L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Il moderno cabotaggio con le sponde afroasiatiche del Mediterrane

di Nicola Zitara

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Siderno, 27 Gennaio 2009

L'occasione del nostro impegno redazionale circa le autostrade del mare e la viabilità marina minore viene dall'esterno, e precisamente dalla duplice visita a Reggio Calabria della Commissaria europea alle Regioni. Per oltre venti anni l'Europa comunitaria ha secondato, al Sud, la logica unitaria e romana dello sperpero della spesa pubblica a sostegno del clientelismo politico. 

Sin dai tempi di Depretis e di Giolitti, e proseguendo per De Gasperi, per la Democrazia Cristiana, per il centrismo socialista e persino per i sindacati dei lavoratori,  la corruzione è stata alimentata per tenere legate al sistema padano una o più classi (a esclusione di altre che vengono represse) o ceti o caste meridionali e per mettere detta classe o ceto o casta in condizione di carpire il consenso dei cittadini (quantomeno quello elettorale cfr Salvemini). 

Ben altro che Costituzione repubblicana e democrazia! La corruzione pubblica  ha costituito lo statuto non scritto della nazione-una e indivisibile. E come ho detto, l'Europa è stata al gioco padano. Sin dalle sue origini postbelliche e degasperiane, l'Europa comunitaria ha guardato al Sud italiano come a una cava di manodopera a basso prezzo;  tutt'al più, e solo da una ventina d'anni in qua, come a uno sbocco commerciale. In effetti, per la sua posizione confinaria rispetto al Continente e per le sue radici culturali, il Sud appartiene all'Europa soltanto in sede di geografia fisica e tettonica (ma forse neppure questo è vero).  

Il Sud è un luogo del Mediterraneo, è dentro la sua storia fondatrice  della civiltà. Il paese  ha vissuto momenti di autentico fulgore commerciale e culturale (Archimede, Cassiodoro, Gioachino da Fiore, Federico II) in quelle fasi della storia in cui il Mediterraneo è stato al centro della civiltà (Hellade, Impero bizantino, apogeo dell'espansione araba) ed è caduto invece in dolorosa desolazione allorché il polo d'attrazione tecno-civile si è spostato nel Nordeuropa. 

Nel secondo arco temporale di depressione, dopo quella romana,  dobbiamo inserire la lunga colonizzazione  spagnola, in quanto qui mai arrivò la Spagna del popolo, ma soltanto la Spagna dei signori feudali, degli hidalgo, disinvolti e sussiegosi  divoratori di rendite fondiarie.         

Dopo la breve parentesi borbonica, con l'unità italiana la perifericità meridionale  è emersa nuovamente e si è dispiegata tragicamente, realizzando una colonia dissimulata dell'Italia unita, un territorio chiuso al mare, assolutamente terragno,  come se fosse nel mezzo della pianura euroasiatica che si stende dal Reno in Germania al Volga in Russia. Gioia Tauro è stato ed è una specie di miracolo, come annota nel suo brillante lavoro Augusta Torricelli Frisina. 

Il mio amico Hosea Jaffe, che ha acutamente analizzato i problemi dello scambio diseguale, ha sostenuto che il valore economico se represso  riemerge in ogni caso. Possiamo dire la stessa cosa per i punti strategici del commercio mondiale. Ma se, nel caso di Gioia Tauro, la legge del valore ha operato quasi miracolosamente per merito di un imprenditore intelligente e coraggioso, dobbiamo invece affidarci all'intelligenza politica dei meridionali e delle persone che essi scelgono a guida della collettività, per preparare il miracolo della rinascita di Ytalìa, della Sicilia e della Sardegna nell'ambito del loro ambiente naturale, il Continente mediterraneo. Rinascita il cui correlato non è un solo grande porto, peraltro assediato dallo Stato nazionale, che ne paventa l'espansione pericolosa per Genova e Trieste, ma una miriade di porti piccoli e medi che facciano da corona alle due isole e alla penisola. 

