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Due Sicilie
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Sviluppo, modernizzazione e progresso

di Antonio Orlando

Siderno, 2 Maggio 2007

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La complessa e lunga Relazione del prefetto De Sena è finalizzata, come già detto più volte, ad analizzare l’attuale stato di disgregazione della società calabrese per poter formulare una convincente e credibile azione d’intervento che, completata prima la repressione ed il contrasto, possa poi passare “…ad una fase di aggiornamento amministrativo e, quindi, a ricostruire il rapporto pubblico-privato…”. Successivamente “dalla sicurezza per lo sviluppo” sarà così possibile avviarsi verso la “sicurezza dello sviluppo.”

La nostra regione è afflitta, come tutti sanno e com’è, purtroppo, evidente, dalla ndrangheta dalla cui sola presenza, quasi a cascata, deriverebbero, come conseguenza diretta, una serie di mali minori quali la illegalità diffusa, la violenza generalizzata, l’abusivismo, l’incapacità di fare sistema da parte della Amministrazione Pubblica, l’emulazione di comportamenti di stampo mafioso, il menefreghismo e il disinteresse. Mali e difetti che si cumulano con l’invadenza della criminalità e contagiano l’intera società calabrese. In poche parole tutto questo viene spesso e da più parti, sbrigativamente, denominato “anarchia”. Si potrebbe dire, e non vuol essere, malgrado l’apparenza, una battuta, che l’anarchia è sicuramente meglio del malgoverno, ma non è questo il punto. Vedremo che non si tratta né di anarchia né di malgoverno, bensì di un assetto istituzionale perfettamente confacente alla forma attuale di Stato che, con molto arbitrio e senza alcuna originalità, potremmo denominare “democrazia avanzata a capitalismo oligopolistico”. Non è che questi mali non esistano o siano da sottovalutare, ma quel che non appare del tutto convincente è la costruzione e l’elaborazione artificiosa di una rete di “antivalori”, come li denomina il Prefetto, che da un lato dovrebbe spiegare di per se le contraddizioni della società calabrese e, dall’altro, dovrebbe assurgere a modello negativo facilmente individuabile grazie all’evidenziazione di elementi negativi.

Un sistema di valori, se vogliamo usare la terminologia della Relazione, fa riferimento ad un quadro etico costituito da norme e fini universali, perfettamente condivisi o, in ogni caso, condivisibili, come “oggetti” autonomi ed indipendenti anche dal campo della stessa realtà in quanto meramente esistenti attraverso la loro affermazione incontrastata. L’ordine dei valori umani si costruisce, dunque, su un piano metafisico e si presenta più come tendenza che come realizzazione in atto. Allora non si può da questo quadro ricavare una categoria - “gli anti-valori” – intesa come sistema contrapposto, quasi una dottrina, di altri “beni” applicata ad una realtà, anzi ad una comunità.

In tal caso si tratta di un’operazione condotta su due piani distinti, uno metafisico e l’altro reale, che, all’improvviso e per esigenze del tutto materiali e contingenti, vengono sovrapposti prima ed allineati in un secondo momento. L’insieme di queste norme comportamentali, culturali e sociali possono essere denominati “modelli culturali ideali” e possono, proprio perché derivano dal mondo reale, entrare in conflitto con il quadro dei valori etici dominante. Tutt’al più quelli che il Prefetto chiama “…antivalori che negano il rispetto della vita umana e privilegiano la prevaricazione , morale o fisica, come strumento di affermazione delle proprie ragioni”…, sono da considerare e, quindi, da valutare come “pseudo-valori” o meglio come dei modelli culturali adattati alla realtà calabrese.

La scala dei modelli culturali è ampia e comprende modelli di tipo televisivo (cioè di pura immagine), tecnologico, comportamentale, consumistico, edonistico e materialistico. Nel momento in cui esprimiamo un giudizio di positività o negatività, tutti noi non facciamo altro che esprimere un giudizio di valore, che carichiamo di ulteriori valenze allorquando parliamo di “modelli distorti” o di percezione asimmetrica della cultura (da intendere in senso lato) o di modernizzazione perversa.

La Calabria, per riprendere la citazione dell’Economist, riportata nella Relazione De Sena, non è “terra senza legge”, non è un moderno Far West dominato da bande rivali e contrapposte, non è neppure la società del caos o dell’anarchia, intesa come terra di nessuno retta dall’arbitrio assoluto.

Continuare a definire il disordine, l’illegalità e la sistematica violazione delle norme come anarchia può essere giornalisticamente e televisivamente parlando di sicuro effetto, però è senz’altro, oltre che falso, assolutamente controproducente. L’anarchia è stato ed è un movimento politico con specifiche caratteristiche, portatore di tendenze ed ideali da non liquidare frettolosamente e superficialmente come terrorismo, bombe, omicidi e rapine. Del resto un qualsiasi imbecille può, sul piano politico, giustificare a posteriori qualunque gesto inconsulto autoproclamandosi anarchico, tanto non ci sarà nessuno che potrà smentirlo. Si racconta che una volta il rettore dell’Università di Montevideo, in Uruguay; nei primi anni cinquanta, convocò la prof.ssa Luce Fabbri, docente di letteratura italiana, scrittrice e direttore di una nota rivista politica. Il rettore voleva parlare con questa docente che non si assentava mai, che faceva lezione anche oltre l’orario di servizio, che non aveva mai saltato una sessione di esami e che, manco a dirlo, gli studenti adoravano. Chiese a Luce, scherzosamente, se avesse scoperto qualche formula segreta per lavorare con tanta serenità e con tanta passione e lei rispose: “sono anarchica e lo era anche mio padre”.

