo per valore, e del valore vittima, con bestiale efferatezza smembrato: edilizi divampanti, o scrollati in parte, anneriti per fumo, e sgretolati: un puzzo ributtevole di arso; infine l'antica, la dulia, la industriosa, la galante Catania, fatta albergo d'infinita doglia II

Il numero de' feriti e degli spenti, non si sa con precisione. Fu fama che dugento de' regi, il doppio dei Siculi fossero mancati o feriti: scarso numero in uno scontro di circa 50,000 combattenti: fra i primi noveravansi 40 ufficiali, e si seppe che i ribelli avean precetto di prenderli particolarmente di mira. Cinquanta cannoni ed una immensa quantità di munizioni di ogni genere vennero in potere dei regi. Frattanto parecchi nemici eran rimasti rimpiattati in varie case di Catania: alcuni de' napoletani passando corsero pericolo di vita per colpi invisibili che uscivan da quelle: scoverto il fatto, taluni furono fucilati, e molti imprigionati.

Apparvero successivamente per le cantonate dì Catania vari proclami ed ordinanze, che miravano a ristabilirvi L'ordine e la quiete.

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La prima ordinanza era diretta contro i ladri che andavan svaligiando le case degli assenti: quelli che fossero incolti in flagranza o quasi flagranza, sarebbero arrestati, e come scorridori di cam

Un altra ordinanza prescriveva il disarmo generale della città e de' paesi conterminali, e pene gravi ai contravventori. Una terza determinava, che i consegnatari di vesti, carbon fossile, polvere, munizione, ed altri oggetti guerreschi dovessero al più presto rivelarli alla militare autorità, e chi trascurasse di farlo sarebbe punito. Fu ordinato eziandio, che a tutela e sicurezza della conquistata provincia fossero organate le antiche guardie urbane dagli antichi sindaci e capi urbani sul tenore dei tempi antecedenti al 1848. Un manifesto del cav. Alessi invitava i Catanesi a rientrare nella loro amata città, poiché già l'ordine eravisi restituito, e lo vite e le proprietà non aveano a paventar di nulla.

Nel giorno 8, il Principe di Satriano portavasi nella cattedrale con gran seguito di ufficiali di terra e di mare per assistere alla funzione, con cui la chiesa rimemora il nostro riscatto; passando per le strade salutavamo come liberatore i popolani, e molti faceano di baciargli le mani, e i piedi. Ammirabile singolarità!! protestavan sensi di affetto e di amicizia a' napolitani quegli stessi, che ne' precedenti giorni avevano i napolitani imprecati, e forse anche le fratricide armi a lor danno brandite!!


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CAPITOLO X.

FINE DELLA CONQUISTA DI SICILIA.

Sommario

Filangieri spinge le sue armi al compimento della impresa. Dedizione di Augusta e di Siracusa. II General Nunziante parte per Adernò, e il Brigadiere Zola per Caltagirone; il Duce Supremo li segue. Tutti i paesi per mezzo di deputazioni si sottomettono. Le truppe entrano nella festante Caltanissetta, dove affluiscono altre deputazioni, e segnatamente quella di Palermo. Sensi che Filangieri esprime all'armata terrestre e navale. Come si avvicinano le milizie in Palermo vi nasce tumulto indicibile, e perché. S'implora e si fa sperare un'amnistia, il cui casuale ritardo sveglia le ire, e i tumulti. Le ribollenti squadre escono ad affrontare i regii in Villa Abbate, e Mezza gno; combattono, e vanno in rotta. Infine si calmano gli animi con la pubblicazione dell'amnistia. Proclama del Comandante in Capo. L'esercito entra in Palermo, e si accaserma in varii luoghi. Filangieri applica l'animo al riordinamento dell'Isola, e precise della sua Capitale. Fremii e decorazioni largite dal Re all'armata conquistatrice.

Non grande tratto di paese occupavano le regie armi dopo conquistata Catania; imperciocché la massima parte dell'Isola, e segnatamente molte grosse Città, e la stessa siciliana metropoli obbedivano ancora alla ribellione, ed eran pronte a contrastare; nondimeno i casi di Messina e di Catania avevano arrecato non lieve sgomento in tutti gli animi, e squarciato quel denso velame che ricuoprendo le traviate menti aveale distolte da quei sensi equi e moderati, che avrebbero risparmiato alla Sicilia altri tutti ed altre miserie. Il Generalissimo intanto con attività commendevole, traendo partito dalla impressione cagionata dai catanesi accidenti,

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spingeva le sue armi e per terra e per mare affin di compiere la conquista di tutta l'isola.

Nel vespro degli 8 aprile le tre fregate a vela, e

Intorno alle 4 p. m. i bastimenti, approssimatisi alla sicula Gibilterra, si disposero a combattere; procedevan riguardosi, poiché un colpo di cannone si era inteso; ma l'acre caliginoso nulla rendea visibile. Frattanto spingendo Io sguardo sulle batterie pare di non vedervi nessuna bandiera; anzi sull'ultima antenna del vapore francese, ancorato nel porto, sembra che sventoli la napolitana: s'intende meglio lo sguardo, i dubbi man mano si dileguano; le apparenze non sono di guerra, ma ne anche di pace; per ultimo a rassicurare la flotta il Guiscardo, preso da generoso ardire, si spinge innanzi a poco moto, entra al tiro de' cannoni, e le fortezze tacciono, progredisce oltre e nessun movimento osserva; s'imbocca nel porto e rassicura sè e la flotta dello abbandono delle batterie; fe' il segnale di riunione, e così l'Ercole prima, poscia il Roberto, e infine i bastimenti a vela rimorchiati dagli altri tre vapori entrarono nello spazioso e sicuro porto di Siracusa, e gittaronvi le ancore.

Erano nel medesimo porto ancorati il Buldog ed il Descartes; i cui comandanti furon solleciti di recarsi dal comandante della squadra,

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affine di compiacersi dell'arrivo, e dichiarargli che avevan contribuito alla pacifica resa della piazza siracusana. Sapemmo di poi, che il vapore francese aveva tirato il colpo per richiamare l'attenzione

Medesimamente si muoveva il General Nunziante con opportuno numero di fanti, cavalieri ed artiglieri per Adernò; e per Caltagirone il Brigadiere Zola con buon seguito di milizie. Dopo non guari andava ai medesimi disegni il Duce Supremo col grosso delle sue schiere, scemate soltanto delle guarnigioni qui e colà rimaste per tutela dei conquistati luoghi. Delle torme siciliane che avanzarono alla catanese battaglia, molte si sbandarono, e molte altre qui a colà riunendosi andavano a zonzo per tener ferma la rivolta, e opporsi al progresso delle regie milizie; e già avean fatto pubblicare che Catania era stata tolta di mano ai Regi, e ripresa dai Palermitani! Intanto ogni sforzo tornò vano; perché dall'un dei lati evitavano gli scontri, sottraendosi dai luoghi ove le conquistatrici truppe accennavano, e dall'altro lato le popolazioni non ritardavano a chiarirsi amiche alle armi, e fedeli alla Persona del Re.

Però l'un di più che l'altro le regie schiere si appressavano «Ila sconvolta Palermo, dove le notizie della catanese catastrofe in prima si vollero celate, poscia rammezzate e inorpellate, e quando la realtà dei fatti venne a palesare le menzogne e le arti vi nacque un indicibile sgomento, siche quelli stessi che avevan fatto mille. proteste, e mille giuramenti pel siciliano onore furono i primi a cercar salute e ricovero sulle navi straniere ancorate nella palermitana rada.

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Il movimento di occupazione pertanto mirabilmente proseguiva. La squadra si sprolungava lunghesso tutta la flessuosa costa che da Siracusa a Palermo si distende, o moltissimi paesi conquistava; l'esercito si spingera innanzi, e ad ogni pie sospinta si avveniva in deputazioni mandate dai prossimani e longingui paesi e con parole varie, ma col medesimo fervore attestavan sensi benigni per le regie armi, e piena ubbidienza al Sovrano. Unicamente Palermo tentennava, ma infine vedendo quei subiti e generali precipizi della rivolta, inclinava l'animo alla dedizione, la quale consigliata eziandio dall'Ammiraglio Baudin con un foglio indiritto al Ministero, fu votata dal Parlamento appositamente congregato. Intanto il Ministero che tuttavia pendeva per la guerra si dimise, ne surse un'altro che sendo dalla guerra abborrente, distese un indrizzo al francese Ammiraglio, manifestando col proponimento della sottomissione, il desio di una generale amnistia.

Intanto ai 26 Aprile giungeva Filangieri in Caltanissetta, la quale con ogni maniera di esternazione manifestava la sua letizia. Alberata la regia bandiera su tutt'i campanili che squillavano a festa; numeroso popolo con in mano rami di ulivo e bandiere, ed in bocca ripetuti evviva al Re, al Generale, ed alle truppe, usciva fuori la città all'incontro delle regie schiere; bianchi lini sciorinati dai balconi; i larghi e le piazze ornate dei ritratti del Re e della Regina; una banda musicale suonante l'inno borbonico; la Cattedrale magnificamente addobbata e illuminata, nella quale, ricevutovi dal Capitolo, entrava il prode Filangieri, e fu cantato il Te Deum, e impartita la S. Benedizione. Una larga e moltiplicala luminaria protrasse nella notte il diurno tripudio.

Quivi accorrevano tuttavia le deputazioni, fra le quali è a notare quella di Palermo, composta da Monsignor Ci Muffo, Arcivescovo di Adana Giudice della Regia Monarchia, dal Dottor G. Napoletani,

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dal Principe di Patagonia, dal Marchese Rudini, e dal Conte Luigi Lucchesi Palli, la quale fu accompagnata dal Duca di Mignano, Ten. Colonnello Nunziante, mandato appositamen

Intanto il Supremo Condottiero, essendo ormai vicino il conseguimento finale del suo scopo, volgevasi nei seguenti sensi all'armata navale e terrestre - Soldati.

Le fazioni

In frattanto il Generalissimo lasciata Caltanissetta, avvicinava le sue schiere nei dintorni di Palermo; ma i sediziosi compiutameli le non quietavano, e tuttavia umano sangue dovea le sicule zolle intiepidire. Coloro che per gravi e numerosi delitti non poteano fruire del regio indulto, nel primo sentore di pace, mutato il municipio, scorrazzavan rabbiosi, e inciprigniti per la trepida Palermo, minacciando ferro, sacco, e fuoco a quelli che avean gli animi inclinati alla dedizione; e andavano dicendo e rinvesciando, che punto non si affuceva al siculo onore sottomettersi, e lasciarsi cadere una causa per la quale si era tanto sudato e battagliato; che la fermata sottomissione non altro era che fraudolenta opera dei traditori della patria; che tuttafiatasi era al caso di sgarare il nemico; e che la deliberazione e il voto del popolo era la guerra. In momenti così rotti riusciva indarno la voce e l'opera di vari sacerdoti e cittadini, i quali per altro calmarono alquanto la tempesta promettendo l'amnistia; opperò un'altra deputazione si recava dal Ten. Col. Nunziante, e ripetendo alte proteste di devozione al Sovrano, e di amore all'ordine pubblico, instava perché s'implorasse dal benigno animo del Re un'amnistia per quelle concitate torme, e nel tempo medesimo venisse consentito a coloro

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che erano in punta degli attuali sdegni di fuggire a scampo di lor vita per la via di mare, Ormai assiepata dalle regie prue.

L'uno e l'altro desiderio si fornivano; poiché fu permesso di fuggire ai minacciati; ed il Duca di Mignano partiva tosto per a Gaeta, e poscia per Velletri dove già il Re campeggiava; e conseguita l'amnistia, facea ritorno alle siculo contrade, e per la via di Termini s' indirizzava al quartier generale di Misilmeri, dove albergava il Supremo Duce. L'indispensabile ritardo della venuta del Nunziante àvea ingenerato dubbiezze nei facinorosi, i quali imbizzarriti andavano spargendo semi di discordia, ed aizzando gli animi. La Guardia cittadina che invano si era adoperata a tener l'ordine, fu sopraffatta; e conosciuto, che le regie schiere si avanzavano nel vicino Mezzagno, vi nasceva un indicibile subbuglio: le piazze echeggiavano della infuocata parola di furiosi concitatori; dappertutto si dileticava il siculo valore, gli animi alla guerra appellando; prescelto un comitato di guerra; fu dato nei tamburi, e nelle trombe; i campanili stormeggiavano a gran ressa; calata la parlamentaria, e alberata la bandiera di guerra; innumerevoli stormi di armati, d'insano furore compresi, uscivano dalle palermitane mura a propugnare i regi; gremivano di molti armati le case che fiancheggiano la strada di Mezzagno, per la quale i regi dovean passare, ed obbligavano quel parroco ad andarli a incontrare col SS. Sagramento, affine d'inreiirli facilmente nel teso agguato, il quale per altro andò a vuoto, poiché aborrendo il buon piovano da si sceferata opera, fuggiva colatamente dal contaminato paese, riparava nel quartier generale, e ragguagliavane il Duce principale. né si erano rimasti dal preparare antecedentemente altre insidie (1) ma di tutte il senno e la prudenza di Filangieri trionfò.

(1) Ecco come scriveva il Comitato di guerra al presidente della Commissione delle fortificazioni.

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Givano adunque le furenti squadre ad affrontare i regi avamposti di Misilmeri il 7, e ritornavano agli assalti i due giorni appresso in maggior numero, poiché aveano astretto la guardia nazionale a seguirle; ma le milizie si abbandonarono con l'usato ardore alla pugna, e respinsero ogni audacia nelle sconsigliate torme, le quali furono snidate dalle nude e inaccessibili balze di Villa Abbate, e di Mezzagno, e da questi paesi che andarono in fiamme. Perlocché sconfortati da quest'ultimo sperimento i ribelli entrarono nella trepida Palermo, rimandando una deputazione, che il Console francese, ed il Comandante del Vapore il Descartes convogliarono sul Capri, dove attrovavasi il Duca di Mignano, affin di rinnovare la sottomissione e le preghiere dell'amnistia, e affrettare l'entrata delle truppe per tranquillare la pavida e sovvertita Città. Ma già il clementissimo Sovrano aveva concessa l'amnistia, ed il Nunziante col seguente manifesto la pubblicava.

» Il tenente colonnello Nunziante all'immediazione di S. M., conoscendo gli alti poteri stati comunicati a S. E. il Principe di Satriano, sicuro altronde della clemenza del Sovrano verso i suoi sudditi, per rinfrancare maggiormente gli animi dei Palermitani, non che di tutti i Siciliani,

«Signore. Questo comitato di guerra in data di oggi Stesso delibera ad unanimità ciò che segue». «Viste le già mancate forze per sostenere una decisiva guerra tra la libertà e la schiavitù; volendo con mezzi violenti L' esterminio delle truppe nemiche, si è deciso che ella qual'incaricato delle fortificazioni, si accinga prestamente ad affittare in Villa Abate, Ficarazzi e, Mezzagno delle casette matte, ed ivi faccia trasportare mezze botti, barili, tinozzi, bicchieri, ed altri oggetti ad uso di bettole, ove ripostare del vino che abbia la forza di far perire quei soldati assetati: e perciò resta in sua cura di munirsi del necessario chimico, e di ridurre le dette case a forma di bettole abbandonate. A tal'uopo si è scritto oggi stesso al delegato delle finanze per pagare a lei segretamente la somma provvisoria di onze cinquanta - Palermo 3 Maggio 1849».