La grande strada del mare è il Mediterraneo, specialmente dove esso si restringe e bagna tre continenti, tre etnie che avevano, e forse hanno ancora, la stessa cultura. Questa grande via di traffico, oggi solcata prevalentemente da grandi navi, deve costruire le stazione di servizio che consentano quella specie di cabotaggio moderno rappresentato dalle navi di piccolo e medio tonnellaggio, dalle navi traghetto e dagli aliscafi.  Si tratta di un fatto politico, di un investimento pubblico. Ma la politica nazionale italiana si è rivolta al mare soltanto per alimentare intrallazzisti storici, come i Florio, gli Orlando, i Rubbettino,  o con velleità malriposte di dominio, come al tempo di Mussolini e della "Quarta sponda". Non così al tempo dell'indipendenza meridionale. 

Tra il 1848 e il 1857, il governo duosiciliano investì 4. 247. 964 ducati (pari a 18 milioni di lire-oro) in opere portuali. Maggiore dovette essere l’impegno nel quindicennio precedente, durante il quale la flotta mercantile duosiciliana raggiunse il traguardo di essere la seconda al mondo, dopo quella inglese.  

Il miracolo economico prodotto da Ferdinando II fu essenzialmente questo: tra il 1760 e il 1890, al  Sud ogni rada funse da scaricatoio per il commercio della rispettiva città costiera e del suo retroterra, che era servito da tracciati collinari disposti a pettine rispetto al mare, e non come avvenne poi, da vie che portano a Bologna e a Milano. 

La navigazione da punta a punta era la regola in quanto corrispondeva ai bisogni dei borghi. I noli realizzati dal cabotaggio napoletano, sempre contrastato dalla vivace concorrenza dei velieri francesi, spagnoli, inglesi, genovesi e livornesi (cosa che smentisce le fandonie gladstoniane circa la negazione di Dio e dei suoi Santi) fecero da moltiplicatore dell’accumulazione commerciale napoletana e siciliana nel settore, forse in misura  maggiore di quella derivante dalla marineria di lungo corso. I profitti armatoriali divennero così significativi da sorprendere positivamente uno studioso cauto negli entusiasmi, qual era  Ludovico Bianchini. 

Nei decenni 1820-1900, il cabotaggio fu un sistema di comunicazioni poco costoso e alquanto più intenso di quel che oggi non si immagini e si insegni. Chi volesse avere un riscontro basta che insegua l'onomastica amalfitana, sorrentina, gaetana, partenopea, nei centri di mare di Calabria, Sicilia, Puglia, Abruzzi. Il re di Napoli, che si gloriava anche del titolo di re di Geusalemme non ebbe il tempo d'andare oltre, come era nel suo disegno politico.  All'opposto, nella  fase successiva i paesi si chiusero al vicino e la ferrovia si nobilitò a facile via di fuga del lavoro, del risparmio,  dei surplus,  degli uomini più intraprendenti.

 Ma non occorre andare tanto lontano. Negli Anni Sessanta la Cassa per il Mezzogiorno dotò la Calcementi D'Agostino di Siderno di un pontile per l'imbarco e lo sbarco. Solo un pontile, ma noi sidernesi vedemmo attraccare, per anni e anni, delle navi libiche venute a caricare migliaia di tonnellate di calce idrata. Vedemmo lavoro, e tuttora lo vediamo perché, esauritasi l'esportazione in Libia, oggi ad attraccare al pontile sono navi greche che portano cemento in Italia. Tra il trasporto per mare e il trasporto su ruota esiste un differenziale di risparmio pari a più di cento volte. E' questo l'avvenire nostro. 

Il grande mare interno ha mille porti, mille approdi. I porticcioli oggi esistenti servono essenzialmente da garage per i motoscafi dei banchieri, dei giornalisti  e dei poeti padani. Noi non dobbiamo vivere facendo i garagisti e gli addetti al lavaggio. Oggi la Francia, a cui le cose non vanno propriamente bene, vuole espandere gli sbocchi industriali nel Nordafrica francofono e la Germania, hub d'Europa, vuole delocalizzare impianti dove la manodopera costa un decimo che in patria. E' giusto, niente di molto diverso e di stravagante rispetto alla colonizzazione greca  di Ytalìa. Però questo non dovrebbe passare sulla nostra testa. Bisogna dire, anzi, che secondo la legge della riemersione del valore, non potrà passare sulla nostra testa, se la politica dello Stato nazionale non si impegnerà a impedirlo.







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