L’anarchismo è una cosa seria e non un termine da adoperare a buon mercato quando non siamo in grado di comprendere la situazione di una società; tanto per intenderci non è e non va usato come sinonimo di “casino” come fanno molti giovani senza neanche conoscere il reale significato della parola. Al contrario per designare correttamente la situazione calabrese esiste un termine ben preciso, denso di significato e carico di senso compiuto, è la parola “anomia”. L’anomia indica una situazione in cui le norme che regolano una società appaiono oggettivamente inadeguate a svolgere la loro funzione oppure cessano di essere espressione di un valore reale e perdono quindi di efficacia. Questo termine non esprime necessariamente un’assenza o una carenza normativa di carattere propriamente giuridico perché esso viene riferito al più ampio ambito della regolamentazione di tutti i comportamenti umani, sia sociali che culturali. In questo modo si possono riportare dentro lo stesso concetto due differenti situazioni, sia quella individuale che quella collettiva. Da un lato, infatti, anomia sta ad indicare uno stato di mancata o insufficiente regolazione di determinati settori della vita pubblica e collettiva, dall’altro identifica la particolare condizione dell’individuo che, per molteplici ragioni, non ha o non è riuscito ad interiorizzare le regole sociali. La criminalità organizzata e tutte gli altri fenomeni di devianza costituiscono un aspetto della situazione anomica, ma non esauriscono l’intera forma. Le dinamiche sociali possono accelerare la disgregazione e creano squilibrio all’interno della struttura culturale per cui i singoli tendono a valorizzare eccessivamente obiettivi, di per se legittimi, quali la ricchezza, il successo, etc. a scapito dei mezzi stabiliti (o concessi o a messi a disposizione) dalle istituzioni per raggiungerli. In altri termini vengono scelti gli strumenti ed i procedimenti tecnicamente più efficaci e ritenuti più idonei per raggiungere lo scopo, anche se tali mezzi determinano una sorta di corto circuito tra società civile ed istituzioni pubbliche, cioè illegalità. La sistematica violazione delle norme non riguarda soltanto il sistema del diritto positivo, ma si espande a tutte quelle presenti e diffuse all’interno del tessuto sociale sotto forma di condizionamento etico, morale, religioso, culturale o anche solo consuetudinario. La violazione del diritto, dell’apparato giuridico, del sistema normativo è il primo livello del conflitto perché ad un livello più elevato e, se si vuole, più sofisticato, anomia può anche significare riuscire a piegare la legge a proprio piacimento e a tutela dei propri egoistici interessi. L’anomia, dunque, scaturisce non come mero effetto indotto da vuoti legislativi statali o da errori di valutazione, ma più precisamente da una diffusa, complessiva ed accettata situazione sociale di incertezza valutativa. I valori condivisi e condivisibili, anche per semplice acquiescenza, vengono meno e non è detto che debbano necessariamente sviluppare un corrispettivo quadro di “disvalori”. L’anomia si presenta come una frattura della società ed a subire i contraccolpi più pesanti saranno proprio coloro che, pur avendo interiorizzato finalità e modelli tipici delle classi dominanti, non avranno alcuna possibilità di vederli soddisfatti o realizzati.

Questi soggetti reagiranno in modo differenziato e porranno in essere azioni di difesa o di aggressione a seconda delle proprie capacità e possibilità. A questo punto le devianze, compresa quella criminale e a maggior ragione quella mafiosa, risulterà un adattamento conseguente alla situazione anomica.

Un particolare aspetto della nostra anomia è la (presunta) modernizzazione della Calabria, realizzatasi in maniera molto più squilibrata rispetto a tutte le altre regioni meridionali.

Il mutamento, il cambiamento e le trasformazioni ci sono stati, si sono verificati, in alcuni settori e in alcune aree sono stati anche molto profondi e molto radicali e non ammetterlo vuol dire continuare a pensare al calabrese con la coppola storta ed alla sua donna che indossa sette gonne.

I giovani si sono appropriati delle tecnologie, di tutte le tecnologie e sono riusciti a rompere l’isolamento inserendosi senza remore e senza pregiudizi nella vastissima comunità dei telefonini, di Internet e di quell’universo che chiamiamo società moderna..

L’idea di modernizzazione è, però, strettamente correlata al concetto di sviluppo economico, che rappresenta un processo di ampi mutamenti e di straordinario accrescimento delle capacità produttive, sia dal punto di vista tecnico che organizzativo. La crescita economica consente alla popolazione, direttamente o indirettamente, di usufruire di una quantità di beni e di servizi di gran lunga superiore rispetto a quella disponibile in passato e tutti ciò influisce in maniera determinante sulle strutture, sulle istituzioni economiche e sociali, sui modi di pensare, sugli stili di vita, sui comportamenti, sulle aspettative, in una parola sui “modelli culturali” . La dimensione sociale della modernizzazione calabrese si è manifestata in modo contraddittorio, ha preso scorciatoie impervie, si è adattata a fenomeni ed a tendenze di vasto respiro (tipo l’emigrazione o il calo demografico), ha spesso adoperato strumenti vecchi in un contesto nuovo (la violenza criminale elevata ad industria) ed ha costruito un quadro sociale eterogeneo, pluralistico e disarticolato. Una modernizzazione senza progresso che adesso non deve diventare uno sviluppo senza industrializzazione.







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