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dichiara solennemente, che l'amnistia emessa riguarda tutt'i Siciliani, e comprende i reati comuni di qualunque natura, ed i reati politici, meno gli autori e capi della rivoluzione, che s'intendono cioè coloro solamente che architettarono la rivoluzione ai sensi dell'atto del prelodato pretore, datato il 7 Maggio 1849 da Misilmeri. Quindi ritorni ciascuno tranquillamente e sicuramente nell'ordine, il che farà raggiungere la tanto desiderata tranquillità. Le truppe resteranno negli accantonamenti fino a quando il municipio di Palermo si sarà messo d'accordo con S. E. il Principe di Satriano, e saranno occupati pacificamente i quartieri fuori città, compreso S. Giacomo ed i forti - Rada di Palermo dal bordo il Vapore Capri il 9 Maggio 1849. Alessandro Nunziante».

Nel giorno 10, i sediziosi, abbandonate le armi, e francati con salvocondotto, rientravano fra i domestici lari; e si stabiliva il conveniente per la estraregnazione della legione straniera; i quarantadue esclusi dall'amnistia lasciavano la per essi addolorata isola; i comandanti delle squadre ed una deputazione di principali Cittadini si portavano dal Generale in Capo gli uni per esprimere gratitudine alla Sovrana magnanimità, e l'altra per sollecitare l'ingresso delle regie truppe, nella siciliana metropoli.

Intanto il Generalissimo si rivolgeva agli abitanti dell'Isola col seguente proclama.

» Siciliani - Sua Maestà il Re nostro Signore, animata sempre dal sentimento di portare a questa parte dei suoi reali domini una pace completa ed un balsamo che sani le piaghe che l'anno sì crudelmente afflitta per lunghi mesi, è venuta nella spontanea magnanima deliberazione di amnistiare tutti i reati comuni di qualunque natura commessi sino al giorno d'oggi».

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Questo atto generoso della sovrana munificenza non potrà non iscuotere dal fondo del petto le anime più dure, e ridurre nel sentiero dell'onore e dell'onestà tutti coloro che lo avevano smarrito.

Questo alto, che la storia registrerà tra i fatti più magnanimi della umanità, raccoglierà intorno al trono del migliore de' principi tutt'i suoi sudditi, de' quali non à egli desiderato altro che la pace e la prosperità, fondata non sulle chimere, ma sui bisogni reali della società e sulle leggi di Dio».

» Sua Maestà vuole però essenzialmente, che questa amnistia si abbia come non data e non avvenuta per coloro i quali torneranno a delinquere. Rientrino dunque tutti alle loro case, sicuri e tranquilli, attendano ai loro antichi uffizi, vivano da fedeli sudditi e da onesta gente, e non abbiano più nulla a temere sotto la parola del sovrano perdono. Ma se taluno commetterà novello reato, allora alla nuova pena vi si dovrà aggiungere quella che doveva espiare. Il che la Maestà del Re nostro Signore non vuol temere che avvenga, poiché non vi sarà nessuno, il quale dopo tanto soffrire non senta tutta la forza del sovrano beneficio».

» A togliere anche ogni equivoco, ed a rinfrancare meglio gli spiriti, è carissimo al mio cuore il far conoscere, che nell'atto di amnistia, già pubblicato a 22 aprile ultimo in Catania, non è inteso dare doppia, e varia significazione alle parole di Autori e capi della rivoluzione, che debbono essere esclusi dall'atto della sovrana beneficenza, sibbene una sola che colpisce unicamente quelli che architettarono la rivoluzione, e sono stati la funesta cagione di tutt'i mali che ànno travagliato la Sicilia». E qui a maggiore schiarimento indicava le persone escluse.

Nel mattino del giorno 15 Maggio tutto l'esercito ormai lieto delle finite sciagure, muovevasi da Misilmeri per le vie di Villabate, e varcato di tre ore il mezzodì

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i Quartieri S. Giacomo, Borgognoni, S. Teresa, Monreale, Bocca di Falco, Olivuzza, Quattroventi, e i Forti di Castellammare, e Garitta.

Il Generale Supremo, rimessa la spada nel fodero, ponto non ritardava a riordinare la sconvolta Sicilia, per allenire quelle profonde piaghe che per tanta ora l'aveano addolorata, e a seconda dei poteri avuti nominava maestrati, amministratori, ed altre autorità; agguardava con giusta severità la pubblica pace; svelleva le ultime barbe della rivolta; facea infine tutto ciò che al riordinamento dell'isola si attenesse, mostrando in tale aringo, come in lui stessero in laudevole armonia la virtù guerriera inspiratagli dalle napoleoniche battaglie, ed il talento civile eredato da Gaetano Filangieri.

Il Sovrano, compiuta la siciliana conquista, dava vari pegni della sua benignità all'esercito, ed alla squadra. Il supremo condottiero si ebbe il titolo di Duca di Taormina con una competente rendita, e sì lui che gli altri, a seconda dei gradi e dei meriti, ebbero ornati i forti petli delle decorazioni dei vari ordini cavallereschi del regno; e di una medaglia appositamente coniata, la quale presenta nel dritto la effigie del Re, e nel rovescio la leggenda campagna di Sicilia 4849 in mezzo ad un serto circolare di lauro, con ai lati trofei militari, al quali sovrasta un giglio.

Per tal modo Sicilia tutta ritornava alla divozione del Re, ed ogni vestigio della rivoluzione si dissipava, rimanendo soltanto a crucio degli animi Della memoria degli uomini, e nello pagine dell'istoria.


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CAPITOLO XI.

I NAPOLITANI NELLO STATO PONTIFICIO.

Sommario

Fermato l'intervento straniero a favore del Pontefice, sbarca à Civitavecchia un'armata francese ai cenni del Generale Oudinot, che emette un proclama, e spinge varie schiere intorno a Roma, le quali sono da inatteso urto percosse. Re Ferdinando II si muove con le sue truppe per lo Stato Pontificio; stabilisce il quartiere generale in Albano; si mette in corrispondenza col francese Duce. Garibaldi esce da Roma ai danni dei Napolitani, il Re manda i Generali Winspeare e Lanza a contrastarlo. Fatti d'arme di Valmontone, Monteporzio, e Alontecomprato. Assalto di Palestrina. Garibaldi si allontana dai Napolitani. I Francesi danno in una seconda fraudo. Il Re fa avanzare le sue genti a Frascati; e spedisce la brigata Winspeare per a Zagarolo e Palestrina. I Francesi si ritirano dall'accordo fermato. Quanto fosse irregolare un tal procedere. 1 repubblicani di Roma, in gran numero e con gran furore tornano ai danni dei Regii. Il Re, dopo pubblicata una nobile protesta, ordina la ritirala delle sue schiere; le quali pernottano a Velletri. Cenno storico di questa Città. I Garibaldesi raggiungono i Regii a Velletri. Primo scontro che vi succede, in cui quelli son fugati. Il Re dispone Variamente le sue armi, rende fortissima la sua posizione, combatte, e vince. Nei giorni seguenti prosegue con calma, e compie la sua ritirata. La napolitana frontiera, brevemente notata da Garibaldi, vien guardala da milizie napolitani., spagnuole, ed alemanne, le quali scacciano dapertutto le repubblicane torme, e ristaurano il governo pontificio.

Ridotta nel più tristo stato la posizione del Pontefice sì come si è narrato più innanzi, per le inordinate e stravolte intemperanze dei Romani, erasi ormai reso indispensabile 9 intervento di Potenze amiche,

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le quali mirassero a snidare dal Vaticano quella rotta e scellerata genia. A questa idea inclinarono concordemente tatti i Ministri delle Potenze straniere dopo il pontificio discorso; sì che dopo alquante diplomatiche discussioni; punto non si tardò a stabilire, che Austria, Francia, Spagna e Napoli menerebbero

un contingente rispettivo di armi sugli Stati della Chiesa pel conseguimento di quel fide.

Scioglieva da' Tolone e da Marsiglia una flotta portatrice di un Corpo di 14,000 francesi, guidati dall'illustre Generale Oudinot, i quali sbarcarono ai 25 Aprile in Civitavecchia. Il Generale francese, benché favorevolmente ricevuto, prima di spingersi sulla ribellata città, venne nel pensiero di assicurarsi dello spirito pubblico, segnatamente intorno allo arrivo delle sue truppe; epperò spediva tre ufficiali a Roma» e pubblicava un proclama nei seguenti sensi. La repubblica francese, mossa dalle italiche agitazioni, avere spedito le sue schiere nel romano col proponimento di declinare le sciagure che minacciavanlo, non mai per difendere il governo attuale che non ha riconosciuto; la repubblica intervenire nei romani casi perché si rannodano con quelli di tutta Europa, e del mondo cristiano; la Francia aver creduto, che per la stia posizione le corresse il debito dello intervento, affine di ristabilire in Roma uno stato di cose ugualmente opposto agli abusi per sempre distrutti dalla generosità dell'illustre Pio IX, e dall'anarchia di questi ultimi tempi; la francese bandiera, che egli veniva ad impiantare in riva al Tevere, esser bandiera di pace, di Conciliazione, di ordine, di vera libertà; si raunassero intorno ad essa tutti i buoni affin di concorrere alla nobile impresa; rispetterebbero i suoi soldati le persone, le proprietà e di tutto farebbero acciocché la momentanea occupazione di molto peso non riuscisse.

Intanto ritornati da Roma al Quartier Generale di Civitavecchia gl'inviati uffiziali, riferivano,

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che la Capitale del Mondo Cristiano era dominata da un pugno di stranieri in mezzo al terrore ed alla forza; che la maggior parte dei cittadini agognava il ritorno del Papa; che una semplice dimostrazione delle francesi schiere sotto alle roteane mitra sarebbe stata bastevole a muovere il popolo in favore dell'ordine; e che in ogni canto dei pontifici Stati avrebbe fatto lieto suono il francese intervento, sol che nella Capitale, un gagliardo urto agli usurpatori si desse. Con le quali notizie si accordavan quelle della diplomazia | le quali recavano, che le pontificie truppe non avrebber combattuto le francesi, e che il Generale dei Carabinieri avvocato Galletti; avrebbe spinto i suoi a fare aprire le porte al francesi.

In seguito di tali notizie ordinava il Generale Oudinot una gagliarda riconoscenza sopra Roma, e stabilita Civitavecchia base delle sue operazioni si mosse il 28 aprile verso Palo, e nella dimane occupò Castel di Guido, e poscia Ostia e Fiumicino, donde gli veniva fatta abilità di tenersi in comunicazione colle napolitane schiere, le quali al medesimo fine andavano, e per ultimo nel 30 Aprile fu sotto le romane soglie.

I Triumviri, e l'Assemblea già avevan protestato contro la francese occupazione, e più che mai rinfocolavano il popolo affine di levarsi in armi ed ostare potentemente; nello stesso tempo giungeva nella scompigliata Roma un Garibaldi con vari drappelli rivoluzionari, perlocché apparse appena le francesi squadre intorno di Roma tosto vi furon sangue, ferite, e morti: i francesi non lieve danno dall'inatteso urto ebbero, e non lieve ne arrecarono al nemico.

A questo il Duce Supremo francese ordinava il regolare investimento di Roma, occupando il terreno sulla sponda destra del Tevere, dove l'ala dritta poggiava presso porta Portese, e la stanca alla consolare che si distende fra Civitavecchia e Roma; inoltre gittava un ponte

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sul cennato fiume onde corrispondere con l'armata napolitana, ed estese gli alloggiamenti alla Basilica di S. Paolo... Re Ferdinando li, avuta notizia sollecita ed esatta delle narrate cose, si accingeva a compiere la parte, di che Egli, spinto dal suo ardore per la religione, malgrado i casi del proprio regno, si era promesso; epperò apparecchiate e passate in rivista le sue schiere (1), e partecipati al francese Duce per gli opportuni accordi, i suoi proponimene e le sue mosse, tragittava la romana frontiera a Portella, e si recava in potestà Terracina.

L'Oste regia componevasi di 9 battaglioni di Fanti (2) ed una compagnia di pionieri ai cenni del Generale Lanza.; 12 squadroni di Cavalieri (3), guidati dal Generale Carrabba; 52 pezzi di artiglieria (4) diretti dal Tenente Colonnello Afan de Rivera. Comandava la intiera divisione il Maresciallo Casella, sotto gli ordini del Re, accompagnato dalle LL. AA. RR. i Conti di Aquila, e di Trapani, dall'Infante di Spagna D. Sebastiano; e seguito dagli Aiutanti Reali Tenente Generale Sali uzzo, Principe d'Ischitella, Ministro della Guerra e Marina, Maresciallo di Campo Conte Gaetani, dal Conte Ludolf, Inviato Estraordinario, Ministro Plenipotenziario presso la Santa Sede, dal Maresciallo di Campo Principe di Aci, dal Colonnello Garofalo, Capo dello Stato Maggiore dell'Esercito, dal Tenente Colonnello de Steiger, e dai Capitani Severino, de Angelis, e Dupuy.

(1) Il Corpo Napolitano fu organizzato in Terra di Lavoro, nei mesi di Marzo e di Aprile del 1849. La fanteria e porzione dell'artiglieria furono accasermate in Fondi, Uri, Gaeta, e Mola, il resto delle artiglierie, e la cavalleria in Cascano e Sessa.

(2) Battaglioni 2 del 1.° Regg. Granai della Guardia, ed A 2.° 1. Cacciatori della Guardia: 1. Regg. Beai Marina: 1. Carabinieri a piedi: 1 dell'11.° di Linea: 1 dell'8.° Cacciatori: 1. Svizzeri

(3) Squadroni 4 del 1.° e 2.° Ussari della Guardia: 2. del 2.° Regg. Lancieri: 4 del 1° Regg. Dragoni: 2 dei Cacciatori a Cavallo.

(4) Una batteria di 8 pezzi da 12: due batt, di 16 pezzi da 6: una batt di 12 pezzi da 12; due batt. di montagna di 16 pezzi da 8.

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L'armata napolitana marciò per la strada Pia a Torretreponti, Velletri ed Albano, dove pervenne ai 5 Maggio, occupando Castel-Gandolfo e Marino. Nel medesimo tempo il Generale Winspeare con la sua brigata, passata la frontiera ai 30 Aprile, incardinandosi per Prosinone e Valmontone, giungeva ai 4 Maggio in Velletri donde larmata si era partita per Albano, ove anch' egli si portava il giorno 6 accasermandosi a CastelGandolfo e Marina.

