L'unita d'Italia e una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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L'indipendenza italiana

di Nicola Zitara

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Siderno, 8 Maggio 2004

L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia. La bugia è che, tranne il Piemonte, il resto del paese fosse sotto lo straniero.

La verità è uguale all'esatto contrario. Il più straniero dei re italiani era proprio il Savoia. Basti dire che il famoso Statuto concesso da Carlo Alberto fu redatto in francese perché i giuristi piemontesi non conoscevano l'italiano. Chi ha fatto il liceo ricorda anche che Vittorio Alfieri, che non sapeva l'italiano come tutti i nobili piemontesi, si fece legare a una sedia per impararlo.

Comunque piemontesi, valdostani e savojardi avevano un governo nazionale perché anche loro erano francesi, o quasi.

Era invece un'autentica colonia piemontese la Liguria, regione di lingua e di cultura italiana. La dominazione piemontese fu, per la Liguria, molto peggio di quelle austriaca e francese. Chi ha letto una biografia di Mazzini (morto in Italia sotto falso nome, in quanto condannato a morte dal re piemontese) sa che la ribellione del grande genovese non nacque dall'avversione all'Austria ma dall'avversione al Piemonte-padrone.

Quanto la Sardegna amasse il padrone piemontese è superfluo raccontare. Per i sardi l'Italia è tuttora una bestia nera. Basti ricordare che il primo partito autonomista sorto in Italia è il Partito Sardo d'Azione, che risale a prima del fascismo.

Sotto lo straniero, nel caso l'Impero absburgico, erano la Lombardia e il Veneto. Non posso aggiungere l'avverbio soltanto perché le due regioni occupano una quota decisiva della storia degli italiani. Certo più i lombardi, di ascendenza romana, che i veneti, entrati in scena solo nel Medioevo. Però sarebbe quasi osceno dimenticare la parte sostenuta dalla Repubblica di San Marco durante il Medioevo e il Rinascimento toscopdano.

Il sentimento dei lombardoveneti verso l'Austria e, simmetricamente, verso il sovrano piemontese non fu univoco. Una parte contro l'Austria, una parte contro i Savoia. Il popolo di Milano fece le famose Cinque giornate, ma pigliò anche a calci Carlo Alberto che lo abbandonava alle ritorsioni austriache (come si vede la storia degli italiani infedeli ai patti sottoscritti è antica).

Straniera (austriaca, vedova di Napoleone) era la duchessa di Parma e Piacenza, ma parmigiani e piacentini pare fossero soddisfatti del governo straniero. Idem nel ducato di Modena, nonostante la confusione politica in cui versava la testa del sovrano.

Entusiasti del loro Granduca, in effetti italianizzatosi, erano i toscani. Era questi un re mite e moderno, e anche coraggioso nell'aprirsi ai ceti emergenti.
Italiano erano il papa e il papato. Che non fossero moderni è soltanto una favola. Le Romagne erano governate con saggezza, tolleranza e modernità. Era arretrato il Lazio, specialmente intorno a Roma, ma ciò era dovuto in parte al latifondo nobiliare (quello a est di Roma sopravvisse fino al fascismo) in parte alla scarsa popolazione della campagna laziale.

Se governo e re nazionali c'erano in Italia, questi stavano a Napoli. I Borbone non venivano tanto da un re di Spagna quanto da una regina italiana fino al midollo. Il secondo re della dinastia, Ferdinando IV (in appresso definitosi I delle Due Sicilie) era quasi un popolano, un lazzarone, un nasone nel dileggio dei vicoli. Certo era un re, e non un rivoluzionario come Marat o Lenin, ma un re infinitamente attaccato al suo popolo, quali mai sarebbero stati i re italiani venuti da Torino.

Alla conclusione della positiva (propriamente nazionale) esperienza borbonica sta Ferdinando II, il più illuminato, intelligente e nazionale uomo di Stato italiano della prima metà dell'Ottocento. Denigrarlo, come si fa nelle nostre università, significa avallare un falso storico per pigliarsi la paga del padrone.

Sopra ho detto Napoli, e non le Due Sicilie, perché i siciliani non avevano lo stesso appassionato sentimento di gratitudine verso il re dei napoletani. La Sicilia non ama i padroni stranieri. Le lunghe guerre tra cartaginesi e greci ne sono la prima testimonianza storica, la resistenza a Roma la seconda. A conoscere la storia nei dettagli si riempirebbero le pagine di molti volumi. Forse amarono Federico II, ma è anche verso che lui si fidava più dei saraceni che dei siciliani. Fecero il Vespro contro i francesi, ma finirono sulla brace spagnola. Al tempo del regno borbonico il disamore dei siciliani, più che al Borbone, andava ai napoletani.

Nicola Zitara


















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