Gaeta era base cardinale del napolitano esercito, Porto d'Anzio, secondaria. Ariccia, piccola città murata,. fu designata per ospedale, magazzino di viveri con 30,000 razioni, deposito di abbigliamento, parco di artiglieria, ed ambulanze.

Stabilito il Quartier Generale in Albano, il Re, dopo aver fermato col francese Condottiere le scambievoli operazioni dirette al noto scopo, curava di fargli conoscere, che Garibaldi, uscito di Roma con 3,000 uomini, accennava per Palestrina all'ala dritta dei Napoletani, che a quanto dicevasi, un Galletti si fosse spinto al medesimo fine; chepperò esso Generale prendesse tutte quelle misure che meglio credeva.

Il Generale Oudinot riscontrava da Castel-di-Guido: che le sue armi si erano ormai rese più gagliarde per lo arrivo di nuove schiere francesi; che nessuna operazione farebbe sulla stanca del Tevere, dove poteva agire l'armata napolitana, ma che per essere in accordo con essa gitterebbe un ponte a S. Paolo: che egli interrompeva dal suo lato ogni comunicazione con Toscana, come i Napolitani dal loro le interromperebbero: e che in ogni modo, egli agirebbe sempre di accordo col Corpo napolitano.

Garibaldi intanto rumoreggiava in Palestrina, accennando alla dritta ed al tergo dei Regi, sì che il Re sapientemente ordinava al Generale Lanza

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che con una colonna di 3,000 soldati ritorcesse il passo per Velletri, ed al General Winspeare, che abbandonando Castel-Gandolfo e Marino, rannodasse le sue genti a Frascati, e spingendosi per la strada più breve che da questa città conduce a Palestrina concorresse agli stessi disegni del Generale Lanza, che consistevano a rincacciare il nemico verso Boma, per tener guarentita la napolitana frontiera, ed Albano.

Però Garibaldi, conosciute le mosse dei napolitani, si era affrettato a spedire delle torme per oppugnarli; le quali aveano già occupato Valmontone e Montecomprato; ma punto non tardarono a sgomberarne; perché il Generale Lanca dopo breve contrasto s'insignoriva di Val montone, ed il Generale Winspeare spintosi per Monte porzio, e Montecomprato, combatteva con valore il nemico ammucchiato in talune vicine boscaglie, che domi nano la strada, dalle quali furiosamente tirava: però tramontato il giorno, il Generale faceva ritorno in Frascati, luogo più opportuno alla sussistenza delle truppe, ed allo svolgimento delle convenienti operazioni ove Garibaldi in quei luoghi si portasse,

Intanto nella notte degli 8 Maggio e net vegnente giorno gli avamposti regi di Valmontone percossero con vivo trarre alcune turbe di fanti e cavalieri garibaldesi, che andavano a zonzo in quella regione per conoscere le posizioni e le forze dei napolitani. Per la qual cosa il Generale Lanza si spingeva contro Palestrina; e partiva i suoi in due colonne, perché due vie menano a quella antica città, ed amendue erano variamente munite e guardate dai repubblicani. Una colonna guidata dal Colonnello Novi s'incamminava per la strada vecchia col proponimento di scacciarne il nemico, e sostarsi avanti il luogo in cui la strada si avviene nel ramo che la unisce con la consolare, ed aspettare che l'altra colonna retta dallo stesso Generale Lanza attaccasse Palestrina per menarsi innanzi e girare il paese alle spalle per la via dei monti.

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Andavano i Regi ai loro disegni. Sulla china di ripida balza siede Palestrina, antichissima città, ricinta da mura, avanzo del tempio che Silla fece ergere alla Dea Fortuna in memoria della vittoria riportata a Preneste contro Mario. Un gran numero di giardini murati qui e colà dividono e frastagliano la regione sottostante alla palestinese balza; i quali rendono impossibile lo svolgimento delle manovre di cavalleria; epperò il napolitano Duce, riserbatosi un picco! nervo di cavalieri, e lascialo il resto della cavalleria in riserva sotto il comando del Colonnello degli Ussari Duca di Sangro, in un piano ad un miglio dal luogo della pugna; si spingeva all'assalto col resto della sua colonna. I garibaldesi scambiando fucilate ripiegavano su Palestrina, e si postavano dietro alle mura ed alle barriere. Davano l'assalto i napolitani fanti dalla parte dei giardini, tuonavano aggiustatamente le artiglierie contro le barricate, e in breve ne sfasciavano due che asserragliavano la consolare. Dall'altro lato il Colonnello Novi urtava un gagliardo distaccamento nemico, che da Valmontone si ritraeva in Palestrina per sostenere quel contrasto, e giunto il suo antiguardo in vicino luogo boscoso, s'ingaggiava un forte combattimento contro gli ascosivi nemici. Pugnavano i napolitani con somma gagliardia, accortamente ghermendo il repubblicano tempestare, ed esponendo i nudi petti contro le boscaglie, le mura e le barricate di Palestrina; sì che tre uffiziali ed altrettanti soldati vi perirono, e ventisei,'onorevoli ferite riportarono; ma tranne laudevol fama, nessuno effetto positivo fu per essi conseguito; imperciocché non compiuto il prefisso congiungimento, e sopravvenuta la notturna oscurità, si rannodavano in Colenno col proposito di ritornare all'assalto nella vegnente aurora.

Garibaldi intanto, affrettatamente poneasi in salvo, abbandonando Palestrina, e conducendo le sue schiere menomate di 12 morti, 40 feriti, e vari prigionieri,

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per a Roma, battendo le vie di Tivoli, e sprolungandosi di mot

Se non che, la franca baldanza con cui Garibaldi andava attorno per le cennate regioni, minacciando i napolitani, facea sorgere sospetti ben fondati, che un qualche segreto viluppo si ordisse; poiché in contrario non si avrebbe potuto restar capaci, come un corpo di ben 5,000 romani lasciasse Roma in un momento in cui le francesi legioni erano in su le romane soglie; ed infatti ecco quel ohe era succeduto. 11 Generale Oudinot, dopo i casi del giorno 29 più sopra mentovati, progredì innanzi fingendo un assalto a porta S. Pancrazio per farvi convenire l'inimico, ed insignorirsi di porta Angelica, dove si era promesso con certezza che il popolo sarebbesi chiarito pei Francesi. Ma un' alta fraude le melate promesse chiudevano; ché avvicinatisi nel mattino dei 30 Aprile i Francesi a porta S. Pancrazio, uscivan fuori molti armati gridando fratelli, e prostendendo pace ed amistà, e poco stante di tratto li menavano captivi. Questo fatto, e molle bugiarde assertive M quale fu contornato, fecero deliberare l'Assemblea Francese a mandare in Roma un F. Lesseps nella qualità d'Inviato straordinario, e Ministro Plenipotenziario per regolare le romane negoziazioni di accordo col Generale Oudinot, le quali, si come saremo per dire apportarono grandi mutamenti nel concerto dello intervento, e già un armistizio era stato concluso tra gli eserciti delle due repubbliche; sì che i Romani potevano a loro bell'agio operare.

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Il Re però, non soffrendogli l'animo che le romane terre fossero ulteriormente afflitte, e gravate dalle garibaldesi bande, quantunque ancora i Francesi non avessero spiegato opportuni e chiari movimenti concordi contro di quelle, e gli Spagnuoli non per anco fossero giunti, con solerzia ed animosità commende voli si spingeva tutto solo ai disegni suggeriti dall'onor militare, e dal bene delle afflitte popolazioni: per la qual cosa nell'aggiornare del 14 Maggio spingeva tutte le sue truppe da Albano a Frascati, dove, essendo opportuno il terreno dirimpetto alla cinta di Roma nella sponda sinistra del Tevere, foce schierarle, rimanendovele accampate per tutto il giorno, ed in questo mentre spediva la brigata Winspeare coi trecento cacciatori a cavallo del maggiore Colonna per a Zagarolo e Palestrina, affine di guarentire il paese, e mandare esploratori lunghesso la strada che mena a Tivoli a stanca del Te verone.

Il giorno appresso il Re mandava il Tenente Colonnello d'Agostino per la via di Porto d'Anzi» al Generale Oudinot per prendere le convenienti e concordi deliberazioni conducenti allo scopo pel quale eransi condotte le rispettive armate fuori dei rispettivi regni. Intanto il Duce Francese si schermiva dicendo, che per le nuove istruzioni avuto, egli non polca più serbare veruno accordo coi napolitani; ma che dovea agire soltanto con le sue armi, e che il Lesseps, trattando a suo modo coi capi della romana repubblica, nei conclusa e prorogata una tregua fra le dee armate repubblicane. La quale a vero dire avea paralizzati i francesi movimenti, e ponea in pericolo quelli dei Napolitani; e io fotti le romane armi sciolte dal freno francese, non ad altro pensavano che a riversarsi ai danni dei Regi; nel che non si vede quanta buona fede si ponesse dai Francesi; imperciocché due corpi di armata che uscivano in campagna per lo stesso scopo, e che dovéano concordar»

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epperò i Francesi mai non doveano concluder tregue per essi soli, ma sì bene per tutti quelli che con essi cooperavano; e non calersi dei Napolitani nelle negoziazioni fu un brutto egoismo, o una manifesta irregolarità, che la storia non può non addebitar loro. Non però di meno la insidia tesa ai napolitani, fa, siccome diremo, dal napolitano valore sventata.

Re dietro varie' notizie, e fogli intercettati, veniva nella certezza di un assalto che si darebbe alle sue genti; si che faceasi a scrivere al Generale Oudinot, che i romani per la inoperosità delle truppe francesi, accennavano con tutte le loro forze a piombare sulle poche milizie napolitane, che un foglio intercettato agli avamposti di Castelgandolfo, e che spediva a lui, portava la notizia certa della uscita di due armate considerevoli da Roma, delle quali una spingevasi per Palestina onde assaltare i napolitani alle spalle in Velletri, e l'altra difilatamente andava ad affrontarli, e che rendeva tutto ciò alla sua conoscenza perché avesse prese quelle risoluzioni che l'onore e gli accordi dettavano.

Però il Sebezio Principe, suspicato in prima, e poscia assicurato, che nulla si sarebbe operato dall'oste francese, si apparecchiò a tutti gli eventi con le proprie forze; e nel tempo stesso, considerando che gli correva il debito di guardare la frontiera del suo regno da qualunque siasi aggressione, inclinò l'animo ad una ritirata, e nobilmente cosi fece protestare. L'accordo indispensabili nelle operazioni militari fra le regie truppe e le forze francesi, che si trovano aver già occupato parte del territorio romano, è venuto meno in conseguenza dell'attitudine spiegata dal governo della repubblica francese nella quistione romana, nella quale la Francia si riserba di agire sola, ed il suo diplomatico autorizzato a trattare con le truppe romane, le dà tutto l'agio di agire contro quello stesso corpo napolitan

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e Fiumicino doveva concorrere a far causa comune coi Francesi! Per siffatte considerazioni, e per la mancanza di azione delle altre potenze nelle vicinanze di Roma, S. M. ha creduto della Sua dignità il far ritorno alla frontiera dei Suoi Stati, e quivi attendere gli avvenimenti.

Il Re ordinava da Albano, che la ritirata si eseguisse con calma e decoro; infatti il giorno 17 si muovevano alcuni corpi per Velletri, altri per Ariccia, restava soltanto in Albano la dietroguardia composta di tre battaglioni, due squadroni, e mezza batteria di obici, intesa fra le altre cose a riportare tutto l'approvisionamento esistente nei magazzini di Ariccia e di Albano, e gl'infermi che erano negli ospedali. Nello stesso tempo, la brigata Winspeare che dovea rientrare in Albano da Velletri, riceveva T ordine di arrestarsi fra Ariccia e Genzano.

Nell'albeggiare del 18 Maggio tutta la napolitana oste si mosse a piè lento per Velletri; cosicché da Albano a Velletri che si contano appena 12 miglia, ossia poco più di mezza tappa militare, impiegava ben due giorni, durante i quali avrebbe potuto farne comodamente il triplo; la qual circostanza vuol notata la storia per disingannare coloro che chiamarono fuga precipitosa quella lenta ritirata.

Incerte e vaghe notizie durante il cammino si ebbero delle repubblicane legioni, ma nella sera dello arrivo a Velletri si seppe che già si attrovavano vicin di Palestrina nel numero di ben 12,000. I napolitani erano già rannodati in Velletri, dove pernottarono, e formavano un corpo d'armata composto da 7940 fanti, 1989 cavalieri, e 52 pezzi di artiglieria.

Velletri, l'antica Velitroe dei Volsci, è posta sul culmine di un colle attorno al quale corre scosceso e ripido il terreno, ricoperto di vigneti e di oliveti, e poi si conforma in tre valli, e molte convalli, le quali man mano verso il settentrione e l'occidente aggrandendosi per dirupi

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e montagne vanno a terminare nel monte Artemisio. Tre strade vi si rinvergano delle quali l'una flessuosa alquanto s'incontra ad angolo con quella che si protrae a Roma per Gemano ed Albano; l'altra quasiché retta accenna a Valmontone; e l'ultima incurvata alquanto, passa per Cisterna e si confonde con la notissima via Appia. La città di Velletri ricinta da antiche mura, e guarentita dall'alta collina dei Cappuccini si rende opportuna alle difese. Mirabile successione delle montane cose! Gli eventi preparavano a Ferdinando li una battaglia in quel medesimo luogo in cui laugusto bisavo Carlo III cento e cinque anni innanzi aveva combattuto e vinti gli Alemanni, e fermata la corona delle due Sicilie nella Sua Stirpe!

Nell'aurora del 19 nessun sentore inimico era in Velletri, ed il Re con la solita calma ordinava la continuazione della ritirata a Torretreponti, quando intorno allo 8 a. m. venne scorto un nervo di cavalleria nemica che per la via di Valmontone accennava a Velletri; e poco poscia la garibaldiana oste la quale s'indrappellava io quella regione. Il Re che aveva agguardato le mosse e i disegni del nemico dal palazzo del Legato, dove stanziava, diede al Maresciallo Casella ordini opportuni per arrestarne il corso, difendere la posizione di Velletri, in quella che la ritirata continuerebbe ad eseguirsi.

Giva il vecchio ed esperto Maresciallo alla sua missione, cominciando le sue operazioni dalla riconoscenza delle nemiche forze; o infatti spingevasi innanzi il secondo battaglione dei cacciatori con Una compagnia dei cacciatori a cavallo, e sparpagliati in ordine aperto negli estesi vigneti che fiancheggiano la strada di Valmontone, ingaggiarono la pugna coi garibaldesi che vi stavano postati, la quale resasi più valida e gagliarda, andava in rinforzo il resto dello squadrone dei cacciatori a cavallo guidati dal proprio comandante Maggiore Colonna, i quali ratto correvano a tutta briglia, e con impeto contro la cavalleria

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Il Re intanto con animo freddo osservava le nemiche mosse dal palazzo mentovato, e ben si avvide che il nemico s'industriava di sprolungare la sua ala sinistra verso Cisterna per tagliargli la ritirata; allora di tratto si portava nel luogo della pugna, e da sperimentato Capitano, dava provvedimenti vari, ed utili; sì che in breve le sue armi si trovavano in posizioni formidabili. La brigata Lanca con quattro pezzi di artiglieria, muniva la posizione dei Cappuccini, cardine di tutta la difesa, e con un nervo di armati ed obici di montagna guardava la strada di Genzano. Gli angoli salienti della cinta della città, dal piano fuori porta romana alla casa Lancellotti (1) variamente gremiti di artiglierie, opportune a folgorare i luoghi già occupati, od occupabili dal nemico ad oriente di Velletri, limitati ad angolo ottuso dalle due strade di Cisterna, e di Valmontone. La brigata Winspeare stava a guardia nello spianato innanzi Porta di Napoli, che forma un rientrante ad angolo retto con la strada che porta a Cisterna; vicino alla quale a due miglia da Velletri in opportuno campo si erano accampati la riserva della cavalleria, la grossa artiglieria e un battaglione svizzero. Il prode Principe d'Ischitella, Ministro della Guerra, era preposto alle redini del già incominciato combattimento a porta Romana, e con quel fervore, già inspiratogli nelle napoleoniche giornate,

(1) Il palazzo Lancellotti, è l'antica casa Ginetti, dove dimorò Carlo III nella vigilia della battaglia di Velletri.

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pugnando al lato del francese Achille (1), percuoteva ed urtava le garibaldesi schiere. Il Maresciallo Casella, e il Brigadiere Lanza quel bellico fervore mirabilmente secondavano: ed il Re mandava al Ministro i suoi fratelli Conte di Aquila e di Trapani, ritenendo presso di se solamente l'Infante di Spagna D. Sebastiano.

Durava da alcune ore la battaglia nel terreno che si distende presso alla Porta Romana, e di contro alla collina dei Cappuccini, quando i repubblicani, ormai scuorati dal furioso tempestare dei regi, si sostavano dalla foga con cui si erano affollati e spinti alla pugna, e andavano a zonzo lunghesso la strada di Valmontone, appoggiandosi a dritta sul terreno che ricinge le falde dell'Artemisio, e distogliendosi dal disegno per essi creduto facile di mozzare la napoletana ritirata. né miglior frutto coglieva l'altro generale repubblicano Galletti, il quale in sul tramonto di quel dì venivasene difilato per la strada di Albano; poiché le artiglierie e le truppe del Generale Lanza vigorosamente urtando, fecer sì, che ritorcesse il cammino, voltando le spalle alla custodita e forte Velletri.

(1) Il Principe d'Ischitella, conosciuto in altri tempi sotto il nome di Marchese di Giuliano, dopo servito nella Cavalleria di Marat, e nella sua Casa Militare, ne divenne Aiutante di Campo col grado di Uffiziale Superiore. Fece la campagna del 1811 nelle Calabrie, e nel 1812 quella di Russia nel corpo dell'avanguardia guidata da Murat. Riportò grave ferita nella battaglia della Moskowa, e fu promosso nell'ordine della legione d'onore di cui era insignito. Ritornato in Napoli nel 1813 ne ripartì con Murat, ed assistè alta prima campagna di Sassonia; molto si distinse nella battaglia di Dresda, cosicché Marat, comandante supremo della Cavalleria della grande armata, lo prescelse per condurre parecchie migliaia di prigionieri e presentare le prese bandiere all'Imperatore Napoleone. Poco dopo fu alla battaglia di Lipsia, ove ebbe il cavallo colpito da palla di cannone. Fece le due campagne d'Italia del 1814 e 15 e fu nominato Maresciallo di Campo in fresca età. Il Re presceglievalo a suo Aiutante Generale prima che si svolgessero i fati del 48; e nel 15 Maggio a Ministro delta Guerra.

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Per tal modo trionfavano le borboniche armi, e la stella di Velletri arridea a Ferdinando come a Carlo avea arriso. Non tutte, ma porzione delle napolitano truppa furono a giornata, e fiaccaron l'impetuosa audacia dei repubblicani, che laceri e sanguinosi batterono ritirata. La spada di Ferdinando onorevolmente riparò a quei casi, che un'armata, con la quale era uscito in campo di conserva, avrebbe dovuto prevenire; e che con grave scandalo permise indirettamente, rimanendosi con le armi ammontate. Durò la battaglia per bene otto ore; ed a sera innoltrata si ammorzò. Mancarono ai napolitani 42 tra morti, e feriti, oltre a qualche prigioniero, caduto per soverchio ardore nelle linee nemiche, e fra i primi, due uffiziali: il nemico, in quella vece lasciò sul campo cinque o seicento individui, oltre a molti feriti, e sbandati. I repubblicani non più vennero a combattimento coi regi, i quali continuarono la ritirata per Torretreponti, ove preser campo, e poscia seguirono il cammino per Terracina, dove giunti il giorno 21, il Re passavagli a rassegna, o secondo gli ordini ricevuti, rientravano a scaloni nella frontiera del Regno, preceduti dal Sovrano, il quale scorso di due ore il mezzodì di quel giorno, lasciava il Pontificio Stato.

Intanto pel fatale armistizio concluso dal Lesseps, continuavano a scorrere le garibaldesi torme per lo stato della Chiesa, ed accennavano ad invadere la frontiera del Regno di Napoli; per la qual cosa fu organizzato un Esercito inteso a stare a guardia di quella, risultante da duo divisioni capitanate dal General Nunziante, e dal Maresciallo Casella, delle quali luna difender dovea la linea fra Sora e Ceprano, e l'altra gli sbocchi di Terracina, occupando Fondi, Itri, e Mola.

Il Generale repubblicano Roselli lasciava il 23 Maggio Velletri, che avea occupato dopo la partenza dei regi, e spartiva i suoi in varie colonne, delle quali una guidata da lui, ritornava in Roma, e le altre, rette da Ma

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da Garibaldi tenevano la delegazione di Frosinone; dei quali l'ultimo si spingeva il 26 temerariamente ad una scorreria in Arce, e Rocca d'Arce, nel territorio napoletano, dove già non erano truppe; ma si ritraeva in fretta dal suo proposito, ritirandosi a Roma per Valmontone, appena conosceva, che erasi mosso contro di lui il General Nunziante, il quale pertanto rannodava la sua divisione nella linea da Isola ad Arce, occupando S. Germano, Aquino, Rocca Secca, ed Arpino, quartìer generale.

Intanto allo scopo di tutelare la frontiera napolitana e respingere sempreppiù i repubblicani da Roma, concorrevano gli Spagnuoli, e gli Alemanni; ché una divisione spagnuola ai cenni del Tenente Generale Fernandes de Cordova era giunta in Gaeta,accampandosi nello spianato di Montesecco, e di quivi era marciata per lo Stato Pontificio. Similmente il Tenente Maresciallo Wipffen, che capitanava l'esercito austriaco nelle Marche, facea marciare da Macerata ad Ascoli un forte distaccamento della brigata Liechtenffein. Per le quali cose la napolitana frontiera siepata da tante armi era ben tutelata, e le torme repubblicane di Masi e Sterbini si rifugiavano verso Roma. Frattanto questa città veniva espugnata dalle armi francesi, e Garibaldi soltanto, uscivane con un satellizio di 5 mila uomini nella notte del 1 al 2 Luglio, e dopo aver vagato pel romano territorio, fra varie vicende, inseguito dalle armi francesi, alemanne, spagnuole, e napoletane, si cacciava nel Piemonte.

Veniva a Gaeta, mandato dal generale Oudinot, il colonnello Nyel colla missione di deporre ai piedi del Pontefice le chiavi di Roma, e la notizia della pace riacquistata. Dallo stato Pontificio man mano si dileguava il repubblicano vessillo per opera delle armi accennate, T Esercito Napoletano rientrò nel Regno, rimanendo a Frosinone il 6.° battaglione cacciatori, in Aquila il 12 reggimento di linea e mezza batteria da campo.

CAPITOLO XII.

PIO IX A PORTICI.

Sommario

Universali ruine della ribellione. Pio IX si tramuta da Gaeta a Portici. Particolari del viaggio. Sua prima venata in Napoli, e ricordevoli parole dette al napolitano clero. Il Corpo Diplomatico si reca a Portici da Sua Santità, e poscia a Napoli dal Re. Benedizioni del Pontefice date dalla Reggia al popolo, ed all'armata. Inutili tentativi di socquadro. Pio IX visita molte Chiese, Stabilimenti, Monasteri, e lascia dovunque memorie indelebili della sua bontà. Sua gita a Nocera di Pagani, a Salerno, a Caserta, a Pompei, a Castellammare, a Sorrento, ad Ercolano, a Benevento, a Mugnano del Cardinale, a Nola, ai Ponti della Valle. Pio IX passa le natalizie feste in Caserta; continua la visita delle napolitane Chiese, e Monasteri, Il Cardinale Antonelli annuzia al Corpo Diplomatico con una nota il vicino rimpatrio del Sommo Pontefice. Medaglia ed ordini cavallereschi pontificii donati all'armata. Divulgata la partenza del Santo Padre accorrono in Portici i più notevoli personaggi, e corpi morali. Benigna parole dette al clero di Resina. Viaggio di Pio IX. Solenni parole profferite nello accomiatarsi dal Re, che avealo accompagnato sino al napolitano confine. Esultanza e feste nello Stato Pontificio.

Ormai l'edilìzio della rivoluzione andava in ruine da per tutto, e il politico cielo riprendeva il suo sereno. La romana repubblica era stata dalla sua sorella sdrucita e spenta, e le pontificie regioni al legittimo governo restituite. Parma e Modena all'antico piede ritornate. Lombardia e Venezia riconquistate dalle armi tedesche. Piemonte negl'impeli suoi sgagliardato. Ungheria fatta doma. Snidati da Losanna e da Ginevra i fomentatori delle ribellioni. La Francia istessa, ormai con le armi avea palesato dove pendesse.

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L'Inghilterra oggimai satolla. Il braccio delle Potenze conservatrici via maggiormente invigorito. Da per tutto al primiero stato si era fatto ritorno. né nel napolitano rea

Nel giorno 3 di Settembre la ospitale Gaeta esternava in vario modo al Santo Ospite il dolore di vederlo partire, rattemprato per altro dal pensiero, che ormai dileguate le tempeste, potea Egli far ritorno nel suo Seggio.

Nel mattino del 4 Settembre, dopo nove mesi e qualche giorni, il Santo Pontefice, accompagnato dal Re,

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e dal seguito pontificio, e regio, s'imbarcava sulla frega

Come il Tancredi addentrò la sua prora nel canale di Procida ambo i liti che lo rinserrano furon pieni di grida e segni festivi, ed il mare gremito di barche stivato di genti dalle quali altri segni ed altre grida uscivano; sì ebe bellissimo accordo facea la mobile moltitudine del mare con la immota delle opposte sponde. Sboccava dal procidano canale la pontificia nave, e nel golfo di Napoli s'internava, e qui intorpidiva il suo corso, e il buon Pontefice saliva col Re sul ponte più alto di quella, affine di raccoglier con maggiore posatezza ed agio la diletta vista di quell'incantevole e svariato panorama che si apre dinanzi allo sguardo di coloro che per mare traggono alla città delle Sirene, il quale non pure di naturali meraviviglie, ma di venerande memorie in ogni suo canto si adorna.

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Primo si spinge nelle onde il capo di Miseno, nel cui pie s'incava il porto dello stesso nome, stanza della romana flotta, e quivi presso eran le ville di Mario, di Cornelia madre dei Gracchi, di Lucùllo; la città di Miseno rivale di Baja, entrambe dallo sdegno saraceno distrutte; la tomba ove il Mantovano Vate posò il frale di Miseno, scudiere di Ettore e compagno di Enea; segue Baja, soggiorno gradito delle blandizie e dei rotti piaceri, intino a che non giacque con l'imperio; la quale ai tempi di Carlo II, Giovanna, Ladislao, e Ferdinando 1.° d'Aragona quasi rinacque a nuova vita, che fu spenta nella invasione del secondodecimo Luigi di Francia. In quei dintorni eran le ville di Ortenzio, l'emulo di Cicerone, di Antonia madre di Druso, di Giulio Cesare, di Augusto, ove Ottavia pianse lungamente il suo Marcello; le rinomatissime terme, e la villa di Pisone, stanza prediletta dell'infame Nerone; le acque ove si salvò a nuoto la sventurata Agrippina, per morire poco stante di ferro: il sepolcreto di Bacoli, che rinchiudea le ceneri dei soldati della flotta misenate; le ville e le peschiere di L. Crasso, di Catone d'Utica, di Pompeo il Grande, dell'Imperatore Domiziano.

Non molto lungi sorgeva Cuma la più antica città d'Italia, e cuna di nostra civiltà; per essa furono fondate Miseno, Linterno, Baja, Napoli, Nola, Zancle, ed altre città; ed in essa si trapiantarono pei Pelasgi ed i Tirrenofenici la religione, il sapere, e le arti dell'oriente. Nei cumani antri ebbe tempio, soglio, lavacri, e tomba la Sibilla: e quivi presso furon le ville di Varrone, di Seneca, e di Petronio.

Segue l'antica città di Pozzuoli, la quale decadde col romano impero dal suo lustro, saccheggiata e combusta in varie volte da Alarico re dei Goti, da Genserico, da Totila, da Grimoaldo II Duca di Benevento, dai Saraceni, dai Turchi; e più che dagli uomini distrutta dai tremuoti, e dalle elevazioni del mare; sì che ora a se

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non rimangono che incomposti avanci dispersi nella campagna o nel lido, o seppelliti nelle morte acque. In quei dintorni sono i campi dell'Odissea e dell'Eneide, i sette laghi che circondavano il Tartaro, e gli Elisi; i vulcani nel cui grembo giaccionsi ancor frementi i Titani; le selve dei Cerberi, il regno dei Lestrigoni, la terra dei Cimmeri.

In mezzo a tanti luoghi memorabili, il promontorio di Posilipo, albergo di soave letizia, scende dolcemente nello acque solcate per la prima volta dai Pelasgi, e ricinte dai lidi ove approdarono il pietoso Enea, il prudente Ulisse, e gli arditi Argonauti. Siegue Mergellina, stanza dolcissima delle napolitano muse nella seconda metà del secolo decorso, che inspirò forti e laudevoli pensieri a quanti fecer dotta e conta la passata età. Quivi vicino è la villa di Virgilio, che prospettava le poetiche e pittoresche coste del Vesuvio, e di Sorrento, le quali inspirarono a lui quei solenni poemi, che rendon si caro e venerato il nome suo e la sua tomba, la quale non molto lungi sorge come tempio d'inspirazioni, in cui trassero fra gli altri Dante, Boccaccio, e Petrarca.

Il papale naviglio percorreva da vicino i luoghi dì tante maravigliose ricordanze pieni, i quali erano magnificati dalla vista del Vesuvio, dalla deliziosa costa di Sorrento, e dalle isole, che quasi sono le antemurali dei napolitano golfo; nel cui fondo l'antica Partenone siede regina, spettatrice e spettacolo di tanta scena.

Varcato di due ore il mezzodì, attrovossi il Tancredi rimpelto alla napolitana regia, ed in un' istante l'aere fu ripieno di segni e rumori festivi; poiché si alberarono le regie bandiere, suonavano consuonavano a festa i campanili, rintuonavano le castella, moltiplicati e fragrosi evviva emetteva il popolo affollato su innumerevoli barchette, e sul lito, o sui vani, e sui terrazzi dei più alti edilìzi; così man mano il pontificio naviglio arrivava nel porto del Granatello, dove in mezzo a svariata,

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e festiva esultanza delle innumerevoli persone accorse sbarcava il buon Pio IX,. ricevuto dalle LL. AA. RR. il Principe di Salerno, il Conte di Aquila, e l'Infante di Spagna D. Sebastiano, con conveniente seguito, e poscia toglieva stanza nel real palazzo di Portici, che siede fra le incantevoli delizie di quella regione, le quali invitano gli uomini nella benigna stagione a svagarsi dal pesante e noioso fardello delle cure; e quivi il Santo Padre si riposava dalle sofferte amaritudini; ora peragrando fra quelle liete delizie, ora portandosi nella capitale, ed ora in altri luoghi.

Nel sesto giorno di Settembre vedea Napoli l'aspettato Pontefice, il quale mosso da Portici intorno alle 7. a. m. con conveniente seguito, arrivava poco stante nel napolitano Duomo, il quale dopo avere accolto nelle passate età i Pontefici Innocenzo IV (1), Alessandro IV (2), Celestino V (3), Bonifazio VIII (4),

(1) Innocenzio IV, Sioibaldo del Fiesco, tenne il papato dal 1243 al 1234, tempi nei quali arsero gagliarde contese fra l'Imperio e il Sacerdozio. Egli insidiato nella vita, riparò a Lione, dove nel 1245, congregato on Concilio, scomunicò, dichiarò decadato, e bandi la crociata a Federico II, e morto costui non ritrasse i snoi fulmini contro il Aglio Corrado. Innocenzio portatosi in Napoli, raunava nel Duomo i Cardinali, e per la prima volta dava loro il cappello rosso in segno del sangue che dovrebbero versare in difesa della Chiesa, e dopo non molto usciva di questa vita.

(2) Alessandro IV, dei Conti di Anagni, fa eletto dopo la morte d'Innocenzio IV nel 1234 nella napolitana cattedrale. Nell'anno appresso ad istanza di S. Luigi, Re. stabili gl'inquisitori in Francia, e mori in Viterbo nel 1261.

(3) Celestino V, pugliese, dell'ordine dei Benedettini, e fondatore di un nuovo ordine che porta il suo nome, ebbe la tiara nel 1234 in quella istessa cella ove macerava sua vita fra le più aspre austerità. Dopo il lasso di 5 mesi abdicava al papato; e due anni dipoi moriva in un castello della Campania. Fu canonizzato da Clemente V.

(4) Bonifacio VIII, napoletano, successe a Celestino nel 1294.

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Era il 26 di novembre dell'anno scorto ed lo, in compagnia del più pio tra i Sovrani e dell'augusta Sua Consorte, m inoltravo in uno scoglio, il quale conserva la pia tradizione de' miracoli avvenuti nel momento, in cui Gesù Cristo spirava sul Golgota, cancellando col suo preziosissimo sangue il chirografo della nostra eterna condanna. In quel giorno, prostrato avanti ad un' immagine del Crocifisso, anzi più, avanti all'augustissimo Sagramento, pregavo la pace pel Sovrano,

Contese con l'imperatore Federico, e Filippo il Bello. Fulminò le celebri bolle Clericis laicot e Ausculta fili, delle quali l'ultima fa condannata alle fiamme da Filippo il Bello. Cedé al fato comune nel 1303 più pei forti dispiaceri, che per gli anni.

(1) Urbano VI, Bottillo di Napoli, Arcivescovo di Bari, assumo al pontificato alla morte di Gregorio XI nel 1378, principio del te. legatissimo scisma, che tenne in parli la Cristianità infino al 1389, epoca della sua morte. Decise il Re di Ungheria a spinger Carlo di Durazzo contro Giovanna di Napoli. Bandita scomunica e la crociata contro Luigi, Duca d'Aogiò. Poscia si ruppe con Carlo, lo assediò invano in Nocera, quindi esulò in Salerno, in Sicilia, in Genova, e lilialmente, morto Carlo, ritornò a Roma, donde sarebbesi insignorito di Napoli, ove il falò non lo avesse spento.

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che mi accompagnava, ed imploravo anche su voi, figli dilettissimi di qualunque ordine e grado siate, la benedizione. Ignoravo allora i decreti della Provvidenza, che doveano compirsi sopra di me, ignoravo che potessi recarmi Io stesso fra voi, e darvi nuovamente questa benedizione. Questa benedizione, adunque, Io la imploro sopra di voi, e specialmente sul giovine Clero, perché possiate, figli dilettissimi, conoscere t doveri del proprio stato; ed il popolo, il quale ora più che mai, avvolto in tenebre che semprepiù si addensano, ha bisogno di una Iute, che lo guidi, che lo illumini a conoscere le insidie che ad ogni istante gli vengon preparate, vegga in voi la sua guida: siatelo coll'esempio, colla parola, colla carità. Studiate figli dilettissimi, i pericoli annessi al vostro stato per evitarli; ed imparerete a studiarli ed evitarli, se porrete attenzione a tutto quello che in questi giorni tanto spesso vi si ripete nel luogo della vostra ecclesiastica educazione. Siate adunque benedetti nell'anima, e questa creata ad immagine di Dio, sia come lo deve la copia del divino originale, che è Gesù Cristo; siate benedetti nei vostri studi, nelle vostre preghiere, in tutto. Con questa intenzione adunque vi dò la Pontificia benedizione, e voi prostrati, ricevetela (1).

Bipartiva in seguito per Portici il S. Padre, lasciando in dono alla chiesa cattedrale il calice d'oro col quale avea Egli celebrato la messa.

Nel giorno appresso il Corpo Diplomatico presso Sua Beatitudine, si portava nella Reggia di Portici per attestargli i più sentiti sensi di ossequio, e di ammirazione, che l'Ambasciadore di Spagna D. Francesco Martinez de la Rosa esprimeva a nome dei suoi Colleghi. Rispondeva benignamente il Santo Pontefice, rendendo grazie della premura mostrata per Lui;

(1) D'aloe. Diario della venata e soggiorno in Napoli di Sua Beatitudine Pio IX P. M. pag. 8.

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toccando delle passate vicende politiche, e segnatamente della necessità dell'ordine e della pace in Roma, donde si diffondono le pacifiche aure per ludo il resto della Cristianità; e per ultimo non trasandato di ripetere sensi di gratitudine verso Re Ferdinando, il quale tanta provvida od amorosa cura prendeva di Lui.

Lo stesso Corpo diplomatico poco stante recavasi nella Reggia di Napoli, ed al Sovrano così si esprimeva per mezzo dello stesso Ambasciadore Spagnuolo. «Sire. Il Corpo diplomatico accreditato appo la Santa Sede, crede compiere un dovere affrettandosi di offrire a Vostra Maestà i suoi rispettosi omaggi. Avendo seguito il Sovrano Pontefice nella contrada che gli è servita di asilo, noi siamo stati testimoni della sollecitudine tutta filiale di Vostra Maestà per fare obbliare al suo ospite venerando di trovarsi Egli sopra una terra straniera. E Vostra Maestà vi sarebbe riuscita se il cuore di Pio IX potesse dimenticare le sventure e le sofferenze dei suoi popoli. La causa della giustizia, grazie a Dio, è trionfata; e quando nell'avvenire si farà menzione di quest'epoca sempre mai memorabile, dopo aver renduto omaggio alle virtù veramente evangeliche che il Santo Padre ha manifestate in questi giorni di pruova, vi si associerà il nome del Sovrano, che gli ha dato nei suoi Stati un'ospitalità sì degna di un Monarca».

Re Ferdinando rispondeva, che era troppo sensibile alle esternazioni fatte; che riguardo alla ospitalità del Pontefice avea fornito il dovere di cristiano cattolico; che era grato a Lui e a tutti il considerare il prossimo termine delle amaritudini del Santo Padre, con tanta rassegnazione portate; e che avea con piacere ammirato in tali emergenze le qualità dell'intiero Corpo Diplomatico, e la divozione verso del Pontefice.

Medesimamente il Nunzio Apostolico, Monsignor Garibaldi, presentava al nono Pio,

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il Corpo Diplomatico

Nel giorno 9 Settembre il Santo Padre tornava in Napoli, e benediceva dal maggior verone della Reggia che mette al largo di palazzo, le milizie, che per la devota ed antica funzione di Piedigrotta eran venute in Napoli. Molto solenne fu quel momento. Le indrappellate schiere ricinte da immensa calca di popolo, prostrate reverenti; il Supremo Sacerdote da mezzo la reale loggia che impartiva la benedizione; un altissimo silenzio interrotto soltanto da ripetuti evviva al S. Padre, ed al Re, dal suono delle militare bande, e dal rintuonare delle castella. Per tal modo l'armata andava lieta di esser benedetta da Colui pel quale avea versato sudore e sangue.

Sette giorni di poi, dallo stesso luogo spandeva la pontificale benedizione sul popolo, il quale si era affollato grandemente nel largo della Reggia fin dalle prime ore del giorno, conosciuto appena, che il Supremo Sacerdote veniva a quel fine. Intanto nell'atto istesso di sì soavi e magnifiche funzioni, nelle quali si pregava pace al Sommo Datore è" ogni bene, non mancarono i turbolenti e infami tentativi. Nel giorno della festa di Piedigrotta mulinavasi il disegno di produrre un socquadro, traendo partito dal molto popolo che in quella circostanza affluisce in Napoli; e si faceva invito alla rivolta con sedizioso proclama; ma nulla si concluse; poiché i Napolitani a tutt'altro pensano, e molto meno a rivoluzioni, nella ricorrenza di quella festa in cui si abbandonano ad ogni maniera di letizia. Frustrati rimaneano, ma non disconfortati i sediziosi; di maniera che vennero nel pensiero di fare il colpo nell'altro giorno in cui la solenne benedizione del Pontefice dotta effeltuirsi. Apparecchi e proclami seguirono alla congiura, ma nessuno effetto ai disegni; poiché avanti la prefissa ora udissi uno scoppio, la gran folla trepidò,

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e poscia tutto si rimise in calma. l'autore dello strepito fu imprigionato, ed alle autorità rivelava, che egli era mandatario della setta dell'unità italiana, e clic in quella occasione con quel mezzo dovea cagionare tumulto, durante il quale sarebbe susseguito il massacro di determinate persone. Volle però il benigno Iddio, che lo scelerato proposito non sortisse il suo. effetto; poiché io contrario sarebbe susseguita una orrenda strage, segnatamente perché molti innocenti e teneri bambini, e caste giovanetto eran raccolte in quello spianato.

Tramutavasi sovente il buon Pontefice da Portici a Napoli, e ai conterminali paesi e città per far pago il desìo di varie congreghe, stabilimenti monastiche famiglio e di altri, e tutti ammetteva al bacio del sacro piede, e sopra tutti invocava celestiali benedizioni, né si rimanca dall'andare osservando con diligenza le migliori e più meritevoli cose, e lasciava dappertutto grata e non peritura memoria di sua visita. Ebbero pertanto la sorte di vederlo in diversi tempi il Reale Albergo dei Poveri, Piedigrotta e i vicini conventi delle Suore Francescane,. o delle Fiorentine, delle Carmelitane dei SS. Giuseppe e Teresa; i monasteri di S. Chiara, di S. Patrizia, di S. Maria di Gerusalemme, di Regina Coeli, di S. Gregorio Armeno, di S. Giuseppe dei Rulli, di Donnaregina, del Gesù delle Monache; il 1.° e 2.° Educandato Regina Isabella Borbone; il Museo Reale Borbonico; l'Ospedale degl'Incurabili, quello dei Pellegrini, che 35 anni avanti aveva visitato da viaggiatore! i monasteri di S. Maria della Sapienza, di S. Andrea Apostolo, di S. Giovanni Battista, della Croce di Lucca, dei benedettini de' SS. Severino e Sossio; la Congrega di S. Ferdinando, della Madonna delle Grazie; la casa di Suor Orsola; il romitaggio della SS. Concezione; il monastero delle Salesiane; le reali Arciconfraternite di S. Giacomo degli Spagnuoli; dei Bianchi; la Chiesa e la Casa della Compagnia di Gesù;

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il monastero del Divino Amore; la Chiesa di S. Paolo, di S. Maria Egiziaca al Lavinajo, della Sanità, di S. Maria della Misericordia, di S Giuseppe dei nudi; il monastero delle Cappuccinelle a Pontecorvo; la regia basilica di S. Francesco di Paola, innanzi al cui largo, ricorrendo il dì 8 Dicembre la festa nella quale l'armata dà solenne culto alla sua divina Proteggitrice, erano intrappoliate le milizie terrestri, e navali, le quali furon benedette dal Sovrano Pontefice in quella, che i castelli tuonavano. Visitava in altri giorni l'Ospizio di S. Gennaro dei Poveri, e le celebratissime catacombe, culla della napolitana religione; il palagio di Capodimonte; il nuovo camposanto sebezio, dove pregò pace sempiterna per gli estinti. Si portava benanche nelle città e nei paesi conterminali. Nel giorno 8 di Ottobre per la strada di ferro si condusse a Pagani; fu nella chiesa dei Liguorini, dove, dopo celebrata la messa, si accostò all'urna che rinserra il corpo di S. Alfonso de' Liguori, e presane devotamente la destra baciolla, e misela in contatto della sua fronte, e poscia toltosi il prezioso anello dei suo dito, lo pose rispettosamente a quello del Santo. Poco poscia portavasi a Salerno con S. M. il Re, e S. A. il Conte di Trapani, i quali si eran condotti all'insaputa io Nocera per onorare e accompagnare il Padre Santo. Un gran brulicame di gente dei circostanti paesi, e di Salerno istessa ingombrava le strade, e devotamente manifestava il suo giubilo per la visita del Pontefice, il quale, ricevuto già da tutte le salernitane Autorità, si portò nella Cattedrale di S. Matteo, e vi osservò tutte le mirabili cose di che va conta. S' inchinò innanzi alla tomba del rinomatissimo Ildebrando, Papa Gregorio VII, ed orò avanti a quella dell'Apostolo S. Matteo. Poi benediceva

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Correndo nel 15 Ottobre il giorno onomastico di S. M. la Regina, si portava il buon Pontefice a Caserta, ove la Real Famiglia stanziava, e ricevutovi con le solite manifestazioni di rispetto, attese fra le altre cose, a beare

10 sguardo sulle magnifiche e stupende delizie di Caserta e di S. Leucio, e benedisse dalla gran loggia del palazzo una immensa calca di popolo, che fin dalla prima luce gremiva quell'amplissimo spianato; e in sull'annottare si restituiva per la ferrea via nella sua residenza di Portici.

Nel 22 di Ottobre recavasi a pascer la Sua dotta curiosità a Pompei, la quale in quel di, smesso il silenzio di morte che vi regna da 18 secoli circa, fu popolata all'intorno di molta gente accorsavi a venerare il S. Pontefice, e qui e colà verdeggiante per verdi rami variamente intrecciati, e vivificata per molti fiori. Le magnificenze, e la sventura suprema della rediviva città formarono l obbietto di molte ore di permanenza, durante la quale non si trasandò di fare eziandio un saggio di scavamento, cui assistè il Pontefice con molta soddisfazione. Terminata la visita a Pompei, Pio IX si portava a Castellamare, a Vico-Equense, a Sorrento, a Meta, e rientrava nella Sua residenza di Portici a notte innoltrata, in mezzo alle festive manifestazioni di rispetto, accresciute immensamente da larga illuminazione che lunghesso le vie dileguava la notturna oscurità. Ai 25 Ottobre si portò a visitare

Il teatro e gli scavi dell'antichissima città di Ercolano, la quale fu pari a Pompei, dall'ira del Vesuvio oppressa.

Ai 30 di Ottobre volgeva i passi pei Suoi Stati a Benevento, e per tutte le strade e i paesi del nostro rea,

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Non è immaginabile con quali modi fosse ricevuto nel beneventano il S. Padre; i quali in verità erano un argomento di quella salda devozione, da cui non si erano giammai alienati i sudditi pontificii durante la ribellione dello Stato Romano, che fu opera di una casta risultante per lo più da forastieri. Nel secondo giorno di Novembre ritornava nel napoletano regno, e nella sua residenza di Portici.

Nel mattino del 7 Novembre si condusse nel Santuario di S. Filumena in Mugnano del Cardinale, dove già eran convenuti il Re e la Regina, e gli augusti Principi. Visitò la casa delle Suore della Carità, donde benedisse il popolo affollato nella sottoposta piazza. Indi in compagnia di S. M. il Re e del Conte di Trapani, portossi a Nola, dove visitò l'episcopio, i monasteri di S. Chiara, del Collegio di Canonichesse lateranensi, e di S. Maria la Nuova. Poscia andò ad osservare i celebratissimi ponti della Valle, dai quali si passò a Caserta, e finalmente a Portici.

Ritornava a Caserta per celebrare in quella Regia la festività del S. Natale, nel far della sera dei 24 Dicembre, aspettato e ricevuto coi soliti segni di venerazione e di amore dalla Real Famiglia; vi dimorava il vegnente e l'altro dì fra religiose funzioni, in cui rifulse la pietà, è la divozione della Real Famiglia. Ai 27 del cennato mese, essendo il giorno onomastico del Sommo Pio, vi fu in Portici convenio d'illustri personaggi per umiliare sentiti auguri per la sua preziosa vita; né tardarono ad accorrervi per lo stesso scopo il Re, la Regina e tutti i Principi e Principesse Reali.

Entrava il novello anno 1850 e si appressava al suo termine la pontificia dimora io Portici, e il buon Pio ment

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Neil'undecimo dì di Marzo il Cardinale Antonelli Pro-Segretario di Stato, convocati i Ministri delle quattro Potenze Cattoliche, che aveano ristaurata con le armi la legittima autorità nello Stato Pontificio, tenne conferenza diplomatica pel ritorno di Sua Santità nel suo Seggio; che nel seguente giorno annunziava al Corpo Diplomatico presso il romano governo con la seguente nota.,,

Fatta doma dalle armi cattoliche la ribellione, che tanto travagliò i sudditi pontificii nelle trascorse vicende, videsi con plauso universale dei buoni, ripristinarsi a poco a poco negli stati della Chiesa il legitimo governo. Rimaneva solo a compimento dei voti del cattolicismo e dei sudditi devoti al proprio Sovrano, il ritorno del Sommo Pontefice alla Sua Sede.

Varie difficoltà si frapposero fin qui a ritardarlo, e specialmente il desiderio vivissimo, che il Santo Padre nudriva di poter soccorrere ai bisogni dello Stato.

Conseguitosi ora questo scopo, ha Egli risoluto di restituirsi nei suoi temporali dominii nei primi dì del prossimo mese di Aprile.

Si confida il Santo Padre, che la mano del Signore, da cui furono guidate le Potenze accorse con le loro armi alla santa impresa, si degnerà benedire quei provvedimenti, in che non lascia di occuparsi pel migliore benessere dei suoi sudditi. Né dubito punto che le Potente tutte, con le quali la Santa Sede è in amichevoli relazioni,

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siccome concorsero con la loro influenza morale e materiale, ciascuna per la tua parte, a ristabilire il Sommo Pontefice nel pieno e libero esercizio della sua autorità, cosi animate da eguale e costante interessamento saranno per garentirlo nella sua libertà, ed indipendenza indispensabile al governo universale, della Chiesa, ed alla pace di essa, che i pur quella d'Europa.

Dal real Palazzo di Portici 12 Marzo 1850 - Firmato ANTONELLI.

Ai 14 Marzo il Sommo Pontefice mandava a S. M. il Re, ai Reali Principi e a tutti coloro che avean fatto parte della spedizione di Roma una medaglia di bronzo, fatta coniare in memoria dello intervento delle armi cattoliche per fugare la ribellione romana, la quale di forma rotonda ha in una delle sue facce il triregno con le chiavi, ricinto da queste parole sedes apostolica romana, e Dell'altra queste altre Pius IX Pont. Max. Romat restitutut catholicis armìs coUatis MDECCXLIX. Oltre a questa medaglia venivano distribuiti vari ordini cavallereschi per lo stesso scopo. '

Sua Beatitudine nel giovedì santo recavasi a Caserta, dove ricevuto con la solita devozione dagli augusti Componenti della Real Famiglia, vacava alle altissime funzioni che la Chiesa celebra in quel giorno, tra quali la lavanda dei piedi di 13 sacerdoti da Lui fatta, e la cena degli apostoli. Passava la pasqua in Portici in unione della Real Famiglia, che Egli invitò alla mensa pasquale.

Divulgatosi intanto il prossimo ripatrio del Vicario di Cristo, accorrevano in Portici gran numero di distinti personaggi per baciargli il sacro piede, ed umiliargli tutti i possibili auguri. I Corpi Diplomatici residenti presso la S. Sede ed il napolitano governo, nel 1.° Aprile a tal debito adempierono, e poco poscia l'Intendente della provincia di Napoli, il Sindaco e il Corpo della Città di Napoli

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Tutti con lieto viso riceveva il S. Padre, a tutti memorande e benigne parole diceva. Al Clero secolare di Resina cosi parlò.

Giacché la divina Provvidenza «i è degnata farmi tornare alla Sede apostolica romana, tappiate, figli dilettissimi, che se il Mio corpo i lontano da voi, il Mio spirito però sarà sempre a voi rivolto, non potendo giammai obliare la filial divozione, che m tante occasioni mi avete dimostrato. E per darvi un segno di quanto io sia penetrato di ciò, vi lascio la bianca pianeta, di cui io stesso ho fatto uso nel santo sacrificio della Messa in tempo della mia dimora tra voi; acciocché in mirandola vi ricordiate di Me, e mi raccomandiate alla SS. Vergine di Pagliano.

Consimili parole tenne al Clero di Portici, a coi donò la pianeta rossa da Lai usata in Portici, dicendo che lo avessero raccomandato a S. Ciro.

Nel giorno 2 Aprile si portavano nella pontificia stanza molti altri personaggi regnicoli, e stranieri per altri augurii; fra quali l'Arcivescovo di Napoli col Capitolo metropolitano, il Cardinale Dupont con parecchi affiliali della squadra francese ancorata nella napolitana rada; una deputazione delle magistrature e della nobiltà di Benevento; i Capi della real Corte; i Componenti del Consiglio di Stato; i Gentiluomini e le Dame di Corte; la Beai Principessa di Sassonia.

Passato di un'ora il mezzodì del 4 Aprile, osciva dalla porticese Reggia il Sommo Pio IX, e per la ferrea via alla sua Roma si avviava. Si fermò a Caserta fra i segni più vivi di affettuoso rispetto della Real Famiglia; nella dimane dopo benedetti la religiosissima Maria Teresa e i suoi Figliuoli, continuava il viaggio accompagnato dal Be e dal Principe Ereditario. Discendeva in Capua, e dopo desinato nell'episcopio accennava a Sessa, nel cui palazzo vescovile passò la notte; e nella dimane, 6 Aprile,

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Vicario di Cristo discese di carrozza, e porgendo l'addio al religiosissimo Ferdinando II, ed al suo diletto figlio Duca di Calabria, che inginocchioni e riverenti gli stavano dinanzi, così con maestosa affabilità disse. Vi benedico, o piissimo Re Ferdinando di Borbone; benedico la Vostra augusta Casa; benedico il Vostro regno, benedico il Vostro divoto popolo. Non saprei come meglio esprimervi la mia riconoscenza per l'ospitalità, che Mi avete dato. Il Re tutto commosso rispose. Non ho fatto niente.... non ho che adempito al dovere di cristiano.. Ed il Santo Pontefice ripigliò La vostra filiale affezione fu grande e sincera, e cosi parlando alzò di terra il Be, lo strinse al cuore, gl'impresse due affettuosi baci nelle guance, e senz'altro risalì in carrozza, e continuò il viaggio (1).

(1) Il buon Pontefice serbò sempre grata memoria dell'affettuosa ospitalità che si ebbe dal nostro Re. In un solenne concistoro tenuto poco dopo il suo arrivo a Roma per protestare contro le cose avvenute in Piemonte in danno della Santa Sede, così parlava.

» Pertanto dopo il nostro ritorno dovendo parlarvi per la prima volta, ci è d'uopo principalmente rendere grazie infinite all'Onnipotente per tanti benefìcii compartitici, e lodare meritamente quelle illustri nazioni e principi, che mossi da Dio medesimo furono ben lieti nel rendersi benemeriti di Noi, e di questa sede apostolica, e nel tutelare e difendere con le loro forze, col loro senno e con le loro armi i dominii temporali di santa Chiesa, e ridonare la quiete e l'ordine a Roma, ed allo stato pontificio».

» Giustamente esige la nostra gratitudine e il nostro encomio il carissimo figlio nostro in Gesù Cristo Ferdinando II Re del regno delle Due Sicilie. Imperocché per l'esimia sua religione, fatto appena consapevole dal nostro arrivo in Gaeta,

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Seguì con l'occhio il piissimo Re il pontificio convoglio infin che non disparve.

Non è possibile ritrarre la esultanza, e la gioia dei sudditi nel rivedere dopo 16 mesi il loro amato Sovrano, Pio IX. Accorrevano da ogni banda, anche lontana, e intorno alle vie per le quali transitava, in festevole ossequio si muovevano. Una immensa folla agitando rami di ulivo ricuopriva i campi di Velletri, già dalle repubblicane turbe contaminati. Trionfante entrava il Pontefice nella sua Roma. La basilica di S. Giovanni riccamente addobbata; i campanili squillavano a festa; i marziali bronzi tuonavano; tutti gli edilìzi ricoperti di drappi; le vie gremite di fiori e di foglie; l'armata francese attelata lunghesso il passaggio; l'acre assordato da infiniti evviva al mansueto Pio IX, e da soavi melodie delle militari bande, archi bellissimi qui e colà innalzati. Da S. Giovanni Luterano il Sommo Sacerdote si portò a S. Pietro; accompagnato dai Cardinali, dal Corpo Diplomatico. né col sopravvenire della notte posò la romana esultanza; ma altre forme assunse, ed in altri modi si accrebbe: un oceano di luce si spandeva dagli edilìzi pubblici e privati, e le tenebre notturne dileguava, la cupola più che altri come sole splendeva. Il popolo a gran calca si aggirava in tranquilla festa per l'appagata città.

senza frapporre indugio, insieme all'augusta sua sposa Maria Teresa corse a noi, e pieno di gioia per l'occasione offertasi di dare al Vicario di Cristo in terra argomenti di sua singolare pietà, e di filial devozione ed ossequio, ci albergò generosamente, né mai si restò, durante il tempo della nostra dimora nel suo regno, di ricolmarci con ogni maniera di officiosità, siccome foste voi stessi testimoni di vista, venerabili fratelli. E poiché altre nazioni ancora concorsero a difendere il civile principato di santa sede, la Maestà di quel Re volle eziandio capitanare le sue truppe. I quali singolari meriti verso Noi e la sede apostolica di si religioso Principe sono talmente impressi nel nostro cuore, che la loro memoria non ti cancellerà giammai per volgere di tempo».

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Per tal modo il Vicario di Cristo ti posava «al seggio dal quale una infame e balda consorteria avea cura» lo di sbalzarlo, dimenticando nel miglior punto le forti e solenni parole uscite già dalla stessa bocca del Figlio di Dio. Tu sei Pietro, e su questa Pietra fonderò la mia Chiesa, e le porte dell'Inferno si adopreranno invano contro di lei.


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CAPITOLO XIII.

COMPIMENTO DELLA RISTAURAZIONE.

Sommario

Il napolitano Governo progredisce sempreppiù nel ano proposito, e compie la ristaurazione. Opportune disposizioni intorno alla pubblica istruzione. Determinata per Sicilia un'amministrazione civile, giudiziaria, finanziera, e degli affari ecclesiastici separata da Napoli. Viene stabilita una consulta in Palermo. Provvidenze varie per la siciliana finanza, ed istituzione di un Gran Libri» del debito pubblico.. Riordinamento del ramo dei lavori pubblici e delle acque e foreste. In qual modo il giuramento prestato alla costituzione fosse divenuto nullo nei suoi effetti. Si riprende l'antica formola di giurare. Solenni parole di Carlo Botta contro I Governi rappresentativi. Le popolazioni supplicano il Re per l'abolizione della costituzione. Conclusione.

Il Napolitano Governo consolidato di giorno in giorno, si per le proprie forze, e si per la felice piega degli affari dì Europa, non ritraeva l'animo dai suoi propositi, ma ogni cura ponea al compimento della ristaurazione. I tentativi di Settembre del 1849 avean messo nelle mani della giustizia il bandolo della setta dell'Unità Italiana, la quale veniva in tutte le sue recondite parti chiarita. Nel tempo stesso nei principi di Marzo di quell'anno era scoperta un' altra congiura intesa a piantare l'albero repubblicano nel campo della Monarchia; e la Gran Corte Criminale di Napoli, espletava entrambi i giudii, fulminando le convenienti pene agli autori di tale colpa, le quali per altro furono dalla solita clemenza del Re ammansite.

Né si mancava di pubblicare tutte quelle disposizioni, che meglio e tostamente potessero alleviare i malanni, che erano il triste retaggio della ribellione,

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e far rinverdire il regno, e segnatamente la cotanto addolorata Sicilia smunta di danajo, grondante di sangue, e per crudeli memorie, e crudelissimi fatti trista.

Veniva fuori un decreto inteso a garentire opportunamente l'esercizio del dritto della stampa e reprimere il disordine e la licenza dei giornali e delle scritture volanti provvenienti dall'Estero, o stampate nel Regno. Disciolte le guardie nazionali di tutti i comuni. Abolite le commissioni provvisorie di pubblica istruzione stabilite nel 1848, ed in vece istituito un Consiglio Generale di pubblica istruzione, e fermato che gli Arcivescovi ed i Vescovi fossero gl'ispettori dei collegi, dei licei, o di ogni altra scuola d'insegnamento per tutto ciò che ragguarda la parte religiosa e morale tanto scientifica, quanto disciplinare. Instituito un Ministro Segretario di Stato per gli affari di Sicilia residente presso il Re. Aboliti i dazi comunali imposti in Sicilia in supplemento a quello sul macino, il quale fu riattivato con ordini ed istruzioni opportune. Ordinato, che Sicilia si avesse per sempre un' amministrazione civile, giudiziaria, finanziera, e degli affari ecclesiastici, separata e distinta da quella di Napoli; che continuasse a contribuire nella proporzione del quarto a' pesi comuni riguardanti la Casa Reale, gli Affari Esteri, e della Guerra e Marina; che siffatta amministrazione venisse confidata, quando il Re non risiede nell'isola, ad un Luogotenente Generale, che sarebbe un Principe Reale, o un personaggio distinto, avente presso di se un Consiglio composto di un Ministro Segretario di Stato, e di tre o più Direttori per gli affari di grazia e giustizia, ecclesiastici, dello interno, della polizia, e della finanza. Instituita inoltre in Palermo una Consulta formata da un Presidente, e da sette Consultori, con altri impiegati; la quale per regia commissione, e nei limiti delle prescritte attribuzioni potesse portare discussioni ed emetter pareri su di determinati oggetti.

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Decretato di usare nuovi bulli per le dogane di Sicilia, e fermata la esazione del dazio di esportazione sui siciliani zolfi allo stesso modo che fu prescritto in

Richiamata in vigore la legge del Gennajo 1820 sulla carta bollata, e su i dritti di bollo; ma con dilucidazioni e modifiche; aboliti i banchi frumentarii liberi, ossia gli antichi regii caricatori di Girgenti, Sciacca, Lirata, Terranova, Termini e Catania, si perché inutili per lo progressivo abbandono fattone dai proprietarii, e sì perché lo stato attuale della Tesoreria punto non consentiva una spesa totalmente inutile; ed altrimenti provveduto alla siciliana finanza per riparare al gravissimo deficit cagionato dai mali «derivati (son parole del decreto) dalla sconsigliata, ed infedele amministrazione, non che dalle tante dilapidazioni verificatesi nel tempo dei passati luttuosi avvenimenti, durante il quale le pubbliche casse furono del tutto espoliate, la fede dei banchi violata con essersi sottratto e consumato il numerario raccoltovi di conto dello Stato, delle amministrazioni, delle varie corporazioni, degli stabilimenti diversi, e dei privati, i depositi giudiziari involati; il debito pubblico non pagato, gli stabilimenti di pietà e di beneficenza abbandonati, e privati de' loro assegni; i comuni depauperati; gli edifici pubblici in gran parte distrutti, la manutenzione dei porti, delle strade, dei ponti totalmente negletta, ed ogni altra maniera di spese pubbliche affatto obbliata».

Decretato, che i debiti della Tesoreria generale di Sicilia compresi quelli verso la Tesoreria generale di Napoli, la real Cassa di sconto, e il Banco delle Due Sicilie, fossero consolidati, e costituissero un ammontare di circa venti milioni di ducati.

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Che venisse instituito un Gran Libro del debito pubblico, nel quale fossero inscritte le rendite al 5 per 100 alla pari, rilasciandosi ai creditori i relativi estratti d'iscrizione o certificati coi quali si potrebbe riscuoter la rendita semestralmente, o nego

Utili disposizioni venivano pubblicate in Napoli, ed estese di là dal Faro intorno all'importante punto dei maestri che si addicono allo insegnamento delle scienze e delle arti; ed alla collazione dei gradi accademici per coloro, che per adempiere pubblici uffici sono obbligati di fare sperimento del loro sapere, e prendere il con vendite diploma. Modificato opportunamente l'organico della Regia Università degli Studii di Napoli.

Veniva opportunamente prescritto il modo di riordinare il servizio de' lavori pubblici, e delle acque e foreste in Sicilia, la cui tutela era riportata al dipartimento dello interno di quel Ministero, il quale dovea avere sotto la sua dipendenza la Commessione, de' pubblici lavori e delle acque e foreste, appositamente istituita con speciali istruzioni ed incumbenze. Erano inoltre stabiliti gli uffici delle deputazioni provinciali e locali; il numero delle ispezioni alle quali tutto il servizio si riducea; i soldi, i doveri e tutto ciò che riguardava il personale ed il resto dell'importante ramo dei lavori pubblici e della acque e foreste.

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Impertanto in mezzo a questo incesso del Governo, il quale era diretto a restaurare il nostro sociale ordinamento, e a distruggere quella costituzione che avea dato origine a tanti e sì gravi accidenti, non si preteriva di pubblicare in taluni giornali, e in varie stampe clandestine, e di andare rovesciando, che grave scan

1.° Il giuramento promissorio si scioglie allorché àvvi notevole cambiamento di materia, o in altri termini allorché la cosa promessa si è renduta fonte di danni; poiché se nel giuramento si chiama Dio in testimonio di ciò che si promette, Iddio non può consentire il male, la ingiustizia, il danno. Ora dalle cose narrate per lo innanzi si rileva pur troppo, che durante la costituzione avvenner danni incalcolabili alla morale, alla religione, alla società. Sangue civile qui e colà sparso; attentate onorevoli esistenze; dilapidate le proprietà; messi in periglio l'onore, e la vita dei cittadini; reso precario e tumultuoso il vivere; dottrine sovversive propalate; commercio ristretto e intorpidito; morale rilasciata; religione addentata; ed altri più gravi cose susseguite, le quali voltando in male la promessa, non poteano renderla stabile; poiché il bene dev'essere agognato e praticato dall'uomo, e tutto ciò che ad esso si attraversa non può non essere schivato.

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2.° In secondo luogo il giuramento rimane sciolto allorquando la cosa promessa non è accettata; e infatti se la obbligazione cade sur una data materia, non è chi non vegga che si discioglie tutte le volte che siffatta materia è rifiutata da colui in favore del quale riverbera.

Il Re avea giurato lo statuto del 10 Febbrajo; ed era obbligato a quella promessa; ora era naturale che ne rimanesse sciolto allorché quello statuto non si volle, ed in mille modi ed apertamente fu rifiatato. E infatti molti il rifiutarono perché non bastevole ai propri disegni; moltissimi no 'l vollero in prosieguo perché cagione di molti danni. Annullato adunque il giuramento costituzionale fu prescritto, che il giuramento da prestarsi dagl'impiegati dovesse essere secondo la formola precedente a quella dello statuto.

Intanto molto si scrisse contro i parlamenti, e le camere delle italiche terre, affine di sbarbicare compiutamente dagli animi ogni radice di novità; ma per evitare qualunque prevenzione avverso ai contemporanei scrittori, mi accontenterò di riportare talune parole del celebratissimo Carlo Botta, con le quali egli dà termine alla sua storia continuata dal Guicciardini.

» Io credo (così dice) che nelle provincie meridionali dell'Europa le assemblee popolari, pubbliche e numerose sono un cattivo sostegno per la libertà; perché danno troppo appicco alle ambizioni, agli scandali, ed alle sedizioni. Per me, non sono persuaso, che, perché vi sia libertà, sia necessario, che vi siano delle annuali chiacchiere in bigoncia. Veramente io mi maraviglio nel vedere e sentire, che non così tosto in una di quelle province sorgono lamenti ed anche rivoluzioni contro il governo, si proponga di ricorrere, o si dia mano effettualmente a questa triaca delle assemblee popolari e numerose e pubbliche. Mi maraviglierei ancora più, in ciò vedendo e sentendo, se non sapessi,

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che troppo spesso nello stato attuale dei costumi d'Europa, non l'amore della libertà, ma l'ambizione, cioè l'appetire smoderatamente la potenza, gli onori e l'oro, fa gridare, e che le assemblee numerose, massime se pubbliche sono, teatro sono

E qui il solenne storico dopo di avere accennato i danni prodotti dalle assemblee popolari in Francia, nella Spagna, nel Portogallo, e nell'America meridionale, così prosegue a dire «Buone, anzi ottime furono le riforme (1) desiderate dai generosi spiriti d'Italia, più o meno eseguite dai principi, nella parte amministrativa e giudiziale dello stato; ma pessime sarebbero quelle, che alcuni vorrebbono fare nella parte politica con introdurre, come uno degli elementi sovrani, le assemblee popolari, pubbliche e numerose. Se poi a queste assemblee fia congiunta una libertà larga di stampa, l'elemento democratico come un fiume furibondo, e senza freno, porterà via tutto con se, e nissuna forma di governo sarà più possibile. Le democrazie antiche di Grecia e di Roma non erano tanto pericolose, perché non avevano con se quella terribil fiaccola, quel tizzone sempre acceso della stampa. La democrazia pura, che è la testa, ha per ventre la tirannia, per coda il dispotismo; «chi crede di poter cambiare queste cose, che sono nella natura, è matto.»

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» Vedano adunque gl'Italiani, se quando o per volontà dei loro principi, o per altro caso qualsivoglia sali; Egli scriveva tali cose Dell'Ottobre del 1830.

ranno chiamati a qualche sociale riforma, dovranno ricorrere, e mettere il capo, per istabilire la libertà, ad un mezzo, che la esperienza condanna. L'errore sarebbe inescusabile, lo sperimento fuoesto, poscia che il passato contro il futuro grida. Ciò dico appunto, perché sono amico di libertà; imperciocché sono con tutta certezza persuaso, che nelle condizioni presenti, e nei paesi, di cui si tratta, le accennate assemblee sono stromenti di tirannide, non di libertà (1).» Intanto a compiere le mire del Governo grandemente contribuivano le popolazioni, le quali, oggimai sciolte da ogni ritegno che teneane inceppata la volontà, instavano presso del Sovrano affinché fosse compiutamente abolita la costituzione, contro la quale si era fatto non breve e non grato sperimento per opera (vedi singolarità.') di quei medesimi che si erano affaticati a darle nascimento e vigore, ed ai quali incombeva che progredisse. Troppo eloquente frutto della divina Provvidenza è questo, poiché Ella sovente si serve nella distruzione del male di quelle stesse braccia che ad edificarlo ed aggrandirlo potentemente si adoperarono. Il popolo corse al nuovo annunzio, perché le novità scuotono gli animi, ma della sua precipitosa credenza si ritrasse, e fece ammenda....

Per tal modo la nave dello stato, dopo vario e periglioso tempellare, rientrava nel porto della Monarchia da cui le insidie e le condanne voli passioni di una balda, e ribollente casta l'aveano balestrata; e si riposava in quella calma fuori della quale ogni civile progresso è vano. Che se la storia è la maestra delle genti, poiché mostrando i vizi e le virtù, addita le vie da seguire o da schivare; io mi affido,

(1) Botta. Storia d'Italia continuata da quella del Guicciardini sino al 1782. Libro 50.

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che le cose narrate in queste pagine non siano perdute pei presentì e per gli avvenire; poiché troppo grave dolore mi squarcerebbe il cuore, ove dovessi menomamente suspicare lopposto; ed io posando ormai la mia stanca penna, non altro agogno, che la società non si rimanga dal considerare, e ritenere, che la pace è un gran bene per allietare la umana vita, o almeno per disgravarla da quell'anno affannoso fardello che pur troppo la preme; e che le ribellioni son ferali calamità, al cui paragone le furie dei vulcani, gli orrori dei tremuoti, le stragi delle pestilenze non reggono; poiché nelle naturali calamità, in mezzo all'universale dolore gli uomini si stringono via maggiormente in quel fratellevole affetto, che grandemente onora l'umanità; mentre nelle civili calamità la umana famiglia si strazia, si lacera, insanguina con le proprie mani, e sovente i legami più dolci di sangue, e i più sacri affetti si disciolgono e si sperdono, sì che l'uomo decade dalla sua altezza, si dilunga assaissimo dal fine assegnatogli da Dio, e non altro diventa che insensata belva di ogni obbrobrio degna.


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INDICE

DEI SOMMARI

DEL LIBRO III.

CAP. I. - PRINCIPI DELLA RISTAURAZIONE.

SOMMARIO- Il Real Governo intende con Termo proposito a perseguitare la rivolta, e ristaurare il regno. Pensieri varii intorno alla catastrofe di Maggio. Disposizioni governative intese a ricondurre l'ordine nella disordinata Città. Nota del Principe di Cariati al Conte di Rignon pel richiamo delle milizie terrestri e navali spedite per la guerra di Lombardia. Gesta memorabili del Decimo Reggimento di Linea. Breve descrizione dei luoghi in cui avvennero. Congiunzione dei Napolitani con gli altri Italiani. Il ponte di Goito. Fatto d'anni di S. Silvestro. Bello ardimento dei Napolitani in Marmirolo. Gli Alemanni scacciati dalle Grazie. Gl'Italiani assaliti in Montanara, mandano a vuoto i disegni con estremo valore. Il Feld Maresciallo Radetzky con un gagliardo corpo di annata si avventa furiosamente contro Montanara; combattimenti che vi succedono. I Napolitani, guidati dal prode Giovannetti, sfondano la linea nemica in mezzo ad una impetuosa guerra. I Tedeschi padroni del campo. Battaglia di Goito vinta dagl'Italiani. Giungono in Bologna gli ordini del rimpatrio dei Napolitani; e divulgati appena vi nasce un rumore incredibile. Cosa facesse il General Pepe. Il Brigadiere Klein mantiene gli animi nella fede del Re. L'esercito si ritira nel Regno. La Flotta rientra nei nostri porti lasciando l'Adriatico, dopo tolto il blocco a Venezia, e bloccata Trieste pag.

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CAP. II. - INSURREZIONE DI CALABRIA.

SOMMARIO - I perturbatori di Montoliveto vanno a trapiantare ingrati semi nelle Calabrie. Cosa facessero i liberali Calabresi dopo conosciuti i casi di Maggio. La rivolta progredisce per lo arrivo di taluni Deputati svignati da Napoli. Giungono in Cosenza Ricciardi e Mileti; l'agitazione al colmo. Istituzione di un Comitato diviso in quattro Dicasteri. Apparecchio di molti armati. Disposizioni ed intemperanze varie. Due fatti tragici in Cassano ed in Rossano. Arrivano nelle acque di Paola Ire Vapori da guerra, e cosa ri succedesse. Sbarco dei Siciliani in Paola. Si organizza l'esercito Calabro-Siculo ai cenni del Ribotti, e poscia ai prestabiliti disegni s'incammina. Breve descrizione dei luoghi in cui si preparavano le insidie e la pugna. Campotenese é fortificato. Un campo è messo in Spezzano-Albanese, un' altro nei dintorni di Filadelfia. Il Governo manda tre colonne sulla ribellata regione pag. 25

CAP. III. -RIORDINAMENTO DELLE CALABRIE.

SOMMARIO - Si appressa il termine del calabrese rivolgimento, e perché. I Generali Busacca, Lanza, e Nunziante arrivano in vario tempo, in varii luoghi, e con varie schiere in Calabria. Proclami del General Nunziante, e risposta dei liberali. Tornate indarno le trattative di pace, si viene allo sperimento delle armi. Il General Busacca tenta il campo di Spezzano-Albanese, e tosto si riduce nella minacciata Castrovillari. Combattimenti attorno a questa città. Pensieri di Busacca, perché non eseguiti. Il Generale Lanza scaccia gl'insorti dalla valle di S. Martino, e da Campotanese; poscia si congiunge col General Busacca. Accuse ed ire scambievoli fra i Capi dei liberali per le toccate disfatte. Ribotti riferisce al siciliano ministero la sfreni ita dei casi, e chiede ritirarsi. Inutili industrie per soffermare le ruine della rivolta. Il Comitato abbandona il suo seggio di Cosenza. Le milizie tolgono le stanze in questa città. 11 General Nunziante spinge le sue schiere contro i ribelli. Fiero combattimento in Campolongo. Casi miserandi di Filadelfia e del Pizzo. Altre operazioni del General Nunziante. Ribotti fugge coi suoi per Corfù. Il Vapore lo Stromboli va in caccia dei fuggitivi, e li cattura. Estreme venture dei Capi del calabrese rivolgimento. Ultimi tentativi di rivolta pag. 34

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CAP IV. - IL PARLAMENTO NAPOLITANO.

SOMMARIO - Il Governo, posata la ribellione, intende l'animo all'apertura del Parlamento. Procedere vario intorno alla elezione dei Deputati. Per le mene degli anarchisti il di della inaugurazione delle Camere si appressa fosco e minaccioso. Un regio Delegato apre il Parlamento con apposito discorso in nome del Re. I Pari e i Deputati incominciano a riunirsi. Interpellazione di un Deputato sul conto del Generale Nunziante. Risposta che gli fa il Ministro dell'Interno. Lagnanze che ne mena il Generale in un suo rapporto. Cattivi umori che ne sorgono. Indrizzo alla Corona non accettato, e perché. Il Sovrano proroga la sessione delle Camere. Inutili tentativi di concitamene pag. 63

CAP. V.- ANTECEDENTI DELLA SPEDIZIONE MESSINESE.

SOMMARIO -Le Camere Siciliane, compiuto lo statuto fondamentale del nuovo regno, onorano in siugolar modo Ruggiero Settimo, e proclamano il Duca di Genova a loro Re. Delirii e Feste. Ferdinando II pubblica una protesta contro il nuovo atto. Uria Deputazione si porta ad offrire al Sabaudo Principe la sicula corona; la quale vien rifiutata. In Napoli si prepara una spedizione contro la sconvolta Sicilia. Come nel parlamento brittannico si condannasse la condotta di taluni Inglesi nelle sicule vertenze. Giustificazioni del Ministro Lansdowne. Discorso vibrato di Disraeli. Il napolitano governo partecipa ai Ministri Esteri le sue mosse guerriere sulla Sicilia. L'incaricato della Repubblica Francese s'industria di opporrsi con una nota. Lord Napier fa lo stesso. Il Principe di Cariati non risponde. La Russia minaccia contro ogni intervento. La spedizione è in pronto pag. 79

CAP. VI. - SPEDIZIONE ED OCCUPAZIONE DI MESSINA.

SOMMARIO - Schizzo storico e topografico di Messina. I Siciliani, subodorate le regie mire, fortificano in mille guise con armi, uomini, e munimenti Messina ed altri luoghi. I Napolitani vanno alla messinese spedizione con valida armata terrestre e navale. Cenno biografico di Carlo Filangieri, Comandante supremo di quella guerra. Inutile proclama di pa

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Primo impeto dei Regii contro la batteria delle Moselle. Furioso bombardamento fra la Cittadella e i forti siciliani. Messina da vasto e furioso incendio divorata. Sbarco delle milizie nella sponda delle Moselle. Mire e partizione dei Regii. Combattimento, e fatti atroci in Contessa. Conquista di Campanarolungo. Caso orrendo nella divisione del Maresciallo Pronio. Il sopravvenire della notte sospende il combattimento. Tristo cumulo di miserie nel e Settembre. Schiusa appena l'alba del dì vegnente si riaccende la guerra. Inutili trattative di pace. Porta Zaera, e l'Ospizio di S. Clemente espugnati. Fiero combattimento della Maddalena. Le truppe vincono in tutte le posizioni, e conquistano la insanguinata e combusta città. Resa di Melazzo, del Vapore Vesuvio e di altri luoghi. La flotta si ancora nel porto, e la truppa si accaserma dentro la città. Lamentevole stato di Messina dopo la guerra. Morti e Feriti. Dolce ricordo di militare pietà. Provvedimenti varii pel riordinamento dell'addolorata Cini. Abbandono delle batterie di Torre di Faro. Mediazione Anglo-Francese. Sospensione delle ostilità pag. 92

CAP. VII. - IL PONTEFICE PIO IX A GAETA.

SOMMARIO - Duri casi d'Italia, e Segnatamente di Roma. Assassinio del Conte Rossi. Gravi circostanze di Pio IX, il quale protesta innanzi al Corpo Diplomatico, e dopo non guari abbandona colatamente la sconvolta Città, e ripara in Gaeta. Cenno descrittivo e storico di Gaeta. Il religioso Ferdinando D, conosciuto appena l'arrivo del Pontefice, corre a prestargli omaggio, e fa provvedere di ogni maniera di commodità la pontificia dimora. Pio IX con ineffabile bontà accoglie tutti. Memorabili parole dette al Ministero di Stato, e al Consiglio di Stato Napoletani. Ricordevole preghiera indritta all'Altissimo. Interpetrazioni maligne della pontificia fuga. Pietoso desiderio di varie nazioni. Il Pontefice pubblica una protesta contro i suoi sudditi ribelli, e nomina una Commissione Governativa. Fraudolento invito dei Romani. Seconda protesta del S. Padre. Sorge la Costituente in Roma, Pio IX protesta, ella va innanzi, e dichiara decaduto il Papato. Solenne protesta orale del Sommo Pontefice; e richiesta di un intervento armato per domare la ribelle Consorteria. Arrivo di Leopoldo II a Gaeta pag. 137

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CAP. VILI. - RIAPERTURA DEL PARLAMENTO NAPOLITANO.

SOMMARIO - Le Camere son prorogate per la seconda volta, e perché; infine sopraggiunto il prefisso tempo sono aperte. Il Ministero per diverse e contrarie vie urtato, e riurtato. I Deputati dietro gagliarde e prolungate discussioni vanno scopertamente ai danni di quello con un indirizzo al Re. Quanto fosse imprudente un tal procedere. Il Ministero si tien sald'in mezzo alle tempeste, e con un memorando rapporto al Sovrano, difende se, dipinge a minuto le improntitudini, le sregolatezze, e gli eccessi della Camera dei Deputati e ne domanda la chiusura. Il Re con un decreto scioglie la turbolenta tribuna, né più di lei si cale... pag. 159

CAP. IX. - SPEDIZIONE DI CATANIA.

SOMMARIO - Le ingannevoli negoziazioni di pace, ricuoprono apparecchi ostili in Sicilia. Ultimato venuto da Londra sulle Sicule vertenze, contro il quale nobilmente protesta il Principe di Cariati. Magnanima condotta del Re. Ultime concessioni regie portate in Palermo dai Mediatori Inglesi e Francesi; e messe a conoscenza del Siciliano Ministero con una nota di Baudin. I Palermitani rifiutano la pace, e voglion guerra, e guerra hanno. Preparativi nimichevoli del Napolitano Governo. Arrivo, e proclami del General Filangieri in Messina; e voci e credenze che vi sorgono. Cominciano le militari mosse. Sei fregate a vapore cariche di truppe accennano a Cefalù, fingendo uno sbarco. Il resto dell'esercito volge i passi per la via che mena a Catania. Il General Zola combatte in Ali. I Siciliani scacciati da S. Alessio. Le reali milizie espugnano la forte Taormina; si menano innanzi. Apparecchi fatti in Catania, e cenno storico di questa Città. AciReale, e molti altri paesi tranquillamente si arrendono, e dichiaran sensi benigni. Le fregate a vapore si defilano per le acque di Catania, e le catanesi batterie tuonano ai loro danni. Furiosa battaglia di Catania, vinta dai Regii pag. 172

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CAP. X. - FINE DELLA CONQUISTA DI SICILIA.

SOMMARIO - Filangieri spinge sue armi al compimento della impresa. Dedizione di Augusta e di Siracusa. 11 General Nunziante parte per Adernb, e il Brigadiere Zola per Caltagirone; il Duce Supremo li segue. Tutti i paesi per mezzo di deputazioni si sottomettono. Le truppe entrano nella festante Caltanissetta, dove affluiscono altre deputazioni, e segnatamente quella di Palermo. Sensi che Filangieri esprime all'armata terrestre e navale. Come si avvicinano le milizie in Palermo vi nasce tumulto indicibile, e perché. S'implora e si fa sperare un' amnistia, il cui casuale ritardo sveglia le ire, e i tumulti. Le ribollenti squadre escono ad affrontare i regii in VillaAbbate, e Mezzagno; combattono, e vanno in rotta. Infine si calmano gli animi con la pubblicazione dell'amnistia. Proclama del Comandante in Capo. l'esercito entra in Palermo, e si accaserma in varii luoghi. Filangieri applica l'animo al riordinamento dell'Isola, e precise della sua Capitale. Premii e decorazioni largite dal Re all'armata conquistatrice pag. 199

CAP. XI. - I NAPOLETANI NELLO STATO PONTIFICIO.

SOMMARIO - Fermato l'intervento straniero a favore del Pontefice, sbarca a Civitavecchia un' armata francese ai cenni del Generale Oudinot, che emette un proclama, e spinge varie schiere intorno a Roma, le quali sono da inatteso urto percosse. Re Ferdinando D si muove con le sue truppe per lo Stato Pontificio; stabilisce il quartiere generale in Albano; si mette in corrispondenza col francese Duce. Garibaldi esce da Roma ai danni dei Napolitani, il Re manda i Generali Winspeare e Lanza a contrastarlo. Fatti d'arme di Valmontone, Monteporzio, e Montecomprato. Assalto di Palestrina. Garibaldi si allontana dai Napolitani. I Francesi danno in una seconda fraudo. Il Re fa avanzare le sue genti a Frascati; e spedisce la brigata Winspeare per Zagarolo e Palestrina. I Francesi si ritirano dall'accordo fermato. Quanto fosse irregolare un tal procedere. I repubblicani di Roma, in gran numero e con gran furore tornano ai danni dei Regii.

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Il Re, dopo pubblicata una nobile protesta, ordina la ritirata delle sue schiere; le quali pernottano a Velletri. Cenno storico di questa Città. I Garibaldesi raggiungono i Regii a Velletri. Primo scontro che vi succedè, in cui quelli son fugati. 11 Re dispone variamente le sue armi, rende fortissima la sua posizione, combatte, e vince. Nei giorni seguenti prosegue con calma, e compie la sua ritirata. La napolitana frontiera, brevemente noiata da Garibaldi, vien guardata da milizie napolitana, spagnuole, ed alemanne, le quali scacciano dapertutto le repubblicane torme, e v'istaurano il governo pontificio pag. 211

CAP. XII. - PIO IX A PORTICI.

SOMMARIO - Universali mine della ribellione. Pio IX si tramuta da Gaeta a Portici. Particolari del viaggio. Sua prima venula in Napoli, e ricordevoli parole dette al napolitano clero. Il Corpo Diplomatico si reca a Portici da Sua Santità, e poscia a Napoli dal Re. Benedizioni del Pontefice date dalla Reggia al popolo, ed all'armata. Inutili tentativi di soqquadro. Pio IX visita molte Chiese, Stabilimenti, Monasteri, e lascia dovunque memorie indelebili della sua bontà. Sua gita a Nocera di Pagani, a Salerno,a Caserta,a Pompei, a Castellamare, a Sorrento, ad Ercolano, a Benevento, a Mugnano del Cardinale, a Nola, ai Ponti della Valle. Pio IX passa le natalizie feste in Caserta; continua la visita delle napolitane Chiese, e Monasteri. Il Cardinale Antonelli annunzia al Corpo Diplomatico con una nota il vicino rimpatrio del Sommo Pontefice. Medaglia ed ordini cavallereschi pontificii donati all'armata. Divulgata la partenza del Santo Padre accorrono in Portici i più notevoli personaggi, e corpi morali. Benigne parole dette al clero di Resina. Viaggio di Pio IX. Solenni parole profferite nello accomiatarsi dal Re, che avealo accompagnato sino al napolitano confine. Esultanze e feste nello Stato Pontificio pag. 228

CAP. XIII. - COMPIMENTO DELLA RISTAURAZIONE.

SOMMARIO - Il Napolitano Governo progredisce sempreppiù nel suo proposito, e compie la restaurazione. Opportune disposizioni intorno alla pubblica istruzione. Determinata per Sicilia un'amministrazione civile, giudiziaria, finanziera, e degli affari ecclesiastici separata da Napoli.

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Viene stabilita una consulta in Palermo. Provvidenze varie per la siciliana finanza, ed istituzione di un Gran Libro del debito pubblico. Riordinamento del ramo dei lavori pubblici e delle acque e foreste. In qual modo il giuramento prestato alla Costituzione fosse divenuto nullo nei suoi effetti. Si riprende l'antica formola di giurare. Solenni parole di Carlo Botta contro i Governi rappresentativi. Le popolazioni supplicano il Re per l'abolizione della Costituzione. Conclusione pag. 247

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CONSIGLIO GENERALE

DI

PUBBLICA ISTRUZIONE

RIP. CAR.

N.° 86.

O G G E T T O

Napoli 12 Febbrajo .

Vista la domanda del Tipografo Angelo della Croce il quale à chiesto di proseguire l'opera intitolata - Storia di Ferdinando lì. Re del Regno delle Due Sicilie dal al per Giovanni Pagano.

Visto il parere del Regio Revisore R.° Sig. D. Carlo Viola.

Si permette che la suddetta opera si continui a stampare ma però non si pubblichi senza un secondo permesso che non si darà se prima lo stesso Revisore non avrà attestato d'aver riconosciuto nel confronto esser l'impressione uniforme all'originale approvato.

Il Presidente

FRANCESCO SAVERIO APUZZO.

Il Segretario

Giuseppe Pietrocola.





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